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Modello di domamda di insinuazione al passivo nelle procedure fallimentari delucidazioni e formalita
DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO
Se un soggetto vanta dei crediti verso una ditta dichiarata fallita, deve presentare una
domanda al Tribunale che ha dichiarato il fallimento.
L'articolo della Legge fallimentare che disciplina le regole è il n° 93 (vedi più avanti).
La prima cosa da fare è accertarsi quando scade il termine per presentare la domanda
(se si è ricevuta la lettera del curatore, tale termine è chiaramente indicato. Se non si è
ricevuta la lettera del curatore, informarsi presso il Tribunale. Se non si conosce qual'è il
Tribunale, informarsi presso la Camera di Commercio).
Se il termine fosse scaduto, procedere ai sensi dell'art. 101 della Legge fallimentare.
La domanda può essere presentata (di persona o per posta raccomandata a.r. senza
necessità di avvalersi di un legale).
Lo schema è il seguente.
TRIBUNALE DI _______
Sezione Fallimenti
FALLIMENTO
della
società
__________________________________
dichiarato con sentenza n. ____ del _______ - Reg. Fall. N. _______
RICORSO PER AMMISSIONE AL PASSIVO DEL FALLIMENTO (Art. 93 L.F.)
UDIENZA
per
l'esame
dello
stato
passivo:
_______________
ore
______
Giudice
Delegato
Dott.
________________________________________
Curatore Dott./Rag. ___________________________________________
*****
Ill.mo Signor Giudice Delegato,
[generalità del creditore] la sottoscritta società …...…. s.r.l., con sede in ……., Via
…………., Codice fiscale e Registro Imprese di …. n. …...………, P IVA n. ………, in persona
del legale rappresentante pro-tempore signor …….…….,
PREMESSO
[esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti la ragione della domanda ed
indicazione della somma complessiva che si intende insinuare al passivo]
- che la società istante è creditrice nei confronti della fallita società ……. della somma
complessiva di Euro ……………., come si rileva dalla prodotta documentazione;
- che, in particolare, il credito vantato si riferisce alla fornitura di ………...…………………….,
il tutto come risulta dal contratto del ………., nonché dal d.d.t. n. ..… del …… e dalla
fattura
di
vendita
n.
….
del
………;
- che …………………………………………………………………….;
TUTTO CIO' PREMESSO
CHIEDE
l'ammissione al passivo del fallimento ………… per la complessiva somma di Euro ……….,
di
cui:
Euro
……………,
in
sede
chirografaria;
[indicazione dell'eventuale titolo di prelazione, anche in relazione alla graduazione del
credito e descrizione dei beni sui quali viene esercitata la prelazione, se a carattere
speciale]
- Euro ……………, in sede privilegiata ai sensi dell'art. ……. C.C., con relativa prelazione da
esercitarsi sul ricavato della vendita dei seguenti beni oggetto del privilegio: ……………….
………………………………………………………
(descrizione
dei
beni)
Segnala che è disponibile ricoprire la carica di membro del Comitato dei Creditori ed
all'uopo segnala e nomina il Dott. ____ - Dottore Commercialista con studio in ______ .
Si richiede infine, ai sensi e per gli effetti del 4° comma dell'art. 117 L.F., la distribuzione
delle eventuali somme che saranno depositate a favore dei creditori irreperibili trascorso il
termine indicato dallo stesso art. 117.
All'uopo
ALLEGA
i seguenti documenti dimostrativi:
1) Copia contratto del ……….
2) Copia d.d.t. n. ..... del ……..
3) Copia fattura n. …. del ……
[elezione
del
domicilio]
Ai fini del presente procedimento e delle successive comunicazioni, elegge il proprio
domicilio in Firenze, Via ………………. n. ….., presso lo studio del dott./avv. …….……… [in
alternativa è possibile indicare il numero di telefax o l'indirizzo di posta elettronica]
Firenze, ……….
IL CREDITORE RICORRENTE
BREVI CENNI SULLE FORMALITÀ
Si ritiene utile fornire alcune brevi indicazioni ai fini della predisposizione della domanda
di ammissione al passivo fallimentare la quale costituisce, come noto, l’unico strumento
che consente la partecipazione del creditore alla ripartizione dell’attivo ricavato
dall’esecuzione concorsuale a carico del proprio debitore.
Tralasciando ogni commento sulla natura della domanda di ammissione e sui
conseguenti effetti, limitiamo le presenti note agli aspetti formali di redazione della
stessa.
La relativa disciplina è dettata dall’art. 93 della Legge Fallimentare il quale prevede
testualmente:
“la domanda deve contenere il cognome ed il nome del creditore, l’indicazione della
somma, del titolo da cui il credito deriva, delle ragioni di prelazione e dei documenti
giustificativi.
Se il creditore non è domiciliato nel comune in cui ha sede il Tribunale, la domanda
deve inoltre contenere l’elezione di domicilio nel comune stesso: altrimenti tutte le
notificazioni posteriori si fanno al creditore presso la cancelleria del Tribunale.
I documenti non presentati con la domanda devono essere depositati prima
dell’udienza di verifica…”.
1) Forma della domanda.
La domanda deve essere redatta nella forma del ricorso, sottoscritto dal creditore
personalmente o da un suo rappresentante.
Come noto non è al riguardo necessario il patrocinio di un legale.
Ne consegue che, non essendo necessaria, l’eventuale assistenza di un difensore
comporterà il mancato riconoscimento delle spese in merito sostenute.
