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Modello di domamda di insinuazione al passivo nelle procedure fallimentari delucidazioni e formalita DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO Se un soggetto vanta dei crediti verso una ditta dichiarata fallita, deve presentare una domanda al Tribunale che ha dichiarato il fallimento. L'articolo della Legge fallimentare che disciplina le regole è il n° 93 (vedi più avanti). La prima cosa da fare è accertarsi quando scade il termine per presentare la domanda (se si è ricevuta la lettera del curatore, tale termine è chiaramente indicato. Se non si è ricevuta la lettera del curatore, informarsi presso il Tribunale. Se non si conosce qual'è il Tribunale, informarsi presso la Camera di Commercio). Se il termine fosse scaduto, procedere ai sensi dell'art. 101 della Legge fallimentare. La domanda può essere presentata (di persona o per posta raccomandata a.r. senza necessità di avvalersi di un legale). Lo schema è il seguente. TRIBUNALE DI _______ Sezione Fallimenti FALLIMENTO della società __________________________________ dichiarato con sentenza n. ____ del _______ - Reg. Fall. N. _______ RICORSO PER AMMISSIONE AL PASSIVO DEL FALLIMENTO (Art. 93 L.F.) UDIENZA per l'esame dello stato passivo: _______________ ore ______ Giudice Delegato Dott. ________________________________________ Curatore Dott./Rag. ___________________________________________ ***** Ill.mo Signor Giudice Delegato, [generalità del creditore] la sottoscritta società …...…. s.r.l., con sede in ……., Via …………., Codice fiscale e Registro Imprese di …. n. …...………, P IVA n. ………, in persona del legale rappresentante pro-tempore signor …….……., PREMESSO [esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti la ragione della domanda ed indicazione della somma complessiva che si intende insinuare al passivo] - che la società istante è creditrice nei confronti della fallita società ……. della somma complessiva di Euro ……………., come si rileva dalla prodotta documentazione; - che, in particolare, il credito vantato si riferisce alla fornitura di ………...……………………., il tutto come risulta dal contratto del ………., nonché dal d.d.t. n. ..… del …… e dalla fattura di vendita n. …. del ………; - che …………………………………………………………………….; TUTTO CIO' PREMESSO CHIEDE l'ammissione al passivo del fallimento ………… per la complessiva somma di Euro ………., di cui: Euro ……………, in sede chirografaria; [indicazione dell'eventuale titolo di prelazione, anche in relazione alla graduazione del credito e descrizione dei beni sui quali viene esercitata la prelazione, se a carattere speciale] - Euro ……………, in sede privilegiata ai sensi dell'art. ……. C.C., con relativa prelazione da esercitarsi sul ricavato della vendita dei seguenti beni oggetto del privilegio: ………………. ……………………………………………………… (descrizione dei beni) Segnala che è disponibile ricoprire la carica di membro del Comitato dei Creditori ed all'uopo segnala e nomina il Dott. ____ - Dottore Commercialista con studio in ______ . Si richiede infine, ai sensi e per gli effetti del 4° comma dell'art. 117 L.F., la distribuzione delle eventuali somme che saranno depositate a favore dei creditori irreperibili trascorso il termine indicato dallo stesso art. 117. All'uopo ALLEGA i seguenti documenti dimostrativi: 1) Copia contratto del ………. 2) Copia d.d.t. n. ..... del …….. 3) Copia fattura n. …. del …… [elezione del domicilio] Ai fini del presente procedimento e delle successive comunicazioni, elegge il proprio domicilio in Firenze, Via ………………. n. ….., presso lo studio del dott./avv. …….……… [in alternativa è possibile indicare il numero di telefax o l'indirizzo di posta elettronica] Firenze, ………. IL CREDITORE RICORRENTE BREVI CENNI SULLE FORMALITÀ Si ritiene utile fornire alcune brevi indicazioni ai fini della predisposizione della domanda di ammissione al passivo fallimentare la quale costituisce, come noto, l’unico strumento che consente la partecipazione del creditore alla ripartizione dell’attivo ricavato dall’esecuzione concorsuale a carico del proprio debitore. Tralasciando ogni commento sulla natura della domanda di ammissione e sui conseguenti effetti, limitiamo le presenti note agli aspetti formali di redazione della stessa. La relativa disciplina è dettata dall’art. 93 della Legge Fallimentare il quale prevede testualmente: “la domanda deve contenere il cognome ed il nome del creditore, l’indicazione della somma, del titolo da cui il credito deriva, delle ragioni di prelazione e dei documenti giustificativi. Se il creditore non è domiciliato nel comune in cui ha sede il Tribunale, la domanda deve inoltre contenere l’elezione di domicilio nel comune stesso: altrimenti tutte le notificazioni posteriori si fanno al creditore presso la cancelleria del Tribunale. I documenti non presentati con la domanda devono essere depositati prima dell’udienza di verifica…”. 1) Forma della domanda. La domanda deve essere redatta nella forma del ricorso, sottoscritto dal creditore personalmente o da un suo rappresentante. Come noto non è al riguardo necessario il patrocinio di un legale. Ne consegue che, non essendo necessaria, l’eventuale assistenza di un difensore comporterà il mancato riconoscimento delle spese in merito sostenute. L’unico onere a carico del creditore che predispone personalmente la domanda va individuato nel bollo dovuto per gli atti giudiziari, nella misura di €. 