biosensori e biostrumentazione

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biosensori e biostrumentazione
BIOSENSORI E BIOSTRUMENTAZIONE
Introduzione
La tecnologia dei biosensori, che cerca di combinare le proprietà uniche di riconoscimento
delle strutture biologiche con dispositivi trasduttori ingegnerizzati in modo da fornire avanzate
capacità di rivelazione, ha suscitato un grande interesse da parte delle comunità di ricerca mondiale.
I ricercatori hanno finora prodotto un gran numero di biosensori ibridi che utilizzano costrutti
sia acellulari (macromolecolari) che cellulari, integrati con un'ampia gamma di dispositivi
trasduttori (elettrodi amperometrici e potenziometrici, transistor a effetto di campo, cristalli
piezoelettrici, sensori optoelettronici, termistore, termopile, dispositivi per risonanza superficiale al
plasmon eccetera).
UNITÀ DI RICERCA DI NAPOLI
Obiettivi e Metodi:
Di pertinenza dell’unità operativa di Napoli sarà la biosensoristica non cellulare.
In tale campo, la ricerca da condurre può essere suddivisa in:
1- individuazione e produzione di nuove molecole atte a rilevare uno specifico analita o a
misurare qualche parametro di stato di un dato sistema (nuove sonde molecolari);
2- individuazione e produzione di nuovi sistemi di trasduzione del segnale, in modo da rivelare
l’avvenuta formazione di un complesso specifico tra analita e sonda o una modificazione
indotta nella sonda dallo stato fisico del sistema analizzato;
3- individuazione di nuovi sistemi di amplificazione del segnale, ove questo sia necessario prima
della fase di trasduzione (visto che, una volta convertito il segnale iniziale in un impulso
elettrico oppure ottico è possibile applicare i metodi classici di amplificazione ben noti in
ingegneria);
4- assemblaggio ottimale delle diverse componenti del biosensore.
5- testing del biosensore.
1.
Nuove sonde molecolari.
Presso l’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini sono presenti diversi laboratori per la sintesi e
la modifica strutturale di peptidi e acidi nucleici. La versatilità di queste classi di molecole consente
la realizzazione di ligandi per un determinato analita bersaglio che possiedano alta selettività e
buona affinità, costituendo quindi un sistema ideale per il legame a molecole di interesse. Inoltre,
l’introduzione di modifiche strutturali rende possibile sia aumentare il repertorio di possibili sonde
sia, soprattutto, il miglioramento della resistenza alla degradazione ambientale e il conferimento
delle proprietà di solubilità opportune per la rivelazione di analiti in soluzione. Specificamente,
presso l’Istituto si intende progettare nuove molecole di PNA ed altri oligonucleotidi modificati per
il riconoscimento di specifiche sequenze oligonucleotidiche bersaglio.
I PNA sono analoghi del DNA nei quali un’unità di 2-amminoetil-glicina sostituisce il normale
backbone fosfodiestereo. Un linker metil carbonilico connette la base nucleotidica a questo
backbone attraverso l’azoto amminico (Figura 1).
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3'
OH
NH
2
A
O
O
T
N
P
O
O
O
_
O
O
NH
C
N
O
O
G
O
P
O
O
_
O
O
G
NH
O
N
O
C
O
O
CONH
P
O
_
5'
2
Figura 1.
PNA
DNA
I PNA sono molecole non-ioniche, achirali e non sono sensibili a digestione enzimatica. La
distanza tra basi successive all’interno della catena di PNA è tale da consentire a tali molecole di
complementare sequenze di oligonucleotidi bersaglio secondo il classico schema di accoppiamento
delle basi con il contemporaneo vantaggio di avere una struttura dotata di un’ottima stabilità.1
L’elevata stabilità dei complessi PNA/RNA è stata già sfruttata per produrre molecole capaci di
riconoscere e legare complesse strutture tridimensionali di RNA.2 Le sonde a PNA, con la loro alta
sensibilità, migliore specificità, maggiore stabilità e la capacità di legare un bersaglio con maggiore
affinità e più rapidamente, sicuramente rappresentano un avanzamento che porterà all’ulteriore
sviluppo del mercato delle sonde nucleotidiche. Tuttavia, l’impiego diretto dei PNA come sonde
presenta alcuni problemi. In particolare, un serio ostacolo è rappresentato dalla bassa solubilità in
acqua di sequenze di lunghezza superiore a 10 monomeri. Poiché per ottenere la selettività richiesta
ad un biosensore basato su PNA sono necessarie sequenze di almeno 12 monomeri, è necessario
incrementare la solubilità della sonda. Si tenga presente che questo vale anche per sonde legate ad
un supporto solido, perché l’analita da rilevare (una sequenza oligonucleotidica) è in soluzione.
