Settimo incontro: "Sopportare con pazienza le persone moleste"

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Settimo incontro: "Sopportare con pazienza le persone moleste"
“Quello che avete fatto al più piccolo fra voi…”
16 Aprile 2012
“SOPPORTARE CON PAZIENZA LE PERSONE MOLESTE”
Nelle costruzioni un sasso sostiene l'altro: se così non fosse, la casa crollerebbe.
Così dobbiamo sopportarci a vicenda, nelle famiglie e nelle società.
Gregorio Magno
Un testo celebre della tradizione cristiana, francescana in specie, ci consente di introdurci a
questa opera di misericordia in modo critico e problematico. Nei Fioretti Francesco spiega a frate
Leone in che cosa consista "la perfetta letizia" e gli dice: frate Leone, se avvenisse, a Dio piacendo,
che i frati minori dovunque si rechino dessero grande esempio di santità e di laboriosità, annota e
scrivi che questa non è perfetta letizia.
Andando più avanti San Francesco chiamandolo per la seconda volta gli diceva: O frate Leone,
anche se un frate minore dia la vista ai ciechi, faccia raddrizzare gli storpi, scacci i demoni, dia
l’udito ai sordi, fa camminare i paralitici, dia la parola ai muti, e addirittura fa resuscitare i morti di
quattro giorni; scrivi che non è in queste cose che sta la perfetta letizia.
E ancora andando per un poco san Francesco grida chiamandolo: O frate Leone, se un frate minore
parlasse tutte le lingue e conoscesse tutte le scritture e le scienze, e sapesse prevedere e rivelare
non solo il futuro ma anche i segreti più intimi degli uomini; annota che non è qui la perfetta letizia.
E andando ancora più avanti san Francesco chiamando forte diceva: O frate Leone pecorella di Dio,
anche se il frate minore parlasse la lingua degli angeli, conoscesse tutti i misteri delle stelle, tutte le
virtù delle erbe, che gli fossero rivelati tutti i tesori della terra, e tutte le virtù degli uccelli, dei pesci,
delle pietre, delle acque; scrivi, non è qui la perfetta letizia.
E andando più avanti dopo un po’ san Francesco chiamava il su compagno di viaggio: O frate
Leone, anche se i frati minori sapessero predicare talmente bene da convertire tutti i non credenti
alla fede di Cristo; scrivi non è questa la perfetta letizia.
E così andando per diversi chilometri quando, con grande ammirazione frate Leone domandò:
Padre ti prego per l’amor di Dio, dimmi dov’è la perfetta letizia. E san Francesco rispose: quando
saremo arrivati a Santa Maria degli Angeli e saremo bagnati per la pioggia, infreddoliti per la neve,
sporchi per il fango e affamati per il lungo viaggio busseremo alla porta del convento. E il frate
portinaio chiederà: chi siete voi? E noi risponderemo: siamo due dei vostri frati. E Lui non
riconoscendoci, dirà che siamo due impostori, gente che ruba l’elemosina ai poveri, non ci aprirà
lasciandoci fuori al freddo della neve, alla pioggia e alla fame mentre si fa notte. Allora se noi a
tanta ingiustizia e crudeltà sopporteremo con pazienza ed umiltà senza parlar male del nostro
confratello, anzi penseremo che egli ci conosca ma che il Signore vuole tutto questo per metterci
alla prova, allora frate Leone scrivi che questa è perfetta letizia. E se noi perché afflitti,
continueremo a bussare e il frate portinaio adirato uscirà e ci tratterà come dei gaglioffi importuni,
vili e ladri, ci spingerà e ci sgriderà dicendoci: andate via, fatevi ospitare da altri perché qui non
mangerete né vi faremo dormire. Se a tutto questo noi sopporteremo con pazienza, allegria e buon
umore, allora caro frate Leone scrivi che questa è perfetta letizia.
