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Corrado Bogliolo
Dario Capone - Ilaria Genovesi - Antonio Puleggio
DALLA SCULTURA
ALLA RAPPRESENTAZIONE
SPAZIALE DELLA FAMIGLIA
Trasmissione transgenerazionale,
evocazioni, emozioni nella formazione e
in psicoterapia
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Capitolo 1
Le origini e gli sviluppi della scultura della famiglia
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ANTONIO PULEGGIO
1. Premesse storico-epistemologiche
1.1. Origini ed evoluzione
1.2. Autori contemporanei
Anna Maria Nicolò Corigliano
Philippe Caillé
Luigi Onnis
2. La scultura in psicoterapia familiare: aspetti clinici
2.1. La dimensione metaforica
2.2. La prassi tradizionale
2.3. I limiti imposti dalla disfunzionalità
2.4. Il “momento” per la scultura
3. La scultura nella formazione degli psicoterapeuti
3.1. Il contesto formativo
3.2. La scultura del gruppo
3.3. La scultura della propria famiglia
3.4. La scultura nella supervisione
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Capitolo 2
La trasmissione transgenerazionale
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CORRADO BOGLIOLO
1. Il dibattito dagli inizi
1.1. Interpretazioni psicodinamiche
1.2. L’approccio sistemico-relazionale
2. La scultura come “rappresentazione spaziale”
2.1. Il contesto
2.2. La disposizione spaziale rivela relazioni e storie
2.3. Lo spazio scenico
Capitolo 3
Le applicazioni – 1
1. La rappresentazione spaziale nella formazione
CORRADO BOGLIOLO
1.1. La procedura
1.2. Compiti e ruolo del conduttore
1.3. La rappresentazione della famiglia del futuro terapeuta:
la prassi
Un esempio introduttivo
La famiglia di Monica
La famiglia di Alessandra
La famiglia di Giuliana
La famiglia di Livia
Resoconto di una esperienza personale
Le applicazioni – 2
2. La rappresentazione spaziale in psicoterapia familiare
e nella supervisione
DARIO CAPONE - ILARIA GENOVESI
2.1. Introduzione
2.2. Il contesto terapeutico e la rappresentazione spaziale
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Aspetti teorico-clinici
La prassi
Il ruolo del terapeuta
Evocazioni, convocazioni, rappresentazioni
La narrazione
2.3. Casi clinici
La famiglia Orsi
Una coppia in difficoltà e la richiesta di adozione
La rappresentazione spaziale della famiglia del terapeuta
in supervisione
Bibliografia
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Capitolo 1
Le origini e gli sviluppi della scultura della famiglia
ANTONIO PULEGGIO
1. Premesse storico-epistemologiche
L’essere umano impara a dissimulare le emozioni, secondo sovrastrutture educative che hanno la funzione di difesa rispetto alle
aggressioni dell’ambiente: nella nostra cultura è disdicevole apparire fragile, debole o insicuro. La dissimulazione si serve soprattutto della parola e spesso diviene un vero e proprio paravento delle
emozioni e delle idee: non elicitando le proprie emozioni e aderendo
agli stereotipi emozionali del conformismo, si presume di ottenere
accettazione e appartenenza al gruppo sociale. Dato che ogni flusso
emozionale è intimamente intessuto di significato (ideo-affettività),
nessun cambiamento, tanto più quello psicoterapico, può avere luogo senza produrre un cambiamento cognitivo ed emozionale. Quanto detto a proposito delle risposte individuali vale, ovviamente, nei
modelli sistemici che riguardano la famiglia, che può essere considerata un’unità emozionale e alla quale, con Gregory Bateson, può
essere assegnata una mente. Ad essa si possono attribuire gli stessi
meccanismi di dissimulazione o di paravento, che solitamente sono
connessi al suo gradiente di rigidità o di disfunzione.
Nell’approccio sistemico-relazionale, i processi evolutivi della teoria sono stati resi possibili dalla necessità di dotarsi di nuovi
strumenti clinici, più idonei al trattamento di sistemi dal difficile
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equilibrio e dall’organizzazione disfunzionale. L’esigenza clinica
del risultato, il desiderio di offrire delle risposte più efficaci, hanno
spinto molti studiosi a cercare nuove strategie e nuove modalità, più
idonee a rispondere alla sofferenza individuale o sistemica.
Tra queste opportunità, l’esigenza di “raccontare” la famiglia,
utilizzando la modalità rappresentativo-figurativa, è presente in
gran parte della letteratura sistemico-relazionale. Il processo di presentazione per mezzo di immagini, offre, al terapeuta ed ai componenti della famiglia, un’occasione di “descrizione delle relazioni”,
ma anche di un “viaggio temporale”, che diviene strumento di confronto e consapevolezza narrativa. Le immagini, infatti, consentono
la composizione di una rappresentazione simbolica più estesa dei
fenomeni che comunemente si manifestano sul piano dei vissuti e
degli agiti.
Le tecniche utilizzate, come rappresentazioni del sistema familiare, prendono avvio da un’origine bidimensionale: una per tutte,
quella del genogramma, ma possiamo ricordare anche la fotografia,
considerata un elemento integrativo di indagine e intervento dinamico sulla famiglia1.
Di fatto l’esperienza della rappresentazione iconografica permette la colleganza e l’accesso a mondi di significato interni al sistema,
non direttamente accessibili o meta-comunicabili, sovente protetti
da meccanismi di difesa, celati o occultati all’interno dei codici digitali del canale verbale, che spesso si rivela depauperato di gran parte
della tonalità emotiva originaria. La rappresentazione iconografica
si offre come un primo livello descrittivo, efficace soprattutto per
la distanza che si crea tra la storia, i protagonisti e loro rappresentazione narrata: ciò può facilitare l’ascolto reciproco, la rilettura degli
eventi ed una nuova narrazione.
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Saccu, uno dei suoi utilizzatori, chiede ad esempio ai componenti di una famiglia
di portare nelle prime sedute alcune fotografie, poche ma significative. Si vuole evocare
così momenti importanti e significativi della loro vita, facendo leva sui contenuti affettivi della memoria autobiografica familiare. Egli sostiene che “Le foto della memoria
sono sempre profondamente connesse con il mondo affettivo ed emozionale delle persone e si rivelano un materiale prezioso” (Saccu C., 2010).
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Un altro strumento che ha utilizzato la dimensione rappresentativo-figurativa (riportando l’organizzazione spaziale in forma bidimensionale) è il Family Life Space, ovvero il disegno simbolico dello spazio di vita familiare. Il Family Life Space aveva l’ambizione di
esprimere e rappresentare pensieri e stati del luogo familiare.
Si rappresenta su un foglio, con un cerchio, la metafora della famiglia: nella rappresentazione grafica si pongono i personaggi. Qualcuno in posizione più centrale, altri in posizione più periferica, rispetto al centro del sistema. Chi se ne pone al di fuori non si sente
appartenente a quel sistema. In altre parole all’interno del cerchio le
persone sono chiamate a posizionare se stesse e altri soggetti emotivamente significativi. “Il presupposto di partenza è la rappresentabilità spaziale della realtà psichica: strutture e dinamiche in atto nelle
persone e nelle loro relazioni, in questo caso familiari, possono essere rappresentate attraverso semplici segni grafici che rispondono a
necessità interiori” (Mostwin D., 1980)2.