10,33 ogni quattro fogli. Tale spesa viene in genere riconosciuta con lo stesso grado di privilegio che assiste il credito principale. E’ totalmente esente da tale onere il ricorso relativo ai crediti di lavoro, il quale può quindi essere redatto e presentato senza pagare alcuna somma. 2) Contenuto della domanda. Nel rimandare alla suddetta disposizione normativa per l’esatta conoscenza dei dati da inserire nella domanda, si ritiene utile precisare alcuni punti. Sull’indicazione della somma non pare ci siano problemi di sorta: è infatti evidente che si fa riferimento al credito vantato. Va tuttavia rilevato che tale credito deve essere evidenziato in tutte le voci che lo compongono, vale a dire il capitale, le eventuali spese accessorie e gli interessi. Ciò in quanto, in difetto di specifica indicazione e richiesta, tali voci accessorie non dovrebbero essere riconosciute e, salvo il rimedio dell’opposizione, non potrebbero più essere successivamente pretese nei confronti del fallimento. Quando si parla di spese si fa generalmente riferimento al bollo per atti giudiziari (vedi punto precedente) nonché alle spese relative all’accertamento giudiziale del credito esperito e concluso prima del fallimento (ad esempio: le spese afferenti al decreto ingiuntivo passato in giudicato; il precetto ed il pignoramento). Tali spese (sia le spese vive sia i compensi legali) vengono normalmente riconosciute, purché siano documentate e si riferiscano ad atti compiuti e definiti in data anteriore al fallimento. In ordine agli interessi si osserva che gli stessi possono essere richiesti nella misura legale (salvo la pattuizione per iscritto di un tasso superiore) dalla data di insorgenza del credito alla data di fallimento e, limitatamente ai crediti assistiti da privilegio, anche per il periodo successivo, come meglio si dirà infra. 3) Natura privilegiata o chirografaria delle spese e degli interessi. Nei limiti imposti dal presente intervento si può sintetizzare tale punto nei seguenti termini: Spese sostenute dal creditore per ottenere la dichiarazione di fallimento: una recente sentenza della Suprema Corte ha stabilito che a tali spese vada riconosciuto il privilegio di cui agli artt. 2755, 2770 codice civile e 95 codice di procedura civile (privilegio per spese di giustizia). Si fa riferimento, in genere, alle spese vive, non essendo necessaria l’assistenza legale per il ricorso per la dichiarazione di fallimento. Spese della domanda di ammissione al passivo: come esposto al precedente punto, tali spese sono riconosciute limitatamente a quelle vive borsuali, indispensabili per la presentazione della domanda di ammissione. Alle stesse, da individuarsi, in sostanza, nel bollo relativo alla domanda, si estende la prelazione che assiste il credito principale. Spese per l’accertamento giudiziale del credito: tali spese, a prescindere dalla natura del credito principale, non godono di alcun privilegio. Le stesse, comprensive di diritti ed onorari, vanno individuate in quelle sostenute nel giudizio di cognizione per l’accertamento del credito ovvero nel procedimento monitorio, purché la sentenza o il decreto ingiuntivo (che pongano a carico del debitore il rimborso delle spese) siano passati in giudicato prima della dichiarazione di fallimento. Si precisa quindi che, qualora il decreto ingiuntivo, pur se provvisoriamente esecutivo, non sia divenuto irrevocabile alla data di fallimento (perché ancora in corso il termine per l’opposizione ovvero pendente il giudizio di opposizione), le relative spese non possono essere riconosciute, in quanto inopponibili alla massa. Ne consegue che le spese afferenti l’iscrizione ipotecaria, ottenuta in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ma non definitivo, sono ugualmente inopponibili. Una disciplina specifica è invece prevista per l’ipotesi di sentenza di condanna non ancora passata in giudicato alla data di fallimento. E’ sufficiente rilevare che, laddove il credito in essa accertato venga riconosciuto al passivo, analogo riconoscimento devono avere le spese alla cui rifusione sia stato condannato il debitore poi fallito. Spese per atti conservativi o espropriativi: si tratta di spese di giustizia inerenti ad atti conservativi o espropriativi di beni mobili o immobili acquisiti all’attivo fallimentare. Il caso più comune è costituito dalle spese del pignoramento mobiliare o immobiliare. Affinché tali spese vengano ammesse in privilegio ex artt. 2755 o 2770 codice civile è necessario che dai relativi atti sia derivata un’utilità per la massa dei creditori, vale a dire che abbiano impedito la sottrazione dei beni da parte del debitore e ne abbiano quindi consentito l’acquisizione al fallimento. Limitando ogni considerazione alle spese di pignoramento (tra le quali non sono ricomprese le spese del precetto), le stesse possono quindi essere ammesse in privilegio ex artt. 2755 e 2770 c.c. alla condizione che tale atto abbia evitato l’uscita dei beni dal patrimonio del debitore. Occorre quindi che la relativa espropriazione sia ancora in corso alla data di fallimento. Analogamente il suddetto privilegio non può essere riconosciuto laddove il pignoramento sia risultato negativo o abbia perduto efficacia prima del fallimento o sia stato eseguito su beni già precedentemente pignorati. Nel caso di pignoramento negativo o inefficace le spese vanno collocate in chirografo, essendo evidente la mancanza di utilità dei relativi atti. Nel caso di pignoramento successivo, sembra che le spese possano essere almeno collocate nello