Fortunatamente, la versatile chimica dei PNA permette di superare il problema. E’ infatti
possibile, per esempio, inserire amminoacidi carichi sia all’interno che come pendagli, sfruttando
una sintesi di tipo Fmoc; oppure, utilizzando la chimica del linker, è possibile costruire molecole
chimeriche di tipo PNA/DNA. Le modifiche indicate non diminuiscono la selettività della sonda,
non aumentano in modo drastico la sua degradabilità e, nel caso dell’introduzione di amminoacidi
carichi positivamente, possono anche aumentare l’affinità per la sequenza bersaglio.
2.
Individuazione e produzione di nuovi sistemi di trasduzione del segnale.
La funzionalizzazione di acidi nucleici con nanocristalli d’oro (Quantum Dots) è una tecnica
usata da almeno una decina di anni in alternativa alla coniugazione con fluorofori per ottenere
sonde nucleotidiche in grado di rivelare la presenza di una sequenza complementare con alta
sensibilità. In particolare, l’elevata resa quantica dei nanocristalli, accoppiata con la presenza di
bande di eccitazione e di emissione ristrette, ha reso possibile l’impiego di sonde
DNA/nanocristallo in combinazioni diverse, in modo da rilevare simultaneamente la presenza di
bersagli diversi. La rivelazione si basa sostanzialmente sul quenching indotto dall’accoppiamento
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con la sequenza bersaglio, che in condizioni di elevata stringenza corrisponde ad un segnale ottico
preciso. Tale segnale può essere sia direttamente rivelato da un fotomoltiplicatore sia, attraverso
ben noti effetti fotoelettrici, essere trasformato in un segnale elettrico da rivelare in quanto tale.
Questa tecnica, vista la sensibilità della rivelazione in fluorescenza, consente la rivelazione anche di
concentrazioni molto piccole di analita, ma presenta due principali svantaggi per quanto riguarda la
sua applicazione ai biosensori:
1- la necessità di una taratura preliminare, vista la dipendenza non lineare del quenching
indotto dalla concentrazione di analita;
2- la necessità dell’utilizzo di un lettore in fluorescenza, apparato di solito non facilmente
trasportabile sul campo.
Recentemente, tuttavia, si è fatto uso di una nuova proprietà dei nanocristalli d’oro –
l’assorbimento selettivo nelle radiofrequenze – per indurre in maniera reversibile e controllata
cambiamenti strutturali in un’hairpin di DNA (Nature, gennaio 2002). Tale hairpin era
funzionalizzata nel C5 di una timina del loop apicale con un nanocristallo d’oro di diametro pari a
1.4 nm; eccitando il sistema con un campo magnetico a 1.3 GHz, è stata osservata la denaturazione
termica reversibile della parte di DNA in doppia elica.
La possibilità di denaturare selettivamente regioni in doppia elica di acidi nucleici e di
controllare tale denaturazione mediante un comando a distanza è ovviamente estremamente
interessante.
L’estensione di questi concetti ai PNA consente di prevedere un’ulteriore ampliamento delle
possibilità applicative di tale tecnologia. In particolare, nel campo dei biosensori è possibile pensare
di costruire doppie eliche oligonucleotidiche di cui un filamento sia funzionalizzato con un
nanocristallo, come sarà accennato brevemente in seguito.
3.
Individuazione di nuovi sistemi di amplificazione del segnale.
Ove possibile, si intende amplificare il segnale derivante dall’interazione sonda/analita prima
della rivelazione. In particolare, è possibile immaginare di aggiungere alla soluzione da esaminare
alcuni composti fotosensibili.
Grazie alla notevole capacità dei nanocristalli di emettere fluorescenza ad una lunghezza
d’onda che dipende solo dalle dimensioni del nanocristallo stesso, sarà possibile selezionare
nanocristali da coniugare ai PNA sonda che emettano alla lunghezza d’onda ottimale per
l’eccitazione secondaria dei composti fotosensibili. La degradazione irreversibile di questi consente
l’amplificazione del segnale iniziale, se il sistema viene esposto alla lunghezza d’onda di
eccitazione dei nanocristalli. Tale evento si verificherà solo ove i nanocristalli siano a loro volta
presenti in soluzione, evento associato al riconoscimento sonda-analita.
4.
Assemblaggio ottimale delle diverse componenti del biosensore
L’assemblaggio definitivo del biosensore descritto prevede il legame del nanocristallo ad un
filamento di PNA o DNA, l’assemblaggio del filamento complementare ad un supporto solido, e
l’integrazione di questo dispositivo con un dispositivo di eccitazione nelle radiofrequenze.
Il primo passo avverrà attraverso la formazione di un legame ammidico tra un nanocristallo
opportunamente funzionalizzato e un monomero sintetizzato allo scopo, che sia facilmente
incorporabile all’interno della sequenza di PNA.
Il secondo passo avverrà attraverso la formazione di un legame covalente tra il filamento di
PNA sonda e una resina selezionata fra le molte possibili, che potrebbe eventualmente coincidere
con la stessa resina di sintesi utilizzata per la produzione della sonda.