È interessante, nel ricorso a figure simboliche, citare anche una
pratica conosciuta sotto il nome, certo non originale, di Family
Sculpture. Di essa si deve assegnare la paternità al terapeuta familiare norvegese David Kvebaek, il quale, nel tentativo di chiarire
situazioni familiari complicate alla sua équipe, cominciò ad usare
delle statuette di legno, dapprima per spiegare le dinamiche della
famiglia ai colleghi, più avanti proponendo la figurazione direttamente ai clienti, sia alla presenza della famiglia, sia individualmente
(Fig. 1).
2 Il Family Life Space è uno strumento ideato da Danuta Mostwin alla fine degli
anni Settanta. Fu concepito per utilizzare lo spazio come dimensione proiettiva per
accedere a informazioni sulla famiglia; ha valenza diagnostica, rilevando quantità e
qualità dei legami, la tensione esistente nelle relazioni, la configurazione strutturale, il
grado di coesione e di distinzione familiare, il rapporto tra interno ed esterno familiare,
la presenza di un eventuale spazio trasformativo. Si ritiene inoltre abbia valenza consulenziale e terapeutica, aiutando a spostare il focus dal paziente designato alle dinamiche
relazionali, impegnando i membri del sistema familiare in un processo di auto-osservazione, promuovendo un processo di comunicazione reciproca.
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Fig. 1. La disposizione spaziale delle statuette è generatrice non solo di
informazioni, ma anche di profonde emozioni e comprensioni.
Si tratta di una singolare “costruzione” della famiglia, derivata a
sua volta dalle più note descrizioni grafiche. È un processo intuitivamente facile, una particolare scultura, destinata a esprimere relazioni
umane, che fu proposta negli anni ’60. Sul suo metodo si è sviluppato un test (KFST, Kvebaek Family System Test) che consiste nella
disposizione spaziale di una serie di statuette che rappresentano i
personaggi chiamati in causa per la descrizione delle relazioni esistenti in una famiglia. Può indurre l’immagine della famiglia interna
quale è vissuta da ciascun suo componente. Talvolta lo scultore può
voler aggiungere il proprio gatto, o un amico significativo. È molto
efficace coi bambini o con persone con difficoltà di linguaggio.
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Fig. 2. In questo caso una bambina descrisse il proprio senso di solitudine
rispetto al resto della famiglia, ma anche aggiunse, accanto a sé, l’adorato
gatto.
Per la verità possono essere disposti nello spazio anche oggetti
di vario tipo, che vengono collocati simbolicamente in relazione fra
loro e con la persona che sta rappresentando la propria famiglia.
Quindi anche piccoli personaggi di plastica con fattezze umane, oppure fogli su cui si scrive il nome della persona rappresentata, oppure altri oggetti simbolici. Nella terapia individuale, si chiede ai
personaggi, per bocca del protagonista, come si sentono in quella
posizione; possono essere spostati, creando una nuova disposizione.
Questi semplici metodi possono far riflettere una persona sulle relazioni tra i suoi familiari e di lei con loro. Il che può essere riferito anche a generazioni diverse, ed aiutare a capire le relazioni e i legami
che si creano tra gli individui di una famiglia, di entrare in contatto
con la loro influenza e con la forza vitale trasmessa da generazioni.
Nel lavoro individuale, può essere l’occasione per ampliare l’esplorazione della propria famiglia.
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Infine, una tecnica di rappresentazione familiare, profondamente
diversa, che offrirà degli spunti per studiare le relazioni familiari
utilizzando corpi reali, sarà lo psicodramma di Moreno.
Lo psicodramma di J.L. Moreno (1987) è una forma di psicoterapia che in genere viene realizzata in gruppo.
Durante le sedute ciascun paziente in qualche modo mette in scena
le proprie vicende interiori, passate o presenti. In questo modo, realizza una vera e propria drammatizzazione di quanto sta vivendo a
livello intrapsichico con l’obiettivo di potersi riappropriare di parti di sé che non sente proprie. In parole, “recitando” ciò che sente
dentro di sé, gradualmente recupera un senso di sé unitario, e può
integrare, e sentire come proprie e non scollegate da sé, quelle parti
che sente non appartenenti a lui. Grazie al fatto di realizzare l’esperienza all’interno del gruppo, si viene a verificare anche quella che
viene definita una catarsi delle tensioni e dei blocchi, del disagio
profondo, come avveniva nelle rappresentazioni misteriche dell’antica Grecia, dalle quali nacque il teatro.
È importante ricordare questa tecnica, ma precisiamo che questa,
per la sua genesi, la sua applicazione pratica, e soprattutto per l’utilizzazione, si discosta radicalmente dalla scultura familiare quale
sarà trattata in questa parte del testo.
La tecnica della scultura della famiglia ha presentato, sin dalle
sue origini, dei significativi elementi di evolutività che ne modificheranno nel tempo la metodologia ed i contenuti, e la porteranno ad
una sempre maggiore definizione e accuratezza di applicazione. Soprattutto ha seguito almeno due grandi filoni epistemologici: quello
appartenente alla rappresentazione dimensionale della triade spaziotempo-energia, e quello legato alla rappresentazione del movimento,
secondo la polarità statico-dinamica.
Tra le tecniche che fanno uso del movimento e dello spazio, esordiscono in campo terapeutico le prime versioni “più statiche” della scultura che, come vedremo, evolveranno verso formule sempre più complesse, sino ad arrivare a quella della rappresentazione spaziale, che
sarà descritta nella seconda e terza parte di questo volume (Fig. 3).
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Fig. 3.
1.1. Origini ed evoluzione
In psicoterapia familiare il lavoro del terapeuta è molto simile a
quello di un regista teatrale: si tratta di osservare (talora di muovere
e collocare i corpi; così in terapia, come nella formazione), sia in
relazione allo spazio fisico, sia nella “relazione con l’altro”, individuando posizioni di vicinanza/lontananza spaziale come corrispondenze di vicinanze/distanze emotive. Il terapeuta familiare analizza
la disposizione spaziale dei membri della famiglia (ad esempio delle
sedie, spazi vuoti, etc.), e questo fornisce informazioni utili sulle
dinamiche relazionali. Andolfi, ne Il colloquio relazionale (1994),
dedica un intero capitolo al “linguaggio del corpo ed il colloquio relazionale”, prendendo in esame sia come il terapeuta possa utilizzare
l’osservazione delle comunicazioni non verbali dei pazienti (gesti,
segnali emozionali, postura, distanza/vicinanza, etc.), sia come possa (e debba) utilizzare il proprio corpo, la propria postura e gestualità
per metacomunicare con i pazienti nella stanza di terapia.
