Mercoledì 6 Giugno 2012

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Mercoledì 6 Giugno 2012
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RASSEGNA STAMPA
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NON È STATA PUBBLICATA L’EDIZIONE COMPLETA DEL QUOTIDIANO ONLINE
 Madrid lancia l’allarme: «Accesso ai mercati chiuso» ......................................... 3
 Mediobanca, la svolta di Nagel ............................................................................... 4
 Addio ad Antoine Bernheim, il signore francese di Trieste ................................. 6
 Della Valle si dimette da Generali Fonsai, Unipol stringe sui concambi ........... 8
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Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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 Spagna sul baratro, Obama striglia la Ue .............................................................. 9
 Sulle resistenze di Angela la paura di Monti e Hollande ..................................... 10
 “Monti non si è mai occupato di rating”
Palazzo Chigi respinge i sospetti su Moody’s ..................................................... 11
 Unicredit, Profumo a processo per frode fiscale ................................................... 12
 Unipol-Fonsai, trattativa a oltranza arriva la controproposta di Bologna ......... 13
 Addio al grande vecchio Bernheim quarant’anni al centro della finanza .......... 14
UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“Chi guarda sempre in basso
non inciamperà mai,
”
ma perd erà splen didi pa norami .!!
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*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
DAL NOSTRO INVIATO Ivo Caizzi
Madrid lancia l’allarme:
«Accesso ai mercati chiuso»
Chiesti aiuti per salvare le banche. Pressing del G7
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BRUXELLES — La Spagna ha chiesto aiuti urgenti all'Unione europea perché sono diventati troppo alti i costi
sui mercati del suo indebitamento, in continuo aumento a causa delle dimensioni dei salvataggi bancari. Ma
anche i ministri finanziari del G7, in una teleconferenza incentrata sui rischi di contagio della crisi della zona
euro, hanno condiviso che l'Europa dovrebbe intervenire «rapidamente». Soprattutto dagli Stati Uniti — dove i
problemi sono iniziati (con lo scandalo dei mutui immobiliari speculativi e il tracollo della banca Lehman) e
non sono stati ancora tutti risolti — manifestano preoccupazioni e hanno accentuato le pressioni sulla
Germania, che frena un po' tutte le iniziative Ue basate su nuovi esborsi.
Le criticità nel sistema bancario (dalla Grecia al Portogallo, alla Spagna e fino a Cipro), che potrebbero
contagiare molte banche tedesche esposte nei Paesi a rischio, hanno convinto la Commissione europea ad
annunciare oggi la proposta di «Unione bancaria» con garanzie comuni dei depositi. La stessa idea era stata
avanzata dal presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi, che oggi, nella riunione del consiglio
direttivo, potrebbe considerare una riduzione dei tassi di interesse sull'euro (immediata o in tempi più o meno
brevi). Il direttore del Fondo monetario di Washington, la francese Christine Lagarde, ha sollecitato un
maggiore impegno della Bce, che con circa mille miliardi di prestiti a tre anni a bassissimo costo (1%) ha
fornito finora il principale contributo concreto al salvataggio del sistema bancario e dell'euro.
La giornata di Bruxelles è stata scossa dal premier spagnolo Mariano Rajoy, che ha sollecitato l'Europa ad
«aiutare le nazioni in difficoltà finanziarie» e a garantire che «l'euro è un progetto irreversibile e che non è in
pericolo». La speculazione ha esasperato la paura di crac bancari, che il governo Rajoy non potrebbe sostenere,
facendo schizzare a livelli insostenibili i tassi sul debito di Madrid. Il ministro finanziario Cristobal Montoro ha
chiesto apertamente «fondi» europei per il salvataggio di banche spagnole.
Nel G7 gli Stati Uniti hanno ventilato il rischio che un Paese delle dimensioni della Spagna, dopo i problemi in
Grecia, Portogallo e Irlanda, possa estendere il contagio dentro e ben oltre l'eurozona. Dal Tesoro Usa hanno
esortato l'Europa a fare «di più» e «più rapidamente» nelle prossime settimane, in vista del summit a Bruxelles
dei capi di Stato e di governo del 28 e 29 giugno. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha invitato gli
europei a «seguire l'esempio americano» aggiungendo che il presidente Obama percepisce un «accentuato senso
di urgenza» e vede positivamente quella che ha definito «un'azione europea accelerata» per evitare che la zona
euro si spacchi, con potenziali conseguenze globali. E in serata il presidente Usa ha discusso la situazione
economica al telefono con il premier britannico Cameron.
Al termine della riunione in teleconferenza, dove l'Italia era rappresentata dal premier Mario Monti nel suo
ruolo di responsabile dell'Economia, il ministro delle Finanze del Giappone, Jun Azumi, ha detto che «la parte
europea ha assicurato che risponderà rapidamente». Il prossimo monitoraggio è stato fissato alla vigilia della
riunione delle 20 maggiori economie mondiali (G20) in programma il 18 e 19 giugno in Messico. Oggi la
Commissione europea prova a proporre di sgravare i governi (e i contribuenti) dai costi dei salvataggi bancari,
varando una Unione del settore a carico principalmente dai banchieri e dagli azionisti. Un sistema integrato di
garanzie sui depositi dovrebbe rassicurare i risparmiatori ed evitare le fughe di capitali verificatesi in Grecia e
in Spagna. Si punta a far restare sempre in funzione, in caso di fallimenti, perfino il sistema di riscossione
automatica Bancomat su tutto il territorio europeo. Ma il regolatore tedesco Bafin ha giudicato «prematura» una
Unione bancaria. La linea di Berlino l'ha ribadita il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che ha
posposto l'Unione bancaria e le misure di condivisione del debito (come gli eurobond) all'introduzione di una
«vera Unione di bilancio», destinata a trasferire a Bruxelles una parte importante della sovranità nazionale nelle
politiche economiche.
