Stephen Covey LA TERZA ALTERNATIVA Come
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Stephen Covey LA TERZA ALTERNATIVA Come
Stephen Covey LA TERZA ALTERNATIVA Come risolvere i problemi più difficili della vita Copyright © 2011 by FranklinCovey Co. Published in the United States by Free Press, a Division of Simon & Schuster, Inc. Titolo originale: The 3rd Alternative: Solving Life’s Most Difficult Problems Nota dell‟Editore: Laddove è stato possibile recuperare la traduzione italiana ufficiale delle citazioni presenti nel libro, è stato riportato in nota il riferimento bibliografico con relativo numero di pagina. In tutti gli altri casi, anche in quelli in cui è presente il riferimento bibliografico dell‟ultima edizione esistente in italiano, la traduzione è resa liberamente. Traduzione: Katia Prando e Vincenzina Varano Editing: Enza Casalino Revisione: Sonia Vagnetti, Martina Marselli, Ilaria Ortolina Impaginazione e Grafica di copertina: Matteo Venturi I Edizione: Settembre 2013 © 2013 Edizioni My Life My Life srl - Via Garibaldi, 77 - 47853 Coriano di Rimini ISBN 978-88-6386-194-5 ISBN Ebook 978-88-6386-848-7 L‟autore di questo libro non dispensa consigli medici né prescrive l‟uso di alcuna tecnica come forma di trattamento per problemi fisici e medici senza il parere di un medico, direttamente o indirettamente. L‟intento dell‟autore è semplicemente quello di offrire informazioni di natura generale per aiutarvi nella vostra ricerca del benessere fisico, emotivo e spirituale. Nel caso in cui usaste le informazioni contenute in questo libro per voi stessi, che è un vostro diritto, l‟autore e l‟editore non si assumono alcuna responsabilità delle vostre azioni. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta tramite alcun procedimento meccanico, fotografico o elettronico, o sotto forma di registrazione fonografica; né può essere immagazzinata in un sistema di reperimento dati, trasmesso, o altrimenti essere copiato per uso pubblico o privato, escluso l‟“uso corretto” per brevi citazioni in articoli e riviste, senza previa autorizzazione scritta dell‟editore. Sommario 1. Il punto di transizione 2. La Terza Alternativa: il principio, il paradigma e il processo della sinergia Il principio della sinergia Il modo di pensare tipico delle Due Alternative I corni del dilemma Il grande gruppo di mezzo I modelli della sinergia Paradigma uno: Mi vedo Paradigma due: Ti vedo Paradigma tre: Cerco di trovarti Paradigma quattro: Entro in sinergia con te Il processo della sinergia Mira alla Terza Alternativa nel tuo mondo Insegna per imparare Provaci 3. La Terza Alternativa al lavoro La teoria delle Due Alternative: combatti o fuggi La Terza Alternativa: la sinergia L‟arroganza: il grande ostacolo alla sinergia Il “GET” Quando si va sul personale Oltre la situazione win-win: la sinergia nelle vendite e nelle trattative Diventare un negoziatore orientato alla Terza Alternativa Il potere innovativo della sinergia I team orientati alla Terza Alternativa Le competenze della Terza Alternativa L‟era della sinergia Insegna per imparare Provaci 4. La Terza Alternativa a casa Fare tesoro delle differenze Una famiglia della Terza Alternativa La crisi della famiglia e la Terza Alternativa Se non dovesse funzionare Insegna per imparare Provaci 5. La Terza Alternativa a scuola La Grande Disputa L‟istruzione nell‟era industriale Il lavoro da fare La Terza Alternativa nell‟istruzione “Se puede” “Il Leader in me” L‟università come aletta correttrice di assetto Insegna per imparare Provaci! 6. La Terza Alternativa e la legge Il ruolo senza eguali del mediatore di pace La professione legale e la Terza Alternativa: un connubio possibile? La legge e il Bastone della Parola La sinergia e la legge Estendere la pace Insegna per imparare Provaci! 7. La Terza Alternativa nella società La grande divisione L‟imperatore dell‟interdipendenza Il rinascimento della città La fine del crimine Il benessere di tutta la persona Il benessere della Terra Un mondo senza povertà Insegna per imparare Provaci 8. La Terza Alternativa nel mondo Costruire la pace: l‟aspetto rivoluzionario della diplomazia interna Colmare un divario incolmabile Una sinfonia della sinergia Il modello per costruire la pace Una nazione che non dovrebbe esistere Insegna per imparare Provaci! 9. La Terza Alternativa nella vita Vivere in crescendo Vivere secondo la Terza Alternativa Una vacanza permanente o una missione permanente? Insegna per imparare Provaci 10. Da dentro a fuori Ringraziamenti 1 Il punto di transizione La vita è piena di problemi. Problemi che sembrano impossibili da risolvere. Problemi personali. Problemi familiari. Problemi sul lavoro, con i vicini, con il mondo intero. È probabile che il tuo matrimonio sia partito alla grande, eppure ora tu e tua moglie/tuo marito non riuscite quasi più a sopportarvi. È possibile che tu abbia pessimi rapporti con i genitori, i fratelli o i figli. Può darsi che al lavoro ti senta sotto pressione e senza equilibrio, e cerchi costantemente di fare di più impiegando meno risorse. O forse, come tante altre persone, sei stanco di questa società litigiosa dove le persone intentano cause con una tale facilità che non osi quasi più muoverti. La criminalità e le sue ripercussioni in ambito sociale ci preoccupano. Assistiamo agli inutili tentativi dei politici di affrontare i problemi. Ogni volta che guardiamo il telegiornale la sera, muore in noi la speranza che gli eterni conflitti tra i popoli e le nazioni prima o poi si possano risolvere. In questo modo perdiamo la fiducia, rinunciamo, o ci accontentiamo di un compromesso che in definitiva non riesce a soddisfarci. Ecco perché ho voluto scrivere questo libro. Parlerò di un principio talmente fondamentale che credo possa trasformare la tua vita e il mondo intero. Si tratta dell‟intuizione più elevata e importante che abbia mai avuto studiando le persone che hanno avuto successo nella vita. In pratica, tale principio rappresenta la chiave per risolvere i problemi più difficili dell‟esistenza. Tutti affrontano delle avversità, per lo più in silenzio. La maggior parte delle persone tiene duro con coraggio di fronte ai problemi, auspicandosi un futuro migliore e lavorando per realizzarlo. Per molti, il terrore è appena sotto la superficie. Alcune paure sono di natura fisica, altre psicologiche, ma sono tutte molto reali. Se riuscirai a comprendere il principio espresso in questo libro e a vivere in base a esso, non solo risolverai i tuoi problemi, ma potrai spingerti oltre e costruire un futuro migliore di quanto tu abbia mai immaginato. Questo principio è eterno; non è mio il merito di averlo scoperto. E non è un eufemismo dire che chi lo applica nell‟affrontare le difficoltà compie probabilmente la più grande scoperta della sua vita. Il concetto è introdotto già nel mio libro Le sette regole per avere successo. Di tutti i principi di cui parlo nel testo, questo più di ogni altro è in grado di “catalizzare, potenziare, unificare ed entusiasmare”. In quel libro sono riuscito a trattare l‟argomento solo per sommi capi, mentre questa volta ti invito a esplorarlo insieme a me in maniera più ampia e approfondita. Se sarai disposto a comprenderlo, il tuo modo di pensare non sarà più lo stesso. Ti ritroverai ad affrontare i problemi più difficili della tua vita in modo completamente nuovo ed esponenzialmente più efficace. Sono molto eccitato all‟idea di condividere con te le storie di alcune persone straordinarie che hanno afferrato questo principio. Questi individui non hanno soltanto risolto i loro problemi, ma sono diventati anche creatori del nuovo futuro che tutti sogniamo. Tra i tanti, potrai leggere di: un padre che una sera ha salvato sorprendentemente la figlia, tormentata da anni dalla disperazione, dal tentato suicidio; un giovane che in India si sta occupando di risolvere il problema dell‟energia elettrica per milioni di poveri, praticamente a costo zero; un comandante della polizia che ha ridotto della metà il tasso di delinquenza giovanile in una delle principali città canadesi; una donna che sta riportando in vita il porto inquinato di New York, anche in questo caso quasi a costo zero; un marito e una moglie che in passato si rivolgevano a stento la parola, mentre ora ridono insieme ripensando a quei giorni difficili; un giudice che ha messo fine al più grande processo ambientalista della storia americana in maniera rapida e pacifica, senza neanche entrare in aula; un preside di una scuola superiore frequentata da figli di lavoratori immigrati che ha fatto aumentare la percentuale di diplomati, portandola da un misero 30 per cento al 90 per cento, e che ha fatto crescere del triplo il livello delle competenze di base dei suoi studenti, senza incidere sulle spese; una madre single e il figlio adolescente che sono passati da una situazione di aspro conflitto a un rapporto d‟affetto e di rinnovata comprensione; un medico che cura quasi tutti i suoi pazienti affetti da una malattia mortale a un costo nettamente inferiore rispetto alla tariffa degli altri medici; un team che ha trasformato Times Square, un letamaio di violenza e sporcizia, nell‟attrazione più turistica nel Nord America. Vorrei fare una precisazione: nessuna di queste persone è una celebrità che dispone di ingenti somme o di influenza. Si tratta, perlopiù, di persone comuni che applicano con successo questo principio supremo nell‟affrontare i problemi più seri. E questa è una cosa che puoi fare anche tu. Riesco a immaginare cosa stai pensando: “Be‟, io sono diverso da queste persone, dal momento che non sto cercando di fare nulla di eroico. Ho i miei problemi, e per me sono grandi. Sono stanco, e voglio solo trovare una soluzione che funzioni.” Credimi, non c‟è niente in questo libro che non sia allo stesso tempo universale e personale. Il principio vale sia per una madre single che fa del suo meglio per crescere un figlio adolescente e inquieto sia per un capo di Stato che cerca di porre fine a una guerra. È possibile applicare questo principio a: una grave situazione conflittuale al lavoro con il capo o i colleghi; un matrimonio caratterizzato da “differenze inconciliabili”; una controversia con la scuola frequentata da tuo figlio; una situazione che ti ha messo in difficoltà finanziarie; una decisione cruciale che devi prendere in ambito lavorativo; un contrasto su una questione riguardante il quartiere o la comunità in cui vivi; familiari che litigano continuamente o non si parlano affatto; un problema di peso; un lavoro che non ti soddisfa; un bambino che non vuole “lanciarsi”; un problema complesso che devi risolvere per conto di un cliente; una questione che potrebbe trascinarti in tribunale. Ho insegnato il principio di base di cui si parla in questo libro a centinaia di migliaia di persone per più di quarant‟anni. L‟ho fatto conoscere a giovani studenti, l‟ho portato in aule piene di amministratori delegati, l‟ho condiviso con i laureandi, con i capi di Stato in una trentina di Paesi e con tutti quelli che si trovano nel mezzo. Mi sono sempre avvicinato alle persone con la stessa modalità. Ho scritto questo libro in maniera tale che i suoi contenuti possano essere applicati tanto a un parco giochi, quanto a un campo di battaglia, a una sala riunioni, a una camera legislativa o alla cucina di una famiglia. Faccio parte di un gruppo con riconosciuta leadership mondiale che sta cercando di creare un rapporto migliore tra l‟occidente e la comunità islamica. Tra i suoi membri vi sono un ex segretario di Stato americano, eminenti rabbini e imam, dirigenti di aziende multinazionali ed esperti in materia di risoluzione dei conflitti. Durante il nostro primo incontro, fu subito evidente che ognuno di noi aveva un ordine del giorno da rispettare. Il clima era piuttosto formale e freddo, e la tensione era palpabile. Il meeting si tenne di domenica. Chiesi al gruppo il permesso di insegnare loro un principio prima di procedere, e tutti accettarono con gentilezza. Così, condivisi anche con loro il messaggio di questo libro. Entro il martedì notte successivo l‟atmosfera cambiò completamente. Gli scopi personali erano stati accantonati. Eravamo arrivati a una conclusione entusiasmante che non avevamo assolutamente previsto. Le persone nella sala iniziarono a provare grande rispetto e amore l‟una per l‟altra: potevi sentirlo e vederlo. L‟ex segretario di Stato mi sussurrò: “Non ho mai visto niente di così potente. Quello che hai fatto qui potrebbe rivoluzionare la diplomazia internazionale.” Torneremo su questo punto in seguito. Come ho già sottolineato, non è necessario essere un rappresentante della diplomazia mondiale per applicare questo principio ai problemi da risolvere. Recentemente, abbiamo intervistato alcune persone in tutto il mondo per scoprire quali fossero le principali difficoltà personali, in ambito lavorativo e nel mondo in generale. Non si è trattato di un campione rappresentativo; ci interessava solo sapere cosa avessero da dire persone diverse. I 7.834 individui intervistati provenivano da tutti i continenti e svolgevano qualsiasi tipologia di mansione in aziende diverse. Nella vita privata. Il problema personale che affligge maggiormente le persone è la pressione da sovraccarico di lavoro, unitamente all‟insoddisfazione per l‟attività svolta. Molti individui hanno problemi di coppia. È tipico di un manager europeo di medio livello scrivere: “Sono stressato, esausto, e non ho più né il tempo né la forza di fare delle cose per me.” Un altro dice: “La mia famiglia sta andando a rotoli, e ciò influisce negativamente su tutto il resto.” Sul lavoro. Ovviamente, la principale preoccupazione che affligge le persone in merito al lavoro è la scarsità del reddito e dei guadagni. Inoltre, molti sono preoccupati di perdere terreno nella competizione globale: “Siamo bloccati dalla tradizione centenaria... Ogni giorno, perdiamo