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La scultura della famiglia, nella sua forma tradizionale, oggi
considerata una tecnica terapeutica consolidata, è stata utilizzata per
la prima volta in ambito sistemico-relazionale negli anni ’60, in un
contesto culturale che privilegiava ancora il dato comportamentista
dell’immediato, basato sul paradigma S-R, stimolo-risposta. Definita come una tecnica terapeutica “attiva e non verbale”, che permette l’espressione di idee e di emozioni attraverso l’uso del corpo, la
scultura sarà utilizzata sia in campo terapeutico che nel percorso di
formazione del terapeuta relazionale. Le premesse teoriche di questa
tecnica trovano comunque riscontro nel lavoro di ricerca di diversi
Autori connessi inizialmente alla tradizione sistemica di Palo Alto3.
Come già detto, è una tecnica che si afferma tra la fine degli anni
Sessanta e gli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, soprattutto da parte di terapeuti familiari di matrice psicoanalitica, ma che
successivamente diventerà patrimonio di terapeuti sistemici di ogni
orientamento. Fu proposta per la prima volta da Virginia Satir intorno alla fine degli anni Sessanta e successivamente messa a punto da
Fred e Bunny Duhl e David Kantor, al Boston Family Institute. In
seguito fu ulteriormente rielaborata presso l’Ackerman Family Institute di New York, da Peggy Papp e da Kitty La Perrière.
Virginia Satir ha sviluppato, nel suo lungo e ricco lavoro con le
famiglie, diverse esperienze che hanno arricchito il patrimonio culturale e tecnico dei terapeuti familiari. Per la verità non ha parlato
formalmente di scultura, e neppure ne ha descritto un metodo preciso, ma ha proposto diverse formule che sono risultate molto simili
alla tecnica della scultura attuale. In un suo libro del 1964 (Conjoint
family therapy), la Satir scrive: “Allo scopo di dimostrare che cosa
accade nel comportamento di un individuo […] negli ultimi anni ho
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A Palo Alto (CA), a partire dal famoso Gruppo Bateson, è stata ampiamente
dimostrata l’esistenza e l’importanza, all’interno della comunicazione umana, di un
metalinguaggio che costantemente accompagna e si sovrappone al linguaggio verbale, assegnando dunque all’“analogico” un valore comunicativo prevalente rispetto al
“digitale”. Si sosterrà poi come questo tipo di espressività si riveli utile per comprendere la reale disposizione emotiva dell’altro, poiché utilizza segnali che emergono da
condizioni profonde della personalità, traducendo in atto quanto il linguaggio digitale
generalmente tende a nascondere o distorcere.
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fatto sempre più spesso uso di giochi, sia nella terapia della famiglia
che nel training per professionisti di varie discipline nel campo delle
relazioni umane”.
La Satir chiedeva alle coppie ed alle famiglie di costruire una
scultura umana usando se stessi come “materia prima” dello scultore,
come fossero argilla plasmabile. La rappresentazione, nelle intenzioni della Satir, doveva riflettere il modo in cui le persone si vedono in
relazione l’una all’altra. Le famiglie erano incaricate di usare gesti,
come indicare, guardare lontano, inginocchiarsi o accovacciarsi, per
esprimere quello che percepivano, l’umore prevalente e la gerarchia
dominante nel loro sistema familiare. Le sculture proposte dalla Satir non erano né statiche né silenziose, ma piuttosto di movimento,
in quanto permettevano che emozioni e vissuti affiorassero, e che si
venisse a costituire una vera interazione nella quale il terapeuta assumeva un ruolo attivo, che si manifestava attraverso azioni di sostegno, di contatto emotivo con le persone, bloccando interazioni sterili
e ripetitive. Virginia Satir usava la scultura della famiglia non solo
per rappresentare le relazioni all’interno della famiglia attuale ma
anche quelle relative alla famiglia trigenerazionale. In tal modo si
occupava non solo di quanto succede sulla dimensione sincronica ma
anche in quella diacronica-storica delle persone. Nelle esperienze si
verificava un processo di apprendimento che risultava propedeutico
per trovare una soluzione accettabile, che includesse la percezione di
tutti i membri della famiglia: ovvero il cambiamento del sistema.
Tra le formule sperimentate dall’autrice, troviamo anche la famiglia simulata (simulated family). La tecnica della famiglia simulata
si diversifica dalla tecnica del role-playing, in quanto si esprimono
reazioni “viscerali” ai ruoli che vengono impersonificati: infatti, riferisce l’autrice, è molto comune che alla fine dell’esperienza qualcuno affermi “ora so come si sente la signora X!”.
Duhl e Kantor4, co-fondatori nel 1969 e membri rappresentativi
4 David Kantor era uno psicologo con una notevole esperienza nel campo dello
psicodramma e del lavoro con i gruppi, mentre Fred Duhl era uno psichiatra che ha
lavorato al Massachusetts General Hospital con Erich Lindemann.
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del Boston Family Institute, danno un ulteriore, notevole contributo
alla definizione e allo sviluppo della tecnica del family sculpting. La
scultura, per come viene definita da Duhl e Kantor, è una tecnica che
permette l’espressione di idee ed emozioni attraverso l’uso del corpo
e dello spazio: essa si propone infatti, di ricreare simbolicamente gli
stati d’animo ed i rapporti emotivi, utilizzando la rappresentazione
tridimensionale delle relazioni tra i membri della coppia, della famiglia o del gruppo al quale viene applicata. I due Autori arricchiscono
ulteriormente la concezione della scultura, facendo riferimento alla
sua potenza evocativo-simbolica, la quale racchiuderebbe le modalità relazionali del sistema così come sono vissute, sentite e percepite
dai membri del sistema stesso.
“[…] La scultura familiare suscita inevitabilmente nuovi significati ed una nuova immagine delle relazioni familiari, riproducendo
queste in un modo che non potrebbe mai essere realizzato dalla semplice espressione verbale”. Per questi autori infatti
[…] lo scolpire è un gioco terapeutico fondato su un confronto delle
forme pseudostatiche e dinamiche degli atteggiamenti e dei comportamenti; i membri di una famiglia sono rappresentati e modellati
con il loro corpo nel corso della seduta in posizioni che simbolizzano le loro modalità di relazione così come sono percepite da uno
o più membri della famiglia. Grazie a questo processo di scultura,
gli avvenimenti e gli atteggiamenti passati, e il modo in cui questi
influiscono sul presente, possono essere percepiti e sperimentati. La
scultura familiare suscita inevitabilmente nuovi significati ed una
nuova immagine delle relazioni familiari, riproducendo queste in un
modo che non potrebbe mai essere realizzato dalla semplice espressione verbale (Duhl e Kantor, 1973).
I membri della famiglia o del gruppo sono rappresentati e modellati con il loro corpo, nel corso della seduta, in posizioni che simboleggiano le loro modalità di relazione, così come sono percepite
dai vari membri della stessa, che a turno daranno rappresentazione
della propria visione e dei propri vissuti. Grazie a questo processo di
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scultura, gli avvenimenti, gli atteggiamenti ed il modo in cui questi
influiscono sulla vita quotidiana possono essere percepiti e sperimentati, suscitando “naturalmente” nuovi significati ed una nuova
immagine nelle relazioni.