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E se noi costretti dalla fame, dal freddo e dalla notte, continuassimo a bussare piangendo e
pregando per l'amore del nostro Dio il frate portinaio perché ci faccia entrare. E questi furioso per
cotanta molesta insistenza si riprometterebbe di darci una sonora lezione, anzi uscendo con un
grosso e nodoso bastone ci piglierebbe dal cappuccio e dopo averci fatto rotolare in mezzo alla
neve, ci bastonerebbe facendoci sentire uno ad uno i singoli nodi. Se noi subiremo con pazienza ed
allegria pensando alle pene del Cristo benedetto e che solo per suo amore bisogna sopportare,
caro frate Leone, annota che sta in questo la perfetta letizia. Ascolta infine la conclusione, frate
Leone: fra tutte le grazie dello Spirito Santo e doni che Dio concede ai suoi fedeli, c'è quella di
superarsi proprio per l'amore di Dio per subire ingiustizie, disagi e dolori ma non possiamo vantarci
e glorificarci per avere sopportato codeste miserie e privazioni perché questi meriti vengono da
Dio. Infatti le sacre scritture dicono: cosa hai tu che non sia stato concesso da Dio? E se tu hai
ricevuto una grazia da Dio perché te ne vanti come se fosse opera tua? Noi ci possiamo gloriare
nella nostra croce fatta di sofferenze e privazioni. Sul Vangelo sta scritto: Io non mi voglio gloriare
se non nella croce di nostro Signore Gesù Cristo.
Il testo ci interroga: chi è "molesto" in questo racconto? I due frati che bussano cercando
con insistenza riparo dal freddo e dalla notte? O chi non li vuole accogliere adducendo pretesti e
non ascoltando ragioni? Cioè: quando una persona è sentita come molesta? Quando, e perché, ci
disturba? Quando sentiamo che una persona è insopportabile? Perché un determinato
comportamento di una persona ci infastidisce?
Nel percepire fastidio di fronte a qualcuno e nel sentirne l'insopportabilità vi è anche una
rivelazione di noi a noi stessi. Nel sentire una persona come fastidiosa e molesta ci può essere
semplicemente l'espressione di sentimenti egoistici e razzisti o di paura e di rifiuto di confronto.
Si può pensare al sentimento che molti provano nei confronti degli immigrati che giungono nel
nostro paese.
Inoltre questo testo presenta un caso clamoroso di rifiuto della pazienza e della
sopportazione verso chi viene sentito come fastidioso, ma anche un caso eroico di sopportazione
e pazienza verso la non sopportazione altrui trasformatasi in violenza aggressiva. Questa
sopportazione è fondata sul Vangelo e sull'esempio di Cristo e resa possibile dalla fede. Francesco
infatti prosegue il discorso a frate Leone affermando che grazia dello Spirito santo è di poter
"vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi", senza vantarsi di questo, ma ponendo il proprio vanto unicamente nella croce di Cristo:
"Nella croce della tribolazione e dell'afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l'Apostolo: Io
non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo (Gal 6, 14)". Il riferimento
a Cristo e alla sua croce è riferimento al vertice della storia di Dio con l'umanità che è anche storia della pazienza di Dio verso l'uomo e della sua sopportazione verso il popolo "dalla dura
cervice". È la storia della perseverante fedeltà di Dio nei confronti di un popolo infedele. La
pazienza di Dio non è affatto impassibilità o passività, ma è "il lungo respiro della sua passione",
passione di amore che accetta di soffrire attendendo i tempi dell'uomo, la sua conversione: "Il
Signore non ritarda nell'adempiere la promessa, ma usa pazienza (makrothymeì) verso di voi, non
volendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano a conversione" (2 Pt 3,9). Per questo, il tempo
concesso all'uomo va considerato come narrazione della "longanimità" di Dio, della sua
makrothymia. e dunque colto come "salvezza"(2 Pt 3,15).