sempre più rilevanza... Facciamo scarso uso della creatività e dell‟imprenditorialità.” Un top manager africano ha scritto: “Lavoravo per un‟azienda internazionale, ma ho dato le dimissioni l‟anno scorso. Me ne sono andato perché non riuscivo più a trovare un senso in quello che facevo.” Nel mondo. Secondo gli intervistati, le prime tre problematiche che dobbiamo affrontare in qualità di membri della grande famiglia umana sono la guerra e il terrorismo, la povertà e la progressiva distruzione dell‟ambiente. Un manager asiatico di medio livello ha protestato con tono supplichevole: “Il nostro Paese è uno dei più poveri dell‟Asia. Questo è il nostro grido di battaglia, dal momento che la maggior parte della popolazione vive in povertà. Il lavoro scarseggia, il livello di istruzione è basso, mancano le infrastrutture, abbiamo un enorme debito pubblico, siamo malgovernati e la corruzione è dilagante.”1 Questa è una fotografia istantanea di come si sentono i nostri amici e i nostri vicini. Domani, l‟elenco delle difficoltà potrebbe essere diverso, ma ho comunque il sospetto che si tratterebbe solo di varianti delle stesse questioni. Sotto il carico di queste crescenti pressioni, ci mettiamo ancora di più l‟uno contro l‟altro. Se il XX secolo è stato un periodo di guerra impersonale, il XXI secolo appare come un‟epoca di personale malvagità. Il termometro che misura la rabbia segna un valore molto alto. Le famiglie litigano, i colleghi competono tra loro, i cyber-bulli terrorizzano, le aule di tribunale sono sovraffollate e i fanatici uccidono gli innocenti. Sprezzanti “commentatori” prendono possesso dei media: quanto più i loro attacchi suscitano scandalo, tanto più denaro guadagnano. Questa crescente febbre della discordia può farci molto male. “Sono profondamente turbata dal modo in cui le nostre culture demonizzano l‟“altro”... Le peggiori epoche della storia umana sono iniziate così, alienando e disumanizzando l‟altro, per poi trasformarsi in estremismo violento”, dice l‟esperta di benessere Elizabeth Lesser.2 Sappiamo fin troppo bene dove porta questo genere di cose. Come possiamo porre fine ai conflitti che generano divisioni e risolvere i problemi più gravi? Ci mettiamo sul sentiero di guerra, decisi a non tollerare più la situazione, e a prendercela con i nostri “nemici”? Ci comportiamo da vittime e attendiamo impotenti che qualcuno venga a salvarci? Estremizziamo il pensiero positivo e ci rifugiamo all‟interno di una piacevole condizione di rifiuto? Ci arrendiamo stoicamente, senza più coltivare la speranza che le cose possano migliorare? Siamo convinti, nel nostro intimo, che qualsiasi ricetta sia soltanto un placebo? Continuiamo a rimboccarci le maniche, così come fa la maggior parte delle persone di buona volontà, a fare quello che abbiamo sempre fatto, coltivando la flebile speranza che in qualche modo le cose miglioreranno? Indipendentemente dal tipo di approccio che utilizzeremo nell‟affrontare i problemi, vi saranno delle conseguenze. La guerra genera guerra, le vittime diventano dipendenti, la realtà schiaccia le persone spingendole al rifiuto, i cinici non danno nessun contributo utile. E se continuiamo a fare le stesse cose che abbiamo sempre fatto, sperando che questa volta i risultati siano diversi, significa che non stiamo affrontando la realtà. Stando a quel che si dice, Albert Einstein avrebbe fatto la seguente affermazione: “Non possiamo risolvere i nostri problemi più gravi mantenendo lo stesso assetto mentale che ci ha portato a generarli.” Per risolvere le questioni più difficili, dobbiamo cambiare radicalmente modo di pensare; questo è il tema che affronteremo nel libro. Leggendo, ti troverai sospeso in un punto di transizione tra il passato, di qualunque natura sia stato, e un futuro che finora non hai mai immaginato. Scoprirai di avere una predisposizione naturale al cambiamento. E penserai ai tuoi problemi in maniera del tutto rivoluzionaria. Svilupperai nuovi riflessi mentali che ti spingeranno a superare ostacoli che agli altri sembrano insormontabili. A partire da quel punto di transizione, riuscirai a vedere un futuro nuovo e gli anni a venire potrebbero essere molto diversi da come te li aspettavi. Invece di bloccarti immaginando un futuro inevitabile costellato di problemi e caratterizzato da un calo delle tue facoltà, potrai iniziare a saziare la tua sete di vita “in un crescendo” sempre nuovo, ricco di significato e di eventi straordinari, fino alla fine. Incentrando la tua vita sul principio di questo libro, troverai una strada che ti condurrà a quel futuro in maniera sorprendente. Note 1. È possibile consultare il rapporto completo dell‟indagine, “The 3rd Alternative: The Most Serious Challenges”, visitando il sito http://www.The3rdAlternative.com. 2. Elizabeth Lesser, “Take the „Other‟ to Lunch”, dotsub.com, data non disponibile, http://dotsub.com/view/6581098e-8c0d-4ec0-938d23a6cb9500eb/viewTranscript/eng. La Terza Alternativa 2 La Terza Alternativa: il principio, il paradigma e il processo della sinergia C‟è un modo per risolvere i problemi più difficili, anche quelli che sembrano non avere soluzione. Esiste la possibilità di aprirsi un varco attraverso i dilemmi e le profonde divisioni dell‟esistenza. Esiste un modo di procedere. Non è il mio e neanche il tuo. È un modo migliore, al quale nessuno di noi ha mai pensato prima. Io lo chiamo “la Terza Alternativa”. La maggior parte dei conflitti ha due facce. Siamo abituati a pensare in questi termini: “il mio schieramento” contro “il tuo schieramento”. Il mio è buono, il tuo è cattivo, o perlomeno “meno buono”. Il mio schieramento è corretto e giusto, il tuo è sbagliato e probabilmente è anche ingiusto. Le mie ragioni sono autentiche, mentre le tue, nella migliore delle ipotesi, sono artificiali. Si tratta del mio partito, schieramento, Paese, figlio, azienda, opinione, il mio fronte contro il tuo. In ognuno di questi casi, ci sono due alternative. Quasi tutti si identificano con una delle due. Ecco perché esistono i liberali contro i conservatori, i Repubblicani contro i Democratici, i lavoratori contro la classe dirigente, gli avvocati contro altri avvocati, i figli contro i genitori, i Tory contro i Laburisti, gli insegnanti contro i dirigenti scolastici, le università contro le città, gli abitanti delle campagne contro gli abitanti delle città, gli ambientalisti contro i promotori dello sviluppo, i bianchi contro i neri, la religione contro la scienza, l‟acquirente contro il venditore, il querelante contro il convenuto, i Paesi emergenti contro le nazioni sviluppate, il marito contro la moglie, i socialisti contro i capitalisti, i credenti contro gli atei. Per questo motivo esistono il razzismo, il pregiudizio e la guerra. Ognuna delle due alternative è profondamente radicata in una mentalità ben precisa. Per esempio, la forma mentis degli ambientalisti si fonda sull‟ammirazione per la delicata bellezza e l‟equilibrio della natura. L‟atteggiamento mentale dei promotori dello sviluppo nasce dal desiderio di vedere crescere le comunità e aumentare le opportunità economiche. In genere, ogni schieramento si considera onesto e logico, e vede l‟altro come privo di rispettabilità e di buon senso. La Terza Alternativa. La maggior parte dei conflitti ha due facce. La Prima Alternativa è il mio modo, la Seconda è il tuo. Se stabiliamo una sinergia, possiamo procedere verso una Terza Alternativa, ovvero il “nostro modo”, un modo superiore, che rappresenta la via migliore per risolvere il conflitto. Le radici profonde della mia mentalità si intrecciano con il concetto di identità. Affermando di essere un ambientalista o un conservatore o un insegnante, non mi limito a descrivere le convinzioni e i valori in cui credo; sto facendo molto di più: sto dicendo chi sono. Pertanto, quando qualcuno attacca il mio schieramento, colpisce anche me e l‟immagine che ho di me. In casi estremi, i conflitti di identità possono degenerare e trasformarsi in guerre. La mentalità delle Due Alternative è profondamente radicata in molte persone, perciò come possiamo superarla? Di solito non lo facciamo. Continuiamo a combattere oppure cerchiamo di raggiungere un instabile compromesso. Ecco perché ci troviamo di fronte a così tante sconfortanti battute d‟arresto. Tuttavia, di solito, il problema non riguarda i pregi del “fronte” a cui apparteniamo, ma il nostro modo di pensare. Il vero problema è da ricercare nei nostri modelli mentali. Il termine “modello” indica uno schema o un paradigma mentale che influenza il nostro comportamento. È una sorta di mappa che ci aiuta a decidere in quale direzione andare. La mappa determina ciò che facciamo e, di conseguenza, i risultati che otteniamo. Cambiando il modello, si modifica anche il nostro comportamento e i risultati che ne derivano. Per esempio, quando il pomodoro venne portato per la prima volta in Europa dalle Americhe, un botanico francese lo identificò come la temuta “pesca dei lupi” di cui parlavano alcuni antichi studiosi. L‟uomo sosteneva che mangiare pomodori avrebbe provocato spasmi e schiuma alla bocca, e avrebbe condotto alla morte. Di conseguenza, i primi coloni europei in America non provarono neppure ad assaggiarli, nonostante li facessero crescere nei loro giardini come pianta ornamentale. Allo stesso tempo, una delle malattie più pericolose che si trovarono ad affrontare fu lo scorbuto, causato dalla mancanza di vitamina C, di cui sono molto ricchi i pomodori. La cura era proprio sotto i loro occhi, cionondimeno questa malattia uccise tantissime persone a causa di un modello errato. Dopo circa un secolo, il diffondersi di nuove informazioni portò a cambiare quel paradigma. Gli italiani e gli spagnoli iniziarono a mangiare i pomodori. Si dice che Thomas Jefferson li coltivasse e ne promuovesse il consumo. Oggi, il pomodoro è l‟ortaggio più conosciuto al mondo ed è ritenuto molto salutare: averlo inserito nell‟alimentazione quotidiana ci ha permesso di migliorare la nostra salute. Cambiare modello ha questo grande potere. Se io sono un ambientalista la mia mappa mentale avrà il desiderio di preservarlo. Se tu, in quanto promotore dello sviluppo, hai una mappa mentale che mostra solo giacimenti di petrolio, vorrai compiere una trivellazione per estrarlo. È possibile che entrambi i modelli siano corretti. È vero che sulla Terra c‟è una foresta incontaminata, ma è altrettanto vero che ci sono giacimenti petroliferi. Il problema sta nel fatto che nessuna delle due rappresentazioni della realtà è completa; e non potrà mai esserlo. Tornando all‟esempio precedente, si è scoperto che le foglie della pianta del pomodoro sono velenose; quindi, in parte, il paradigma anti-pomodoro era corretto. Sebbene alcune mappe mentali possano essere più complete di altre, nessuna è mai del tutto soddisfacente, in quanto la mappa non coincide con il territorio. Come disse D.H. Lawrence: “A lungo termine, ogni mezza verità produce la contraddizione di se stessa, che corrisponde alla mezza verità opposta.” Se vedo soltanto la percezione della realtà fornita dalla Prima Alternativa (la mia mappa incompleta), l‟unico modo che ho per risolvere il problema è cercare di convincerti a cambiare il tuo modello, o addirittura ad accettare il mio punto di vista. Solo così, inoltre, posso preservare l‟immagine che ho di me: io devo vincere e tu devi perdere. Vedere-Fare-Ottenere. I modelli che adottiamo determinano il nostro comportamento che, a sua volta, genera le conseguenze delle nostre azioni. Otteniamo dei risultati sulla base di ciò che facciamo, e ciò che facciamo dipende da come vediamo il mondo che ci circonda. Se, d‟altra parte, mi sbarazzo della mia mappa e seguo la tua (la Seconda Alternativa), il problema da affrontare rimane lo stesso. Neppure tu sei in grado di garantire che la tua percezione della realtà sia esatta e completa, pertanto, seguendola, rischio di pagare un prezzo troppo alto. Tu potresti vincere, ma io potrei perdere. Potrebbe essere utile combinare le due mappe. In tal modo, ne avremmo una complessiva che terrebbe conto delle prospettive di entrambi. Io potrei comprendere il tuo punto di vista e tu il mio. Questo è il progresso. Ciononostante, alcuni obiettivi potrebbero restare incompatibili. Io continuo a non volere che la foresta venga toccata, e tu desideri ancora compiere una trivellazione per estrarre il petrolio. Una conoscenza approfondita della tua mappa potrebbe indurmi a ingaggiare una lotta ancora più feroce nei tuoi confronti. È qui che arriviamo alla parte più entusiasmante. Ti guardo e dico: “Forse possiamo trovare una soluzione migliore di quella che ognuno di noi ha in mente. Sei disposto a cercare una Terza Alternativa alla quale nessuno di noi ha mai pensato prima?”