Lungo il Giordano dove il turismo è verde

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Lungo il Giordano dove il turismo è verde
Lungo il Giordano dove il turismo è verde
Fabrizio Ardito
ITINERARI Antiche città, oasi millenarie, capolavori della natura da difendere e prodotti
biologici. In Giordania la protezione della natura è una realtà consolidata e i progetti per il futuro
sempre più ambiziosi.
Dalle alture del Golan al nord est alla lunga valle del Giordano, dalle colline che circondano
Amman no al paesaggio sempre più desertico man mano che si scende a sud verso Aqaba e il
Mar Rosso, il paesaggio della Giordania è molto più vario di quel che si possa immaginare.
La biodiversità del paese - che solo a un’occhiata superficiale può apparire sempre uguale a sé
stesso - è imponente e qui, più che in tutti i paesi arabi della regione, la protezione della natura
è una storia iniziata molto tempo fa. «Dopo i primi studi portati avanti dagli inglesi negli anni ’60,
n dal 1970 venne proposta una legge dedicata ai parchi e alle riserve, che però avrebbe
richiesto molti anni ancora per essere approvata».
Di fronte al panorama della cittadella di Amman, sulla terrazza della sede di Wild Jordan, cioè
dell’associazione che fa capo alla Royal society for the conservation of nature e si occupa dello
sviluppo economico e turistico delle oasi, Rasha Beno racconta la storia dei parchi giordani.
«Nel 1975 sono nate le due prime piccole riserve del paese a Dibeen e Zarqa Ma’ in, poi poco a
poco, grazie alla sensibilità della monarchia, alla pressione dell’opinione pubblica e agli studi
condotti dagli enti internazionali, siamo arrivati alla situazione attuale.
Cioè alle sette riserve sparse in tutti gli ambienti del paese: Dana, wadi Mujib, Azraq, Shaumari,
Dibeen, Ajloun e wadi Rum». La superficie della natura protetta della Giordania raggiunge oggi i
1.200 chilometri quadrati (cioè circa l’1,3% del territorio nazionale) ma il lavoro della Rscn ha
obiettivi ambiziosi per il futuro. Tra le nuove riserve proposte, o già in via di approvazione, ci
sono il sito di Burqu, un tratto del corso del Giordano, Fifa, Qatar, Jebel Masauda e un tratto del
corso del fiume Yarmuk, che segna il tracciato della incerta frontiera tra Giordania, Siria e
Israele.
Cioè, in pratica, di un con¬ ne di fatto ma non di diritto, che potrebbe, in un futuro imprevedibile,
essere modificato dalle auspicate e difficili trattative diplomatiche tra Tel Aviv e Damasco. In
più, grazie alla sua storia abbastanza lunga, la società ambientalista di Amman è diventata un
punto di riferimento importante in tutto il mondo arabo. Nelle sue sale e nelle riserve giordane si
svolgono corsi di formazione destinati a formare i naturalisti di Libano, Siria, Egitto e degli altri
paesi arabi.
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Dopo la lunga discesa che da Amman e dall’eccezionale balcone panoramico del monte Nebo
scende ripida verso il corso del Giordano, che qui scorre a una quota di più di 300 metri al di
sotto del livello del mare verso lo specchio grigio e desertico del Mar Morto, di colpo dopo i
chilometri di giallo e grigio di pietra e roccia si entra in una striscia verde. Proprio qui, dove
secondo i vangeli Giovanni Battista avrebbe immerso Gesù nelle acque del fiume, è facile
comprendere il valore dell’acqua per la vita degli uomini e degli animali in un ambiente di questo
tipo.
Le rive dei piccoli stagni e dei meandri del fiume, che scorre lentamente con le sue acque
marrone scuro che separano di pochi metri Israele e Giordania, sono segnate dalle impronte
degli animali selvatici che ogni sera scendono ad abbeverarsi: cervi, cinghiali e volpi che oggi,
come nei tempi biblici, popolano la zona.
Tra le iniziative lanciate dalla Rscn, la reintroduzione di specie selvatiche che un tempo
popolavano il territorio è sempre stata una priorità: gli ultimi e minacciati esemplari di orice
d’Arabia, gazzella, struzzo e stambecco nubiano sono stati nutriti e salvaguardati, studiando dei
programmi di reintroduzione dove le specie erano scomparse a causa della caccia e
dell’avanzare delle aree agricole o residenziali. Nella riserva forestale di Ajloun, a nord di
Amman, verde delle piante di quercia e di pistacchio si gode un clima completamente differente
dal caldo afoso che già in primavera colpisce i visitatori sulle rive del fiume più importante della
regione.