La pazienza di Dio appare frutto della scelta di Dio, della sua volontà, di un lavoro
interiore in cui egli è messo a confronto con la possibilità di lasciar esplodere la sua ira. Dice il
Siracide: "Non dire: Ho peccato, e che cosa mi è successo?" perché il Signore è paziente. Non dire: La
sua compassione è grande; mi perdonerà i molti peccati", perché presso di lui c’è misericordia e ira,
e il suo sdegno si riverserà sui peccatori" (Sir 5, 4.6). L'ebraico biblico parla di Dio come "lento all'ira"
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per indicare la sua pazienza. Pazienza che è dunque intenzione di amore verso l'uomo, ma anche
sofferenza di fronte al peccato dell'uomo: "Fino a quando sopporterò io questa comunità malvagia
che mormora contro di me?", dice Dio a Mosè e Aronne (Nm 14, Z7). La pazienza infatti non vuole
divenire complice del male commesso (cfr. Ger 44. 22). La pazienza divina non è assenza di collera,
ma capacità di elaborarla, di domarla, di frapporre un'attesa fra il suo insorgere e il suo
manifestarsi. La pazienza è lo sguardo grande di Dio nei confronti dell'uomo, sguardo che non si
arresta al dettaglio, all'incidente di percorso, non considera come ultimativo il peccato, ma lo
colloca all'interno dell'intero cammino esistenziale che l'uomo è chiamato a percorrere. Pertanto
essa espone Dio al rischio di non essere preso sul serio, di essere "usato" dall'uomo. Paolo chiede
retoricamente al giudeo: "ti prendi forse gioco della pazienza di Dio?" (cfr. Rm 2, 4).
In Cristo, e particolarmente nella sua passione e morte, la pazienza di Dio raggiunge il suo
vertice in quanto assunzione radicale dell'inadeguatezza e debolezza dell'uomo, del suo peccato. In
Cristo, Dio accetta di "portare il peso", di "sopportare" l'incompiutezza e inadeguatezza umane
assumendo la responsabilità dell'uomo nella sua fallibilità. La "pazienza di Cristo" (2 Ts 3, 5) esprime così l'amore di Dio, ne è sacramento: "l'amore ". infatti, "pazienta (makrothymeì)" (1 Cor 13.
4): "l'amore tutto sopporta (hypoménei)" (1 Cor 13. 7).
La parola greca per 'pazienza', hypomone, significa in realtà 'rimanere al di sotto', ma allo
stesso tempo anche 'dimostrare fermezza', respingere un attacco. La pazienza, quindi, non è
qualcosa di puramente passivo. Ha senz'altro la capacità di sostenere qualcosa, senza cedere. Ma
è anche la resistenza contro forze ostili. Non si rinuncia, bensì si lotta con pazienza. Si resiste. Per i
primi cristiani era richiesta la pazienza sotto forma di resistenza e perseveranza nella
persecuzione. Paolo esorta i romani: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione,
perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12). In greco in questo passo c'è scritto hypoménontes =
siate saldi, restate in piedi, opponete resistenza. Il latino traduce questa parola con patientes,
che indica piuttosto il tollerare passivamente, il subire.
Se consideriamo la sopportazione paziente delle persone moleste sullo sfondo delle
affermazioni bibliche, può volere dire: «Non date a quelli che vi molestano tanto potere. Rimanete
saldi. Mostrate capacità di resistenza. Non crollate! Rimanete in voi. Non lasciatevi piegare. Al
fratello molesto, alla sorella fastidiosa è concesso essere come sono. Ma non farti condizionare da
loro. Stai dalla loro parte. Ma non portare per intero il loro peso. Perché sono loro a doverlo
portare. Aiutali a portarlo, affinché abbiano il loro posto nella comunità. Ma non lasciare che la
comunità sia determinata da loro. Ciò la schiaccerebbe e basta. Se hai in Cristo la tua base, il tuo
fondamento, puoi portare anche le persone deboli e moleste senza finire in pezzi».
Sopportare pazientemente le persone moleste volge l'obiettivo sulle persone. Molesto è
qualcuno che ci è di peso, che ci molesta, che ci accolla un peso. Spesso usiamo questa parola nel
senso di 'sgradevole'. Molesto è qualcuno che mi risulta sgradevole, che pesa su di me, che mi dà
ai nervi con il suo comportamento. Anche qui quest'opera di misericordia non significa che
subisco tutto passivamente e sopporto ogni persona, per quanto mi sia molesta. Devo piuttosto
distinguere adesso che cosa sia più nello spirito di Gesù.
Talvolta è conforme allo spirito di Gesù che io ammonisca l'altro, che gli dica che mi risulta
molesto e che mi molesta. Faccio notare all'altro che con il suo comportamento non si fa degli
amici, ma complica la vita anche a se stesso. Il parlare del problema è sempre legato alla speranza
che l'altro possa cambiare e, in questo modo, rendere le cose più semplici a se stesso e agli altri.