stesso grado di privilegio che assiste il credito cui ineriscono. Interessi anteriori e successivi al fallimento: il riferimento, in genere, è agli interessi cosiddetti corrispettivi, che spettano indipendentemente dalla mora e decorrono di pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282, primo comma, codice civile, dal momento in cui il credito diventa liquido ed esigibile. La relativa misura è quella legale, salvo che non siano stati determinati per iscritto interessi superiori a tale misura. Ne consegue, a tale ultimo riguardo, che il creditore che deduca il diritto ad interessi ultralegali dovrà produrre una convenzione scritta, avente data certa anteriore al fallimento. Richiamando quanto brevemente esposto al punto sub 2) si rileva che, ai fini dell’ammissione al passivo degli interessi, è necessario che il creditore ne faccia espressa richiesta nella domanda di insinuazione. In difetto si dubita che gli interessi possano essere successivamente richiesti in via tardiva, dopo che sia stato ammesso il credito per capitale. Ciò in base al principio che l’esecutorietà dello stato passivo produce una sorta di preclusione interna su quanto è stato chiesto e che poteva essere chiesto in relazione al rapporto esaminato. La disciplina degli interessi in sede fallimentare è contenuta negli artt. 54 e 55 L.F.. Viene espressa la regola generale che la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio. Se ne deduce quindi che i creditori chirografari possono richiedere il riconoscimento degli interessi solo fino alla data di fallimento, mentre i creditori assistiti da privilegio, pegno o ipoteca hanno diritto agli interessi anche per il periodo successivo, in genere fino alla data di vendita dei beni oggetto della causa di prelazione. Quanto all’estensione della prelazione si osserva che, a seguito del recente intervento della Corte Costituzionale, anche gli interessi spettanti ai creditori privilegiati si collocano nello stesso grado del capitale, per il periodo sia anteriore sia posteriore al fallimento, in base alla disciplina dettata dall’art. 2749 codice civile. Ne consegue che tali interessi, previa richiesta del creditore, vanno ora collocati in privilegio nei seguenti termini: Periodo anteriore al fallimento: nella misura legale o convenzionale (provata per iscritto) relativamente all’anno in corso alla data di fallimento ed all’anno precedente (gli interessi al di fuori di tale arco temporale spettano in chirografo). Periodo successivo al fallimento: nella sola misura legale fino alla data di vendita dei beni mobili oggetto del privilegio. Va per completezza rilevato che gli interessi sui crediti assistiti da pegno o ipoteca hanno una specifica regolamentazione che prevede, in ogni caso, la collocazione nello stesso grado del capitale per il periodo sia antecedente sia posteriore al fallimento, seppur con limiti temporali parzialmente diversi rispetto ai crediti privilegiati di cui sopra. Stante i limiti di interesse generale del presente intervento non si ritiene peraltro di affrontare tale tematica. 4) Documenti giustificativi: Il creditore deve provare la fondatezza del credito che intende insinuare e della relativa causa di prelazione. Ciò in ossequio al generale principio dell’onere della prova. Trattandosi di esame ufficioso, gli Organi fallimentari possono (ma non devono) integrare eventuali carenze documentali attingendo ogni ulteriore elemento dalla documentazione rinvenuta. Ne consegue l’opportunità di allegare tutti i documenti idonei a comprovare la pretesa creditoria, evitando di fare rinvio alla documentazione eventualmente depositata in altri procedimenti (ad esempio in sede di ricorso per la dichiarazione di fallimento). L’elencazione dei vari tipi di documenti giustificativi del credito sarebbe troppo vasta. Si ravvisa pertanto opportuno fornire alcune indicazioni di principio. Vale il principio generale che i documenti devono avere data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, a norma dell’art. 2704 c.c.. Senza addentrarci nella specifica disciplina delle prove è peraltro sufficiente rilevare che le fatture e gli estratti dei libri contabili possono essere ritenuti documenti giustificativi idonei laddove il Curatore, stante il carattere ufficioso della verifica del passivo, operi il necessario riscontro con le risultanze della contabilità del fallito ovvero con altri dati seri ed inequivoci. Laddove il credito sia invece fondato su una sentenza o decreto ingiuntivo passati in giudicato prima del fallimento, nessuna eccezione può essere sollevata circa la fondatezza della pretesa avanzata. Diversamente, l’atto giudiziario non definitivo alla data del fallimento non si ritiene, in genere, sufficiente a comprovare il credito, fatta salva la contestuale produzione dei documenti dedotti in causa (ad esempio le fatture e gli estratti contabili in base ai quali è stato richiesto il decreto ingiuntivo). Un breve cenno va infine operato ai titoli di credito. Va preliminarmente osservato che è sempre consigliabile la produzione in originale degli stessi, al fine di evitare il rischio di eventuali ammissioni con riserva, le quali implicano la necessità della successiva opposizione se si vuole conservare l’ammissione al passivo (la cui proposizione richiesta il patrocinio di un legale). Nel caso il creditore intenda esercitare l’azione cambiaria si pongono i problemi connessi con la certezza della data, in quanto il Curatore assume la posizione di terzo. Sono inoltre applicabili tutti i termini, i presupposti e le prescrizioni in materia di titoli di credito. 