Si può dire che la scultura sia una tecnica terapeutica basata su un
confronto di forme “pseudo-statiche e dinamiche” di atteggiamenti
e comportamenti. Durante le sessioni i membri di una famiglia sono
“fisicamente modellati” in posizioni che simboleggiano le modalità
di relazioni tra di loro, così come sono percepite all’interno del sistema. La scultura della famiglia introduce inevitabilmente nuovi
significati e una nuova immagine delle relazioni stesse, come non
potrebbe essere prodotta dalla semplice espressione verbale. Duhl e
Kantor distinguono tre tipi di sculture, in base al numero di persone
implicate nella rappresentazione:
– scultura individuale;
– scultura di confine o diadica;
– scultura di famiglia o di gruppo.
Anche per questi Autori il terapeuta assume un ruolo attivo di
aiuto e di stimolo, incoraggiando, sostenendo, etc. Solitamente c’è
una fase statica durante la quale lo scultore esegue la sua rappresentazione. A questa segue un momento durante il quale il conduttore riassume a parole quanto lo scultore ha rappresentato. A questa segue
infine una terza fase durante la quale lo scultore introduce modificazioni in base a suoi desideri o all’interazione con il terapeuta.
Secondo Paggy Papp e i suoi collaboratori del Nathan Ackerman
Institute di New York (1973), la scultura della famiglia può essere
considerata
[…] una forma d’arte terapeutica in cui ogni membro della famiglia,
invitato dal terapeuta, modella gli altri membri in una figura che
simboleggia fisicamente le loro reciproche relazioni emotive. Ogni
persona crea un ritratto mettendo insieme i membri in termini di po19
stura e le relazioni spaziali che rappresentano l’azione e sentimento.
Gli elementi essenziali di esperienza familiare vengono proiettate
(Papp P., 1976)5.
La modalità della Papp di realizzare la scultura prevedeva un
intervento molto attivo da parte del conduttore tanto che, secondo
alcuni, poteva presentarsi il rischio di un inquinamento nella libera
espressione dello scultore. Comunque ad ogni membro della famiglia veniva richiesto di fare due sculture:
1. una rappresentazione della famiglia così come lo “scultore” la
vede nel momento attuale, nella fenomenologia delle interazioni in atto;
2. una rappresentazione del desiderio di “cambiamento”: come
ognuno “vorrebbe” che la famiglia fosse.
La Papp riflette sulla possibilità di inserire il canale verbale, là dove difetta o è insufficiente, contemplando un tentativo di
“riparazione”6.
Sembra dunque legittimo, in questi casi, parlare di scultura comunicazionale. Infatti definendola “…una forma d’arte terapeutica…”, la Papp si riferisce al nucleo essenziale del vissuto familiare
che viene vivificato e proiettato in un vero e proprio “quadro vivente”, un quadro che “…vale più spesso delle parole, poiché utilizza
certi aspetti della vita familiare rimasti nascosti fino a quel momento”.
Va ricordato inoltre che, sempre presso l’Ackerman Institute, con
Kitty La Perrière, era presente anche un’altra modalità di attuare la
scultura che non prevedeva una fase dinamica, ma solo statica. Tale
modo di fare la scultura ha influenzato il movimento italiano, dove si
5
Citazione da Guerin (1976), da De Santis, Donini et al., 1982.
in questo caso, l’impiego del canale analogico permette di individuare il
problema e di mettere in evidenza altre modalità relazionali che risulteranno utili alla
famiglia per avviare un processo di cambiamento: la scultura è “complementare” alla
parola quando il background culturale e sociale della famiglia, o le resistenze rendono
problematico l’intervento terapeutico.
6 Anche
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affermerà, almeno in fase iniziale, un metodo che non prevedeva la
fase dinamica, evitando così i rischi di influenzare la libera espressività dello scultore. Con questo modello “classico”, che diverrà patrimonio della gran parte dei terapisti sistemico-relazionali, la scultura
fu usata in vari ambiti: nella terapia di coppia, nella terapia familiare
e nell’ambito della supervisione7.
Comunque, nel corso dei decenni, la scultura è stata considerata
un efficace metodo di fusione tra il cognitivo e l’esperienziale fisicamente organizzato nello spazio con i familiari, come lo scultore
li vede, al fine di ri-formare/ri-strutturare il sistema delle relazioni.
Strumento finalizzato a rappresentare un quadro esterno di un processo interno, fatto di sentimenti, esperienze o percezioni, utilizzerà
le posture del corpo e gli spazi, in rapporto alla comunicazione, al
potere, alla vicinanza e alla distanza. L’individuo ha l’opportunità di
rimuovere se stesso dalla rappresentazione della famiglia per ottenere un’altra visione, non tanto obiettiva, ma che introduce la possibilità di “nuova consapevolezza”.
Riassumendo, la scultura in questa fase storica, contempla già
questi aspetti:
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l’esperienza è quasi esclusivamente statica;
il terapeuta/conduttore osserva, registra ma non partecipa;
il terapeuta/conduttore svolge solo una funzione di sostegno;
non c’è alcuna condivisione tra terapeuta/conduttore e famiglia;
– le relazioni, i sentimenti, sono rappresentati e sperimentati;
– i possibili cambiamenti non nascono nell’interazione.
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Ricordiamo che in terapia di coppia sono entrambi i coniugi, a turno, a rappresentare attraverso la scultura la loro relazione. L’esperienza si svolge in due tempi: nel
primo viene rappresentato come ognuno vede la relazione attuale, mentre nel secondo
come vorrebbe che fosse: si affiancano così la realtà e il desiderio. Mentre, in terapia
familiare solitamente è il PD che rappresenta come vede i rapporti nella sua famiglia
sempre secondo i due tempi descritti. In supervisione, infine, la scultura è stata usata
per cercare di superare un’impasse terapeutica e cercare di capire dove nascevano i
problemi.
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Simon (1972) presenta, invece, una concezione più articolata della scultura, in grado di contemplare suoni e movimenti, tanto che
l’Autore afferma che una definizione più esatta potrebbe essere quella di tableau vivant, in riferimento alle sue valenze psicodrammatiche. Il fatto poi che la scultura permetta di “[…] ricreare simbolicamente nello spazio stati d’animo e rapporti emotivi, attraverso una
rappresentazione tridimensionale delle relazioni tra i membri della
famiglia […]” farà dire ad Andolfi che questa tecnica può essere
equiparata ad una vera e propria rappresentazione simbolica della
famiglia, in quanto in essa vengono messi a fuoco gli aspetti comuni
ad ogni sistema, ovvero lo spazio, il tempo e l’energia: “[…] una
modalità non verbale creativa e dinamica dove lo scultore rappresenta analogicamente le proprie relazioni con i membri del suo gruppo familiare e le relazioni degli altri tra loro, in un dato momento e
in un dato contesto” (Andolfi M., 1977).
Da notare che il concetto di rappresentazione qui evoca l’idea
della costruzione, nel terapeuta, di una mappa mentale che contenga
le informazioni biografiche legate a fatti, luoghi e personaggi della
famiglia. Il terapeuta deve favorire la costruzione di questa rappresentazione interiore, perché questa determina la trama modificabile
su cui eventualmente riscrivere il copione familiare.
I termini momento e contesto rimandano invece alla presenza attiva delle coordinate spazio-temporali in cui si sviluppa e prende
corpo la scultura.
