Pioltello : da paese dormitorio a città laboratorio

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Pioltello : da paese dormitorio a città laboratorio
Pioltello:
da paese dormitorio
a città laboratorio
Ricerca-inchiesta di Vittorio Moioli
svolta per conto dell’Amministrazione Comunale di Pioltello
e del Centro Lavoro Est Milano
Marzo 2001
Indice
Premessa
1. L’ipoteca di una cattiva nomea
2. I traumi di una metamorfosi impetuosa
3. Il Satellite: simbolo dell’irrazionalità urbanistica
4. L’ondata immigratoria degli anni ‘60-’70
5. Dalla crisi dell’agricoltura alla terziarizzazione
6. Il sistema delle imprese
7. Caratteristiche e problemi della media e grande azienda
8. I disagi della piccola imprenditoria
9. Pioltello e la globalizzazione
10. Le sofferenze occupazionali
11. Un mercato del lavoro complesso da governare
12. La diffusione dei lavori atipici
13. Cambia anche la cultura del lavoro
14. La problematica condizione di chi lavora
15. Livelli di reddito sotto la media provinciale
16. L’insistente domanda di sicurezza e di servizi
17. L’uso irrazionale del territorio e il problema degli alloggi
18. I propositi per un riordino urbano
19. La questione ambientale
20. Il complesso problema delle infrastrutture
21. Il bisogno crescente di “fare concertazione”
22. Il Centro Lavoro e le nuove strutture del collocamento
23. La scarsa propensione alla coalizione
24. Il ruolo strategico della formazione
25. Bassi livelli di istruzione e politiche formative
26. La crisi d’identità e il bisogno di un nuovo senso comune
27. Lo scarso senso di appartenenza e il diffuso campanilismo
28. L’immigrazione extracomunitaria e i problemi dell’integrazione
29. La questione giovanile
30. Potenzialità e difficoltà del “terzo settore”
31. Il nodo della rappresentanza sindacale
32. La crisi della politica e della partecipazione
33. Il giudizio sulle Amministrazioni comunali passate
34. Critiche ed apprezzamenti per gli amministratori di oggi
35. Le istanze della società civile
36. Considerazione conclusiva
Appendice
I testimoni privilegiati
Bibliografia
Premessa
E’ obiettivo della presente ricerca-inchiesta cogliere le percezioni che i vari attori sociali di
Pioltello hanno della loro città e dei cambiamenti che negli ultimi decenni hanno investito la
sua realtà socio-economica.
Per conseguire questo risultato, nel periodo che va dal maggio al settembre 2000, sono
state svolte 63 interviste in profondità attraverso cui sono stati ascoltati 78 testimoni
privilegiati .
Il corpo della ricerca è così costituito dal racconto di questi testimoni . Ad esso si
accompagnano brevi riflessioni svolte sulla base dei rilevamenti statistici relativi al periodo
di tempo preso in considerazione.
L’intreccio fra le testimonianze e gli indici quantitativi consente di mettere a confronto i
giudizi e le valutazioni espressi con lo svolgimento dei processi reali e quindi di verificarne
la validità.
Il metodo adottato della co-ricerca consente per altro di non ridurre i testimoni-attori a
semplici soggetti di studio, bensì di far assumere ad essi un ruolo da protagonisti nella
descrizione e nella riflessione, problematizzando in questo modo non solo le percezioni e
le interpretazioni, ma la stessa indagine.
Ad emerge, dunque, è un racconto a più voci che per certi aspetti assume le
caratteristiche di un’autobiografia collettiva e rappresenta un affresco, seppure parziale,
della Pioltello di fine ventesimo secolo.
Per queste sue qualità, la ricerca non ha alcuna pretesa di fornire interpretazioni e risposte
esaustive alle molteplici e complesse problematiche che oggi sono inevitabilmente poste
dagli accadimenti e le quali si riversano sui tavoli del confronto e dello scontro sociale e
politico. Essa si propone invece un compito molto più modesto, anche se tutt’altro che
semplice: quello di mettere a confronto le diverse valutazioni degli avvenimenti e i
differenti giudizi al fine di evidenziare i nodi esistenti. Vuole essere cioè uno strumento di
stimolo alla riflessione e rappresentare una lettura critica della realtà e della sua stessa
percezione.
L’auspico di chi ha svolto questo lavoro è che esso si riveli all’altezza dei propositi e delle
aspettative e che pertanto risulti di una qualche utilità a quanti, in una fase storica densa
forse come non mai di mutamenti radicali, avvertono il bisogno di una riflessione critica e
di un confronto serrato sui processi in atto, rifuggendo così da facili semplificazioni e
schematismi, al fine di meglio comprendere la realtà per agire secondo le necessità.
Nell’affrontare lo studio dei dati quantitativi ci si è imbattuti in non poche difficoltà. Si è
constatato come, purtroppo, nell’era dell’informatica e della telematica i rilevamenti
statistici risultino sorprendentemente scarsi, a volte incerti e contraddittori, in diversi casi
addirittura inadeguati a registrare le dinamiche e la complessità dell’attuale realtà socioeconomica.
Questo vale soprattutto per i cambiamenti che hanno investito il modo di produrre e che
hanno comportato una nuova organizzazione del lavoro e nuovi rapporti sociali nei luoghi
della produzione. Per fare un solo esempio, tutta l’area grigia che in questi ultimi anni si è
venuta formando a cavallo tra il lavoro autonomo e il lavoro dipendente risulta difficilmente
classificabile e quantificabile, proprio perché non esistono appropriati strumenti di
rilevamento.
Ciò che si vuole evidenziare è come, purtroppo, a fronte dei cambiamenti indotti dalla crisi
del fordismo, il fare analisi e il ragionare sulla base dei dati statistici messi a disposizione
dalle tradizionali fonti diventi un problema. Nel campo della ricerca, oggi, ci si trova di
fronte a un vero paradosso: mentre la modernità offre un eccesso di tecnologia hardware ,
si riscontra di converso una decisamente scarsa tecnologia brain , quella cioè che
consente di sfruttare al massimo gli strumenti tecnologici per far diventare la conoscenza
patrimonio di tutti.
Non si tratta pertanto semplicemente di un handicap per coloro che si occupano di ricerca,
bensì questo deficit rappresenta un autentico problema che concerne la democrazia e con
il quale le forze del progresso farebbero bene a fare i conti urgentemente.
Anche per questa ragione al lettore si chiede la massima comprensione e lo si invita a
scusare le insufficienze e forse anche qualche inesattezza che in questa ricerca-indagine
può essere riscontrata proprio a causa delle difficoltà che si sono dovute affrontare nel
reperire e mettere a confronto i dati.
Nel mentre si esprime un vivo ringraziamento ai testimoni privilegiati e a tutti coloro che
hanno gentilmente fornito dati e documenti, ci si rammarica per l’indisponibilità di taluni
attori a fornire alla ricerca il loro contributo di riflessione e di critica, privandola così di una
capacità riflessiva e di una dialettica ancora più efficaci.
v.m.
1. L’ipoteca di una cattiva nomea
«Secondo me - afferma un pubblico amministratore - Pioltello è una città stuprata e ha un
grande bisogno di ricuperare la sua reputazione». Nonostante questa offesa, però, «i suoi
cittadini hanno saputo conservare una loro dignità, non si sono nascosti, non si sono
vergognati più di tanto e sono andati avanti, hanno vissuto la loro vita. Ora è venuto il
momento perché Pioltello abbia restituito il suo onore».
«Gli stupratori sono stati gli speculatori edilizi degli anni ‘50-’60, sono stati coloro che
hanno fatto crescere e sviluppare delle industrie altamente pesanti sotto tanti aspetti, e
non mi riferisco soltanto al classico polo chimico, ma anche a tutta la parte del territorio
destinata a magazzino e agli autotrasporti che ha significato grande occupazione del
territorio e scarsa occorrenza di lavoro. Poi mi riferisco anche a coloro che hanno creato le
premesse attraverso l’imposizione dei soggiorni coatti. Tutto questo ha significato per noi
un greve destino. Siamo una comunità che ha patito molte sofferenze e ha subìto gravi
violenze, però non siamo e non ci sentiamo sconfitti. Ora ci tocca di recuperare dignità e
reputazione».
Il passato sembra esercitare una pesante ipoteca su chi abita e opera a Pioltello; non sono
pochi infatti coloro che avvertono e interpretano come «dovere etico, politico e
amministrativo il compito di aggiornare la memoria e l’immagine di questa città ai tempi
moderni, non tollerando più che per pigrizia intellettuale si rimanga ancorati al giudizio e
alla percezione che si avevano negli anni ‘70».
«Abbiamo fatto i ‘Quaderni’ - continua l’amministratore pubblico - proprio perché riteniamo
che il problema principe sia quello dell’identità culturale. Su questi ‘Quaderni’ abbiamo
scritto che Pioltello ha un passato, ma non ha una storia. Trasformare il passato, cioè una
serie di eventi, in una riflessione storica per farlo diventare memoria è un’impresa
ambiziosa di cui andiamo orgogliosi, perché fare questo significa servire la città».
E a credere che Pioltello non abbia una sua storia è anche un altro esponente del mondo
politico locale il quale sostiene che «il problema di questo comune è la mancanza di
coesione sociale. Non si è mai riusciti a creare una comunità vera e propria nella quale si
saldassero una serie di vincoli parentali e di vicinato».
Questo anche perché Pioltello, rispetto ad altri comuni dell’area Est Milano, ha vissuto le
contraddizioni di uno sviluppo economico-sociale indotto e non governato.
«Il paese vecchio è sempre rimasto una realtà povera economicamente, culturalmente e
anche politicamente».
«Se dovessi scegliere di costruire una casa - asserisce un operatore immobiliare - non
avrei dubbi, andrei a costruirla a Cernusco, di certo non la costruirei a Pioltello che è
un’area depressa e non è molto interessante. Non è un caso che a Cernusco le aree
valgono tre volte tanto».
«Ancora oggi si può dire che Pioltello sia rimasta una cittadina dormitorio-terziaria, perché
all’industrializzazione è subentrato un terziario non avanzato e il tradizionale fenomeno
pendolare non è scomparso. Noi siamo ancora un ibrido sotto diversi punti di vista».
E pure il giudizio di chi pioltellese non è conferma in parte una simile valutazione.
«Lavoro a Pioltello solo da un anno e l’impressione che mi sono fatto è che si tratta di una
cittadina dormitorio la quale si appoggia su Milano essendo avvantaggiata dalla
vicinanza».
Le opinioni non coincidono invece a riguardo della quantità dei posti di lavoro disponibili in
loco. A fronte di chi ne lamenta la carenza c’è chi sostiene che, «trattando con le aziende,
ho notato che di lavoro qui ce n’è tanto, ci sono parecchie possibilità di occupazione, quel
che manca è semmai la manodopera specializzata».
Un operatore economico esterno pone invece l’attenzione su un altro aspetto cruciale: «La
cosa che più mi ha colpito di Pioltello – afferma - è che in questa città esiste un problema
di sicurezza».
In effetti, l’immagine di una Pioltello assediata dalla malavita e dalla violenza è forse quella
che più di ogni altra risulta essere impressa, a torto o a ragione, nella memoria di chi in
questa città vive e lavora.
«Nell’opinione pubblica ha un peso enorme la nomea che questo comune si è fatta nei
decenni trascorsi», commenta un pioltellese di vecchia data. «Quando sui giornali si
parlava di Pioltello era perché c’era cronaca nera, piccola o grande che fosse, e questo ha
contribuito a costruire una certa immagine».
«Se è vero che esiste una simile nomea, specie a riguardo di alcuni quartieri di Pioltello
come è il caso del Satellite e di piazza Garibaldi», precisa però un altro operatore
economico che non risiede a Pioltello, «devo dire che io personalmente queste realtà non
le ho mai sperimentate direttamente e perciò non posso certo confermare o smentire certi
giudizi».
Come nota un giovane residente, viene così a confermarsi che, «un simile luogo comune
ha condizionato gli stessi abitanti di Pioltello al pari del fatto che per decenni si è insistito
nel sostenere che questo è un paese dormitorio».
«Pioltello viene per davvero considerata un po’ troppo degradata rispetto alla realtà»,
afferma un operatore del commercio. «Si è data troppa importanza a quei pochi balordi
che ancora abitano qui. Nel corso di 35 anni, gestendo il mio esercizio, ho visto girare
migliaia di famiglie, di persone e non ho mai visto quel che si racconta in giro. Di balordi ce
ne sono dappertutto. Il problema di Pioltello non è dovuto affatto alla realtà del Satellite o
alla presenza del polo chimico, è invece imputabile proprio al cattivo nome che gli è stato
appioppato».
«Questa nomea è purtroppo un dato di fatto – osserva un esponente del mondo culturale perché sono in tanti a ritenere che Pioltello è il paese del circondario più malfamato, un po’
come Cologno Monzese. In realtà però questo modo di considerare la nostra città è un
falso, è frutto solo di una esasperazione».
E chi ha la responsabilità del governo locale puntualizza: «Pioltello non è per davvero un
caso unico e singolare. Si è insistito troppo su certe sue peculiarità. Ed è contraddittorio
pensare a un processo di ‘normalizzazione’ del territorio se si continua ad enfatizzarne le
sue caratteristiche atipiche. In una recente indagine su Pioltello un gruppo di ricercatori,
nel tentativo di definire le caratteristiche del tessuto civico della città, ha parlato di
‘sindrome di calimero’. Questo atteggiamento non è più accettabile e deve essere
combattuto a fondo».
Esistono poi anche dei cittadini di Pioltello che, a proposito di reputazione e di immagine,
forse anche con una punta di nostalgia, considerano un torto la pretesa di attribuire a
Pioltello la qualifica di città.
«Noi abbiamo avuto degli amministratori che nonostante fossero dei contadini e degli
artigiani hanno voluto fare di Pioltello una città, quando come città abbiamo già Milano. Io
avrei mantenuto Pioltello un paese di periferia, avrei continuato a privilegiare il cavallo e il
biroccio, a difendere la nostra agricoltura e al massimo avrei favorito uno sviluppo dei
ristoranti. Se fosse dipeso da me non avrei di certo ingrandito Pioltello così come si è fatto
negli anni ‘60 e poi successivamente».
«Del resto - aggiunge un ex amministratore pubblico - di città non abbiamo nulla, né strato
sociale, né cultura, né idee. Noi siamo rimasti ancora fermi nel tempo».
2. I traumi di una metamorfosi impetuosa
«Negli anni ‘50 Pioltello contava seimila abitanti, compreso Limito, mentre nei decenni
successivi ha avuto una trasformazione enorme e si è registrato un disastro», commenta
un nativo del posto.
E mentre «Limito è rimasto un paese come era allora», «Pioltello ha registrato
un’urbanizzazione molto rapida, anzi, in alcune zone come al Satellite, addirittura
selvaggia. Questo destino si poteva forse impedire, anche se in quegli anni l’hinterland
milanese era destinato a subire un simile sconvolgimento».
«Siamo collocati a due passi da Milano e vantiamo una stazione ferroviaria che in quegli
anni significava una facilità di trasporto e di comunicazione con la città» e queste sue
caratteristiche hanno certamente favorito un concentramento di attività produttive e un
sostenuto sviluppo edilizio.
C’è chi fa notare però che«il paese è cresciuto più o meno senza regole ed è così
diventato un dormitorio. La gente veniva qui, ci stava un po’ di tempo e poi spariva».
«Negli anni ‘60 e ‘70 Pioltello è stato un po’ come un porto di mare».
Commentando le vicende di quei tempi qualcuno ha scritto che Pioltello «ha vissuto una
storia difficile, spesso sgradita per chi vi abitava da generazioni, ma al tempo stesso dura
per chi veniva da lontano per stabilirvisi».
Tabella n. 1
Indici popolazione 1951-2000 e densità abitativa
Pioltello
indice abitanti
provincia Milano*
abitanti x kmq
indice abitanti
abitanti x kmq
1951
100
488
100
908
1961
203
993
126
1143
1971
446
2179
156
1413
1981
470
2296
160
1455
1991
534
2606
157
1420
1999/2000
518
2528
158
1894
•
Compresa la provincia di Lodi.
Fonti: Comune di Pioltello, Regione Lombardia
In realtà, nel torno di solo mezzo secolo Pioltello si è ritrovata demograficamente
quintuplicata, registrando così una progressione dell’indice di densità abitativa tumultuosa.
Questo processo è durato fino all’inizio degli anni ‘90. Nello stesso arco di tempo, invece,
la popolazione della provincia milanese ha registrato un incremento del solo 58%.
Questo rapido sviluppo demografico, la cui punta di intensità è stata raggiunta nei decenni
‘60 e ‘70, ha fatto sì che Pioltello sia divenuto il secondo Comune più popolato del
comprensorio di Melzo.
Tabella n. 2
Indici densità abitativa 1998. Confronto con altri comuni
abitanti x kmq
Pioltello
2530
Cassina de Pecchi
1611
Cernusco sul Naviglio
2019
Gorgonzola
1577
Melzo
1940
Segrate
1967
Vimodrone
3024
Comprensorio di Melzo
1374
Provincia di Milano
1886
Fonte: Regione Lombardia
Uno dei passaggi più traumatici che Pioltello ha vissuto nella seconda metà del secolo
scorso è senz’altro quello che ha comportato la sua trasformazione da realtà ancora
profondamente segnata da una cultura contadina ad agglomerato urbano di discrete
proporzioni nel quale si è venuto insediando un abbondante proletariato pendolare.
Nel 1951, quando appunto contava appena 6.400 abitanti, il suo territorio era occupato per
circa il 50% da campi coltivati.
«I nostri vecchi raccontavano che qui c’erano la migliore erba, il miglior foraggio che si
potessero avere; la nostra era una campagna fertile».
Gli stessi contadini di oggi ricordano che «qui un tempo era sviluppata la zootecnia, si
produceva latte ed era il posto delle marcite. Veniva coltivato molto foraggio e pochissimo
mais e riso».
Con il sopravvenire degli insediamenti industriali l’agricoltura «ha subìto una profonda
mortificazione e da allora è diventato sempre più difficile trovare contadini che coltivassero
i campi. Nelle campagne non c’era più ricambio di manodopera».
Anche a Pioltello, infatti, molti salariati preferivano cercare occupazione nell’industria, «
per avere assicurata la pensione, cosa di cui i contadini di quel tempo non avevano certo
grandi garanzie».
Il lavoro in campagna non mancava di certo, esso risultava però essere oltreché faticoso
anche non sempre sicuro.
«Qui c’erano tante cascine, anche molto grosse, con grandi estensioni di terreno e molti
erano i fittavoli lattai che facevano il grana. Ricordo i Devitti e anche i Manzoni.
La struttura contadina di Pioltello non era però come quella di Cernusco dove ognuno
aveva il suo pezzo di terra. Qui c’erano le cascine nelle quali lavoravano i braccianti e
quando veniva l’11 di novembre molti di loro dovevano prendere armi e bagagli e
trasferirsi altrove perché ritenuti non più indispensabili.
C’erano pure le mondine perché la nostra zona era anche risicola per via del naviglio che
separava due realtà agricole ben definite: da una parte, i piccoli appezzamenti e gli orti di
Cernusco e della bassa Brianza, dall’altra, le grandi aziende di Pioltello da dove
cominciava la pianura padana.
Le nostre cascine erano impostate sul latte, avevano la stalla con il bestiame.
I contadini di Pioltello erano tutti di origine bresciana e bergamasca, erano cioè degli
immigrati. Chi viveva nella cascina era però tagliato fuori dalla vita del paese.
Le cascine lombarde andavano bene se avevano garantito il latte tutti i giorni. Quando un
bel giorno si sono invece messi ad allevare i tori da ingrasso, non avendo un prodotto
commerciabile immediatamente, e perciò un ricavato assicurato, e dovendo quindi
dipendere da altri nella commercializzazione, hanno preso tante mazzate.
Anche i miei lavoravano il latte e con il latticello allevavano i maiali che erano di qualità.
Questi venivano macellati per fare il prosciutto.
Già nel 1920 i miei esportavano negli Stati Uniti gli stracchini che, prodotti in queste aree,
venivano poi portati in Valsassina per essere stagionati e poi venivano esportati. A quel
tempo questi prodotti erano famosi.
Il crollo di queste produzioni si è verificato durante il fascismo ed è dipeso dal fatto che,
non essendoci più il libero mercato, è saltata la fase intermedia della produzione di qualità.
Si sono salvati solo gli Invernizzi e i Galbani i quali, pur essendo a quel tempo produttori di
poco conto, sono riusciti a piazzare i loro prodotti all’amministrazione statale, cioè
all’esercito e ad altre strutture pubbliche. Loro hanno così retto proprio nel momento in cui
il prodotto di qualità è stato messo fuori mercato e siccome la gente mangiava comunque
il formaggio, hanno avuto facilità a piazzare il loro prodotto nonostante fosse di scarsa
qualità. Questi poi sono diventati gli industriali del latte. E’ stata questa una fase molto
interessante della storia di questi luoghi, nessuno però l’ha ancora studiata e approfondita
più di tanto».
«Se le cascine di Pioltello non hanno una storia è solo perché c’era il fittavolo che non era
proprietario della terra. Nessuna delle grandi cascine locali era di proprietà di chi le
occupava e ne lavorava i campi. Erano o dell’Eca, poi Ipab, o di altri proprietari, com’è il
caso di una famiglia molto nota nella quale un giorno è scoppiata una lite a riguardo
dell’eredità e la quale poi non è più riuscita a riacquistare la propria tenuta.
A quel tempo il governare la cascina lombarda richiedeva una professionalità paurosa.
Mentre il proprietario la curava, chi la coltivava solamente se ne disinteressava. Il fittavolo
è sempre stato una razza particolare: egli non lavorava e nei confronti dei salariati si
comportava da negriero nel vero senso della parola. Poiché di salariati disponibili ce
n’erano tanti, lui li teneva sotto il ricatto dell’11 novembre, allorquando potevano essere
facilmente sostituiti.
La storia che andrebbe scritta sui fittavoli del milanese è oscena. Se al fittavolo gli cadeva
la cascina in testa, questo se ne sbatteva letteralmente dal momento che non era sua e lui
investiva solo il minimo indispensabile.
Fare il contadino a quei tempi era difficilissimo. Mente chi produceva e vendeva latte
prendeva i soldi tutti i giorni, chi allevava il maiale, come facevano i miei, doveva affrontare
in continuazione degli imprevisti. Il maiale doveva essere venduto al momento giusto e di
conseguenza i soldi si prendevano solo allora. Però succedeva anche che se il latte per
fare il formaggio non era buono, anche questo perdeva in qualità. Poi, lo stesso formaggio
che si riusciva a vendere veniva spesso pagato anche dopo un anno.
C’è però da dire che le nostre famiglie di lattai avevano un colpo d’occhio eccezionale e
sapevano fare il loro mestiere. Avevano anche una capacità straordinaria dal punto di vista
finanziario».
Racconta l’affittuario di una cascina del luogo il quale ha lavorato i campi fino a qualche
anno fa: «Io ho cominciato a fare l’agricoltore quando si lavorava ancora tutto a mano,
quando si tagliava il raccolto con la falce. A quel tempo la mietilegatrice che faceva i
covoni era appena stata sperimentata. Il mais lo si lavorava tutto a mano. Il lavoro nella
stalla era tremendo, gli animali venivano governati al chiuso, c’era tutto il letame da
trasportare.
Da allora si sono fatti dei progressi enormi, i lavori più pesanti e faticosi vengono ormai
svolti meccanicamente. Oggi si può produrre molto agevolmente e molto di più.
Del passato non ho proprio nostalgia, anche se lo stare sull’aia era bello, specie quando si
spannocchiava o quando si uccideva il maiale. Se però si sbagliava a fare il salame si
mangiava male tutto l’anno. Per non parlare poi dei rischi dovuti al maltempo, oggi invece
si lavora in condizioni decisamente diverse e molto più favorevoli. Una volta la vita era
dura, il lavoro era pesante, massacrante, oggi invece con la mietitrebbia si fa meno fatica
e per di più si è protetti dalle intemperie. Anche nel lavoro in campagna sono subentrati i
tecnici. Mentre una volta l’agricoltura viveva sull’esperienza empirica, ora si studiano le
tecniche. Rispetto a quella europea, però, la nostra agricoltura è ancora indietro nella
modernizzazione. In Olanda e in Germania ci sono dei mungitori che sono laureati, sanno
come trattare gli animali e hanno delle basi conoscitive scientifiche. Per giungere anche
noi a quei livelli occorre che gli agricoltori siano meglio riconosciuti sul piano della loro
condizione sociale. E occorre anche invogliare i nostri giovani laureati a impegnarsi in
agricoltura».
Ha scritto tempo fa uno studente nella sua tesi di laurea: «Il Comune di Pioltello,
nonostante una certa aliquota di addetti all’agricoltura fosse residente nel suo territorio,
veniva considerato fin dal 1930-35 un comune operaio la cui popolazione attiva si
spostava quotidianamente a Milano data la mancanza di industrie locali».
I moderni insediamenti industriali, in effetti, verranno realizzati solo all’indomani della
seconda guerra mondiale. Ed è appunto a partire dagli anni ‘50 che Pioltello, unitamente a
Vignate e Melzo, risulterà essere uno dei primi comuni dell’area Est Milano a subire uno
sviluppo produttivo intenso divenendo così uno dei più importanti e rilevanti centri
industriali della zona. A favorire questo processo contribuirà certamente anche il suo
allocamemto sull’asta ferroviaria Milano-Venezia che a quel tempo risultava essere un
vettore privilegiato di mobilità delle persone e delle merci.
«E’ giusto dopo il ‘45 che, data la disponibilità dei terreni situati nei pressi della ferrovia, si
assiste all’insediamento di alcune industrie».
«Negli anni ‘50 vengono realizzati in un’area pressoché priva di insediamenti residenziali,
ma non distante dalle prime conurbazioni periferiche, i primi stabilimenti di quello che
diventerà il polo chimico di Pioltello e Rodano».
Il processo di sviluppo del comprensorio conoscerà quindi una forte accelerazione nella
seconda metà degli anni ‘60, «quando sul territorio troveranno sede alcune tra le più
importanti industrie elettromeccaniche e di precisione attive in Italia».
Nelle fasi successive, invece, si registrerà un consolidamento dovuto soprattutto
all’insediamento di molte imprese di piccole e medie dimensioni.
Negli anni del dopoguerra, Pioltello «vantava anche la presenza di un artigianato di
prestigio», fa presente un’imprenditrice del luogo. «Mio padre è stato l’ultimo maestro del
ferro battuto che ha mandato avanti per decenni l’antica officina dei Fumagalli i quali erano
suoi cugini e che risaliva al ‘600. Tutte le cancellate della villa Invernizzi sono state fatte da
lui. Ha poi anche fatto diverse sculture che sono opere d’arte e sono finite in giro per il
mondo».
«Negli ultimi decenni - osserva un pubblico amministratore - Pioltello ha poi subìto
un’ulteriore eccezionale trasformazione: da territorio manifatturiero, fatto di piccole e
medie industrie, è diventato una realtà caratterizzata soprattutto da una forte presenza del
terziario. Qui si sono collocate progressivamente funzioni e insediamenti tra loro
assolutamente estranei».
Di fatto, lo sviluppo della logistica e dell’autotrasporto «hanno portato alla realizzazione,
lungo l’asse ferroviario ad ovest del centro storico di Limito, di un centro intermodale di
medie dimensioni».