5) Elezione di domicilio. La disposizione normativa richiamata prevede che, in difetto di domicilio del creditore nel comune ove ha sede il Tribunale, tutte le notifiche (e comunicazioni) vengono fatte presso la cancelleria del Tribunale. Ciò può assumere un rilievo decisivo laddove sussistano termini perentori per la proposizione di impugnazioni, opposizioni o osservazioni decorrenti dalla data di ricevimento delle comunicazioni stesse. Va tuttavia rilevato che, in genere, i Curatori eseguono ogni comunicazione di loro competenza direttamente all’indirizzo del creditore, laddove lo stesso non abbia eletto alcun domicilio ovvero si sia domiciliato presso la cancelleria del Tribunale. Ciò al fine di assicurare al creditore l’effettiva conoscenza delle comunicazioni da rendere. Si suggerisce pertanto di verificare il concreto atteggiamento assunto in proposito dal Curatore nominato, ogni qual volta si presenti la necessità formale dell’elezione di domicilio. Si osserva infine come l’eventuale elezione di domicilio presso il Curatore non è ammissibile, non potendo lo stesso curare gli interessi di un singolo creditore. 6) Termini di presentazione della domanda in via tempestiva. La normativa prevede testualmente che la domanda di ammissione al passivo deve essere presentata entro il termine non maggiore di giorni trenta dalla data di affissione della sentenza di fallimento. Non si tratta peraltro di un termine perentorio in quanto la domanda può essere utilmente presentata entro il giorno stabilito per la verificazione dello stato passivo e, in caso di rinvio, anche successivamente, fino a quando il Giudice Delegato non chiude l’udienza di verifica. Decorso tale termine, il creditore che intende partecipare alla procedura fallimentare dovrà necessariamente ricorrere all’insinuazione tardiva prevista dall’art. 101 L.F., per la quale occorre tuttavia l’assistenza di un difensore. Domanda di Ammissione al Passivo nelle procedure fallimentari BREVI CENNI SULLE FORMALITA PER LA REDAZIONE DELLA DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO BREVI CENNI SULLE FORMALITÀ PER LA REDAZIONE DELLA DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO Si ritiene utile fornire alcune brevi indicazioni ai fini della predisposizione della domanda di ammissione al passivo fallimentare la quale costituisce, come noto, l’unico strumento che consente la partecipazione del creditore alla ripartizione dell’attivo ricavato dall’esecuzione concorsuale a carico del proprio debitore. Tralasciando ogni commento sulla natura della domanda di ammissione e sui conseguenti effetti, limitiamo le presenti note agli aspetti formali di redazione della stessa. La relativa disciplina è dettata dall’art. 93 della Legge Fallimentare il quale prevede testualmente: “la domanda deve contenere il cognome ed il nome del creditore, l’indicazione della somma, del titolo da cui il credito deriva, delle ragioni di prelazione e dei documenti giustificativi. Se il creditore non è domiciliato nel comune in cui ha sede il Tribunale, la domanda deve inoltre contenere l’elezione di domicilio nel comune stesso: altrimenti tutte le notificazioni posteriori si fanno al creditore presso la cancelleria del Tribunale. I documenti non presentati con la domanda devono essere depositati prima dell’udienza di verifica…”. 1) Forma della domanda. La domanda deve essere redatta nella forma del ricorso, sottoscritto dal creditore personalmente o da un suo rappresentante. Come noto non è al riguardo necessario il patrocinio di un legale. Ne consegue che, non essendo necessaria, l’eventuale assistenza di un difensore comporterà il mancato riconoscimento delle spese in merito sostenute. L’unico onere a carico del creditore che predispone personalmente la domanda va individuato nel bollo dovuto per gli atti giudiziari, nella misura di €. 10,33 ogni quattro fogli. Tale spesa viene in genere riconosciuta con lo stesso grado di privilegio che assiste il credito principale. E’ totalmente esente da tale onere il ricorso relativo ai crediti di lavoro, il quale può quindi essere redatto e presentato senza pagare alcuna somma. 2) Contenuto della domanda. Nel rimandare alla suddetta disposizione normativa per l’esatta conoscenza dei dati da inserire nella domanda, si ritiene utile precisare alcuni punti. Sull’indicazione della somma non pare ci siano problemi di sorta: è infatti evidente che si fa riferimento al credito vantato. Va tuttavia rilevato che tale credito deve essere evidenziato in tutte le voci che lo compongono, vale a dire il capitale, le eventuali spese accessorie e gli interessi. Ciò in quanto, in difetto di specifica indicazione e richiesta, tali voci accessorie non dovrebbero essere riconosciute e, salvo il rimedio dell’opposizione, non potrebbero più essere successivamente pretese nei confronti del fallimento. Quando si parla di spese si fa generalmente riferimento al bollo per atti giudiziari (vedi punto precedente) nonché alle spese relative all’accertamento giudiziale del credito esperito e concluso prima del fallimento (ad esempio: le spese afferenti al decreto ingiuntivo passato in giudicato; il precetto ed il pignoramento). Tali spese (sia le spese vive sia i compensi legali) vengono normalmente riconosciute, purché siano documentate e si riferiscano ad atti compiuti e definiti in data anteriore al fallimento. In ordine agli interessi si osserva che gli stessi possono essere richiesti nella misura legale (salvo la pattuizione per iscritto di un tasso superiore) dalla data di insorgenza del credito alla data di fallimento e, limitatamente ai crediti assistiti da privilegio, anche per il periodo successivo, come meglio si dirà infra. 