A dominare il paesaggio sono le mura del Qalat Ajloun, il castello voluto dal nipote del
condottiero Saladino, con lo scopo di controllare dall’alto di una rocca i movimenti di tribù arabe
ostili e dei cavalieri crociati, ancora presenti in Terrasanta nonostante le sconfitte subite a causa
del genio militare dell’antenato. Il clima è mite, grazie alla quota di poco meno di 1.200 metri, e
le due passeggiate nel territorio dell’area protetta, affollate di famiglie e scolaresche nelle
giornate festive dei venerdì di primavera, offrono la possibilità di conoscere la campagna
giordana, in questa stagione ricca di verde e attraversata dal passo schivo dei caprioli.
“Helping nature, helping people”. Il motto della Royal society for the conservation of nature è
decisamente chiaro. Di pari passo con la salvaguardia delle aree naturali più significative del
paese, da molti anni sono stati avviati progetti dedicati alla tutela delle popolazioni locali che
vivono nelle aree protette.
Forme di artigianato ed economia sostenibile sono state studiate, discusse e avviate con il
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consenso delle comunità e gli scaffali del negozio di Wild Jordan ad Amman sono affollati di
prodotti di tutti i tipi: gioielli ispirati ai disegni tradizionali e agli animali selvatici provengono dalla
riserva di Dana, lanterne, scatole e oggetti artigianali di pelle sono prodotti in altre oasi
seguendo le tradizioni dei beduini, saponi naturali, oli e profumi sono il frutto della lavorazione
dell’olivo, mentre grandi uova di struzzo decorate di colori delicati provengono dall’oasi di
Azraq.
«All’interno delle riserve, grazie agli accordi sottoscritti con i villaggi della zona, normalmente
lavorano solo residenti locali», spiega Rasha Beno mostrando lo shop dell’associazione e le
sale del ristorante di Amman che prepara solo piatti con ingredienti biologici e di origine locale.
«Mentre gruppi di artigiani - soprattutto donne - si sono organizzati per riprendere con una
filosofia moderna la lavorazione artigianale della tradizione. E i prodotti delle oasi, grazie al
marketing decisamente caratterizzato dal concetto della sostenibilità ambientale, hanno un
discreto successo sul mercato, garantendo così in parte la sopravvivenza delle piccole
comunità che abitano ancora le riserve».
La Strada dei re, cioè l’antica via carovaniera dei tempi biblici che scendeva verso sud partendo
dal Giordano e dirigendosi verso Petra, è oggi l’arteria turistica più importante della Giordania.
Per secoli, lungo il suo tracciato ricostruito dagli ingegneri romani di Traiano, merci provenienti
dalla via dell’incenso in Arabia e Yemen e dall’Asia si sono incrociate con i prodotti della costa
mediterranea e dell’Europa.
Mentre oggi, lasciata alle spalle la capitale Amman, sulla strada corrono i pullman di turisti
diretti ai castelli crociati di Kerak e Shawbak e alle suggestioni delle rosse rocce scolpite
dall’uomo e dal vento della città di Petra. A metà strada tra Madaba e le muraglie di Kerak, il
paesaggio oramai desertico è tagliato profondamente dalla gola immensa dello wadi Mujib,
dove la strada scende vertiginosamente no alle rive del torrente sbarrato da una diga per poi
risalire a fatica sul lato opposto.
La gola, da questo punto in avanti, corre attraverso il deserto in direzione ovest no a scendere
no alle rive del Mar Morto, precipitando da più di 900metri di quota no a -396, e buona parte del
suo corso è protetto da una delle riserve naturali più importanti del paese. L’accesso alla gola,
così come il centro visite e le possibilità di alloggio nei Mujib chalets gestiti dalla Rscn si trovano
all’estremità occidentale del canyon, a pochi passi dalle rive del salatissimo mare interno.
La riserva del wadi Mujib offrire itinerari escursionistici e anche spettacolari camminate tra
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cascate e specchi d’acqua (come quella che raggiunge la confluenza con il fiume Hidan) che
richiedono una guida e sacche impermeabili per il trasporto delle proprie cose. Come tutte le
guide suggeriscono, nel clima arido e secco del punto più basso della superficie terrestre
(siamo a due passi dalla biblica Sodom, che probabilmente si trovava proprio sulle rive sud del
Mar Morto) è necessario bere almeno 3 o 4 litri d’acqua al giorno, per cercare di compensare
l’umidità corporea persa per la temperatura e la mancanza di umidità nell’aria.