Aggiunge un attento osservatore delle vicende pioltellesi:«Ci sono state grandi aziende
che per accaparrarsi i terreni hanno offerto una barca di soldi a famiglie contadine le quali,
di fronte a tanta fortuna, non si sono lasciate sfuggire l’occasione, senza per altro neanche
capire cosa stava succedendo».
Nel corso degli ultimi decenni, dunque, Pioltello ha fatto registrare profondi cambiamenti
Tabella n. 3
Uso del suolo - 1971-1991 (valori percentuali)
% superficie urbanizzata
Pioltello
Comprensorio Melzo
1971
19
15
1981
29
22
1991
41
31
Fonte: Istat
Tabella n. 4
Popolazione attiva e non attiva e distribuzione degli occupati per settori - 1951-1991 (valori
percentuali)
‘51
‘91
Popolazione non attiva
54,4
51,6
Popolazione attiva
45,6
48,4
occupati in agricoltura
13,6
0,5
occupati nell’industria
68,6
43,2
occupati nel terziario
17,8
56,3
lavoratori autonomi
13,5
19,6
lavoratori dipendenti
86,5
80,4
di cui:
Fonti: Regione Lombardia e Comune di Pioltello
non solo nella sua struttura urbana, ma anche nella sua stessa composizione sociale.
Come si può notare, dal dopoguerra agli anni ’90, la realtà sociale di Pioltello è di
parecchio mutata. La popolazione attiva è cresciuta, seppure in misura modesta, di 2,8
punti in percentuale. Mentre gli occupati in agricoltura sono quasi spariti, quelli
nell’industria, pur essendo aumentati in valori assoluti di oltre tre volte, percentualmente
hanno subìto una notevole riduzione di peso. Gli occupati nel terziario, invece, sono
cresciuti sia in termini assoluti che percentuali diventando così il settore trainante. Pure gli
occupati autonomi (imprenditori, liberi professionisti, lavoranti in proprio e coadiuvanti)
hanno fatto registrare un discreto aumento anche se, nel’91, queste categorie risultavano
essere nel complesso sotto la media provinciale di oltre 3 punti percentuali e mezzo.
3. Il Satellite: simbolo dell’irrazionalità urbanistica
Verso la metà degli anni ‘50, simultaneamente allo sviluppo industriale, ha avuto inizio il
processo di urbanizzazione.
Come ha rilevato nella sua tesi di laurea lo studente pioltellese già citato, «nel 1951, le
due imprese di costruzioni edili che operavano in luogo iniziarono la costruzione di
numerosi edifici ad uso abitativo, senza che fosse stato varato un piano regolatore o di
lottizzazione. La mancata pianificazione e le scelte di quel periodo, indirizzate
esclusivamente alla soluzione del problema degli alloggi, rendono quartieri degli immigrati
quartieri dormitorio, dove mancano luoghi attrezzati per la ricreazione, per l’incontro tra
adulti, per il gioco dei bambini e, ancora più grave, asili nido, scuole per l’infanzia,
attrezzature sanitarie e sportive».
Annota a questo proposito un amministratore comunale:
«Negli anni ‘60, a seguito dei grandi fenomeni di immigrazione interna, a Pioltello si é
sviluppata a ritmo forzato la speculazione edilizia. Questo è avvenuto dapprima nell’area
prospiciente la stazione ferroviaria, in quella che verrà poi chiamata impropriamente
‘piazza Garibaldi’, poi, sempre nello stesso periodo, il fabbisogno di alloggi per la
popolazione di Milano città ha suggerito l’avvio della grande speculazione del Satellite.
Questa costruzione, però, cambierà successivamente target e verrà saturata
prevalentemente dagli immigrati del sud».
E uno dei tanti cittadini di Milano che in quel periodo si sono trasferiti a Pioltello
commenta: «Su questo territorio sono state consumate molte violenze. La prima è
sicuramente costituita dall’insediamento del polo chimico che di certo non ha portato un
numero di posti di lavoro tale da compensare i danni causati alla qualità della vita. Poi c’è
stata la speculazione edilizia che ha trasformato il paese in un quartiere dormitorio di
Milano».
In effetti, la costruzione del Satellite ha significato una tappa fondamentale nel processo di
inurbamento di Pioltello al punto che, a dire di un altro esponente politico,«con la
costruzione di questo quartiere questo paese non è più stato se stesso. Con il Satellite è
cambiato inesorabilmente il volto urbano e altrettanto inesorabilmente anche l’animo
stesso dei pioltellesi ha subito una modificazione. Il Satellite ha cambiato l’immagine e la
stessa reputazione di Pioltello».
Non sorprende quindi che in molti nostri interlocutori si rintracci un risentimento verso gli
autori di queste “violenze”, anzi, è addirittura recepibile una sorta di recriminazione nei
confronti di chi ha retto a quei tempi la pubblica amministrazione.
Afferma categorico un anziano: «Per quarant’anni Pioltello non ha avuto un piano
regolatore e si è costruito su ordinazione. Ognuno faceva quel che voleva e in chi
amministrava il paese non c’era una qualsiasi idea della città che avrebbe dovuto
sorgere».
Uno stesso amministratore degli anni ‘70 ricorda: «A Seggiano lo sviluppo è avvenuto
senza regole e ha avuto corso nei tempi in cui la gente si acquistava cinquecento metri
quadrati sui quali vi costruiva la casa a due piani quando c’erano i risparmi e lavorando
notte tempo il sabato e la domenica, facendo cioè sacrifici enormi. Poi vi si insediava e la
verniciava dieci anni dopo perché non c’erano i soldi per farlo. Era difficile contrastare
questa gente».
E altri originari del posto ricordano che a Seggiano, «all’inizio, c’erano solo villette, c’era
una segheria, c’erano ancora le cascine, poi invece si sono insediate le costruzioni
popolari e a macchia d’olio si è distribuita la microcriminalità. Alla fine, a complicare le
cose, sono arrivati anche gli autotrasportatori».
«Io sono nato a Limito, in cascina, e ho vissuto le vicende di Pioltello da vicino. Il territorio
è stato usato per arricchimenti personali, attraverso cessioni ad enti avvenute per quattro
soldi, anziché essere acquisiti per il bene pubblico. Questo è avvenuto fino alla fine degli
anni ‘80 e ai primi degli anni ‘90. Gli ultimi atti sono infatti del ‘90-’91. Il territorio è stato
sfruttato al massimo per questi arricchimenti che hanno compromesso uno sviluppo
equilibrato della società locale».
Come viene documentato nel numero 4 dei ‘Quaderni’ pubblicati dal Comune, quello
dedicato alla ricostruzione storica del Satellite, nel ‘62 venne stipulato un «accordo tra
l’Amministrazione comunale e le ditte proprietarie dei terreni per la costruzione di un
quartiere residenziale destinato al ceto medio, completo di scuole, campi da tennis e da
pallacanestro, campi-gioco per bambini, illuminazione stradale, impianto fognario e
acquedotto, il tutto a spese delle imprese costruttrici».
E bene ricordare che a quei tempi i costruttori privati non avevano alcun obbligo nei
confronti della collettività circa la realizzazione dei servizi pubblici.
Tra il ‘62 e il ‘64 vennero così edificati 4 lotti di 10 edifici ciascuno e altri 15 edifici lungo le
vie Bizet, Wagner e Monteverdi. In queste 55 costruzioni, all’origine, era prevista la
realizzazione di 2.268 appartamenti di 2 e 3 locali ciascuno, mentre il progetto globale
iniziale contemplava la costruzione di addirittura 72 palazzi di 9 piani.
«Quando però ebbe inizio la costruzione, l’impresa edilizia si accorse che l’impegno
assunto con il Comune risultava essere troppo oneroso e a quel punto, nell’intento di
recuperare i soldi da destinare alle opere di urbanizzazione, decise di aumentare il numero
delle case da costruire».
Questa operazione non conseguì affatto l’obiettivo sperato.
«La costruzione di tanti edifici in uno spazio inadeguato e sovraffollato comportò
inesorabilmente la diminuzione delle probabilità di vendita di quegli alloggi al ceto sociale
cui erano originariamente destinati. La sopravvenienza di questa contraddizione
determinò anzi il fallimento dell’intera operazione».
«Essendo ammucchiati, gli appartamenti si deprezzarono e quelli che vennero venduti,
non garantirono affatto il guadagno preventivato. Il costruttore si ritrovò così nelle
condizioni di dichiarare fallimento.
A quel punto venne costituita una società che si accollò l’ultimazione della costruzione
degli appartamenti e gestì al meglio la complicata situazione che si era venuta creando.
Fece anzitutto l’accordo con circa 300 operai per la loro assunzione alla condizione che
acquistassero gli stessi appartamenti dietro trattenuta mensile sul salario di una somma
compresa tra le 20 e le 30 mila lire».
Ecco come ricostruisce le vicende di quel tempo colui che ebbe il greve compito di
subentrare nella gestione immobiliare del Satellite.
«Il titolare dell’impresa costruttrice aveva comprato, attraverso varie società che lui stesso
gestiva, pressoché tutte le aree agricole di Pioltello la cui superficie ammontava a un paio
di milioni di metri quadrati. Io sono subentrato nella gestione del Satellite dopo che quel
signore aveva accumulato debiti nei confronti del sistema bancario per decine e decine di
miliardi di lire. E’ da ricordare che eravamo negli anni ‘60, quando cioè con un milione o
poco più di lire si acquistava un’automobile che oggi ne costa cinquanta o sessanta. Si sta
parlando dunque di cifre stratosferiche che rapportate ad oggi equivarrebbero a migliaia di
miliardi.
Io che lavoravo alle dipendenze del gruppo finanziario svizzero che era subentrato dopo
che le banche avevano deciso di chiudere i rubinetti, ero a quel punto chiamato a gestire
un’operazione fallimentare.
Poiché l’impresa costruttrice aveva incassato le cambiali firmate dagli acquirenti degli
immobili del Satellite, io mi sono trovato di fronte a un immenso casino fatto di tante
cambiali inesigibili e di case che non avevano un grosso valore aggiunto.
I mezzi per portare a compimento l’operazione, cioè per rifinire le case che erano già state
terminate, sono arrivati dalla Svizzera. Per il resto non c’erano mezzi.
Ho così ereditato 300 appartamenti che erano occupati senza che venissero pagate né le
spese condominiali né i mutui. Per sere e sere mi sono recato a casa di questa gente,
anche rischiando, e ho trasformato i preliminari in contratti d’affitto. Attraverso questa
operazione ho potuto prendere gli appartamenti e darli in permuta a chi mi ha venduto un
lotto di terreno. Su un migliaio di appartamenti ne ho piazzati almeno 500-600. Venderli
però è stata una vera e propria impresa perché non valevano niente. Ho fatto un’opera
d’arte e per questo sono contento di me.
Nel ‘64 io ero intenzionato a far saltare i fabbricati interni, ma non ho potuto farlo perché
erano già venduti. Le cose brutte rimangono brutte e per far sì che il Satellite
corrispondesse ai propositi originari occorreva eliminare quei fabbricati che erano stati
costruiti in eccedenza.
Va chiarito che la convenzione fatta dal costruttore con il Comune di Pioltello risultava
essere avveniristica negli anni ‘60. Nella convenzione era prevista la costruzione di campi
da tennis, campi di calcio e queste erano le uniche infrastrutture che a quel tempo
esistevano a Pioltello, anche se poi questi stessi servizi sono risultati insufficienti.
Dal momento che l’impresa si è fatta carico di questi oneri, è stata necessariamente
costretta, per non perderci, ad aumentare le volumetrie, cioè a costruire case in più di
quelle previste. L’eccesso di volume, però, ha deprezzato le costruzioni e gli alloggi
costruiti non corrispondevano più nella qualità abitativa alle aspettative perdendo
automaticamente valore. Occorreva costruire molto meno e con uno stile migliore. I
costruttori hanno dunque fatto male i calcoli economici, mentre il Comune non si è reso
conto che la pretesa di addossare al costruttore il carico delle infrastrutture avrebbe
comportato una situazione anomala e di conseguenza un deprezzamento dell’intero
quartiere.
Con Pioltello ho chiuso nel ‘70 quando sono riuscito a fare l’operazione di permuta.
Va detto che quella del Satellite è una storia nella quale tutti hanno ragione: ce l’aveva il
costruttore che, sbagliando, ci ha rimesso e c’è l’aveva pure l’Amministrazione comunale.
Va ricordato che tutto quanto l’Amministrazione comunale ha preteso è stato
puntualmente realizzato. Il paradosso è che la vicenda del Satellite è tutto fuorché una
speculazione edilizia. Probabilmente in nuce l’intenzione era quella, alla fine però
l’operazione si è rivelata un disastro per lo stesso costruttore.
La vicenda del Satellite è in conclusione il frutto di un coacervo di errori».
Avvenne così che «quella che all’origine era la ‘Città satellite di Milano’, destinata cioè a
quei cittadini milanesi che, stanchi del caos della metropoli, erano desiderosi di trasferirsi
in un ambiente tranquillo e confortevole della periferia, venne presa d’assalto da muratori,
carpentieri, operai che in prevalenza erano immigrati e bisognosi di un alloggio».
Nella memoria dei pioltellesi di oggi la storia del Satellite occupa sicuramente largo spazio.
E’ convincimento generale che esso rappresenti una «vicenda che ha sconvolto Pioltello.
Prima lo hanno costruito, poi l’impresa è saltata per aria. I muratori che l’hanno costruito
non venivano pagati e allora in cambio hanno avuto la casa. Altri acquirenti invece che
pensavano di aver comprato chissà che cosa, si sono ritrovati delle abitazioni ignobili».
Qualcuno rammenta che «sono persino andati con i pullman a raccogliere gli operai nel
Mezzogiorno per portarli qui. Prima li hanno fatti dormire nelle baracche, poi gli hanno
venduto le case del Satellite. E’ successo così che qui è venuta ad abitare gente che
purtroppo denunciava un bagaglio di arretratezza che era una cosa indegna. In più, i nostri
governanti ci avevano messo anche i delinquenti in soggiorno obbligato. E questo periodo
è durato parecchio. Se si parla male di Pioltello è anche per queste ragioni».
Altri invece tiene a precisare che «a differenza dello Zen di Palermo o del Corviale di
Roma, dove si sono insediati i clan, gli abitanti del Satellite erano e sono autosufficienti dal
punto di vista finanziario e perciò non ricattabili».
Un amministratore degli anni ‘70 ricorda come, con l’avvento della città Satellite, Pioltello
abbia conosciuto «un’escalation di immigrazione tale da scoprire, in occasione di un
censimento, che a fronte di 28.000 residenti il comune ospitava ben 34.000 abitanti».
«Pioltello è nato come realtà agricola e i suoi abitanti erano addetti quasi solo
all’agricoltura, al massimo posavano tubi dell’acqua. Con la costruzione del Satellite sono
arrivate qui diecimila persone tutte eterogenee, in buona parte meridionali attirati dalla
promessa che facendo i muratori si sarebbero pagati l’alloggio. Alla fine invece sono stati
ingannati. Poi c’eravamo noi milanesi che siamo venuti qui perché comprare la casa in
città allora era pazzesco, mentre qui i prezzi erano buoni e c’era la possibilità di fare le
cambiali. A regola, la costruzione del Satellite non è stata poi tanto male, il problema è che
alla fine si è trasformato in un dormitorio».
Racconta un commerciante: «Io mi sono insediato al Satellite nel ‘63 quando ancora non
c’era niente. Qui al Cilea gli appartamenti abitati erano solo tre o quattro. Molti hanno
incominciato ad essere abitati solo nel ‘64, mentre nel ‘65 c’è stata un po’ di crisi.
Prima aveva aperto la drogheria all’angolo, poi ho aperto io la salumeria, gli altri sono
arrivati dopo.
All’inizio era venuta ad abitare qui gente diciamo un po’ più scelta, cioè i milanesi che
avevano lasciato la città, dopo invece, con la crisi immobiliare che ha investito l’impresa
costruttrice, è successo un po’ di tutto».
«Verso la fine degli anni ’60 - spiega un operatore economico del luogo - stavo per
acquistare anch’io un appartamento al Satellite perché avevo la smania di avere la casa.
E’ stata mia moglie a ritardare la decisione e devo ringraziare lei se non ho firmato il
contatto che era già steso».
«A quel tempo acquistare un appartamento al Satellite significava farsi la casa fuori
Milano, fare cioè un investimento e avere a disposizione una dimora presso la quale
defilarsi dalla grande metropoli. Poi invece quelle costruzioni si sono trasformate in luoghi
di residenza per chi veniva dal Sud, spesso occupati con la forza e perfino destinati a
criminali mafiosi mandati al confino».
Se è però vero che «il Satellite ha stravolto la natura originaria di Pioltello e ne ha
modificato l’aspetto, nel contempo ha però arricchito la composizione umana e sociale»,
«esso accoglie e respinge nello stesso tempo».
«Tutto sommato ha dato delle opportunità a questa gente la quale in 35 anni, parlo di
quando sono stato qui io, ha fatto dei bei passi. Si critica tanto il passato ma non si tiene
conto di questo aspetto e pure del fatto che oggi si fa anche di peggio. La gente si è
integrata, è migliorata, i figli delle famiglie che erano qui si sono trasferiti altrove, alcuni si
sono addirittura comprati la villetta».
Non va poi dimenticato che «negli anni ‘60 l’acquedotto del Satellite era visto da tutti come
un monumento d’avanguardia perché di case a nove piani nel milanese non è che ce ne
fossero molte».
«E quando agli inizi degli anni ‘60 hanno incominciato a costruirlo, per i commercianti di
Pioltello vecchia ha rappresentato una fonte di commercio. E’ stato come se avessero
trovato il petrolio». E’ vero, ammette un interessato, «commercialmente il Satellite è stato
un benvenuto, anche se per quanto riguarda l’aspetto sociale non posso dire altrettanto».
4 - L’ondata immigratoria degli anni ‘60-’70
Raccontano le persone che sono native del luogo: «Anticamente Pioltello era come un
feudo, era comandato da dieci, dodici, quindici fittavoli che facevano lavorare la gente nei
campi. Loro erano le famiglie che contavano e decidevano, noi invece eravamo la povera
gente».
« Negli anni ‘50 non era però più una comunità rurale nel senso che qui ci fossero molti
contadini, era invece un paese di muratori. A Cernusco c’erano gli impresari, qui c’erano i
muratori particolarissimi, quelli che non lavoravano il lunedì perché il sabato e la domenica
prendevano le sbornie dal momento che guadagnavano bene».
«Rispetto a Cernusco, a quei tempi qui c’era la miseria, venivano a prendere gli uomini al
lunedì per portarli a lavorare le terre».
«Non c’erano né luce né fogne».
«Si mangiava polenta al mattino, polenta a mezzogiorno e polenta alla sera. In famiglia
non si parlava di politica, ma solo di lavoro e della pagnotta».
«A quei tempi si viveva però la comunità del paese e la trattoria era un punto di incontro».
«Noi ragazzi andavamo nelle cascine e facevamo il bagno nelle rogge».
«C’erano dei clan, i Gerla, i Salvini e altri ancora che erano specializzati a costruire i muri
con i mattoni. Erano tutti comunisti, ma comunisti di quelli veri, non cattivi, ma per scelta di
classe e avevano un forte senso dell’appartenenza».
Difatti, commenta un anziano esponente della politica locale, «finita la guerra c’era quella
maledetta ideologia che ha rovinato un po’ tutti e della quale siamo rimasti soggiogati per
parecchi anni, fino a che c’è stata la caduta della Russia. Io ho avuto dei dipendenti tra i
quali c’erano dei comunisti che erano persone a posto, lineari, grandi lavoratori; poi
c’erano anche dei lavativi, ma questo succede in ogni ambiente. Ho avuto gente che è
stata qui trenta o quarant’anni e non erano liberali, erano comunisti. Molti non sapevano
nemmeno cosa fosse il comunismo, lo erano perché convinti che il partito comunista
facesse sempre il loro interesse. Pure i sindacati li avevano convinti che facevano il loro
interesse e così molti hanno creduto anche nel sindacato. Questo è potuto avvenire
perché allora c’era molto analfabetismo».
« A quei tempi qui non esisteva una classe operaia di tipo meccanico, questa è venuta
dopo, quando cioè in diversi hanno avuto la possibilità di andare a lavorare all’Innocenti,
che è stata un’azienda importante perché quelli che facevano il capo-operaio si sono
messi poi per proprio conto aprendo delle piccole officine.
Dopo di che c’è stato il boom di quelli della Rizzoli.
Il polo chimico, invece, ha sempre usufruito di moltissima manodopera che non abitava e
non abita nemmeno oggi a Pioltello. Venivano in treno da lontanissimo, dal bergamasco,
ad esempio, e alla stazione di Limito scendevano a frotte. Alcuni poi si sono stabilizzati
qui».
C’era però anche «una componente di aristocrazia operaia, cioè tutta quella gente che
negli anni ‘50-’60 ha contribuito al boom italiano: operai specializzati, gente che conosceva
il proprio lavoro, sindacalizzati, consapevoli di tutte le tematiche sociali.
Questa aristocrazia operaia era mescolata a manovalanza poco qualificata costituita da
chi arrivava qui dalle regioni povere del Sud d’Italia».
«Negli anni ‘60 Pioltello era il paese dei meridionali poveri, perché qui potevano prendersi
il pezzetto di terreno».
«Qui la gente trovava casa e lavoro».
All’epoca della costruzione di Piazza Garibaldi e del Satellite «c’è stata la prima storica
ondata immigratoria dei meridionali. Questi facevano i muratori e andavano a lavorare
nelle grandi imprese della zona».
«Dal treno che fermava a Limito scendeva della gran manodopera», «la ferrovia sfornava
mille immigrati al giorno con la classica valigia di cartone.
Questi avevano bisogno di trovare un posto di lavoro, anche in nero, quello che capitava
perché avevano necessità di campare. Erano tutti immigrati che scappavano dalla fame».
«C’era un albergo dove alloggiavano almeno trenta persone che lavoravano tutte al polo
chimico. La povera gente però, quella che veniva su dal Meridione, era costretta ad
affittare la casa e in una stanza dormivano anche in tre o quattro».
«Tre quarti delle persone che oggi vivono a Pioltello sono arrivati da altri luoghi e in tanti
sono venuti qui pensando che questo paese fosse una zattera. Pioltello di quegli anni è
stato come una delle navi di clandestini che oggi attraversano lo stretto tra l’Albania e la
Puglia. Molti di loro pensavano di sbarcare in qualche altro posto e consideravano Pioltello
un luogo di transizione, in realtà sono poi rimasti qui in tanti».
«Qui si è trasferito per il 60% una paese della Sicilia. Pioltello è così diventato il doppio di
Pietraperzia. C’è stato un periodo in cui venivano qui addirittura gli amministratori di quel
comune a fare la propaganda elettorale».
«C’erano anche personaggi in soggiorno obbligato con le loro corti ed era un vero e
proprio marasma».
«Una delle cose che ricordo bene è che le persone del Sud che arrivavano qui e avevano
bisogno di lavoro. Il sindaco di allora concedeva loro la residenza e le aiutava a trovare
una collocazione, cosa che non faceva invece il sindaco di Cernusco, pure lui
democristiano, il quale concedeva la residenza solo a chi aveva un posto di lavoro».
Ricorda un amministratore dell’epoca: «Quando facevo il sindaco c’erano mille pioltellesi,
cinquemila del Nord e trentamila del Sud. A Pioltello esisteva dunque una comunità con
mentalità, idee, usi e costumi differenti e integrare tutte queste persone non era di certo
facile».
«Tant’è - osserva un parroco - che per diverso tempo in molte famiglie meridionali è
invalsa l’abitudine di far nascere i figli al proprio paese d’origine al fine di mantenere un
legame con la propria terra e le proprie tradizioni.
Qui da noi ogni venerdì santo si celebra un rito che è originario di Pietraperzia e buona
parte di chi vi partecipa è gente che vive a Seggiano da più di trent’anni. Mentre prima
questo rito era gestito dai pietrini, ora vi partecipano anche quelli che non sono originari di
quel paese e questo sicuramente è un segnale positivo».
Il processo d’integrazione però non è di certo stato facile, né per gli immigrati del Sud né
per quelli che provenivano dalle regioni dello stesso Nord d’Italia.
«Per assurdo, mi trovavo molto peggio io che venivo dalla campagna bresciana piuttosto
che uno che proveniva da Pietraperzia o da altre realtà del Mezzogiorno. I meridionali
riuscivano almeno a stabilire dei rapporti personali. Per me, il disagio comportato dal
trasferimento da un mondo contadino all’ambiente di Pioltello è stato grande. Io mi sentivo
spaesato e non riuscivo ad integrarmi. In quei tempi ho conosciuto una forte solitudine. Mi
trovavo di fronte a una cultura di città che era diversa da quella che avevo acquisito nella
piccola comunità contadina d’origine. Passare dal carro trainato dal cavallo alla
metropolitana è stato per me un salto notevole. Capitava che mi dovessi confrontare con
comportamenti e atteggiamenti che erano assolutamente estranei alla mia cultura.
Quando in quegli anni andavo al Satellite, succedeva che la gente buttava i rifiuti fuori
dalla finestra, li buttava sulla strada e c’era un’anarchia comportamentale che mi intimidiva
molto, anzi mi spaventava. Io mi sentivo aggredito. La sensazione era quella di vivere nel
far west.
Poi invece crescendo, intessendo dei rapporti di amicizia, integrandomi nella comunità, su
questi comportamenti costruivo anche delle leggende e con il tempo essi stessi sono
diventati elementi che hanno contribuito a crearmi un’identità di questa realtà.
La crisi d’identità che avevo vissuto io la verificavo nei miei stessi amici i quali al pari di me
erano intimoriti da certi altri ragazzini, nonché da certi altri personaggi che si trovavano in
Pioltello. Con il passare degli anni poi con queste stesse persone ho stabilito un rapporto e
pure una comunanza.
Piano piano c’è stata una trasformazione e questi comportamenti che potevano anche
essere motivo di distinzione si sono sempre più marginalizzati e si è andati verso nuovi
livelli di convivenza. La gente è diventata sempre più normale».
Un altro motivo di disagio era dovuto all’assenza delle infrastrutture di pubblica necessità.
«Per chi intendeva continuare gli studi dopo le elementari sul territorio comunale non
c’erano le scuole e doveva andare in città. Io e i miei fratelli, dal momento che
appartenevamo a una famiglia che ne aveva la possibilità, abbiamo studiato a Milano».
«Anch’io per studiare dovevo prendere tutti i giorni il pullman per Milano e a quei tempi ero
l’unica ragazzina a frequentare la scuola media, mentre le poche altre che avevano deciso
di continuare gli studi si recavano a Gorgonzola dove frequentavano l’avviamento
commerciale. Allora non c’era nessuno che ci dicesse quanto fosse importante lo studio,
chi andava avanti a studiare era perché aveva una forte volontà».
«Mio fratello frequentava l’università e a quei tempi a Pioltello ce n’erano solo altri due o
tre, mentre a Cernusco erano già in trenta o quaranta».
E la stessa vita comunitaria non risultava affatto agevole.
«Soprattutto al Satellite non ci si conosceva affatto perché eravamo tutti immigrati. Ad
aggregare allora c’erano solo gli oratori, gli scout e poi c’era la banda».
«Quando alla fine degli anni ‘60 sono giunto qui ho trovato una situazione tipica di una
realtà territoriale in piena espansione. Mancavano tutta una serie di condizioni perché una
persona potesse condurre tranquillamente la sua vita. Non c’erano ancora tutte le scuole,
si facevano i doppi turni, mancavano i servizi.