Nella rappresentazione dinamica della famiglia gli elementi digitali della comunicazione si spostano prepotentemente a favore del
canale corporeo-analogico, e questo ne aumenta in modo esponenziale l’impatto sensoriale: la simbolizzazione metaforica è dunque
un elemento di trait d’union tra il linguaggio logico della razionalità
e il linguaggio simbolico-analogico della fantasia, del desiderio e
dell’affettività8.
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Andolfi e Angelo (1987), evidenziano l’importanza del linguaggio metaforico,
costruito sul canale iconico, che permette “un tempo di permanenza e di elaborazione
mentale molto più lungo e profondo di un linguaggio basato su concetti astratti o
sulla verbalizzazione in seduta di vissuti e stati emotivi”.
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Sul piano applicativo sono state indicate diverse strutturazioni
della scultura che di seguito elenchiamo.
La scultura d’attrazione.
Si caratterizza sul piano spaziale per la presenza di un centro di
attrazione fisso, rappresentato sia da un simbolo o da una persona
che occupa una posizione centrale nella struttura della scultura. Questa centralità può essere indice di una dominazione esercitata sugli
altri. Tutti gli sguardi convergono verso un centro immaginario. La
distanza tra i partecipanti è variabile. Le linee di movimento saranno
centripete. Si ritrova in famiglie patriarcali.
La scultura orizzontale.
Gli elementi sono disposti dagli scultori in una linea e non c’è un
centro di interesse. Anche gli sguardi e le posture mettono in evidenza la dispersione degli interessi. La distanza tra le persone è di
solito grande. Le linee di movimento saranno centrifughe. Si ritrova
in famiglie con grosso senso di autonomia di tutti i componenti.
La scultura circolare o intricata.
Lo spazio tra le persone è ridotto, tutto sembra mostrare dei segni
di grande coesione interna con aumento delle difese alla frontiera
con l’esterno. Non esistono tendenze vettoriali dirette da qualche
parte, né all’interno né all’esterno. Ogni rapporto sembra essere una
catena, lo spazio è fisso e immobile e la tensione è forte. Questo tipo
di scultura si trova più facilmente nelle famiglie che Minuchin ha
definito “invischiate”.
La scultura puntiforme.
L’autore è il terapeuta che rende visibile, attraverso un’immagine
forte, la diagnosi relazionale. Le statue devono mantenere la posizione in silenzio per un tempo definito e mai comunicato a loro (1
minuto). Le uniche riflessioni che vengono condivise tra la famiglia
e il terapeuta riguardano le sensazioni fisiche e le emozioni.
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La scultura dinamica di transizione.
A partire dalla scultura che la famiglia ha dato di sé nel tempo presente e futuro, viene chiesto di passare dall’una all’altra concretamente, facendo vedere come pensano di riuscire in questo passaggio. Bisogna osservare come la famiglia si muove dal presente al futuro: chi si
alza per primo, chi fa più fatica nei passaggi, emozioni, disagio etc.
La scultura individuale.
Questa scultura dà l’immagine di come ciascuno si vive nello
spazio ambiente e nel contesto che lo circonda e dà anche informazioni sulle relazioni dello scultore con persone per lui significative.
Lo scultore descrive con il corpo una figura nello spazio i cui limiti
rappresentano i limiti del suo spazio personale. Successivamente vi
si pone dentro rappresentando le emozioni e i sentimenti che preferisce. I parametri indicatori sono le posizioni di chiusura, il tipo
di distanza, la capacità o la disponibilità che qualcun altro entri nel
proprio spazio. In questo tipo di scultura, il soggetto sarà particolarmente influenzato dal contesto in quanto un contesto a lui sconosciuto o che percepisce come poco accettante, potrà più facilmente
stimolargli movimenti di tipo esplorativo o difensivo. Dopo la prima fase, il terapeuta riassume in parole quanto lo scultore ha agito
e gliene chiede conferma cercando di esaminare quanto questo sia
capace o disponibile ad abbandonare lo spazio che ha delimitato. La
seconda fase studia a quali condizioni e a chi è permesso di superare
la barriera precedentemente delimitata.
1.2. Autori contemporanei
Anna Maria Nicolò Corigliano
L’autrice propone due tipi di esperienza, utilizzando personaggi
esterni.
La scultura di seduta. Questo tipo di scultura può essere assimilata alla scultura di gruppo che sarà descritta più avanti. Il terapeuta
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illustra attraverso la scultura i suoi rapporti con l’intero sistema e
con ciascuno dei suoi membri e contemporaneamente dà un’immagine visiva della lettura che, fino a quel momento, ha eseguito del
sistema familiare ove opera, delle sue regole, delle sue alleanze e
dei suoi conflitti. Ciascuno dei membri del gruppo di osservazione
impersonerà un membro della famiglia fornendo informazioni al terapeuta sull’effetto che le sue mosse e i suoi interventi hanno, sulle
retroazioni che potrebbero provocare e molto altro ancora. Il vantaggio è quello di permettere al terapeuta di studiare e programmare la
sua strategia utilizzando feed-back che la famiglia non gli potrebbe
mai fornire ma nello stesso tempo gli viene offerta la possibilità di
vedere il sistema terapeutico con gli occhi di un osservatore esterno: un componente del gruppo di osservazione scolpirà il sistema
terapeutico così come egli lo vede. Così il terapeuta potrà osservare
sé stesso attraverso gli occhi di un altro. Spesso questo permette al
terapeuta di focalizzare e superare gli errori ripetitivi che commette
sempre con la stessa famiglia o con le stesse persone.
La scultura di rapporto supervisore-terapeuta. Secondo l’autrice
(1977) uno dei momenti più importanti e delicati nel corso di una
terapia relazionale o di un lavoro di apprendimento in “training” è la
relazione che intercorre tra il terapeuta e il suo supervisore. Ogni terapeuta ha uno stile terapeutico ed è nel rispetto di questo stile che il
supervisore deve lavorare. Tuttavia il supervisore sa anche di dover
essere garante, proprio perché esterno al sistema famiglia-terapeuta,
che il sistema terapeutico vada verso il cambiamento e che il terapeuta non ripeta le modalità di interazione ripetitive che caratterizzano quella famiglia. La scultura è un modo di “visualizzare” questa
relazione e soprattutto di evidenziare i conflitti, le incomprensioni,
le sensazioni e i sentimenti legati alla relazione supervisore-terapeuta. Posizioni troppo simili del terapeuta e del supervisore possono
paradossalmente essere poco produttive dimostrando che manca una
dialettica interna e una certa e opportuna differenza di vedute su alcuni punti, garanzia della duttilità del sistema terapeutico.
25
Philippe Caillé
Caillé ricorre in terapia alla tecnica delle sculture viventi, dove
viene fatta la richiesta ai membri del sistema familiare di presentare il tipo di relazione esistente tra di loro senza impiegare parole,
ma mediante una rappresentazione fisica. Le spiegazioni dei soggetti rispetto alla stessa scultura spesso sono contraddittorie, ma solo
in apparenza. Se si considerano infatti gli individui coinvolti come
elementi di un sistema e i comportamenti presentati come parti di un
processo circolare autorinforzantesi, le spiegazioni date non sono che
interpunzioni differenti della stessa situazione. La rappresentazione
del come i membri del sistema percepiscono ciò che avviene tra loro
viene definita da Caillé “modello fenomenologico della relazione”.