L’unico onere a carico del creditore che predispone personalmente la domanda va
individuato nel bollo dovuto per gli atti giudiziari, nella misura di €. 10,33 ogni quattro
fogli.
Tale spesa viene in genere riconosciuta con lo stesso grado di privilegio che assiste il
credito principale.
E’ totalmente esente da tale onere il ricorso relativo ai crediti di lavoro, il quale può
quindi essere redatto e presentato senza pagare alcuna somma.
2) Contenuto della domanda.
Nel rimandare alla suddetta disposizione normativa per l’esatta conoscenza dei dati
da inserire nella domanda, si ritiene utile precisare alcuni punti.
Sull’indicazione della somma non pare ci siano problemi di sorta: è infatti evidente che
si fa riferimento al credito vantato.
Va tuttavia rilevato che tale credito deve essere evidenziato in tutte le voci che lo
compongono, vale a dire il capitale, le eventuali spese accessorie e gli interessi. Ciò in
quanto, in difetto di specifica indicazione e richiesta, tali voci accessorie non
dovrebbero essere riconosciute e, salvo il rimedio dell’opposizione, non potrebbero più
essere successivamente pretese nei confronti del fallimento.
Quando si parla di spese si fa generalmente riferimento al bollo per atti giudiziari (vedi
punto precedente) nonché alle spese relative all’accertamento giudiziale del credito
esperito e concluso prima del fallimento (ad esempio: le spese afferenti al decreto
ingiuntivo passato in giudicato; il precetto ed il pignoramento).
Tali spese (sia le spese vive sia i compensi legali) vengono normalmente riconosciute,
purché siano documentate e si riferiscano ad atti compiuti e definiti in data anteriore al
fallimento.
In ordine agli interessi si osserva che gli stessi possono essere richiesti nella misura legale
(salvo la pattuizione per iscritto di un tasso superiore) dalla data di insorgenza del
credito alla data di fallimento e, limitatamente ai crediti assistiti da privilegio, anche per
il periodo successivo, come meglio si dirà infra.
3)
Natura privilegiata o chirografaria delle spese e degli interessi.
Nei limiti imposti dal presente intervento si può sintetizzare tale punto nei seguenti
termini:
Spese sostenute dal creditore per ottenere la dichiarazione di fallimento: una recente
sentenza della Suprema Corte ha stabilito che a tali spese vada riconosciuto il privilegio
di cui agli artt. 2755, 2770 codice civile e 95 codice di procedura civile (privilegio per
spese di giustizia). Si fa riferimento, in genere, alle spese vive, non essendo necessaria
l’assistenza legale per il ricorso per la dichiarazione di fallimento.
Spese della domanda di ammissione al passivo: come esposto al precedente punto,
tali spese sono riconosciute limitatamente a quelle vive borsuali, indispensabili per la
presentazione della domanda di ammissione. Alle stesse, da individuarsi, in sostanza,
nel bollo relativo alla domanda, si estende la prelazione che assiste il credito principale.
Spese per l’accertamento giudiziale del credito: tali spese, a prescindere dalla natura
del credito principale, non godono di alcun privilegio. Le stesse, comprensive di diritti
ed onorari, vanno individuate in quelle sostenute nel giudizio di cognizione per
l’accertamento del credito ovvero nel procedimento monitorio, purché la sentenza o il
decreto ingiuntivo (che pongano a carico del debitore il rimborso delle spese) siano
passati in giudicato prima della dichiarazione di fallimento. Si precisa quindi che,
qualora il decreto ingiuntivo, pur se provvisoriamente esecutivo, non sia divenuto
irrevocabile alla data di fallimento (perché ancora in corso il termine per l’opposizione
ovvero pendente il giudizio di opposizione), le relative spese non possono essere
riconosciute, in quanto inopponibili alla massa. Ne consegue che le spese afferenti
l’iscrizione ipotecaria, ottenuta in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo ma non definitivo, sono ugualmente inopponibili.
Una disciplina specifica è invece prevista per l’ipotesi di sentenza di condanna non
ancora passata in giudicato alla data di fallimento. E’ sufficiente rilevare che, laddove
il credito in essa accertato venga riconosciuto al passivo, analogo riconoscimento
devono avere le spese alla cui rifusione sia stato condannato il debitore poi fallito.
Spese per atti conservativi o espropriativi: si tratta di spese di giustizia inerenti ad atti
conservativi o espropriativi di beni mobili o immobili acquisiti all’attivo fallimentare. Il
caso più comune è costituito dalle spese del pignoramento mobiliare o immobiliare.
Affinché tali spese vengano ammesse in privilegio ex artt. 2755 o 2770 codice civile è
necessario che dai relativi atti sia derivata un’utilità per la massa dei creditori, vale a
dire che abbiano impedito la sottrazione dei beni da parte del debitore e ne abbiano
quindi consentito l’acquisizione al fallimento.
Limitando ogni considerazione alle spese di pignoramento (tra le quali non sono
ricomprese le spese del precetto), le stesse possono quindi essere ammesse in privilegio
ex artt. 2755 e 2770 c.c. alla condizione che tale atto abbia evitato l’uscita dei beni dal
patrimonio del debitore. Occorre quindi che la relativa espropriazione sia ancora in
corso alla data di fallimento. Analogamente il suddetto privilegio non può essere
riconosciuto laddove il pignoramento sia risultato negativo o abbia perduto efficacia
prima del fallimento o sia stato eseguito su beni già precedentemente pignorati. Nel
caso di pignoramento negativo o inefficace le spese vanno collocate in chirografo,
essendo evidente la mancanza di utilità dei relativi atti. Nel caso di pignoramento
successivo, sembra che le spese possano essere almeno collocate nello stesso grado di
privilegio che assiste il credito cui ineriscono.