. È raro che qualcuno ponga questa domanda, eppure tale richiesta rappresenta la chiave non solo per risolvere i conflitti, ma anche per trasformare il futuro. Il principio della sinergia È possibile arrivare alla Terza Alternativa attraverso un processo chiamato sinergia. Si parla di sinergia quando uno più uno fa dieci o cento o addirittura mille! È il risultato che si ottiene quando due o più esseri umani rispettosi l‟uno dell‟altro stabiliscono di comune accordo di superare le loro idee preconcette per affrontare una sfida importante. La sinergia riguarda la passione, l‟energia, l‟ingegno, l‟eccitazione di creare una nuova realtà di gran lunga migliore rispetto a quella precedente. Sinergia non significa compromesso. In un compromesso, uno più uno al massimo fa uno e mezzo. Tutti perdono qualcosa. La sinergia non consente solo di risolvere un conflitto ma anche di trascenderlo. Lo superiamo e diamo inizio a qualcosa di nuovo, che genera una nuova promessa ed entusiasma le parti in causa, trasformando il futuro. La sinergia è meglio del mio modo e del tuo. È il “nostro modo”. È un concetto difficile da comprendere. Una delle ragioni di tale difficoltà sta nel fatto che il termine è stato screditato da un frequente uso improprio. Negli affari, il termine “sinergia” viene spesso usato cinicamente come eufemismo per indicare fusioni o acquisizioni nate solo per aumentare i profitti. Nella mia esperienza, ho visto che se si vuole far strabuzzare gli occhi a qualcuno, basta pronunciare la parola “sinergia”. Ciò avviene perché molte persone non l‟hanno mai realmente sperimentata, neanche con moderazione. Spesso hanno udito questa parola da manipolatori che ne distorcono il significato. Come disse un mio amico: “Quando sento qualcuno in giacca e cravatta usare il termine „sinergia‟, so che il mio fondo pensione è in pericolo.” Le persone non si fidano di questa parola. I loro leader le inducono a mettersi sulla difensiva, a credere che tutto questo gran parlare di “sinergia creativa, collaborativa, cooperativa” sia solo un modo diverso di dire “ecco un altro sistema per sfruttarti”. E le menti che si mettono sulla difensiva non sono mai né creative né collaborative. La sinergia è un miracolo. È intorno a noi. Si tratta di un principio fondamentale che opera in tutto il mondo naturale. Le sequoie intrecciano le loro radici per diventare forti, difendersi dal vento e crescere fino a raggiungere altezze incredibili. Le alghe verdi e i funghi si uniscono ai licheni per colonizzare la nuda roccia e prosperare laddove nient‟altro riuscirebbe a crescere. Gli stormi che volano formando una V fanno quasi il doppio della strada rispetto a un uccello che vola da solo, grazie alla corrente d‟aria ascensionale generata dal battito delle loro ali. Mettendo insieme due assi di legno, noterai che il peso che sono in grado di sorreggere è esponenzialmente superiore a quello che il singolo pezzo può sopportare da solo. Le minuscole particelle presenti in una goccia d‟acqua cooperano per creare un fiocco di neve unico, diverso da tutti gli altri. In ognuno di questi casi, il tutto è maggiore della somma delle singole parti. Sinergia. Principio naturale secondo il quale il tutto è maggiore della somma delle parti. Anziché adottare il mio o il tuo metodo, ci avviamo lungo il sentiero della sinergia con l‟obiettivo di raggiungere risultati migliori e maggiormente produttivi. Tu e io insieme siamo molto più forti di quanto lo siamo da soli. Uno più uno fa due, eccezion fatta per le situazioni sinergiche. Per esempio, una barra di ferro si rompe se una macchina vi esercita una pressione di 60.000 libbre per pollice quadrato (PSI). Una barra di cromo delle stesse dimensioni si romperà a circa 70.000 PSI, mentre una di nichel a circa 80.000 PSI. La somma di questi valori è pari a 210.000 PSI. Ciò significa che ferro, cromo e nichel mescolati in un‟unica barra riusciranno a sopportare una pressione pari a 210.000 PSI, giusto? Sbagliato! Se li mescoliamo secondo proporzioni ben precise, la barra di metallo riuscirà a reggere ben 300.000 PSI! Si tratta di 90.000 libbre di forza aggiuntiva che sembrano essere venute dal nulla. Una volta uniti, i suddetti metalli hanno il 43 per cento di forza in più rispetto a quella che avrebbero se fossero separati. Questo è un esempio di sinergia.3 Questa forza extra rende possibile il funzionamento dei motori a reazione. Il forte calore e la pressione del getto del reattore fonderebbero qualsiasi altro metallo più debole. Ma la lega acciaio-cromo-nichel può sostenere temperature ben più elevate di quelle che potrebbe sopportare il comune acciaio. Il principio della sinergia è valido anche per gli esseri umani. Insieme, le persone possono fare cose che non riuscirebbero nemmeno a pensare, se si basassero esclusivamente sulle loro forze. La musica ne è un esempio straordinario. Ritmi, melodie, armonie e stili individuali si combinano per creare nuove trame, nuove sfumature e profondità sonore. I musicologi affermano che per gran parte della storia umana, la musica è stata un‟arte di improvvisazione: la gente si limitava a suonare o a cantare insieme ciò che era più adatto al momento. Quella di mettere la musica per iscritto secondo una forma fissa è una recente evoluzione. Ancora oggi, alcuni dei generi più avvincenti, come il jazz, vengono improvvisati. Un accordo musicale è costituito da diverse note suonate contemporaneamente. Le note non perdono il loro carattere individuale, ma insieme creano una sinergia (un‟armonia) che da sole non potrebbero produrre. Così come avviene con le note musicali, anche le persone sinergiche mantengono la loro identità; combinano le loro forze con quelle di altri individui per produrre un risultato di gran lunga superiore a quello che si potrebbe raggiungere restando da soli. Nello sport, la sinergia prende il nome di “chimica”. Alcuni grandi team sportivi godono di quel tipo di sinergia che consente loro di battere squadre supportate da una tifoseria sfegatata e composte da atleti di maggior talento, ma privi di sinergia. Non è possibile prevedere il risultato che la squadra otterrà in base all‟abilità dei giocatori. Le prestazioni del gruppo superano di molto la somma delle capacità dei singoli giocatori. Il massimo esempio di sinergia umana è, ovviamente, la famiglia. Ogni figlio è una “Terza Alternativa”, un essere umano distinto, dotato di capacità che non sono mai esistite prima e che non sarà più possibile riprodurre. Queste attitudini non possono essere predeterminate sommando semplicemente le capacità di ciascun genitore. La particolare combinazione di doti umane in quel bambino è unica nell‟universo, e il suo potenziale creativo è enorme. Il grande Pablo Casals disse: “Il bambino deve sapere che è un miracolo, e che da quando è nato il mondo, fino alla fine dei giorni, non c‟è stato e mai ci sarà un altro bambino come lui.” La sinergia è l‟essenza stessa della famiglia. Ogni suo membro conferisce un sapore diverso a questa combinazione. Quello che succede quando un bambino sorride alla madre va al di là della semplice simbiosi, del vivere insieme per trarre profitto l‟uno dall‟altra. Come dice il mio amico Colin Hall, il termine sinergia non è altro che un ulteriore modo per definire l‟amore. Esistono molti esempi come questi, che possono illustrare la capacità della sinergia di cambiare il mondo. Essa però può trasformare anche l‟ambito lavorativo e la tua stessa vita. Senza sinergia, il tuo lavoro sarà stagnante. Non crescerai e non conoscerai nessun miglioramento. La concorrenza di mercato e i cambiamenti tecnologici si sono intensificati a tal punto che, se non si è dotati di una mentalità sinergica positiva, si rischia di diventare rapidamente obsoleti. Senza sinergia, non c‟è crescita. Entrerai in una spirale vorticosa verso il basso, caratterizzata da una continua riduzione dei prezzi che alla fine ti impedirà di lavorare. Al contrario, sviluppando una mentalità sinergica positiva, sarai sempre all‟avanguardia ed entrerai in un circolo virtuoso verso l‟alto, in vista di una maggiore crescita. Esiste anche una sinergia negativa. Si manifesta quando il circolo vizioso viene accelerato da forze emergenti. Per esempio, è noto che sia il fumo sia l‟amianto provocano il cancro ai polmoni. Se fumi e respiri amianto, le probabilità di ammalarti sono di gran lunga superiori rispetto a quelle che si ottengono sommando i tassi di incidenza delle singole condizioni. Se non ti dedichi deliberatamente alla sinergia positiva, rischi di trovarti intrappolato da una confluenza di forze negative. La sinergia positiva non è incrementale. È possibile perfezionare un prodotto grazie a un regolare processo di miglioramento, ma così facendo è improbabile che ne inventi uno nuovo. La sinergia non è solo la risposta al conflitto umano, ma è anche il principio che permette di realizzare tutto ciò che è davvero innovativo nel mondo. È la chiave per compiere salti quantici in termini di produttività. È la forza mentale propulsiva che sta dietro alla genuina creatività. Prendiamo in considerazione alcuni casi, a livello nazionale, personale e organizzativo, in cui la sinergia ha cambiato le regole del gioco. La non violenza creativa Quando incontrai Arun Gandhi, nipote del leggendario Mahatma, mi raccontò le riflessioni che aveva fatto sulla vita di suo nonno. Paradossalmente, se non fosse stato per il razzismo e il pregiudizio, non avremmo mai avuto un Gandhi. È stata la sfida, il conflitto. Mio nonno avrebbe potuto essere l’ennesimo avvocato di successo, in grado di guadagnare un sacco di soldi. Ma a causa dei pregiudizi diffusi in Sudafrica, subì un’umiliazione, a meno di una settimana dal suo arrivo. Venne buttato giù da un treno per il colore della sua pelle. La cosa lo mortificò talmente tanto che rimase seduto sulla banchina della stazione tutta la notte, domandandosi cosa avrebbe potuto fare per ottenere giustizia. La sua prima reazione fu la rabbia. Era così in collera che desiderava trionfasse la legge dell’occhio per occhio. Voleva rispondere con la violenza alle persone che lo avevano umiliato. Ma poi si fermò e disse: “Non è giusto.” Così non avrebbe avuto giustizia. Quell’atteggiamento gli avrebbe procurato una soddisfazione momentanea, ma non gli avrebbe fatto ottenere la giustizia che auspicava. Avrebbe solo perpetuato il ciclo del conflitto. Da quel momento in poi, Gandhi sviluppò la filosofia della non violenza e la mise in pratica nella sua vita e nel suo impegno per la giustizia in Sudafrica. Rimase in quel Paese per ventidue anni. Poi se ne andò e portò il movimento in India, contribuendo alla nascita di un Paese indipendente, cosa che nessuno avrebbe mai immaginato possibile.4 Gandhi è uno dei miei eroi. Non era perfetto, e non realizzò tutti i suoi obiettivi. Ma trovò la sinergia dentro di sé. Inventò una Terza Alternativa: la non violenza creativa. Trascese la mentalità delle Due Alternative. Non scappò, né rispose alla violenza con la lotta. Combattere è una cosa che fanno gli animali: quando sono messi alle strette, o lottano o fuggono. Anche chi ragiona secondo la logica delle Due Alternative si comporta in questo modo: combatte o fugge. Gandhi cambiò la vita di oltre trecento milioni di persone utilizzando la sinergia. Oggi l‟India conta più di un miliardo di abitanti. È un posto straordinario, dove è possibile sentire l‟energia e il vigore economico e spirituale delle persone meravigliose e indipendenti che lo abitano. La lezione di musica Un giorno, una donna, che chiameremo Nadia, vide la sua bambina piangere mentre usciva da scuola portandosi dietro la custodia del violino. La piccola di otto anni singhiozzando raccontò alla madre che l‟insegnante non avrebbe più tenuto lezioni di musica in classe. Durante la notte, la rabbia di Nadia, che a sua volta era una violinista diplomata, montò sempre di più. Non riusciva a dormire pensando alla delusione che aveva letto sul volto della figlia e pianificò nel dettaglio l‟invettiva che avrebbe lanciato contro l‟insegnante. Al mattino però ci ripensò e decise che prima di partire all‟attacco avrebbe dovuto capire con esattezza cosa stesse succedendo. Si recò a scuola per tempo in modo da poter parlare con l‟insegnante prima della lezione. “Mia figlia ama il violino,” disse, “e mi domando per quale ragione i bambini non possano più esercitarsi a suonare a scuola.” Con sua grande sorpresa, l‟insegnante scoppiò a piangere. “Non abbiamo più tempo per le lezioni di musica,” spiegò. “Dobbiamo dedicare tutto il tempo di cui disponiamo alle materie di base come la lettura e la matematica.” Si trattava di una disposizione governativa. Per un attimo Nadia pensò di sferrare un attacco contro il governo, ma poi disse: “Ci deve essere un sistema per fare in modo che i bambini acquisiscano le competenze di base e contemporaneamente imparino la musica.” L‟insegnante batté le palpebre per un attimo. “Certo, la musica è matematica.” A questo punto, il cervello di Nadia cominciò a lavorare vorticosamente. E se le conoscenze di base fossero state insegnate attraverso la musica? Le due donne si guardarono e scoppiarono a ridere perché avevano avuto la stessa illuminazione. Nell‟ora successiva furono travolte da un impetuoso e quasi magico flusso di idee. Poco dopo Nadia iniziò a collaborare come volontaria alle lezioni nella classe di sua figlia; lo faceva ogni volta che poteva. Insieme, lei e l‟insegnante spiegavano le diverse materie utilizzando la musica. Gli alunni svolgevano le frazioni non solo con i numeri, ma anche con le note musicali (due crome equivalgono a una semiminima). Attraverso il canto, recitavano le poesie con più facilità. La storia prese vita nel momento in cui iniziarono a studiare i grandi compositori e le loro epoche, suonando la musica che avevano composto. Inoltre, impararono qualche parola straniera intonando i canti popolari originari di altri Paesi. La sinergia tra il genitore amante della musica e l‟insegnante era importante quanto quella tra la musica e le conoscenze di base. Gli alunni appresero rapidamente sia l‟una che le altre. Poco dopo, altri docenti e genitori vollero ripetere l‟esperimento. Col tempo, anche il governo si interessò a questa Terza Alternativa. Qualità Totale Nel 1940 il professore di gestione aziendale W. Edwards Deming cercò di convincere gli industriali americani che fosse necessario migliorare la qualità dei loro prodotti, ma essi decisero di ipotecare il futuro tagliando i costi della Ricerca e Sviluppo e concentrandosi sui profitti a breve termine. Si tratta di un modo di pensare tipico della mentalità orientata alle Due Alternative: bisogna scegliere tra alta qualità e riduzione dei costi; non è possibile avere entrambe le cose. Si trattava di un concetto risaputo. In America, la domanda di profitti a breve termine comportò un risparmio sempre maggiore sulla qualità, e ciò innescò un circolo vizioso. Si sviluppò un atteggiamento mentale del genere: come possiamo farla franca? In che modo possiamo incidere