La strada che continua verso sud, diretta al castello di Shawbak (il più importante insediamento
crociato della Transgiordania dei crociati) porta ai margini di una delle più celebri riserve del
paese. Il bivio che scende in direzione di Dana apre le porte non solo a un ambiente naturale di
grande varietà, che scende da 1.200 metri di quota no alle massime profondità emerse del
pianeta. Ma anche al più interessante laboratorio dedicato al turismo sostenibile del paese.
Il paese di Dana aveva rischiato l’abbandono alla ne degli anni ’60 per una lunga decina d’anni,
no a che l’associazione degli Amici di Dana ha lanciato un progetto che, in collaborazione con
la Rscn di Amman, aveva lo scopo di far rinascere il villaggio. L’arrivo di acqua ed elettricità, il
restauro di una settantina di case e la fondazione di un laboratorio dedicato allo studio
dell’ambiente hanno dato il via alla resurrezione della zona e della sua natura. L’area protetta,
estesa su circa 300 chilometri quadrati, offre una sorprendente varietà biologica, con circa 700
specie vegetali, 40 di mammiferi e 200 di uccelli.
E, dal punto di vista sociale, la sintesi di quanto è avvenuto qui, tra le case di Dana al confine
del deserto potrebbe essere “prodotti antichi per nuovi mercati”: meno cammelli e capre allevati
allo stato brado (per salvare la vegetazione), più prodotti derivati dall’olivo, dalle piante officinali,
dall’agricoltura e dall’artigianato. Poi, nel 1996, la guest house della Rscn ha aperto le porte al
turismo naturalistico e, insieme con un’area di campeggio e una nuova struttura completamente
ecosostenibile ancora in fase di costruzione, offre una sosta del tutto particolare e affollata nei
mesi in cui il clima è più temperato.
Oltre le meraviglie di Petra, la Strada dei re termina e verso sud corre solo il nastro di asfalto
della grande autostrada verso Aqaba, finanziata in passato dall’Iraq di Saddam Hussein. La
discesa verso il lontano Mar Rosso, affollata dal traffico di camion che sbuffano verso Amman
dopo aver caricato merci di tutti i tipi nell’unico porto giordano, a un certo punto lascia spazio al
bivio verso est che conduce in uno dei deserti più celebri del pianeta.
Thomas Edward Lawrence, che tutto il mondo ha conosciuto grazie alle immagini spettacolari
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del kolossal Lawrence d’Arabia, amava con tutto il cuore i paesaggi del deserto e, tra questi, la
valle imponente del wadi Rum. Nelle pagine del suo libro I sette pilastri della saggezza, le
pagine dedicate alla valle sono molte, e rendono l’idea del fascino di uno dei paesaggi più belli
del mondo. «Il giorno appena nato ci vide in marcia tra due grandi picchi di roccia arenaria,
diretti al termine di un lungo dolce pendio che sembrava quasi riversarsi giù dai monti
torreggianti di fronte a noi.
Tutto il pendio era coperto di tamerici: qui, mi dissero, cominciava la valle di Rum… Le due
pareti si accostarono e la valle restò larga non più di due miglia: poi s’innalzarono sempre più,
finché i loro parapetti paralleli corsero a mille piedi sopra di noi, proseguendo per molte miglia
come una lunga strada diritta». Inserita tra le aree protette del paese, la zona del wadi Rum è
un paradiso naturalistico e paesaggistico, composto da montagne rosse e tramonti infuocati, da
notti ricche di stelle e dalle tracce degli antichi popolamenti preistorici grafite sulla roccia.
Più a sud, infine, il blu del mare finalmente tempera il brullo color ocra rossastro del deserto, e
Aqaba appare come una sfida imponente. Siamo entrati in una Free Zone, dove il governo di re
Abdallah di Giordania ha spinto sul pedale dello sviluppo offrendo poche tasse e grandi
facilitazioni agli investimenti stranieri. La città cresce a vista d’occhio e, mentre si progetta lo
smantellamento del suo porto industriale che dovrà essere trasferito verso sud al confine con
l’Arabia Saudita per lasciare spazio al lungomare turistico, un dubbio si affaccia alla mente.
Riuscirà la piccola Giordania, con i suoi 5 o 6 milioni di abitanti e i suoi grandi deserti, a
conservare l’ambiente e la natura sotto la spinta impetuosa dello sviluppo edilizio e finanziario
che sta portando qui investitori dall’Arabia e dagli Emirati, dal Libano e dalla Siria? La
scommessa è aperta e, dalla soluzione di questo dilemma, scaturirà il paese del futuro, che
speriamo somigli più alla logica che ha fatto rinascere Dana che ai modelli di sviluppo che
hanno coperto i vicini Emirati di un grigio tappeto di grattacieli.
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