Interessi anteriori e successivi al fallimento: il riferimento, in genere, è agli interessi
cosiddetti corrispettivi, che spettano indipendentemente dalla mora e decorrono di
pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282, primo comma, codice civile, dal momento in cui il
credito diventa liquido ed esigibile. La relativa misura è quella legale, salvo che non
siano stati determinati per iscritto interessi superiori a tale misura. Ne consegue, a tale
ultimo riguardo, che il creditore che deduca il diritto ad interessi ultralegali dovrà
produrre una convenzione scritta, avente data certa anteriore al fallimento.
Richiamando quanto brevemente esposto al punto sub 2) si rileva che, ai fini
dell’ammissione al passivo degli interessi, è necessario che il creditore ne faccia
espressa richiesta nella domanda di insinuazione. In difetto si dubita che gli interessi
possano essere successivamente richiesti in via tardiva, dopo che sia stato ammesso il
credito per capitale. Ciò in base al principio che l’esecutorietà dello stato passivo
produce una sorta di preclusione interna su quanto è stato chiesto e che poteva essere
chiesto in relazione al rapporto esaminato.
La disciplina degli interessi in sede fallimentare è contenuta negli artt. 54 e 55 L.F.. Viene
espressa la regola generale che la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli
interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento,
a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio.
Se ne deduce quindi che i creditori chirografari possono richiedere il riconoscimento
degli interessi solo fino alla data di fallimento, mentre i creditori assistiti da privilegio,
pegno o ipoteca hanno diritto agli interessi anche per il periodo successivo, in genere
fino alla data di vendita dei beni oggetto della causa di prelazione.
Quanto all’estensione della prelazione si osserva che, a seguito del recente intervento
della Corte Costituzionale, anche gli interessi spettanti ai creditori privilegiati si
collocano nello stesso grado del capitale, per il periodo sia anteriore sia posteriore al
fallimento, in base alla disciplina dettata dall’art. 2749 codice civile.
Ne consegue che tali interessi, previa richiesta del creditore, vanno ora collocati in
privilegio nei seguenti termini:
Periodo anteriore al fallimento: nella misura legale o convenzionale (provata per
iscritto) relativamente all’anno in corso alla data di fallimento ed all’anno precedente
(gli interessi al di fuori di tale arco temporale spettano in chirografo).
Periodo successivo al fallimento: nella sola misura legale fino alla data di vendita dei
beni mobili oggetto del privilegio.
Va per completezza rilevato che gli interessi sui crediti assistiti da pegno o ipoteca
hanno una specifica regolamentazione che prevede, in ogni caso, la collocazione
nello stesso grado del capitale per il periodo sia antecedente sia posteriore al
fallimento, seppur con limiti temporali parzialmente diversi rispetto ai crediti privilegiati
di cui sopra.
Stante i limiti di interesse generale del presente intervento non si ritiene peraltro di
affrontare tale tematica.
4)
Documenti giustificativi:
Il creditore deve provare la fondatezza del credito che intende insinuare e della
relativa causa di prelazione.
Ciò in ossequio al generale principio dell’onere della prova.
Trattandosi di esame ufficioso, gli Organi fallimentari possono (ma non devono)
integrare eventuali carenze documentali attingendo ogni ulteriore elemento dalla
documentazione rinvenuta.
Ne consegue l’opportunità di allegare tutti i documenti idonei a comprovare la pretesa
creditoria, evitando di fare rinvio alla documentazione eventualmente depositata in
altri procedimenti (ad esempio in sede di ricorso per la dichiarazione di fallimento).
L’elencazione dei vari tipi di documenti giustificativi del credito sarebbe troppo vasta.
Si ravvisa pertanto opportuno fornire alcune indicazioni di principio.
Vale il principio generale che i documenti devono avere data certa anteriore alla
dichiarazione di fallimento, a norma dell’art. 2704 c.c..
Senza addentrarci nella specifica disciplina delle prove è peraltro sufficiente rilevare
che le fatture e gli estratti dei libri contabili possono essere ritenuti documenti
giustificativi idonei laddove il Curatore, stante il carattere ufficioso della verifica del
passivo, operi il necessario riscontro con le risultanze della contabilità del fallito ovvero
con altri dati seri ed inequivoci.
Laddove il credito sia invece fondato su una sentenza o decreto ingiuntivo passati in
giudicato prima del fallimento, nessuna eccezione può essere sollevata circa la
fondatezza della pretesa avanzata. Diversamente, l’atto giudiziario non definitivo alla
data del fallimento non si ritiene, in genere, sufficiente a comprovare il credito, fatta
salva la contestuale produzione dei documenti dedotti in causa (ad esempio le fatture
e gli estratti contabili in base ai quali è stato richiesto il decreto ingiuntivo).
Un breve cenno va infine operato ai titoli di credito. Va preliminarmente osservato che
è sempre consigliabile la produzione in originale degli stessi, al fine di evitare il rischio di
eventuali ammissioni con riserva, le quali implicano la necessità della successiva
opposizione se si vuole conservare l’ammissione al passivo (la cui proposizione richiesta
il patrocinio di un legale).
Nel caso il creditore intenda esercitare l’azione cambiaria si pongono i problemi
connessi con la certezza della data, in quanto il Curatore assume la posizione di terzo.