negativamente sulla qualità del prodotto prima che i clienti si ribellino? Rifiutato in America, Deming andò in Giappone. Egli sosteneva che i difetti si insinuano all‟interno di ogni processo produttivo e prima o poi allontanano i clienti; pertanto, l‟obiettivo della produzione dovrebbe essere quello di ridurre progressivamente l‟incidenza del malfunzionamento sul prodotto. Gli industriali giapponesi combinarono l‟idea di Deming con la loro filosofia kanban, che mette il controllo della produzione nelle mani dei lavoratori. Il termine kanban significa “mercato”; i lavoratori in fabbrica hanno la possibilità di scegliere le componenti, come se facessero la spesa al supermercato. L‟obiettivo è migliorare la produzione. Il risultato di questa combinazione di idee fu una vera e propria novità nel mondo, una Terza Alternativa: nacque la “Gestione totale della qualità”, il cui obiettivo era quello di concentrarsi sul miglioramento continuo delprodotto e contemporaneamente sulla riduzione dei costi. Ne derivò un nuovo atteggiamento mentale: in che modo è possibile migliorare il prodotto? Il modo di pensare tipico delle Due Alternative Come dimostrano questi esempi, la mancanza di una forma mentis improntata alla Terza Alternativa costituisce il più grande ostacolo alla sinergia. Le persone che adottano l’atteggiamento mentale delle Due Alternative nell’affrontare una determinata questione non riusciranno mai a raggiungere la sinergia, se prima non ammettono che quest’ultima è perlomeno possibile. Chi pensa seguendo la logica delle Due Alternative vede solo la competizione, e non la collaborazione; per queste persone, vale sempre la regola “noi contro di loro”. Chi manifesta questo tipo di mentalità vede solo falsi dilemmi e segue sempre il medesimo principio: “O si fa a modo mio o niente.” Chi ragiona secondo questa logica soffre di una sorta di daltonismo: riesce a vedere solo il blu e il giallo, non il verde. La mentalità delle Due Alternative è dappertutto. La sua manifestazione più estrema è la guerra ma, senza arrivare a tanto, ne vediamo le conseguenze quando ci facciamo coinvolgere in una “Grande Disputa”. Ne abbiamo un esempio quando i liberali si tappano le orecchie per non ascoltare quello che dicono i conservatori, e viceversa. Oppure quando gli imprenditori sacrificano gli interessi aziendali di lungo periodo per garantirsi un guadagno a breve termine, ma anche quando qualcuno di loro sostiene di essere un “visionario lungimirante”, mentre l’azienda gli crolla intorno perché si rifiuta di prendere in considerazione il breve periodo. Lo vediamo nella persona religiosa che rifiuta la scienza, e nello scienziato che non attribuisce alcun valore alla religione. (Nelle università di Londra gli scienziati evitano di pranzare insieme ai teologi nella sala mensa di facoltà!) Spesso, chi pensa secondo la logica delle Due Alternative non riesce a vedere gli altri come esseri umani dotati di una propria individualità; bada solo alle loro ideologie. Non dà valore ai diversi punti di vista, e pertanto non si sforza di comprenderli. A volte finge di rispettarli, ma in realtà non vuole ascoltare, solo manipolare. Passa all’offensiva perché si sente insicuro: sono in gioco il suo territorio, l’immagine che ha di sé, la sua identità. In definitiva, la strategia che adotta per affrontare le differenze è quella del “cerca e distruggi”. Per queste persone, uno più uno fa zero, o anche meno. La sinergia non può prosperare in un contesto simile. Due Alternative. In un conflitto, siamo abituati a vedere schierato il nostro modo di fare contro quello dell’avversario. Le persone con una forma mentis sinergica scelgono entrambe le posizioni o superano questa mentalità ristretta per elaborare una Terza soluzione Alternativa. Potresti chiederti: “È possibile entrare in sinergia con tutti?”. Sarebbe molto difficile riuscirci con individui affetti da disabilità cognitive o emotive che non sono in grado di controllare gli impulsi. Naturalmente, non si può stabilire una sinergia con un soggetto psicopatico. Ma la maggior parte delle persone non sono altro che “persone”. Il problema più insidioso del modo di pensare delle Due Alternative è rappresentato dalla trappola bipolare in cui noi, individui ordinari e razionali, rischiamo di cadere con facilità. L‟illustrazione a pagina 26 ci mostra in cosa consiste: “Quelli che stanno dalla mia parte sono [scegli dall‟elenco della colonna A]. Quelli che stanno dalla tua sono [scegli dall‟elenco della colonna B].” A B Buoni Cattivi Generosi Crudeli Intelligenti Stupidi Saggi Sciocchi Ragionevoli Irragionevoli Virtuosi Malvagi Accomodanti Bugiardi Geniali Idioti Patriottici Traditori I migliori del mondo I peggiori del mondo Credevo che la maggior parte degli adulti fosse superiore a questo genere di cose, che comprendesse la complessità del mondo in cui viviamo. Ma, prestando attenzione a quello che dicono i media ultimamente, e accorgendomi di quanta gente si arricchisca promuovendo la mentalità delle Due Alternative, non ne sono più tanto sicuro. Inoltre, questo modo di pensare ci preoccupa quando ci troviamo ad affrontare un dilemma, un problema senza un‟apparente soluzione soddisfacente. Si tratta di questioni di cui sentiamo parlare continuamente. Un insegnante dice: “Non posso lavorare con questo studente, ma non posso nemmeno evitarlo.” Un uomo d‟affari afferma: “Non possiamo far crescere gli affari senza un incremento di capitale, ma non possiamo nemmeno fare aumentare il capitale, se non facciamo crescere gli affari: è un circolo vizioso.” Un politico dichiara: “Non possiamo permetterci di garantire un buon livello di assistenza sanitaria a tutti, né possiamo lasciar soffrire la gente che non riesce a pagare.” Un direttore vendite asserisce: “Due dei miei più bravi venditori parlano continuamente male l‟uno dell‟altro e si screditano a vicenda. Ma senza di loro, perderemmo i nostri migliori clienti.” Una moglie dice del marito: “Non riesco a vivere con lui, ma nemmeno senza di lui.” I corni del dilemma Sapere di avere solo due alternative ugualmente terribili può essere angosciante. Per gli antichi greci ciò significava trovarsi tra “i corni del dilemma”, perché era come essere di fronte a un toro pronto ad attaccare: qualunque sia il corno che ti colpisce, vieni trafitto. Di fronte a questi dilemmi, l‟insicurezza di chi pensa secondo la logica delle Due Alternative è comprensibile. Alcune persone alzano le mani in segno di resa. Altre afferrano un “corno” e trascinano con sé tutto il resto. Sono così ossessionate dall‟idea di essere nel giusto, che difendono la loro posizione anche se lo scontro le ha lasciate sanguinanti. Ci sono individui che scelgono addirittura un corno su cui morire perché sentono di doverlo fare; non riescono a vedere una Terza Alternativa. Troppo spesso facciamo fatica a comprendere che ci troviamo di fronte a un falso dilemma, ed è un peccato, dal momento che ciò avviene nella maggior parte dei casi. Vediamo falsi dilemmi dappertutto. Durante i sondaggi si fanno domande del tipo: “Sei a favore della soluzione repubblicana o di quella democratica? Sei favorevole o contrario alla legalizzazione delle droghe? È giusto o sbagliato usare gli animali per la ricerca? Sei con noi o contro di noi?”. Questi interrogativi non ci permettono di andare oltre la mentalità delle Due Alternative (ed è quello che vuole l‟intervistatore, di solito!). Oltre ai due estremi del dilemma ci sono quasi sempre altre possibilità, ma le persone che ragionano secondo la logica delle Due Alternative non riescono a coglierle. Raramente ci chiediamo se esiste una risposta migliore, una Terza Alternativa. Nessun sondaggista ci porrà mai questa domanda. Il grande gruppo di mezzo Una reazione che indebolisce il pensiero delle Due Alternative è quella di smettere di sperare. In ogni Grande Disputa c‟è sempre un “grande gruppo di mezzo”, vale a dire un insieme di persone che non si identifica con nessuno dei due poli. In genere, questi individui vengono scoraggiati dagli estremi di questo modo di pensare dicotomico. Credono nel lavoro di squadra e nella collaborazione e prendono in considerazione il punto di vista altrui, ma non riescono a trovare una Terza Alternativa. Non sono realmente convinti che vi sia una soluzione concreta a un eventuale conflitto con il datore di lavoro, a un matrimonio infelice, a una causa giudiziaria o allo scontro tra Israele e Palestina. Si tratta di quel genere di persone che dicono: “Non andiamo d‟accordo. Non siamo compatibili. Non c‟è una soluzione.” Credono nel compromesso, e ritengono che sia la cosa migliore che si possa ottenere. Il compromesso gode di un‟ottima reputazione, e probabilmente ha impedito che molti problemi peggiorassero. Secondo i dizionari, entrambe le parti “rinunciano a qualcosa, sacrificano o abbandonano” alcuni dei loro interessi personali, al fine di arrivare a un accordo. In questo caso, si parla di situazione “lose-lose”, io-perdo-tu-perdi, che è il contrario di quella “win-win”, io-vinco-tuvinci. Le persone che raggiungono un compromesso possono sentirsi soddisfatte, ma non saranno mai felici. Col tempo, il rapporto si indebolisce e molto spesso la disputa si riaccende. Dal momento che vivono in un mondo lose-lose, io-perdo-tu-perdi, chi si trova nel Grande gruppo di mezzo non ha grandi speranze. Spesso si tratta di individui impegnati nel lavoro, ma che apportano una scarso contributo personale e non sfruttano appieno il loro potenziale. Questi soggetti tendono a vedere la vita attraverso le lenti dell‟era industriale, ormai obsolete. Il loro compito è quello di presentarsi sul posto di lavoro e svolgere meccanicamente delle mansioni, non di trasformare il mondo o creare un nuovo futuro. Sono buoni giocatori ma non sono in grado di cambiare le regole del gioco. Nessuno chiede loro di fare altro. Naturalmente, il loro scetticismo è un meccanismo di difesa nei confronti della mentalità delle Due Alternative. “Una sciagura su entrambe le vostre case” è la loro risposta silenziosa quando vengono coinvolti in una disputa territoriale al lavoro o in uno scontro tra familiari. E le loro difese si alzano non appena si ha un cambio di leadership o viene attuata una nuova strategia. “Bando ai vecchi sistemi, è ora di impiegarne di nuovi. Saremo un‟organizzazione snella, dalle alte prestazioni!”. Queste persone leggono tra le righe: “Non pensi che dovresti rinunciare ai tuoi benefit/accettare una riduzione di stipendio/fare il lavoro di due persone affinché i profitti crescano? Non sei d‟accordo sul fatto che tutti dovrebbero rinunciare a qualcosa?”. Ovviamente sono d‟accordo. Non vengono mai consultati, sono considerati intercambiabili e sanno ormai da tempo che non devono farsi illusioni. Spesso, quindi, una triste conseguenza dell‟esistenza di un Grande gruppo di mezzo è il cancro in metastasi del cinismo. I rappresentanti di questa categoria di persone vedono con sospetto chiunque mostri entusiasmo e disprezzano le nuove idee. Hanno una reazione allergica quando sentono la parola “sinergia”. Non ne hanno mai fatto esperienza. I modelli della sinergia Come abbiamo visto, gli individui che superano la mentalità delle Due Alternative e passano all‟atteggiamento mentale della sinergia, come Gandhi, Deming e Nadia (la madre appassionata di musica) sono rari, ma esercitano una grande influenza, sia sul piano creativo che su quello produttivo. Danno subito per scontato che ogni dilemma sia falso. Sono responsabili del cambiamento di modello, sono degli innovatori, sono coloro che cambiano le regole del gioco. Se vogliamo unirci a loro e procedere verso la mentalità della Terza Alternativa, dobbiamo modificare i nostri paradigmi, seguendo quattro criteri. (Vedi figura a pagina 30). Sappi sin d‟ora che non è facile farlo. Sono modelli controintuitivi. Ci allontanano dall‟egoismo e ci conducono verso un sincero rispetto degli altri. Ci distolgono dalla necessità di trovare sempre la risposta “giusta”, e ci aiutano a cercare quella “migliore”. Ci spingono verso percorsi imprevedibili, dato che nessuno sa quali caratteristiche avrà la Terza Alternativa. Il grafico a pagina 30 mette a confronto i quattro modelli della mentalità delle Due Alternative con quelli della Terza Alternativa. Noterai che a ogni passaggio, la mentalità delle Due Alternative si allontana sempre di più dalle soluzioni creative, che sono possibili soltanto adottando i modelli tipici del pensiero della Terza Alternativa. Ogni paradigma è il fondamento di quello successivo, pertanto la sequenza è importante. Perché? Mentalità della Terza Alternativa. Per arrivare a una Terza Alternativa, devo prima praticare l‟autoconsapevolezza e tenere in considerazione il punto di vista che tu rappresenti. Poi devo cercare di comprenderlo appieno. Solo allora potremo passare alla sinergia. Gli psicologi ci dicono che la prima condizione per guarire è dimostrare “sincerità, autenticità e congruenza”. Se smettiamo di indossare una maschera o di mostrare una facciata, abbiamo maggiori possibilità di raggiungere la sinergia. Pertanto, il primo paradigma è “Mi vedo”. Ciò significa che sono consapevole di me stesso: ho sondato le mie ragioni, le mie incertezze e i miei pregiudizi con il cuore in mano. Ho esaminato le mie personali supposizioni. Sono pronto a essere sincero con te. La seconda condizione vuole che io ti accetti, ti apprezzi e mi prenda cura di te. Carl Rogers, uno dei miei autori preferiti, anzi il mio eroe, definisce questo atteggiamento “considerazione positiva incondizionata”. Si tratta di un sentimento positivo e aperto nei tuoi confronti, perché ti considero un essere umano completo e non un insieme di atteggiamenti, comportamenti e convinzioni. Per me non sei una cosa, sei una persona. “Ti vedo” come una sorella, un fratello, un figlio di Dio. Mentalità delle Due Mentalità della Terza Alternativa Alternative 1 Vedo solo il mio “schieramento”. 