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: Massimo Mucchetti
Mediobanca, la svolta di Nagel
Il rilancio del Leone necessario per i conti di Piazzetta Cuccia
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E adesso, dopo il cambio della guardia in Generali, che cosa accadrà in Mediobanca, primo azionista della
compagnia? Nel momento in cui Del Vecchio, Caltagirone, De Agostini, Fondazione Crt eleggono il titolo a
metro di misura del management, è legittimo chiedersi se anche altri soci, quelli di Mediobanca, vogliano fare
lo stesso. Certo, le azioni negoziabili di Mediobanca sono pari al 45% contro il 70% delle Generali, ma
l'azionariato stabile è molto più frazionato e i due poli più forti, Unicredit e i francesi di Vincent Bolloré, non
hanno interesse a destabilizzare il quadro. L'avessero avuto, quale miglior momento di questo in cui Renato
Pagliaro e Alberto Nagel se la giocavano sulla rimozione di Giovanni Perissinotto?
Dalla Borsa, tuttavia, vengono segnali di sofferenza. La capitalizzazione di Mediobanca è precipitata a 2,6
miliardi. A fine 2006, ultimo anno buono prima della Grande Crisi, la banca di Piazzetta Cuccia valeva 14,5
miliardi. Allora il pacchetto Generali concorreva per il 40% della capitalizzazione, oggi per il 70%. Se si
considera la deludente performance borsistica del Leone va registrato un calo ancor più drastico nel valore delle
attività tipiche della banca.
La Grande Crisi pesa sia sulle fonti di reddito sia sul modello Mediobanca, che è in fase di cambiamento tanto
negli affari quanto nei rapporti di potere, con il management tornato a governare l'intero bilancio dopo 7-8 anni
nei quali, uscito di scena Vincenzo Maranghi, la politica delle partecipazioni era stata soggetta alla penetrante
influenza degli azionisti. Alcune fonti di reddito si stanno inaridendo. Le fusioni, le acquisizioni, i collocamenti
in Borsa scarseggiano. Si fanno ristrutturazioni del debito e salvataggi, questo sì. Il caso Premafin-Fonsai è il
più importante. Ma la domanda di credito industriale è fiacca. E bisogna andarci piano con l'assunzione di
posizioni in proprio perché la raccolta, come si è visto nell'autunno 2011, può congelarsi rapidamente. Fino al
1993, quando il Testo unico bancario rilanciò la banca mista, Mediobanca disponeva di una conveniente
raccolta affidata alle banche Iri sue azioniste, le quali portavano pure i clienti. La Mediobanca storica traeva
incarichi e compensi dalle società cui partecipava a supporto dei soci di comando.
Gradualmente, quel mercato captive è venuto meno. L'elenco delle partecipazioni e dei soci di Mediobanca di
oggi è molto diverso da quello di 15 anni fa. La presa sul mercato risulta assai meno ovvia. Delle tre banche
azioniste è rimasto solo Unicredit. Ai certificati di deposito si è sostituita la più volatile raccolta
obbligazionaria. Fiat fa parte per sé stessa, Orlando è sparito, Montedison idem, la Fonsai dei Ligresti finirà
probabilmente all'Unipol, cliente ma non dipendente da Piazzetta Cuccia. I principali soci di oggi — tranne
Pirelli — non hanno più intrecci azionari con la ditta. La presenza di Berlusconi è ormai puramente finanziaria.
È stata una separazione lunga 10 anni; in parte l'hanno dettata i soci che non volevano più esser tali (Fiat, per
esempio), in parte Mediobanca stessa per alleggerire il portafoglio e in parte viene dalla regolazione di Basilea
che spiazza l'antica logica cucciana per cui il free capital andava investito in partecipazioni anziché in Btp: oggi
infatti, a differenza dei Btp, le partecipazioni assorbono patrimonio di vigilanza, e dal 2014, se non
interverranno correzioni, Mediobanca dovrà defalcare dal proprio patrimonio 400 milioni l'anno per 5 anni allo
scopo di ammortizzare il suo 13,5% di Generali.
È in tale contesto che le difficoltà di Generali si riflettono su Mediobanca. E non tanto perché è accaduto
l'impensabile (le quotazioni della compagnia sotto il valore al quale sono registrate nel bilancio di
Mediobanca), quanto perché più di un analista scrive che la compagnia ha bisogno di 5 miliardi di nuovo
capitale. Se vi aggiungiamo il rischio di svalutare i prestiti subordinati sottoscritti in Fonsai, ecco perché la
Borsa teme che Mediobanca si trovi costretta a sua volta a un aumento di capitale per due scopi impopolari
come tenere le posizioni a Trieste e turare eventuali falle a Firenze.
La rapidità del cambio della guardia potrebbe avere tra le sue ragioni anche il timore che Perissinotto potesse
precostituire, in vista dell'assemblea per il rinnovo delle cariche nel 2013, un gruppo di soci amici (Roberto
Meneguzzo con Veneto Banca, l'oligarca ceco Petr Kellner, ma forse anche il fondo americano BlackRock,
potenziale alleato di Assogestioni, si sussurra di una fondazione) capace di insidiare il listone di Mediobanca e
alleati, costretti comunque a stare assieme per evitare sorprese con la nuova normativa sul voto assembleare dei
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fondi.
Ma al di là dei retroscena piccanti e del rapporto competitivo con Intesa (critica su Fonsai, pro Perissinotto, ma
senza mettersi mai davvero di traverso) c'è la ben più rilevante esigenza di ottenere un rilancio della compagnia
ad opera di un nuovo leader credibile, com'è Mario Greco, e finanziabile vendendo le banche svizzere
acquistate da Perissinotto (Banca del Gottardo, Buc di Lugano). Con le Generali che tornano all'onor del mondo
(e con il successo dell'operazione Unipol-Fonsai), cesserebbe la pressione ribassista sul titolo Mediobanca. E a
quel punto, per Nagel e Pagliaro si aprirebbe l'opportunità di cedere una quota della partecipazione Generali,
così da allentare la morsa di Basilea e migliorare il patrimonio di vigilanza, già pari a un confortevole 11%.