Un'altra strada nei confronti delle moleste consiste nel prendere le distanze. Soprattutto
nel caso delle persone che non accettano limiti è importante insistere sul confine che delimita la
nostra sfera personale e proteggersi dalle persone incapaci di rispettarla. In questi casi ho bisogno
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almeno del distacco interiore da quella persona, affinché il suo peso non mi schiacci.
Questi due comportamenti da soli, però, non bastano nel rapporto con le persone
moleste. Nella convivenza in una comunità, in un'azienda, nella famiglia, c'è sempre una parte
dell'altro che devo sopportare. Non posso eliminare il peso dell'altro né con un colloquio, né
prendendo le distanze da lui, né lottando contro di lui. Il prendere le distanze, infatti, può anche
portare a rompere ogni relazione.
La terza via è appunto sostenere e sopportare la persona così com'è. Paolo definisce
questo sopportare la legge di Cristo: «Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di
Cristo» (Gal 6,2). Alla lunga una comunità può sussistere soltanto se i singoli sono disposti a
sopportarsi a vicenda. San Benedetto lo sapeva, quando, al termine della propria Regola, intima
ai monaci: «Sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri» Questo
sopportare le debolezze dell'altro per Cassiano, il monaco-scrittore che segue in molte cose san
Benedetto, è sempre un segno di forza: «Chi tollera e sopporta l'altro si dimostra forte; chi invece
ha una disposizione d'animo debole, quasi malata, va trattato con cautela e dolcezza».
Tutte le altre opere di misericordia consistono sempre in un agire attivo. Questa opera di
misericordia spirituale sembra consistere in un subire passivamente. Ma non è così. Anche il
sopportare è qualcosa di attivo. Esige una buona capacità di resistenza. Ha bisogno
dell'allenamento nel mantenere la posizione in maniera corretta. Devo essere in equilibrio per
poter sostenere anche quelli che non hanno un equilibrio. Non crollerò sotto questo peso.
Rimango in me, in Cristo. Rimango saldo e non mi lascio mettere in fuga. Questo rimanere fermi in
maniera salda, 'paziente', è sorretto dalla speranza che anche coloro che non hanno stabilità, e
perciò desiderano appoggiarsi a coloro che mostrano fermezza, prima o poi riusciranno ad
accettarsi. Allora il peso che adesso ancora rappresentano cadrà dalle nostre spalle. Li abbiamo
sorretti finché erano ancora deboli. Ma non li abbiamo portati con le nostre forze, bensì nella
forza di Gesù Cristo. E ci è lecito sperare che questa forza di Cristo fluisca attraverso di noi anche in
coloro che sopportiamo pazientemente.
La pazienza è tale nell'ottica della Bibbia soltanto se è ricolma di speranza. Nella lettera ai
Romani Paolo dice: «Ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno
già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con
perseveranza» (Rm 8,24s.). Possiamo sopportare pazientemente l'altro perché portiamo in noi la
speranza in ciò che adesso ancora non vediamo: la forza dell'altro, la trasformazione dell'altro in
un fratello o in una sorella ricolmi dello Spirito di Gesù. In un altro passo della lettera ai Romani
Paolo torna a parlare del rapporto tra pazienza e speranza: «La tribolazione produce pazienza, la
pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché
l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato»
(Rm 5,3-5).
La speranza nella trasformazione del fratello o della sorella si fonda nell'amore che è già
stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, compresi i cuori dei fratelli e delle
sorelle. La speranza spera in ciò che ancora non vede. Nel fratello o nella sorella molesti non vedo
ancora nulla dell'amore. Ma il sopportare pazientemente è nutrito dalla speranza che negli altri si
trovi l'anelito d'amore, anzi, che l'amore di Dio sia già stato riversato nel loro cuore, anche se
ancora non ce ne accorgiamo.
La pazienza è l'arte di vivere l'incompiutezza. E l'incompiutezza noi la incontriamo negli
altri, ma anche in noi stessi, nella realtà e in Dio. La sopportazione paziente dell'altro che è sentito
come fastidioso o ostile va di pari passo con la pazienza verso se stessi e le proprie incongruità,
verso gli eventi che resistono ai nostri desideri e alla nostra volontà, verso Dio il cui disegno di
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salvezza resta incompiuto. Non ci viene mai da pensare che il molesto da sopportare
pazientemente non siamo noi a noi stessi? In altre parole: io mi sopporto con pazienza?