3) Natura privilegiata o chirografaria delle spese e degli interessi. Nei limiti imposti dal presente intervento si può sintetizzare tale punto nei seguenti termini: Spese sostenute dal creditore per ottenere la dichiarazione di fallimento: una recente sentenza della Suprema Corte ha stabilito che a tali spese vada riconosciuto il privilegio di cui agli artt. 2755, 2770 codice civile e 95 codice di procedura civile (privilegio per spese di giustizia). Si fa riferimento, in genere, alle spese vive, non essendo necessaria l’assistenza legale per il ricorso per la dichiarazione di fallimento. Spese della domanda di ammissione al passivo: come esposto al precedente punto, tali spese sono riconosciute limitatamente a quelle vive borsuali, indispensabili per la presentazione della domanda di ammissione. Alle stesse, da individuarsi, in sostanza, nel bollo relativo alla domanda, si estende la prelazione che assiste il credito principale. Spese per l’accertamento giudiziale del credito: tali spese, a prescindere dalla natura del credito principale, non godono di alcun privilegio. Le stesse, comprensive di diritti ed onorari, vanno individuate in quelle sostenute nel giudizio di cognizione per l’accertamento del credito ovvero nel procedimento monitorio, purché la sentenza o il decreto ingiuntivo (che pongano a carico del debitore il rimborso delle spese) siano passati in giudicato prima della dichiarazione di fallimento. Si precisa quindi che, qualora il decreto ingiuntivo, pur se provvisoriamente esecutivo, non sia divenuto irrevocabile alla data di fallimento (perché ancora in corso il termine per l’opposizione ovvero pendente il giudizio di opposizione), le relative spese non possono essere riconosciute, in quanto inopponibili alla massa. Ne consegue che le spese afferenti l’iscrizione ipotecaria, ottenuta in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ma non definitivo, sono ugualmente inopponibili. Una disciplina specifica è invece prevista per l’ipotesi di sentenza di condanna non ancora passata in giudicato alla data di fallimento. E’ sufficiente rilevare che, laddove il credito in essa accertato venga riconosciuto al passivo, analogo riconoscimento devono avere le spese alla cui rifusione sia stato condannato il debitore poi fallito. Spese per atti conservativi o espropriativi: si tratta di spese di giustizia inerenti ad atti conservativi o espropriativi di beni mobili o immobili acquisiti all’attivo fallimentare. Il caso più comune è costituito dalle spese del pignoramento mobiliare o immobiliare. Affinché tali spese vengano ammesse in privilegio ex artt. 2755 o 2770 codice civile è necessario che dai relativi atti sia derivata un’utilità per la massa dei creditori, vale a dire che abbiano impedito la sottrazione dei beni da parte del debitore e ne abbiano quindi consentito l’acquisizione al fallimento. Limitando ogni considerazione alle spese di pignoramento (tra le quali non sono ricomprese le spese del precetto), le stesse possono quindi essere ammesse in privilegio ex artt. 2755 e 2770 c.c. alla condizione che tale atto abbia evitato l’uscita dei beni dal patrimonio del debitore. Occorre quindi che la relativa espropriazione sia ancora in corso alla data di fallimento. Analogamente il suddetto privilegio non può essere riconosciuto laddove il pignoramento sia risultato negativo o abbia perduto efficacia prima del fallimento o sia stato eseguito su beni già precedentemente pignorati. Nel caso di pignoramento negativo o inefficace le spese vanno collocate in chirografo, essendo evidente la mancanza di utilità dei relativi atti. Nel caso di pignoramento successivo, sembra che le spese possano essere almeno collocate nello stesso grado di privilegio che assiste il credito cui ineriscono. Interessi anteriori e successivi al fallimento: il riferimento, in genere, è agli interessi cosiddetti corrispettivi, che spettano indipendentemente dalla mora e decorrono di pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282, primo comma, codice civile, dal momento in cui il credito diventa liquido ed esigibile. La relativa misura è quella legale, salvo che non siano stati determinati per iscritto interessi superiori a tale misura. Ne consegue, a tale ultimo riguardo, che il creditore che deduca il diritto ad interessi ultralegali dovrà produrre una convenzione scritta, avente data certa anteriore al fallimento. Richiamando quanto brevemente esposto al punto sub 2) si rileva che, ai fini dell’ammissione al passivo degli interessi, è necessario che il creditore ne faccia espressa richiesta nella domanda di insinuazione. In difetto si dubita che gli interessi possano essere successivamente richiesti in via tardiva, dopo che sia stato ammesso il credito per capitale. Ciò in base al principio che l’esecutorietà dello stato passivo produce una sorta di preclusione interna su quanto è stato chiesto e che poteva essere chiesto in relazione al rapporto esaminato. La disciplina degli interessi in sede fallimentare è contenuta negli artt. 54 e 55 L.F.. Viene espressa la regola generale che la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio. Se