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: Massimo Nava
Addio ad Antoine Bernheim,
il signore francese di Trieste
Dall’ascesa in Lazard al sodalizio con Cuccia
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È morto a Parigi, l'altra notte, nel sonno, l'ex banchiere francese Antoine Bernheim, presidente onorario delle
Generali, dopo esser stato presidente della compagnia di Trieste tra il 2002 e il 2010 e precedentemente tra il
1995 e il 1999. Aveva 87 anni. Bernheim è stato una figura chiave del capitalismo e della finanza francesi,
partner di Lazard dal 1967 al 2005, mentore di imprenditori come Bernard Arnault, François Pinault e Vincent
Bolloré. Fu insignito di numerose onorificenze francesi e italiane, tra cui quella di commendatore dell'Ordine
delle Arti e delle lettere (2006), Gran Croce della Legion d'Onore (2007) e Gran Croce dell'Ordine al merito
della Repubblica italiana (2008). «Ogni volta che leggo necrologi sui giornali, trovo nomi di persone che
conosco e mi stupisco di non trovarci il mio. Si vede che lassù non mi vogliono...». Questa era una battuta
ricorrente di Antoine Bernheim, seguita da una visione talvolta stravagante della vita, del lavoro, del potere, dei
soldi, considerati un «mezzo», ma mai abbastanza per ritenersi ricco. «Se non mi vogliono in cielo, perché
dovrei smettere di lavorare. La pensione è l'anticamera della morte. Se non fai funzionare i neuroni, ci si
rincoglionisce...».
Ho avuto numerose occasioni di raccogliere le sue confidenze, nell'ufficio di Generali, Boulevard Haussmann, a
Parigi, con il proposito di un libro di memorie che non si fece mai, vuoi perché Bernheim oscillava fra
narcisismo e basso profilo («La mia vita non interessa a nessuno»), vuoi per dettagli contrattuali che sarebbe
inelegante rispolverare. Sui segreti delle grandi fortune di Francia — in particolare gli imperi di Bernard
Arnault, François Pinault e Vincent Bolloré —, cui aveva contribuito come banchiere d'affari, abbondava di
retroscena, attribuendosi il merito di avere inventato le «holding a cascata» che avevano consentito scalate,
acquisizioni e costituzioni di grandi società ramificate in diversi settori. E sulle vicende che lo portarono per
due volte alla testa di Generali — e come Napoleone, due volte nella polvere — era un fiume in piena di
risentimento e amarezza.
Volentieri si apriva al ricordo doloroso della sua infanzia, segnata dalla deportazione di entrambi i genitori nel
campo di concentramento di Birkenau e dal coraggioso impegno per mettere in salvo amici e conoscenti della
comunità ebraica di Grenoble. Ricordava che sua madre non aveva voluto che fosse circonciso: «Condizione
che mi salvò la vita durante retate e perquisizioni, quando i nazisti ci facevano abbassare i pantaloni».
«La mia età — raccontava a proposito della seconda defenestrazione da Generali, nell'aprile di due anni fa — è
stata solo un pretesto per farmi fuori. Si voleva a tutti i costi che Generali tornasse in mani italiane. Hanno vinto
gli uomini di Mediobanca. Anche il mio amico Vincent Bolloré non ha fatto nulla per difendermi. Parlo poco
l'italiano, ma ho inventato una parola nella vostra lingua, la mediocrazia, il regno dei mediocri».
Poi confessava che l'idea di svegliarsi senza nulla da fare gli era insopportabile più della perdita del potere,
peraltro mitigata da ricca e contestata buonuscita, da lui considerata «limitata e comunque dovuta». Da allora si
era chiuso nel modesto studio privato — un divano, una scrivania, la tv e qualche libro — lontano da salotti
parigini, cerimonie ufficiali e avvenimenti mondani che lo avevano visto onnipresente. «Mio padre non può
stare solo. Ha l'ossessione della morte», raccontava il figlio primogenito, recentemente scomparso.
«Non mi ritengo una persona insostituibile, i cimiteri sono pieni di gente insostituibile, ma mi sono sentito
umiliato, costretto a farmi da parte con manovre dietro le quinte che nulla c'entravano con il bene della
Compagnia. Mi hanno considerato un approfittatore, il che mi ha fatto ancora più male. Ma si sa, l'Italia è il
Paese di Borgia e Machiavelli. La regola è il tradimento. Bisogna guardarsi sempre alle spalle. Fu così anche la
prima volta, con la congiura di Maranghi, il quale a onor del vero, comprese più tardi di aver fatto un errore e
cercò di riconciliarsi con me. Anche Cuccia riconobbe l'errore, ma ormai la frittata era fatta».
Nonostante le amarezze, Bernheim amava profondamente l'Italia, Venezia, Trieste, Milano, Roma, la Sardegna.
«Il mio rapporto di amicizia con il vostro popolo cominciò durante l'occupazione fascista di Grenoble. Le
autorità francesi consegnavano gli ebrei ai nazisti, ma gli ufficiali italiani facevano di tutto per proteggerli e
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lasciarli scappare. Purtroppo, mio padre non riuscì a salvarsi. Venne arrestato. Mia madre andò al comando
della Gestapo per chiedere notizie e non tornò più. Oltre al dolore, il dubbio che avrebbero potuto salvarsi mi ha
tormentato tutta la vita».
Bernheim ripeteva spesso un'altra battuta: «La gratitudine non è un sentimento, bensì una malattia dei cani, non
trasmissibile agli esseri umani». Immagine cruda, cinica, però rivelatrice della solitudine del personaggio e
della sua idea del prossimo. Era schivo, sospettoso, riservatissimo, salvo commuoversi fino alle lacrime nel
ricordare l'olocausto e il destino della sua famiglia. Tradiva anche timidezza e — nonostante successi,
conoscenze altolocate, relazioni politiche e finanziarie a livello internazionale — un incessante bisogno di
riconoscenza pubblica. Avarizia e attaccamento al denaro gli avevano appiccicato addosso l'immagine di un
Arpagone del nostro tempo, anche se il suo rapporto con i soldi sarebbe più spiegabile con un trattato di
psicoanalisi. Bernheim confidava di non sapere che farsene del denaro, salvo l'immenso piacere di moltiplicarlo
con gli strumenti del capitalismo finanziario che sapeva maneggiare da quando era entrato alla banca d'affari
Lazard, dopo le prime esperienze nel commercio e nell'immobiliare. «Nessuna cassaforte segue un funerale»,
diceva.