Sono inoltre applicabili tutti i termini, i presupposti e le prescrizioni in materia di titoli di
credito.
5)
Elezione di domicilio.
La disposizione normativa richiamata prevede che, in difetto di domicilio del creditore
nel comune ove ha sede il Tribunale, tutte le notifiche (e comunicazioni) vengono fatte
presso la cancelleria del Tribunale. Ciò può assumere un rilievo decisivo laddove
sussistano termini perentori per la proposizione di impugnazioni, opposizioni o
osservazioni decorrenti dalla data di ricevimento delle comunicazioni stesse.
Va tuttavia rilevato che, in genere, i Curatori eseguono ogni comunicazione di loro
competenza direttamente all’indirizzo del creditore, laddove lo stesso non abbia eletto
alcun domicilio ovvero si sia domiciliato presso la cancelleria del Tribunale. Ciò al fine di
assicurare al creditore l’effettiva conoscenza delle comunicazioni da rendere.
Si suggerisce pertanto di verificare il concreto atteggiamento assunto in proposito dal
Curatore nominato, ogni qual volta si presenti la necessità formale dell’elezione di
domicilio.
Si osserva infine come l’eventuale elezione di domicilio presso il Curatore non è
ammissibile, non potendo lo stesso curare gli interessi di un singolo creditore.
6)
Termini di presentazione della domanda in via tempestiva.
La normativa prevede testualmente che la domanda di ammissione al passivo deve
essere presentata entro il termine non maggiore di giorni trenta dalla data di affissione
della sentenza di fallimento.
Non si tratta peraltro di un termine perentorio in quanto la domanda può essere
utilmente presentata entro il giorno stabilito per la verificazione dello stato passivo e, in
caso di rinvio, anche successivamente, fino a quando il Giudice Delegato non chiude
l’udienza di verifica.
Decorso tale termine, il creditore che intende partecipare alla procedura fallimentare
dovrà necessariamente ricorrere all’insinuazione tardiva prevista dall’art. 101 L.F., per la
quale occorre tuttavia l’assistenza di un difensore.
Domanda di Ammissione al Passivo nelle procedure fallimentari
BREVI CENNI SULLE FORMALITA PER LA REDAZIONE DELLA DOMANDA DI AMMISSIONE AL
PASSIVO
BREVI CENNI SULLE FORMALITÀ PER LA REDAZIONE DELLA DOMANDA DI AMMISSIONE AL
PASSIVO
Si ritiene utile fornire alcune brevi indicazioni ai fini della predisposizione della domanda
di ammissione al passivo fallimentare la quale costituisce, come noto, l’unico strumento
che consente la partecipazione del creditore alla ripartizione dell’attivo ricavato
dall’esecuzione concorsuale a carico del proprio debitore.
Tralasciando ogni commento sulla natura della domanda di ammissione e sui
conseguenti effetti, limitiamo le presenti note agli aspetti formali di redazione della
stessa.
La relativa disciplina è dettata dall’art. 93 della Legge Fallimentare il quale prevede
testualmente:
“la domanda deve contenere il cognome ed il nome del creditore, l’indicazione della
somma, del titolo da cui il credito deriva, delle ragioni di prelazione e dei documenti
giustificativi.
Se il creditore non è domiciliato nel comune in cui ha sede il Tribunale, la domanda
deve inoltre contenere l’elezione di domicilio nel comune stesso: altrimenti tutte le
notificazioni posteriori si fanno al creditore presso la cancelleria del Tribunale.
I documenti non presentati con la domanda devono essere depositati prima
dell’udienza di verifica…”.
1) Forma della domanda.
La domanda deve essere redatta nella forma del ricorso, sottoscritto dal creditore
personalmente o da un suo rappresentante.
Come noto non è al riguardo necessario il patrocinio di un legale.
Ne consegue che, non essendo necessaria, l’eventuale assistenza di un difensore
comporterà il mancato riconoscimento delle spese in merito sostenute.
L’unico onere a carico del creditore che predispone personalmente la domanda va
individuato nel bollo dovuto per gli atti giudiziari, nella misura di €. 10,33 ogni quattro
fogli.
Tale spesa viene in genere riconosciuta con lo stesso grado di privilegio che assiste il
credito principale.
E’ totalmente esente da tale onere il ricorso relativo ai crediti di lavoro, il quale può
quindi essere redatto e presentato senza pagare alcuna somma.
2) Contenuto della domanda.
Nel rimandare alla suddetta disposizione normativa per l’esatta conoscenza dei dati
da inserire nella domanda, si ritiene utile precisare alcuni punti.
Sull’indicazione della somma non pare ci siano problemi di sorta: è infatti evidente che
si fa riferimento al credito vantato.
Va tuttavia rilevato che tale credito deve essere evidenziato in tutte le voci che lo
compongono, vale a dire il capitale, le eventuali spese accessorie e gli interessi. Ciò in
quanto, in difetto di specifica indicazione e richiesta, tali voci accessorie non
dovrebbero essere riconosciute e, salvo il rimedio dell’opposizione, non potrebbero più
essere successivamente pretese nei confronti del fallimento.
Quando si parla di spese si fa generalmente riferimento al bollo per atti giudiziari (vedi
punto precedente) nonché alle spese relative all’accertamento giudiziale del credito
esperito e concluso prima del fallimento (ad esempio: le spese afferenti al decreto
ingiuntivo passato in giudicato; il precetto ed il pignoramento).