2 Ti considero uno stereotipo. 3 Mi difendo da te, perché ti sbagli. 4 Ti attacco. Ci facciamo guerra a vicenda. Vedo me stesso indipendentemente dallo “schieramento” a cui appartengo. Ti vedo - come un essere umano, non solo come un rappresentante del tuo “schieramento”. Cerco di trovarti, perché tu vedi le cose in modo diverso. Entro in sinergia con te. Insieme possiamo creare un futuro meraviglioso; un futuro che mai nessuno avrebbe potuto immaginare. La terza condizione è la comprensione empatica, che può verificarsi solo se ho accettato i due modelli precedenti. Empatia significa entrare nel mondo dal quale proviene l‟altra persona e capire la sua realtà. L‟empatia è rara; la doniamo e la riceviamo di rado. Al contrario, come dice Rogers, “ciò che offriamo è un altro tipo di comprensione, che è molto diversa: „Capisco cosa c‟è di sbagliato in te‟”. In realtà, il paradigma efficace è “Cerco di trovarti”, al fine di cogliere appieno ciò che hai nel cuore, nella mente e nell‟anima, senza esprimere un giudizio su di te. Le nuove idee si sviluppano meglio in un clima di autentica comprensione reciproca. Dobbiamo soddisfare le prime tre condizioni per arrivare alla quarta. Dopodiché, possiamo imparare, crescere e raggiungere insieme una soluzione “win-win”, che rappresenti una novità per entrambi. “Entro in sinergia con te” solo quando ho un‟autentica considerazione positiva di entrambi e quando comprendo con chiarezza cosa sta succedendo nel tuo cuore e nella tua mente. “Entro in sinergia con te” solo quando supero la ristretta mentalità secondo la quale esistono esclusivamente due possibili alternative, e una delle due è sbagliata. “Entro in sinergia con te” solo quando adotto la mentalità dell‟abbondanza, che teorizza l‟esistenza di infinite soluzioni eccitanti, gratificanti e creative, alle quali non abbiamo mai pensato prima.5 Esaminiamo nel dettaglio ognuno di questi modelli. Paradigma uno: Mi vedo Il primo paradigma prevede che io veda me stesso come un essere umano unico, dotato di autonomia di giudizio e di azione. Che cosa vedo quando mi guardo allo specchio? Vedo una persona riflessiva, rispettosa, di sani principi e di mentalità aperta? O un individuo che ritiene di conoscere tutte le risposte e disprezza chi si trova dall‟“altro lato” del conflitto? Penso in maniera autonoma oppure le mie idee sono il frutto di qualcosa che altri hanno elaborato per me? Non sono la mera rappresentazione del “mio schieramento” nell‟ambito di una controversia. Sono di più della somma dei miei pregiudizi, dell‟appartenenza politica e dei preconcetti. I miei pensieri non sono predeterminati dalla famiglia, dalla cultura o dall‟azienda in cui lavoro. Non sono, per parafrasare George Bernard Shaw, un piccolo mucchio egoista di lamentele che si lagna del fatto che il mondo non si adeguerà al mio, al “nostro”, modo di pensare. Posso mentalmente prendere le distanze da me stesso e osservare in che modo i miei modelli influenzano le azioni che compio. Il paradigma “Mi vedo” è in netto contrasto con il classico modello“Vedo il mio „schieramento‟”, come indicato nelle colonne contrapposte della figura a pagina 26. In ogni conflitto, il nostro modo di vedere le cose determina quello che facciamo, e quello che facciamo determina i risultati che otteniamo. Se vedo me stesso come qualcosa di definito da elementi esterni significa che sto adottando un paradigma inefficace, in base al quale, attribuisco valore solo a ciò che proviene dal di fuori. Essere definiti significa essere fissi e limitati. Gli esseri umani invece sono liberi di scegliere cosa vogliono essere e fare; questo è fondamentale per la nostra umanità. Quando qualcuno dice di essere un ambientalista, in realtà significa che condivide alcune idee sull‟ambiente con altre persone. Non vuol dire che è solo un ambientalista; è anche una donna, la figlia di qualcuno, forse una moglie o una fidanzata. Inoltre, è possibile che sia una musicista, un avvocato, una cuoca o un‟atleta. Mi vedo. Mi vedo come un essere umano creativo, consapevole di essere molto di più dello “schieramento” che sostengo in un conflitto. Posso condividere certe convinzioni o appartenere a determinati gruppi, ma questi non mi definiscono. Sono io a scegliere la mia “storia”. Il punto è che nessuno di questi ruoli la definisce del tutto. Se si guarda con attenzione allo specchio, vedrà qualcosa che va oltre i ruoli che interpreta. Scoprirà il suo sé: una personalità riflessiva, indipendente, creativa, che trascende ogni definizione. Quando un leader si definisce un imprenditore razionale, pratico, ostinato, è probabile che sia destinato a fallire. Rischia di perdere tutto nonostante prenda delle decisioni che ritiene “giuste” in base alla sua formazione MBA (Master of Business Administration) e ai suoi presupposti. Succede ogni giorno, e non c‟è niente di nuovo in tutto ciò. Più di duemila aziende sono riuscite a entrare nella classifica Fortune 500 [Ndr: Lista annuale compilata e pubblicata dalla rivista Fortune che classifica le 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato (fonte Wikipedia)] dagli anni Cinquanta a oggi, ma la stragrande maggioranza di esse non esiste più. Abbiamo visto con i nostri occhi quanto fragile si sia dimostrata questa mentalità nella difficile situazione economica degli ultimi anni. Gli osservatori, come l‟illustre docente di economia aziendale Henry Mintzberg, temono che alla base di questo ciclo di continui tracolli finanziari vi sia l‟arrogante cultura MBA.6 Mi vedo Vedere Mi vedo come un essere umano creativo, consapevole di essere molto di più dello “schieramento” che sostengo. Posso condividere certe convinzioni o appartenere a determinati gruppi, ma questi non mi definiscono. Ciò che penso mi viene da dentro. Fare Rifletto sui miei pensieri. Metto in discussione i miei presupposti, così come quelli degli altri. Ottenere Coinvolgimento creativo con le altre persone. Vedo il mio “schieramento”. La visione che ho di me è influenzata dall‟appartenenza ad alcuni gruppi: il mio “schieramento”, il mio partito, la mia azienda, il mio Paese, la mia identità sessuale, la mia razza. Mi definisco un conservatore, un lavoratore, una femminista o un malvivente, anziché un individuo. Ciò che penso viene dall‟esterno. Le mie idee sono quelle del gruppo. Ho ragione io: perché dovrei mettere in discussione i miei presupposti? Conflitti distruttivi con altre persone. Ovviamente, tutti noi ci sentiamo in gran parte definiti dalla nostra cultura. Tendiamo a vestirci, a parlare, a mangiare, a giocare e a pensare come le persone con cui ci identifichiamo. Non importa se siamo uomini d‟affari, ballerini, preti, politici o funzionari di polizia. Indossiamo la divisa. Diamo retta agli esperti. Guardiamo i film. Parliamo lo stesso linguaggio. Il filosofo Owen Flanagan lo spiega così: “Siamo nati in famiglie e comunità caratterizzate da un‟immagine ferma e immutabile delle persone. Non abbiamo voce in capitolo in merito alla collocazione nello spazio delle rappresentazioni provenienti dal nostro ambiente. L‟immagine ci precede, spesso di molti secoli... Una volta raggiunta l‟età in cui siamo in grado di esercitare un certo controllo, partiamo proprio da quella rappresentazione, dalla storia che abbiamo già profondamente assimilato, una trama che fa parte ormai dell‟idea che abbiamo di noi stessi.”7 Possiamo persino trasformarci in tenaci difensori di quell‟idea, anche quando inizia ad assomigliare sempre meno a ciò che siamo e sempre più a un‟immagine imposta dall‟esterno. Il furto di identità reale Si sente molto spesso parlare di furto di identità: succede quando qualcuno ci ruba il portafoglio, si spaccia per noi e utilizza le nostre carte di credito. Ma il furto di identità più grave avviene quando ci lasciamo inghiottire dalle definizioni che gli altri ci affibbiano. Ci immergiamo così profondamente nei programmi altrui, nella storia culturale, nelle pressioni politiche e sociali, che perdiamo il senso di chi siamo e di ciò che possiamo fare nella vita. Ritengo che sia questo “il vero furto di identità”. È un reato molto concreto e continua a essere perpetrato semplicemente perché le persone non sanno distinguere tra la propria mente e quella della cultura di appartenenza. I nostri politici si lasciano sempre paralizzare dai furti d‟identità. Anche quelli con le migliori intenzioni, quelli che esordiscono con una mente libera e la massima integrità, finiscono per lasciarsi sottrarre l‟identità. È la forza della mentalità delle Due Alternative a guidare il loro comportamento, anziché l‟autonomia di giudizio. Come dice l‟ex membro del Congresso degli Stati Uniti: “Si radunano impotenti dietro le linee di partito. Così sembra che non ci sia più una via d‟uscita.”8 Quando l‟uomo creò lo specchio, iniziò a perdere la sua anima. Cominciò a preoccuparsi più della sua immagine che del suo sé. In questo modo, racconta a se stesso una storia che risulta essere in linea con l‟immagine sociale: “Odio questi incontri politici, ma da bravo membro del partito è giusto che io sia qui.” “Ora tocca a quel tizio dell’opposizione parlare. Non so perché sprechino il loro tempo.” “Come fa la gente a credere a cose del genere? Perché non usano un po’ di buon senso? Io sono una persona schietta, concreta. Perché non possono essere come me? Sono ciechi?”. “Be’, ha detto una cosa sensata. Ma aspetta: non può aver detto una cosa sensata. Fa parte dell’opposizione.” “Non riesco a capire come faccia un uomo così assennato a perseverare nell’errore.” Può essere un duro colpo per l‟immagine che abbiamo di noi stessi a livello culturale riconoscere il valore di una rappresentazione che va controcorrente. “Vuoi dire che non siamo totalmente nel giusto e che non siamo gli unici detentori della verità? È possibile che anche i nostri oppositori possano in qualche modo vantare di avere ragione e di conoscere la verità?”. Eppure, abbiamo tutti la possibilità di trascendere l‟immagine culturale che abbiamo di noi stessi. Possiamo liberarci delle divise che indossiamo, delle opinioni diffuse e di tutti gli altri simboli dell‟omologazione. Innanzitutto, non siamo macchine preimpostate. A differenza di una macchina, di un orologio o di un computer, ognuno di noi ha la capacità tipicamente umana di vedere oltre i programmi culturali. Siamo autoconsapevoli, cioè abbiamo la capacità di uscire mentalmente fuori da noi stessi e di giudicare le nostre convinzioni e azioni. Possiamo riflettere sui nostri pensieri. Possiamo mettere in discussione i presupposti su cui ci basiamo. Una macchina non è in grado di farlo. In quanto esseri umani consapevoli, siamo liberi di fare delle scelte, siamo creativi, e abbiamo una coscienza. Questa consapevolezza ci rende sicuri di noi. In secondo luogo, da soli non riusciamo mai a vederci del tutto. Quando ci guardiamo allo specchio, possiamo vedere solo una parte di noi. Ci sono delle zone d‟ombra. Chi affronta un conflitto attraverso una mentalità che segue la logica delle Due Alternative non mette quasi mai in discussione i suoi schemi. Si basa su presupposti culturali che considera del tutto razionali, ma che in realtà sono difettosi all‟origine. La sinergia ci aiuta non solo a conoscere meglio gli altri, ma anche noi stessi; è inevitabile. Questa consapevolezza ci rende umili. Se osservo veramente me stesso, vedo anche le mie propensioni culturali. Mi accorgo di essere imperfetto e di aver bisogno di migliorare. Mi rendo conto delle pressioni che subisco. Vedo le aspettative che gli altri ripongono su di me e le mie vere motivazioni. Ma posso anche guardare al di là della cultura cui appartengo. Tenuto conto del fatto che sono dotato di una prospettiva unica, individuo eventuali ambiti nei quali posso dare il mio contributo. Mi rendo conto del tipo di influenza che posso esercitare. Non mi considero una vittima delle circostanze, ma ritengo di poter contribuire a creare il futuro. Se ci pensi bene, coloro che riescono veramente a vedere se stessi, scoprono il paradosso creativo: capiscono di essere allo stesso tempo limitati e illimitati. Non confondono la loro mappa mentale con la realtà concreta. Sanno di avere sia delle zone d‟ombra che delle potenzialità illimitate. Pertanto, possono essere umili e sicuri di sé allo stesso tempo. La maggior parte dei conflitti nasce da una scarsa comprensione di questo paradosso della natura umana. Le persone che sono troppo sicure di sé mancano di autoconsapevolezza. Non riescono a capire che il loro punto di vista è sempre limitato, perciò vanno avanti per la loro strada. “Ho abbastanza esperienza da sapere quando ho ragione” questo è il loro motto. Inevitabilmente, ottengono scarsi risultati e spesso, nel processo, fanno del male ad altre persone. D‟altra parte, coloro che si adagiano sui propri limiti, diventano dipendenti. Si considerano delle vittime e non riescono a dare l‟apporto di cui sono capaci. Parlo di paradosso creativo in quanto solo chi riconosce di non avere le risposte inizia a cercarle, e solo chi scopre di avere delle potenzialità intraprende la ricerca con coraggio e fiducia. Come afferma Eliezer Yudkowsky, ricercatore nel campo dell‟intelligenza artificiale: “Il primo passo da compiere per arrivare a una Terza Alternativa consiste nel decidere di cercarne una.” Mio figlio David è alla ricerca di una Terza Alternativa da quando è nato. Ecco cosa ha da dire in proposito: La Terza Alternativa è alla base di ogni interazione. Rappresenta la mentalità che tutti dovrebbero avere. Questo concetto, che mio padre ha instillato nella mia mente, rappresenta la vera grande lezione che ho imparato da lui. Quando ero al college, cercavo di accedere a un corso propedeutico alla laurea, ma ogni volta ricevevo sempre la stessa risposta: “Mi dispiace, siamo pieni, non c’è posto.” Così ne parlai con mio padre, e gli chiesi cosa avrei dovuto fare. Disse: “Insisti! Inventati una Terza Alternativa. Se ti rispondono che non c’è posto, di’ loro che ti porterai la sedia o che starai in piedi tutto il tempo. Aggiungi che vuoi essere presente in classe a qualunque costo. Spiega che sei certo del fatto che vi saranno persone che abbandoneranno il corso, che il tuo impegno è superiore al loro e che darai prova della tua dedizione.” E fu così che riuscii a essere ammesso! Da bambino pensavo che il concetto di Terza Alternativa fosse azzardato, addirittura assurdo. Ma quando iniziai ad applicarlo, mi stupii del fatto che riuscivo sempre a trovare il modo di fare ciò che dovevo. Mi resi conto di quanto fosse potente questo principio. Una volta presi un pessimo voto in un esame del corso di educazione sanitaria. L’insegnante ci aveva assegnato un test finale molto difficile, che aveva colto tutti di sorpresa. Decisi di chiedere un consiglio a mio padre: “Cosa devo fare? Non mi va di avere un voto come questo nel mio curriculum scolastico.” Mio padre mi consigliò di parlare con il professore per cercare insieme un modo che mi permettesse di ottenere un voto più alto. Così andai dall’insegnante e dissi: “L’esame finale è andato davvero male, sia a me che a molti altri: cosa posso fare per prendere un voto migliore?” All’inizio mi rispose negativamente, ma io insistetti, e alla fine mi chiese: “Che tipo di attività fisica svolgi?”