«Per creare un grande patrimonio è inevitabile derogare qualche regola, salvo inventare qualche cosa di geniale
dal nulla, come nel caso di Microsoft. Non si possono fare soldi con gli affari rispettando sempre l'etica. Non
mi reputo un maestro di morale, ma ho sempre cercato di avere delle regole. Sono convinto che il capitalismo
senza regole porti al disastro e all'anarchia come sta avvenendo di questi tempi. Non credo sia possibile seguire
contemporaneamente i propri affari e quelli degli altri. Per questo non sono diventato ricco».
«Non so che cosa voglia dire il tempo libero, avendone pochissimo. Faccio qualche weekend a Venezia, gioco
ancora a golf, ma sono un pessimo giocatore e partecipo a qualche torneo di bridge che serve a tenere allenata
la mente. La più grande soddisfazione è stata battere Bill Gates».
«La mia vita è stata una continua battaglia — diceva — e ho voglia di combattere ancora. Per questo non mi
piacciono i bilanci».
Nonostante rapporti di amicizia con alti prelati, fra i quali i cardinali Lustiger e Scola, era rimasto agnostico. «I
miei amici cardinali non mi hanno mai dato risposte entusiasmanti. La fede è la più grande ricchezza della vita,
ma non è concessa a tutti. Continuo a pormi delle domande e credo che la religione cattolica sia un po' meglio
delle altre. Contiene quel genere di aspettative che si chiama speranza. In che cosa non so. Io ho attese, non ho
la speranza».
*CORRIERE DELLA SERA*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: Sergio Bocconi
Della Valle si dimette da Generali
Fonsai, Unipol stringe sui concambi
Il patron di Tod's: nessuna polemica, la compagnia una grande istituzione
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MILANO — Diego Della Valle si è dimesso dal consiglio delle Generali. Ieri ha inviato al Leone la lettera nel
quale formalizza il passo, motivandolo con il «dissenso circa le modalità di gestione della sostituzione del
group ceo»: sabato, quando il consiglio della compagnia triestina ha sfiduciato a larga maggioranza Giovanni
Perissinotto e deciso la sua sostituzione con Mario Greco, proveniente da Zurich, l'imprenditore della Tod's ha
votato contro il cambio della guardia perché in disaccordo con la decisione «nella forma e nella sostanza».
Dissenso che ieri Della Valle, entrato nel board del Leone nel 2004 come amministratore indipendente, ha
ribadito nel corso di «Ballarò» su Rai Tre: «Mi sono dimesso perché non ero d'accordo con alcune decisioni
prese sabato. Non in polemica, ma fermamente convinto che si poteva fare diversamente. Volevo solo
confermare il mio punto di vista. Sono uscito perché così si dovrebbe fare quando non si è d'accordo su
qualcosa. Generali è importante perché è una grandissima società, di grande tradizione e che rappresenta forse
uno degli esempi più belli di buona gestione e reputazione delle nostre imprese non solo in Italia ma soprattutto
all'estero». Quanto a Mediobanca, principale socio del leone con il 13,4%, secondo Della Valle «non è servita
molto all'Italia, potrebbe diventare utile Paese, dipenderà molto da come si deciderà di farla funzionare».
E a proposito degli assetti azionari triestini, ieri è arrivata la conferma che Petr Kellner, alleato del Leone a
Praga nella joint venture Generali-Ppf, ha quasi dimezzato la propria partecipazione nella compagnia
portandola all'1,14%. La quota è stata inoltre svalutata di 183 milioni.
Sempre ieri si è svolto il consiglio di Unipol che ha esaminato la proposta di Fonsai sui concambi per
l'aggregazione. Il board, iniziato nel primo pomeriggio, si è protratto fino a sera e la compagnia ha deciso di
comunicare i risultati dei lavori questa mattina, alcune fonti hanno però definito la proposta deliberata «vicina»
a quella di Fondiaria-Sai. E un accordo sarebbe stato cercato in un vertice notturno post board fra le due
compagnie.
Il gruppo guidato da Carlo Cimbri aveva indicato la propria quota di controllo sul polo nel 66,7%, mentre
Fonsai l'ha fissata al 61%, quindi al di sotto della percentuale risultata da un negoziato fra i vertici delle società,
che l'aveva posizionata al 61,75%. L'accordo sui concambi è essenziale per andare avanti nell'integrazione, ma
prima dell'assemblea di Premafin convocata per il 12 giugno sul bilancio 2011 e l'aumento di capitale riservato
a Unipol, l'intesa va completata con la rinuncia alla manleva e al diritto di recesso da parte dei Ligresti,
condizioni che la Consob ha definito incompatibili con il salvataggio e quindi con l'esenzione dall'Opa. Senza la
quale Unipol si ritirerebbe dalla partita.
Intanto nella relazione degli amministratori di Fonsai depositata in vista dell'assemblea-bis sull'aumento di fine
giugno, si legge che la ricapitalizzazione da 1,1 miliardi porterebbe il margine di solvibilità (su base aprile) al
136,2%. Infine l'Isvap ha ricevuto dall'Antitrust la bozza di provvedimento sulle misure che Unipol e
Mediobanca dovranno prendere perché la fusione venga autorizzata. L'authority assicurativa ha 30 giorni per il
parere, ma i tempi saranno più rapidi.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
Il vertice
Spagna sul baratro,
Obama striglia la Ue
Il G7 in pressing sulla Merkel. La Casa Bianca: seguite i nostri consigli
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NEW YORK - Un crac delle banche spagnole è ormai così vicino che Madrid lancia un disperato Sos
all´Unione.
Barack Obama torna a incalzare gli europei. E´ la seconda volta in due giorni. «Il senso di urgenza è estremo,
occorrono misure immediate, siamo pronti a dare consigli all´Europa», dice la Casa Bianca. Ma la
teleconferenza che riunisce ministri economici e banchieri centrali del G7 si riduce a un pressing sulla
Germania senza risultati concreti: neppure un comunicato congiunto al termine del summit.
