Via Roma, 125 - 04019 TERRACINA (LT)

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DIPARTIMENTO BIENNIO COMUNE
ADOLESCENTI IMMIGRATI
UN'OCCASIONE PER RIPENSARE LA SCUOLA
"Qualche volta viene
voglia di levarseli di torno
(i ragazzi più difficili).
Ma se si perde loro,
la scuola non è più la
scuola.
È un ospedale che cura i sani
e respinge i malati".
(Don Lorenzo Milani)
Forse è tempo di tornare a Barbiana!
… alcuni dati e una riflessione
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C'è un disagio giovanile in Occidente che ha l'onore della cronaca
solo quando diventa tragedia.
Un disagio che in Europa ha ormai un'icona: le banlieu di Parigi,
la protesta assordante dei giovani figli di immigrati scoppiata due anni fa
e ormai archiviata dalla cronaca, ma che brucia ancora sottopelle.
Ragazzi nati in Francia ostaggi di due mondi. Troppo magrebini per
essere francesi eppure troppo francesi per essere magrebini: ovunque
cittadini di serie B, dall'identità sospesa, traditi e arrabbiati. Una
protesta che fu un pugno nello stomaco della vecchia Europa, che forse si
considerava a torto più aperta e cosmopolita.
Hanno fallito tutti i nostri modelli d’integra-zione? Che fine
faranno questi ragazzi? Domande che rimbalzarono in Italia, che
puntarono i riflettori sulle nostre periferie, mentre a scuola i compagni di
banco dei nostri figli erano sempre più colorati e plurilingue. Allora,
come oggi, le domande sono le stesse: la scuola, questa scuola è in grado
di accogliere aspirazioni e differenze, di mediare conflitti, di aprire
prospettive, di creare nuovi orizzonti comuni di vita e di valori?
Possiamo, insomma, dimenticare Parigi?
Il Responsabile del Dipartimento Biennio Comune
Prof. Emilio Ialongo
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CONFRONTI
MODELLI D'INTEGRAZIONE
FUSIONE (USA, AUSTRALIA)
È il cosiddetto Melting pot: ossia il miscuglio di popoli che nel tempo dovrebbe portare a una
società omogenea, frutto della fusione delle singole culture.
Il modello non sembra dare i frutti sperati in quanto ghetti e discriminazioni sono ancora molto
presenti negli Stati che l'hanno adottato.
ASSIMILAZIONISTA (FRANCIA)
L'immigrato deve "assimilare", fare propria la cultura del Paese ospitante, dimenticando la
propria.
Cosa che si sta rivelando assai difficile: nella pratica le radici riaffiorano creando scompensi
affettivi, psicologici e sociali.
MULTICULTURALE (OLANDA, GRAN BRETAGNA, SVEZIA)
Si dà alle diverse culture un valore e una dignità propri, accettando il pluralismo. Il limite è dato
dal fatto che le culture non entrano in relazione tra loro, ma creano "piccole patrie",
autosufficienti e impermeabili.
SEPARATISTA (GERMANIA)
In questo modello scolastico, i bambini stranieri vivono in classi separate, dove s'insegna la
lingua nuova, ma anche si mantiene quella originaria. La prospettiva è quella di un rientro,
presto o tardi, in patria.
Gli scambi relazionali sono limitati al mondo produttivo.
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lNTERCULTURALE (ITALlA )
È il nostro modello, almeno a giudicare dalle circolari ministeriali che dai primi anni '90 ne
esaltano il valore etico e sociale. È il modello della pedagogia del dialogo, dello scambio, della
contaminazione reciproca, del riconoscimento delle culture e degli individui. Il limite di questo
modello è che spesso vive solo nelle "Carte" e fatica, senza risorse e progettualità concrete, a
farsi strada nella pratica quotidiana.
UN’IMMIGRAZIONE MOLTO SPECIALE
Sulla carta l'Italia è all'avanguardia: il nostro modello d’integrazione, recitano le circolari
ministeriali, è quello interculturale: il nostro Paese, cioè, non si limita a convivere con le diverse
culture (multiculturismo) ma ha deciso di interagire con esse.