. Gli dissi che ero un corridore e che facevo parte della squadra di atletica leggera. Allora mi propose: “Se riesci a correre i quattrocento metri in meno di cinquantacinque secondi, ti darò un dieci meno.” All’epoca quello era proprio il mio tempo: era evidente che il professore di educazione sanitaria non fosse ferrato in materia. Un mio amico misurò il tempo impiegato: corsi tranquillamente in cinquantadue secondi, guadagnandomi un dieci meno, preso fuori dalla classe. Questo è un esempio di quanto sia vantaggioso essere perseveranti nel tentativo di trovare una Terza Alternativa. Sono cresciuto con l‟idea che sia importante cercare continuamente una Terza Alternativa, perciò tale principio è diventato una parte di me. Mi sforzo di non essere invadente o scortese o antipatico, ma difficilmente accetto un “no” come risposta. C‟è sempre una Terza Alternativa. Le esperienze di David ci mostrano come sia possibile trovare dentro di sé i semi di questo principio. Egli stesso è un esempio di come si possa dare una nuova definizione di chi siamo, cambiando la storia che raccontiamo a noi stessi. Il più grande potere di cui disponiamo I nostri modelli e il condizionamento culturale plasmano la storia della nostra vita. Ogni storia ha un inizio, una trama e dei personaggi. Possono anche esservi degli eroi e dei personaggi cattivi. L‟intreccio principale si suddivide in numerosi episodi. La narrazione è caratterizzata da colpi di scena e svolte cruciali. Ma, soprattutto, c‟è un conflitto. Senza conflitto non c‟è storia. Ogni racconto che si rispetti si regge su uno scontro di qualsiasi genere: un eroe contro un personaggio malvagio, una corsa contro il tempo, il protagonista contro la sua coscienza, un uomo contro i propri limiti. Dentro di noi, ci consideriamo gli eroi della nostra storia (o, in alcuni casi oscuri e spesso intimi, il nostro nemico). Chi ragiona seconda la logica delle Due Alternative interpreta il ruolo del protagonista vessato e intrappolato all‟interno di un conflitto contro l‟antagonista. Ma c‟è una terza voce che non appartiene né all‟eroe né all‟antieroe. Si tratta della voce narrante. Se siamo veramente autoconsapevoli, ci rendiamo conto di non essere solo i protagonisti della nostra storia, ma di interpretare anche il ruolo del narratore. Non siamo solo coloro di cui si racconta, ma ne siamo anche gli scrittori. La mia storia è solo la parte di un insieme di vicende più grandi: storie di famiglia, storie che riguardano una comunità o una cultura intera. Probabilmente la mia capacità di influenzare l‟evolversi di queste vicende è limitata, ma posso esercitare un controllo sul loro andamento. Sono libero di narrare la mia storia. C‟è molta saggezza nella seguente osservazione del giornalista David Brooks: Oltre alle tante cose che non possiamo controllare, ve ne sono altre, come le nostre storie, su cui possiamo esercitare un certo potere. Abbiamo voce in capitolo nella scelta consapevole del racconto che useremo per dare senso al mondo. La responsabilità individuale sta nell’atto di scegliere e rivedere continuamente la metanarrazione che raccontiamo a noi stessi. A loro volta, le storie che scegliamo ci aiutano a interpretare il mondo. Ci inducono a prestare attenzione a determinati aspetti e a ignorarne altri. Ci portano a considerare sacre alcune cose e ripugnanti altre. Sono la cornice che dà forma ai nostri desideri e obiettivi. Così, mentre la scelta della storia può sembrare vaga e intellettuale, in realtà è molto importante. Il più grande potere di cui disponiamo consiste nella scelta della lente attraverso cui vedere la realtà.9 Mio figlio David racconta spesso di quando è riuscito a farsi ammettere al corso universitario. Usa questa storia per dimostrare quanto possa essere semplice e potente la mentalità della Terza Alternativa. Ma a un livello più profondo, questo breve racconto è la trama secondaria di una narrazione ben più grande che racconta a se stesso e che riguarda la sua persona: dice di non essere una vittima, di non essere limitato dalla mentalità delle Due Alternative, di essere responsabile di quella che Brooks definisce “metanarrazione” della sua esistenza. Nella trama dei conflitti della nostra vita, non siamo soltanto dei “personaggi”. Siamo anche i narratori, coloro che decidono come si sviluppa la storia. Ho incontrato moltissime persone che non comprendono questo semplice concetto e si sentono intrappolate all‟interno di un conflitto terrificante, come se non fossero capaci di cambiare la loro storia. Ho visto mogli e mariti farsi la guerra e proclamarsi eroi di un rapporto in cui hanno a che fare con un antagonista, ignorando il fatto che, oltre a essere all‟interno della storia, ne sono anche i creatori! Lamentano di non essere più innamorati, e si stupiscono quando faccio loro notare che sono liberi di amarsi l‟un l‟altro, se lo desiderano. “Essere innamorati” è un‟azione passiva, mentre “amare” è un verbo attivo. “Il sentimento” dell‟amore è il frutto del “verbo” amare. Le persone possono compiere gesti d‟amore per l‟altro oppure comportarsi in maniera odiosa e scorretta. Sono loro, e nessun altro, a scrivere la sceneggiatura. In precedenza, ho detto che le nostre vite sono storie e di conseguenza hanno tutte un inizio. Una storia però ha anche una parte centrale e una fine. Molti di noi si trovano spesso nel bel mezzo della vicenda. Siamo noi a decidere come deve concludersi. La Terza Alternativa è qualcosa che parte sempre da me. Viene dall‟interno e va verso l‟esterno, proviene dalla parte più intima del mio essere, da una base di fiducia e di umiltà. È frutto del modello dell‟autoconsapevolezza, che mi permette di uscire da me stesso, di osservare e pesare i miei pregiudizi e preconcetti. Nasce quando riconosco di essere io a scrivere la mia storia e quando sono disposto a riscriverla, se necessario, perché voglio un finale diverso. Pensaci bene. Se stai vivendo una situazione di conflitto, chiediti: Qual è la mia storia? Devo cambiare la trama? Ci sono delle zone d‟ombra che mi riguardano? Dove sono? In che modo i programmi culturali hanno influenzato il mio modo di pensare? Le mie congetture sono corrette? In che modo le mie ipotesi sono incomplete? Contribuisco a far sì che la storia abbia il finale che voglio? Paradigma due: Ti vedo Il secondo paradigma prevede che si vedano gli altri come persone e non come cose. Cosa vediamo quando osserviamo gli altri? Scorgiamo un individuo, o notiamo l‟età, il sesso, la razza, la politica, la religione, la disabilità, la nazionalità e l‟orientamento sessuale? Vediamo un soggetto che sta “fuori dal gruppo” o che “fa parte del gruppo”? Oppure scopriamo realmente l‟unicità, il potere, i doni di ogni singolo individuo? È probabile che non vediamo realmente queste cose, così come non ci accorgiamo delle nostre idee, dei nostri preconcetti, e forse anche dei pregiudizi che abbiamo nei confronti degli altri. Sappiamo tutti quando qualcuno sta “fingendo,” quando abbiamo a che fare con una persona sincera o con un imbroglione. La domanda è: sono quel tipo di persona o sono uno che guarda gli altri con autentico e genuino rispetto? Ti vedo. Vedo un essere umano che, nella sua totalità, è diverso da tutti gli altri; ti considero una persona che ha un valore innato, con talenti, passioni e punti di forza unici. Non sei solo un rappresentante dello “schieramento” di cui fai parte nell‟ambito di un conflitto, sei di più. Meriti dignità e rispetto. Ti vedo Vedere Vedo un essere umano che, nella sua totalità, ha un valore innato, è dotato di talenti, passioni e punti di forza che sono unici nell‟universo. Non sei solo un rappresentante dello “schieramento” di cui fai parte, sei di più. Meriti dignità e rispetto. Fare Mostro autentico rispetto per te. Ottenere Un‟atmosfera sinergica in cui insieme siamo più forti che da soli. Mostro autentico rispetto per te Vedo il gruppo di cui fai parte: il tuo “schieramento”, il partito, l‟identità sessuale, la nazionalità, l‟azienda, la razza a cui appartieni. Sei un simbolo, una “cosa”, un liberale, un capo, un ispanoamericano, un musulmano; non sei una persona unica. Ti ignoro o fingo di avere rispetto per te. Un‟atmosfera di ostilità. Le divisioni e le rivalità ci rendono più deboli. Il paradigma “Ti vedo” è in netto contrasto con il classico paradigma “Ti considero uno stereotipo”, come mostrato nelle colonne contrapposte della tabella sopra riportata. Ricorda: ciò che vediamo determina ciò che facciamo, e ciò che facciamo determina i risultati che otteniamo. Il paradigma “Ti vedo” afferisce al carattere di ciascuno. Si tratta di mostrare amore umano, generosità, disponibilità e intenzioni oneste. Se adotto il modello “Ti considero uno stereotipo”, significa che non sono del tutto affidabile e che non è sicuro che io abbia a cuore i tuoi interessi quanto i miei; in tali condizioni, non è possibile raggiungere una Terza Alternativa. Quando ti guardo, vedo solo il rappresentante di uno schieramento. È possibile che io mi comporti correttamente con te, ma il rispetto che mostro di avere nei tuoi confronti in quanto persona è una finzione. La definizione “Ti vedo” nasce dalla saggezza delle popolazioni Bantu presenti in Africa. Nella cultura Bantu, le persone si salutano dicendo “Ti vedo”, che equivale a dire “riconosco la tua individualità unica” e “la mia umanità è coinvolta, è legata in maniera indissolubile alla tua.” Tutto fa parte dello spirito di Ubuntu, un vocabolo molto difficile da tradurre. Il suo significato è vicino a quello del termine “personalità”, ma significa soprattutto che “una persona, per essere tale, dipende da altre persone”. L‟esperta di benessere Elizabeth Lesser dà la seguente spiegazione del termine: “Ho bisogno di te per essere me, e tu hai bisogno di me per essere te.” Un esempio ci aiuta a capire questo concetto, che appartiene unicamente alla cultura africana: “Una frase come „Mary ha Ubuntu‟ significa che Mary è nota per la sua premura e per la sua partecipazione, e per il fatto che adempie puntualmente a tutti gli obblighi sociali.” Ma c‟è dell‟altro: “Senza Ubuntu, questa donna non saprà mai di essere bella, intelligente e divertente: Mary concepisce la propria identità solo in relazione alle altre persone.”10 Un altro modo per capire Ubuntu consiste nel far riferimento al suo contrario: la riduzione a stereotipi, che consiste nell‟eliminare dal quadro tutto ciò che ci rende soggetti individuali. Facciamo affermazioni di questo genere: “Sì, è il classico venditore: aggressivo e insistente.” “È un tipo egocentrico: pensa sempre che tutto ruoti intorno a lei.” “È una personalità di tipo A. [Ndr: Gli individui appartenenti al Tipo A sono quelli più esposti allo stress, e presentano una maggiore probabilità di soffrire di qualche disturbo sia fisico che psichico dovuto alla pressione di eventi stressanti.]” “È un idiota.” “È un uomo di finanza.” “Che cosa ti aspetti? È un perdente.” “È una di quelle persone che si mettono sempre in lizza per la posizione di CEO.” Non riusciamo a considerare queste persone individui ma solo stereotipi. Nello spirito di Ubuntu, vedere realmente gli altri significa accogliere solo i doni che possono offrire: i talenti, l‟intelligenza, le esperienze, la saggezza e i diversi punti di vista. Nella loro società, i viaggiatori non devono portare con sé alcuna provvista; i loro bisogni vengono soddisfatti grazie ai doni che ricevono dalle persone che incontrano lungo la strada. Ma queste offerte materiali sono il segno di un dono molto più grande: il dono di sé. Se lo rifiutiamo o lo svalutiamo, non siamo più liberi di trarre beneficio dalle capacità di entrambi. Nell‟illustrare il significato di Ubuntu, Orland Bishop, direttore della Shade Tree Multicultural Foundation di Watts, California, sottolinea che ognuno di noi perde qualcosa quando non vede l‟altro realmente: “La civiltà d‟oggi ha privato gli esseri umani di alcune libertà, non tanto perché una cultura opprime l‟altra, quanto perché non abbiamo più idea di cosa significhi vedere; non riusciamo a cogliere il vero senso di queste capacità innate.”11 Lo spirito di Ubuntu è essenziale per la mentalità della Terza Alternativa. In una situazione di conflitto, se continuo a vederti come un simbolo dell‟opposizione, non riuscirò mai a entrare in sinergia con te. Lo spirito di Ubuntu non si esaurisce solo nel rispetto che provo nei tuoi confronti. Significa che la mia umanità è legata