L´attenzione si sposta sul direttivo Bce di oggi, nella speranza di nuovi interventi di Mario Draghi: lo stesso
Fondo monetario internazionale lo incoraggia a ridurre i tassi d´interesse per salvare l´eurozona dalla
depressione. «I mercati si attendono di più e bisogna fare di più», dice il consigliere economico di Obama,
Michael Froman.
La teleconferenza del G7 si è svolta all´insegna di una nuova escalation nell´emergenza spagnola. La Spagna
non fa parte del G7, ma i ministri economici del Gruppo (Usa, Giappone, Germania, Inghilterra, Francia, Italia
e Canada) si sono consultati in un clima da "assedio" per gli annunci in arrivo da Madrid. Il ministro spagnolo
del Tesoro, Cristòbal Montoro, ha descritto una situazione ormai vicina alla crisi di liquidità per «l´accesso
difficile ai mercati, proprio quando dobbiamo rifinanziare il debito». Il tasso sui bond spagnoli decennali è del
6,3% e il governo lo interpreta come una sfiducia dei mercati quasi insostenibile. Giovedì un test delicato a
Madrid sarà un´asta per il collocamento di 2 miliardi di euro di titoli del Tesoro. Lo stesso Montoro ha lanciato
un appello alle istituzioni europee perché aiutino la Spagna a ricapitalizzare le sue banche.
Occorrono 40 miliardi di euro, secondo la stima del banchiere Emilio Botìn (Banco Santander). Il G7 ha
evocato apertamente la prospettiva di una fuga dalle banche spagnole, un assalto agli sportelli da parte dei
risparmiatori in preda al panico.
Tra la Spagna e la Germania è in atto un braccio di ferro, sotto lo sguardo costernato dell´Amministrazione
Obama che giudica irresponsabili le lentezze europee. Il gioco della cancelliera Angela Merkel è questo: ha
accennato alla disponibilità verso una sorta di "unione bancaria europea", con un organo di vigilanza comune
come lo auspica Draghi. Non però fino al punto da finanziare un´assicurazione europea sui depositi bancari
(sul modello della Federal Deposit Insurance Co. americana), quella che metterebbe definitivamente al riparo i
risparmiatori greci e spagnoli. In quanto agli aiuti alle banche spagnole, la Merkel e la Bundesbank continuano
a bloccare aiuti diretti dalla Bce o dal fondo salva-Stati. Vogliono invece che sia il governo spagnolo a
chiedere ufficialmente un piano di salvataggio alla troika - Commissione Ue, Bce, Fmi - come hanno già fatto
in precedenza Grecia, Irlanda e Portogallo.
Solo mettendosi sotto il "commissariamento" esterno, Madrid potrebbe attingere agli aiuti per la
ricapitalizzazione delle sue banche. E´ proprio questa umiliazione politica, che il premier spagnolo Mariano
Rajoy sta cercando di evitare. Ma i margini di manovra per il suo governo stanno rapidamente scendendo a
zero.
Oggi tocca alla Bce dire la sua, e il Fondo monetario la incoraggia a fare di più. «E´ ovvio che c´è spazio per
un altro taglio dei tassi», dichiara la direttrice del Fmi Christine Lagarde. I mercati però non si aspettano una
decisione simile già da questa settimana. Sembra più probabile che Draghi attenda fino a luglio per scendere
sotto la soglia dell´1%, mai varcata finora.
Entro giugno ci sono ancora degli appuntamenti importanti: il 17 si vota in Grecia in un´elezione che potrebbe
segnare l´inizio dell´uscita dall´euro; subito dopo c´è il G20 che si tiene sotto la presidenza del Messico il 18
giugno e vedrà una nuova "manovra di accerchiamento" della Germania da parte degli Usa e dei Brics; poi a
fine mese un altro summit europeo.
L´Amministrazione Obama parla di "urgenza estrema" perché è convinta che la situazione possa sfuggire di
mano prima ancora di arrivare alla fine di giugno. La stessa Federal Reserve sta discutendo se ricominciare a
pompare liquidità nel sistema bancario americano per isolarlo dal contagio dell´euro.
I contratti "ribassisti" che puntano sul tracollo dell´euro da parte degli hedge fund sono a un massimo storico.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: ALBERTO D’ARGENIO
Sulle resistenze di Angela
la paura di Monti e Hollande
Italia e Francia unite: accelerare sulla crescita
Il presidente transalpino il 14 a Roma. Ieri incontro del Professore con il ministro
Fabius
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ROMA - La preoccupazione corre sull´asse tra Roma e Parigi. Il premier Mario Monti riceve a Palazzo Chigi il
ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Un´ora e un quarto per fare il punto in vista del cruciale summit
europeo del 28 giugno. E c´è poco da gioire. I segnali che arrivano da Berlino non sono dei migliori. Anzi, la
sensazione è che la Merkel voglia concedere poco o nulla nel vitale negoziato per portare l´euro fuori dalla
zona pericolo. È per questo che al termine dell´incontro con Fabius viene annunciata una bilaterale tra Monti e
Hollande per il 14 giugno a Roma. Un summit d´emergenza (Hollande vedrà anche Napolitano) prima della
quadrilaterale romana della settimana successiva alla quale parteciperanno anche la Merkel e Rajoy. Il vero e
decisivo prologo al summit di Bruxelles.
Che ormai Italia e Francia stiano aumentando il pressing sulla Merkel lo ammettono anche nel governo: «Le
nostre posizioni le stiamo presentando in modo sempre più assertivo», spiega un ministro per dire che i toni si
stanno alzando. Lo stesso Fabius non si risparmia per far capire che i rapporti tra Monti e Hollande sono
solidissimi, che la mission è comune. «Le ombre del passato tra Italia e Francia sono dissipate». Un
riferimento alle ruggini tra Berlusconi e Sarkozy e, ancora prima, tra il Cavaliere e Chirac. Ora sono solo
ricordi. Roma e Parigi insieme partono alla carica «con una convergenza nell´approccio, in particolare sui
mezzi precisi per sostenere l´indispensabile crescita».