Caillé (1990) propone le cosiddette sculture sistemiche, o viventi o
fenomenologiche, e poi quadri di sogno o sculture mitiche che, introducendo analogicamente la possibilità di un contesto relazionale,
permettono alla famiglia di compiere l’esperienza di questo nuovo
contesto, di vedere ciò che apporta, aprendosi così a scelte inedite nella strutturazione dello spazio. Poiché l’esperienza è nuova, e
tocca le profondità del vissuto familiare, Caillé tiene a sottolineare
quanto sia importante che il terapeuta crei un contesto esperienziale
chiaro e rassicurante, ritualizzi la prescrizione della scultura, impiegando sempre le stesse istruzioni e ripetendole se necessario, al fine
di conquistare l’adesione degli interessati.
L’esecuzione delle sculture sistemiche di Caillé avviene nel corso delle prime sedute: l’autore propone prima le sculture viventi o
fenomenologiche (una seduta), a cui fa seguire i quadri di sogno o
sculture mitiche (sedute successive). Per le famiglie molto numerose, o per quelle particolarmente ansiose o inibite, ciascuna delle due
parti potrà naturalmente richiedere più di una seduta.
Con la tecnica degli schemi di sogno, ai familiari viene chiesto
di mettere in scena ciò che caratterizza il rapporto. In tal modo viene manifestato come gli individui concepiscono la natura, l’essenza
stessa della loro relazione, esplicitando quello che da Caillé viene
definito modello mitico della relazione. L’autore fa riferimento al
26
“livello fenomenologico o rituale” di quel modello familiare nelle
sculture che lui stesso ha denominato “sculture viventi della famiglia”, perché ognuno, se lo desidera, ha il diritto di animarle introducendo in esse movimento. Il “livello mitico o ideologico” di quel
sistema familiare permette di completare la scultura del modello attuale della famiglia: il terapeuta chiede a ciascuno di rappresentare
la famiglia in ciò che essa ha di unico, di totalmente singolare, attribuendo a se stessi ed agli altri una forma non umana, anche vegetale,
animale o altro.
L’insieme delle rappresentazioni esprimerebbe ciò che differenzia
questa famiglia da tutte le altre. L’autore propone una “consegna
tipo” sia per le sculture viventi che per le sculture mitiche, considerando che il successo della performance mitica (la seconda acquisizione di informazione analogica) sarà facilitata dalla riuscita
dell’esperienza della scultura vivente. Elemento fondamentale è
dunque rappresentato dalla capacità di indicare alla famiglia in cosa
i due livelli d’interrogazione differiscono. Entrambe le consegne devono essere chiare, univoche e creare un clima di confidenzialità.
Quando è stata data la consegna ed i partecipanti sembrano in
possesso di una rappresentazione interna della scultura vivente
(livello fenomenologico) o dei quadri di sogno (livello mitico), le
sculture saranno messe in scena in sala di terapia con l’aiuto dello
psicoterapeuta.
È essenziale che il terapeuta si alzi sempre per primo e non tema
di esprimersi analogicamente toccando i partecipanti, giocando il
ruolo di regista che sostiene emotivamente gli attori, proponendo
attivamente delle alternative espressive possibili per il sistema familiare. Quando le sculture fenomenologiche e mitiche, eseguite una
prima volta con l’aiuto del terapeuta e con la partecipazione di tutti
i membri della famiglia, risultano soddisfacenti per lo scultore, il
terapeuta si ritira dal campo e chiede che tutto sia nuovamente eseguito in autonomia, senza il suo supporto. Questa rappresenta l’ulti27
ma prova in cui lo scultore deve prendersi la responsabilità della sua
“opera”, riconoscendola isomorfa al progetto che aveva in mente, ed
infine dirsi soddisfatto o correggere cosa o chi non corrisponde alla
rappresentazione.
Secondo Caillé, questa separazione del terapeuta nella fase finale
dell’elaborazione è essenziale affinché ogni membro della famiglia
si assuma pienamente la responsabilità del proprio messaggio analogico, e affinché tutti i membri della famiglia possano vivere pienamente l’esperienza sul piano cinestesico-emozionale.
Nel modello di Caillé il processo di cambiamento difficilmente è
controsistemico, perché la scultura si costituisce come trait d’union
di un effetto coesivo nella famiglia: i membri sono portati a pensare (e percepire) se stessi in termini di unità sistemica, in quanto
ognuno si sente attore partecipe e determinante all’interno della propria famiglia, le cui regole dipendono dalle decisioni di ciascuno nei
confronti degli altri. Inoltre viene potenziato l’effetto di individuazione di ciascun membro nei confronti dell’altro. Questa è un’esperienza spesso efficace nelle famiglie invischiate, laddove la fusione
dei confini, la mancanza di identità e di spazio personale assumono
spesso carattere di disfunzionalità. La scultura diviene significativa proprio in quanto rappresentazione multidimensionale di una situazione emotiva agita e non verbalizzata: come tale supera i limiti
espressivi delle parole e permette la liberazione di stati emotivi e di
modalità comunicative spesso sopite o inespresse. Partendo da tali
premesse molti ricercatori hanno ampliato gli studi sul “movimento”
all’interno della scultura, considerato come un linguaggio che sfugge alle regole razionali e non censura emozioni e vissuti.
Luigi Onnis
“La scultura familiare è un linguaggio terapeutico, essenzialmente basato sulle modalità analogiche e non verbali, che propone
una rappresentazione metaforica della famiglia nella forma; ossia
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l’espressione diretta e dinamica in termini di immagini di quelle che
sono le relazioni, lo spazio, i sentimenti, i vissuti, le interazioni di un
sistema […]” (Onnis L., 1990).
Dobbiamo ricordare che il concetto di tempo veniva già evocato nella tecnica del genogramma che, sviluppando una panoramica storica
della famiglia, ne riproduce anche la trama temporale. La rappresentazione bidimensionale del genogramma agisce come specchio della
mappa relazionale della famiglia e “rispecchia visivamente le relazioni tra i vari membri, disegnati vicini o lontani, più grandi o più
piccoli, in una rete di rapporti spaziali di cui il soggetto costituisce
il punto costante di riferimento” (Montagano S., Pazzagli A., 1989).
La prospettiva temporale-evolutiva della tecnica del genogramma
permette una rilettura della propria storia familiare, e con essa la
riappropriazione di elementi affettivi significativi che possono venire reintegrati nella memoria storica, e nell’idea di appartenenza
familiare, da cui deriva la nostra identità. Questa riappropriazione e
reintegrazione è alla base di una riattivazione del processo evolutivo
personale e una nuova elaborazione di sé e della propria vita.