Sulla base dell’immaginario personale mi sento di dire che lo sviluppo di Pioltello è stato
segnato da tre eventi fondamentali: la costruzione delle scuole; la costruzione delle fogne
che ha comportato, tra la metà e la fine degli anni ‘70, uno sventramento generale delle
strade; poi la trasformazione del comportamento individuale delle persone».
5 - Dalla crisi dell’agricoltura alla terziarizzazione
«Pioltello è sempre stata considerata il Bronx dell’area della Martesana, perché negli anni
‘60 la speculazione edilizia del Satellite aveva fatto sì che ci fosse una concentrazione di
immigrazione selvaggia tale da far nascere la delinquenza e una disoccupazione di
volontà legata a problemi assistenziali» , osserva un operatore culturale che pioltellese
non è.
«Rispetto agli anni ‘60, però, Pioltello è di molto cambiata» , puntualizza un amministratore
pubblico. «Dal punto di vista della vivibilità è sicuramente peggiorata. Sta infatti diventando
sempre più difficile vivere con una grande massa di persone che mostra segni di difficoltà
nel trovare un senso di appartenenza. Da altri punti di vista, invece, la situazione è
decisamente migliorata. Negli anni ‘60 le fogne non c’erano, il gas metano non c’era.
Mentre però sul piano dei bisogni materiali sono stati fatti dei notevoli passi in avanti,
rispetto ai bisogni immateriali c’è stato un decadimento».
Comunque sia, «rispetto ai tempi andati, quando era una sorta di paese dormitorio,
Pioltello è diventata sempre più una cittadina normale. Un tempo se si percorrevano le
strade del paese al mattino o al pomeriggio non si incontrava nessuno, perché la gente
era a lavorare in fabbrica o a Milano, oggi invece non è più così, anche di giorno nelle vie
cittadine c’è vita».
«Ora Pioltello si sta avvicinando a passi da gigante ai livelli standard milanesi. Vengono
organizzate iniziative che erano impensabili per la realtà locale fino a dieci anni fa. Del
resto, la stessa realizzazione della grande multisala cinematografica è una cambiale
firmata a suo favore, nel senso che se questa multinazionale estera ha scelto di insediarsi
in questo comune, non lo ha certo fatto soltanto perché l’Amministrazione comunale gli ha
forse offerto maggiori facilitazioni di altre sull’area. Se questa fosse un’area da Bronx
nessuno si sarebbe mai sognato di aprire qui una multisala del genere.
Poi c’è da dire che è cambiato l’approccio stesso con Pioltello. Mentre prima c’era la
nomea che rendeva difficile vendere un appartamento situato in questo comune, al punto
che uno nell’inserzione sui giornali doveva scrivere ‘vicinanze Cernusco’, oggi tutti
scrivono tranquillamente Pioltello e anche questo è un segnale molto eloquente del fatto
che si è ormai affrancato da quella brutta immagine».
E mentre altri testimoni sottolineano questo positivo mutamento, c’è chi manifesta un
attaccamento a questa realtà locale che a qualcuno può apparire sorprendente.
«Qualche tempo fa ho proposto a mia moglie di comprare una casetta nel mio paese
d’origine. Essendo però lei nata a Pioltello, non ha voluto nemmeno considerare l’idea di
andarsene via da qui. In verità, anch’io sono affezionato a Pioltello, qui ho fatto la famiglia,
sono diventato imprenditore, ho avuto le soddisfazioni della mia vita e ho fatto degli amici.
Mi sento insomma sotto il campanile, anche se di tanto in tanto mi viene voglia di
camminare libero sui sentieri di campagna e respirare l’aria pulita».
«Noi - racconta un altro operatore economico - abitavamo a San Siro, ai limiti
dell’ippodromo, dove ci sono molte ville di famiglie ricche. Quando da San Siro mi sono
trasferito qui i miei amici si sono tutti meravigliati proprio perché a quel tempo Pioltello era
una località conosciuta solo per la cronaca nera.
Devo invece confessare che io non sono mai stato così tranquillo come da quando vivo
qui. Certo, io non sono inserito in questa comunità e vivo un po’ appartato, però qui ci sto
bene».
Di cambiamenti, in effetti, in questi ultimi decenni ce ne sono stati parecchi.
Anzitutto, è venuta trasformandosi la struttura economica di Pioltello.
«L’agricoltura sta ormai sparendo del tutto, anche perché qui non ci sono più i grossi
appezzamenti di terreno di un tempo».
«Oggi l’agricoltura è ridotta a ben poca cosa. Le cascine incominciano ad avere
destinazioni d’uso alternative e ci sono contadini che hanno smesso di coltivare i campi
causa l’incompatibilità di esistenza con l’industria».
C’è però chi non manca di deprecare la dismissione del lavoro contadino.
«Si è lasciata andare la campagna in un modo veramente sconcertante. Quando qui arriva
uno come me e nota che in questa zona, a soli quattro chilometri da Milano, esistono
ancora le rogge le quali, da quel che si dice, sono state disegnate da Leonardo Da Vinci, e
poi ci sono i fontanili e vede che sono stati lasciati andare, s’incazza con la vita, s’incazza
con i ricchi, s’incazza con la storia. E’ mai possibile distruggere o lasciar deperire un
patrimonio di storia della nostra civiltà così importante? Noi che abbiamo un allevamento
di cavalli in Toscana sappiamo bene che la campagna non dà guadagno in nessuna parte
del mondo. Ma non c’è solo il problema del guadagno, ci deve essere un attaccamento
alla terra così come appunto avviene in Maremma».
E c’è chi invece pensa che il destino dell’agricoltura, in questa parte della provincia
milanese, sia inesorabilmente segnato in termini negativi.
«Di aziende agricole a Pioltello non c'è ormai quasi più niente. Noi facciamo monocoltura,
ma dal punto di vista agricolo questa zona non ha prospettive perché questa posizione è
strategica per l’industria. Qui ci sarà la stazione di porta che avrà una certa importanza per
lo sviluppo dell’alta velocità. Noi siamo vicinissimi alla stazione, seguiamo la linea
ferroviaria Milano-Venezia che va in Germania, e proprio per questa ragione quest’area
può avere uno sviluppo enorme dal punto di vista industriale se si fanno i raccordi
ferroviari.
Con il vecchio piano regolatore una parte di quest’area era giustamente destinata allo
sviluppo dell’artigianato, con quello nuovo invece l’area torna ad essere a destinazione
agricola. Si tratta a mio avviso di una scelta sbagliata, nel 2000 non si può tornare indietro
nello sviluppo, ma bisogna andare avanti.
In quest’area, se non oggi fra venti o trent’anni di certo, l’agricoltura è destinata a sparire.
Si salva il lodigiano, il cremasco, ma qui nell’area milanese tutto cambierà, questa linea
ferroviaria è la più importante d’Italia».
E non manca nemmeno chi ritiene che «per l’Amministrazione comunale l’agricoltura non
ha mai contato. Il Comune è proprietario di questo fondo da venti o trent'anni, non solo lo
ha per lungo tempo trascurato, ma ancora oggi non ha deciso cosa farne».
E poi c’è chi all’ente pubblico addossa addirittura la responsabilità della cessazione della
propria azienda agricola.
«Io sono venuto qui 36 anni fa, proveniente dal pavese, per coltivare la terra come
affittuario. Mi sono trasferito per ingrandirmi e quindi per migliorare l’attività. Nei primi anni
non ho avuto problemi, poi invece ho incominciato ad avere discussioni con un’azienda
chimica del luogo. A quei tempi, questa non aveva il depuratore e mi mandava acqua
sporca e inquinata. Ora la depurano e si dice contenga un inquinamento dell’8%; allora
invece conteneva l’80% di sostanze nocive e questa situazione è durata fino a metà degli
anni ‘70.
Io ho sempre reclamato, ma in Comune mi hanno sempre risposto che non potevano farci
nulla. Avrebbero invece dovuto imporre all’azienda l’obbligo di mandarmi l’acqua pulita.
Non si sono resi conto subito che concedendo a questa azienda lo sfruttamento dei pozzi
avrebbero danneggiato l’agricoltura e quando l’hanno capito non si sono dati da fare per
rimediare la situazione.
Anche gli ambientalisti non si sono mai curati dei miei problemi, loro facevano le
dimostrazioni, ma poi le cose ritornavano ad essere quelle di sempre. Non ho mai avuto la
solidarietà di nessuno. Sono andato anche dai Coltivatori diretti, ma anche questi mi
hanno risposto che se dovevano dare l’acqua a me bisognava toglierla a qualcun altro.
Dagli anni ‘70 ad oggi è stato un continuo calvario. Io ho continuato a coltivare la terra, ma
alla fine ho dovuto desistere.
Coltivavo granturco, frumento, orzo e foraggio, avevo anche gli animali. Tra grossi e
piccoli sono arrivato ad avere 165 capi. Come azienda la mia era una delle prime. Ora
però, a causa della mancanza dell’acqua, questo patrimonio non c’è più. Io avrei voluto
lasciare l’azienda ai miei figli, ma nelle condizioni in cui mi sono venuto a trovare ho
dovuto rinunciare a questo proposito. Io non potevo fare il granturco come gli altri, perché
senz’acqua era impossibile.
Ora i miei campi vengono lavorati da altri e per avere l’acqua questi devono aspettare la
pioggia. Io ho smesso dal momento che i raccolti rischiavano di bruciare mentre l’affitto e
le tasse dovevo comunque continuare a pagarli».
A soppiantare le coltivazioni agricole sono stati dapprima gli insediamenti industriali, poi le
imprese di trasporto e della logistica.
Pioltello è parte di un’area territoriale estremamente apprezzata dagli operatori economici.
La sua vicinanza alla città e la presenza di un sistema infrastrutturale assai ricco e
articolato hanno senz’altro favorito l’insediamento su questo territorio di molte imprese.
Oltre all’espansione e all’ammodernamento del polo chimico, negli anni ‘70 e ‘80, qui
hanno trovato collocazione gran parte di quelle aziende che sono sfuggite al
congestionamento della città di Milano e che in quest’area hanno individuato le condizioni
per ampliarsi ulteriormente.
E’ infatti proprio a partire da Pioltello e da Cernusco che, estendendosi verso l’Adda,
prende corpo il distretto industriale n° 14 che riguarda il settore della lavorazione dei
metalli e della produzione di macchine. Oltre ai settori metalmeccanico e chimicofarmaceutico, nel comprensorio di Melzo, specie negli ultimi anni, hanno trovato sviluppo
attività grafiche, imprese di servizi e, appunto, quelle di magazzinaggio, stoccaggio,
smistamento e trasporto.
Ecco come il responsabile di una struttura che si occupa di incontro tra domanda e offerta
di lavoro descrive la realtà economica della zona.
« Si tratta di un territorio dove non ci sono grandi aziende, se non alcune di servizi. In
prevalenza ci sono piccole e piccolissime imprese, più o meno la media per impresa è di 6
addetti, con una capacità di diversificazione molto ampia. I settori prevalenti sono quelli del
metallo e delle macchine, che risentono della presenza del distretto industriale, poi quelli
della grafica e della chimica. Dopo di che ci sono i servizi alle imprese, il commercio e
anche l’edilizia. E’ un territorio variegato e flessibile, soggetto a uno sviluppo tale da
garantire non solo una tenuta, ma un’espansione occupazionale.
Qui non si verificano mai delle impennate e le crisi si risentono sempre con un certo
ritardo. Si può dire che sia un territorio moderato, cioè che risente poco del cambio dei cicli
e perciò è reso più tranquillo.
Per assistere alle crisi delle grandi aziende bisogna risalire agli anni ‘70 e ‘80, dopo di
allora qui sono prevalse le piccole realtà le quali si sono dimostrate flessibili e perciò
stabili.
Il decentramento delle realtà produttive da Milano in quest’area è iniziato negli anni ‘60 ed
è tuttora in corso. Abbiamo una presenza dell’industria, ma ora sta crescendo anche il
terziario che dopo aver invaso la prima fascia di comuni intorno alla città, sta investendo
anche la periferia. Fino ad ora la presenza del terziario è risultata limitata, però sta
aumentando.
Ci sono sempre più aree destinate al terziario per cui si costruiscono centri direzionali i
quali si allontanano sempre più dalla città essendo anche collegati con le nuove vie di
comunicazione. Anche questa zona, dunque, vive uno sviluppo del terziario.
Il tessuto produttivo che è insediato qui regge perché è dinamico, se però si va a vedere
bene ci si accorge che si tratta di una realtà di aziende di piccole dimensioni che, come
tali, non possono competere perché non sono in grado di fare adeguati investimenti. Per
essere competitive devono misurarsi sul mercato come area territoriale. Esiste perciò il
rischio che esse si trovino di fronte a delle difficoltà e questo porta a sottolineare
l’esigenza che si operi per far crescere un sistema.
Qui la subfornitura è presente in maniera abbastanza consistente; direi che siamo molto
dipendenti da Milano dal momento che le nostre aziende sono fatte soprattutto di
laboratori e fanno riferimento all’azienda madre.
L’indotto, nell’area del distretto, sembra essere pari a circa il 30%».
C’è infine chi sostiene che lo sviluppo di Pioltello «sia stato condizionato dalla presenza
del polo chimico» e chi invece pensa che ciò sia vero solo in parte dal momento che
«l’influenza di questo polo sullo sviluppo complessivo dell’economia pioltellese è stata
molto relativa».
E’ opinione comune però che «mentre si è sviluppato il settore dei servizi alle imprese,
non c’è stato affatto uno sviluppo del terziario avanzato».
6. Il sistema delle imprese
Lamenta un amministratore pubblico degli anni ‘70: «Abbiamo costruito un paese di
poveri, senza un sistema di aziende che porti denaro e ricchezza, anche culturale. Tutte le
fabbriche che sono qui insediate occupano in tutto 300 dipendenti su 35.000 abitanti. Sulla
rivoltana abbiamo anche grosse aziende di importanza nazionale, purtroppo però nessuna
di queste influisce sul territorio comunale».
E altri nostri testimoni commentano:«Qui di stabilimenti ne sono rimasti pochi, una volta
qualcosa c’era, oggi invece sono spariti. Ci sono gli autotrasportatori e poi c’è la grande
distribuzione. Oggi a Pioltello il lavoro è precario».
«Un po’ di fabbriche ci sono ancora però non vantano un grande assorbimento di
manodopera perché ormai sono tutte automatiche. Manca la piccola e media industria e
anche l’artigianato».
«Tempo fa il quadrante di Pioltello era l’area della provincia che aveva un maggior tasso di
attività manifatturiera, sia come numero di imprese, che nella generalità erano piccole , sia
come occupazione. Nel giro di cinque o sei anni il paesaggio industriale si è però quasi
dissolto. Sono scomparse le aziende che costituivano l’indotto delle grandi industrie e la
piccola impresa non si sa bene che fine abbia fatto».
«Ci sono i supermercati che non possono essere demonizzati, però non assicurano il
lavoro che danno invece le fabbriche».
Fa presente il delegato sindacale di un’azienda della grande distribuzione: «Prima il
comune di Pioltello poteva contare sul fatto che qui vi erano occupati molti suoi cittadini,
oggi invece questi sono pochissimi perché la maggioranza di chi è occupato qui proviene
da fuori».
E altri interlocutori osservano ancora: «L’industrializzazione di Pioltello non è stata di
qualità perché qui ci sono soprattutto grandi depositi e l’unica realtà di grandissima qualità
e di alta tecnologia era situata nel polo chimico che però è un mondo a sé».
«Su cento che lavorano nelle aziende del polo chimico i residenti a Pioltello sono solo il
5%, il resto dei lavoratori arrivano da fuori e l’occupazione garantita dal polo chimico è un
mito».
«Le piccole imprese locali non hanno mai lavorato per le aziende del polo e qui non c’è
mai stato l’indotto. L’unico effetto positivo che esso ha avuto su Pioltello è stata la
presenza di tecnici e di altro personale che alloggiava in un albergo di Seggiano e in una
piccola struttura alberghiera di Limito. Queste infatti sono sempre state pieni di stranieri.
Non è esistito l’impresario locale che entra nelle aziende del polo chimico per costruirvi la
torre o altro».
«Uno dei grossi errori che i nostri amministratori pubblici hanno compiuto è stato quello di
dare spazio agli autotrasportatori i quali non costituiscono affatto un terziario avanzato.
La grande distribuzione, ad esempio, comporta la presenza di una dirigenza di qualità, ma
poi il resto di chi vi lavora in questo settore non vanta specifiche professionalità».
«A differenza di taluni comuni del circondario come Cernusco e Cassina de’ Pecchi che
sono stati capaci di attrarre significative aziende del terziario avanzate come la Microsoft o
la Hewlett Packard, Pioltello è sempre stato escluso come luogo di insediamento da parte
di aziende di quel genere.
Qui si sono formate molte società di pulizia che trent’anni fa non c’erano; il facchinaggio, il
trasporto, l’intermediazione delle case, agenzie varie, sono tutte attività che hanno avuto
una fioritura in questi ultimi anni.
A Pioltello c’è un grandissimo numero di società immobiliari che fanno prevalentemente
intermediazione di appartamenti e questo è da mettere in relazione proprio al turn over
che qui esiste. Questo tipo di imprese non arricchisce certo il territorio, non comporta di
per sé valore, perché non crea valore aggiunto e quindi benessere.
Io mi occupo di informatica e devo dire che quando sulla rete cerco Pioltello difficilmente
trovo offerte di servizi e questo vuol dire che anche culturalmente qui non si è ancora
preparati alle relazioni telematiche o quanto meno non se ne avverte la necessità e non ci
si attrezza. Le nostre aziende non incentivano il processo di informatizzazione.
Credo che il territorio di Pioltello non sia riuscito in questi anni ad accrescere la sua
capacità competitiva proprio perché qui storicamente non c’è stata programmazione. Le
aziende non si sono insediate perché non hanno trovato disponibili infrastrutture e
posizionamenti adeguati. Si sta cercando di farlo solo oggi».
«Di garanzie circa uno sviluppo dell’occupazione a Pioltello non ce ne sono. La grande
distribuzione è l’unica realtà che negli anni ha consolidato la sua capacità di assorbire
forza lavoro, così non è stato per le altre aziende presenti sul territorio».
Non tutti però manifestano preoccupazioni e riserve sul sistema delle imprese locale. Gli
operatori finanziari, ad esempio, esprimono valutazioni e giudizi che sono invece positivi.
«L’economia di Pioltello è solida, qui ci sono delle aziende sane, anzi delle bellissime
aziende. Molte hanno acquisito importanti posizioni sui mercati e competono bene.
Le aziende più importanti hanno bilanci sani, trasparenti, sicuramente con buone
prospettive per il futuro.
Ci sono parecchie imprese che sono leader dei loro settori, sono cioè importanti. Non c’è
solo il polo chimico, c’è anche la zona di via San Francesco che vanta la presenza di
aziende valide e competitive. Alcune aziende di Pioltello sono adeguatamente
capitalizzate e rispetto ad esse noi siamo un accessorio, altre invece risultano
sottocapitalizzate e queste sono la maggioranza. Questa però è una caratteristica di tutte
le aziende italiane.
Le aziende di Pioltello operano sui mercati di tutto il mondo, nessun continente è escluso.
Sui mercati esteri ci va soprattutto la media azienda, mentre la piccola lavora
prevalentemente nel settore della subfornitura».
«A me piace andare a vedere la clientela e mi considero un osservatore attento. Devo dire
che fino ad oggi ho ricavato una buona impressione, le aziende sono solide, esportano,
sono competitive, qui sono insediati dei leader mondiali.
Il sistema economico di Pioltello è sano, le persone con cui sono venuto in contatto sono
serie e preferiscono lavorare bene. Le aziende sono delle belle realtà e questa è stata una
bella sorpresa per me.
Da Milano continuano a uscire aziende e uffici e questo processo investirà ancora
Pioltello.
In base a dati nostri a uso interno a Pioltello esistono 700 artigiani circa e 1.400 ditte
individuali, almeno questi sono quelli registrati; le società di capitale sono 150».
Di fatto la situazione non è poi così negativa come ci è stata descritta da molti.
Tabella n. 5
Indici della dinamica delle unità locali del secondario e terziario e relativi addetti - 1951-1996
unità locali
addetti
1951
100
100
1971
459
899
1981
661
1203
1991
910
1410
1996
925
1241
Fonti: Istat, Regione Lombardia e Aspo
Come si può osservare nella tabella n.5, nel corso della metà del secolo scorso, Pioltello
ha conosciuto un progressivo incremento sia del numero delle imprese insediate sul suo
territorio sia del numero di addetti, anche se a metà degli anni ’90 questi ultimi hanno fatto
registrare una flessione. A fronte di un incremento della popolazione, come abbiamo già
avuto modo di evidenziare, pari a poco più di cinque volte, le unità locali si sono
moltiplicate per più di nove volte e gli addetti sono cresciuti di oltre dodici volte. La
percezione dunque che a Pioltello, in questi scorsi decenni, sia diminuito o comunque non
sia aumentato il numero delle imprese e dei posti di lavoro non è del tutto esatta.
Se si confronta la dinamica che ha conosciuto il sistema delle imprese di Pioltello con
quanto è avvenuto su scala comprensoriale e provinciale, tra l’81 e il ‘96, si scopre che i
processi qui intervenuti sono stati caratterizzati più dalle tendenze che si sono verificate a
livello dell’intera provincia milanese piuttosto che da quelle che hanno investito l’area di
Melzo.
E anche per quanto riguarda la composizione delle aziende per numero di addetti, il
sistema imprenditoriale di Pioltello, avendo mantenuto nel tempo pressoché costanti i
rapporti,
Tabella n. 6
Indici della dinamica delle unità locali del secondario e terziario e relativi addetti. Pioltello,
Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1981-1996
unità locali
addetti
1981
100
100
1990
132
106
1996
129
108
1981
100
100
1990
126
107
1996
160
141
1981
100
100
1990
113
100
1996
135
96
Pioltello
Compr. Melzo
Prov. Milano
Fonti: Itat e Aspo
presenta indici che risultano molto più vicini alle medie provinciali di quanto non lo siano
invece quelli relativi al comprensorio di Melzo. Nel quindicennio preso in considerazione,
la piccolissima impresa ha infatti continuato a rappresentare oltre il 90% delle unità locali
presenti sul territorio, garantendo il posto di lavoro a un terzo degli addetti.
In rapporto poi alla composizione della unità locali per settore, c’è da prendere atto che nel
‘96, mentre le imprese industriali risultavano essere sotto la media provinciale di quasi un
punto e mezzo, quelle delle costruzioni erano quasi raddoppiate. I due terzi delle aziende
presenti appartenevano al terziario e risultavano comunque essere sotto la media
provinciale di ben sette punti percentuali.
Gli addetti all’industria rappresentavano ancora il 37,3% del totale contro il 56,7% degli
appartenenti al terziario.
Tabella n. 7
Distribuzione percentuale delle unità locali del secondario e terziario per composizione
degli addetti - Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1981-1996
‘81
1-9 add.
‘96
10 add. e oltre
1-9 add.
10 add. e oltre
Pioltello
unità locali
90,2
9,8
92,6
7,4
addetti
29,7
70,3
31,5
68,5
unità locali
87,6
12,4
89,7
10,3
addetti
23,8
76,2
25,1
74,9
unità locali
90,1
9,9
92,9
7,1
addetti
32,4
67,6
39,6
60,4
Compr. Melzo
Prov. Milano
Fonti: Istat e Aspo
Infine, a proposito delle categorie professionali dei dipendenti delle unità locali, va
ricordato che, in base a un censimento compiuto nel ‘94, solo il 51% di essi risultavano
essere operai, mentre il 49% era composto da impiegati e dirigenti.
Questo dato contraddice evidentemente la tesi secondo cui il sistema della imprese locali
si avvarrebbe quasi esclusivamente di manodopera a basso grado di specializzazione.
Tabella n. 8
Distribuzione percentuale delle unità locali e degli addetti per settore - Pioltello,
Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1996
Industria
costruzioni
commercio
altri servizi
Pioltello
unità locali
14,9
18,0
33,1
34,0
addetti
37,3
6,0
27,7
29,0
unità locali
19,2
11,6
34,3
34,9
addetti
45,4
4,5
26,8
23,3
unità locali
16,3
9,7
32,5
41,5
addetti
36,4
6,1
25,0
32,5
Compr. Melzo
Prov. Milano
Fonte: Aspo
Tabella n. 9
Classificazione per categoria professionale degli addetti alle unità locali - 1994 (valori
percentuali)
valori %
Imprenditori, liberi professionisti,
lavoranti in proprio e coadiuvanti
25,0
dirigenti e impiegati
36,7
operai e altri dipendenti
38,3
Fonte: Aspo
7. Caratteristiche e problemi della media e grande azienda
Per la verità, anche se il sistema locale delle imprese appare solido, motivi di
preoccupazione non mancano di certo. A Pioltello ci sono aziende storiche che sono
precipitate in uno stato di crisi e la cui prospettiva appare decisamente incerta.
Come è risaputo, nel polo chimico sono presenti tre aziende medio-grandi e una di piccole
dimensioni. La più storica di queste aziende da qualche tempo ha fermato gli impianti e
sospeso l’attività produttiva e il suo futuro non è garantito.
«Si tratta di una delle realtà più significative della chimica italiana la quale ha saputo
misurarsi sul mercato mondiale con prodotti che sono il frutto della propria ricerca e della
propria invenzione. Da piccola azienda che era alla fine degli anni quaranta è diventata
una leader multinazionale. Fino a un dato periodo ha puntato sulla chimica primaria, poi si
è specializzata nella chimica secondaria.
E’ così diventata un gruppo multinazionale con tre stabilimenti, due in Italia e uno
all’estero.
Purtroppo, recentemente ha fatto delle produzioni che sono entrate in concorrenza con
quelle di un colosso mondiale della chimica e questo gruppo multinazionale ha reagito
scatenando una guerra commerciale».
«Per superare la difficile situazione in cui è venuta a trovarsi, ha dovuto vendere una
grossa parte dei suoi stabilimenti», puntualizza un responsabile dell’azienda. “Per lungo
tempo abbiamo chiesto insistentemente di poter fare delle nuove produzioni, ma le autorità
locali hanno sempre tirato in lungo le decisioni. Un’azienda non può vivere su produzioni
obsolete, il mercato ha delle sue leggi e questi ritardi hanno complicato le cose».
«Anche nel passato l’azienda ha attraversato momenti drammatici; sin dall’inizio si è
trovata a vivere in un ambiente dominato dai giganti pubblici per cui ha vissuto facendo
una sorta di guerra di corsa pagando sempre in proprio».
«E non è affatto un ferraccio, bensì è un’azienda che sul mercato è sempre stata
competitiva e se dovesse cessare l’attività sarebbero in molti a dimostrarsi interessati ad
acquistare i suoi brevetti industriali e a proseguire le sue produzioni».
«E’ stata l’unica produttrice di un prodotto importante come l’acido isoftalico. Questo
prodotto ora sta suscitando un po’ di problemi perché sul mercato stanno subentrando altri
produttori e i margini di concorrenza si stanno riducendo».
«L’azienda è certificata sia per la qualità dei prodotti (Iso 9002) che per l’ambiente (Iso
14000).
Essa risulta profondamente interconnessa con le altre realtà industriali del polo chimico e
questo impedisce che possa essere spostata».
«Partita con un organico di 10 persone dopo la guerra, nel 1967 ha superato le 800 unità.
Nel ‘78 ha compiuto una riconversione di tutti gli impianti che ha portato al dimezzamento
della manodopera. Prima della crisi eravamo attestati su un organico di 450 dipendenti
circa. I lavoratori residenti a Pioltello erano circa il 30% dell’organico dello stabilimento di
Limito. Poi vi lavoravano 100-120 dipendenti delle imprese molti dei quali erano pure di
Pioltello».
