Mercoledì 6 Giugno 2012
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Mercoledì 6 Giugno 2012
Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136 e-mail: [email protected] sito web: www.fiba.it Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale RASSEGNA STAMPA Mercoledì 6 Giugno 2012 U Unn aaffooriissm maa aall ggiioorrnnoo............................................................................................................................. 22 NON È STATA PUBBLICATA L’EDIZIONE COMPLETA DEL QUOTIDIANO ONLINE Madrid lancia l’allarme: «Accesso ai mercati chiuso» ......................................... 3 Mediobanca, la svolta di Nagel ............................................................................... 4 Addio ad Antoine Bernheim, il signore francese di Trieste ................................. 6 Della Valle si dimette da Generali Fonsai, Unipol stringe sui concambi ........... 8 pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 1 Spagna sul baratro, Obama striglia la Ue .............................................................. 9 Sulle resistenze di Angela la paura di Monti e Hollande ..................................... 10 “Monti non si è mai occupato di rating” Palazzo Chigi respinge i sospetti su Moody’s ..................................................... 11 Unicredit, Profumo a processo per frode fiscale ................................................... 12 Unipol-Fonsai, trattativa a oltranza arriva la controproposta di Bologna ......... 13 Addio al grande vecchio Bernheim quarant’anni al centro della finanza .......... 14 UN AFORISMA AL GIORNO a cura di “eater communications” “Chi guarda sempre in basso non inciamperà mai, ” ma perd erà splen didi pa norami .!! pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 2 ((V Viin ncceen ntt M Mcc E Eaatteerr)) *CORRIERE DELLA SERA* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 DAL NOSTRO INVIATO Ivo Caizzi Madrid lancia l’allarme: «Accesso ai mercati chiuso» Chiesti aiuti per salvare le banche. Pressing del G7 pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 3 BRUXELLES — La Spagna ha chiesto aiuti urgenti all'Unione europea perché sono diventati troppo alti i costi sui mercati del suo indebitamento, in continuo aumento a causa delle dimensioni dei salvataggi bancari. Ma anche i ministri finanziari del G7, in una teleconferenza incentrata sui rischi di contagio della crisi della zona euro, hanno condiviso che l'Europa dovrebbe intervenire «rapidamente». Soprattutto dagli Stati Uniti — dove i problemi sono iniziati (con lo scandalo dei mutui immobiliari speculativi e il tracollo della banca Lehman) e non sono stati ancora tutti risolti — manifestano preoccupazioni e hanno accentuato le pressioni sulla Germania, che frena un po' tutte le iniziative Ue basate su nuovi esborsi. Le criticità nel sistema bancario (dalla Grecia al Portogallo, alla Spagna e fino a Cipro), che potrebbero contagiare molte banche tedesche esposte nei Paesi a rischio, hanno convinto la Commissione europea ad annunciare oggi la proposta di «Unione bancaria» con garanzie comuni dei depositi. La stessa idea era stata avanzata dal presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi, che oggi, nella riunione del consiglio direttivo, potrebbe considerare una riduzione dei tassi di interesse sull'euro (immediata o in tempi più o meno brevi). Il direttore del Fondo monetario di Washington, la francese Christine Lagarde, ha sollecitato un maggiore impegno della Bce, che con circa mille miliardi di prestiti a tre anni a bassissimo costo (1%) ha fornito finora il principale contributo concreto al salvataggio del sistema bancario e dell'euro. La giornata di Bruxelles è stata scossa dal premier spagnolo Mariano Rajoy, che ha sollecitato l'Europa ad «aiutare le nazioni in difficoltà finanziarie» e a garantire che «l'euro è un progetto irreversibile e che non è in pericolo». La speculazione ha esasperato la paura di crac bancari, che il governo Rajoy non potrebbe sostenere, facendo schizzare a livelli insostenibili i tassi sul debito di Madrid. Il ministro finanziario Cristobal Montoro ha chiesto apertamente «fondi» europei per il salvataggio di banche spagnole. Nel G7 gli Stati Uniti hanno ventilato il rischio che un Paese delle dimensioni della Spagna, dopo i problemi in Grecia, Portogallo e Irlanda, possa estendere il contagio dentro e ben oltre l'eurozona. Dal Tesoro Usa hanno esortato l'Europa a fare «di più» e «più rapidamente» nelle prossime settimane, in vista del summit a Bruxelles dei capi di Stato e di governo del 28 e 29 giugno. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha invitato gli europei a «seguire l'esempio americano» aggiungendo che il presidente Obama percepisce un «accentuato senso di urgenza» e vede positivamente quella che ha definito «un'azione europea accelerata» per evitare che la zona euro si spacchi, con potenziali conseguenze globali. E in serata il presidente Usa ha discusso la situazione economica al telefono con il premier britannico Cameron. Al termine della riunione in teleconferenza, dove l'Italia era rappresentata dal premier Mario Monti nel suo ruolo di responsabile dell'Economia, il ministro delle Finanze del Giappone, Jun Azumi, ha detto che «la parte europea ha assicurato che risponderà rapidamente». Il prossimo monitoraggio è stato fissato alla vigilia della riunione delle 20 maggiori economie mondiali (G20) in programma il 18 e 19 giugno in Messico. Oggi la Commissione europea prova a proporre di sgravare i governi (e i contribuenti) dai costi dei salvataggi bancari, varando una Unione del settore a carico principalmente dai banchieri e dagli azionisti. Un sistema integrato di garanzie sui depositi dovrebbe rassicurare i risparmiatori ed evitare le fughe di capitali verificatesi in Grecia e in Spagna. Si punta a far restare sempre in funzione, in caso di fallimenti, perfino il