ne deduce quindi che i creditori chirografari possono richiedere il riconoscimento degli interessi solo fino alla data di fallimento, mentre i creditori assistiti da privilegio, pegno o ipoteca hanno diritto agli interessi anche per il periodo successivo, in genere fino alla data di vendita dei beni oggetto della causa di prelazione. Quanto all’estensione della prelazione si osserva che, a seguito del recente intervento della Corte Costituzionale, anche gli interessi spettanti ai creditori privilegiati si collocano nello stesso grado del capitale, per il periodo sia anteriore sia posteriore al fallimento, in base alla disciplina dettata dall’art. 2749 codice civile. Ne consegue che tali interessi, previa richiesta del creditore, vanno ora collocati in privilegio nei seguenti termini: Periodo anteriore al fallimento: nella misura legale o convenzionale (provata per iscritto) relativamente all’anno in corso alla data di fallimento ed all’anno precedente (gli interessi al di fuori di tale arco temporale spettano in chirografo). Periodo successivo al fallimento: nella sola misura legale fino alla data di vendita dei beni mobili oggetto del privilegio. Va per completezza rilevato che gli interessi sui crediti assistiti da pegno o ipoteca hanno una specifica regolamentazione che prevede, in ogni caso, la collocazione nello stesso grado del capitale per il periodo sia antecedente sia posteriore al fallimento, seppur con limiti temporali parzialmente diversi rispetto ai crediti privilegiati di cui sopra. Stante i limiti di interesse generale del presente intervento non si ritiene peraltro di affrontare tale tematica. 4) Documenti giustificativi: Il creditore deve provare la fondatezza del credito che intende insinuare e della relativa causa di prelazione. Ciò in ossequio al generale principio dell’onere della prova. Trattandosi di esame ufficioso, gli Organi fallimentari possono (ma non devono) integrare eventuali carenze documentali attingendo ogni ulteriore elemento dalla documentazione rinvenuta. Ne consegue l’opportunità di allegare tutti i documenti idonei a comprovare la pretesa creditoria, evitando di fare rinvio alla documentazione eventualmente depositata in altri procedimenti (ad esempio in sede di ricorso per la dichiarazione di fallimento). L’elencazione dei vari tipi di documenti giustificativi del credito sarebbe troppo vasta. Si ravvisa pertanto opportuno fornire alcune indicazioni di principio. Vale il principio generale che i documenti devono avere data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, a norma dell’art. 2704 c.c.. Senza addentrarci nella specifica disciplina delle prove è peraltro sufficiente rilevare che le fatture e gli estratti dei libri contabili possono essere ritenuti documenti giustificativi idonei laddove il Curatore, stante il carattere ufficioso della verifica del passivo, operi il necessario riscontro con le risultanze della contabilità del fallito ovvero con altri dati seri ed inequivoci. Laddove il credito sia invece fondato su una sentenza o decreto ingiuntivo passati in giudicato prima del fallimento, nessuna eccezione può essere sollevata circa la fondatezza della pretesa avanzata. Diversamente, l’atto giudiziario non definitivo alla data del fallimento non si ritiene, in genere, sufficiente a comprovare il credito, fatta salva la contestuale produzione dei documenti dedotti in causa (ad esempio le fatture e gli estratti contabili in base ai quali è stato richiesto il decreto ingiuntivo). Un breve cenno va infine operato ai titoli di credito. Va preliminarmente osservato che è sempre consigliabile la produzione in originale degli stessi, al fine di evitare il rischio di eventuali ammissioni con riserva, le quali implicano la necessità della successiva opposizione se si vuole conservare l’ammissione al passivo (la cui proposizione richiesta il patrocinio di un legale). Nel caso il creditore intenda esercitare l’azione cambiaria si pongono i problemi connessi con la certezza della data, in quanto il Curatore assume la posizione di terzo. Sono inoltre applicabili tutti i termini, i presupposti e le prescrizioni in materia di titoli di credito. 5) Elezione di domicilio. La disposizione normativa richiamata prevede che, in difetto di domicilio del creditore nel comune ove ha sede il Tribunale, tutte le notifiche (e comunicazioni) vengono fatte presso la cancelleria del Tribunale. Ciò può assumere un rilievo decisivo laddove sussistano termini perentori per la proposizione di impugnazioni, opposizioni o osservazioni decorrenti dalla data di ricevimento delle comunicazioni stesse. Va tuttavia rilevato che, in genere, i Curatori eseguono ogni comunicazione di loro competenza direttamente all’indirizzo del creditore, laddove lo stesso non abbia eletto alcun domicilio ovvero si sia domiciliato presso la cancelleria del Tribunale. Ciò al fine di assicurare al creditore l’effettiva conoscenza delle comunicazioni da rendere. Si suggerisce pertanto di verificare il concreto atteggiamento assunto in proposito dal Curatore nominato, ogni qual volta si presenti la necessità formale dell’elezione di domicilio. Si osserva infine come l’eventuale elezione di domicilio presso il Curatore non è ammissibile, non potendo lo stesso curare gli interessi di un singolo creditore. 