«A fine anno, dopo la chiusura, i dipendenti in carico sono scesi a 370 unità. Le trattative
tra l’azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni non hanno finora approdato ad
alcuna soluzione che possa far intravedere una ripresa dell’attività».
A essere coinvolta in una delicata fase di ristrutturazione è pure un’altra storica grande
azienda del polo chimico e anche se le prospettive produttive e di mercato fanno ben
sperare, dal punto di vista occupazionale anche in questo caso la situazione si prospetta
carica di incertezze.
«Noi operiamo nel settore che viene chiamato del balk farmaceutico e abbiamo tre
stabilimenti di cui uno in Spagna. Inoltre abbiamo una partecipazione azionaria del 51% in
una joint venture con un partner cinese.
Il nostro core business è la produzione di principi attivi per antibiotici, ma abbiamo anche
un segmento che è un’autonoma divisione interna e la quale produce reagenti per
laboratori chimici. Poi abbiamo anche una piccola unità produttiva in Normandia.
Nel primo semestre del ‘99, per le cefalosporine è improvvisamente accaduto quello che
per le penicilline era già avvenuto negli anni scorsi, cioè in un solo semestre si è verificato
un crollo verticale dei prezzi a causa dell’irruzione sul mercato dei copetitors asiatici.
Questa vicenda ci ha costretti a procedere a una ristrutturazione aziendale. Abbiamo cioè
messo in piedi un programma che sta camminando su due binari: per prima cosa abbiamo
preso atto che siamo un’azienda che produce principi attivi per antibiotici e non ci
possiamo riconvertire a 180 gradi nel giro di poco tempo, quindi dobbiamo cercare di
rimanere competitivi sul nostro mercato tradizionale riducendo drasticamente i costi con
un modello organizzativo che assicuri le medesime quantità di produzione con un organico
ridotto, riducendo così le spese generali. Questa operazione però non è ancora sufficiente
a traghettare l’azienda fuori dallo stato molto problematico in cui si trova, ma rappresenta
almeno il 50% della soluzione.
L’altro 50% invece è costituito da una diversificazione produttiva parziale, ma graduale che
riguarda la produzione di principi attivi più avanzati, più efficaci e più vicini al prodotto,
magari con meno controindicazioni e con uno spettro più ampio. Questa operazione non è
però fattibile in tempi brevi.
L’azienda ha in organico tra i 450 e i 500 dipendenti, poi c’è l’indotto che si calcola sia
altrettanto, il che porta a un migliaio circa di posti di lavoro».
I rappresentanti sindacali di questa azienda ricordano che «nel ‘70 vi lavoravamo 1.200
persone, ora invece se ne contano poco meno di 500. Molti reparti sono fermi e il sistema
di produzione ha subìto molte evoluzioni».
A parte queste due aziende che hanno fatto la storia del polo chimico di Pioltello-Rodano,
tutte le rimanenti godono di buona salute e le loro prospettive sono incoraggianti.
«La nostra azienda oggi vanta 65 insediamenti in Italia. Dalla centrale di Limito sono stati
costruiti ben 550 chilometri di ossigenodotti e questo reticolato viaggia verso il Nord Est
fino a Udine. Da Limito noi alimentiamo, in sostanza, tutto il Nord industriale, con
esclusione dell’Emilia Romagna che è servita da altri impianti. Qui poi abbiamo
incominciato il primo processo di cogenerazione, di produzione in proprio dell’energia
elettrica al quale abbiamo poi affiancato altri impianti nel Sud d’Italia.
Forniamo gas, vapore ed energia elettrica. Quest’ultima la produciamo solo all’interno del
polo chimico perché la legislazione vigente ci considera piccoli produttori e la forniamo
all’Enel. Con le nuove norme però possiamo cederla ad altre aziende e in futuro
passeremo alla produzione su più larga scala. La fornitura di gas invece è generalizzata e
investe industrie e ospedali. In Italia e nel mondo siamo il numero uno non solo nella
produzione di ossigeno, ma anche nella telemedicina e nella teleassistenza. La nostra
posizione di leadership è indiscussa. A livello italiano abbiamo 1.594 indipendenti; gli
occupati a Pioltello e zone adiacenti sono 120. Nella centrale di Limito ce ne sono una
cinquantina».
«Noi abbiamo due stabilimenti qui nella zona e ne abbiamo dislocato un terzo in una
provincia vicina», ci racconta il dirigente di un altro complesso industriale locale.
«Stampiamo libri e pubblicazioni in generale, in particolare libri d’arte e scolastici.
In ambito europeo siamo una delle tre aziende più grandi che stampano per conto terzi e
che hanno macchinari all’avanguardia, perciò linee di produzione altamente specializzate.
Noi forniamo lavoro a parecchie aziendine del luogo nelle quali lavorano diverse persone
di Pioltello. Anche tra i nostri 270 dipendenti circa ci sono molti residenti locali».
«La maglia della squadra nazionale di calcio – ci dice orgogliosamente un imprenditore
tessile - è fatta con tessuto prodotto da noi e si tratta di un tipo di prodotto unico al mondo.
Questa maglia, oltre ad essere elastica, permette ai giocatori la traspirazione immediata e
quindi offre un confort notevole.
Abbiamo la divisione sportiva che vanta prodotti ad alta tecnologia, mentre nel settore
industriale abbiamo i compositi che sono destinati ad assicurare il rispetto dell’ambiente e
consentono di inquinare meno con gli idrocarburi. Essendo materiali leggeri vengono usati
per produrre una vasta gamma di beni, dal tessuto per l’abbigliamento agli scafi fino agli
aeroplani. In futuro entreremo nel settore geotessile, cioè produrremo tessuti antisismici
perché anche questa produzione fa parte della nostra tecnologia.
Siamo la prima azienda al mondo nel nostro settore e le nostre produzioni sono destinate
per il 65% al mercato nazionale e per il 35% invece vengono esportate in tutto il mondo,
soprattutto in America. Vendiamo molto anche in Cina.
Facciamo ricerca e sviluppo e tutta la progettazione è qui a Pioltello. Siamo certificati Iso
9001, mentre tutte le altre aziende tessili sono certificate 9002.
I nostri dipendenti sono circa 170 e sono tutti residenti in quest’area territoriale. Le
previsioni sono di un ulteriore incremento del personale».
«La nostra azienda - asserisce il dirigente di un laboratorio - appartiene a una
multinazionale francese. Noi importiamo dalla Francia parecchi farmaci mentre altri li
produciamo noi stessi e poi li distribuiamo sull’intero territorio della regione Lombardia e su
parte di quello della Liguria. Come unità produttive, oltre alla casa madre in Francia, siamo
presenti in Italia, in Spagna, in Belgio, negli Stati Uniti, nei Caraibi, in Canada e in India,
poi abbiamo uffici di rappresentanza in tutto il mondo. Produciamo e distribuiamo farmaci
omeopatici che servono per molte patologie, dalla tachicardia al mal di gola, al mal di
stomaco, all’ansia e all’insonnia. Abbiamo una produzione di circa 600-700 farmaci al
giorno i quali sono destinati a mezzo migliaio di farmacie.
Quello dell’omeopatia è un mercato in crescita, vent’anni fa in Italia in questo settore
operavano solo tre persone, oggi il personale dipendente dalla nostra multinazionale
ammonta a 240 unità distribuite su sei stabilimenti. Fra vent’anni la nostra sarà
sicuramente una grossa azienda.
Tra i nostri dipendenti ce ne sono solo tre o quattro che risiedono a Pioltello».
«Alla fine degli anni ‘60-primi anni ‘70 la nostra manodopera ammontava a 60 unità circa,
oggi contiamo 200 dipendenti», commenta il manager di un’altra impresa. «Allora il
fatturato era di circa 20 miliardi di lire, oggi si aggira attorno ai 90.
All’origine la nostra era una ditta artigianale che lavorava il piombo e faceva sifonerie, oggi
è un’impresa industriale che lavora la plastica e che è produttrice globale di impianti
idrotermosanitari a uso civile e industriale.
Vendiamo in tutti i Paesi europei e, tramite delle partecipate, in Australia e in sud America.
Abbiamo anche costituito una joint venture al 50% con una società tedesca che è quotata
in borsa per produrre il tubo multistrato il quale è destinato al mercato del riscaldamento e
che attualmente commercializziamo senza produrlo. Abbiamo in progetto la costruzione di
un nuovo reparto che permetterà la produzione a Pioltello del tubo multistrato e questo
significherà l’assunzione di altro personale.
Siamo certificati Iso 9002 dal ‘96 e oltre a questa certificazione ne abbiamo altre valide per
i diversi singoli Paesi nei quali collochiamo i nostri prodotti».
«Noi - invece - siamo un’azienda leader a livello nazionale nel campo dei cavi elettrici
speciali e in Europa siamo sicuramente ai primi dieci posti. Abbiamo un altro stabilimento
in zona, mentre negli Stati Uniti abbiamo aperto una piccola base commerciale per
assaggiare il mercato.
Facciamo fatica a servire il mercato europeo e molto spesso siamo costretti a lasciar
cadere ordinazioni e quindi a sfruttare tutte le opportunità che ci vengono offerte. Abbiamo
una realtà produttiva inadeguata e dobbiamo farci aiutare da aziende amiche.
Siamo presenti nel mondo della ‘Formula Uno’ avendo con la Jordan rapporti non solo di
sponsorizzazione, ma anche di partnership tecnica sui cavi.
Abbiamo le certificazioni Iso 9000 e con il 2001 partiremo con la certificazione ecologica,
probabilmente l’Iso 14000.
Oggi più del 40% di quanto produciamo va all’estero e ci siamo dati l’obiettivo di arrivare al
50% nell’arco di uno o due anni».
Un altro imprenditore del medesimo settore merceologico ci spiega: «Noi abbiamo iniziato
l’attività come produttori di cavi elettrici e abbiamo continuato a farlo affiancando nel tempo
la produzione di fibre ottiche. Circa il 50./. di ciò che produciamo va all’estero, soprattutto
nel Regno Unito, poi nel Medio Oriente (Emirati arabi) e nell’Estremo Oriente (Singapore,
Indonesia, Hong Kong).
Qui ora lavorano quasi 60 persone, nel ‘75 erano poco più di 20. La prospettiva è quella di
aumentare gli organici anche perché abbiamo una sempre maggiore richiesta da parte
della clientela di documentazione. Siamo certificati Iso 9001 e 9002 e questo comporta
l’impiego di maggior personale per i lavori d’ufficio».
Di aziende solide e con buone prospettive di ulteriore sviluppo esistono anche nel settore
terziario.
«Noi siamo un’azienda di distribuzione alimentare italiana e operiamo in cinque regioni del
Centro-Nord in alcune delle quali siamo primari. Oggi vantiamo 108 punti di vendita,
mentre solo tre anni fa ne avevamo circa 70.
La nostra è un’azienda ad elevata stabilità economica e con una buona garanzia
occupazionale avendo negli ultimi tre anni raddoppiato il personale».
«Oltre ai circa 1.000 dipendenti - aggiunge un delegato sindacale - nel nostro deposito
operano mediamente, tramite le cooperative che svolgono lavori di facchinaggio e di
fatturazione, tra le 500 e il migliaio di persone. Ora è in previsione la realizzazione di un
nuovo stabilimento all’interno dell’area già occupata dall’azienda e questo dovrebbe
comportare la creazione di altri cento posti di lavoro in pianta stabile».
«La nostra attività - ci racconta il dirigente di un’impresa di trasporto e logistica--- è quella
di spedire merci in tutto il mondo. Abbiamo una sezione doganale privata e il traffico
conteineristico si è andato sempre più sviluppando. Le merci arrivano e partono per tutte
le destinazioni del mondo. Qui a Pioltello abbiamo ormai raggiunto il tetto massimo, siamo
strutturalmente al limite, perché non ci sono più spazi per poterci ampliare, da una parte
c’è la ferrovia, dall’altra c’è la strada. Come spazio siamo proprio in sofferenza. La nostra
è un’attività che subisce una continua e radicale trasformazione. Mentre prima lo
spedizioniere si limitava a trasportare le merci, oggi è impegnato ad attivare tutte le
tecnologie che consentono di fare addirittura degli ordini ai fornitori dei suoi clienti.
Dobbiamo rendicontare le giacenze delle merci del cliente che da noi fa magazzeno, in
sostanza, ci occupiamo della sua gestione garantendo un servizio che va dal momento
della consegna della merce fino alla sua partenza.
Come clienti tipici abbiamo il ‘Cafè do Brasil’, l’Infostrada, che distribuisce i pacchetti di
linee telefoniche, e pure l’Alitalia alla quale garantiamo il rifornimento delle dotazioni di
bordo di tutti gli aerei sia nazionali che internazionali.
Consegniamo in tutti e cinque i continenti, mentre la logistica è concentrata soprattutto in
Italia. Il personale in forza ammonta a 400 persone, poi c’è l’indotto, cioè quelle persone
che entrano ed escono quotidianamente».
«La nostra è una società francese leader nel settore della refezione collettiva che è
presente in Italia dal ‘74 e serve scuole, aziende e sanità. I lavoratori in Italia sono 8.700.
Qui a Pioltello c’è l’unico centro di cottura della Lombardia e vi lavorano 40 persone circa,
ma variano a seconda delle produzioni.
Abbiamo in progetto di verificare se ha senso anche da noi la produzione del pasto
refrigerato che in altri Paesi europei è già diffusa, ma che in Italia, per la cultura che esiste,
incontra difficoltà e resistenze. Questo potrebbe essere un modo per espanderci.
Qui ci sentiamo stretti e stiamo studiando le possibili prospettive che sono in dipendenza
anche delle scelte strategiche che faremo: se cimentarci con la catena del freddo o
meno».
«Noi siamo una cooperativa aderente alla Lega Coop che ha iniziato a operare nel campo
della movimentazione merci e che poi ha programmato l’inserimento nel settore televisivo.
Facciamo anche trasporti, gestioni di magazzino e scenografie. I nostri principali clienti
sono Mediaset e Mondadori. Siamo quasi esclusivisti per i servizi alla televisione. Per
acquisire questo ruolo specialistico la nostra cooperativa ha investito moltissimo in quadri,
in strutture e in formazione.
Siamo in 230 soci e siamo forse l’unica cooperativa in Lombardia a proprietà collettiva, qui
non c’è nulla che non sia patrimonio della cooperativa stessa.
Noi abbiamo buone prospettive di mercato, però paghiamo l’incertezza del futuro che
investe il mondo della cooperazione. Non riusciamo bene a capire cosa succederà domani
alle cooperative.
Per l’area di Pioltello ci sono notevoli possibilità di sviluppo nel settore della televisione,
soprattutto se pensiamo che nei prossimi anni ci sarà una espansione della tv satellitare.
Oggi nella provincia di Milano c’è una carenza terribile di studi televisivi, gli unici che
esistono sono in via Mecenate e vengono affittati a prezzi altissimi. Tutte le società
televisive, a cominciare dalla Rai fino a Mediaset e a Telepiù, hanno bisogno di studi e ne
avranno sempre più perché la televisione satellitare si svilupperà a temi come è il caso,
per Telepiù, di Happy channel o Disney channel. Ci saranno dibattiti prima di ogni
programma e quindi ci sarà bisogno di studi piccoli, grandi e grandissimi.
A Pioltello si potrebbe far fronte a questa esigenza e si aumenterebbe così anche
l’occupazione dal momento che intorno agli studi televisivi c’è un sacco di lavoro: imprese
elettriche, per impianti scenografici, ecc.. Noi siamo già su questa strada e siamo
impegnati a trovare capannoni, magari vecchi e da riadattare. Qui a Pioltello ci sono delle
aree dove si potrebbe anche costruire».
«La nostra - invece - è una cooperativa che opera nel settore dei traslochi, del
facchinaggio e del carico-scarico. Siamo associati a un consorzio di Milano che ci aiuta
quando prendiamo grossi appalti. Noi lavoriamo prevalentemente con il full service, con la
grande distruzione e con le imprese tecnologistiche che ci impegnano ogni volta 40 o 50
persone. Il 70% del nostro personale opera per una grande azienda della distribuzione.
Facciamo capo alla Lega Coop e i nostri soci raggiungono ormai le 260 unità la
maggioranza dei quali sono di Pioltello. Siamo partiti con venti soci, nel ‘90 eravamo una
cinquantina, nel ‘97 abbiamo superato i cento. La previsione è che presto saremo oltre i
trecento.
Di cooperative del nostro genere qui a Pioltello ce n’è una marea».
8. I disagi della piccola imprenditoria
Come si evince dalla tabella n. 7, a Pioltello non esistono solo le medie e grandi aziende,
anzi, sono proprio le piccolissime a costituire oltre il 90% del sistema imprenditoriale e
l’artigianato risulta essere molto diffuso.
C’è però chi sostiene che esso «è poco visibile» e la ragione di questa opacità
dipenderebbe dal fatto che «Pioltello si è inizialmente sviluppato come zona industriale, di
fatto però è poi divenuto un grosso centro di magazzinaggio. Noi abbiamo tanti capannoni,
ma sono tutti magazzini.
Di indotto qui non ce n’è o ce n’è poco, il suo sviluppo è stato penalizzato anche dal fatto
che noi siamo nella prima fascia dell’hinterland milanese e i prezzi dei terreni sono elevati.
Se si va a Vignate si vede subito la differenza.
Gli artigiani illustri di Pioltello hanno chiuso e l’artigianato nobile non c’è più.
Da una parte c’è la logistica, dall’altra c’è il polo chimico e l’artigianato non è cresciuto
proprio perché non ci sono stati i presupposti.
Bisognava porre un limite all’espansione dei magazzini e curare di più le attività produttive
che sono quelle che creano valore aggiunto e anche occupazione, ma così non è stato.
C’è poi da considerare che l’artigianato, il tipografo in particolar modo, è vittima della
tecnologia. Oggi il tipografo è più informatico che creativo e questa professione si è
disumanizzata. Io ho dovuto continuamente rinnovarmi e chi non ha avuto questa capacità
si è perso».
Tabella n. 10
Unità locali artigianali e relativi addetti - Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di
Milano - 1996 (valori percentuali su totale unità locali e addetti)
unità locali
addetti
Pioltello
44,6
15,7
Compr. Melzo
29,7
9,6
Prov. Milano
26,0
13,0
Fonti: Istat e Aspo
Se però si guardano i dati censuari del ‘96 ci si accorge che l’artigianato pioltellese non è
poi una realtà così striminzita e sofferente come qualcuno crede. Esso rappresenta quasi
la metà delle unità locali è dà occupazione a più di un sesto degli addetti. Le sue
dimensioni in rapporto al sistema delle imprese e al totale dei posti di lavoro sono
decisamente superiori agli indici che fanno registrare sia il Comprensorio di Melzo che la
provincia di Milano.
Osserva a proposito dello sviluppo di questo settore produttivo un amministratore
pubblico: «Nel passato gli artigiani trasformavano la loro piccola azienda in una media
industria, almeno questa era la tendenza. Oggi non è più così, uno che fa l’artigiano da
dieci anni può solo implodere se non è in grado di crescere.
Diventa peraltro difficile instaurare con questa categoria un dialogo per ricercare le
soluzioni di un suo sviluppo. Di aree destinate all’artigianato ce ne sono, noi ne abbiamo
previste due nuove proprio per favorire una loro espansione. Molti artigiani ancora oggi
sono collocati nel centro storico dove, ai fini di una limitazione del traffico, esiste una vera
e propria incompatibilità (dalle carrozzerie ai gommisti). Addirittura esistono dei porticati
dove i camion non ci passano e allora succede che per cambiare le gomme ai camion
questi devono fermarsi sul suolo pubblico, nella piazza. Quando si avanza loro una
proposta di ricollocazione non c’è affatto verso che diano ascolto. Sono ormai abituati a
vivere tra la loro officina e l’abitato e lo spostarsi per loro significa modificare il proprio
standard di vita e perciò diventa un trauma».
«La stessa cosa - continua il nostro interlocutore - succede per i commercianti i quali
continuano a lamentarsi e piangere per il continuo insediamento dei supermercati. Noi
come amministrazione abbiamo resistito, ma nei comuni vicini la grande distribuzione ha
proliferato, il caso più significativo è Vignate. I piccoli commercianti non si rendono però
conto che è il commercio stesso ad andare in quella direzione e che pertanto o loro sono
capaci di convertirsi e di specializzarsi oppure vengono travolti. E’ comunque singolare il
fatto che qualsiasi iniziativa che noi intraprendiamo al fine di rendere più gradevole il
centro storico viene contrastata perché considerata un attacco alla loro condizione».
«Il Comune - dichiara un esercente - per la verità cerca di incentivare la nostra attività
facendo un po’ di feste, ma noi non ne traiamo grande giovamento».
E altri aggiungono: «La festa fine a se stessa non è una promozione del commercio,
soprattutto quando non si fa nulla per impedire che la gente vada a fare la spesa al
supermercato». «Manca un input forte».
«Ci sono alcuni paesi le cui amministrazioni comunali hanno esentato per due anni dalle
tasse coloro che hanno aperto un negozio e a chi ha ristrutturato i locali sono stati fatti
degli sconti sugli oneri di urbanizzazione. A Pioltello queste agevolazioni non ci sono mai
state».
«Nessuno ha mai badato al commercio e forse qualcosa stanno facendo adesso, ma
ormai è troppo tardi perché siamo prossimi alla fine».
«Nel ‘75-’80 avevamo avuto addirittura l’assegnazione del terreno che però poi è stato
ceduto a un’azienda della grande distribuzione. E pensare che noi commercianti avevamo
già costituito la società. Abbiamo anche fatto ricorso al Tar senza però ottenere nulla. Si
può dunque dire che l’associazionismo dei commercianti non è stato affatto favorito dalle
istituzioni. Quello era il periodo dello sviluppo dei grandi supermercati e noi avevamo
capito quali erano le prospettive del settore, perciò ci siamo mossi in quella direzione,
purtroppo però...».
«Nemmeno la liberalizzazione delle licenze ha favorito i commercianti perché ormai non
esistono più le condizioni perché questo possa avvenire: nessuno investe soldi
nell’impiantare un’attività se non ha molte probabilità di successo. La liberalizzazione è
arrivata cioè in un momento in cui la selezione era già avvenuta naturalmente».
«Da noi poi la possibilità di diversificare gli orari non è stata ancora sfruttata a dovere e
anche questi accorgimenti sono serviti a poco».
Le insoddisfazioni e le lamentele provengono in particolare da alcuni quartieri di Pioltello.
«Dieci anni fa qui a Limito c’erano sette macellai e lavoravano tutti, c’erano le drogherie, i
negozietti con la loro piccola specializzazione e poi c’era il mercato attorno al quale si
creava un movimento. Oggi non c’è più neanche una sola macelleria. E’ rimasta una sola
panetteria che tra l’altro non è ubicata in centro al paese e tutto questo è strano. Rispetto
al passato Limito ha subìto un vero e proprio declassamento. La gente oggi va a fare la
spesa al supermercato dove trova tutto».
«La chiusura di via Dante durata un anno a causa della nuova pavimentazione ci ha fatto
perdere un buon 50% del lavoro. Il Comune, a quel tempo ci aveva promesso degli aiuti,
degli sgravi fiscali che però non sono mai stati attuati. Ovviamente, la chiusura di parecchi
negozi non è dipesa solo da questo, ma anche dallo sviluppo della grande distribuzione».
«Noi commercianti di Limito siamo un po’ tagliati fuori dalla vita di Pioltello. Manteniamo
diversi buoni clienti però non sono del paese, provengono dalle aziende del posto e molti
arrivano da Milano, da Melzo, da San Felice».
«Purtroppo, dal punto di vista del valore commerciale, l’essere insediati qui al Satellite non
soddisfa più, vuoi per come viene considerato questo quartiere, vuoi per il dilagare della
grande distribuzione. Qui ci sono mille famiglie, è un vero e proprio paese e la presenza
dei negozi ha la sua importanza. I più vecchi qui, oltre a me, sono il pescivendolo e il
panettiere e siamo tutti nella stessa situazione. Come lavoro reggiamo ancora, però le
difficoltà crescono ogni giorno».
«Tutti vorrebbero venire su questa via (la via Roma) che è centrale, ma qui non ci sono
negozi, quelli che esistono sono dei commercianti vecchi e non avranno mai sviluppo.
Anche facendo un’isola pedonale, questa zona non potrà mai diventare un agglomerato di
negozi, non potrà mai essere un centro come quello che c’è a Cernusco, per fare un
esempio significativo».
Tabella n. 11
Indici della dinamica delle unità locali e degli addetti al commercio. Pioltello, Provincia di
Milano - 1951-1996
‘51
‘96
100
439
addetti
100
1008
% u.l. commercio su totale u.l.
69,7
33,1
% addetti su totale posti di lavoro
34,2
27,7
abitanti per ogni unità locale
57
66
abitanti per ogni addetto
29
15
100
159
addetti
100
211
% u.l. commercio su totale u.l.
36,2
32,5
% addetti su totale posti lavoro
13,8
24,6
abitanti per ogni unità locale
41
38
abitanti per ogni addetto
15
11
Pioltello
unità locali del commercio
e pubblici esercizi
Prov. Milano
unità locali commercio
e pubblici esercizi
Fonti: Regione Lombardia e Aspo
Così come è avvenuto per l’artigianato, anche il settore del commercio in realtà ha
conosciuto in questi decenni passati uno sviluppo tutt’altro che trascurabile. I dati ci dicono
che, dal ‘51 al ‘96, le unità locali del settore sono più che quadruplicate e gli addetti
decuplicati, mentre in provincia di Milano gli aumenti sono stati molto più modesti: le
imprese sono cresciute del 60% circa e gli addetti sono raddoppiati.
Simili differenze di sviluppo sono attribuibili alla spropositata presenza a Pioltello, nel
1951, delle attività commerciali rispetto ai settori primario e secondario.
Nel complesso si può dunque dire che, salvo alcuni aspetti particolari, la strutturazione del
commercio pioltellese non si discosta molto dal modello e dalle dinamiche che hanno
caratterizzato l’insieme della provincia.
«Il problema vero - sottolinea un esponente di questo mondo - è che ormai i supermercati
aprono a dismisura e in questi insediamenti ci sono poi tutti i negozi specializzati che
vendono di tutto».
Tabella n. 12
Autorizzazioni commerciali in essere. Pioltello, Provincia di Milano - 1994 (valori
percentuali)
Pioltello
prov.Milano
Commercio all’ingrosso
10,5
19,1
commercio al minuto
70,3
69,0
pubblici esercizi
19,2
11,9
Fonte: Regione Lombardia
«Con la presenza di questi centri i commercianti spariscono. Il fenomeno è certamente di
ordine generale, però va detto che si può mettere mano al commercio solo laddove c’è un
tessuto sociale che lo consente. A Cernusco, per esempio, ci sono delle boutique e dei
negozi che sono degni di Milano e questo grazie al fatto che lì c’è un tessuto sociale che
purtroppo a Pioltello manca».
«La nostra zona - ci dice il responsabile di un’associazione dei commercianti - è una di
quelle caratterizzate da una forte presenza della grande distribuzione. Ora ci preoccupa
abbastanza l’insediamento di una mega struttura a Vignate. Questa si estenderà su
un’area di 106 mila metri quadri dei quali 46 mila dovrebbero essere coperti e l’area di
vendita sarà compresa tra i 25 e 30 mila metri quadrati. E’ un classico progetto di centro
commerciale con una grossa superficie specializzata e con molti negozi al suo interno.