Il punto è che negli ultimi giorni gli sherpa della Merkel hanno fatto sapere che la Cancelliera non vuole
mollare sulle ricette proposte per rilanciare l´economia europea, unico modo per spezzare la crisi. Ma la
sensazione è che all´intransigenza Berlino non rinuncerà nemmeno nella gestione dei due teatri di crisi
potenzialmente letali per l´euro: Grecia e Spagna. Non sembra che i tedeschi siano pronti a concedere
qualcosa sui soffocanti impegni imposti ad Atene in cambio degli aiuti, avvicinandosi alle elezioni del 17
giugno con poco tranquillizzante prendere o lasciare. E poi la Spagna: i tentativi di convincere la Merkel a
cambiare lo statuto del Fondo Salva-Stati Ue in modo da permettergli di salvare direttamente le banche
iberiche stanno andando a vuoto per l´ostinazione con la quale i tedeschi in cambio degli aiuti non vogliono
ricevere garanzie di banche già cotte. Tanto che ormai si dà per scontato che i soldi andranno al governo
spagnolo, che poi li girerà agli istituti. Con il rischio che Madrid venga giudicata in parte insolvente dai mercati.
E ancora, sulla crescita la Merkel sembra non voler concedere nulla fino a quando i governi del Sud Europa
non avranno fatto le riforme che Berlino ritiene necessarie. Un gioco pericoloso.
Dunque a Monti e Hollande tocca il compito di mettere insieme gli elementi per un´ultima sortita sulla
Cancelliera. Mossa che dietro le quinte sta caldeggiando lo stesso Barack Obama, sempre più spaventato che
la crisi europea investa gli Usa compromettendo la sua rielezione. Così come Giorgio Napolitano, che dal suo
osservatorio del Quirinale vive con crescente apprensione lo svilupparsi degli eventi. Un quadro negativo
nonostante l´Italia in questi mesi abbia negoziato con una centralità e una attenzione del tutto nuove per il
Paese. Certo, al summit di fine mese Roma porterà a casa più di un risultato sulla crescita, ma il timore è che
la risposta complessiva degli europei non sarà all´altezza della situazione lasciando alla Bce il compito di
ergersi come ultimo baluardo nella difesa della moneta unica.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: GIULIANO FOSCHINI
Dopo le polemiche circolate sul Web. Intanto la Procura di Trani indaga l´ad di
Standard&Poor´s Italia
“Monti non si è mai occupato di rating”
Palazzo Chigi respinge
i sospetti su Moody’s
Ai tempi della Bocconi, era membro del Senior European Advisory Council di Moody´s
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Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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BARI - «Non sono mai intervenuto sul rating né di Stati né di imprese». Il presidente del Consiglio, Mario
Monti, finisce nella polemica sulle agenzie di rating al centro delle inchieste giudiziarie in diverse procure
italiane. Il caso nasce sulla rete: alcuni siti hanno raccontato ieri che Monti lavorava per Moody´s quando
l´Italia del governo Berlusconi fu declassata. La polemica è montata, il Pdl ha cominciato a soffiarci su
gridando al complotto. Nel primo pomeriggio è arrivata la nota di Palazzo Chigi con i chiarimenti. «Il presidente
Monti non ha mai partecipato alla valutazione, neppure in via indiretta, di Stati o imprese sotto il profilo del
rating. Ai tempi della presidenza dell´università Bocconi, era membro del Senior European Advisory Council di
Moody´s: in pratica avrà partecipato a due-tre riunioni all´anno che avevano per oggetto scambi di vedute
sull´integrazione europea e sulla politica economica dell´Unione europea».
La polemica su Monti arriva proprio nel giorno in cui la procura di Trani continua la sua battaglia contro le
agenzie di rating. Prima sono finiti sotto inchiesta i vertici di Moody´s e Fitch. Ora quelli di Standard & Poor´s.
Nei giorni scorsi è stato notificato un avviso di garanzia all´ex presidente, Deven Sharma, e all´attuale
responsabile dell´agenzia per l´Europa, Yann Le Pallec. Ieri è toccato all´amministratore delegato per l´Italia di
S&P, Maria Pierdicchi: la sua posizione è stata però trasferita per competenza a Milano. I reati contestati sono
a vario titolo l´alterazione del mercato pluriaggravata e il favoreggiamento. Alla Pierdicchi viene contestato di
aver tentato di aiutare gli altri indagati a eludere le indagini. Oggetto dell´inchiesta sono i quattro report
sull´Italia diffusi tra il maggio 2011 e il gennaio 2012 dall´agenzia. Documenti che hanno portato alla
«destabilizzazione dell´immagine - si legge nei documenti - prestigio e affidamento creditizio dell´Italia sui
mercati finanziari» ma anche all´indebolimento dell´euro e a un «deprezzamento» del valore dei titoli di Stato
italiani. S&P lo avrebbe realizzato - contesta la pubblica accusa - attraverso «una serie di artifici» che
avrebbero «cagionato alla Repubblica italiana un danno patrimoniale di rilevantissima gravità». La procura l´inchiesta è coordinata dal procuratore capo Carlo Maria Capristo e dal sostituto Michele Ruggiero, e affidata
agli uomini del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Bari - accusa S&P di aver utilizzato
«analisti inesperti e incompetenti». E di aver fatto le comunicazioni ai mercati in modo «selettivo e mirato» in
relazione «ai momenti di maggiore criticità della situazione politica economica italiana». Agli atti ci sono
documenti e intercettazioni telefoniche ora nelle mani della Consob che dovrà valutare una eventuale
sospensione dell´attività di Standard & Poor´s in Italia.
«Riteniamo che le accuse riportate siano prive di ogni fondamento e non supportate da alcuna prova», ribatte
Standard & Poor´s. «Continueremo a difendere strenuamente le nostre azioni e la reputazione della società e
delle nostre persone».