alla tua; che quando il mio comportamento arriva a disumanizzare te, ottiene lo stesso effetto anche su di me. Perché? Perché quando ti riduco allo stato di cosa, compio il medesimo gesto nei miei confronti. Di recente, una mia amica si trovava alla guida della sua macchina lungo una strada urbana, quando un automobilista iniziò a suonare il clacson e a farle dei gesti. La mia amica rallentò, pensando che la sua auto avesse qualche problema. Ma l‟altro conducente accelerò per avvicinarsi, iniziò a urlare oscenità riguardo a un certo politico rivolgendosi a lei, e per poco non la mandò fuori strada. Solo dopo, lei ricordò di aver attaccato sulla macchina un adesivo che esprimeva una preferenza proprio per quel politico. Per il conducente in collera, la mia amica non era più un essere umano; era una cosa, un adesivo, un odiato simbolo. L‟uomo in quel caso ha disumanizzato quella donna, ma ha svalutato anche la propria umanità. È probabile che abbia una casa, un lavoro, una famiglia, e che ci siano delle persone che lo amano. La scelta compiuta in quel momento, però, lo rese meno umano, un pericoloso strumento ideologico. La disumanizzazione dell‟altro, definita anche stereotipizzazione, trova le sue radici in una profonda insicurezza di sé. Ed è qui che ha inizio il conflitto. Gli psicologi sanno che la maggior parte di noi tende a ricordare gli aspetti negativi degli altri, anziché quelli positivi. “Riteniamo le persone responsabili dei loro comportamenti scorretti ma non riconosciamo le loro buone azioni”, spiega Oscar Ybarra, eminente psicologo. Secondo lui, vedere gli altri sotto una luce negativa ci aiuta a sentirci superiori. Lo psicologo ha scoperto che quando le persone iniziano a mostrare un sano e concreto rispetto per se stesse, i ricordi negativi svaniscono.12 Ecco perché il paradigma “Mi vedo” precede il “Ti vedo”. Le persone non sono cose Nel suo famoso libro L’io e il tu, il grande filosofo Martin Buber spiega che troppo spesso ci mettiamo in relazione l‟uno con l‟altro come se fossimo oggetti, non persone. Un oggetto è definito dal pronome Esso, mentre una persona dal Tu. Se io tratto una persona come un Esso, come un oggetto da utilizzare per i miei scopi, divento tale anch‟io: non sono più un individuo in carne e ossa, ma una macchina. Il rapporto “Io-Esso” non è uguale al rapporto “Io-Tu”. “L‟umanità ipotizzata, costituita solamente da meri Esso, non ha nulla a che vedere con l‟umanità vivente”, dice Buber. “Se un individuo si lascia dominare da tale umanità, il mondo in continua espansione dell‟Esso lo supererà e lo priverà della realtà del suo Io.” Riducendo gli altri allo stato di oggetti, pensiamo di poterli controllare meglio. Ecco perché le aziende si riferiscono ai loro dipendenti usando l‟espressione assurda “risorse umane”, come se le persone fossero solo un‟altra passività di bilancio, alla stregua di tasse e di conti fornitori. Questo è inoltre il motivo per cui la maggior parte dei lavoratori viene vista solo in termini di funzione svolta, anche se possiede molta più creatività, intraprendenza, intelligenza e talento di quanto il ruolo richieda o addirittura consenta di esprimere! Il costo-opportunità di vedere le persone solo come cose è molto alto. Nessun bilancio dà conto di quanto sia vasto il potenziale umano bloccato e di quante capacità restino inespresse. Tu/Tu-persona: per me tu non sei una cosa, uno strumento, come una chiave inglese o un martello da usare per i miei scopi personali. Come disse Martin Buber, tu sei una persona, un individuo reale dotato di punti di forza e di debolezza, di peculiarità e di doni sorprendenti. Buber afferma: “Se mi pongo davanti a un essere umano vedendo in lui il mio Tu-persona… costui smetterà di essere una cosa tra le cose.”13 Buber usa il pronome arcaico “Thou”[tu], per ribadire l‟idea di un rispetto che non è solo apparente nei confronti dell‟altra persona, ma è anche una forma di riverenza. Il vocabolo suggerisce intimità, apertura e fiducia. Vedere l‟altro come un “Esso” invece evoca isolamento e indifferenza. Incoraggia lo sfruttamento. Sono sinceramente dispiaciuto per coloro che non provano tale riverenza. Riuscire a comprendere l‟altro, senza sentire il bisogno di controllarlo o manipolarlo, significa entrare in un territorio sacro, e si tratta di un‟esperienza profondamente arricchente. Carl Rogers descrive in maniera eloquente il significato che assume per lui: Una delle sensazioni più gratificanti che io conosca nasce quando ammiro gli individui nello stesso modo in cui guardo un tramonto. Una persona può rivelarsi altrettanto meravigliosa di un tramonto, se solo le consento di esserlo. Forse la ragione per cui riusciamo a contemplare un tramonto è che non possiamo controllarlo. Quando lo guardo, come ho fatto l’altra sera, non dico: “Attenua un po’ l’arancione nell’angolo destro, metti un po’ più di viola lungo la base e aggiungi un po’ di rosa al colore della nuvola.” Non lo faccio. Non cerco di controllare il tramonto. Lo osservo incantato mentre avviene.14 Perdere quel senso di stupore in presenza di un altro essere umano potrebbe rivelarsi una delle più grandi tragedie umane. Nel 1964, il combattente per la libertà Nelson Mandela iniziò a scontare una reclusione che sarebbe durata ventisette anni nella desolata prigione di Robben Island in Sud Africa. Nell‟esercizio della sua professione di giovane avvocato, si era ribellato al sistema dell‟apartheid che opprimeva gli africani neri come lui. “Migliaia di affronti, umiliazioni e momenti ormai dimenticati produssero in me rabbia, senso di ribellione, e voglia di combattere il sistema che imprigionava la mia gente”, spiega.15 Questa esperienza si ripeté in carcere, aumentando ancora di più il suo risentimento. Ma a poco a poco, Mandela cambiò atteggiamento. Alcuni anni dopo la sua scarcerazione, lo incontrai personalmente e gli chiesi: “Dopo quanto tempo ha smesso di provare rancore nei confronti dei suoi carcerieri, di chi l‟ha torturata e le ha riservato un trattamento così indegno?”. Rispose: “Ci sono voluti circa quattro anni.” Gli domandai come mai il suo atteggiamento fosse cambiato, e lui disse: “Li sentivo parlare dei rapporti che intrattenevano con gli altri, delle loro famiglie, e mi resi conto che erano vittime del sistema dell‟apartheid come me.” Una giovane guardia carceraria, Christo Brand, descrisse il suo viaggio personale in questo modo: “Quando iniziai a lavorare a Robben Island mi fu detto che gli uomini che avremmo sorvegliato non erano migliori degli animali. Alcune guardie odiavano i prigionieri e si comportavano in maniera molto crudele con loro.”16 Poi però Christo Brand ricevette l‟incarico di sorvegliare Nelson Mandela. “Quando arrivai nella prigione, Nelson Mandela aveva già sessant‟anni. Era un uomo pragmatico e gentile. Mi trattava con rispetto e ciò fece crescere in me un sentimento di stima nei suoi confronti. Dopo qualche tempo, nonostante fosse un prigioniero, tra noi nacque un rapporto di amicizia.” Questa amicizia trasformò la vita di Christo Brand. L‟uomo cominciò a fare dei favori a Mandela, a prendere il pane di contrabbando per lui e a portargli dei messaggi. Arrivò persino a infrangere le regole per consentirgli di vedere e tenere tra le braccia il suo nipotino appena nato. “Mandela temeva che mi scoprissero e mi punissero. Scrisse a mia moglie, dicendole che dovevo portare avanti gli studi. Nonostante fosse un prigioniero, si preoccupava di incoraggiare una guardia a studiare.” Mandela si affezionò al giovane figlio di Brand, Riaan, che aveva il permesso di fargli visita e imparò ad amarlo come un nonno. Negli anni successivi, quando divenne presidente del Sud Africa, il suo fondo per l‟infanzia assegnò una borsa di studio a Riaan.17 Sia per Nelson Mandela che per Christo Brand, il rapporto che li univa era passato da “Io-Esso” a “Io-Tu”. Il giovane che considerava i neri africani degli animali imparò ad amare il vecchio prigioniero e arrivò a opporsi al regime dell‟apartheid. Il vecchio che vedeva nei bianchi i propri nemici si affezionò alla guardia. Questa fu solo una tappa di quello che Mandela definisce il “lungo cammino verso la libertà” dai suoi stessi pregiudizi. Mandela scrive: “È stato in quei lunghi anni di solitudine che la sete di libertà per la mia gente è diventata sete di libertà per tutto il popolo, bianco o nero che sia. Sapevo che l‟oppressore era schiavo quanto l‟oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell‟odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L‟oppressore e l‟oppresso sono entrambi derubati della loro umanità.”18 Dal momento che aveva questo tipo di visione, il suo popolo riteneva che Mandela avesse Ubuntu. Queste trasformazioni avvengono quando le relazioni sono autentiche e personali. Mandela e Brand impararono a vedersi come persone, non solo come rappresentanti dello schieramento opposto. Quando succede, “intravediamo la cosa migliore... in quel momento il mondo è galvanizzato da uno spirito di compassione e da una straordinaria effusione di generosità; per un attimo, una premurosa umanità ci lega”19. Qui sta la forza del paradigma “Ti vedo”. Quando abbraccio questo paradigma, il mio rispetto per te non è falso, ma autentico. Vedo te, non la tua posizione all‟interno del conflitto. So che la tua storia è ricca, complessa e densa di impressionanti intuizioni. Nel modello “Ti vedo”, tu e io insieme siamo unici e potenti, dal momento che i tuoi e i miei punti di forza si completano a vicenda. Non esiste nessun‟altra combinazione che assomigli a quella da noi creata. Insieme, possiamo muoverci in direzione di una Terza Alternativa. Ciò non è possibile se operiamo attraverso il paradigma della stereotipizzazione. Nel paradigma “Ti vedo”, ho Ubuntu; sono molto empatico. In questo senso, se ti vedo, sono propenso a capirti, a provare quello che provi tu, e quindi a ridurre al minimo i conflitti e a massimizzare la sinergia con te. Al contrario, se ti trovi fuori dal mio raggio di empatia, non riesco a sentire quello che tu senti o a vedere ciò che tu vedi, e nessuno di noi due avrà la stessa forza, perspicacia e spirito innovativo che potremmo avere insieme. Ti esorto a prendere sul serio questo modello nella tua vita personale. Pensa a una o due persone (un collega, un amico, un familiare) che hanno bisogno di essere viste da te. Sai cosa intendo dire. Hai motivo di pensare che sminuisci o ignori questi individui o mostri un falso rispetto nei loro confronti? Parli male alle loro spalle? Li consideri dei simboli o li vedi come delle persone vere che, proprio come te, sono caratterizzate da innumerevoli punti di forza e di debolezza, da peculiarità e incongruenze, da doni sorprendenti e da enormi zone d‟ombra? Paradigma tre: Cerco di trovarti Questo paradigma prevede che ci si dedichi a una deliberata ricerca di punti di vista contrastanti, anziché evitarli o difendersi dalle posizioni altrui. La migliore risposta da dare a chi non vede le cose a modo nostro è la seguente: “Non sei d‟accordo? Allora devo necessariamente ascoltarti!”. E devo volerlo fare sul serio. Cerco di trovarti. Invece di considerare una minaccia il tuo diverso punto di vista, cerco avidamente di imparare da te. Se una persona con il tuo temperamento e la tua intelligenza è diversa da me, devo necessariamente ascoltarti. Ti ascolto in maniera empatica fino a quando non ti comprendo veramente. I più grandi leader non negano né soffocano il conflitto. Lo vedono come un‟opportunità per andare avanti. Sanno che nessuna crescita, scoperta, innovazione e, di fatto, nessuna pace è possibile se le domande provocatorie non vengono portate a galla e affrontate con onestà. Invece di ignorare, denigrare, o licenziare chi non è d‟accordo, un leader efficace si rivolge direttamente al suo interlocutore dicendogli: “Se una persona della tua intelligenza e competenza, non è d‟accordo con me, allora ci deve essere qualcosa nel tuo dissenso che non comprendo, ed è necessario che io capisca di cosa si tratta. Voglio esaminare il tuo punto di vista.” Ho definito questo modello “Cerco di trovarti”, per esprimere il forte cambiamento di mentalità richiesto dalla Terza Alternativa. Quando incontro qualcuno che è in disaccordo con me, mi metto automaticamente sulla difensiva, come fa chiunque altro. Questo è il motivo per cui la mentalità della Terza Alternativa è così poco intuitiva. Mi spinge ad attribuire un alto valore alle persone che differiscono da me, invece di erigere mura di protezione. Il paradigma “Cerco di trovarti” è in netto contrasto con il paradigma “Mi difendo da te”, come indicato nelle colonne degli opposti della tabella in questa pagina. Ricorda che ciò che vediamo determina ciò che facciamo, e ciò che facciamo determina i risultati che otteniamo. Cerco di trovarti Vedere Punti di vista diversi, altre “fette di verità”, non sono solo auspicabili, ma addirittura indispensabili. Fare Scopro che tu vedi le cose in maniera diversa e per questo devo necessariamente starti a sentire. Poi, ascolto in maniera empatica fino a quando non riesco veramente a comprendere il tuo modo di pensare. Ottenere Una visione più ampia e globale del problema consente di trovare una soluzione migliore. Mi difendo da te Gli altri punti di vista sono sbagliati o nella migliore delle ipotesi non sono molto utili. Tu vedi le cose in maniera diversa da me: sei una minaccia. Se non riesco a convincerti, ti ignoro, ti evito o mi oppongo attivamente a te. Una visione limitata ed esclusiva del problema porta a una soluzione imperfetta. La mia identità permea le mie opinioni, le idee, gli istinti, e persino i miei pregiudizi; ecco perché i paradigmi precedenti devono essere “Mi vedo” e “Ti vedo”. La mentalità della Terza Alternativa richiede una profonda sicurezza interiore, frutto della visione realistica di me stesso e del riconoscimento delle eccezionali doti