Oggettivamente questo insediamento danneggerà e frantumerà tutto il tessuto
commerciale sia tradizionale che avanzato della zona. Oltretutto provocherà problemi
viabilistici e di inquinamento. Il centro si collocherà in mezzo alle due tangenziali, la
cassanese da una parte e la rivoltana dall’altra e provocherà inevitabilmente grossi
problemi alle comunità del luogo».
«Nel 2000 i supermarket hanno sicuramente una loro funzione - ci tiene a precisare un
piccolo commerciante - però, come sostengono molti dei miei clienti, c’è bisogno di un
servizio più immediato, più qualificato e più vicino a chi non ha la possibilità di spostarsi.
Assecondare queste richieste non è certo facile perché un esercizio può stare aperto solo
se ha dei vantaggi economici e non sempre questi sono assicurati».
«Per reggere alla grande distribuzione - ribatte un esponente della categoria - il piccolo
esercente deve specializzarsi, deve qualificare il suo servizio. Rispetto alla zona, a
Pioltello questo processo è un po’ in ritardo e incontra delle difficoltà. Chi apre oggi fa
necessariamente un’indagine di mercato per verificare le possibilità di riuscita della propria
attività, chi invece il negozio ce l’ha già non si preoccupa di fare questi accertamenti e si
viene a trovare in difficoltà. In genere, a Pioltello i livelli qualitativi di professionalizzazione
degli operatori commerciali sono bassi, questo però non significa che non esistano
commercianti validi, preparati e avveduti.
C’è poi da considerare che il business commerciale avviene in base alla tipologia
urbanistica che si configura in un comune e a questo riguardo Pioltello, pur essendo una
realtà che è in fase di recupero rispetto al passato, sia in termini di abitanti che in termini di
reddito spendibile, era e resta un po’ la cenerentola della zona. Gli elementi economici e
commerciali di alto profilo si ritrovano invece a Cernusco sul Naviglio, città ricca di
soggetti, di target e con alti indici di spendibilità economica».
Se è pur vero che anche su questo versante Pioltello sconta disfunzioni e arretratezze,
non è da trascurare il fatto che pure qui esistono risorse e volontà perché si determini una
svolta.
«Io mi sento un po’ come un artista - dichiara una anziano commerciante - e penso che
mi si dovrebbe permettere di lavorare la domenica in modo da garantire un migliore
servizio al cliente».
«Oggi noto soprattutto nelle frazioni di Pioltello una forte volontà di rilanciare le attività
commerciali. Questa spinta deve essere favorita e gli organi competenti devono
intervenire a rimuovere le ipoteche strutturali. Dai nostri associati di Pioltello, per esempio,
riceviamo delle lamentele a riguardo dell’abusivismo commerciale, specie al Satellite. Su
questi aspetti l’Amministrazione comunale può e deve svolgere un ruolo positivo per
migliorare la situazione».
Sta di fatto che anche a Pioltello le cose stanno cambiando in profondità.
«Crescono nuove attività, i vecchi negozi vengono soppiantati da quelli nuovi, alle vecchie
professioni si sostituiscono quelle moderne»; «dilagano le agenzie immobiliari», «crescono
le professioni dedite alla cura del corpo», insomma, anche il commercio sta vivendo una
sua rivoluzione.
9. Pioltello e la globalizzazione
Il generale processo di trasformazione che sta coinvolgendo l’intero sistema economico
del pianeta ha ovviamente i suoi effetti anche a Pioltello. I processi di modernizzazione
stanno investendo anche le imprese locali costringendo gli operatori ad adattarsi alle
nuove regole della competitività e ai nuovi vincoli di mercato.
C’è chi ritiene che in questa realtà territoriale il passaggio dal fordismo alla globalizzazione
non abbia avuto molti riflessi sui processi produttivi dal momento che «qui la grande
industria non c’è. Semmai gli effetti che si sono registrati hanno riguardato maggiormente
la richiesta di personale. Oggi vengono ricercate persone che abbiano caratteristiche
diverse dal passato».
E c’è invece chi crede che «la crisi del fordismo per quest’area abbia significato uno
snaturamento della tradizione imprenditoriale».
Altri, al contrario, fanno notare come nei comuni della zona dell’Est Milano «ci sono
ancora piccoli imprenditori che lavorano 15-16 ore al giorno e che hanno aziende sane.
Questi battono la concorrenza proprio con la loro dedizione. Sono tra l’altro queste le
aziende che creano i posti di lavoro e proprio per questa ragione dovrebbero essere
maggiormente aiutate dallo Stato».
Cosa certa, come sottolinea un esponente del mondo imprenditoriale, è che«nel nostro
tempo non si può più vivere di cabotaggio o in posizioni di rendita perché il mercato non lo
consente più. Le aziende che abbiamo qui sono competitive e stanno dentro a questa
logica. Sul territorio milanese si registra un tasso di know how progressivo avanzatissimo,
la globalizzazione impone l’innovazione e chi non innova rischia la chiusura».
«Dall’87 ad oggi - rammenta il delegato sindacale di una grande azienda - i cicli
economici internazionali si sono fatti più rapidi e tumultuosi, gli scenari sono cambiati più
in fretta e noi abbiamo dovuto affrontare con l’azienda il problema di una ristrutturazione
della produzione a causa della necessità di rivedere volumi di mercato e prezzi dei
prodotti. Ora stiamo gestendo gli effetti di quell’accordo sindacale che ha portato a dei
significativi cambiamenti nello stabilimento e nella condizione di noi lavoratori».
«Anche noi - afferma il dirigente di un’azienda di medie dimensioni - dovremo porci il
problema dell’internazionalizzazione, perché la continua crescita cui siamo indotti ben
difficilmente ci consentirà di restare all’infinito un’azienda di tipo familiare. Dovremo
probabilmente cedere parte del capitale a un grande gruppo oppure dovremo procedere a
una quotazione in borsa».
E altri imprenditori ancora osservano:
«Un tempo si produceva e si mettevano le merci a magazzino, oggi non è più così. Ora si
produce solo su richiesta del mercato, anzi in base alle esigenze dei nostri clienti i quali
sanno farsi valere bene. Anche da noi vale ormai la regola del just in time».
«Mentre un tempo questa azienda aveva una programmazione a medio termine, cioè di 56 mesi, oggi la programmazione è ridotta a circa 3 mesi. Riempiamo gli spazi produttivi
mese per mese, addirittura di quindici giorni in quindici giorni. Il just in time ha investito
anche il settore dell’editoria. Oggi si è giunti al punto di realizzare la produzione di un libro
in bianco e nero dalla tiratura modesta attraverso un ordine telefonico».
Per poter rispondere prontamente alle nuove esigenze di mercato le aziende hanno
dovuto “smagrirsi” decentrando parte delle loro produzioni e affidando a terzi la gestione
dei servizi.
«Le grosse aziende fanno ricorso al subappalto e affidano a imprese esterne lavori che un
tempo svolgevano al proprio interno e con personale proprio. Questo decentramento
consente loro una grossa mobilità nella gestione della manodopera».
« In questi anni - spiega il direttore di un’azienda multinazionale - noi abbiamo definito il
nostro core business che è appunto la parte centrale della produzione e abbiamo
esternalizzato tutte quelle attività che non risultano strettamente collegate ad esso».
«Anche noi - aggiunge un altro dirigente d’azienda - dopo aver enucleato il nostro core
business, abbiamo esternalizzato il resto affidando a società di logistica esterne la
gestione dei magazzini. Qui, oltretutto, non abbiamo lo spazio necessario e lo stesso
semilavorato che viene movimentato all’interno e all’esterno dello stabilimento è stato
affidato in gestione a una società con propri mezzi e propri dipendenti».
Esistono anche imprese che subiscono a loro volta i processi di esternalizzazione.
«Oggi le multinazionali del nostro settore tendono a tenere per sé la testa e la coda della
produzione e la parte centrale la esternalizzano. Ecco, noi assicuriamo questa parte
centrale alle nostre aziende clienti».
Fatto è che, in un modo o nell’altro, tutte le grandi e le medie aziende ormai esternalizzano
e per farlo spesso ricorrono all’ausilio delle cooperative le quali, a Pioltello, operano in
diversi settori, svolgendo però in prevalenza funzioni di magazzinaggio e di stoccaggio.
Ammettono alcuni responsabili d’azienda:
«Noi affidiamo alle cooperative solo il carico e lo scarico dei mezzi di trasporto».
«La nostra azienda utilizza le cooperative anche per le operazioni di facchinaggio e presso
di queste imprese trovano occupazione tra le 50 e le 70 persone».
«Da noi - precisa il responsabile della Rsu di una grande impresa - fino al ‘90 erano tutti
lavoratori dipendenti e non si sapeva nemmeno cosa volesse dire la parola appalto, con il
‘91 invece sono intervenute le cooperative. A quel punto l’azienda ha incominciato a
ristrutturarsi e ad espandersi».
E accanto ai processi di esternalizzazione hanno galoppato pure le innovazioni
tecnologiche.
«In questi anni la nostra azienda ha innovato sia sul prodotto che sul processo
determinando significativi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro».
«La nostra azienda in questi ultimi tempi ha innovato in maniera consistente sia sul
prodotto che sul processo. Il nostro è un mercato che fa una selezione notevole e chi non
è all’avanguardia viene facilmente superato dalla concorrenza. Noi ci siamo sempre
orientati su prodotti innovativi e tali da entrare in tutte le fasce di vendita e non abbiamo
mai smesso di perfezionare quanto produciamo».
Ma ci sono anche imprese che, pur essendo questi due sistemi di innovazione quasi
sempre interdipendenti, hanno innovato in una sola direzione e oggi avvertono il bisogno
di riequilibrare gli sforzi.
«Noi in questi anni abbiamo innovato di più sul prodotto che sul processo e ora, scelti i
prodotti che intendiamo fare, puntiamo a innovare il processo».
«Da noi hanno innovato molto sul processo, piuttosto che sul prodotto - sostiene un
delegato sindacale - perché questo esige ricerca e investimenti e purtroppo la piccola
impresa non è sempre in grado di mantenere fede a impegni che richiedono molte
risorse».
E quello della ricerca, infatti, è un problema che travaglia non poche piccole e medie
aziende del luogo.
Se ci sono imprese che possono affermare di avere «un centro ricerche che sta
sviluppando tantissimo l’automazione degli impianti per rendere sempre più autonoma la
produzione», ne esistono altre che su questo fronte sono decisamente in sofferenza.
«Per noi è un problema. Abbiamo poche risorse da destinare alla ricerca e allo sviluppo.
Oggi spendiamo una somma che è molto piccola rispetto a quanto spendono i nostri
competitors europei».
E’ chiaro del resto che «un’azienda, se vuole restare competitiva sul mercato, deve
necessariamente crescere anche dal punto di vista dell’innovazione tecnologica. Se si
ferma rischia di tornare indietro, a meno che non operi in nicchie particolarissime di
mercato dove, anziché il prezzo, predomina la specializzazione. Una volta noi puntavamo
molto su queste nicchie, oggi invece sono difficili da trovare e più si va avanti se ne
troveranno sempre meno, perché ormai c’è la certificazione, cioè si produce su modelli di
qualità standard».
Insomma, fare impresa nell’epoca della globalizzazione non è affatto semplice.
«Di problemi ce ne sono abbastanza», commenta un direttore di stabilimento. «C’è quello
del mercato, quello della riorganizzazione che abbiamo in corso, quello del cambiamento
del mix qualitativo dei dipendenti, poi c’è anche quello di ecologizzarci e di essere in
rapporto corretto e dialettico con le pubbliche amministrazioni».
Soprattutto, in un’epoca di transizione come quella che stiamo vivendo, non è semplice
dirigere un’azienda a causa dei rischi e dei pericoli che sono impliciti nei meccanismi della
concorrenza e della concentrazione dei capitali. A questo riguardo i disagi e le incertezze
manifestati dallo stesso ceto imprenditoriale non sono né pochi né banali.
«Una ricchezza solida la si crea solo se si produce, cioè se si crea valore aggiunto e non
invece tramite le operazioni finanziarie che si limitano a spostarla da una parte all’altra e
non creano nulla. Se l’industria, come sta avvenendo, diminuisce di peso a favore di altre
attività, questo non è certo un buon segno. La finanza è un mezzo e non può certo
diventare un fine».
« Io faccio l’imprenditore e il mio mestiere è quello di sviluppare l’economia, di costruire
ricchezza e lavoro, di fare profitto. Quello che oggi succede con la globalizzazione non è
solo una maggiore libertà nella circolazione delle merci, ma anche una tendenza
accentuata da parte dei grandi di mangiare i piccoli dal punto di vista economico. Questa
legge oggi mette in ginocchio gli artigiani. E tutto questo comporta una diminuzione della
distribuzione della ricchezza indotta dal lavoro e una concentrazione di essa nelle mani di
pochi. Lo stesso commercio è lì a dimostrarlo, la grande distribuzione ammazza i
dettaglianti».
E a manifestare perplessità e preoccupazione è pure un operatore che si colloca tra la old
e la new economy. «La mia azienda cinque anni fa aveva una redditività dell’8% e oggi ce
l’ha del 22%, mentre le previsioni parlano addirittura del 30% fra non molti anni. La
globalizzazione equivale a un liberismo vergognoso. Gli accorpamenti, le fusioni e le
concentrazioni finanziarie stanno portando vantaggi esclusivamente agli azionisti e non ho
ancora visto nulla a favore dei consumatori».
La globalizzazione costringe dunque ogni operatore economico ad affrontare
quotidianamente una sfida che non può essere vinta da tutti e questo significa che la
competizione cui essa induce presuppone una ferrea selezione. Sul piano dello sviluppo
economico locale, però, essa ha comportato non solamente problemi e rischi, ma anche
alcuni benefici.
«Noi siamo un gruppo belga che vanta strutture di proiezione cinematografica in Belgio,
Franca, Spagna e in Polonia. Ora stiamo operando, oltreché in Italia, anche in Olanda.
Nel territorio di Pioltello abbiamo individuato il luogo ideale per un nostro insediamento.
Noi abbiamo già una struttura dalle caratteristiche di quella che costruiremo qui a
Pioltello, in un comune dell’hinterland di Madrid. In questa località spagnola prima non
esisteva uno schermo, ora ci sono 25 sale con 9.000 posti ed è il cinema più grande del
mondo. Questa struttura funziona benissimo.
La condizione per poter avere una gestione positiva è appunto quella che ci sia uno
schermo ogni 10.000 abitanti e in questa zona dell’Est Milano c’è uno schermo ogni
27.000 abitanti, perciò esistono buoni margini di mercato.
Il nostro bacino di utenza è tutta la zona est della città di Milano e la zona nord-est della
provincia.
Il complesso che costruiremo è composto da 14 sale di proiezione che variano da 100
posti fino a 350. Ci saranno 1.500 posti di parcheggio auto. Tutta la parte di fronte, dal
punto di vista architettonico, sarà in vetro e ben curata.
Noi poi faremo anche dei miglioramenti urbanistici di quest’area i quali andranno a
vantaggio della comunità.
Oltre che un carattere ricreativo-culturale, la costruzione di questo centro avrà dei risvolti
economici proprio perché il cinema è un notevole veicolo di circolazione di denari.
Oltre al business-plan d’investimento, abbiamo anche un baget di 42 miliardi di lire per il
lancio dell’operazione.
Nella struttura verrà installata una cassa automatica dove si potrà pagare anche con le
carte di credito e ci sarà pure uno sportello bancomat. Ci sono poi quattro locali destinati a
ristorante-pizzeria e bar. Dovrebbe esserci pure una libreria e verranno venduti anche i
classici.
Forse questa struttura porterà un po’ più di traffico, ma di sicuro favorirà anche una
maggiore conoscenza di Pioltello e porterà gente che prima qui non è mai venuta. Questa
multisala è quindi destinata a qualificare ulteriormente questa città.
La realizzazione dell’opera comporterà 70 nuovi posti di lavoro diretti e poi una trentina e
più nelle attività commerciali che si affiancheranno alla multisala. Oltre a questi, vanno
calcolati i posti di lavoro relativi alle attività di pulizia e di vigilanza per la sicurezza. Nel
complesso credo che le nuove occupazioni si aggireranno attorno alle 120 unità».
Ma, oltre a questo complesso cinematografico, a Pioltello stanno sorgendo altre attività
imprenditoriali destinate alla gestione del tempo libero le quali contribuiscono sicuramente
a diversificare l’economia creando i presupposti per un nuovo modello di sviluppo.
Racconta l’acquirente di una vecchia cascina contadina: «Noi abbiamo un allevamento di
cavalli per il salto degli ostacoli e per il dressage. Si tratta di cavalli importantissimi che noi
alleviamo in Toscana e quando incominciano a diventare atleti li portano qui. Questa è la
zona dell’allenamento e del grande lancio perché diventino campioni. In Lombardia ci sono
molte più opportunità che in Toscana, poi qui ci sono i concorsi e noi siamo vicini a Milano.
Pioltello è a cinque minuti da Linate e a dodici minuti dal centro di Milano, vanta cioè
un’allocazione strategica di estremo interesse.
Abbiamo ristrutturato la cascina come era originariamente. Le strutture che stiamo
costruendo sono relative al maneggio coperto perché qui ci sono la pioggia e il freddo.
Noi, per fortuna, apparteniamo alla categoria di quelle persone che possono vivere senza
bisogno di dover guadagnare e speculare e da ciò che facciamo non intendiamo ricavare
una sola lira di guadagno. Questo purtroppo molti pioltellesi non l’hanno ancora capito.
Qui possiamo portare anche dei grandi concorsi e organizzare manifestazioni a carattere
internazionale. In duemila metri quadrati di terreno si può ricavare una struttura polivalente
dove possono essere comodamente accolti 1.500 spettatori. Nel caso lo desideri, questa
struttura potrà essere messa a disposizione anche del Comune».
Del fatto che l’economia di Pioltello, dietro la spinta della modernizzazione su scala
globale, sia coinvolta in un processo di rapida e inesorabile trasformazione, se ne sono
ben resi conto i suoi stessi amministratori pubblici i quali si sono riproposti di seguire con
attenzione e di accompagnare questi cambiamenti anche attraverso interventi che hanno
come obiettivo quello di qualificare lo sviluppo sociale.
«Ci siamo dati da fare - dice un esponente dell’Amministrazione pubblica - per portare
fuori dalla città di Milano e insediare sul nostro territorio una famosa fonderia artistica, la
Maf. L’obiettivo che ci siamo dati è quello di arricchire e qualificare il territorio. Il realizzare
l’insediamento della Maf vicino alla stazione di porta, significa avere sul nostro territorio un
centro artistico che ci dà prestigio dal momento che l’Accademia di Brera intende
affiancare ad essa le aule per i corsi di scultura e di fusione».
Dunque, coloro che ritengono che a Pioltello gli effetti della globalizzazione non siano
ancora visibili, a fronte di questa pur sommaria panoramica dell’assetto economicoproduttivo della città, il quale evidenzia come esso sia tutt’altro che statico e asfittico, ha
sicuramente di ché ricredersi. E’ anzi forse il caso di dire che, come non mai nel passato,
a Pioltello si offrono oggi l’occasione e l’opportunità di diventare soggetto attivo e
consapevole del suo stesso destino e questo proprio anche in forza della dinamicità dei
suoi attori economici.
10. Le sofferenze occupazionali
Seppure lo stato di salute del sistema locale delle imprese sia nel complesso buono, esso
non garantisce un livello occupazionale tale da potersi considerare soddisfacente.
E’ opinione diffusa che «tutto sommato, in questi anni, il problema occupazionale non ha
fatto registrare esplosioni in forme virulente».
«Noi qui vantiamo un tasso di disoccupazione che è fisiologico, caratteristico dell’area dei
comuni della cintura milanese. Ad avere difficoltà di collocazione sono le persone senza
professionalità e con bassi livelli culturali».
«Il lavoro qui non manca, lo assicurano le aziende presenti, il problema semmai è che non
sempre è disponibile un lavoro sicuro».
«Se si va a Milano - fanno notare le operatrici di un’agenzia di lavoro interinale - si trova
un sacco di candidati, qui invece succede il contrario. In questa zona la domanda di
manodopera non manca e questo è ciò che constatiamo tutti i giorni. Se da noi entrassero
le persone giuste con una professionalità e le competenze adeguate, noi saremmo nella
condizione di assumere tutti i giorni. Il mercato qui è in crescita al di là delle richieste
stagionali».
E uno stesso operatore della formazione professionale sostiene: «Fortunatamente noi
viviamo una situazione territoriale particolarmente favorevole perché nell’Est Milanese, e
in modo specifico nell’area della Martesana, la disoccupazione ha caratteristiche
diversissime di quella di altre aree lombarde. Da noi il disoccupato è veramente
disoccupato e ce ne sono pochi percentualmente. Di posti di lavoro ce n’è un sacco e chi
oggi non trova occupazione è solo perché si trova in condizioni disperate, cioè non ha una
qualificazione, oppure è in stato di emarginazione sociale o ha problemi di carattere
culturale generale. Pioltello poi è un’enclave particolare che ha risolto almeno per il 60% i
suoi problemi e anche dal punto di vista occupazionale, mentre un tempo era anomala,
ora invece non lo è più».
Resta però il fatto che «i disoccupati della zona di Melzo sono difficili da collocare» e a
dirlo è proprio un dirigente del collocamento. Egli precisa comunque che«nelle liste ci sono
dei gonfiamenti. Siamo nell’ordine di un 20-30% di iscritti che di fatto non sono
disoccupati. La disoccupazione in questa zona dovrebbe aggirarsi attorno al 4-5%, cioè
ben al di sotto della media provinciale.
Che i disoccupati qui siano di meno lo dice il fatto che quando forniamo gli elenchi alle
aziende, queste hanno difficoltà a trovare le persone disponibili. A volte è successo che a
fronte di cento nominativi non si è riusciti a trovare una sola persona disponibile».
Ne è infatti prova l’esperienza compiuta nel ‘98 dagli Scica di Melzo e Cassano, quando
hanno invitato a presentarsi i 14.641 iscritti alle liste di collocamento della zona per
sostenere un colloquio. Ebbene, solamente 3.840 di loro, cioè il 26,2%, ha risposto
all’appello. A quell’epoca, i disoccupati iscritti residenti a Pioltello erano 2.446 e solo 604 di
essi, cioè il 24,7%, si sono presentati.
Molto probabilmente «tutti gli altri si erano trovati nel frattempo uno di quei lavori precari
nei cantieri o di assistenza alle persone e alle famiglie che da noi sono molto diffusi».
Se si fanno i conti con il passato, però, ci si imbatte con tassi di disoccupazione che sono
ben al di sopra delle medie provinciali.
Come dimostra la tabella n. 13, secondo i dati Istat, il tasso di disoccupazione allargata
relativo alla città di Pioltello, all’inizio degli anni ‘90, era pari a una volta e mezzo a quello
della provincia di Milano. Per l’oggi, purtroppo, non ci sono stime Istat disponibili.
Tabella n. 13
Indici dei disoccupati e delle persone in cerca di prima occupazione. Pioltello, Provincia di
Milano - 1981-1991
‘81
‘91
100
191
13,3
13,6
100
109
8,3
8,9
Pioltello
indice disoccupati e in
cerca di nuova occupazione
% disoccupati su pop. attiva
Prov.Milano
indice disoccupati e in
cerca di nuova occupazione
% disoccupati su pop. attiva
Fonte: Istat
Se si prendono in considerazione i dati relativi agli iscritti alle liste di collocamento, si può
notare come mentre fino al ‘98 nei comprensori di Melzo e Cassano le iscrizioni hanno
fatto registrare un andamento assai più contenuto di quello verificatosi a livello provinciale,
nel ‘99, sorprendentemente, la dinamica ha subìto un’impennata invertendo così la
tendenza positiva che durava da anni. I dati parziali del 2000 confermano questa svolta.
Tabella n. 14
Indici degli iscritti alle liste di collocamento. Comprensori di Melzo e Cassano d’Adda,
Provincia di Milano - 1991-1999 (valori medi)
Melzo-Cassano
Prov.Milano
1991
100
100
1992
92
107
1993
95
123
1994
116
132
1995
116
137
1996
141
153
1997
151
162
1998
143
159
1999
207
147*
* indice su dati parziali.
Fonti: Regione Lombardia, OML Provincia Milano e Scica Melzo-Cassano-Centro Lavoro Est Milano
Nell’agosto del ‘98 gli iscritti alle liste di collocamento residenti nel comune di Pioltello
rappresentavano il 25,6% del totale degli iscritti agli Scica di Melzo-Cassano, mentre nel
giugno del 2000 costituivano il 17%. Se si tiene presente che gli abitanti di Pioltello
risultano essere l’11-12% della popolazione residente nei due comprensori, si ha chiara
l’idea di come in questo comune la domanda di occupazione risulti decisamente superiore
alle medie comprensoriali e provinciali. Il fatto che non tutti gli iscritti risultino poi disponibili
ad essere in qualche modo collocati attenua ovviamente il problema, ma di certo non lo
smentisce.
E questo fa sì che a Pioltello l’offerta di forza lavoro non trovi piena soddisfazione nella
domanda delle imprese locali.
«La realtà socio-economica di Pioltello è per certi aspetti invisibile, poco decifrabile. Molti
di quei 600 e più iscritti alle liste di collocamento che si sono presentati al colloquio hanno
manifestato esigenze che sono difficilmente realizzabili. C’è chi cerca il lavoro part time,
chi manca di una qualsiasi specializzazione, chi non disponendo dell’auto vuole il lavoro
sotto casa. Si tratta di un’offerta di lavoro abbastanza indifferenziata e difficilmente
collocabile».
E pure «a livello comprensoriale abbiamo una giacenza di persone iscritte al collocamento
che non riescono a fuoriuscire da questa situazione. Si tratta in prevalenza di donne con
bassa qualificazione e che pur avendo una forte dinamicità non risolvono i loro problemi
con un inserimento a termine. Per avere un reddito di cui hanno necessità e per inserirsi
socialmente hanno bisogno di un posto di lavoro di lungo periodo. Hanno poi una scarsa
disponibilità alla mobilità territoriale dal momento che i nostri comuni non sono legati tra
loro da mezzi di trasporto pubblico. Muoversi da un comune all’altro è un impedimento
forte per chi non dispone del mezzo proprio come è il caso della maggioranza di queste
donne».
E sono soprattutto proprio le donne a risultare fuori mercato.
«Si tratta di donne che hanno già avuto esperienze lavorative, ma che dopo essere
diventate madri hanno dovuto rimanere a casa. Molte di queste si sono poi adattate a
lavorare in nero svolgendo mansioni povere e semplici, facendo pulizie e oggi fanno fatica
a trovare una risposta occupazionale.
La situazione attuale è caratterizzata dal pendolarismo e questo rende difficile il
reinserimento nel mercato del lavoro di una donna madre con figli in età scolare e con
un’autonomia minima dovuta magari al fatto che non ha la patente. Con le poche ore che
ha a disposizione non è materialmente in grado di raggiungere zone che non sono vicine a
casa. Questa è una delle categorie che si rivolgono a noi più spesso», spiega
un’operatrice del Centro Lavoro.
«Un’altra categoria di persone in sofferenza occupazionale è poi costituita da quei
lavoratori che sono prossimi al pensionamento e che risultano ‘esuberi’ nell’azienda in cui
lavoravano essendo stati posti in mobilità. Questi non sono d’interesse per nessuno».
Anche a Pioltello, dunque, non mancano casi drammatici di disoccupazione, «in specie
tra quei soggetti anziani che sono stati espulsi dal mercato del lavoro e che per quasi una
vita si sono sentiti appartenere all’azienda presso la quale lavoravano. Questi casi spesso
si trasformano in vere e proprie crisi esistenziali.