6) Termini di presentazione della domanda in via tempestiva. La normativa prevede testualmente che la domanda di ammissione al passivo deve essere presentata entro il termine non maggiore di giorni trenta dalla data di affissione della sentenza di fallimento. Non si tratta peraltro di un termine perentorio in quanto la domanda può essere utilmente presentata entro il giorno stabilito per la verificazione dello stato passivo e, in caso di rinvio, anche successivamente, fino a quando il Giudice Delegato non chiude l’udienza di verifica. Decorso tale termine, il creditore che intende partecipare alla procedura fallimentare dovrà necessariamente ricorrere all’insinuazione tardiva prevista dall’art. 101 L.F., per la quale occorre tuttavia l’assistenza di un difensore. Iva ordinaria al 21: piu tempo per correggere gratis gli errori Iva ordinaria al 21%: più tempo per correggere “gratis” gli errori Chiarimenti a 360° sulle modalità operative connesse all’applicazione della nuova aliquota, affinché i contribuenti possano gestire al meglio i relativi adempimenti A meno di un mese dall’entrata in vigore della disposizione normativa che ha decretato l’aumento di un punto percentuale dell’aliquota Iva ordinaria (articolo 2, commi da 2-bis a 2-quater, Dl 138/2011), l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 45/E del 12 ottobre, indica la via maestra da seguire per rimanere nel perimetro della correttezza. Le indicazioni spaziano dal momento di effettuazione delle operazioni a come comportarsi in presenza di acconti e fatture anticipate o a esigibilità differita, dai consigli indirizzati ai commercianti al minuto alla correzione degli errori. Infine, il documento di prassi si occupa di alcuni settori particolari che già applicano l’imposta in maniera “particolare”. Extratime per regolarizzare le sviste Il termine per correggere senza sanzioni le fatture emesse dal 17 settembre con la vecchia aliquota, fissato in prima battuta con il comunicato stampa diramato all’alba dell’entrata in vigore della nuova Iva nella scadenza della liquidazione periodica in cui l’Iva è esigibile, con la circolare odierna viene dilatato. Le nuove date sono il 27 dicembre e il 16 marzo, che corrispondono rispettivamente al termine di versamento dell’acconto Iva e a quello di liquidazione annuale. In particolare, per i mensili, il termine del 27 dicembre riguarda la regolarizzazione delle fatture emesse entro novembre, per i trimestrali, quelle fino a settembre. Stessa differenziazione relativamente alla scadenza del 16 marzo che, per i mensili, si riferisce alle fatture di dicembre, per i trimestrali, a quelle del quarto trimestre. Questo vale, naturalmente, per cedenti e commissionari, ma come devono regolarsi i contribuenti destinatari delle fatture in argomento? Questi ultimi, se non ricevono la fattura integrativa, hanno invece tempo fino al 30 aprile. Il momento è “immutato”, per l’aliquota fa fede la data Sul quando si deve ritenere effettuata l’operazione, la circolare precisa che nulla è cambiato. Pertanto continuano a valere le norme di sempre, distinte a seconda che si tratti di cessioni di beni, prestazioni di servizi, acquisti intracomunitari o importazioni. A operazione realizzata, l’imposta diventa esigibile. Ma lo scenario Iva è vasto e complesso, per cui, anche antecedentemente al ritocco dell’aliquota ordinaria, le relative norme consentivano (e consentono) di considerare un’operazione effettuata pure quando, prima ancora del perfezionamento dell’evento, veniva emessa fattura o pagato il corrispettivo ( in tutto o in parte). Tanto premesso, nella circolare si legge che se gli acconti con l’aliquota del 20% sono stati pagati entro il 16 settembre, non c’è alcun bisogno di effettuare correzioni. Analogo discorso va fatto per le fatture, anche se la consegna del bene o il pagamento del servizio si concretizzano dopo tale data di confine. Commercianti al minuto: la questione è matematica Di regola i commercianti al minuto incassano i corrispettivi comprensivi dell’Iva. Questi, per determinare l’importo da versare, devono effettuare lo scorporo dell’imposta dalle somme ricevute. I metodi per eseguire tale operazione sono due, quello della “percentuale di scorporo” (il corrispettivo lordo viene diminuito di una diversa percentuale in base all’aliquota applicabile) oppure il “metodo matematico”. Con l’introduzione della nuova aliquota, quest’ultimo diventa l’unico applicabile. In pratica l’imponibile si determina dividendo l’importo complessivo dei corrispettivi per alcuni valori (121 per le operazioni che scontano l’Iva del 21%). In ogni caso, se per difficoltà tecnico- procedurali, il commerciante applica il metodo delle “percentuali di scorporo”, gli errori potranno essere corretti nei modi e nei tempi già descritti. Esigibilità differita: lo Stato va salvaguardato In deroga al criterio generale di esigibilità dell’Iva, per alcune particolari tipologie di operazioni espressamente individuate dall’articolo 6 del Dpr 633/1972, come quelle nei confronti dello Stato, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento del relativo corrispettivo e non al momento di consegna o spedizione. Questo per evitare che il fornitore diventi debitore del tributo prima ancora di aver incassato, in via di rivalsa, il relativo importo. Per salvare gli stanziamenti di bilancio degli enti pubblici, la circolare fornisce un’interpretazione logico-sistematica (e non letterale) dell’articolo 2, comma 2-quater, Dl 138/2011. In pratica per le operazioni effettuate con tali enti è sufficiente l’emissione della fattura entro il 16 settembre, per consentire