sistema di riscossione automatica Bancomat su tutto il territorio europeo. Ma il regolatore tedesco Bafin ha giudicato «prematura» una Unione bancaria. La linea di Berlino l'ha ribadita il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che ha posposto l'Unione bancaria e le misure di condivisione del debito (come gli eurobond) all'introduzione di una «vera Unione di bilancio», destinata a trasferire a Bruxelles una parte importante della sovranità nazionale nelle politiche economiche. *CORRIERE DELLA SERA* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: Massimo Mucchetti Mediobanca, la svolta di Nagel Il rilancio del Leone necessario per i conti di Piazzetta Cuccia pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 4 E adesso, dopo il cambio della guardia in Generali, che cosa accadrà in Mediobanca, primo azionista della compagnia? Nel momento in cui Del Vecchio, Caltagirone, De Agostini, Fondazione Crt eleggono il titolo a metro di misura del management, è legittimo chiedersi se anche altri soci, quelli di Mediobanca, vogliano fare lo stesso. Certo, le azioni negoziabili di Mediobanca sono pari al 45% contro il 70% delle Generali, ma l'azionariato stabile è molto più frazionato e i due poli più forti, Unicredit e i francesi di Vincent Bolloré, non hanno interesse a destabilizzare il quadro. L'avessero avuto, quale miglior momento di questo in cui Renato Pagliaro e Alberto Nagel se la giocavano sulla rimozione di Giovanni Perissinotto? Dalla Borsa, tuttavia, vengono segnali di sofferenza. La capitalizzazione di Mediobanca è precipitata a 2,6 miliardi. A fine 2006, ultimo anno buono prima della Grande Crisi, la banca di Piazzetta Cuccia valeva 14,5 miliardi. Allora il pacchetto Generali concorreva per il 40% della capitalizzazione, oggi per il 70%. Se si considera la deludente performance borsistica del Leone va registrato un calo ancor più drastico nel valore delle attività tipiche della banca. La Grande Crisi pesa sia sulle fonti di reddito sia sul modello Mediobanca, che è in fase di cambiamento tanto negli affari quanto nei rapporti di potere, con il management tornato a governare l'intero bilancio dopo 7-8 anni nei quali, uscito di scena Vincenzo Maranghi, la politica delle partecipazioni era stata soggetta alla penetrante influenza degli azionisti. Alcune fonti di reddito si stanno inaridendo. Le fusioni, le acquisizioni, i collocamenti in Borsa scarseggiano. Si fanno ristrutturazioni del debito e salvataggi, questo sì. Il caso Premafin-Fonsai è il più importante. Ma la domanda di credito industriale è fiacca. E bisogna andarci piano con l'assunzione di posizioni in proprio perché la raccolta, come si è visto nell'autunno 2011, può congelarsi rapidamente. Fino al 1993, quando il Testo unico bancario rilanciò la banca mista, Mediobanca disponeva di una conveniente raccolta affidata alle banche Iri sue azioniste, le quali portavano pure i clienti. La Mediobanca storica traeva incarichi e compensi dalle società cui partecipava a supporto dei soci di comando. Gradualmente, quel mercato captive è venuto meno. L'elenco delle partecipazioni e dei soci di Mediobanca di oggi è molto diverso da quello di 15 anni fa. La presa sul mercato risulta assai meno ovvia. Delle tre banche azioniste è rimasto solo Unicredit. Ai certificati di deposito si è sostituita la più volatile raccolta obbligazionaria. Fiat fa parte per sé stessa, Orlando è sparito, Montedison idem, la Fonsai dei Ligresti finirà probabilmente all'Unipol, cliente ma non dipendente da Piazzetta Cuccia. I principali soci di oggi — tranne Pirelli — non hanno più intrecci azionari con la ditta. La presenza di Berlusconi è ormai puramente finanziaria. È stata una separazione lunga 10 anni; in parte l'hanno dettata i soci che non volevano più esser tali (Fiat, per esempio), in parte Mediobanca stessa per alleggerire il portafoglio e in parte viene dalla regolazione di Basilea che spiazza l'antica logica cucciana per cui il free capital andava investito in partecipazioni anziché in Btp: oggi infatti, a differenza dei Btp, le partecipazioni assorbono patrimonio di vigilanza, e dal 2014, se non interverranno correzioni, Mediobanca dovrà defalcare dal proprio patrimonio 400 milioni l'anno per 5 anni allo scopo di ammortizzare il suo 13,5% di Generali. È in tale contesto che le difficoltà di Generali si riflettono su Mediobanca. E non tanto perché è accaduto l'impensabile (le quotazioni della compagnia sotto il valore al quale sono registrate nel bilancio di Mediobanca), quanto perché più di un analista scrive che la compagnia ha bisogno di 5 miliardi di nuovo capitale. Se vi aggiungiamo il rischio di svalutare i prestiti subordinati sottoscritti in Fonsai, ecco perché la Borsa teme che Mediobanca si trovi costretta a sua volta a un aumento di capitale per due scopi impopolari come tenere le posizioni a Trieste e turare eventuali falle a Firenze. La rapidità del cambio della guardia potrebbe avere tra le sue ragioni anche il timore che Perissinotto potesse precostituire, in vista dell'assemblea per il rinnovo delle cariche nel 2013, un gruppo di soci amici (Roberto Meneguzzo con Veneto Banca, l'oligarca ceco Petr Kellner, ma forse anche il fondo americano BlackRock, potenziale alleato di Assogestioni, si sussurra di una fondazione) capace di insidiare il listone di Mediobanca e alleati, costretti comunque a stare assieme per evitare sorprese con la nuova normativa sul voto assembleare dei pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 5 fondi. Ma al di là dei retroscena piccanti e del rapporto competitivo con Intesa (critica su Fonsai, pro Perissinotto, ma senza mettersi mai davvero di traverso) c'è la ben più rilevante esigenza di ottenere un rilancio della compagnia ad opera di un nuovo leader credibile, com'è Mario Greco, e finanziabile vendendo le banche svizzere acquistate da Perissinotto (Banca del Gottardo, Buc di Lugano). Con