Noi purtroppo – continua l’operatrice del Centro Lavoro - non siamo in grado di svolgere
un’azione da psicologi, ci limitiamo a sostenere il lavoratore nello spendere le sue
competenze che spesso sono trasversali. Sollecitiamo l’utente a praticare tutti i canali
possibili per trovare la soluzione. Gli suggeriamo anche di rivolgersi alle agenzie di lavoro
temporaneo, ma non sempre questo nostro prodigarsi risulta sufficiente a trovare la
soluzione ai loro problemi».
«Questo è spesso il caso di persone di 45-50 anni che hanno avuto problemi di salute e
che non possono lavorare in ambiti dove la fatica fisica è elevata e le garanzie sociali sono
minime».
«Io - racconta un nostro interlocutore - ho a che fare con una persona di 62 anni la quale
ha esaurito l’ultimo anno di mobilità e ha versato i contributi previdenziali per 34 anni.
Questa persona è in uno stato di forte disagio perché non può ancora godere della
pensione e non riesce più a trovare una collocazione per completare il periodo di
versamento dei contributi che gli consentirebbe di avere il sussidio.
Mi sono rivolto direttamente persino a un imprenditore per vedere se c’era la possibilità di
procurargli un lavoro per almeno 13 mesi, ma ancora non sono riuscito a risolvere il
problema».
«Di lavoratori in mobilità ne abbiamo parecchi iscritti alle liste - conferma un operatore del
collocamento - essi però sono dispersi sul territorio. Si tratta di situazioni che vengono
gestite più sul piano soggettivo che su quello sociale.
Il sindacato ne è a conoscenza, però il fenomeno, essendo molto parcellizzato e
trattandosi solitamente di dipendenti di piccole aziende, si presenta difficile da governare».
«I progetti che i Comuni hanno elaborato per i lavori socialmente utili hanno incontrato
enormi difficoltà. Qui ormai non se ne fanno più».
«Da noi - spiega un dirigente dello Scica - sono venuti a lamentarsi diversi lavoratori in
mobilità perché erano stati inviati a operare in comuni distanti dalle loro abitazioni e a quel
punto conveniva a loro di più starsene a casa piuttosto che accettare simili offerte. Poi
avviene che molti di questi lavoratori in mobilità vadano a fare i lavoretti presso le piccole
aziende.
Se per un verso è giusto che esistano gli ammortizzatori sociali, per un altro è da
considerare che in molti casi la cassa integrazione e la mobilità hanno prodotto dei danni
sociali. E’ il caso di gente che conosco e che è stata in cassa integrazione per dieci,
quindici anni, a differenza di altri lavoratori che invece sono stati costretti a lavorare fino
all’età pensionabile».
C’è però anche da considerare che non sempre il sistema imprenditoriale si dimostra
sensibile e disponibile a recuperare questi lavoratori adulti i quali nella stragrande
maggioranza, e data la drammatica situazione in cui si sono venuti a trovare, si rendono
disponibili nonostante le ovvie difficoltà fisiche e psichiche anche ad intraprendere nuove
esperienze e nuove attività pur di ritrovare un posto di lavoro. Una testimonianza in questo
senso ci viene dall’esperienza compiuta, alla fine degli anni ‘90, dagli 87 lavoratori e
lavoratrici della Turati Lombardi di Trezzo d’Adda posti in mobilità. Le disponibilità
dichiarate dalla maggioranza di essi sono state le seguenti:
- disponibile a un’occupazione part-time il 51,79%;
- a tempo pieno il 98,21%;
- a tempo determinato l’83,93%;
- a lavori occasionali il 46,43%;
- a stage e corsi di formazione il 41,07%;
- a turni diurni il 78,57%;
- a turni notturni il 30,36%;
- a turni festivi il 19,64%.
Non si può dunque dire che negli stessi lavoratori in età non più giovane sia assente la
disponibilità a riconvertire la propria professionalità e a riadattarsi a nuovi ambienti e
situazioni. Semmai è da denunciare una carenza, questa riguarda proprio quei soggetti
che dovrebbero aiutare e accompagnare questi lavoratori nell’affrontare un passaggio
della loro esistenza che indubbiamente risulta essere denso di ostacoli e di problemi.
Questo vale in linea generale, ma in particolar modo per i comprensori di Melzo e
Cassano dove il fenomeno della disoccupazione adulta fa registrare indici al di sopra della
media provinciale.
Commenta a questo riguardo un operatore del collocamento: «Qui si evidenzia uno
zoccolo duro di disoccupati che sono iscritti da ben oltre quel tempo che viene considerato
di lungo periodo, cioè i due anni, senza che si apra per loro una qualsiasi prospettiva di
reingresso nel mondo del lavoro regolare. Questi soggetti si ritrovano nelle categorie delle
donne, degli uomini con un’età superiore ai 40 anni, nelle persone che hanno una bassa o
nessuna qualificazione professionale o un basso o nessun titolo di studio.
Queste persone hanno bisogno di sostegni, di accompagnamento al lavoro, di occasioni e
di opportunità mirate d’impiego e il sistema pubblico se ne deve far carico».
Nel ‘99, per l’esattezza, gli iscritti da oltre 24 mesi alle liste di collocamento nelle
circoscrizioni di Melzo e Cassano ammontavano a oltre 3.500, pari cioè al 25% del totale.
Tabella n. 15
Composizione degli iscritti alle liste di collocamento. Comprensori di Melzo e Cassano,
Provincia di Milano - Valori percentuali medi anni ‘90 (1991-1998)
Melzo-Casano
Prov.Milano
Donne
61,6
56,1
di età fino ai 25 ani
38,0
39,5
di età dai 29 anni in su
45,5
40,7
iscritti di lunga durata
47,1
47,6
Fonti: OML Provincia Milano e Scica Melzo-Cassano-Centro Lavoro Est Milano
«In sofferenza occupazionale può essere però anche il neo diplomato che ha scarse
competenze informatiche e non ha conoscenze linguistiche, il quale risulta interessante
per l’azienda solo per la sua giovane età, ma per null’altro, considerato che non ha
esperienze e conoscenze tecniche. Anche questo è un soggetto debole».
I soggetti comunque in maggior sofferenza occupazionale sono gli immigrati, gli
svantaggiati e i disabili.
«Mentre però questi ultimi sono in qualche modo supportati dalla legge, i componenti delle
altre due categorie sono proprio abbandonati a se stessi.
Gli svantaggiati sono coloro che non hanno riconosciuta l’invalidità, ma che sono in uno
stato oggettivo di disagio sociale o perché hanno problemi in famiglia o perché ex detenuti,
ex tossicodipendenti, o giovani drop out, cioè persone ai limiti della società. Come Centro
Lavoro stiamo lavorando anche in direzione di queste figure in termini di progetti e in
collaborazione con i servizi sociali comunali, proprio perché, a seguito di una lettura della
realtà locale, ci siamo resi conto che mancano delle azioni coordinate di sostegno.
Al nostro sportello arrivano poi molti immigrati e in genere sono stranieri ,anche senza
permesso di soggiorno. Tra loro ci sono dei soggetti deboli dal punto di vista lavorativo
perché non hanno la conoscenza della lingua italiana e mancano di una specializzazione.
Il vantaggio che hanno è quello di essere molto più adattabili e flessibili dei nostri, così
come del resto lo sono i giovani meridionali, quelli che provengono dalle regioni italiane
dove la disoccupazione è alta.
In molti stranieri abbiamo riscontrato una disposizione all’apprendimento e alla formazione
notevole e ci sono diverse persone che si preparano per un lavoro specializzato in
fabbrica. Sono poi numerose le donne immigrate che si rivolgono allo sportello per
assistere le persone e noi e le inviamo alla formazione che oggi è divenuta indispensabile
per lavori di quel genere. Devo dire che nel complesso accettano di buon grado di
formarsi».
Nel giugno scorso risultavano iscritti alle liste di collocamento 208 stranieri residenti a
Pioltello, 128 maschi e 80 donne, poco più del 10% degli iscritti pioltellesi.
«Le difficoltà maggiori le incontrano proprio le donne immigrate che a causa dell’assenza
di una qualificazione sono costrette a ricercare un’occupazione nel settore dei servizi alla
persona. E’ questo un ambito che non riguarda le imprese, ma le famiglie e spesso questo
tipo di prestazioni, che sono molto richieste, vengono gestite da cooperative e
organizzazioni che offrono lavoro nero e precario, sottopagato e senza rispetto dei diritti.
C’è chi sfrutta la condizione di difficoltà della persona immigrata il cui stato di necessità la
rende disponibile ad accettare qualsiasi condizione pur di lavorare.
Agli immigrati vengono riservati i ruoli faticosi e disagiati, il lavoro serale, quello notturno e
festivo. E’ questo il mondo in cui sopravvive il caporalato».
«Se si viene fuori dai cancelli di questa azienda al mattino presto - denuncia un delegato
sindacale - si può assistere alla selezione di chi può entrare a lavorare e chi no. Io ho
invitato l’Ispettorato del lavoro, ma le cose continuano ad andare come sono sempre
andate. Tutti sanno ma nessuno vuole intervenire. Ultimamente abbiamo notato che
assieme agli extracomunitari arrivano temporaneamente gruppi di lavoratori delle regioni
del Sud. Arrivano qui con il pullman e si fermano per tre, quattro giorni. Chiaramente
queste persone che fanno la ‘vacanza lavorativa’ sono controllate da chi esercita il
caporalato».
11. Un mercato del lavoro complesso da governare
Se da una lato a Pioltello esiste la sofferenza occupazionale, dall’altro le aziende hanno
bisogno di personale che non sempre si ritrova disponibile sul mercato.
«Noi siamo in cerca di giovani tra i 22 e i 30 anni e quelli disponibili sul mercato sono
sempre meno. Nelle regioni del nord c’è ormai la piena occupazione e assumere è
diventato un dramma», asserisce un dirigente d’azienda.
E una lamentela di questo genere è ricorrente nel mondo imprenditoriale.
«Quando ho richiesto qualche figura professionale non sono riuscito ad ottenere nulla,
purtroppo di personale specializzato non ce n’è».
«Io sto cercando un perito chimico per potenziare l’ufficio relativo all’assicurazione della
qualità e non riesco a trovarlo».
«Reperire personale con esperienza tecnica industriale è un problema. Noi abbiamo
soprattutto bisogno di periti tecnici, di conduttori di macchine complesse, di responsabili di
produzione. Tutti i nostri impianti sono dotati di controlli elettronici e la manodopera che ci
occorre riguarda persone in grado di capire tutti gli aspetti tecnologici legati all’impianto. A
trovare le figure giuste facciamo fatica».
«Noi dobbiamo importare i laureati chimici dall’estero».
«In azienda abbiamo un mix tra laureati e non laureati che è al di sotto della media
accettabile. Dobbiamo garantirci le professioni giuste ma il mercato locale di queste figure
è molto ristretto e incontriamo molta concorrenza. Facciamo fatica non solo ad avere
personale professionalizzato, ma pure a trattenere in azienda quello che abbiamo».
«In questa zona le imprese hanno bisogno a tal punto di manodopera che le stesse
agenzie di lavoro temporaneo faticano a trovarla», conferma un operatore del
collocamento.
E a denunciare questo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro è anche un
amministratore pubblico.
«Attraverso il Centro Lavoro, al Comune di Pioltello abbiamo assunto per sei mesi una
diecina di persone per il progetto tributi. Ebbene, non è stato semplice trovarle, perché per
assolvere a quella mansione occorreva conoscere l’informatica e avere qualche nozione in
materia fiscale. Purtroppo ad avere questo bagaglio non erano in molti. I disoccupati ci
sono, ci sono anche le persone disponibili, però se si cerca la professionalità, la soluzione
al problema non è affatto semplice.
E questo vale anche per i concorsi interni ai quali in genere si presentano pochissime
persone. Ai concorsi per l’assunzione di geometri, per esempio, abbiamo incontrato delle
difficoltà addirittura nel trovare i candidati e questo è un altro aspetto del mercato del
lavoro locale».
«La difficoltà - spiega un dirigente d’azienda - sta anche nella scarsa disponibilità del
diplomato a fare l’operaio e a lavorare su tre turni, anche se poi il giovane rischia di fare il
disoccupato. In Italia non c’è ancora la mentalità giusta perché chi ha studiato si possa
adattare a fare l’operaio. E più che la scuola, ad essere responsabile di questo è la
famiglia».
«Certe figure professionali non le trovano non tanto e solo perché ce ne sono poche, ma
anche perché le pagano male», controbatte un delegato sindacale di fabbrica.
E pure chi fa selezione e formazione si sforza di spiegare simili incongruenze.
«Le aziende esigono spesso requisiti così precisi in termini di competenze e di tecniche
che diventa molto difficile reperire simili figure sul mercato»; «c’è la tendenza delle
aziende a richiedere personale non solo formato, ma con competenze ed esperienze
specifiche e questo complica le cose».
Sta di fatto che il fare incontrare la domanda con l’offerta di lavoro rappresenta un serio
problema, soprattutto perché la dinamica del mercato del lavoro locale è sempre stata
estremamente elevata e certi squilibri hanno assunto nel tempo carattere strutturale.
Tabella n. 16
Indici e valori percentuali della popolazione attiva. Pioltello, Provincia di Milano - 1971-1991
‘71
‘81
‘91
indice pop.attiva
100
122
150
% su pop. residente
40,2
46,5
48,4
indice pop.attiva
100
96
97
% su pop. residente
44,8
44,7
46,5
Pioltello
Prov.Milano
Fonti: Istat e Regione Lombardia
Tabella n. 17
Indici e valori percentuali dei residenti occupati suddivisi per settore. 1971-1991
Indici
valori %su occupati
‘71
‘81
’91
‘71
’81
‘91
100
111
127
100
100
100
- agricoltura
100
97
57
1,2
1,0
0,5
- industria
100
83
88
69,2
51,1
43,2
- terziario
100
182
267
29,6
47,9
56,3
Occupati totali
di cui in:
Fonti: Istat e Regione Lombardia
«Il 40% e più della popolazione attiva di Pioltello lavora sul territorio comunale grazie al
fatto che in questi anni sono state destinate aree allo sviluppo della piccola e piccolissima
impresa e questo ha ridotto il tasso di pendolarismo. Per un paese che ha il problema
della coesione sociale, il fatto che si siano procurati posti di lavoro in loco non è
certamente poca cosa».
Lo squilibrio tra occupati residenti e posti di lavoro disponibili sul territorio comunale
continua però a persistere, nonostante che nell’arco di quarant’anni le occasioni
occupazionali in loco siano cresciute molto di più rispetto agli occupati residenti. Osserva
un nostro testimone: «Se si viene qui al mattino alle cinque e mezza si vedono migliaia di
persone che quotidianamente prendono l’autobus per andare a lavorare fuori. Pioltello, per
certi aspetti, è rimasto ancora un paese dormitorio».
Tabella n. 18
Indici occupati e addetti alle unità locali - 1951-1991
‘51
‘71
‘81
‘91
Residenti occupati
100
365
428
489
addetti alle unità locali
100
899
1203
1410
55,5
48,1
37,4
36,0
% differenza
occupati/addetti
Fonti: Istat, Regione Lombardia, Aspo
«Questa è un’area dove il lavoro è fatto di ruoli estremamente interessanti, ricchi e
coinvolgenti», osserva il dirigente di una struttura impegnata a governare il mercato del
lavoro.
E in effetti i progressi che in questi anni si sono registrati sul fronte dell’innovazione
tecnologia hanno modificato la qualità della domanda di manodopera da parte delle
imprese.
«Mentre un tempo la nostra azienda assumeva soprattutto classe operaia, negli anni
recenti è maggiormente interessata alla categoria degli impiegati e dei tecnici, soprattutto
di quelli specializzati. Oggi è orientata soprattutto verso il mondo ingegneristico».
«Da noi gli impianti sono ad alta tecnologia e richiedono personale ad alta professionalità,
cioè periti e ingegneri. Solo marginalmente abbiamo bisogno di manodopera con bassi
livelli di professionalità».
«Alla fine del ‘99 avevamo 25 operai tecnici, 90 operai generici, 70 impiegati e 6 dirigenti.
Quando eravamo in 60 c’era un caporeparto e per il resto erano tutti operai generici. I 25
tecnici sono il cuore dell’azienda, 5 di loro sono stati reperiti già formati, gli altri 20 fanno
parte di quei 60 che componevano l’organico vent’anni fa. Il personale specializzato è
ormai fidelizzato, mentre quello generico ci viene a volte sottratto e questo avviene anche
perché noi lavoriamo sul ciclo continuo e l’impegno in termini di orario non viene accolto
volentieri specialmente dal personale più giovane».
«La nostra manodopera è abbastanza specializzata; qui ci sono ingegneri e diplomati. Tra
gli addetti alla produzione ci sono molti operai altamente qualificati. La maggior parte dei
dipendenti sono cresciuti qui, ultimamente però abbiamo assunto delle persone che
avevano già esperienza e che provenivano da un’azienda che ha chiuso».
Per le imprese, dunque, il reperire in loco personale con alti livelli di qualificazione
costituisce un serio problema considerato che a Pioltello le figure professionali tendono ad
attestarsi sui livelli bassi.
«Da noi ci sono molti muratori, ma in genere sono manovali e pochissimi vantano una
qualità professionale».
«Presso il nostro sportello - puntualizzano le operatrici di un’agenzia interinale vengono persone che non sono nemmeno in grado di sostenere un colloquio non avendo
compiuto gli studi. Sono quei soggetti che alla fine vanno a lavorare nelle cooperative».
E pure al Centro Lavoro segnalano di aver constatato che «moltissimi utenti hanno una
scarsa professionalità. Questo però - aggiungono - non significa che a Pioltello ci sia una
Tabella n. 19
Indici e valori percentuali delle figure professionali. Pioltello, Provincia di Milano - 1991
(occupati residenti = 100)
Pioltello
occupati residenti
indice
%
100
Priv.Milano
addetti unità locali*
indice **
%
%
19,6
67,6
25,0
23,2
100
80,4
49,4
75,0
76,8
- dirigenti e impiegati
100
34,1
57,0
36,7
45,3
- operai e assimilati
100
38,4
52,8
38,3
28,9
Imprenditori, liberi
professionisti,
lavoranti in proprio,
coadiuvanti
lavoratori dipendenti
di cui:
* dati 1994
** in rapporto agli occupati residenti
Fonti: Istat, Regione Lombardia, Aspo
presenza di persone dequalificate più alta rispetto ai residenti nei comuni vicini. Qui ci
sono anche persone con qualifiche e titoli di studio di un certo livello. C’è da considerare
che a Pioltello c’è gente che arriva da tutto il mondo e questo significa necessariamente
anche basse qualifiche».
A un basso livello professionale del mondo del lavoro dipendente fa poi riscontro una
minore presenza di occupati in condizione autonoma e, come alcuni sostengono, anche
per loro si registra un basso livello di qualificazione.
«Qui ci sono molte piccole industrie familiari di imbianchini, muratori, idraulici e molte di
queste forme di lavoro autonomo assicurano a chi le pratica la semplice sopravvivenza».
Annota un esponente politico: «Con tutto il rispetto per la categoria, a Pioltello esistono
cinquanta parrucchieri e questo è un dato eloquente. La professione del parrucchiere è
quella intrapresa dal ragazzo che non ha né arte né parte, è il lavorare in bottega con le
proprie mani, con la propria esperienza e comunque non è paragonabile a quella
dell’operaio specializzato di fabbrica che fa tutta una serie di percorsi.
Anche oggi a Pioltello c’è tutto un filone di classe operaia qualificata la quale, però, si
interseca con questa realtà che è parte della tradizione di chi è arrivato qui.
Noi, per altro, abbiamo delle grosse potenzialità di lavoro virtuale. Oggi abbiamo qui
un’aristocrazia virtuale fatta di soggetti in prevalenza giovani che pur non essendo direttori
d’azienda o consulenti o libero professionisti, vantano professionalità intermedie molto
interessanti. Questi però sono qui anagraficamente, ma non si riconoscono in Pioltello. Si
può dire che in un certo senso qui si verifica una fuga dei cervelli, anche perché non è mai
stato affrontato un discorso di imprenditoria giovanile e di nuove forme di lavoro.
Chi guarda esclusivamente alla multisala Kinepolis perché crea 70 posti di lavoro, che
sono senz’altro ottimi, non si rende conto che questi continuano a essere destinati a chi fa
le pulizie, a chi serve al bar; ci sarà di certo anche qualche tecnico cinematografico, ma
non più di tanto. Questa è ancora la Pioltello che guarda alla grande distribuzione come
serbatoio di occupazione. Il che indubbiamente è positivo perché non ci sono solo lavori di
facchinaggio, ma ciò a cui occorre guardare sono proprio quelle capacità imprenditoriali
che esistono e che potrebbero essere illuminate e valorizzate».
Difatti, pure a Pioltello, sullo stesso fronte del lavoro e delle professioni le cose stanno
subendo mutamenti veloci e in profondità. Ci dice un esperto in materia:
«Il mercato del lavoro della zona Est Milano che coinvolge 30 Comuni, tra cui Pioltello, è
sicuramente dinamico e in sviluppo. Nel corso del ‘99 ci sono stati circa 17.000 avviati
contro i 14.000 circa dell’anno precedente. Questo aumento è dovuto in buona misura allo
sviluppo del lavoro temporaneo, infatti queste 3.000 assunzioni in più riguardano proprio
contratti a tempo determinato, di formazione lavoro, di lavoro interinale».
E questo fa ritenere che «almeno nel breve periodo la situazione attuale di bassa
disoccupazione dovrebbe mantenersi tale e le aziende dovrebbero continuare ad
assorbire manodopera. Salvo ovviamente l’esistenza di quello zoccolo duro di iscritti al
collocamento che per essere ridotto necessita di particolari politiche attive del lavoro».
Un giudizio analogo viene espresso da un operatore del collocamento: «In quest’area
territoriale - questi afferma - la disoccupazione è destinata a diminuire perché c’è un
tessuto di microaziende che garantisce lo sviluppo e la crescita dei posti di lavoro».
12. La diffusione dei lavori atipici
L’innovazione tecnologica e la rivoluzione informatica hanno comportato anche per la
realtà di Pioltello profondi mutamenti nel modo di produrre e di lavorare.
«Sono ormai finiti i tempi del tipografo come figura specializzata per eccellenza, i tempi
cioè dell’arte grafica. La tecnologia applicata di oggi esige del personale qualificato come il
perito grafico o il perito meccanico o elettronico, figure che devono comunque avere un
certo livello culturale.
I lavoratori di oggi devono essere persone in grado di capire velocemente cosa deve
essere fatto in una qualsiasi fase del ciclo e quindi di adattarsi alle nuove situazioni.
Occorrono dinamicità e cultura. L’arte grafica non esiste più, esistono dei conduttori di
impianti che gestiscono una linea la quale può produrre anche altro, farmaci o caramelle, e
non solo libri o stampati. Viene sempre meno la necessità dello stampatore vecchia
maniera, diventa invece sempre più indispensabile l’ingegnere meccanico o elettronico.
Questa evoluzione si è verificata nell’ultimo decennio ed è tuttora in lenta e continua
progressione.
Le vecchie figure professionali che noi avevamo qui si sono adattate a questi processi,
comunque in questo ultimo decennio abbiamo avuto un turn over abbastanza importante».
«Ieri si avevano costanti cicli economici alla fine dei quali si arrivava ad espellere la
manodopera sovraeccedente attraverso gli ammortizzatori sociali, oggi e soprattutto
domani il rischio è e sarà di trovarsi nella condizione di dover “rottamare” delle persone
non per l’età, non per le crisi economiche, ma per la mancata corrispondenza alla
sofisticazione tecnologica.
Fa notizia il fatto che la new economy non riesce a trovare persone e che gli Usa hanno
aperto le frontiere a 200 mila informatici provenienti dall’Europa, ma non ci si rende conto
che anche nella old economy esistono dei grandi fabbisogni di manodopera
specializzata».
«Siamo in presenza di una tendenza che favorisce lo sviluppo del lavoro autonomo. Uno
da casa, con il computer collegato in linea con un’unità centrale, può svolgere
tranquillamente il lavoro che ieri faceva in ufficio».
«Negli anni addietro non c’era Internet e l’azienda non era collegata in tempo reale
attraverso le video-conferenze come lo è ora con Torino e la Spagna. Queste innovazioni
hanno comportato un cambiamento radicale nel modo di lavorare. Spazio per la manualità
ne esiste ovviamente ancora, ma molti sono ormai i lavoratori che operano sulla base di
precise indicazioni tecniche e in sostanza viene richiesta una maggiore professionalità,
maggiori conoscenze e competenze».
«A seguito dell’entrata sul mercato dei competitori orientali, qui ci si trova costretti a
cambiare il ciclo produttivo anche due volte l’anno e questo rimette in discussione
continuamente i rapporti consolidati e dà luogo a una continua contrattazione».
«Il nostro organico in questa fase è tutto a tempo indeterminato, siamo ancora fordisti.
Questo anche perché prima di abbassare gli organici abbiamo fatto scadere i termini dei
contratti a tempo determinato che avevamo, compreso il lavoro interinale. Una volta che
avremo superato questo processo ci troveremo nella condizione di far fronte a picchi di
produzione per affrontare i quali siamo intenzionati a creare una forte mobilità interna e ad
esternalizzare non la produzione, ma tutte quelle attività di servizio che non rientrano nella
nostra missione come la manutenzione. Noi tenderemo ad avere organici rispondenti alle
normali esigenze di produzione e di manutenzione e nel momento in cui dovessero
aumentare le esigenze di produzione sposteremo i manutentori in produzione, creando
così la figura del multi job, ed esternalizzando la manutenzione. La logica organizzativa è
quella della massima flessibilità interna e della esternalizzazione dei servizi».
Anche la diffusa esigenza di flessibilità contribuisce a mutare ruoli e rapporti nel mondo
dell’impresa.
«I problemi maggiori che dobbiamo affrontare non sono tanto quelli della qualità del
prodotto che resta competitivo, ma quelli del costo del lavoro e della flessibilità. A me
vengono richieste grandi commesse per far fronte alle quali devo essere molto più
flessibile di quanto lo sono oggi nella gestione degli orari di lavoro».
«La flessibilità viene conseguita sia all’interno, a livello contrattuale, che all’esterno con
l’utilizzo delle cooperative. Con i nostri dipendenti abbiamo la possibilità di modificare gli
orari e perciò conseguiamo la flessibilità che ci occorre».
«Qui si lavora a due turni per cinque giorni la settimana, a tre turni per cinque giorni la
settimana, a due turni e a tre turni a ciclo continuo e, in rapporto alle esigenze di mercato,
la tipologia di turni può cambiare nel corso dell’anno».
«Noi abbiamo un orario di lavoro che non è distribuito in modo uniforme sull’arco
dell’anno. Di norma, nei reparti di produzione, lavoriamo i primi sette mesi dell’anno a sette
settimi a ciclo continuo, dove il ciclo è formato da tre giorni di lavoro e uno di riposo. Nel
mese di agosto ci fermiamo per le ferie. Poi riprendiamo in settembre con i sei settimi, con
il giorno di riposo, per passare poi alla fine dell’anno ai cinque settimi con due giorni di
riposo. Questa distribuzione ci permette di rispettare il contratto e di conseguenza la
flessibilità necessaria della forza lavoro».
Tutti questi cambiamenti nel modo di produrre e di lavorare hanno comportato e stanno
comportando una vera e propria rivoluzione nelle forme stesse del lavoro.