A che punto siamo?
"Si deve fare ancora molta strada ma l'Italia ha davanti a se l'occasione di costruire una vera
società interculturale, pacifica e feconda, è l'affermazione sorprendente di Graziella Favaro,
pedagogista e membro del Comitato Scientifico sull'integrazione degli alunni stranieri del
Ministero dell'Istruzione; la nostra immigrazione, ormai giunta a 3 milioni di unità, è diversa da
tutti gli altri flussi migratori europei. Abbiamo le carte per creare concretamente un nuovo
modello, tagliato su misura, a cominciare proprio dalla scuola".
E gli assi nella manica sono molti. I nostri immigrati provengono da più paesi e vivono
soprattutto nei piccoli centri piuttosto che nelle grandi città, come avviene all'estero: ciò
significa che, salvo eccezioni, non ci sono concentrazioni di un'unica nazionalità, con
conseguente creazione di ghetti e di gruppi chiusi.
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Altra caratteristica tutta italiana è che l'immigrazione per il 50 per cento è al femminile ed è
ormai un dato comprovato che "le immigrate sono più propense alle relazioni, ad accorciare le
distanze con la popolazione ospitante, a rivolgersi ai servizi".
Ma ciò che più sorprende è un altro dato: la popolazione immigrata in Italia ha un tasso di
scolarizzazione superiore rispetto alla popolazione autoctona, vale a dire che in proporzione ci
sono più diplomati e laureati tra gli immigrati che tra gli italiani. Con conseguenze di grande
portata: "Un genitore più istruito -continua Favaro -può sostenere molto più attivamente
l'integrazione positiva dei suoi figli e ha grandi aspettative nei confronti della scuola e della
società".
Luci su cui si addensano possibili ombre, se non si presta sufficiente attenzione ai rapidi
cambiamenti in corso. E i cambiamenti più importanti stanno avvenendo proprio nella scuola.
Il primo riguarda il numero di alunni nelle nostre classi: dalle 50 mila unità del 1995/96 alle oltre
500 mila del 2006/07. Un'ascesa rapidissima, unica in Europa. In alcune regioni del Nord ci sono
classi in cui la presenza di alunni immigrati eguaglia, e a volte addirittura supera, quella degli
italiani. Alunni, tra l'altro, di provenienza e culture diversissime.
Il secondo cambiamento, forse il più significativo, è l'inserimento improvviso e massiccio di
migliaia di adolescenti nella nostra scuola superiore, fino a soli due anni fa neppure toccata dal
fenomeno. In appena un anno gli studenti iscritti alle superiori hanno avuto un incremento pari
al 38,2 per cento contro il 13,6 per cento della scuola primaria e il 14,5 per cento delle medie. Un
cambiamento dovuto soprattuttto ai ricongiungimenti fami1iari.
Anche il dato interno al nostro istituto rileva un incremento: gli allievi immigrati, nell’anno
scolastico 2006-2007 erano il 4,9 per cento del totale degli allievi; nell’anno scolastico 20072008 sono il 5,2 per cento degli iscritti.
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Nel frattempo, la seconda generazione di immigrati, i bambini nati qui, per intenderci, sono
ormai avanti negli studi e presto confluiranno alle superiori che di fatto stanno diventando il
nuovo avamposto, il luogo di confine dove avverrà, e forse è già iniziata, la seconda fase, quella
più difficile, della grande avventura dell'interculturalità in Italia.
SCUOLA SUPERIORE: la nuova sfida
Per un bambino piccolo è più facile inserirsi: un po' perchè il suo livello di sviluppo lo rende più
flessibile, un po' perchè le scuole materne ed elementari sono strutturalmente più accoglienti e
preparate, confrontandosi da tempo con il fenomeno.