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: WALTER GALBIATI
Unicredit, Profumo a processo
per frode fiscale
Accolta la richiesta della procura. Il banchiere: “Sempre corretto, fiducia nei giudici”
Il presidente Mps a giudizio con altri 19 per il caso Brontos: "Pagate meno tasse per 254 milioni"
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Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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MILANO - Non ha fatto in tempo a sedersi sulla poltrona di presidente del Monte dei Paschi di Siena, che
subito è stato raggiunto da un rinvio a giudizio per falsa rappresentazione nelle scritture contabili e nelle
dichiarazioni dei redditi di Unicredit. Ieri, il giudice per l´udienza preliminare Laura Anna Marchiondelli ha
chiesto il processo per l´ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo per l´operazione
"Brontos", un marchingegno messo in piedi dalla banca con la consulenza della londinese Barclays per
aggirare il fisco italiano. Secondo l´accusa del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, la banca avrebbe iscritto
a bilancio «alcuni proventi come dividendi invece che come interessi attivi, così conseguendo un´indebita
esclusione dal reddito imponibile di una quota pari al 95% dei proventi, falsità poi confluita nelle dichiarazioni
consolidate di Unicredit, modello unico 2008 e 2009 per gli anni d´imposta 2007 e 2008, presentate
rispettivamente il 26 settembre 2008 e il 28 settembre 2009». Il danno per le casse dello Stato italiano
sarebbe stato di 245 milioni di euro.
Il processo si svolgerà a Milano e non come avevano chiesto le difese a Roma, Bologna o Verona, sedi di
Unicredit. Il giudice per definire la sede del processo ha applicato il principio secondo cui il foro di competenza
coincide con la sede dell´accertamento in quanto il gruppo nel calcolare quanto deve all´erario si avvale del
consolidato fiscale. «Non esiste - scrive il giudice - un domicilio fiscale del consolidato fiscale, bensì tanti
domicili fiscali, quante sono le società partecipanti». E quando la regola del domicilio fiscale non è attuabile, si
adotta il criterio del luogo di accertamento del reato. L´ultima cena di Profumo, che si dice certo del suo
operato, si svolgerà a Milano. La sua colpa sarebbe stata quella di aver firmato le richieste di approvazione
dell´investimento il 1 marzo 2007, il 9 aprile 2008 e il 7 novembre 2008. Con lui, a ottobre, saranno a giudizio
16 manager di Unicredit e tre banchieri di Barclays.
La persona offesa dal reato è il ministero dell´Economia e delle Finanze, che al momento del deposito delle
dichiarazioni dei redditi di Unicredit era guidato da Giulio Tremonti. Ma nel 2007 a dare fiducia a Profumo era
stato proprio lo studio Vitali Romagnoli Piccardi e Associati, che nella sua carta intestata registrava in bella
evidenza «fondato dal professor avvocato Giulio Tremonti». «L´operazione non pare connotata da elementi
tali da determinare un «aggiramento» di obblighi», scriveva lo studio nel parere rilasciato il 30 marzo 2007 e in
fotocopia per l´anno successivo. Ad aprile 2008, poi, Tremonti diventa ministro e a settembre nelle stanze di
Unicredit arriva la Finanza. Dalla carta intestata dello studio sparisce il nome Tremonti: un primo parere del 23
gennaio 2009 è identico ai precedenti, mentre quello del 10 settembre 2010 cambia: «La vostra società
procedendo alla redazione della dichiarazione in linea con l´impostazione del Fisco, eviterebbe sanzioni tra il
100 e il 200%, la contrapposizione forte con l´amministrazione finanziaria, il danno della possibile reiterazione
di un´azione penale e il danno reputazionale. Quindi è «prudente e corretto» pagare le tasse e poi chiedere
«una motivata istanza di rimborso».
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: VITTORIA PULEDDA
Il cda della compagnia dei Ligresti ha esaminato la situazione delle partite incrociate con
Sinergia e Imco
Unipol-Fonsai, trattativa a oltranza
arriva la controproposta di Bologna
Il consiglio della Milano dovrà essere rieletto a luglio. Il caso Cappelli in Consob
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MILANO - Unipol-Fonsai, si tratta ancora. Il cda della compagnia bolognese, che si è tenuto nel pomeriggio,
sembra non abbia accettato in blocco le condizioni dell´offerta varate lo scorso 24 maggio da Fonsai-Milano:
un nuovo testo con l´offerta di parte Unipol potrebbe essere stato inoltrato nella notte alle compagnie di
Ligresti, forse stamane, a mercati ancora chiusi. Da parte Unipol non ci sono state comunicazioni ufficiali, sul
fronte Fonsai si era in attesa di una controfferta. Che, per essere approvata, dovrà peraltro ripassare per il
voto positivo delle tre società coinvolte, cosa che porterebbe probabilmente ad una nuova maratona nel fine
settimana (per arrivare il 12 giugno all´assemblea Premafin con i contratti di rifinanziamento del debito firmati
dalle banche e dunque muoversi nell´ipotesi di continuità aziendale). Il che apre un fronte supplementare su
Milano assicurazioni, il cui cda deve essere nuovamente eletto nell´assemblea di metà luglio. Ieri comunque la
compagnia ha ricordato che la negoziazione per l´integrazione «continua ad essere seguita nell´interesse
della compagnia da Angelo Casò».
Nella giornata di ieri si erano riuniti anche i cda Fonsai e Milano. Al centro del doppio appuntamento, la
strategia da tenere nei confronti delle holding a monte, Sinergia e Imco. Le due società sono alle prese con un
piano di ristrutturazione aziendale che dovrà passare al vaglio del giudice, ex articolo 182 bis della legge
fallimentare (sugli attivi di Sinergia-Imco c´è una manifestazione di intenti dei fondi Hines, mentre non è
interessata Enpam). E l´atteggiamento che terranno Fonsai e Milano sui circa 162 milioni di crediti (dopo la
svalutazione per circa 54,2 milioni, già compresa nei bilanci 2011 delle due compagnie) rischia di essere
determinante - o quasi - sulla percorribilità o meno del piano di ristrutturazione. I crediti riguardano tre siti: un
complesso residenziale in via Fiorentini a Roma (su cui i lavori sono fermi in attesa della revisione soggetta ad
approvazione del Comune), un edificio ad uso terziario di 12 piani in via de Castillia a Milano (zona Isola) e
infine un albergo, con annesso centro benessere, a San Pancrazio Parmense, su cui peraltro nel novembre
2011 Ata Hotel ha dichiarato di non essere più interessata alla locazione dell´immobile.
Nel corso del proprio cda, Fonsai aveva anche affrontato il nodo dei requisiti di indipendenza del consigliere
Roberto Cappelli, che a breve verranno illustrati alla Consob. Intanto gli amministratori hanno fatto sapere che
in caso di aumento da 1,1 miliardi, il margine di solvibilità corretto proforma della compagnia a fine aprile
scorso sarebbe del 136,2%. Secondo i sindacati, infine, la fusione metterebbe a rischio 3.500 posti.