«Oggi l’ingresso nel mondo del lavoro avviene per vie diverse rispetto al passato. Il 6070% degli avviamenti avviene ormai a tempo determinato, questo però non significa che il
70% delle persone che lavorano siano a tempo determinato; queste saranno il 5-10%.
L’avviamento all’interno dell’azienda si realizza ormai quasi esclusivamente attraverso
forme di cosiddetto lavoro precario. Che sia un bene o un male non lo so, sta di fatto che
questo di per sé non è una cosa negativa. Poiché non ci si accontenta di un posto di
lavoro qualsiasi, va bene che l’ingresso avvenga anche in queste forme».
«Noi non dovremmo chiamare lavori atipici quelli diversi dal lavoro standard. Oggi è atipico
il posto fisso, mentre quelli che chiamiamo atipici sono i lavori del 2000, quelli della nuova
economia. Se pensiamo che il lavoro interinale e il lavoro atipico siano un passaggio di
nicchia dalla disoccupazione al vero lavoro significa che abbiamo capito niente. Dalla new
economy non si ritorna indietro, il nuovo corso è avviato e la old economy avrà spazi
sempre minori. Non si dimentichi che negli ultimi dieci anni la grande industria ha perso
più del 50% dei posti di lavoro che assicurava».
Per la verità, diverse aziende di Pioltello continuano a mantenere con i propri dipendenti
un rapporto di lavoro dalle forme tradizionali. A confermarlo sono alcuni stessi
imprenditori.
«La stragrande maggioranza dei nostri dipendenti è assunta alla vecchia maniera, cioè a
tempo indeterminato; abbiamo solo qualche persona con contratti diversi».
«I rapporti di lavoro da noi sono ancora quelli standard, l’unica innovazione è costituita dai
contratti di formazione lavoro. I giovani che abbiamo assunto tramite questo rapporto di
lavoro sono poi stati tutti confermati.
Non abbiamo mai fatto nessuna prova con contratti di lavoro saltuari perché consideriamo
i dipendenti una risorsa e poi perché noi abbiamo bisogno di personale che conosca il
linguaggio dell’azienda e sia in grado di fare più prodotti e perciò deve essere preparato e
fidato. Anche chi fa lavori di facchinaggio e pulizie da noi fa parte dell’organico».
«La stragrande maggioranza dei nostri 500 circa dipendenti hanno un rapporto di lavoro a
tempo pieno e indeterminato. Ci sono alcuni contratti di formazione lavoro e a tempo
determinato. A part time c’è solo qualche unità negli uffici. Anche il lavoro interinale è raro,
anzi rarissimo, c’è forse qualche lavoratore in affitto in segreteria.
Anche quelli assunti con contratti di formazione lavoro o a tempo determinato alla fine di
regola sono sempre stati assunti dall’azienda».
«La maggior parte dei dipendenti è a contratto a tempo pieno e indeterminato. Part time
non ce n’è, ci sono gli interinali (4 o 6 casi) e i giovani vengono assunti con il contratto di
formazione lavoro».
Accanto però a queste realtà produttive, per lo più storiche, se ne accompagnano altre
nelle quali la sperimentazione di nuovi rapporti di lavoro è già in atto da tempo.
Comunque, anche laddove vige la tradizione, la situazione sta rapidamente cambiando e
la prospettiva per l’avvenire è quella di un incremento a livello complessivo delle nuove
forme di rapporto.
«Da noi ci sono alcuni lavoratori assunti a tempo determinato, ma di regola alla fine
vengono assunti a tempo pieno e indeterminato.
Nel reparto intestatura-confezionamento abbiamo delle donne alcune delle quali lavorano
a orario ridotto, 6 ore anziché 8».
«I nostri 400 in maggioranza sono assunti a tempo indeterminato, anche perché questa è
una tradizione dell’azienda. Ora però si stanno valutando le prospettive per il futuro e non
è da escludere che, dati i tempi, si introducano forme contrattuali non standard (contratti a
termine, part time oppure contratti job call, cioè di lavoro a chiamata).
Deve comunque essere creata una nuova mentalità a riguardo del rapporto di lavoro e
questo avverrà solo con le nuove generazioni».
«Quasi tutti i 940 dipendenti sono a tempo indeterminato; c’è solo un poco di part time tra i
350 impiegati, ma non supera il 4-5%. Poi succede però che questi stessi part time,
verticali od orizzontali che siano, di fatto si trasformano in full time, perché in questa
azienda l’orario di lavoro è infinito. Qui chi vuol lavorare può fare un’infinità di
straordinario», racconta un delegato sindacale. «C’è invece il salario d’ingresso che
significa per un giovane 180.000 lire in meno al mese per i primi tre anni. Oltre ad avere gli
sgravi fiscali previsti dalle leggi, l’azienda gode anche di questo vantaggio che comunque
contribuisce ad aumentare l’occupazione. Per fare la selezione del personale l’azienda fa
poi ricorso al lavoro interinale e
alle assunzioni a termine. Questi sistemi le consentono di ritardare i tempi delle assunzioni
a tempo indeterminato.
Dal punto di vista della gestione della manodopera, in sostanza, l’azienda si avvale di tutti
gli strumenti possibili per ottenere flessibilità e basso costo: dall’uso delle cooperative a
tutto quanto oggi le leggi consentono».
«I nostri quaranta dipendenti hanno rapporti di lavoro molto vario. In prevalenza, chi fa
servizio a mezzogiorno, è assunto a part time; a full time ci sono solo coloro che lavorano
in produzione e i cuochi. Comunque tutto il personale è assunto a tempo indeterminato ed
è cautelato circa il posto di lavoro perché quando c’è un cambio di appalto viene assunto
da chi subentra».
«Ora sostituiamo il lavoro straordinario con il lavoro precario, tipo lavoro interinale o
contratti a termine, di cui io farei volentieri a meno. D’altronde, però, l’aumentare troppo
del personale comporta delle serie ipoteche».
«Noi facciamo uso parziale di lavoratori interinali per coprire le situazioni scoperte.
Mediamente abbiamo in azienda tra gli 8 e i 10 interinali».
«Io faccio ricorso al lavoro interinale ma in modo che questi abbiano ad allungare la
giornata dei miei dipendenti e siano a loro volta accompagnati da questi. Sono però solo
degli espedienti destinati a non durare nel tempo».
«Siamo molto aperti alle nuove soluzioni. L’impiego di lavoratori temporanei è però limitato
alla sola produzione, sui computer non mettiamo personale esterno perché esistono dei
dati riservati che costituiscono un segreto industriale».
«Del lavoro interinale abbiamo fatto uso però in percentuali molto basse, abbiamo invece
fatto ricorso molto di più ai contratti a termine per far fronte a picchi di produzione oppure
alle assenze temporanee.
Al lavoro interinale preferiamo il contratto a termine curandoci noi le selezioni considerato
che abbiamo il personale capace di farlo. Questo ci rassicura molto di più. Inoltre il lavoro
interinale costa un po’ di più».
«Per fortuna ora è stato introdotto il lavoro interinale che ci consente di verificare il valore
delle persone che assumiamo, perché fino a ieri noi avevamo non pochi problemi nella
gestione della manodopera sia per i tempi di assunzione che per la qualità dei soggetti».
E persino l’Amministrazione comunale di Pioltello «assume a tempo determinato e un
tempo ci sono anche state delle collaborazioni», afferma un delegato sindacale.
I cosiddetti lavori atipici, dunque, trovano di fatto larga diffusione anche nel comprensorio
di Melzo e Cassano.
«C’è anche qui una tendenza a una maggiore occupazione che si accompagna a una
maggiore precarietà», precisa il responsabile del Centro Lavoro.
Tabella n. 20
Avviati in forma atipica . Circoscrizioni di Melzo, Provincia di Milano - 1991-2000 (valori
percentuali su totale avviati)
‘91
‘96
‘98
2000*
33,7
41,2
70,8
57,0
8,9
20,1
25,2
27,3
38,1
57,7
62,5
85,9
9,8
29,5
32,7
33,2
Melzo
avviati a tempo parziale e
determinato
avviati senza cancellazione
(per tempi molto ridotti)
Prov.Milano
avviati a tempo parziale e
determinato
avviati senza cancellazione
(per tempi molto ridotti)
* Percentuali su dati parziali. Melzo-Cassano: 11 mesi; Prov.Milano: 1° trimestre.
Fonti: OML Provincia Milano, Scica Melzo-Cassano e Centro Lavoro
Tabella n. 21
Avviati al collocamento residenti a Pioltello – 1999
% su totale avviati
a tempo pieno e indeterminato
a tempo part time e indeterminato
a tempo pieno e determinato
a tempo part time e determinato
46,1
8,9
40,9
4,9
Fonte: Centro Lavoro Est Milano
«Circa gli sbocchi di chi si rivolge al Centro Lavoro, un buon 60% finisce per fare lavori
atipici, mentre il restante 40% trova il lavoro fisso», afferma un’operatrice di questa
struttura.
Al giugno ‘99, infatti, nell’area di Melzo, il Centro Lavoro aveva favorito 123 rapporti di
lavoro così distribuiti: 60 a tempo determinato; 19 contratti di formazione lavoro; 14
rapporti di collaborazione; 11 a tempo indeterminato; 11 ancora come apprendisti e 6 soci
di cooperative.
«C’è una precarizzazione del lavoro che è in crescendo», dichiara un sacerdote. «Da
qualche tempo ci sono capitate diverse persone sui 40-45 anni che erano in cerca di
lavoro perché avevano perso quello che avevano e molte di queste persone sono state
anche un anno, un anno e mezzo in condizioni di incertezza, lavorando nelle cooperative,
facendo turni massacranti. Il dramma è soprattutto di chi essendo avanti in età si vede
costretto a tornare ad andare a scuola per imparare un nuovo mestiere».
«Qui il lavoro atipico è molto diffuso più per necessità che per scelta deliberata», aggiunge
un amministratore pubblico. «Spopolano le cooperative e la figura del socio-lavoratore
fasullo è frequente. Un giorno, tra mezzanotte e mezza e l’una, mi è capitato di vedere
100-150 immigrati extracomunitari entrare a lavorare in una civilissima azienda locale per
svolgere lavori di facchinaggio. Si tratta di lavori sottopagati, non garantiti, non tutelati».
Le operatrici di un’agenzia interinale, da parte loro, fanno notare che «il 40% dei lavoratori
temporanei, al termine della missione, vengono assunti a tempo indeterminato dalle
aziende che li hanno utilizzati», e pertanto la condizione di precarietà sarebbe per molti
solo transitoria.
C’è però chi, pur ammettendo che «il lavoro interinale può essere un buon trampolino di
lancio per chi è potenzialmente in grado di offrire una professionalità, per cui può
significare un periodo di prova e di inserimento», non manca di ricordare che esso «non
può certo offrire tranquillità e garanzie».
«Per alcuni dei nostri utenti le esperienze di lavoro temporaneo sono risultate interessanti
e alcune si sono anche trasformate in lavoro a tempo indeterminato. Questo però è potuto
avvenire grazie alle capacità e all’abilità dell’utente stesso», osservano al Centro Lavoro.
«Il lavoro temporaneo costringe il lavoratore ad affrontare situazioni nuove e differenti e
quindi a mettersi in gioco di continuo. E quando non si è competitivi questo esercizio non
può che logorare».
Non tutti però condividono simili giudizi e qualcuno preferisce sottolineare gli aspetti
positivi di queste nuove forme di lavoro.
«Il pretendere un determinato posto di lavoro è stato un errore e ha rovinato il tessuto
sociale. Bisogna invece cercare di adattarsi perché in questo modo si riesce a rimediare
anche il posto fisso nelle aziende. In questo senso il lavoro temporaneo rappresenta uno
stimolo».
I lavori atipici , come si sa, si intrecciano spesso con forme di lavoro nero e sommerso.
A proposito delle forme di lavoro irregolare, qual è la situazione nell’area dell’Est Milanese
e in specifico di Pioltello?
«Devo dire che sul nostro territorio di lavoro nero non ce n’è tanto», risponde un
operatore del collocamento. «Conosco tante aziende che coltivano ortaggi e che sono in
difficoltà perché da noi la manodopera costa moltissimo. Queste aziende sono penalizzate
dalla concorrenza di quelle delle regioni del Sud le quali fanno appunto uso di
manodopera extracomunitaria. Da noi invece il lavoro nero è sporadico. Tolte le
cooperative, qui non ci sono aziende che operano in nero o se ci sono, sono molto rare».
Altri però sostengono il contrario.
«Il lavoro nero qui è parecchio diffuso, così come lo sono i cosiddetti lavori atipici, e il suo
sviluppo è da mettere in rapporto alla caduta occupazionale verificatasi nei grandi
insediamenti industriali.
Fare una stima diventa difficile, noi riteniamo però che a Pioltello, dove per una serie di
ragioni la forza lavoro è dequalificata, ci sia una presenza diffusa di rapporti precari e in
nero. Il mondo del facchinaggio, delle pulizie è fatto di questi rapporti e nelle cooperative
c’è anche una percentuale di lavoratori che sono soci fasulli».
«In molti casi chi svolge lavoro nero incontra difficoltà a uscire dalla situazione in cui si è
cacciato. Generalmente si tratta di lavori di pulizia, magari occasionali, di lavori generici.
Non è molto diffuso tra i giovani, anche se le vendite per telefono non mancano, mentre
viene più spesso praticato dagli adulti, specie dalle donne».
Stabilire con precisione l’entità dei lavori atipici è cosa impossibile. Come abbiamo già
fatto notare nella premessa, oggi non sono a disposizione strumenti di rilevamento in
grado di percepire e monitorare i fenomeni inediti che stanno investendo il mondo della
produzione e lo stesso mercato del lavoro. Evidentemente nelle centrali statistiche il
postfordismo non è ancora arrivato. Ma è pure da notare che non risultano nemmeno
chiare le stesse categorie interpretative di ciò che sta mutando nel mondo del lavoro.
Si possono solo azzardare delle stime, per di più a livello macro.
Analizzando i dati disponibili, scomponendoli e riaggregandoli ai fini delle riflessioni che sin
qui abbiamo svolto, è possibile ipotizzare che alla fine degli anni ‘90 il mercato del lavoro
in provincia di Milano fosse configurabile nel modo seguente.
Tabella n. 22
Ipotetica configurazione del mercato del lavoro in provincia di Milano a fine anni ’90 (valori
percentuali)
% su popolazione attiva
occupati a tempo pieno e indeterminato
70,0
collaboratori 13% Inps
11,5
disoccupati e in cerca di occupazione
8,0
occupati a tempo parziale
7,5
occupati a tempo determinato
4,0
altre forme di lavoro atipico
1,0
Elaborazioni su dati OML Provincia di Milano e Inps
13. Cambia anche la cultura del lavoro
Le forme del lavoro stanno dunque subendo un vero e proprio sconvolgimento. Il posto
fisso non è più la forma consueta di entrata nel mercato del lavoro e l’assunzione a vita,
quale garanzia esistenziale, ha ormai fatto il suo tempo.
E’ il caso perciò di chiedersi come in presenza di un simile epocale cambiamento stia
mutando la cultura del lavoro.
«L’istinto mi fa dire che da noi la cultura del posto fisso è ancora radicata e diffusa»,
asserisce un amministratore pubblico che si occupa di orientamento. «Le persone che
vengono a chiedere un posto di lavoro fisso sono ancora tante. Però, se devo dare una
risposta da ricercatore, devo dire che si sta via via indebolendo. La gente, magari anche
controvoglia, si sta adattando alla nuova situazione. Quando qualche anno fa facevo i
colloqui per l’orientamento, il tema ricorrente era quello del posto fisso, del posto di lavoro
che doveva durare per tutta la vita. Anche i ragazzi di 15 anni ragionavano così. Oggi
invece sta entrando nella coscienza della gente che il posto di lavoro è qualcosa di
dinamico e che la modalità di entrata nel mercato del lavoro è ormai progressiva; non entri
per una scelta da compiersi una volta per tutte. Per far accettare a tutti questo criterio,
però, occorre accompagnare il passaggio in atto, perché mi pare di capire, purtroppo, che
le competenze sono ancora scarse e il sistema sociale debole».
«Noi facciamo inserzioni su Internet e sui giornali e contattiamo spesso le persone. In
molti casi, quando diciamo di essere di un’agenzia interinale, ci sentiamo rispondere
immediatamente che a loro interessa solo il posto fisso. C’è addirittura chi è in cerca di
lavoro e nell’inserzione precisa che non è disponibile per un lavoro temporaneo. Questo è
frutto di una cultura ancora molto diffusa. Si ravvedono solo quando li si pone di fronte
all’alternativa: o una collocazione anche per poco tempo oppure niente occupazione».
«La richiesta prevalente da parte degli utenti del Centro Lavoro, anche di quelli in giovane
età, è quella del lavoro fisso e questa preferenza viene spesso dichiarata di primo acchito.
Il posto fisso è sinonimo di tranquillità e questa è la ragione principale di tale richiesta.
Solo quando facciamo vedere il rovescio della medaglia, cioè evidenziamo come un lavoro
che si conclude può essere un buon biglietto da visita per un lavoro successivo, si
convincono che può essere presa in considerazione anche un’occupazione a termine.
A volte il far capire questo diventa difficile. I giovani però in genere sono ricettivi, le
difficoltà si incontrano soprattutto con le donne che chiedono garanzie e soluzioni
tutelanti».
A confermare l’esistenza di una difficoltà di approccio con le nuove forme del lavoro da
parte delle generazioni adulte è anche un delegato sindacale di fabbrica.
«I lavoratori di questa azienda faticano a rendersi conto che il mondo del lavoro sta
cambiando e che siamo in presenza della crisi del posto fisso anche perché il nostro
ambiente è ancora prevalentemente fordista. Qui i casi di lavoro interinale e di altri nuovi
tipi di rapporto sono pochi».
Fatto è però che tra i disoccupati, anche tra quelli adulti, le disponibilità per prestazioni a
tempo determinato e ridotto sono già oggi ampie.
I 3720 iscritti alle liste di collocamento presso gli Scica di Melzo e Cassano che hanno
partecipato ai colloqui, hanno dichiarato di rendersi disponibili a un lavoro part time per
l’85,3%, a un’occupazione a tempo determinato per l’87,2% e a lavori occasionali per il
64,2%.
Ma sono soprattutto le nuove generazioni ad adeguarsi con più facilità alla nuova realtà.
«I giovani sono i soggetti preferiti per il lavoro temporaneo, sono loro stessi ad andare alla
ricerca di una flessibilità molto più ampia al fine di coniugare interessi diversi come la
frequenza dell’università piuttosto che la ricerca di approfondimenti formativi».
«I giovani di 18, 19 anni sono più aperti e molti di loro vengono qui da noi a chiedere di
poter svolgere lavori stagionali nel periodo estivo anche per periodi brevi», afferma
l’operatrice di un’agenzia di lavoro interinale. «Questo è il segno di una nuova cultura, di
un nuovo approccio con il mondo del lavoro che ancora qualche anno fa non c’era. A far
crescere questa disponibilità aiutano molto le esperienze di stage che si stanno ormai
diffondendo in molte scuole. Da noi vengono giovani studenti che ogni fine settimana si
impegnano a lavorare nei call center, nei telemarket e in altre attività del genere».
«Il problema del cambiamento che sta subendo il mondo del lavoro, per esempio la crisi
del posto fisso e il dilagare di nuovi lavori precari, saltuari, non garantiti è una
preoccupazione più di noi anziani che abbiamo vissuto già delle esperienze lavorative
piuttosto che dei giovani», sostiene un operatore della scuola. «Essi si approcciano alle
novità con meno ansia, anzi, con normalità valutando serenamente le opportunità che la
situazione offre. Si dispongono alla prospettiva di cambiare posto di lavoro più spesso,
con spontaneità e sanno di doverselo costruire. Secondo me loro sono predisposti, mentre
ad essere preoccupati siamo noi adulti.
Noi abbiamo alle spalle una società statica, una società che cambiava ogni secolo, loro
invece vivono nella società del cambiamento, in un contesto in cui i processi si
susseguono con sorprendente rapidità e di questo si rendono conto e non si sentono a
disagio come noi».
«A me non pare ci siano conflitti tra genitori e figli causa la crisi del posto fisso, ciò che più
importa alla famiglia è che il giovane lavori».
Le opinioni a riguardo del rapporto giovani-lavoro però non sempre coincidono.
«Gli atteggiamenti dei giovani verso il mondo del lavoro sono diversi e uno tra i più diffusi
è quello che considera importante che il lavoro renda, che non occupi tanto tempo e
garantisca tempo libero. Essi lavorano in sostanza per la vacanza o per guadagnare tanti
soldi».
«Io vedo anche diffuso, soprattutto in chi ha studiato, l’atteggiamento che porta a
privilegiare ruoli socialmente utili come è il caso dell’educatore professionale, ruolo che
richiede un apprezzabile impegno sociale».
«Negli anni ‘60 si stava bene con qualsiasi tipo di occupazione perché i giovani di allora
erano meno esigenti, anche perché erano meno preparati culturalmente. Quelli di oggi
invece sono alla ricerca della qualità del lavoro».
«Quando arrivano al nostro ufficio personale per cercare lavoro e vengono a sapere che si
fanno i tre turni - dice un dirigente aziendale - i giovani si meravigliano e si dimostrano
indisponibili. Magari poi fanno le tre di notte al bar. In questo momento è scemata la
cultura del lavoro. Io preferisco i cinquantenni perché mi danno più garanzia da questo
punto di vista. I giovani sono più interessati a scegliere tra quello che il mercato offre. Noi
ricorriamo agli extracomunitari però questi non sono qualificati. Una volta comunque c’era
più voglia di apprendere».
«Tra le vecchie e le nuove generazioni c’è proprio un cambio di cultura del lavoro e la
questione dell’orario è un aspetto dirimente. Spesso esso costituisce un ostacolo per i
giovani i quali tengono alle amicizie e considerano disagiato lavorare a turni. Si fatica a far
accettare l’orario a turni oppure a far lavorare il sabato e la domenica e spesso ci sono
giovani lavoratori che se ne vanno, magari per fare lavori differenti e anche precari in altri
settori».
«Posti di lavoro a sette chilometri di distanza non vengono accettati perché non sono sotto
casa. A volte passa la voglia di darsi da fare per aiutare alcuni soggetti quando dopo aver
individuato un posto di lavoro corrispondente alle loro competenze ci si trova di fronte a un
rifiuto. Questo fenomeno si spiega con il fatto che il giovane si sente alle spalle la famiglia
dalla quale si stacca sempre più tardi e quindi non ha impellenze tali da dover accettare
qualsiasi soluzione. Poi ci sono giovani che pretendono da subito un buon stipendio ed è
diffusa la tendenza a non volersi sporcare le mani».
«Questo succede anche perché in questi anni si è elargita a piene mani la filosofia
secondo cui l’importante è essere flessibili, mentre la specializzazione non esisterebbe
più. Se questa filosofia ha fatto comprendere ai giovani la portata del cambiamento in atto,
ha anche dato loro modo di pensare che non occorre più essere professionalmente
preparati. Succede invece che nel mondo del lavoro si continua ad entrare attraverso
l’occupazione di un posto che ha una sua specifica mansione e non perché si è flessibili.
Questa è una dote dello spirito che non garantisce la professionalità».
Ma come vivono i giovani la condizione di lavoratori atipici ?
E’ proprio vero quanto sostiene un esponente della formazione e cioè che «le collocazioni
atipiche non vengono vissute ancora molto bene da parecchi giovani, perché la cultura del
lavoro fisso non è ancora del tutto superata nella loro mentalità» ?
Ecco come si esprime a riguardo del rapporto giovani-lavoro una neo-diplomata che sta
facendo l’esperienza di collaboratrice coordinata e continuativa.
«In questa società che è dominata dalla competitività è dura a farsi avanti. Intanto occorre
scendere a diversi compromessi che spesso mortificano. Uno studente che esce dalla
scuola e che non vanta esperienza e competenze si trova ad avere a che fare con
persone che approfittano di questo suo stato ed esercitano su di lui molti ricatti. Nel mio
campo ci sono moltissimi studi che accolgono i giovani disponibili a fare lo stage gratis per
il praticantato, ma che non sono affatto intenzionati a garantire poi l’assunzione nel
momento in cui uno supera l’esame di stato il quale consente di firmare i progetti. Uno
deve a quel punto arrangiarsi e aprire uno studio per proprio conto.
Io oggi ho almeno un minimo, proprio un minimo di stipendio e questo mi consente di non
pesare completamente sulla famiglia.
Simili difficoltà le incontrano anche i neolaureati e questo è un aspetto di sofferenza per
molti giovani.
Io lavoro appena da settembre e ho vissuto da poco l’impatto con il mondo del lavoro. Ho
un diploma da geometra e ho fatto una specializzazione in arredamento d’interni. Qualche
tempo fa ho fatto una settimana di prova in uno studio di geometri e dal momento che
sono una ragazza mi è stato detto in modo carino che non andavo bene. Ora lavoro in un
altro studio e mi trovo bene perché il titolare mi fa vedere tutto, però lavoro solo al mattino.
Non sono assunta, ho invece un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con
la ritenuta d’acconto. Questo studio è aperto da un anno solamente, ci sono delle spese
da sostenere e poi ha già degli altri collaboratori, perciò è improbabile che io possa essere
assunta. A me piacerebbe lavorare in uno studio e fare la geometra a tempo pieno, però
non so quando mi sarà possibile avere un bel posto fisso con otto ore al giorno. Per ora
sono precaria e se domani questo ufficio non avrà più la mole di lavoro che ha oggi la mia
collaborazione è destinata a cessare immediatamente.
Quello che constato parlando con amici e conoscenti giovani, è che questo sistema della
ritenuta d’acconto, cioè della collaborazione ha preso abbastanza piede. Per i datori di
lavoro diventa molto comodo, per i giovani invece la cosa è diversa. Se è vero che c’è
anche chi lo gradisce perché gli va bene, per i più, almeno parlo di quelli che conosco,
significa precarietà.
Per ora mi fa comodo farmi la mezza giornata e insieme un’esperienza, però davanti a me
non ho alcuna sicurezza. Devo solo sperare di trovare qualcuno che mi faccia un’offerta
migliore».
14. La problematica condizione di chi lavora
Tra gli studiosi delle scienze economiche e sociali è diffuso il convincimento che il nuovo
modo di produrre e di lavorare, quello cioè tipico dell’era postfordista, comporti un maggior
coinvolgimento dei lavoratori nella gestione del ciclo produttivo e una conseguente loro
maggior gratificazione dal punto di vista sia professionale che economico.
Quali sono al proposito i giudizi dei lavoratori che operano nella realtà produttiva di
Pioltello? Si lavorava meglio ai tempi del fordismo oppure si è più garantiti e gratificati
oggi?
«Dal punto di vista dell’impatto ambientale, rispetto agli anni passati si lavora sicuramente
meglio ora, per altri aspetti invece le condizioni sono peggiorate. Oggi, ad esempio, c’è
molta burocrazia, si lavora tutto sulla carta e mentre ieri a fronte di un problema i tecnici si
incontravano e discutevano, oggi si mandano le e-mail, usano Intranet.
L’informatizzazione ha rinsecchito i rapporti tra le persone».
«Qui da noi il coinvolgimento del lavoratore nel ciclo produttivo non c’è, si pretende solo
che esso lavori a comando, che mantenga i tempi stabiliti dalla direzione.
Mi risulta che in certe aziende, prima di fare certi interventi, si consultano i lavoratori, viene
cioè chiesto il loro parere, qui invece questi sistemi non sono mai esistiti, il coinvolgimento
non esiste.