l’applicazione dell’aliquota del 20% anziché di quella del 21. Mentre, la relativa registrazione può avvenire in un momento successivo. Il documento di prassi si sofferma, tra l’altro, su particolari settori che applicano l’imposta seguendo meccanismi “speciali”, a tutti offre una soluzione. Iva al 21 istruzioni Iva ordinaria al 21%: più tempo per correggere “gratis” gli errori Chiarimenti a 360° sulle modalità operative connesse all’applicazione della nuova aliquota, affinché i contribuenti possano gestire al meglio i relativi adempimenti A meno di un mese dall’entrata in vigore della disposizione normativa che ha decretato l’aumento di un punto percentuale dell’aliquota Iva ordinaria (articolo 2, commi da 2-bis a 2-quater, Dl 138/2011), l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 45/E del 12 ottobre, indica la via maestra da seguire per rimanere nel perimetro della correttezza. Le indicazioni spaziano dal momento di effettuazione delle operazioni a come comportarsi in presenza di acconti e fatture anticipate o a esigibilità differita, dai consigli indirizzati ai commercianti al minuto alla correzione degli errori. Infine, il documento di prassi si occupa di alcuni settori particolari che già applicano l’imposta in maniera “particolare”. Extratime per regolarizzare le sviste Il termine per correggere senza sanzioni le fatture emesse dal 17 settembre con la vecchia aliquota, fissato in prima battuta con il comunicato stampa diramato all’alba dell’entrata in vigore della nuova Iva nella scadenza della liquidazione periodica in cui l’Iva è esigibile, con la circolare odierna viene dilatato. Le nuove date sono il 27 dicembre e il 16 marzo, che corrispondono rispettivamente al termine di versamento dell’acconto Iva e a quello di liquidazione annuale. In particolare, per i mensili, il termine del 27 dicembre riguarda la regolarizzazione delle fatture emesse entro novembre, per i trimestrali, quelle fino a settembre. Stessa differenziazione relativamente alla scadenza del 16 marzo che, per i mensili, si riferisce alle fatture di dicembre, per i trimestrali, a quelle del quarto trimestre. Questo vale, naturalmente, per cedenti e commissionari, ma come devono regolarsi i contribuenti destinatari delle fatture in argomento? Questi ultimi, se non ricevono la fattura integrativa, hanno invece tempo fino al 30 aprile. Il momento è “immutato”, per l’aliquota fa fede la data Sul quando si deve ritenere effettuata l’operazione, la circolare precisa che nulla è cambiato. Pertanto continuano a valere le norme di sempre, distinte a seconda che si tratti di cessioni di beni, prestazioni di servizi, acquisti intracomunitari o importazioni. A operazione realizzata, l’imposta diventa esigibile. Ma lo scenario Iva è vasto e complesso, per cui, anche antecedentemente al ritocco dell’aliquota ordinaria, le relative norme consentivano (e consentono) di considerare un’operazione effettuata pure quando, prima ancora del perfezionamento dell’evento, veniva emessa fattura o pagato il corrispettivo ( in tutto o in parte). Tanto premesso, nella circolare si legge che se gli acconti con l’aliquota del 20% sono stati pagati entro il 16 settembre, non c’è alcun bisogno di effettuare correzioni. Analogo discorso va fatto per le fatture, anche se la consegna del bene o il pagamento del servizio si concretizzano dopo tale data di confine. Commercianti al minuto: la questione è matematica Di regola i commercianti al minuto incassano i corrispettivi comprensivi dell’Iva. Questi, per determinare l’importo da versare, devono effettuare lo scorporo dell’imposta dalle somme ricevute. I metodi per eseguire tale operazione sono due, quello della “percentuale di scorporo” (il corrispettivo lordo viene diminuito di una diversa percentuale in base all’aliquota applicabile) oppure il “metodo matematico”. Con l’introduzione della nuova aliquota, quest’ultimo diventa l’unico applicabile. In pratica l’imponibile si determina dividendo l’importo complessivo dei corrispettivi per alcuni valori (121 per le operazioni che scontano l’Iva del 21%). In ogni caso, se per difficoltà tecnico- procedurali, il commerciante applica il metodo delle “percentuali di scorporo”, gli errori potranno essere corretti nei modi e nei tempi già descritti. Esigibilità differita: lo Stato va salvaguardato In deroga al criterio generale di esigibilità dell’Iva, per alcune particolari tipologie di operazioni espressamente individuate dall’articolo 6 del Dpr 633/1972, come quelle nei confronti dello Stato, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento del relativo corrispettivo e non al momento di consegna o spedizione. Questo per evitare che il fornitore diventi debitore del tributo prima ancora di aver incassato, in via di rivalsa, il relativo importo. Per salvare gli stanziamenti di bilancio degli enti pubblici, la circolare fornisce un’interpretazione logico-sistematica (e non letterale) dell’articolo 2, comma 2-quater, Dl 138/2011. In pratica per le operazioni effettuate con tali enti è sufficiente l’emissione della fattura entro il 16 settembre, per consentire l’applicazione dell’aliquota del 20% anziché di quella del 21. Mentre, la relativa registrazione può avvenire in un momento successivo. Il documento di prassi si sofferma, tra l’altro, su particolari settori che applicano l’imposta seguendo meccanismi “speciali”, a tutti offre una soluzione. Per ogni ulteriore chiarimento contatta lo Studio www.commercialistatelematico.net