*la Repubblica*
MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012
di: ANDREA GRECO
Addio al grande vecchio Bernheim
quarant’anni al centro della finanza
Una vita in prima linea tra Generali, Lazard e Mediobanca
Gran borghese del network ebraico, con il 5% di Euralux diventò perno della Galassia del Nord
È stato fedele alle sue regole: "A due anni dalla pensione anche i grandissimi sono relitti umani"
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MILANO - Antoine Bernheim addio. Il finanziere parigino se ne va in una clinica svizzera a 87 anni, due dopo il
pensionamento forzato dalla presidenza Generali (che manteneva onoraria). Dodici anni dopo Enrico Cuccia,
cinque dopo Vincenzo Maranghi, tre giorni dopo la defenestrazione dell´ad della compagnia Giovanni
Perissinotto, è un altro segno – del fato questo – di un ciclo che si chiude. Il ‘900 della finanza italiana e delle
sue certezze passati ai libri.
Classico personaggio di cui si perde lo stampo, tra stinte banderuole in grisaglia che inseguono gli spread, il
gran borghese erede della tradizione mercantile ebraica per cui tutto si compra o si vende, orfano del lager
educato dalla Shoah, seppe essere uomo a tutto tondo. Orgogliosissimo e scostante, raffinato e greve, fedele
con gli amici, meno negli affari. Capiva l´italiano ma non lo parlava in pubblico, per lo sdegno d´essere stato
cacciato da Generali nel ‘99, «semplicemente perché avevo trovato un lavoro a Gerardo Braggiotti». Il pupillo
di Mediobanca che si era bruciato le ali presso Maranghi e riparò a Parigi alla rivale Lazard, dove Bernheim
era il più famoso e ingombrante associé gérant di Michel David-Weill. L´allievo di André Meyer, di cui Cuccia
fu allievo, di cui fu allievo lui.
«Poi Cuccia e Maranghi mi chiesero scusa», fece sapere; soprattutto lo reintegrarono alla presidenza del
Leone nel 2002, per altri otto anni. Era suscettibile e lo ribadì due anni fa, alla decisione di Mediobanca di non
rinnovarlo alla presidenza. «Un insulto, per quel che rappresento». E un insulto condito, quando apprese che
la sua buonuscita per 37 anni di servizio triestino ammontava a 14 milioni, due meno di quelli che il
successore Cesare Geronzi portò via per un solo anno. Si racconta che dopo l´assemblea del pensionamento
si sia fermato a piangere in una saletta contigua al consiglio, come un bambino con il suo giocattolo rotto,
mentre il fido Tarak Ben Ammar tentava: «Antoine, ma resterai nella famiglia e nella storia di Generali». Ma lui:
«Non, ils m´ont mis dans un coin, ils m´ont tué! Je suis perdu», e scuoteva la testa, citando l´età per un
pretesto, che anche Cuccia guidava l´istituto novantenne. Eppure aveva avuto tutto, dalla vita, almeno da
quando a metà anni ´60 aveva scalato le posizioni di banchiere d´affari in Lazard, diventando il fulcro, con
Cuccia, della galassia Mediobanca, tramite il 5% di Generali chiuso nei misteriosi forzieri di Euralux, che
Lazard nel ´73 rilevò da Montedison. Nasceva allora l´asse Milano-Trieste, autoriferito e tutelato dalle mani
carismatiche e sapienti dei due finanzieri.
Ieri Vincent Bolloré, capofila dei soci francesi che lui insinuò come terzo pilastro nell´azionariato Mediobanca,
ha dichiarato: «Con profonda emozione ho appreso della scomparsa di un uomo che, per decenni, è stato un
sostegno indefesso per il mio gruppo e un consigliere prezioso per me». La stessa cosa potrebbero dire
Bernard Arnault e Claude Bébéar, che grazie all´intuito e sostegno del numero due di Lazard si imposero negli
anni come leader di Lvmh e Axa, campioni del capitalismo francese. Il leader della moda mondiale ha detto:
«Per 30 anni con il suo eccezionale carisma, le sue intuizioni e le sue strategie Bernheim ha plasmato
l´economia europea». Tutti figli ingrati, infine; ma il suo motto preferito («la riconoscenza è una malattia del
cane non trasmissibile all´uomo») li prevedeva.
Profetiche alcune sue dichiarazioni rese lasciando Trieste: «Pensate che io possa fare il dipendente di
Mediobanca? Non è più soltanto lei a dirigere le operazioni: alcuni azionisti italiani consideravano chiuso il
ciclo Bernheim». «Mediobanca non può dare a Generali i margini di manovra di cui ha bisogno, specie per
crescere all´estero». A corollario, chiedeva da anni, in pubblico e in privato, una ricapitalizzazione a Trieste,
sempre osteggiata dal suo primo socio (gli avessero dato retta).
Anche su se stesso fu profetico: «Per vivere devo far girare i neuroni e ho bisogno di lavorare. In Lazard ho
visto tanti presidenti di aziende grandissime che quando incontravo magari per caso due anni dopo la
pensione parevano relitti umani». Malgrado ai suoi neuroni restassero l´amato bridge e le sinecure, ha
osservato la regola dei due anni.
La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una serena giornata
A
Arrrriivveeddeerrccii aa
domani 7 Giugno
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rraasssseeggnnaa ssttaam
mppaa!!