e prospettive di cui sono espressione. La mentalità difensiva è esattamente l‟opposto: si nutre di insicurezza e di auto-illusione, e disumanizza chi è diverso. “Cerco di trovarti” parte dal principio che la verità è complicata e che ognuno di noi ne possiede probabilmente una piccola fetta. “La verità non è mai pura e raramente è semplice”, diceva Oscar Wilde. Nessuno la possiede tutta. Le persone che seguono la logica della Terza Alternativa riconoscono che quante più fette si hanno, tanto più si riesce a vedere le cose per come sono realmente. Pertanto cercano deliberatamente di individuare diverse porzioni di verità. Se ne possiedi una che non conosco, perché non dovrei cercarti affinché tu possa insegnarmela? Si tratta di un radicale cambiamento di mentalità. In questo contesto, il conflitto è considerato un‟opportunità, anziché un problema, e un forte disaccordo è visto come una strada per l‟apprendimento, non come un muro di mattoni. Esistono molti libri sulle negoziazioni che sottolineano quanto sia importante trovare punti d‟accordo, aree di interesse comune. È fondamentale, certo. Ma forse ciò che conta di più è esplorare le differenze e trarne vantaggio. Non è solo naturale, ma anche essenziale che le persone abbiano opinioni diverse. Nel corso degli anni, ho sottolineato più volte che se due persone hanno la stessa idea, una delle due è inutile. Un mondo senza differenze sarebbe monotono e non vi sarebbe posto per alcun progresso. Eppure, invece di valorizzare queste differenze, noi tendiamo a difenderci, in quanto riteniamo che la nostra identità sia in pericolo. Le persone che sono vittime di una mentalità difensiva erigono muri intorno a sé per sostenere la loro posizione, invece di andare avanti. Muri Uno degli aspetti peggiori del nostro modo di affrontare un conflitto è il muro di cemento rappresentato dalle opinioni che abbiamo. Storicamente, abbiamo visto le divisioni simboliche tra le persone trasformarsi in muri veri e propri. È accaduto a Berlino, tra il mondo capitalista e quello comunista. Lo vediamo in Medio Oriente, in quello che succede tra israeliani e palestinesi. Fino a quando i muri restano in piedi, fino a quando non siamo disposti a cercare l‟altro e a comprenderlo veramente, non possiamo fare progressi. I muri sono costituiti da montagne di insensati cliché. Quelli politici sono, ovviamente, la forma più evidente di manipolazione, ma sentirai ragionamenti stereotipati ovunque, sul posto di lavoro e a casa. Le stesse accuse, rivolte sotto forma di riflessioni, vanno avanti anno dopo anno, facendo infervorare chi ragiona seconda la logica delle Due Alternative, pur rivelandosi poco illuminanti per gli altri: “Rubatasse progressista! “Insensibile conservatore!” “Tenero con i criminali!” “Guerrafondaio razzista!” “Smidollato voltagabbana!” “Maiale ingrassato dalle collusioni con l‟industria delle armi!” “Se ti eleggiamo, la vittoria sarà dei terroristi!” “Se ti eleggiamo, i ricchi diventeranno sempre più ricchi e i poveri verranno abbandonati a loro stessi!” “Socialista!” “Fascista!” Nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, incontriamo strani individui chiamati lapuziani, che costituiscono l‟élite governativa di Laputa. Questi personaggi hanno stabilito che parlare l‟uno con l‟altro richiede uno sforzo eccessivo, pertanto portano con sé dei sacchi pieni di simboli che si mostrano a vicenda quando si incontrano. “Mi è capitato spesso di vedere un paio di questi saggi”, dice Gulliver, “aprire i loro sacchi e conversare per un‟ora; dopodiché, ripongono i loro arnesi e si salutano.”20 Naturalmente, in questo modo, Swift prendeva in giro i capi di governo e i leader economici che ripropongono sempre gli stessi argomenti, anziché stabilire un rapporto di comunicazione autentica. Al giorno d‟oggi, questi atti di non-comunicazione hanno un tono sempre più velenoso. Sembra che abbiamo raggiunto il livello più basso di civiltà nella conversazione. C‟è rabbia, divisione, frustrazione e polarizzazione. Anche ai più alti livelli di governo, dove in passato regnava il rispetto reciproco, si sente di tanto in tanto parlare di discussioni anziché di dialogo. La mentalità delle Due Alternative sta diventando tossica. Su internet, nei telegiornali, sulle onde radio di ogni nazione, i demagoghi hanno trovato un modo facile di arricchirsi acclamando le persone che appartengono a fazioni opposte o imprecando contro di loro. Alcuni si considerano dei martiri, altri sono soltanto degli approfittatori arrivisti, ma moltissimi si dedicano al business di far crescere l‟odio per chi è diverso da loro. Attraverso l‟ingenua mentalità del “noi contro di loro”, come dice il professor Ronald Arnett, “creano l‟illusione di una percezione chiara, quando in realtà nascondono il rifiuto di acquisire nuove conoscenze attraverso l‟ascolto dell‟altrui punto di vista.”21 Grazie a internet, abbiamo acquisito una nuova capacità, quella di formare tribù, secondo quanto afferma l‟imprenditore Seth Godin.22 È una cosa meravigliosa. Tutti, dai filosofi stoici ai danzatori popolari ucraini sono in grado di connettersi e di approfondire insieme i loro interessi comuni. Ma questo nuovo tribalismo nasconde una minaccia: la gente si aggrega solo con persone affini. Pensa: se due individui pongono la stessa domanda a Google, ottengono due risposte differenti perché il sofisticato motore di ricerca conosce già il tipo di risultato che ciascuno desidera. Paradossalmente, anche se su internet le opportunità di sentire molte voci proliferano, le persone, immobilizzate dietro muri digitali, evitano di stabilire qualsiasi contatto con chi è diverso e si rifiutano di prendere in considerazione altri punti di vista. Diventano come i lapuziani: annuiscono vigorosamente alle reciproche banalità, tappandosi le orecchie per non sentire altro. Il Bastone della Parola Questi rappresentanti dell‟ostilità e della frammentazione mi hanno turbato per anni e ho cercato di contrastarli attraverso l‟insegnamento del paradigma “Cerco di trovarti”. Ho parlato con più di trenta capi di Stato e numerosi leader aziendali e governativi. Ho incontrato diverse scolaresche, da Singapore alla Carolina del Sud e ho sempre trasmesso lo stesso insegnamento, quello che definisco “Comunicazione del Bastone della Parola”. Per secoli, i nativi americani hanno usato il Bastone della Parola durante gli incontri del Consiglio per indicare chi aveva il diritto di parlare. Fino a quando chi parla ha in mano il bastone, nessuno può interromperlo, e prosegue finché non riterrà che gli altri lo abbiano ascoltato e abbiano compreso le sue parole. Una volta un gruppo di leader nativi americani mi conferì il tradizionale Bastone della Parola, e lo conservo ancora. (Nel corso della cerimonia venni ribattezzato “aquila calva”!). Vale la pena soffermarsi sul simbolismo del Bastone della Parola: Chiunque lo stringa ha nelle sue mani il potere sacro delle parole. Può parlare solo la persona che tiene il bastone; gli altri membri del consiglio devono rimanere in silenzio. La penna d’aquila legata al Bastone della Parola conferisce a chi parla il coraggio e l’accortezza di essere saggio e sincero. La pelliccia di coniglio all’altro capo gli ricorda che le sue parole devono venire dal cuore e che deve essere dolce e cordiale. La pietra blu gli rammenta che il Grande Spirito ascolta il messaggio proveniente dal suo cuore, così come le parole che pronuncia. Il guscio, dai colori iridescenti e cangianti simboleggia l’intero creato che cambia i giorni, le stagioni, gli anni, così come le persone e le situazioni. I quattro colori delle perline: giallo per il sorgere del sole (est), rosso per il tramonto (ovest), bianco per la neve (nord) e verde per la terra (sud) sono il simbolo dei poteri dell’universo che si trovano nelle mani di chi parla, nel momento in cui esprime ciò che ha nel cuore. Attaccati al bastone ci sono ciocche di pelo del grande bufalo. Colui che parla, lo fa avvalendosi della potenza e della forza di questo grande animale.23 Il Bastone della Parola. Appartenente all‟antica tradizione dei nativi americani, il Bastone della Parola è un simbolo di comunicazione pacifica. Finché chi parla ha in mano il bastone, nessuno può interromperlo; proseguirà fino a quando non riterrà che gli altri lo abbiano ascoltato e abbiano compreso le sue parole. La descrizione del Bastone della Parola cherokee riassume perfettamente ciò che ho cercato di insegnare. Questo strumento non ha lo scopo di farci vincere una disputa; la sua funzione è quella di permetterci di ascoltare un‟altra persona e di capire quello che ha nel cuore. Tale tipo di comunicazione richiede coraggio, saggezza e la capacità di temperare la verità con la compassione. Nella cultura globale del XXI secolo, niente è più importante della necessità di capire gli altri anziché cercare di dominarli. La comunicazione del Bastone della Parola è una necessità morale dei nostri tempi. Questo strumento è di fondamentale importanza nell‟ambito di quello che viene denominato cerchio di condivisione della parola, convocato dagli anziani per discutere e affrontare problemi importanti e prendere decisioni. Per consuetudine, il cerchio non è un‟assemblea in cui si svolge un dibattito. Il dottor Locust Carol lo descrive in questo modo: “Il cerchio ha la funzione di consentire a ogni persona di esprimere la sua verità in un contesto di fiducia e sicurezza... Nessuno è più importante degli altri, tutti sono uguali, e non c‟è né un inizio né una fine; in questo modo, ogni parola pronunciata viene accettata e rispettata su base paritaria.” Le origini di questa pratica si perdono nel tempo, ma se ne trova traccia nel mito della fondazione della Confederazione degli Irochesi. Per secoli, i cinque Paesi della bassa regione dei Grandi Laghi del Nord America hanno combattuto guerre sanguinose tra di loro, per la conquista della supremazia. Forse già a partire dal XII secolo a.C. un giovane straniero, noto alla leggenda con il nome di Deganawidah, il Pacificatore, giunse in quelle terre e trasformò tutto. La storia racconta che il Pacificatore si mise alla ricerca di un guerriero assetato di sangue che viveva di violenza; costui incuteva terrore e viveva isolato da tutti, tanto che non gli era stato dato neppure un nome. Una notte, Deganawidah si avvicinò furtivamente al rifugio del guerriero senza nome, salì in cima e si fermò nel punto in cui usciva il fumo proveniente dal fuoco acceso all‟interno della capanna. Qui il guerriero stava rimuginando con lo sguardo rivolto alla pentola di acqua bollente. Vedendo il volto dello straniero riflesso nell‟acqua, rimase colpito dalla sua bellezza e cominciò a riflettere sulla malvagità delle sue azioni. Quando lo straniero scese dal tetto ed entrò nella capanna, il guerriero lo abbracciò. “Ero sorpreso dal fatto che un uomo mi guardasse dal fondo della pentola. La sua bellezza mi ha colpito molto… E sono giunto alla conclusione che forse quello che mi osservava da laggiù ero io. In quel momento ho pensato: „la mia abitudine di uccidere gli esseri umani è sbagliata.‟” Si sfogò, raccontò la sua storia, e lo straniero lo ascoltò con rispetto. Infine, il guerriero disse: “Ho finito. Ora è il tuo turno, e io, a mia volta, ascolterò qualsiasi messaggio tu voglia trasmettere.” Il Pacificatore rispose: “Hai finalmente cambiato stile di vita. Adesso disponi di un nuovo schema mentale, che potremmo definire Giustizia e Pace.” Insieme, guardarono nuovamente nell‟acqua e si accorsero di quanto erano simili. Il Pacificatore diede un nome al guerriero e lo chiamò Hiawatha, e insieme “combatterono una battaglia intellettuale e spirituale che durò molti anni” per unire i Mohawk, gli Oneida, gli Onondaga, i Caiuga e i Seneca in quella che oggi è nota come la Confederazione degli Irochesi.24 Definita da alcuni “la democrazia partecipativa più antica del mondo”, la Confederazione è nata come Terza Alternativa alla guerra incessante e all‟asservimento alla tribù più potente. Le Cinque Nazioni non si fecero mai più guerra a vicenda. Il sistema costituzionale irochese, noto con il nome di Grande Legge di Pace, dura ancora oggi. Al governo c‟è un consiglio composto dai capi clan, e la maggior parte delle decisioni viene presa mediante consenso, espresso in modo paritario da ciascun rappresentante.25 Data la sua importanza, questo consiglio tratta solo di questioni rilevanti, mentre le problematiche locali vengono affrontate in seno alla tribù, in un unico sistema di governo federale. È interessante notare che i consigli delle donne hanno diritto di veto sulle decisioni prese dai leader di sesso maschile. Anche se gli storici non sono d‟accordo sulla portata della sua influenza, la Confederazione Irochese sembra essere stato un esempio per la creazione degli Stati Uniti. Diversi decenni prima della Rivoluzione americana, Benjamin Franklin propose per primo di realizzare un‟unione simile a quella irochese per le colonie inglesi in America. Era rimasto impressionato dalla geniale “organizzazione sindacale” irochese: “Esiste da anni, e sembra indissolubile.” Se possono farlo loro, si chiese Franklin, perché non possono farlo le colonie?26 Questa è la grande eredità lasciata da quel primo cerchio di condivisione della parola, nato nel momento in cui Hiawatha vide il suo volto e quello di suo fratello riflessi nell‟acqua. Il risultato, come disse il Pacificatore, fu un “nuovo schema mentale” (i modelli “Mi vedo” e “Ti vedo”) che ha cambiato lo stile di vita di Hiawatha. Per diffondere questo nuovo stato mentale fra le nazioni, i due uomini adottarono il paradigma, “Cerco di trovarti”, riunendo cerchi di condivisione della parola ovunque andassero e creando la Grande Legge di Pace tra le Cinque Nazioni. Il Bastone della Parola ne divenne l‟icona. Fine dell'estratto Kindle. Ti è piaciuto? Scarica la versione completa di questo libri