Un adolescente è più esposto e fragile: "Oltre alle sfide legate alla sua età -afferma Favaro- deve
affrontare quelle causate dall'immigrazione: la paura del viaggio, il distacco dai legami affettivi
sedimentati fino a quel momento, l' apprendimento di una nuova lingua e di nuovi codici di
comportamento, lo sforzo di stabilire una quotidianità con un genitore che magari non vede da
anni, l'essere continuamente in bilico tra due culture". A ciò si aggiunge la precarietà tipica della
vita di molti immigrati: cambi improvvisi di lavoro e città, che per i più giovani si traducono in
ulteriori distacchi e difficoltà. Pesano anche le etichette razziali, purtroppo sempre più
frequenti, e il dover spesso fare da genitori ai propri genitori: "Molti ragazzini fanno da ponte tra
gli adulti e la nostra società, parlano con i medici, con gli insegnanti: un'iperresponsabilità che
inverte il ruolo genitore - figlio".
Un fardello degno di Sisifo, proprio nell'età dell' incertezza.
Ragazzi in bilico quindi, che spesso approdano alla scuola superiore un pò come marziani sulla
terra. E le conseguenze dell'atterraggio sono già visibili. Le difficoltà si manifestano in diversi
modi: abbandono scolastico, risultati scolastici più scadenti rispetto ai coetanei italiani; scelta di
studi secondari di secondo grado più brevi e meno esigenti.
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Qualche numero per capire il divario: il risultato scolastico degli alunni stranieri è inferiore
rispetto ai coetanei italiani di 3,2 punti percentuali alle elementari; 7,9 alle medie; 12,8 alle
superiori. Limitata anche la scelta della prosecuzione degli studi: più del 40 per cento dei
ragazzini immigrati scelgono gli istituti professionali, contro il 20 per cento della media
nazionale.
Divari pericolosi che alla lunga potrebbero diventare voragini, costruire barriere e vulnerabilità
sociale, azzerare il vantaggio che le caratteristiche positive della nostra immigrazione oggi ci
stanno offrendo.
Fatta la diagnosi, individuati i punti di forza e di debolezza,
noi al Filosi come ci stiamo muovendo?
Abbiamo predisposto nell’anno scolastico 2007-2008, un servizio per aiutare gli allievi
frequentanti il nostro istituto nell’apprendimento della lingua italiana, prima quella di base poi
quella dello studio; nel primo trimestre un corso di alfabetizzazione al quale seguirà un corso di
potenziamento linguistico nel pentamestre.
Su proposta ed elaborazione della Dirigenza scolastica è stato avviato un progetto volto ad
iniziative educative e culturali integrative delle attività scolastiche (L.R. n. 29/92) mirante a
creare un Laboratorio di ricerca sulle tradizioni culinarie del territorio locale e delle terre di
provenienza degli immigrati, onde favorire il rafforzamento delle competenze relazionali per
l’integrazione sociale.
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Ben coscienti che questo è un primo passo perché in un immediato domani dovremmo
approntare iniziative per smussare il divario di risultati e opportunità con i coetanei,
valorizzando le differenze, l’esperienza, la lingua, la cultura che questi ragazzi possono
trasferire ai nostri, combattendo ogni discriminazione e pregiudizio, oggi purtroppo sempre più
diffusi tra i giovani.
È una sfida che richiede fatica, disponibilità!
Come docenti non siamo preparati: troppo veloce il fenomeno. Si è passati dalla curiosità della
prima ora alla paura. Le nostre classi sono sempre più complesse perché complessa è la società.
Sono presenti diversità di genere, di classi sociali, di famiglie variamente composte. Vi sono
allievi con disabilità, con carenze affettive. In ultimo ci sono gli alunni stranieri.
Vi è un panorama variegato che ogni mattina, quando ci chiudiamo alle spalle la porta dell’aula,
dobbiamo ripensare. Dobbiamo imparare ad accettare la ricchezza immensa di sentirci addosso
“un’identità multipla”, fluida, ricca di tanti apporti e perciò aperta ed accogliente.
È necessario, allora, ridare priorità all’ascolto e alla relazione educativa che spesso abbiamo
tralasciato per il “programma”, il “pagellino”, il “giudizio”.