Tali spese (sia le spese vive sia i compensi legali) vengono normalmente riconosciute,
purché siano documentate e si riferiscano ad atti compiuti e definiti in data anteriore al
fallimento.
In ordine agli interessi si osserva che gli stessi possono essere richiesti nella misura legale
(salvo la pattuizione per iscritto di un tasso superiore) dalla data di insorgenza del
credito alla data di fallimento e, limitatamente ai crediti assistiti da privilegio, anche per
il periodo successivo, come meglio si dirà infra.
3)
Natura privilegiata o chirografaria delle spese e degli interessi.
Nei limiti imposti dal presente intervento si può sintetizzare tale punto nei seguenti
termini:
Spese sostenute dal creditore per ottenere la dichiarazione di fallimento: una recente
sentenza della Suprema Corte ha stabilito che a tali spese vada riconosciuto il privilegio
di cui agli artt. 2755, 2770 codice civile e 95 codice di procedura civile (privilegio per
spese di giustizia). Si fa riferimento, in genere, alle spese vive, non essendo necessaria
l’assistenza legale per il ricorso per la dichiarazione di fallimento.
Spese della domanda di ammissione al passivo: come esposto al precedente punto,
tali spese sono riconosciute limitatamente a quelle vive borsuali, indispensabili per la
presentazione della domanda di ammissione. Alle stesse, da individuarsi, in sostanza,
nel bollo relativo alla domanda, si estende la prelazione che assiste il credito principale.
Spese per l’accertamento giudiziale del credito: tali spese, a prescindere dalla natura
del credito principale, non godono di alcun privilegio. Le stesse, comprensive di diritti
ed onorari, vanno individuate in quelle sostenute nel giudizio di cognizione per
l’accertamento del credito ovvero nel procedimento monitorio, purché la sentenza o il
decreto ingiuntivo (che pongano a carico del debitore il rimborso delle spese) siano
passati in giudicato prima della dichiarazione di fallimento. Si precisa quindi che,
qualora il decreto ingiuntivo, pur se provvisoriamente esecutivo, non sia divenuto
irrevocabile alla data di fallimento (perché ancora in corso il termine per l’opposizione
ovvero pendente il giudizio di opposizione), le relative spese non possono essere
riconosciute, in quanto inopponibili alla massa. Ne consegue che le spese afferenti
l’iscrizione ipotecaria, ottenuta in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo ma non definitivo, sono ugualmente inopponibili.
Una disciplina specifica è invece prevista per l’ipotesi di sentenza di condanna non
ancora passata in giudicato alla data di fallimento. E’ sufficiente rilevare che, laddove
il credito in essa accertato venga riconosciuto al passivo, analogo riconoscimento
devono avere le spese alla cui rifusione sia stato condannato il debitore poi fallito.
Spese per atti conservativi o espropriativi: si tratta di spese di giustizia inerenti ad atti
conservativi o espropriativi di beni mobili o immobili acquisiti all’attivo fallimentare. Il
caso più comune è costituito dalle spese del pignoramento mobiliare o immobiliare.
Affinché tali spese vengano ammesse in privilegio ex artt. 2755 o 2770 codice civile è
necessario che dai relativi atti sia derivata un’utilità per la massa dei creditori, vale a
dire che abbiano impedito la sottrazione dei beni da parte del debitore e ne abbiano
quindi consentito l’acquisizione al fallimento.
Limitando ogni considerazione alle spese di pignoramento (tra le quali non sono
ricomprese le spese del precetto), le stesse possono quindi essere ammesse in privilegio
ex artt. 2755 e 2770 c.c. alla condizione che tale atto abbia evitato l’uscita dei beni dal
patrimonio del debitore. Occorre quindi che la relativa espropriazione sia ancora in
corso alla data di fallimento. Analogamente il suddetto privilegio non può essere
riconosciuto laddove il pignoramento sia risultato negativo o abbia perduto efficacia
prima del fallimento o sia stato eseguito su beni già precedentemente pignorati. Nel
caso di pignoramento negativo o inefficace le spese vanno collocate in chirografo,
essendo evidente la mancanza di utilità dei relativi atti. Nel caso di pignoramento
successivo, sembra che le spese possano essere almeno collocate nello stesso grado di
privilegio che assiste il credito cui ineriscono.
Interessi anteriori e successivi al fallimento: il riferimento, in genere, è agli interessi
cosiddetti corrispettivi, che spettano indipendentemente dalla mora e decorrono di
pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282, primo comma, codice civile, dal momento in cui il
credito diventa liquido ed esigibile. La relativa misura è quella legale, salvo che non
siano stati determinati per iscritto interessi superiori a tale misura. Ne consegue, a tale
ultimo riguardo, che il creditore che deduca il diritto ad interessi ultralegali dovrà
produrre una convenzione scritta, avente data certa anteriore al fallimento.
Richiamando quanto brevemente esposto al punto sub 2) si rileva che, ai fini
dell’ammissione al passivo degli interessi, è necessario che il creditore ne faccia
espressa richiesta nella domanda di insinuazione. In difetto si dubita che gli interessi
possano essere successivamente richiesti in via tardiva, dopo che sia stato ammesso il
credito per capitale. Ciò in base al principio che l’esecutorietà dello stato passivo
produce una sorta di preclusione interna su quanto è stato chiesto e che poteva essere
chiesto in relazione al rapporto esaminato.
La disciplina degli interessi in sede fallimentare è contenuta negli artt. 54 e 55 L.F.. Viene
espressa la regola generale che la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli
interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento,
a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio.