le Generali che tornano all'onor del mondo (e con il successo dell'operazione Unipol-Fonsai), cesserebbe la pressione ribassista sul titolo Mediobanca. E a quel punto, per Nagel e Pagliaro si aprirebbe l'opportunità di cedere una quota della partecipazione Generali, così da allentare la morsa di Basilea e migliorare il patrimonio di vigilanza, già pari a un confortevole 11%. *CORRIERE DELLA SERA* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: Massimo Nava Addio ad Antoine Bernheim, il signore francese di Trieste Dall’ascesa in Lazard al sodalizio con Cuccia pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 6 È morto a Parigi, l'altra notte, nel sonno, l'ex banchiere francese Antoine Bernheim, presidente onorario delle Generali, dopo esser stato presidente della compagnia di Trieste tra il 2002 e il 2010 e precedentemente tra il 1995 e il 1999. Aveva 87 anni. Bernheim è stato una figura chiave del capitalismo e della finanza francesi, partner di Lazard dal 1967 al 2005, mentore di imprenditori come Bernard Arnault, François Pinault e Vincent Bolloré. Fu insignito di numerose onorificenze francesi e italiane, tra cui quella di commendatore dell'Ordine delle Arti e delle lettere (2006), Gran Croce della Legion d'Onore (2007) e Gran Croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana (2008). «Ogni volta che leggo necrologi sui giornali, trovo nomi di persone che conosco e mi stupisco di non trovarci il mio. Si vede che lassù non mi vogliono...». Questa era una battuta ricorrente di Antoine Bernheim, seguita da una visione talvolta stravagante della vita, del lavoro, del potere, dei soldi, considerati un «mezzo», ma mai abbastanza per ritenersi ricco. «Se non mi vogliono in cielo, perché dovrei smettere di lavorare. La pensione è l'anticamera della morte. Se non fai funzionare i neuroni, ci si rincoglionisce...». Ho avuto numerose occasioni di raccogliere le sue confidenze, nell'ufficio di Generali, Boulevard Haussmann, a Parigi, con il proposito di un libro di memorie che non si fece mai, vuoi perché Bernheim oscillava fra narcisismo e basso profilo («La mia vita non interessa a nessuno»), vuoi per dettagli contrattuali che sarebbe inelegante rispolverare. Sui segreti delle grandi fortune di Francia — in particolare gli imperi di Bernard Arnault, François Pinault e Vincent Bolloré —, cui aveva contribuito come banchiere d'affari, abbondava di retroscena, attribuendosi il merito di avere inventato le «holding a cascata» che avevano consentito scalate, acquisizioni e costituzioni di grandi società ramificate in diversi settori. E sulle vicende che lo portarono per due volte alla testa di Generali — e come Napoleone, due volte nella polvere — era un fiume in piena di risentimento e amarezza. Volentieri si apriva al ricordo doloroso della sua infanzia, segnata dalla deportazione di entrambi i genitori nel campo di concentramento di Birkenau e dal coraggioso impegno per mettere in salvo amici e conoscenti della comunità ebraica di Grenoble. Ricordava che sua madre non aveva voluto che fosse circonciso: «Condizione che mi salvò la vita durante retate e perquisizioni, quando i nazisti ci facevano abbassare i pantaloni». «La mia età — raccontava a proposito della seconda defenestrazione da Generali, nell'aprile di due anni fa — è stata solo un pretesto per farmi fuori. Si voleva a tutti i costi che Generali tornasse in mani italiane. Hanno vinto gli uomini di Mediobanca. Anche il mio amico Vincent Bolloré non ha fatto nulla per difendermi. Parlo poco l'italiano, ma ho inventato una parola nella vostra lingua, la mediocrazia, il regno dei mediocri». Poi confessava che l'idea di svegliarsi senza nulla da fare gli era insopportabile più della perdita del potere, peraltro mitigata da ricca e contestata buonuscita, da lui considerata «limitata e comunque dovuta». Da allora si era chiuso nel modesto studio privato — un divano, una scrivania, la tv e qualche libro — lontano da salotti parigini, cerimonie ufficiali e avvenimenti mondani che lo avevano visto onnipresente. «Mio padre non può stare solo. Ha l'ossessione della morte», raccontava il figlio primogenito, recentemente scomparso. «Non mi ritengo una persona insostituibile, i cimiteri sono pieni di gente insostituibile, ma mi sono sentito umiliato, costretto a farmi da parte con manovre dietro le quinte che nulla c'entravano con il bene della Compagnia. Mi hanno considerato un approfittatore, il che mi ha fatto ancora più male. Ma si sa, l'Italia è il Paese di Borgia e Machiavelli. La regola è il tradimento. Bisogna guardarsi sempre alle spalle. Fu così anche la prima volta, con la congiura di Maranghi, il quale a onor del vero, comprese più tardi di aver fatto un errore e cercò di riconciliarsi con me. Anche Cuccia riconobbe l'errore, ma ormai la frittata era fatta». Nonostante le amarezze, Bernheim amava profondamente l'Italia, Venezia, Trieste, Milano, Roma, la Sardegna. «Il mio rapporto di amicizia con il vostro popolo cominciò durante l'occupazione fascista di Grenoble. Le autorità francesi consegnavano gli ebrei ai nazisti, ma gli ufficiali italiani facevano di tutto per proteggerli e pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 7 lasciarli scappare. Purtroppo, mio padre non riuscì a salvarsi. Venne arrestato. Mia madre andò al comando della Gestapo per chiedere notizie e non tornò più. Oltre al dolore, il dubbio che avrebbero potuto salvarsi mi ha tormentato tutta la vita». Bernheim ripeteva spesso un'altra battuta: «La gratitudine non è un sentimento, bensì una malattia dei cani, non trasmissibile agli esseri umani». Immagine cruda, cinica, però rivelatrice della solitudine del personaggio e della sua idea del prossimo. Era schivo, sospettoso, riservatissimo, salvo commuoversi fino alle lacrime nel ricordare l'olocausto e il destino della sua famiglia. Tradiva anche timidezza e — nonostante successi, conoscenze altolocate, relazioni