Sopporto le cose di me che mi ‘molestano’?
Nella tradizione cristiana la pazienza ha potuto essere considerata una virtù, perfino "la più
grande virtù".
Oggi però la pazienza ha perso molto fascino: i tempi frettolosi spingono all'impazienza, al
non differimento, al "tutto e subito", al possesso che non lascia spazio all'attesa. L'individualistica
affermazione di sé diventa non volontà di attesa e di comprensione dell'altro che troppo
rapidamente rischia di diventare molesto o fastidioso, certamente di intralcio. Per cui la pazienza,
che era modalità sapiente e umana di abitare il mondo, è ormai posta nel dimenticatoio. "La lenta
maturazione della cose è sentita come intollerabile... Il mondo moderno ha dimenticato le virtù della
pazienza. L'azione rapida ed efficace in cui tutto viene impegnato in una volta sola ha offuscato
l'oscuro splendore della capacità di attendere e di patire" (Emmanuel Lévinas). Al tempo stesso,
occorre realisticamente riconoscere che pazienza non è sempre una virtù, così come l'impazienza
non è affatto sempre una non-virtù. Una pazienza che inibisca la capacità umana (del singolo come
di un popolo) di dire "no" di fronte al perpetuarsi di un abuso, di una violenza, di un sopruso, di
uno sfruttamento, è una perversione della pazienza che diviene complice dell'ingiustizia e non è
né umana né evangelica.
La perversione di una virtù diviene costruzione di un inferno: una pazienza che diventi
passività e rassegnazione è semplicemente da rigettare. La pazienza evangelica è attiva,
intelligente e coraggiosa opera di ‘smontaggio’ dei meccanismi di provocazione del persecutore rifiutandosi di rispondere al male con il male, di offrirsi al nemico in qualità di avversario. Con la
pazienza non cedo alla tentazione mimetica di fare come il malvagio, di scendere sul suo piano, di
usare le sue armi.
Ma occorre ricordare il diritto alla collera che osa dire e gridare "basta!", come fa Dio nei
confronti delle ingiustizie che imperversano nel mondo e di cui si fanno ministri i profeti, come fa
Gesù quando grida le sue invettive contro gli uomini religiosi o quando scaccia dal tempio i venditori
e i compratori e rovescia i tavoli dei cambiavalute. Se l'impazienza può divenire cancellazione
dell'alterità e della distanza che ci mantengono in un rapporto corretto con Dio e con gli altri, la
pazienza può diventare fatalismo, rifiuto della necessaria decisione che spezza l'inerzia del tempo e
può condurre l'uomo a sparire, ad annientarsi a non assumere la responsabilità di diventare
uomo.
Senza contare che vi è un contenuto che determina la bontà o meno della pazienza.
Agostino ricorda la grande pazienza di cui danno prova tanti uomini per "le false ricchezze, i vani
onori e le frivole soddisfazioni " e elenca l'incredibile capacità di sopportazioni di disagi di ogni tipo
che il criminale pone in atto per compiere la sua azione delittuosa. Sicché per Agostino vi è una
vera e una falsa pazienza. In uno scritto sulla pazienza, Lévinas sembra echeggiare Agostino quando
afferma che "occorre decisamente troppa virtù per commettere un crimine'.
La pazienza è un’arte. Più spesso invece subisce colui che non pazienta. La paziente, ma
libera e amorosa sopportazione di chi è fastidioso, antipatico, noioso, lento, é in linea con l'amore
del nemico. E chiede lavoro su di sé per imparare a conoscere e ad amare il nemico che è in noi,
ciò che in noi è molesto e insopportabile a noi stessi. E che Dio in Cristo, ha sopportato
pazientemente amando noi in modo incondizionato.
Allora la pazienza diviene apertura di futuro per l'altro, conferma di fiducia in lui, lotta
insieme a lui e per lui contro la tentazione della disperazione. Infatti, "è proprio per la pazienza di
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Dio che ci è consentito di sperimentare la forza superiore dell'amore mentre tolleriamo il prossimo
nella sua contraddittorietà, nei suoi lati negativi e nella sua colpa. Chi esercita questa pazienza è in
grado anche di entrare in tutta libertà nel mondo del nemico e di cominciare a riconoscere proprio
in lui colui che Dio ama. a rispettarlo nel suo mondo e comunque ad assicurargli il proprio amore"
(U. Falkenroth).