Se ne deduce quindi che i creditori chirografari possono richiedere il riconoscimento
degli interessi solo fino alla data di fallimento, mentre i creditori assistiti da privilegio,
pegno o ipoteca hanno diritto agli interessi anche per il periodo successivo, in genere
fino alla data di vendita dei beni oggetto della causa di prelazione.
Quanto all’estensione della prelazione si osserva che, a seguito del recente intervento
della Corte Costituzionale, anche gli interessi spettanti ai creditori privilegiati si
collocano nello stesso grado del capitale, per il periodo sia anteriore sia posteriore al
fallimento, in base alla disciplina dettata dall’art. 2749 codice civile.
Ne consegue che tali interessi, previa richiesta del creditore, vanno ora collocati in
privilegio nei seguenti termini:
Periodo anteriore al fallimento: nella misura legale o convenzionale (provata per
iscritto) relativamente all’anno in corso alla data di fallimento ed all’anno precedente
(gli interessi al di fuori di tale arco temporale spettano in chirografo).
Periodo successivo al fallimento: nella sola misura legale fino alla data di vendita dei
beni mobili oggetto del privilegio.
Va per completezza rilevato che gli interessi sui crediti assistiti da pegno o ipoteca
hanno una specifica regolamentazione che prevede, in ogni caso, la collocazione
nello stesso grado del capitale per il periodo sia antecedente sia posteriore al
fallimento, seppur con limiti temporali parzialmente diversi rispetto ai crediti privilegiati
di cui sopra.
Stante i limiti di interesse generale del presente intervento non si ritiene peraltro di
affrontare tale tematica.
4)
Documenti giustificativi:
Il creditore deve provare la fondatezza del credito che intende insinuare e della
relativa causa di prelazione.
Ciò in ossequio al generale principio dell’onere della prova.
Trattandosi di esame ufficioso, gli Organi fallimentari possono (ma non devono)
integrare eventuali carenze documentali attingendo ogni ulteriore elemento dalla
documentazione rinvenuta.
Ne consegue l’opportunità di allegare tutti i documenti idonei a comprovare la pretesa
creditoria, evitando di fare rinvio alla documentazione eventualmente depositata in
altri procedimenti (ad esempio in sede di ricorso per la dichiarazione di fallimento).
L’elencazione dei vari tipi di documenti giustificativi del credito sarebbe troppo vasta.
Si ravvisa pertanto opportuno fornire alcune indicazioni di principio.
Vale il principio generale che i documenti devono avere data certa anteriore alla
dichiarazione di fallimento, a norma dell’art. 2704 c.c..
Senza addentrarci nella specifica disciplina delle prove è peraltro sufficiente rilevare
che le fatture e gli estratti dei libri contabili possono essere ritenuti documenti
giustificativi idonei laddove il Curatore, stante il carattere ufficioso della verifica del
passivo, operi il necessario riscontro con le risultanze della contabilità del fallito ovvero
con altri dati seri ed inequivoci.
Laddove il credito sia invece fondato su una sentenza o decreto ingiuntivo passati in
giudicato prima del fallimento, nessuna eccezione può essere sollevata circa la
fondatezza della pretesa avanzata. Diversamente, l’atto giudiziario non definitivo alla
data del fallimento non si ritiene, in genere, sufficiente a comprovare il credito, fatta
salva la contestuale produzione dei documenti dedotti in causa (ad esempio le fatture
e gli estratti contabili in base ai quali è stato richiesto il decreto ingiuntivo).
Un breve cenno va infine operato ai titoli di credito. Va preliminarmente osservato che
è sempre consigliabile la produzione in originale degli stessi, al fine di evitare il rischio di
eventuali ammissioni con riserva, le quali implicano la necessità della successiva
opposizione se si vuole conservare l’ammissione al passivo (la cui proposizione richiesta
il patrocinio di un legale).
Nel caso il creditore intenda esercitare l’azione cambiaria si pongono i problemi
connessi con la certezza della data, in quanto il Curatore assume la posizione di terzo.
Sono inoltre applicabili tutti i termini, i presupposti e le prescrizioni in materia di titoli di
credito.
5)
Elezione di domicilio.
La disposizione normativa richiamata prevede che, in difetto di domicilio del creditore
nel comune ove ha sede il Tribunale, tutte le notifiche (e comunicazioni) vengono fatte
presso la cancelleria del Tribunale. Ciò può assumere un rilievo decisivo laddove
sussistano termini perentori per la proposizione di impugnazioni, opposizioni o
osservazioni decorrenti dalla data di ricevimento delle comunicazioni stesse.
Va tuttavia rilevato che, in genere, i Curatori eseguono ogni comunicazione di loro
competenza direttamente all’indirizzo del creditore, laddove lo stesso non abbia eletto
alcun domicilio ovvero si sia domiciliato presso la cancelleria del Tribunale. Ciò al fine di
assicurare al creditore l’effettiva conoscenza delle comunicazioni da rendere.
Si suggerisce pertanto di verificare il concreto atteggiamento assunto in proposito dal
Curatore nominato, ogni qual volta si presenti la necessità formale dell’elezione di
domicilio.
Si osserva infine come l’eventuale elezione di domicilio presso il Curatore non è
ammissibile, non potendo lo stesso curare gli interessi di un singolo creditore.
6)
Termini di presentazione della domanda in via tempestiva.
La normativa prevede testualmente che la domanda di ammissione al passivo deve
essere presentata entro il termine non maggiore di giorni trenta dalla data di affissione
della sentenza di fallimento.