politiche e finanziarie a livello internazionale — un incessante bisogno di riconoscenza pubblica. Avarizia e attaccamento al denaro gli avevano appiccicato addosso l'immagine di un Arpagone del nostro tempo, anche se il suo rapporto con i soldi sarebbe più spiegabile con un trattato di psicoanalisi. Bernheim confidava di non sapere che farsene del denaro, salvo l'immenso piacere di moltiplicarlo con gli strumenti del capitalismo finanziario che sapeva maneggiare da quando era entrato alla banca d'affari Lazard, dopo le prime esperienze nel commercio e nell'immobiliare. «Nessuna cassaforte segue un funerale», diceva. «Per creare un grande patrimonio è inevitabile derogare qualche regola, salvo inventare qualche cosa di geniale dal nulla, come nel caso di Microsoft. Non si possono fare soldi con gli affari rispettando sempre l'etica. Non mi reputo un maestro di morale, ma ho sempre cercato di avere delle regole. Sono convinto che il capitalismo senza regole porti al disastro e all'anarchia come sta avvenendo di questi tempi. Non credo sia possibile seguire contemporaneamente i propri affari e quelli degli altri. Per questo non sono diventato ricco». «Non so che cosa voglia dire il tempo libero, avendone pochissimo. Faccio qualche weekend a Venezia, gioco ancora a golf, ma sono un pessimo giocatore e partecipo a qualche torneo di bridge che serve a tenere allenata la mente. La più grande soddisfazione è stata battere Bill Gates». «La mia vita è stata una continua battaglia — diceva — e ho voglia di combattere ancora. Per questo non mi piacciono i bilanci». Nonostante rapporti di amicizia con alti prelati, fra i quali i cardinali Lustiger e Scola, era rimasto agnostico. «I miei amici cardinali non mi hanno mai dato risposte entusiasmanti. La fede è la più grande ricchezza della vita, ma non è concessa a tutti. Continuo a pormi delle domande e credo che la religione cattolica sia un po' meglio delle altre. Contiene quel genere di aspettative che si chiama speranza. In che cosa non so. Io ho attese, non ho la speranza». *CORRIERE DELLA SERA* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: Sergio Bocconi Della Valle si dimette da Generali Fonsai, Unipol stringe sui concambi Il patron di Tod's: nessuna polemica, la compagnia una grande istituzione pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 8 MILANO — Diego Della Valle si è dimesso dal consiglio delle Generali. Ieri ha inviato al Leone la lettera nel quale formalizza il passo, motivandolo con il «dissenso circa le modalità di gestione della sostituzione del group ceo»: sabato, quando il consiglio della compagnia triestina ha sfiduciato a larga maggioranza Giovanni Perissinotto e deciso la sua sostituzione con Mario Greco, proveniente da Zurich, l'imprenditore della Tod's ha votato contro il cambio della guardia perché in disaccordo con la decisione «nella forma e nella sostanza». Dissenso che ieri Della Valle, entrato nel board del Leone nel 2004 come amministratore indipendente, ha ribadito nel corso di «Ballarò» su Rai Tre: «Mi sono dimesso perché non ero d'accordo con alcune decisioni prese sabato. Non in polemica, ma fermamente convinto che si poteva fare diversamente. Volevo solo confermare il mio punto di vista. Sono uscito perché così si dovrebbe fare quando non si è d'accordo su qualcosa. Generali è importante perché è una grandissima società, di grande tradizione e che rappresenta forse uno degli esempi più belli di buona gestione e reputazione delle nostre imprese non solo in Italia ma soprattutto all'estero». Quanto a Mediobanca, principale socio del leone con il 13,4%, secondo Della Valle «non è servita molto all'Italia, potrebbe diventare utile Paese, dipenderà molto da come si deciderà di farla funzionare». E a proposito degli assetti azionari triestini, ieri è arrivata la conferma che Petr Kellner, alleato del Leone a Praga nella joint venture Generali-Ppf, ha quasi dimezzato la propria partecipazione nella compagnia portandola all'1,14%. La quota è stata inoltre svalutata di 183 milioni. Sempre ieri si è svolto il consiglio di Unipol che ha esaminato la proposta di Fonsai sui concambi per l'aggregazione. Il board, iniziato nel primo pomeriggio, si è protratto fino a sera e la compagnia ha deciso di comunicare i risultati dei lavori questa mattina, alcune fonti hanno però definito la proposta deliberata «vicina» a quella di Fondiaria-Sai. E un accordo sarebbe stato cercato in un vertice notturno post board fra le due compagnie. Il gruppo guidato da Carlo Cimbri aveva indicato la propria quota di controllo sul polo nel 66,7%, mentre Fonsai l'ha fissata al 61%, quindi al di sotto della percentuale risultata da un negoziato fra i vertici delle società, che l'aveva posizionata al 61,75%. L'accordo sui concambi è essenziale per andare avanti nell'integrazione, ma prima dell'assemblea di Premafin convocata per il 12 giugno sul bilancio 2011 e l'aumento di capitale riservato a Unipol, l'intesa va completata con la rinuncia alla manleva e al diritto di recesso da parte dei Ligresti, condizioni che la Consob ha definito incompatibili con il salvataggio e quindi con l'esenzione dall'Opa. Senza la quale Unipol si ritirerebbe dalla partita. Intanto nella relazione degli amministratori di Fonsai depositata in vista dell'assemblea-bis sull'aumento di fine giugno, si legge che la ricapitalizzazione da 1,1 miliardi porterebbe il margine di solvibilità (su base aprile) al 136,2%. Infine l'Isvap ha ricevuto dall'Antitrust la bozza di provvedimento sulle misure che Unipol e Mediobanca dovranno prendere perché la fusione venga autorizzata. L'authority assicurativa ha 30 giorni per il parere, ma i tempi saranno più rapidi. *la Repubblica* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI Il vertice Spagna sul baratro, Obama striglia la Ue Il G7 in pressing sulla Merkel. La Casa Bianca: seguite i nostri consigli pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 9 NEW YORK - Un crac delle banche spagnole è ormai così vicino che Madrid lancia un disperato Sos all´Unione. Barack Obama torna a incalzare gli europei. E´ la seconda volta in due giorni. «Il senso di urgenza è estremo, occorrono misure immediate, siamo pronti a dare consigli all´Europa», dice la Casa Bianca. Ma la teleconferenza che riunisce ministri economici e banchieri centrali del G7 si riduce a un pressing sulla Germania senza risultati concreti: neppure un comunicato congiunto al termine del summit. L´attenzione si sposta sul direttivo Bce di oggi, nella speranza di nuovi interventi di Mario Draghi: lo stesso Fondo monetario internazionale lo incoraggia a ridurre i tassi d´interesse per salvare l´eurozona dalla depressione. «I mercati si attendono di più e bisogna fare di più», dice il consigliere economico di Obama, Michael Froman. La teleconferenza del G7 si è svolta all´insegna di una nuova escalation nell´emergenza spagnola. La Spagna non fa parte del G7, ma i ministri economici del Gruppo (Usa, Giappone, Germania, Inghilterra, Francia, Italia e Canada) si sono consultati in un clima da "assedio" per gli annunci in arrivo da Madrid. Il ministro spagnolo del Tesoro, Cristòbal Montoro, ha descritto una situazione ormai vicina alla crisi di liquidità per «l´accesso difficile ai mercati, proprio quando dobbiamo rifinanziare il debito». Il tasso sui bond spagnoli decennali è del 6,3% e il governo lo interpreta come una sfiducia dei mercati quasi insostenibile. Giovedì un test delicato a Madrid sarà un´asta per il collocamento di 2 miliardi di euro di titoli del Tesoro. Lo stesso Montoro ha lanciato un appello alle istituzioni europee perché aiutino la Spagna a ricapitalizzare le sue banche. Occorrono 40 miliardi di euro, secondo la stima del banchiere Emilio Botìn (Banco Santander). Il G7 ha evocato apertamente la prospettiva di una fuga dalle banche spagnole, un assalto agli sportelli da parte dei risparmiatori in preda al panico. Tra la Spagna e la Germania è in atto un braccio di ferro, sotto lo sguardo costernato dell´Amministrazione Obama che giudica irresponsabili le lentezze europee. Il gioco della cancelliera Angela Merkel è questo: ha accennato alla disponibilità verso una sorta di "unione bancaria europea", con un organo di vigilanza comune come lo auspica Draghi. Non però fino al punto da finanziare un´assicurazione europea sui depositi bancari (sul modello della Federal Deposit Insurance Co. americana), quella che metterebbe definitivamente al riparo i risparmiatori greci e spagnoli. In quanto agli aiuti alle banche spagnole, la Merkel e la Bundesbank continuano a bloccare aiuti diretti dalla Bce o dal fondo salva-Stati. Vogliono invece che sia il governo spagnolo a chiedere ufficialmente un piano di salvataggio alla troika - Commissione Ue, Bce, Fmi - come hanno già fatto in precedenza Grecia, Irlanda e Portogallo. Solo mettendosi sotto il "commissariamento" esterno, Madrid potrebbe attingere agli aiuti per la ricapitalizzazione delle sue banche. E´ proprio questa umiliazione politica, che il premier spagnolo Mariano Rajoy sta cercando di evitare. Ma i margini di manovra per il suo governo stanno rapidamente scendendo a zero. Oggi tocca alla Bce dire la sua, e il Fondo monetario la incoraggia a fare di più. «E´ ovvio che c´è spazio per un altro taglio dei tassi», dichiara la direttrice del Fmi Christine Lagarde. I mercati però non si aspettano una decisione simile già da questa settimana. Sembra più probabile che Draghi attenda fino a luglio per scendere sotto la soglia dell´1%, mai varcata finora. Entro giugno ci sono ancora degli appuntamenti importanti: il 17 si vota in Grecia in un´elezione che potrebbe segnare l´inizio dell´uscita dall´euro; subito dopo c´è il G20 che si tiene sotto la presidenza del Messico il 18 giugno e vedrà una nuova "manovra di accerchiamento" della Germania da parte degli Usa e dei Brics; poi a fine mese un altro summit europeo. L´Amministrazione Obama parla di "urgenza estrema" perché è convinta che la situazione possa sfuggire di mano prima ancora di arrivare alla fine di giugno. La stessa Federal Reserve sta discutendo se ricominciare a pompare liquidità nel sistema bancario americano per isolarlo dal contagio dell´euro. I contratti "ribassisti" che puntano sul tracollo dell´euro da parte degli hedge fund sono a un massimo storico. *la Repubblica* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: ALBERTO D’ARGENIO Sulle resistenze di Angela la paura di Monti e Hollande Italia e Francia unite: accelerare sulla crescita Il presidente transalpino il 14 a Roma. Ieri incontro del Professore con il ministro Fabius pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 10 ROMA - La preoccupazione corre sull´asse tra Roma e Parigi. Il premier Mario Monti riceve a Palazzo Chigi il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Un´ora e un quarto per fare il punto in vista del cruciale summit europeo del 28 giugno. E c´è poco da gioire. I segnali che arrivano da Berlino non sono dei migliori. Anzi, la sensazione è che la Merkel voglia concedere poco o nulla nel vitale negoziato per portare l´euro fuori dalla zona pericolo. È per questo che al termine dell´incontro con Fabius viene annunciata una bilaterale tra Monti e Hollande per il 14 giugno a Roma. Un summit d´emergenza (Hollande vedrà anche Napolitano) prima della quadrilaterale romana della settimana successiva alla quale parteciperanno anche la Merkel e Rajoy. Il vero e decisivo prologo al summit di Bruxelles. Che ormai Italia e Francia stiano aumentando il pressing sulla Merkel lo ammettono anche nel governo: «Le nostre posizioni le stiamo presentando in modo sempre più assertivo», spiega un ministro per dire che i toni si stanno alzando. Lo stesso Fabius non si risparmia per far capire che i rapporti tra Monti e Hollande sono solidissimi, che la mission è comune. «Le