Gli alunni stranieri forse sono venuti in tempo nelle nostre classi per ricordarci che un
ripensamento è possibile.
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PARERE DELLA PSICOLOGA
(Claudia Bruni esperta di prevenzione in ambito scolastico)
Quali sono le difficoltà maggiori di un adolescente straniero?
Il passaggio dall'infanzia all'adolescenza può essere in varia misura caratterizzato da ansie di
tipo depressivo, per ciò che si lascia e le parti di sé che si perdono, o di tipo persecutorio, di
fronte al non senso dei cambiamenti, o ancora di tipo confusionale, prodotte dall'insieme di
noto e ignoto. Gli adolescenti stranieri, in particolare quelli che si ricongiungono ai genitori già
in Italia, è come se dovessero lasciare contemporaneamente due paesi: quello dell'infanzia e
quello delle origini e ciò amplifica ulteriormente la sensazione di incertezza e transizione.
Un rischio può essere quello di rimanere su una gamba sola, assimilandosi totalmente alla
cultura ospitante oppure, all’opposto, irrigidendosi difensivamente sulle proprie origini. Come si
può allora stare in piedi e muoversi? Bisognerebbe davvero poter contare su tutte e due le
gambe. Per poter così attraversare e riattraversare il ponte tra le due sponde.
Quali sono le ricchezze che un adolescente immigrato può trasmettere ai compagni e alla società ?
Mi viene in mente la bella immagine del mantello di Arlecchino fatto di tanti diversi tessuti di
tutti i colori e di tute le forme. Perché la nostra identità non può esser fatta di tante parti in un
dosaggio sempre diverso a seconda delle circostanze della vita? Perchè non può essere la
somma delle nostre diverse appartenenze senza immaginarne una unica che diviene spesso
strumento di esclusione delle altre?
Un ragazzino straniero può aiutarci a uscire dalle nostre strette divise monocolore attraverso la
sua fatica di vestirsi da Arlecchino.
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C'e' qualcosa che noi non riusciamo a cogliere, ma che può ferire un ragazzo immigrato?
Nel rispetto dell'universalità dell'umano bisogna riconoscere che la differenza è fondamentale.
È dunque importante evitare il pregiudizio di volerci considerare tutti uguali. Esso comporta il
rischio di non valorizzare la diversità, di negarla, di fingere di non vederla. Così facendo
rendiamo i ragazzini stranieri invisibili, ferendoli per non esserne feriti.
Per entrare in contatto reale con un adolescente straniero che cosa dovrebbe fare un compagno di
scuola, un insegnante, una famiglia italiana che si trova a incontrarlo?
Un compagno potrebbe chiedergli come si chiama, da dove viene, dove vorrebbe andare...,
certo. Ma non dovrebbe mai dimenticarsi di chiedergli anche come sta.
Un insegnante dovrebbe ricordarsi e ricordare ai suoi allievi che è il nostro sguardo che
rinchiude gli altri in una sola limitante appartenenza, ma è anche il nostro sguardo che può
aiutarli a liberarsi da questa.
Una famiglia italiana dovrebbe riflettere sul fatto che se il lontano diventa vicino ci si sente
meno minacciati e ci si può aprire a uno scambio reciproco e arricchente. È una sfida ma anche
un regalo che nella complessa epoca in cui viviamo ci possiamo fare.
Si ringrazia la prof.ssa Muccitelli e le allieve Palmieri e Marzella della 2°F per la
collaborazione nel lavoro grafico.
Per chi voglia approfondire la problematica, si consigliano i seguenti testi:
Claudia Bruni – Ascoltare altrimenti. Adolescenti stranieri a scuola. Ed. Franco Angeli.
Graziella Favaro, Monica Napoli – Ragazze e ragazzi nella migrazione. Ed. Guerini.
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ISTITUTO
PER
PROFESSIONALE
DI
STATO
I SERVIZI COMMERCIALI, TURISTICI E SOCIALI
“ALESSANDRO FILOSI”
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