56 - Arrivederci, ragazzi!

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56 - Arrivederci, ragazzi!
6 Tra storia e letteratura – Viaggio nel tempo
Louis Malle
Arrivederci, ragazzi!
Gennaio 1944: nella Francia, invasa dai nazisti, inizia la persecuzione degli ebrei. Padre Jean, rettore di un collegio vicino a Parigi, accoglie tra gli studenti alcuni ragazzi ebrei per sottrarli alla
cattura da parte dei Tedeschi.
Qualcuno però, all’interno del collegio, tradisce il segreto e i Tedeschi fanno una retata.
1. cenni imperiosi: ge-
sti di comando.
2. Müller: ufficiale del-
la Gestapo, polizia segreta tedesca durante il
nazismo.
3. marziale: militare.
4. terreo: livido, smor-
to per il terrore.
5. plico di carte: in-
sieme di carte disposte
entro una busta o un involucro sigillato.
Siamo tutti schierati in cortile, sotto le piante. Fa un freddo pungente, nessuno parla, nessuno si muove.
Non sappiamo cosa stiamo aspettando, abbiamo solo ubbidito agli
ordini muti di un soldato tedesco che ci ha allineati in quell’angolo
con grandi cenni imperiosi1.
Poi in fondo al cortile, ecco spuntare Müller2, accompagnato da altri soldati. Avanza con le mani dietro la schiena, rigido nel suo cappotto marrone, con l’andatura marziale3. Si pianta davanti alle nostre file:
«C’è qualche altro ragazzo ebreo tra di voi?» tuona la sua voce. «Rispondete!»
Gli risponde solo un silenzio denso. Müller sfila lentamente davanti
a noi, scrutandoci uno a uno, come ha fatto prima in classe. Si ferma davanti a uno dei grandi, con capelli neri ondulati e una bocca
accentuata.
«Tu, per esempio, non saresti per caso ebreo?»
Silenzio. Il poveretto non riesce nemmeno a scuotere il capo.
«Il tuo nome?»
«Pierre de la Rozière.» È un sussurro.
«Va’ a metterti là, contro al muro!»
De la Rozière trema vistosamente uscendo dalla fila, e ha il viso terreo4, mentre a passi incerti si porta all’altro lato del cortile.
Müller dà un ordine in tedesco. Un soldato con dei gradi gli si mette
al fianco, infila gli occhiali e prende un foglio da un plico di carte5.
«Gli scolari chiamati vadano a mettersi anche loro davanti al muro!»
ordina Müller. Il graduato comincia a leggere i nomi dell’elenco,
deformandoli con la sua pronuncia dura, tanto che a volte si fa fatica a capirli.
Quelli chiamati, però, riconoscono subito il suono del proprio nome
e vanno ad allinearsi vicino a de la Rozière.
«Abadie Jean Michel… D’Aguillon Emanuel… Babinot Jean
François…»
«Credi che ci portino via?» mi chiede in un soffio Boulanger che è
alle mie spalle. «Non abbiamo fatto niente, noi!»
«Anglade Bernard… Amigues Dominique…»
Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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6. scocca: lancia.
7. saio: tonaca mona-
cale di panno ruvido.
L’appello viene interrotto da un pianto lamentoso e infantile. Compare in cortile un soldato che spinge davanti a sé, mitra spianato, tre
bambine, una delle quali è molto piccola.
Müller scocca6 nella loro direzione uno sguardo divertito e s’avvicina parlando in tedesco al soldato.
«Allora, cos’è successo?» chiede poi alla maggiore delle bambine.
«Noi… eravamo venute… a confessarci per domenica», risponde la
piccola senza smettere di frignare. «E all’uscita della cappella, lui…»
si interrompe con un singhiozzo più forte dei precedenti, a cui fanno subito coro le sue compagne.
«Andate pure, carine», dice Müller sfoderando un sorriso benevolo
e dando un buffetto affettuoso sulla guancia della bimba più grande. Poi rivolto a noi:
«Questo soldato ha fatto il suo dovere: aveva l’ordine di non lasciar
uscire nessuno e l’ha eseguito», proclama col tono di chi tiene una
lezione. «La disciplina è la forza del soldato tedesco. Ed è proprio
quello che manca a voi francesi!»
Ora si volge verso il lato del cortile dove sta raggruppato il personale del collegio:
«Noi non siamo vostri nemici. Dovete solo aiutarci a sbarazzare la
Francia dagli stranieri, dagli ebrei!»
Intanto, mentre riprende l’appello e, dentro di noi, il batticuore che
l’accompagna, la porta del collegio si apre e ne escono in fila padre
Jean, Negus, Dupré e, per ultimo, Jean. Sono scortati dai gendarmi
e ciascuno di loro regge la propria valigia. Padre Jean ha indossato
una mantella sul saio7, ma i suoi piedi sono nudi nei sandali, sulla neve ghiacciata.
Il piccolo corteo passa in mezzo a noi, che ora siamo disposti ai due
lati del cortile. I tre ragazzi tengono gli occhi fissi davanti a sé, assorti, lontani. Padre Jean invece saluta con un cenno del capo il
gruppo dei frati e degli insegnanti, poi il suo sguardo si fa più morbido, mentre abbraccia il gruppo di noi ragazzi, indugia su ogni viso, ci sfiora uno a uno in un muto commiato.
Li seguiamo trattenendo il respiro, ci hanno già superati, s’avvicinano alla porta in fondo al cortile, là dove scompariranno al nostro
sguardo. All’improvviso in mezzo a noi si leva una voce, nitida, vibrante, coraggiosa:
«Arrivederci, padre Jean!»
Molte altre voci riprendono il saluto, sempre più numerose, sempre
più forti:
«Arrivederci, padre!»
«Arrivederci, padre!»
Padre Jean si gira verso di noi con un sorriso:
«Arrivederci, ragazzi!»
Il suo viso è sereno, quasi lieto, e così pure la sua voce. Sembra che
ci dica «A presto!», come per un breve distacco.
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Ma la sua figura alta e asciutta oscilla e si frantuma di fronte ai miei
occhi velati di lacrime.
Attraverso il sottile cristallo di quelle lacrime ora colgo l’immagine
di Jean che esita un attimo al limite del cancello, si volta, mi cerca
tra i compagni.
Muovo un passo verso di lui, alzo la mano in un timido cenno di saluto.
Jean è fermo e i nostri sguardi s’incontrano per l’ultima volta. Poi un
soldato bruscamente lo afferra per un braccio e lo strappa via.
Resto a fissare il vuoto dove poco prima c’era il mio amico.
La voce di padre Jean mi accompagna ancora, lontana e smorzata,
come un’eco amara: «Arrivederci, ragazzi!»
Jean Bonnet, Negus e Dupré morirono quello stesso anno ad Auschwitz. Padre Jean morì nel campo di concentramento di Mauthausen.
Il collegio dei padri Carmelitani poté riaprire le porte solo nell’ottobre del 1944.
(da Arrivederci, ragazzi, Archimede, Milano)
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