ombre del passato tra Italia e Francia sono dissipate». Un riferimento alle ruggini tra Berlusconi e Sarkozy e, ancora prima, tra il Cavaliere e Chirac. Ora sono solo ricordi. Roma e Parigi insieme partono alla carica «con una convergenza nell´approccio, in particolare sui mezzi precisi per sostenere l´indispensabile crescita». Il punto è che negli ultimi giorni gli sherpa della Merkel hanno fatto sapere che la Cancelliera non vuole mollare sulle ricette proposte per rilanciare l´economia europea, unico modo per spezzare la crisi. Ma la sensazione è che all´intransigenza Berlino non rinuncerà nemmeno nella gestione dei due teatri di crisi potenzialmente letali per l´euro: Grecia e Spagna. Non sembra che i tedeschi siano pronti a concedere qualcosa sui soffocanti impegni imposti ad Atene in cambio degli aiuti, avvicinandosi alle elezioni del 17 giugno con poco tranquillizzante prendere o lasciare. E poi la Spagna: i tentativi di convincere la Merkel a cambiare lo statuto del Fondo Salva-Stati Ue in modo da permettergli di salvare direttamente le banche iberiche stanno andando a vuoto per l´ostinazione con la quale i tedeschi in cambio degli aiuti non vogliono ricevere garanzie di banche già cotte. Tanto che ormai si dà per scontato che i soldi andranno al governo spagnolo, che poi li girerà agli istituti. Con il rischio che Madrid venga giudicata in parte insolvente dai mercati. E ancora, sulla crescita la Merkel sembra non voler concedere nulla fino a quando i governi del Sud Europa non avranno fatto le riforme che Berlino ritiene necessarie. Un gioco pericoloso. Dunque a Monti e Hollande tocca il compito di mettere insieme gli elementi per un´ultima sortita sulla Cancelliera. Mossa che dietro le quinte sta caldeggiando lo stesso Barack Obama, sempre più spaventato che la crisi europea investa gli Usa compromettendo la sua rielezione. Così come Giorgio Napolitano, che dal suo osservatorio del Quirinale vive con crescente apprensione lo svilupparsi degli eventi. Un quadro negativo nonostante l´Italia in questi mesi abbia negoziato con una centralità e una attenzione del tutto nuove per il Paese. Certo, al summit di fine mese Roma porterà a casa più di un risultato sulla crescita, ma il timore è che la risposta complessiva degli europei non sarà all´altezza della situazione lasciando alla Bce il compito di ergersi come ultimo baluardo nella difesa della moneta unica. *la Repubblica* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: GIULIANO FOSCHINI Dopo le polemiche circolate sul Web. Intanto la Procura di Trani indaga l´ad di Standard&Poor´s Italia “Monti non si è mai occupato di rating” Palazzo Chigi respinge i sospetti su Moody’s Ai tempi della Bocconi, era membro del Senior European Advisory Council di Moody´s pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 11 BARI - «Non sono mai intervenuto sul rating né di Stati né di imprese». Il presidente del Consiglio, Mario Monti, finisce nella polemica sulle agenzie di rating al centro delle inchieste giudiziarie in diverse procure italiane. Il caso nasce sulla rete: alcuni siti hanno raccontato ieri che Monti lavorava per Moody´s quando l´Italia del governo Berlusconi fu declassata. La polemica è montata, il Pdl ha cominciato a soffiarci su gridando al complotto. Nel primo pomeriggio è arrivata la nota di Palazzo Chigi con i chiarimenti. «Il presidente Monti non ha mai partecipato alla valutazione, neppure in via indiretta, di Stati o imprese sotto il profilo del rating. Ai tempi della presidenza dell´università Bocconi, era membro del Senior European Advisory Council di Moody´s: in pratica avrà partecipato a due-tre riunioni all´anno che avevano per oggetto scambi di vedute sull´integrazione europea e sulla politica economica dell´Unione europea». La polemica su Monti arriva proprio nel giorno in cui la procura di Trani continua la sua battaglia contro le agenzie di rating. Prima sono finiti sotto inchiesta i vertici di Moody´s e Fitch. Ora quelli di Standard & Poor´s. Nei giorni scorsi è stato notificato un avviso di garanzia all´ex presidente, Deven Sharma, e all´attuale responsabile dell´agenzia per l´Europa, Yann Le Pallec. Ieri è toccato all´amministratore delegato per l´Italia di S&P, Maria Pierdicchi: la sua posizione è stata però trasferita per competenza a Milano. I reati contestati sono a vario titolo l´alterazione del mercato pluriaggravata e il favoreggiamento. Alla Pierdicchi viene contestato di aver tentato di aiutare gli altri indagati a eludere le indagini. Oggetto dell´inchiesta sono i quattro report sull´Italia diffusi tra il maggio 2011 e il gennaio 2012 dall´agenzia. Documenti che hanno portato alla «destabilizzazione dell´immagine - si legge nei documenti - prestigio e affidamento creditizio dell´Italia sui mercati finanziari» ma anche all´indebolimento dell´euro e a un «deprezzamento» del valore dei titoli di Stato italiani. S&P lo avrebbe realizzato - contesta la pubblica accusa - attraverso «una serie di artifici» che avrebbero «cagionato alla Repubblica italiana un danno patrimoniale di rilevantissima gravità». La procura l´inchiesta è coordinata dal procuratore capo Carlo Maria Capristo e dal sostituto Michele Ruggiero, e affidata agli uomini del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Bari - accusa S&P di aver utilizzato «analisti inesperti e incompetenti». E di aver fatto le comunicazioni ai mercati in modo «selettivo e mirato» in relazione «ai momenti di maggiore criticità della situazione politica economica italiana». Agli atti ci sono documenti e intercettazioni telefoniche ora nelle mani della Consob che dovrà valutare una eventuale sospensione dell´attività di Standard & Poor´s in Italia. «Riteniamo che le accuse riportate siano prive di ogni fondamento e non supportate da alcuna prova», ribatte Standard & Poor´s. «Continueremo a difendere strenuamente le nostre azioni e la reputazione della società