Una volta avvenuta l’ibridazione tra sonda e filamento funzionalizzato con nanocristallo, sarà
costruito un espositore in radiofrequenze ad hoc, che sia capace di eccitare alla giusta frequenza il
3
nanocristallo utilizzato. Al suo interno, sarà situata la soluzione contenente il sistema sonda,
utilizzando semplici cuvette in quarzo compatibili con misure ottiche.
5.
Testing del biosensore.
Il biosensore costruito sarà sottoposto ad una fase di testing. In particolare, il suo
funzionamento dovrebbe essere il seguente.
Nel prototipo finale, l’eccitazione in radiofrequenza consente di denaturare la doppia elica
liberando il filamento sonda sul supporto solido (rendendolo così accessibile all’eventuale analita in
soluzione) e contemporaneamente rilasciando in soluzione il filamento funzionalizzato con il
nanocristallo.
Ove l’analita sia presente, esso si ibrida alla sonda, lasciando il filamento funzionalizzato con
il nanocristallo in soluzione ed impedendone la reibridazione al filamento sonda. Poiché il
nanocristallo è direttamente rivelabile nel visibile, si assisterà alla decolorazione del supporto solido
e alla comparsa di colore nella soluzione.
Se in soluzione sono presenti dei composti fotosensibili alla lunghezza d’onda di emissione del
nanocristallo, l’eccitazione della soluzione alla lunghezza d’onda di assorbimento del nanocristallo
ne causerà la degradazione immediata, amplificando così il segnale dovuto alla presenza anche di
quantità molto piccole di nanocristallo in soluzione.
BIBLIOGRAFIA
1) Nielsen, P.E., “Peptide nucleic acid: a versatile tool in genetic diagnostics and molecular
biology.”, Curr Opin Biotechnol. 2001 Feb;12(1):16-20.
2) Good L., Nielsen P.E., Inhibition of translation and bacterial growth by peptide nucleic acid
targeted to ribosomal RNA., Proc Natl Acad Sci U S A. 1998 Mar 3;95(5):2073-6.
UNITÀ DI RICERCA DI LECCE
Composizione: Prof. Schettino T., Lionetto M.G., Caricato, R., Soldano E.
Settore di Indagine, Obiettivi e Metodi:
Sviluppo di un metodo bioanalitico basato sull’utilizzo del metalloenzima anidrasi carbonica
per la determinazione della tossicità di campioni ambientali
L’anidrasi carbonica è un metalloenzima che catalizza la reazione reversibile di idratazione
della CO2 in HCO3- e H+. Tale enzima è ubiquitario, in quanto è presente nei batteri, nelle piante e
negli animali e svolge un ruolo fondamentale in numerosi processi fisiologici.
Precedenti studi hanno dimostrato la sensibilità dell’attività di tale enzima a inquinanti
ambientali quali il diclorodifenil-dicloro-etano (DDT) [Pocker et al., Science, 174: 1336-1339,
1971] e il cadmio [Lionetto et al., Aq. Toxicol., 48: 561-571, 2000].
L’obiettivo del presente progetto è quello di utilizzare l’anidrasi carbonica per sviluppare un
metodo bioanalitico utilizzabile come complemento alle analisi chimiche per la determinazione
della tossicità di campioni ambientali. Tale metodo si propone di essere di facile utilizzo, veloce e a
basso costo, atto allo screening di un elevato numero di campioni ambientali.
Per la realizzazione degli obiettivi del progetto si utilizzerà anidrasi carbonica bovina
(isoforma II) disponibile in commercio, di cui verrà testata la sensibilità alle principali classi di
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contaminanti chimici di rilevanza ai fini della valutazione della qualità delle acque. Verrà indagata
la sensibilità non solo ai singoli contaminanti ma anche a miscele di contaminanti chimici organici e
inorganici al fine di standardizzare uno strumento bioanalitico che consenta di rilevare effetti
additivi e sinergici che molteplici contaminanti in tracce possono avere sui sistemi biologici.
L’attività di anidrasi carbonica verrà determinata attraverso il metodo elettrometrico descritto
da Wilbur e Anderson [J. Biol. Chem., 257: 12056-12059, 1948] secondo il quale le unità di attività
enzimatica vengono calcolate dalla velocità di produzione di H+ nella miscela di reazione
contenente CO2 come substrato dell’enzima.
Nel corso dello svolgimento del presente progetto, sulla base dei risultati ottenuti con il
metodo di Wilbur e Anderson si cercherà di snellire ulteriormente le procedure analitiche
sviluppando un metodo spettrofotometrico su micropiastra, di più semplice e rapida esecuzione e
che sia applicabile allo screening di un elevato numero di campioni ambientali.
La standardizzazione di tale metodo bioanalitico può trovare ulteriore applicazione nella messa
a punto di un biosensore della tossicità di campioni ambientali basato sull’utilizzo del
metalloenzima anidrasi carbonica.
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