Non si tratta peraltro di un termine perentorio in quanto la domanda può essere
utilmente presentata entro il giorno stabilito per la verificazione dello stato passivo e, in
caso di rinvio, anche successivamente, fino a quando il Giudice Delegato non chiude
l’udienza di verifica.
Decorso tale termine, il creditore che intende partecipare alla procedura fallimentare
dovrà necessariamente ricorrere all’insinuazione tardiva prevista dall’art. 101 L.F., per la
quale occorre tuttavia l’assistenza di un difensore.
Iva ordinaria al 21: piu tempo per correggere gratis gli errori
Iva ordinaria al 21%: più tempo per correggere “gratis” gli errori
Chiarimenti a 360° sulle modalità operative connesse all’applicazione della nuova
aliquota, affinché i contribuenti possano gestire al meglio i relativi adempimenti
A meno di un mese dall’entrata in vigore della disposizione normativa che ha decretato
l’aumento di un punto percentuale dell’aliquota Iva ordinaria (articolo 2, commi da 2-bis
a 2-quater, Dl 138/2011), l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 45/E del 12 ottobre,
indica la via maestra da seguire per rimanere nel perimetro della correttezza. Le
indicazioni spaziano dal momento di effettuazione delle operazioni a come comportarsi in
presenza di acconti e fatture anticipate o a esigibilità differita, dai consigli indirizzati ai
commercianti al minuto alla correzione degli errori. Infine, il documento di prassi si occupa
di alcuni settori particolari che già applicano l’imposta in maniera “particolare”.
Extratime per regolarizzare le sviste
Il termine per correggere senza sanzioni le fatture emesse dal 17 settembre con la vecchia
aliquota, fissato in prima battuta con il comunicato stampa diramato all’alba dell’entrata
in vigore della nuova Iva nella scadenza della liquidazione periodica in cui l’Iva è esigibile,
con la circolare odierna viene dilatato.
Le nuove date sono il 27 dicembre e il 16 marzo, che corrispondono rispettivamente al
termine di versamento dell’acconto Iva e a quello di liquidazione annuale. In particolare,
per i mensili, il termine del 27 dicembre riguarda la regolarizzazione delle fatture emesse
entro novembre, per i trimestrali, quelle fino a settembre. Stessa differenziazione
relativamente alla scadenza del 16 marzo che, per i mensili, si riferisce alle fatture di
dicembre,
per
i
trimestrali,
a
quelle
del
quarto
trimestre.
Questo vale, naturalmente, per cedenti e commissionari, ma come devono regolarsi i
contribuenti destinatari delle fatture in argomento? Questi ultimi, se non ricevono la
fattura integrativa, hanno invece tempo fino al 30 aprile.
Il momento è “immutato”, per l’aliquota fa fede la data
Sul quando si deve ritenere effettuata l’operazione, la circolare precisa che nulla è
cambiato. Pertanto continuano a valere le norme di sempre, distinte a seconda che si
tratti di cessioni di beni, prestazioni di servizi, acquisti intracomunitari o importazioni. A
operazione realizzata, l’imposta diventa esigibile.
Ma lo scenario Iva è vasto e complesso, per cui, anche antecedentemente al ritocco
dell’aliquota ordinaria, le relative norme consentivano (e consentono) di considerare
un’operazione effettuata pure quando, prima ancora del perfezionamento dell’evento,
veniva emessa fattura o pagato il corrispettivo ( in tutto o in parte).
Tanto premesso, nella circolare si legge che se gli acconti con l’aliquota del 20% sono
stati pagati entro il 16 settembre, non c’è alcun bisogno di effettuare correzioni. Analogo
discorso va fatto per le fatture, anche se la consegna del bene o il pagamento del
servizio si concretizzano dopo tale data di confine.
Commercianti al minuto: la questione è matematica
Di regola i commercianti al minuto incassano i corrispettivi comprensivi dell’Iva. Questi, per
determinare l’importo da versare, devono effettuare lo scorporo dell’imposta dalle
somme ricevute.
I metodi per eseguire tale operazione sono due, quello della “percentuale di scorporo” (il
corrispettivo lordo viene diminuito di una diversa percentuale in base all’aliquota
applicabile) oppure il “metodo matematico”.
Con l’introduzione della nuova aliquota, quest’ultimo diventa l’unico applicabile. In
pratica l’imponibile si determina dividendo l’importo complessivo dei corrispettivi per
alcuni
valori
(121
per
le
operazioni
che
scontano
l’Iva
del
21%).
In ogni caso, se per difficoltà tecnico- procedurali, il commerciante applica il metodo
delle “percentuali di scorporo”, gli errori potranno essere corretti nei modi e nei tempi già
descritti.
Esigibilità differita: lo Stato va salvaguardato
In deroga al criterio generale di esigibilità dell’Iva, per alcune particolari tipologie di
operazioni espressamente individuate dall’articolo 6 del Dpr 633/1972, come quelle nei
confronti dello Stato, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento del relativo
corrispettivo e non al momento di consegna o spedizione. Questo per evitare che il
fornitore diventi debitore del tributo prima ancora di aver incassato, in via di rivalsa, il
relativo importo.
Per salvare gli stanziamenti di bilancio degli enti pubblici, la circolare fornisce
un’interpretazione logico-sistematica (e non letterale) dell’articolo 2, comma 2-quater, Dl
138/2011. In pratica per le operazioni effettuate con tali enti è sufficiente l’emissione della
fattura entro il 16 settembre, per consentire l’applicazione dell’aliquota del 20% anziché di
quella del 21. Mentre, la relativa registrazione può avvenire in un momento successivo.