e delle nostre persone». *la Repubblica* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: WALTER GALBIATI Unicredit, Profumo a processo per frode fiscale Accolta la richiesta della procura. Il banchiere: “Sempre corretto, fiducia nei giudici” Il presidente Mps a giudizio con altri 19 per il caso Brontos: "Pagate meno tasse per 254 milioni" pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 12 MILANO - Non ha fatto in tempo a sedersi sulla poltrona di presidente del Monte dei Paschi di Siena, che subito è stato raggiunto da un rinvio a giudizio per falsa rappresentazione nelle scritture contabili e nelle dichiarazioni dei redditi di Unicredit. Ieri, il giudice per l´udienza preliminare Laura Anna Marchiondelli ha chiesto il processo per l´ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo per l´operazione "Brontos", un marchingegno messo in piedi dalla banca con la consulenza della londinese Barclays per aggirare il fisco italiano. Secondo l´accusa del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, la banca avrebbe iscritto a bilancio «alcuni proventi come dividendi invece che come interessi attivi, così conseguendo un´indebita esclusione dal reddito imponibile di una quota pari al 95% dei proventi, falsità poi confluita nelle dichiarazioni consolidate di Unicredit, modello unico 2008 e 2009 per gli anni d´imposta 2007 e 2008, presentate rispettivamente il 26 settembre 2008 e il 28 settembre 2009». Il danno per le casse dello Stato italiano sarebbe stato di 245 milioni di euro. Il processo si svolgerà a Milano e non come avevano chiesto le difese a Roma, Bologna o Verona, sedi di Unicredit. Il giudice per definire la sede del processo ha applicato il principio secondo cui il foro di competenza coincide con la sede dell´accertamento in quanto il gruppo nel calcolare quanto deve all´erario si avvale del consolidato fiscale. «Non esiste - scrive il giudice - un domicilio fiscale del consolidato fiscale, bensì tanti domicili fiscali, quante sono le società partecipanti». E quando la regola del domicilio fiscale non è attuabile, si adotta il criterio del luogo di accertamento del reato. L´ultima cena di Profumo, che si dice certo del suo operato, si svolgerà a Milano. La sua colpa sarebbe stata quella di aver firmato le richieste di approvazione dell´investimento il 1 marzo 2007, il 9 aprile 2008 e il 7 novembre 2008. Con lui, a ottobre, saranno a giudizio 16 manager di Unicredit e tre banchieri di Barclays. La persona offesa dal reato è il ministero dell´Economia e delle Finanze, che al momento del deposito delle dichiarazioni dei redditi di Unicredit era guidato da Giulio Tremonti. Ma nel 2007 a dare fiducia a Profumo era stato proprio lo studio Vitali Romagnoli Piccardi e Associati, che nella sua carta intestata registrava in bella evidenza «fondato dal professor avvocato Giulio Tremonti». «L´operazione non pare connotata da elementi tali da determinare un «aggiramento» di obblighi», scriveva lo studio nel parere rilasciato il 30 marzo 2007 e in fotocopia per l´anno successivo. Ad aprile 2008, poi, Tremonti diventa ministro e a settembre nelle stanze di Unicredit arriva la Finanza. Dalla carta intestata dello studio sparisce il nome Tremonti: un primo parere del 23 gennaio 2009 è identico ai precedenti, mentre quello del 10 settembre 2010 cambia: «La vostra società procedendo alla redazione della dichiarazione in linea con l´impostazione del Fisco, eviterebbe sanzioni tra il 100 e il 200%, la contrapposizione forte con l´amministrazione finanziaria, il danno della possibile reiterazione di un´azione penale e il danno reputazionale. Quindi è «prudente e corretto» pagare le tasse e poi chiedere «una motivata istanza di rimborso». *la Repubblica* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: VITTORIA PULEDDA Il cda della compagnia dei Ligresti ha esaminato la situazione delle partite incrociate con Sinergia e Imco Unipol-Fonsai, trattativa a oltranza arriva la controproposta di Bologna Il consiglio della Milano dovrà essere rieletto a luglio. Il caso Cappelli in Consob pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 13 MILANO - Unipol-Fonsai, si tratta ancora. Il cda della compagnia bolognese, che si è tenuto nel pomeriggio, sembra non abbia accettato in blocco le condizioni dell´offerta varate lo scorso 24 maggio da Fonsai-Milano: un nuovo testo con l´offerta di parte Unipol potrebbe essere stato inoltrato nella notte alle compagnie di Ligresti, forse stamane, a mercati ancora chiusi. Da parte Unipol non ci sono state comunicazioni ufficiali, sul fronte Fonsai si era in attesa di una controfferta. Che, per essere approvata, dovrà peraltro ripassare per il voto positivo delle tre società coinvolte, cosa che porterebbe probabilmente ad una nuova maratona nel fine settimana (per arrivare il 12 giugno all´assemblea Premafin con i contratti di rifinanziamento del debito firmati dalle banche e dunque muoversi nell´ipotesi di continuità aziendale). Il che apre un fronte supplementare su Milano assicurazioni, il cui cda deve essere nuovamente eletto nell´assemblea di metà luglio. Ieri comunque la compagnia ha ricordato che la negoziazione per l´integrazione «continua ad essere seguita nell´interesse della compagnia da Angelo Casò». Nella giornata di ieri si erano riuniti anche i cda Fonsai e Milano. Al centro del doppio appuntamento, la strategia da tenere nei confronti delle holding a monte, Sinergia e Imco. Le due società sono alle prese con un piano di ristrutturazione aziendale che dovrà passare al vaglio del giudice, ex articolo 182 bis della legge fallimentare (sugli attivi di Sinergia-Imco c´è una manifestazione di intenti dei fondi Hines, mentre non è interessata Enpam). E l´atteggiamento che terranno Fonsai e Milano sui circa 162 milioni di crediti (dopo la svalutazione per circa 54,2 milioni, già compresa nei bilanci 2011 delle due compagnie) rischia di essere determinante - o quasi - sulla percorribilità o meno del piano di ristrutturazione. I crediti riguardano tre siti: un complesso residenziale in via Fiorentini a Roma (su cui i lavori sono fermi in attesa della revisione soggetta ad approvazione del Comune), un edificio ad uso terziario di 12 piani in via de Castillia a Milano (zona Isola) e infine un albergo, con annesso centro benessere, a San Pancrazio Parmense, su cui peraltro nel novembre 2011 Ata Hotel ha dichiarato di non essere più interessata alla locazione dell´immobile. Nel corso del proprio cda, Fonsai aveva anche affrontato il nodo dei requisiti di indipendenza del consigliere Roberto Cappelli, che a breve verranno illustrati alla Consob. Intanto gli amministratori hanno fatto sapere che in caso di aumento da 1,1 miliardi, il margine di solvibilità corretto proforma della compagnia a fine aprile scorso sarebbe del 136,2%. Secondo i sindacati, infine, la fusione metterebbe a rischio 3.500 posti. *la Repubblica* MERCOLEDÌ, 6 GIUGNO 2012 di: ANDREA GRECO Addio al grande vecchio Bernheim quarant’anni al centro della finanza Una vita in prima linea tra Generali, Lazard e Mediobanca Gran borghese del network ebraico, con il 5% di Euralux diventò perno della Galassia del Nord È stato fedele alle sue regole: "A due anni dalla pensione anche i grandissimi sono relitti umani" pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 14 MILANO - Antoine Bernheim addio. Il finanziere parigino se ne va in una clinica svizzera a 87 anni, due dopo il pensionamento forzato dalla presidenza Generali (che manteneva onoraria). Dodici anni dopo Enrico Cuccia, cinque dopo Vincenzo Maranghi, tre giorni dopo la defenestrazione dell´ad della compagnia Giovanni Perissinotto, è un altro segno – del fato questo – di un ciclo che si chiude. Il ‘900 della finanza italiana e delle sue certezze passati ai libri. Classico personaggio di cui si perde lo stampo, tra stinte banderuole in grisaglia che inseguono gli spread, il gran borghese erede della tradizione mercantile ebraica per cui tutto si compra o si vende, orfano del lager educato dalla Shoah, seppe essere uomo a tutto tondo. Orgogliosissimo e scostante, raffinato e greve, fedele con gli amici, meno negli affari. Capiva l´italiano ma non lo parlava in pubblico, per lo sdegno d´essere stato cacciato da Generali nel ‘99, «semplicemente perché avevo trovato un lavoro a Gerardo Braggiotti». Il pupillo di Mediobanca che si era bruciato le ali presso Maranghi e riparò a Parigi alla rivale Lazard, dove Bernheim era il più famoso e ingombrante associé gérant di Michel David-Weill. L´allievo di André Meyer, di cui Cuccia fu allievo, di cui fu allievo lui. «Poi Cuccia e Maranghi mi chiesero scusa», fece sapere; soprattutto lo reintegrarono alla presidenza del Leone nel 2002, per altri otto anni. Era suscettibile e lo ribadì due anni fa, alla decisione di Mediobanca di non rinnovarlo alla presidenza. «Un insulto, per quel che rappresento». E un insulto condito, quando apprese che la sua buonuscita per 37 anni di servizio triestino ammontava a 14 milioni, due meno di quelli che il successore Cesare Geronzi portò via per un solo anno. Si racconta che dopo l´assemblea del pensionamento si sia fermato a piangere in una saletta contigua al consiglio, come un bambino con il suo giocattolo rotto, mentre il fido Tarak Ben Ammar tentava: «Antoine, ma resterai nella famiglia e nella storia di Generali». Ma lui: «Non, ils m´ont mis dans un coin, ils m´ont tué! Je suis perdu», e scuoteva la testa, citando l´età per un pretesto, che anche Cuccia guidava l´istituto novantenne. Eppure aveva avuto tutto, dalla vita, almeno da quando a metà anni ´60 aveva scalato le posizioni di banchiere d´affari in Lazard, diventando il fulcro, con Cuccia, della galassia Mediobanca, tramite il 5% di Generali chiuso nei misteriosi forzieri di Euralux, che Lazard nel ´73 rilevò da Montedison. Nasceva allora l´asse Milano-Trieste, autoriferito e tutelato dalle mani carismatiche e sapienti dei due finanzieri. Ieri Vincent Bolloré, capofila dei soci francesi che lui insinuò come terzo pilastro nell´azionariato Mediobanca, ha dichiarato: «Con profonda emozione ho appreso della scomparsa di un uomo che, per decenni, è stato un sostegno indefesso per il mio gruppo e un consigliere prezioso per me». La stessa cosa potrebbero dire Bernard Arnault e Claude Bébéar, che grazie all´intuito e sostegno del numero due di Lazard si imposero negli anni come leader di Lvmh e Axa, campioni del capitalismo francese. Il leader della moda mondiale ha detto: «Per 30 anni con il suo eccezionale carisma, le sue intuizioni e le sue strategie Bernheim ha plasmato l´economia europea». Tutti figli ingrati, infine; ma il suo motto preferito («la riconoscenza è una malattia del cane non trasmissibile all´uomo») li prevedeva. Profetiche alcune sue dichiarazioni rese lasciando Trieste: «Pensate che io possa fare il dipendente di Mediobanca? Non è più soltanto lei a dirigere le operazioni: alcuni azionisti italiani consideravano chiuso il ciclo Bernheim». «Mediobanca non può dare a Generali i margini di manovra di cui ha bisogno, specie per crescere all´estero». A corollario, chiedeva da anni, in pubblico e in privato, una ricapitalizzazione a Trieste, sempre osteggiata dal suo primo socio (gli avessero dato retta). Anche su se stesso fu profetico: «Per vivere devo far girare i neuroni e ho bisogno di lavorare. In Lazard ho visto tanti presidenti di aziende grandissime che quando incontravo magari per caso due anni dopo la pensione parevano relitti umani». Malgrado ai suoi neuroni restassero l´amato bridge e le sinecure, ha osservato la regola dei due anni. La Fiba-Cisl Vi augura di trascorrere una serena giornata A Arrrriivveeddeerrccii aa domani 7 Giugno pagina Rassegna Stampa del giorno 6 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 15 ppeerr uunnaa nnuuoovvaa rraasssseeggnnaa ssttaam mppaa!!