PER LA PREGHIERA
"Non è molto forte chi si lascia abbattere dalla iniquità altrui. Chi non sa sopportare le
contrarietà, è come se si uccidesse con la spada della sua propria pusillanimità. Dalla pazienza
nasce poi la perfezione. Infatti è davvero perfetto chi non perde la pazienza per le imperfezioni del
suo prossimo. Chi si impazientisce per i difetti altrui, ha in questo la prova d'esser ancora
imperfetto".
Gregorio Magno
C'è un precetto salutare
del nostro Signore e maestro che dice:
“Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo” (Mt 10,22).
E un altro: “Se rimarrete nella mia parola
sarete veramente miei discepoli,
conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).
Bisogna essere pazienti e perseveranti,
fratelli carissimi, affinché,
dopo essere stati ammessi alla speranza
della verità e della libertà,
possiamo giungere alla verità
e alla libertà vere e proprie.
Il nostro stesso essere cristiani
è questione di fede e di speranza,
ma perché fede e speranza possano conseguire
il loro frutto è necessaria la pazienza.
Non perseguiamo, infatti,
una gloria per l'immediato,
ma una gloria futura.
Attesa e perseveranza sono dunque necessarie
per portare a compimento
ciò che abbiamo cominciato ad essere
e per entrare in possesso di ciò
che speriamo e crediamo per divina garanzia.
Cipriano di Cartagine
Elogio della pazienza
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La pazienza
1.Mi dice: "Sii paziente e assennato. Dominerai tutte le azioni malvagie e opererai ogni giustizia. 2.
Se sarai paziente lo Spirito Santo che dimora in te sarà puro e non offuscato da altro cattivo
spirito. Abitando un luogo grande si rallegrerà ed esulterà col corpo in cui abita e servirà il Signore
con molta gioia. Ha in sé la felicità. 3. Se sopraggiunge una collera, subito lo Spirito Santo, che è
delicato, si angustia non avendo il luogo puro, e cerca di allontanarsi. È come soffocato da un
cattivo spirito, senza lo spazio per servire il Signore come anela, perché è contaminato dalla
collera. Nella magnanimità abita il Signore, nella collera il diavolo. 4. È incompatibile e dannoso
per l'uomo in cui abitano che i due spiriti dimorino insieme. 5. Se tu prendi un pochettino di
assenzio e lo versi in un vaso di miele, non si guasta tutto il miele? Tanto miele viene rovinato da
pochissimo assenzio che distrugge la dolcezza del miele e non è gradito al padrone perché fu reso
amaro e inutilizzabile. Se, invece, non si versa l'assenzio nel miele, il miele rimane dolce ed è assai
gradito al suo padrone. 6. Considera che la pazienza è assai dolce, superiore al miele, e tanto si
addice al Signore. In essa abita. La collera è amara e funesta. Se tu mescoli la collera alla pazienza,
la pazienza si contamina e non è più utile la sua preghiera a Dio. 7. "Vorrei, signore, conoscere
l'azione della collera per guardarmene". Mi dice: "Se non te ne guarderai con la tua famiglia,
perderai ogni speranza. Ma tieniti lontano; io sono con te. Saranno lontani dalla collera quanti
fanno penitenza con tutto il loro cuore, poiché sarò con loro e li salverò. Tutti furono giustificati
dall'angelo santissimo".