Luigi Onnis è forse l’Autore che più di altri si è mostrato fortemente interessato al fattore tempo, tanto che in questa visione metterà a punto una variante della scultura familiare, ritenuta strumento
di confine tra il diagnostico e il terapeutico: il metodo delle sculture
del tempo familiare. Il metodo di Onnis prevede la messa in scena,
da parte di ciascun membro del sistema familiare, di tre fasi temporali: la scultura del presente, la scultura del futuro e la scultura del
passato. C’è la richiesta di passare al vaglio del tempo l’immagine
della famiglia che ciascuno porta in dote, cercando “…di esplorare
e di reintrodurre la dimensione del tempo in un sistema che sembra
averla perduta”9. Alla base di questa tecnica c’è la richiesta, fatta a
9 L’innovazione proposta da Onnis era stata in qualche modo già anticipata da Andolfi e Angelo (1987), che per primi parlano di una dimensione storica della scultura,
questa “può essere utilizzata per rappresentare la famiglia in una dimensione storica,
attraverso una riattivazione della sua vita dal passato a oggi. Il terapeuta può pertanto
sollecitare le persone a scolpire la loro famiglia di origine: tutto ciò fornirà una visione
29
uno o a turno a tutti i membri del sistema familiare, di rappresentare
nello spazio l’immagine familiare, utilizzando i corpi, le posture, gli
sguardi, le vicinanze e le distanze. Si privilegia, attraverso l’uso di
una modalità creativa, l’espressione motoria per rappresentare situazioni emotive. Ma quando la famiglia narra la sua storia senza particolari vibrazioni emotive e senza connessioni in grado di restituire
nuovi significati al problema, Onnis ritiene necessario esplorare e
far emergere un’altra storia, che affondi le sue radici nel terreno profondo della famiglia e dei suoi componenti e ne faccia affiorare gli
aspetti “mitici”, attraverso un linguaggio terapeutico più “vicino” al
linguaggio di quel sintomo: la scultura familiare, rappresentazione
per immagini e per metafore, che consente l’emergere anche di quel
non-detto che è il “mito” della famiglia.
Nella metodologia di Onnis, ad ogni membro della famiglia
viene chiesto di fare due sculture, cioè di “mettere in scena”, due
rappresentazioni della famiglia: una del presente, l’altra del futuro.
L’autore tenta così di esplorare e di reintrodurre la dimensione del
tempo in un sistema che sembra averla perduta: ed è proprio qui, nel
confronto tra queste rappresentazioni che si svela l’aspetto mitico di
queste famiglie; la tutela ad ogni costo dell’unità familiare, attraverso il blocco di ogni potenzialità evolutiva ed un impossibile arresto
del tempo. La scultura del passato viene collocata al termine della
sequenza (presente-futuro) e non all’inizio, come sarebbe cronologicamente più logico, in quanto, nelle famiglie anoressiche, ad esempio, lo scenario del futuro (o la difficoltà di rappresentarlo) rimanda
paradossalmente al passato. Il ciclo temporale, infatti, si completa
richiudendosi circolarmente su se stesso: il presente, nell’impossibilità di sviluppo del futuro, ritorna nel passato in una sorta di mitica
sospensione del tempo.
Nella scultura del presente viene chiesto di rappresentare la famiglia così come “lo scultore” la vede; la scultura del futuro viene proiettata nel tempo, ad una distanza di almeno dieci anni; nella scultura
più completa della vita emotiva della famiglia nel tempo e permetterà di individuare
canali relazionali funzionali o disfunzionali nell’arco di più generazioni”.
30
del passato viene chiesto di rappresentare un episodio significativo
che è rimasto impresso nella memoria. Quali messaggi vengono trasmessi attraverso tutte queste immagini?
Anzitutto, come evidenzia l’autore, i “miti di unità a qualsiasi prezzo” e i “fantasmi di rottura”, che non trovano facile accesso alla
parola, possono venire rappresentati in queste scene, quasi materializzandosi davanti agli occhi del terapeuta. E attraverso queste rappresentazioni si costruisce una “narrazione analogica” nella quale è
possibile rintracciare due fili conduttori: il primo riguarda il dialogo
che si avvia tra membri della famiglia nel quale ciascuno propone
la propria rappresentazione della realtà familiare, nella specificità
della propria identità individuale; il secondo riguarda il sottile legame di risonanze, di messaggi, di risposte, che va a inscriversi nel
linguaggio del mito della famiglia e dell’appartenenza familiare.
Secondo l’autore, le rappresentazioni analogiche delle sculture
permettono un dialogo che attraversa l’individuo e che si instaura
tra diverse e conflittuali istanze nei vissuti personali dello stesso. Per
Onnis l’ambivalenza della scelta anoressica, come in tutti i paradossi, è il tentativo impossibile di conciliare l’inconciliabile, “cambiare
senza cambiare”. Mette in evidenza che spesso è proprio il paziente
designato che intravede e tenta di indicare i percorsi di un possibile cambiamento. Il modello di lavoro basato sulle sculture familiari
si fonda sull’ipotesi che, con le famiglie che presentano un disagio
a estrinsecazione somatica, la raccolta delle informazioni e l’intervento debbono non tanto servirsi del livello della comunicazione
verbale, quanto piuttosto utilizzare il livello cinestesico. In questo
senso Onnis cerca di adottare un linguaggio terapeutico omogeneo
al linguaggio del sintomo, che si moduli con le cadenze allusive e i
significati impliciti e metaforici del linguaggio del corpo, utilizzando, a sua volta, le metafore della corporeità e della spazialità10.
10
Nello specifico delle famiglie psicosomatiche, secondo Onnis, la scultura, ma
sempre nei limiti sopra elencati, permette diversi vantaggi: 1. evidenziare il blocco
evolutivo che è all’origine del problema; 2. fare emergere quei miti e fantasmi che sono
nascosti e non verbalizzabili e che solo un linguaggio analogico come quello del sinto-
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Le sculture familiari di Onnis presentano delle variazioni rispetto
al metodo originario della Papp (1983), in quanto l’autore chiede ad
ogni membro della famiglia di fare due sculture: la prima rappresenta la famiglia così come lo stesso la vede nel momento attuale,
mentre la seconda rappresenta la famiglia come la immagina dopo
un arco di un decennio di storia futura. È qui che, nel modello di
Onnis, viene introdotta una variazione importante rispetto al metodo
della Papp. Propone, come seconda scultura, una rappresentazione
di “desiderio” e di “cambiamento”, ovvero “come ognuno vorrebbe
che la famiglia fosse”. Questa variazione è stata introdotta in quanto, secondo l’autore, la seconda scultura proposta (nonostante sia
proiettata nel futuro) non è una rappresentazione di cambiamento,
perché spesso esprime una resistenza e una paura, piuttosto che un
desiderio, di cambiamento. Infatti, in alcuni casi, il tentativo di rappresentare uno scenario più dinamicamente in sviluppo, si accompagna a forti ansie e timori, come se la possibile evoluzione della famiglia fosse percepita più come una minaccia che come un’esperienza
di crescita collettiva. Questa differente impostazione metodologica
nasce dall’esigenza terapeutica di progettare un cambiamento possibile, e dall’osservazione clinica maturata sul campo.