Il documento di prassi si sofferma, tra l’altro, su particolari settori che applicano l’imposta
seguendo meccanismi “speciali”, a tutti offre una soluzione.
Iva al 21 istruzioni
Iva ordinaria al 21%: più tempo per correggere “gratis” gli errori
Chiarimenti a 360° sulle modalità operative connesse all’applicazione della nuova
aliquota, affinché i contribuenti possano gestire al meglio i relativi adempimenti
A meno di un mese dall’entrata in vigore della disposizione normativa che ha decretato
l’aumento di un punto percentuale dell’aliquota Iva ordinaria (articolo 2, commi da 2-bis
a 2-quater, Dl 138/2011), l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 45/E del 12 ottobre,
indica la via maestra da seguire per rimanere nel perimetro della correttezza. Le
indicazioni spaziano dal momento di effettuazione delle operazioni a come comportarsi in
presenza di acconti e fatture anticipate o a esigibilità differita, dai consigli indirizzati ai
commercianti al minuto alla correzione degli errori. Infine, il documento di prassi si occupa
di alcuni settori particolari che già applicano l’imposta in maniera “particolare”.
Extratime per regolarizzare le sviste
Il termine per correggere senza sanzioni le fatture emesse dal 17 settembre con la vecchia
aliquota, fissato in prima battuta con il comunicato stampa diramato all’alba dell’entrata
in vigore della nuova Iva nella scadenza della liquidazione periodica in cui l’Iva è esigibile,
con la circolare odierna viene dilatato.
Le nuove date sono il 27 dicembre e il 16 marzo, che corrispondono rispettivamente al
termine di versamento dell’acconto Iva e a quello di liquidazione annuale. In particolare,
per i mensili, il termine del 27 dicembre riguarda la regolarizzazione delle fatture emesse
entro novembre, per i trimestrali, quelle fino a settembre. Stessa differenziazione
relativamente alla scadenza del 16 marzo che, per i mensili, si riferisce alle fatture di
dicembre,
per
i
trimestrali,
a
quelle
del
quarto
trimestre.
Questo vale, naturalmente, per cedenti e commissionari, ma come devono regolarsi i
contribuenti destinatari delle fatture in argomento? Questi ultimi, se non ricevono la
fattura integrativa, hanno invece tempo fino al 30 aprile.
Il momento è “immutato”, per l’aliquota fa fede la data
Sul quando si deve ritenere effettuata l’operazione, la circolare precisa che nulla è
cambiato. Pertanto continuano a valere le norme di sempre, distinte a seconda che si
tratti di cessioni di beni, prestazioni di servizi, acquisti intracomunitari o importazioni. A
operazione realizzata, l’imposta diventa esigibile.
Ma lo scenario Iva è vasto e complesso, per cui, anche antecedentemente al ritocco
dell’aliquota ordinaria, le relative norme consentivano (e consentono) di considerare
un’operazione effettuata pure quando, prima ancora del perfezionamento dell’evento,
veniva emessa fattura o pagato il corrispettivo ( in tutto o in parte).
Tanto premesso, nella circolare si legge che se gli acconti con l’aliquota del 20% sono
stati pagati entro il 16 settembre, non c’è alcun bisogno di effettuare correzioni. Analogo
discorso va fatto per le fatture, anche se la consegna del bene o il pagamento del
servizio si concretizzano dopo tale data di confine.
Commercianti al minuto: la questione è matematica
Di regola i commercianti al minuto incassano i corrispettivi comprensivi dell’Iva. Questi, per
determinare l’importo da versare, devono effettuare lo scorporo dell’imposta dalle
somme ricevute.
I metodi per eseguire tale operazione sono due, quello della “percentuale di scorporo” (il
corrispettivo lordo viene diminuito di una diversa percentuale in base all’aliquota
applicabile) oppure il “metodo matematico”.
Con l’introduzione della nuova aliquota, quest’ultimo diventa l’unico applicabile. In
pratica l’imponibile si determina dividendo l’importo complessivo dei corrispettivi per
alcuni
valori
(121
per
le
operazioni
che
scontano
l’Iva
del
21%).
In ogni caso, se per difficoltà tecnico- procedurali, il commerciante applica il metodo
delle “percentuali di scorporo”, gli errori potranno essere corretti nei modi e nei tempi già
descritti.
Esigibilità differita: lo Stato va salvaguardato
In deroga al criterio generale di esigibilità dell’Iva, per alcune particolari tipologie di
operazioni espressamente individuate dall’articolo 6 del Dpr 633/1972, come quelle nei
confronti dello Stato, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento del relativo
corrispettivo e non al momento di consegna o spedizione. Questo per evitare che il
fornitore diventi debitore del tributo prima ancora di aver incassato, in via di rivalsa, il
relativo importo.
Per salvare gli stanziamenti di bilancio degli enti pubblici, la circolare fornisce
un’interpretazione logico-sistematica (e non letterale) dell’articolo 2, comma 2-quater, Dl
138/2011. In pratica per le operazioni effettuate con tali enti è sufficiente l’emissione della
fattura entro il 16 settembre, per consentire l’applicazione dell’aliquota del 20% anziché di
quella del 21. Mentre, la relativa registrazione può avvenire in un momento successivo.
Il documento di prassi si sofferma, tra l’altro, su particolari settori che applicano l’imposta
seguendo meccanismi “speciali”, a tutti offre una soluzione.
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