La collera
1. "Ascolta, dice, l'azione della collera come è perversa, e come travolge con il suo impeto i servi di
Dio e come li devia dalla giustizia. Non devia quelli che sono pieni di fede, nè può agire contro di
loro perché la forza del Signore è con loro. Fa deviare quelli che sono vuoti e incerti. 2. Se vede tali
uomini che se ne stanno tranquilli, si insinua nel cuore di qualcuno e per un nulla l'uomo o la
donna si trova nell'ira o per le faccende del vivere o per i cibi o per qualche futilità o per qualche
amico o per il dare o l'avere o per simili cose inutili. Queste sono cose futili, vane, stolte e dannose
per i servi di Dio. 3. La pazienza, invece, è grande e forte ed ha un vigore formidabile, saldo e
prospero e si estende largamente. La pazienza è gioiosa, contenta, senza preoccupazioni, e
magnifica il Signore in ogni tempo. Nulla ha in sé di aspro e rimane sempre calma e tranquilla. La
pazienza abita con quelli che hanno una fede perfetta. 4. La collera per prima cosa è stolta, leggera
e pazza. Dalla stoltezza nasce l'asprezza, dall'asprezza l'animosità, dall'animosità l'ira, dall'ira il
furore. Il furore, poi, che si compone di tanti mali, è un peccato grande e inguaribile. 5. Quando
tutti questi spiriti abitano in un corpo, ove dimora anche lo Spirito Santo, quel corpo non li
contiene, ma trabocca. 6. Lo spirito delicato, non avendo, dunque, dimestichezza nell'abitare con
lo spirito cattivo, né con la durezza, si allontana da un tale uomo e cerca di abitare con la
mansuetudine e la serenità. 7. Quando si allontana dall'uomo in cui abita, l'uomo diventa privo
dello spirito giusto e, pieno di spiriti malvagi, si agita in ogni sua azione. Tirato qua e là dagli spiriti
malvagi, rimane del tutto cieco nel buon discernimento. Così capita a tutti gli iracondi. 8. Lungi
dall'ira, lo spirito perverso! Rivestiti di pazienza, resisti alla collera e all'asprezza e sarai con la
saggezza amata dal Signore. Vedi di non trascurare questo precetto. Se te ne impadronisci, potrai
osservare anche gli altri precetti che ti devo ordinare. Sii forte e incrollabile in essi, e siano
incrollabili tutti quelli che vogliono camminare nella loro via".
Pastore di Erma
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E SE LA PERSONA DA SOPPORTARE PAZIENTEMENTE FOSSI IO STESSO???
Il Signore ti dice come a Matteo: “Seguimi” (cf. Mt 9,9). Tu, dunque, seguendo prontamente il tuo
desideratissimo Signore, se lungo la via della vita inciampi con il tuo piede nella pietra di una
passione (cf. Sal 90 [91],12), e cadi inaspettatamente in peccato, oppure se molte volte trovandoti
in luoghi fangosi, involontariamente scivoli e cadi, per quante volte tu possa cadere e farti del
male, altrettante rialzati con prontezza, segui il tuo Signore fino a raggiungerlo … Alcuni fratelli,
che erano continuamente malati e non potevano praticare il digiuno, mi dicevano: “Come
possiamo, senza il digiuno, liberarci dal diavolo e dalle sue passioni?”. A costoro bisogna dire:
“Non è soltanto con l’astinenza dai cibi, ma anche con il grido del cuore che potete estirpare e
bandire le cattiverie e quanto esse suggeriscono. E detto infatti: Nella loro afflizione hanno gridato
al Signore ed egli li ha liberati. E sta scritto anche: Dal ventre degli inferi hai udito il grido della mia
voce e: ‘Salga dalla corruzione la mia vita’. Perciò finché non sia passata l’iniquità, cioè il
turbamento provocato dal peccato, griderò a Dio, l’Altissimo, affinché ci faccia questo grandissimo
dono a nostro beneficio, faccia scomparire lo stimolo del peccato con il suo potere, cancelli gli idoli
dall’animo vinto dalle passioni, liberi dagli idoli la nostra Atene [cioè la nostra anima] piena di idoli.
Se dunque non hai ricevuto il carisma del dominio di te, sappi che il Signore vuole che le tue
domande siano esaudite attraverso la preghiera e la speranza. Se dunque conosci il giudizio del
Signore, non scoraggiarti per la debolezza della tua ascesi, cerca piuttosto di liberarti dal nemico
attraverso la preghiera e una riconoscente sopportazione. Se i pensieri di debolezza e di miseria vi
scacciano dalla città del digiuno, fuggite in un’altra, cioè nella preghiera e nel rendimento di grazie
… Fa’ di tutto per non cadere, perché cadere non è degno del forte che lotta. Se ti capita di cadere,
subito balza in piedi e riprendi la bella lotta; anche se ti accadesse di cadere innumerevoli volte
per il sottrarsi della grazia, innumerevoli volte rimettiti in piedi, fino alla tua morte. Sta scritto
infatti: “Se il giusto cade sette volte, cioè tutta la vita, sette volte si rialzerà”
Giovanni Carpazio
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