Possiamo trovare nelle formulazioni e nelle procedure terapeutiche
di Onnis molti accostamenti col modello consenziente proposto dalla
Scuola di Pisa-Rimini di C. Bogliolo (1997, 2001, 2010): coincide
infatti il principio che ogni tentativo di forzare la mano al sistema,
sollecitandolo a rappresentare uno scenario più dinamico e in evoluzione, attraverso ipotesi di sviluppo, evoca un sentimento di diniego, di resistenza. Altrettanto il fatto che in tal caso si assiste ad una
controreazione di tipo morfostatico intessuta di un sentimento che
assomiglia più alla percezione di una minaccia, che una esperienza
di crescita auspicabile. Così paure, timori, ansie di cambiamento,
sono esternate analogicamente. Fantasmi di perdita, rottura, disgremo (che è il linguaggio ufficiale di queste famiglie) consente di svelare; 3. raccogliere
quegli elementi metaforici importanti per una rilettura del sistema: il sintomo corporeo
può essere ridefinito come problema del sistema familiare e non solo del PD.
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gazione, minacce di conflitti irreversibili ed irrisolvibili, prendono
vita. Ad esempio quando il cambiamento è rappresentato dall’uscita
dal sistema dei figli.
Possiamo proseguire negli accostamenti notando che per Onnis il
ruolo del terapeuta è attivo: egli partecipa alla trama narrativa che la
famiglia va dipanando.
Bogliolo, però, esplora il mito familiare con rispetto, astenendosi
da atteggiamenti troppo interpretativi o direttivi e creando invece,
pazientemente, le condizioni perché, insieme alla famiglia, si possa
costruire una storia nuova e lo stesso mito familiare possa evolvere
in una nuova mitopoiesi.
Le sculture aprono al terapeuta un terreno spesso ricco di informazioni, offrono elementi per una lettura della situazione e permettono di elaborare strategie di intervento: l’assunzione del linguaggio del corpo nel linguaggio della terapia può diventare lingua di
nutrimento e di sviluppo. Il setting terapeutico, così arricchito di
una multidimensionalità fisica, emotiva e simbolica, permette una,
seppur difficile, ridefinizione della sintomatologia (anche quando si
tratta di un sintomo somatico) e una nuova lettura della situazione.
È interessante notare come le sue evoluzioni abbiano modificato
lo strumento della scultura perfezionandone una valenza diagnostica
e descrittiva più incisiva, oltre che consentire una più accurata calibrazione delle potenzialità di cambiamento del sistema. Si tratta di
un modello fondato, appunto, sull’ipotesi che nel lavoro terapeutico
con le famiglie informazioni ed interventi dovessero non tanto servirsi del livello della comunicazione verbale, quanto piuttosto utilizzare il livello analogico.
2. La scultura in psicoterapia familiare: aspetti clinici
2.1. La dimensione metaforica
Con la scultura si parla finalmente con il corpo, con lo sguardo,
con i gesti, senza lo schermo del linguaggio verbale. Produce l’effet33
to di liberare le emozioni che in queste famiglie rimangono spesso
imprigionate in ragionamenti intellettualizzati11.
Con la scultura, le famiglie, private dei loro canali verbali usuali,
sono portate a comunicare ad un livello più significativo: ciò consente di evitare razionalizzazioni, resistenze e stigmatizzazioni. Sapendo che il canale cinestesico rappresenta il veicolo di trasmissione
della comunicazione meno controllabile, l’espressione del volto, la
posizione del corpo, la espressioni gestuali, la vicinanza o lontananza etc., rappresentano segnali significativi che definiscono, caratterizzano e circoscrivono il significato della comunicazione terapeutica, compresi i sentimenti che pervadono il clima emotivo. Tutto
ciò che fa parte della rappresentazione diviene un grande bacino di
energia psichica che si amplifica in questa rete relazionale12.
Il linguaggio della scultura è dunque basato sulle modalità analogiche, poiché la finalità è in buona parte connessa alla difficoltà
nell’esprimere con il linguaggio verbale le emozioni legate alle relazioni.
Grazie alla metafora, che si colloca tra il linguaggio logico del
pensiero razionale ed il linguaggio simbolico, analogico, dell’immagine e dell’affettività, vengono lasciate emergere in modo più diretto le valenze emozionali e ci si avvicina di più al piano affettivo.
Inoltre, eludendo alcuni meccanismi di difesa, si aprono spazi per
una espressione più libera da parte di chi la esegue. I vantaggi sono
quelli di fornire una visione d’insieme nelle relazioni di un sistema
senza le razionalizzazioni presenti nel linguaggio verbale.
Ad esempio l’aspetto del “movimento simulato” unito al silenzio,
è molto importante per le famiglie non abituate all’uso analogico del
11 L’aspetto del “movimento” (quando questo viene utilizzato) unito al silenzio è
molto importante per queste famiglie non abituate all’uso spontaneo del corpo; l’introduzione di nuove modalità comunicative potrà spingere il sistema a cercare una nuova
ristrutturazione.
12 L’attenzione alla cura e all’addestramento della corporeità dovrebbe essere una
materia di studio e di riflessione, non solo quando si pensa ad una famiglia o ad una
coppia ma anche per gli stessi terapeuti relazionali, o gli specializzandi.
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corpo. Triangolazioni, alleanze o conflitti sono concreti e collocati
nella sfera visiva, sensoriale e simbolica dove vi sono più ampie
possibilità di comunicare emozioni13.
L’utilizzo del canale metaforico avvicina la tecnica della scultura alla rappresentazione psicodrammatica. La metafora si colloca,
come sottolinea Lottman (1980), nel punto di mezzo tra due linguaggi: quello logico del pensiero razionale e quello simbolico-analogico
dell’immaginazione e dell’emozione. Perciò la metafora, quando ha
funzione terapeutica è, per usare una significativa espressione di
Paul Ricoeur (1986), una metafora viva, cioè isomorfa alla natura
del problema presentato: coglie più direttamente le valenze emozionali e si avvicina al piano affettivo, in larga misura non-consapevole,
del paziente o della famiglia. Inoltre, per la sua potenzialità evocativa (e non esplicativa) ha il vantaggio di fare allusione al livello
pre-verbale e non-consapevole, senza pretendere di spiegarlo o di
esplicitarlo e, perciò, può aprire spazi per una espressione più libera
e creativa da parte di chi la riceve14.
Il linguaggio metaforico, in questo contesto, altro non è che il
linguaggio mitico del sistema familiare, costituito da valori ed affetti
condivisi, largamente pre-logici ed inconsapevoli. Linguaggio che si
ritiene non sia esprimibile attraverso le sole forme del pensiero lineare, né possa da queste essere utilmente esplorato. Ciò è particolarmente vero in relazione alla natura omogenea e sintonica che fa della
metafora un materiale psichico isomorfo, sia rispetto al linguaggio
implicito criptato del mito, sia al linguaggio somatico e non verbale
con cui, nella stragrande maggioranza delle situazioni disfunzionali,
si esprime e si palesa il sintomo.
13 L’osservazione del non verbale è, ancor prima della scultura, uno strumento abituale del terapeuta: infatti l’osservazione del comportamento non verbale ci permette
di “cogliere soprattutto i legami emozionali tra le persone nel divenire delle generazioni”.
14 Un altro elemento utilizzato è l’oggetto metaforico, che a detta di alcuni autori
può essere concepito come concretizzazione della metafora attraverso l’utilizzo di un
oggetto materiale.
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