Vige ancora il classico modo di lavorare secondo cui uno comanda e gli altri obbediscono
in silenzio. Tra gli stessi lavoratori non c’è affiatamento, ognuno pensa per sé.
Se la nostra azienda è competitiva è anche perché tiene i prezzi più bassi rispetto ai suoi
concorrenti e questo lo può fare grazie al non rispetto dei diritti e delle normative. Si lavora
più sulla quantità che sulla qualità perciò fanno girare più velocemente le macchine.
Spesso noi operiamo con un organico ridotto, sulle macchine dovrebbero essere impiegati
cinque lavoratori, invece di solito ce ne sono solo quattro».
«Tempo fa come sindacato avevamo accettato di fare la sperimentazione di un nuovo
sistema di produttività, ma poi ci siamo resi conto che mentre il lavoro era triplicato, la
busta paga era rimasta la stessa e allora abbiamo disdettato l’accordo. A quel punto la
direzione è ricorsa all’uso delle cooperative».
«Da un po’ di anni noi stiamo lottando sul fronte della ristrutturazione degli orari di lavoro.
L’azienda pretende l’introduzione delle 6 ore giornaliere e delle 4 squadre, mentre ora al
sabato si lavora solo come straordinario. Fino ad ora la questione della flessibilità l’hanno
risolta con lo straordinario, ora vogliono che si lavori in maniera fissa anche al sabato».
«Qui c’è gente che proviene da aziende chiuse e che è stata assunta con categorie
inferiori e buste paga più basse».
«I giovani di Pioltello non fanno le corse a venire qui a lavorare perché la nostra ditta paga
poco, oltre al fatto che qui c’è un clima che non gratifica per niente».
«Io sono qui da otto anni e prendo ancora la paga di quando sono entrato, quanto cioè
prevede il contatto, non ho mai avuto un solo aumento».
«Da quando sono arrivato qui ad oggi la situazione è migliorata di poco e quel poco di
buono che si è ottenuto è solo grazie al lavoro sindacale che abbiamo fatto. Qualcosa si è
mosso, specie a livello di sicurezza. I ritmi di lavoro però sono aumentati».
«Mentre tra i lavoratori anziani continua a essere diffusa la vecchia cultura dei rapporti
sociali, nei giovani ci sono comportamenti che sottendono la logica della competitività
individuale. Per guadagnare di più del compagno di lavoro non esitano a lavorare più di
lui».
«Succede che gli stessi operai passano sopra il loro diritti per ottenere 50.000 lire in più al
mese. Il dio denaro conta sempre più degli ideali».
«Qui non c’è una vera mensa, non ci sono degli spogliatoi, non c’è nemmeno un’uscita di
sicurezza, non ci sono gli estintori. Ora stanno facendo qualcosa in forza della ‘626’, ma
all’inizio era una cosa drammatica. Abbiamo scritto lettere su lettere, ne abbiamo discusso
anche con il direttore. In alcuni luoghi di lavoro c’erano più di 40° di temperatura e solo da
poco hanno messo l’aria condizionata. Per fortuna di infortuni ce ne sono pochi.
Comunque succede che se un ragazzo assunto con contratto di formazione si fa male
difficilmente questo sta a casa in infortunio, generalmente entra in malattia. L’azienda non
te lo può certo imporre, però ti fanno capire che è meglio mettersi in malattia».
«Rispetto alla legge 626 siamo messi male: loro espongono dei cartelli, ma poi le norme
non sono rispettate e questo anche perché gli stessi lavoratori non si curano di rispettarle,
se ne fregano».
«Pur di farsi distinguere dal capo evitano queste misure al fine di risultare più efficienti. C’è
la complicità, nonostante si siano fatte quattro assemblee di un’ora e mezza per spiegare
la ‘626’. Abbiamo fatto anche i corsi professionali e sono entrati in fabbrica gli specialisti.
Eppure la gente se ne frega e questo succede anche perché quel lavoratore che si rifiuta
di operare se non vengono rispettate le misure di sicurezza paga poi questo suo
atteggiamento in termini di cattiva considerazione da parte dei capi e della direzione».
«Fino a poco tempo fa tutti gli infortuni venivano registrati, da qualche tempo a questa
parte taluni casi non vengono nemmeno più segnalati e vengono fatti passare per altre
cose, questo comporta la complicità degli stessi lavoratori. Le nostre Rls (Rappresentanze
lavoratori sicurezza) hanno incontrato grandissime difficoltà non tanto dal punto di vista
formale, visto che i comportamenti dell’azienda sono ineccepibili, ma da quello sostanziale
perché le responsabilità vengono demandate alle cooperative. Qui da noi il tasso di
infortuni è alto e i motivi vanno fatti risalite a due cause: alle molte ore di lavoro e ai turni
elevati. Qui c’è gente di cooperativa che fa anche 16-18 ore al giorno, cioè due turni filati e
chi si rifiuta di fare orari lunghi viene minacciato di non essere più impiegato».
Fortunatamente non ovunque le cose stanno così.
«Nel ‘96 noi abbiamo fatto un accordo aziendale il quale non contempla affatto vantaggi
economici per i lavoratori legati alla produzione e questo proprio per consentire di
migliorare l’ambiente di lavoro e la sicurezza.
I premi sono legati al comportamento stesso dei lavoratori verso l’ambiente e la sicurezza:
uno viene incentivato se è attento e rispetta le norme».
La situazione, nel complesso, è dunque più di disagio che di soddisfazione.
Persino chi dipende dall’ente pubblico ha motivo di lagnarsi: «In genere sono sempre stati
considerati di più gli impiegati che non gli operai e questo come sindacato non lo abbiamo
mai accettato, anche se purtroppo a privilegiare chi è negli uffici è lo stesso contratto
collettivo di lavoro».
I fattori che determinano questo stato di sofferenza sono ovviamente parecchi e come fa
notare un esperto di mercato del lavoro, questa situazione è dovuta anche al fatto che in
questi anni «l’occupazione nella grande industria è calata di molto proprio perché oggi
l’operaio sul posto di lavoro rende molto di più che nel passato. Oggi viene richiesto un
maggiore impegno nelle fabbriche, mentre prima il lavoratore era troppo tutelato».
«Qui a Pioltello - osserva un sacerdote - c’è una fetta di gente, che è abbastanza
consistente, la quale si fa il mazzo lavorando sodo dal lunedì al venerdì, facendo anche
molte ore straordinarie. E’ disposta a sopportare anche grandi sacrifici pur di portare a
casa soldi che poi vengono spesi per l’auto da ostentare o per altri beni voluttuari del
genere».
A determinare questa condizione di disagio concorre anche una difficoltà da parte delle
strutture sindacali aziendali nell’aggregare i lavoratori e nell’esercitare poi
conseguentemente un ruolo corrispondente alle esigenze di tutela dei loro diritti.
«Nella nostra azienda - racconta un delegato - c’è una divisione tra operai e impiegati che
si trascina dagli anni ‘60 e mai nessuno ha saputo affrontarla. La direzione dell’azienda è
stata bravissima a spezzettare qualsiasi aggregazione. Se si va negli uffici ci si accorge
che sono stati disposti tutti a piccoli gruppi e poi c’è la piramide. La logica adottata è quella
che tutti devono essere responsabili e in questo modo tutti sono controllabili e controllati».
«Abbiamo anche il problema delle elezioni. La nostra è l’unica azienda in Italia che non
consente di fare assemblee dei lavoratori se non esiste il delegato eletto che convoca
l’assemblea. Ovunque lo possono fare gli operatori territoriali, qui invece esiste un accordo
che non siamo mai riusciti a modificare. Da due anni stiamo cercando di svolgere le
elezioni, ma con la nuova formulazione che richiede il 50 + 1% nella partecipazione al
voto, siamo paralizzati perché è ben difficile che si superi il quorum considerato che dei
tanti impiegati presenti nessuno si reca a votare».
A complicare ulteriormente le cose concorre poi lo stato di incomunicabilità tra i lavoratori
che vengono considerati «garantiti» e quelli che invece sono in condizioni atipiche .
«Il rapporto tra noi dipendenti in pianta stabile e i lavoratori delle cooperative è molto
difficile. Si può dire che qui ci sono due mercati del lavoro con regole diverse: c’è chi è
garantito e chi no. Non ultimo c’è poi anche il fatto che prima di affrontare una vertenza
sindacale tu devi ormai fare i conti con culture differenti e questo complica ulteriormente le
cose».
E a Pioltello, come abbiamo già avuto modo di constatare, di cooperative ce ne sono
parecchie e il mercato del lavoro irregolare ha un’indubbia consistenza.
«Qui da noi le cooperative fanno facchinaggio e impiegano carrellisti, gente che fa
fatturazione e pulizie, in pratica i lavori meno qualificati. Si tratta delle operazioni che sono
più soggette ai picchi, ai flussi, quelle più mobili. I colli in arrivo in questa azienda variano
di giorno in giorno. Un giorno ne arrivano 40.000, un altro 90.000 e le cooperative hanno il
compito di movimentarli. Tutti questi lavoratori sono di fatto soci fasulli di cooperative
essendo dei lavoratori subordinati».
«Tantissime cooperative trattano i ragazzi in maniera assurda; fanno fare loro degli orari
impossibili. Cosa dietro le cooperative ci sia non si capisce bene. Non rispettano nessun
diritto del lavoratore. Quando noi assumiamo un ragazzo che ha lavorato con le
cooperative dobbiamo attendere dei mesi prima di poter avere la restituzione del libretto di
lavoro», raccontano le operatrici di un’agenzia di lavoro temporaneo.
«Ad entrare in queste cooperative sono spesso quei giovani che abbandonano la scuola
superiore e che a Pioltello sono ancora molti. L’attrattiva dell’immediato guadagno, che tra
l’altro facile non è, li mette nelle condizioni di svolgere lavoro dequalificato».
«Ci sono anche state diverse cause e sentenze che hanno condannato la nostra azienda
per intermediazione di manodopera, però le cose non sono cambiate».
Conferma il dirigente di una delle più grosse cooperative di facchinaggio presenti a
Pioltello: «Di vertenze sindacali ne abbiamo avute diverse, del resto tutti ci provano, anche
certi lavoratori assunti che si sono poi rivelati dei lavativi. Quando si va davanti al giudice,
vuoi per quell’ora al giorno e per altro, c’è sempre qualcosa per cui devi pagare. Le
vertenze ci sono state e non saranno le ultime, perché per un motivo e per un altro, a volte
anche per una parola, ti chiamano in causa».
«La presenza delle cooperative a Pioltello è molto forte», precisa un esponente dell’ente
pubblico. «Di recente ho scorso l’elenco delle denunce degli infortuni sul lavoro e mi sono
trovato di fronte a una lista infinita di casi da cui emerge un mondo del lavoro precario e
semi-precario che dà una risposta alle esigenze di reddito senza dare una risposta alle
esigenze di lavoro. E’ un mondo del lavoro questo che è decisamente fuori da qualsiasi
controllo istituzionale».
Posti di fronte alle accuse di non rispetto della legislazione del lavoro, i dirigenti di queste
imprese collettive si giustificano.
«Quando una cooperativa di facchinaggio perde un appalto viene a trovarsi in mezzo alla
strada».
«Il rapporto che c’è oggi nella cooperativa è questo: si riunisce l’assemblea dei soci a
novembre quando viene presentato il bilancio preventivo; in questa occasione viene
discusso e deciso da tutti l’ammontare della retribuzione dell’anno successivo. E’
un’impresa collettiva che si divide i guadagni, ma anche il rischio. Per statuto è comunque
stabilito che la retribuzione dei soci non può essere inferiore a quella stabilita dai contratti
collettivi».
«Un socio che entra da noi deve avere come minimo una quota di capitale sociale di 4
milioni di lire. Oggi abbiamo una media di 7 milioni di capitale sociale a testa».
«Noi abbiamo sempre cercato di avere un socio lavoratore all’altezza della situazione,
leale e responsabile del posto di lavoro. Noi siamo partiti dal principio che il socio è la
nostra fonte di lavoro e se abbiamo dei soci in gamba il lavoro va avanti da solo, se invece
abbiamo dei soci che intendono sfruttare la situazione questi creano inevitabilmente dei
problemi.
Da circa sei, sette anni abbiamo investito sui soci lavoratori. Facciamo sempre le
assemblee e li chiamiamo in causa solo quando c’è qualche problema. Nel rapporto di
lavoro loro si autogestiscono le ferie e tutto quanto e i capisquadra fanno
sistematicamente i loro rapporti. Se c’è qualche problema vengono qui in consiglio di
amministrazione».
«Di assemblee dei soci ne facciamo come minimo tre o quattro all’anno, compresa quella
del bilancio e sono sempre in prima convocazione. Ci troviamo per la cena sociale alla
quale partecipano in 200 su 265, l’ambiente è buono e ci troviamo bene.
Il problema nostro è come gestire i soci-lavoratori. I nostri hanno quasi tutti gli stessi diritti
di un dipendente, sono tutti assunti in regola quasi come un dipendente. Noi siamo
controllati ogni due anni, di recente abbiamo avuto il controllo della Lega delle
Cooperative, quello della Finanza e poi di un altro ente ancora».
«Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto tutti controlli possibili: l’ufficio imposte, l’ufficio Iva,
l’ispettorato del lavoro, l’Inps, ecc. e a questi abbiamo messo tutto a disposizione. Dalle
cooperative spurie invece non ci vanno, non solo perché spesso non hanno la sede, ma
anche perché hanno paura, e questo me lo diceva proprio un ispettore dell’Inps».
E a riguardo delle rivendicazioni che nei confronti del movimento cooperativo avanzano le
organizzazioni sindacali, il presidente di una di una delle più grandi cooperative esistenti a
Pioltello afferma:
«Il problema che ci viene posto è quello di riconoscere come soggetto contrattuale
all’interno di un rapporto sociale l’organizzazione sindacale. Questa richiesta è una
contraddizione.
Io sono iscritto alla Cgil da sempre e con il sindacato ho sempre avuto un rapporto buono,
non solo di appartenenza, ma di suggerimento e di aiuto. Ora che lo si vuole far diventare
un soggetto contrattuale nel rapporto sociale cooperativo mi chiedo dove vada a finire la
caratteristica della cooperazione e quale sarà il mio ruolo domani. E questo mi pesa».
«Il problema - controbatte un esponente sindacale - è che non si riesce a capire, o non si
vuole capire, a chi spetta stabilire se queste cooperative sono o no a posto legalmente.
Nei fatti esse garantiscono la massima flessibilità e consentono alti risparmi alle aziende
sul costo della forza lavoro.
Un anno e mezzo fa, noi siamo riusciti a organizzare sindacalmente una cooperativa la
quale, prima in Italia, ha avuto il riconoscimento da parte del giudice del lavoro del diritto di
organizzazione sindacale del socio-dipendente. Questa operazione dovrebbe essere
generalizzata».
Ma c’è chi fa notare che «anche le stesse amministrazioni comunali hanno le loro belle
responsabilità. Quando fanno gli appalti seguono la logica del massimo risparmio e
appaltano certi servizi a cooperative di questa natura il cui scopo è solo quello di
speculare. A Pioltello di questi personaggi strani se ne conoscono parecchi».
«I lavori vengono appaltati a imprese generalmente al massimo ribasso e io questa cosa
non l’ho mai condivisa. Questo tipo di appalti non ha mai garantito la qualità del servizio e
occorrerebbe fare dei controlli. Il prezzo non può non essere un fattore importante per
un’amministrazione pubblica, però esso deve essere proporzionato alla qualità.
In queste cooperative ci sono i soci fasulli che lavorano per dieci, dodicimila lire all’ora.
L’amministrazione pubblica non può non sapere queste cose perché appalta lavori a 1617.000 lire e dunque è facile comprendere che il lavoratore viene sfruttato».
E a questo riguardo precisa un esponente dell’ente pubblico: «Noi abbiamo ereditato dalla
precedente amministrazione una situazione che era deregolamentata esistendo contratti
fatti a importi al di sotto dei minimi contrattuali di lavoro. Nel giro di tre anni abbiamo
regolarizzato tutto. Ora gli appalti li assegniamo a condizioni tali da garantire chi vi lavora
in queste imprese e teniamo conto della qualità del servizio che ci viene fornito.
Di recente abbiamo estromesso una cooperativa perché, da quando abbiamo fatto i
controlli a monte e a valle, ci siamo resi conto che questa anziché garantire al lavoratore le
26.000 lire orarie, né riconosceva solo 17.000. Era una cooperativa che faceva capo a una
nota associazione nazionale.
A questo riguardo va detto che in genere, da una lato c’è un’ignoranza dell’amministratore
pubblico, dall’altro c’è l’ignoranza e la furbizia dei responsabili di queste cooperative».
15. Livelli di reddito sotto la media provinciale
Secondo il comune pensare dei pioltellesi, i problemi che dovrebbero essere affrontati in
via prioritaria risultano essere i seguenti: il caos urbanistico; la carenza di infrastrutture, in
particolar modo di quelle viarie; la diffusa criminalità e il conseguente problema della
sicurezza; la minaccia ambientale causata dalla presenza del polo chimico; la carenza
cronica di servizi. A tutto questo si aggiunge un’altra questione, quella cioè relativa alla
persistenza di bassi livelli di reddito che, a dire di molti, farebbero di Pioltello una città
povera.
E’ fuori di dubbio che la vita comunitaria di questa realtà sia segnata da tali caratteristiche
negative le quali non solo hanno condizionato il passato, ma continuano ancor oggi a
rappresentare un’ipoteca sui suoi sviluppi futuri. Il peso però che viene attribuito a taluni
aspetti non certo positivi della realtà pioltellese appare eccessivo e il fatto stesso che
soprattutto su di essi venga a concentrarsi l’attenzione generale, comporta il venir meno di
una capacità di analisi obiettiva dal momento che tende ad offuscare altri fattori negativi e
deleteri pur presenti i quali appunto meriterebbero altrettanta considerazione critica che
invece non sempre c’è.
E’ il caso di rilevare poi che se ci si sforza di andare oltre certi pregiudizi consolidatisi nel
tempo, non è corretto e giusto tralasciare di prendere atto che alcune delle tare e delle
inadeguatezze che vengono insistentemente denunciate, sono state nei tempi più recenti
oggetto di particolare attenzione e di intervento da parte delle pubbliche istituzioni. E che
pertanto alcuni significativi passi in avanti rispetto al passato sono stati pur compiuti.
Progressi questi che purtroppo non sempre sembrano essere adeguatamente riconosciuti
e apprezzati.
Va poi rilevato che, proprio in rapporto alla crescita che in questi anni ha fatto registrare il
sistema economico e sociale locale, altri e nuovi fattori oltre a quelli vecchi sono
intervenuti a complicare, ostacolare e frenare uno sviluppo qualitativo superiore di
Pioltello. E questo, appunto, a detrimento di quella migliore qualità del vivere collettivo e
del maggior benessere sociale che vengono unanimemente invocati e auspicati.
Quello dell’occupazione e della qualità del lavoro, ad esempio, rappresenta, come
abbiamo appena visto, anche se non da oggi, una delle questioni di fondo sulle quali
l’opinione pubblica e le forze di governo di questa comunità sono chiamate a prestare
un’attenzione maggiore di quanto si è fatto fino ad oggi.
Ma oltre a questo enorme problema che investe una consistente parte della realtà sociale
pioltellese, sono da sottolineare come deterrenti un progresso ulteriore della comunità
locale anche i seguenti fattori:
a) la percezione di una scarsa capacità dei soggetti economici e sociali locali di fare
coalizione e di agire perciò in sinergia tra di loro e con le pubbliche istituzioni;
b) la permanenza di bassi livelli di istruzione e di formazione professionale, unitamente a
una
carenza di promozione culturale a tutti i livelli capace di favorire una crescita qualitativa
del senso comune, secondo le esigenze imposte dai processi di modernizzazione;
c) infine, l’acuirsi della crisi del protagonismo sociale e politico che rischia di accentuare
ulteriormente il preoccupante processo di disgregazione e di anomia già in atto da
tempo.
Anche su questi aspetti tutt’altro che secondari, anzi decisivi ai fini di uno sviluppo
ordinato, occorre concentrare l’attenzione degli operatori sia pubblici che privati e della
stessa opinione pubblica, in modo che vengano individuate le opportune linee di intervento
correttivo.
Ma vediamo di affrontare con ordine e in maniera possibilmente organica questo insieme
di problematiche.
E’ scritto in un documento delle Parrocchie di Pioltello: «Lo status sociale dominante è
quello del ceto medio-basso, con l’eccezione del quartiere San Felice dove è più alta la
concentrazione del ceto borghese».
E due nostri interlocutori sostengono a questo riguardo: «La condizione sociale di
partenza di questo paese non era neanche quella fatta di classe operaia classica, ma di
muratori e di braccianti agricoli e questo ha pesato e peserà sempre. Se uno non è
proprietario di terra non è sollecitato a valorizzarla e proprio per questo la realtà di Pioltello
è sempre stata di basso livello».
«C’è da dire che il ceto sociale di Pioltello è medio-basso e assomiglia molto più alla realtà
di Cologno Monzese o di Cinisello Balsamo piuttosto che a quella di Cernusco o di
Segrate. Qui c’erano quattro proprietari terrieri che hanno poi venduto e favorito la
costruzione di casermoni, mentre a Cernusco ognuno si è costruito la propria casetta sul
proprio pezzetto di terra».
E a confermare queste interpretazioni sono gli stessi operatori del credito.
«La sensazione che io ho è che rispetto a Segrate e a Cernusco, Pioltello vanta una
popolazione meno ricca. Nelle prime due città c’è una presenza di imprese molto più
estesa. Il reddito prodotto a Pioltello, rispetto all’indice della provincia è inferiore alla
media, mentre il reddito distribuito è nella media.
La nostra operatività di banca a Pioltello è molto minuta, è cioè tale da poter essere fatta
al di fuori dello sportello bancario, purtroppo però qui non si fa uso dei metodi moderni di
prelievo. Per questo c’è sempre la coda per operazioni banali, mentre le filiali bancarie
vicine non hanno di questi problemi. Questo è indice che a Pioltello probabilmente c’è una
popolazione meno ricca che altrove.
Comunque il risparmio c’è e la gente oggi è più attenta di ieri nel fare uso del denaro».
«La maggior parte dei nostri clienti, quelli che hanno il conto corrente, sono lavoratori a
tempo indeterminato, cioè con il posto fisso, però ci sono anche dei giovani che lavorano
in cooperative i quali comunque tutti i mesi versano delle somme sul conto corrente. La
gente di Pioltello risparmia come si fa altrove, non è né cicala né formica».
«Nel complesso, i cittadini di Pioltello vantano una capacità di spendibilità commerciale
che è inferiore a quella delle comunità vicine», afferma un esponente della categoria degli
esercenti.
«Se poi lo si considera dal punto di vista della domanda di assicurazione, Pioltello è una
realtà la cui situazione economica è da considerarsi bassa. Io ho 2.700 clienti e quelli che
hanno un pacchetto di polizze è un numero molto ristretto. Solo ora si incomincia ad avere
l’assicurato sull’automobile che fa anche la polizza di accantonamento, cosa che fino a
qualche anno fa era difficile succedesse anche perché onestamente i più non erano in
condizioni economiche per farlo.
Dalla compagnia di assicurazione cui appartengo, per posizione reddituale polizzeambiente, la mia agenzia era ritenuta buona in forza dell’inserimento di certi clienti. Se
però toglievo questo gruppo di clienti particolari, la mia posizione diventava critica. Otto o
nove anni fa era uscita una casistica elaborata dalla mia società assicurativa in cui
Pioltello, nella graduatoria dei comuni lombardi, figurava tra gli ultimi dieci posti».
«Una conferma che a Pioltello risiede un ceto con redditi di basso livello la si ha dalla
scadente qualità dei locali pubblici presenti sul territorio. Qui esiste una bassa qualità dei
bar e dei ristoranti che si coniuga con una bassa percentuale di domanda e quindi di
frequenza di questi luoghi. Su 35.000 abitanti esiste forse un solo locale di un certo tenore
e questo è senz’altro indice dei bassi livelli di consumo».
In effetti, se si prendono in considerazione i dati sui depositi bancari si ha la conferma dei
giudizi espressi.
Tabella n. 23
Percentuali dei depositi bancari sul totale della Provincia di Milano. Pioltello, Cernusco,
Segrate - 1995-1998
% su Prov.Mi
n° sportelli
indice residenti
‘95
’98
bancari
(Pioltello = 100)
Pioltello
0,32
0,28
8
100
Cernusco s.N.
0,50
0,48
13
83
Segrate
0,70
0,79
25
105
Fonte: Regione Lombardia
Bassi livelli di reddito, dunque, ma non solo.
«Da noi ci sono anche sacche di povertà e pur se non abbiamo mai fatto delle stime,
abbiamo un riscontro di casi. La povertà culturale è tale per cui gli stessi mezzi di
sussistenza a disposizione di una parte della popolazione sono estremamente ridotti».
«Pioltello è una realtà che vanta la presenza di parecchie famiglie a rischio di povertà. In
queste condizioni sono soprattutto le famiglie monoreddito, però ci sono anche famiglie
che vantano un doppio reddito le quali non sono proprietarie di casa e hanno dei figli,
oppure quelle che si sono indebitate per acquistare l’appartamento e la cui capacità di
spesa è molto limitata. C’è gente che risparmia persino sui cibi».
«Esistono famiglie di pensionati che vivono con la sola pensione sociale, cioè con poco
più di 600.000 lire al mese. Di questa gente, purtroppo, il Comune si preoccupa poco».
«Sul territorio di Pioltello ci sono poi delle forme di povertà che sono abbastanza evidenti.
Si tratta di famiglie di bassa estrazione culturale che non hanno gli strumenti per difendersi
dalla società, che hanno difficoltà a relazionarsi col mondo, che non riescono a essere
competitive. Io le considero vittime della società», annota un sacerdote. «Poi c’è tutta la
fascia degli anziani che spesso sono unifamiliari e che hanno pensioni decisamente
basse. Ci sono quindi persone che lavorano in settori un po’ a rischio e quelli che fanno
capo alle cooperative di pulizia e di facchinaggio i quali non sempre vengono chiamati a
lavorare. Questa categoria di persone, pur essendo in serie difficoltà, rispetto agli stranieri,
chiede anche meno alle istituzioni. Questo lo verifico al nostro centro di distribuzione dove
in genere si presentano stranieri, mentre gli italiani sono pochi. Si tratta soprattutto di
persone in stato di disagio, in specie donne appartenenti a famiglie che si sono spezzate e
che non hanno una specializzazione. Esistono poi donne che fanno prestazioni in famiglie
anche benestanti e che vengono retribuite in maniera vergognosa».
«Avendo fatto l’assessore ai servizi sociali - dichiara un esponente della precedente
Amministrazione comunale - sono venuto a contatto con una realtà che un cittadino medio
non ha la minima idea che possa esistere e che, tra l’altro, ancora oggi rappresenta una
percentuale alta della popolazione di Pioltello.
Il problema nostro non è quello costituito dagli extracomunitari, ma da questa realtà. Non
sono in grado di stabilire la percentuale, però è certo che esiste uno strato amplissimo,
forse un quarto o un quinto della popolazione che è in condizioni di disagio e di povertà.
I processi economici in atto portano inevitabilmente a un aumento delle sacche di povertà.
E questo avviene a Pioltello, a Segrate, a Vimodrone, nell’area della provincia di Milano
verso la Martesana. E’ una realtà non diversa da quelle che ho visto a Bruxelles, a Parigi,
a Madrid, a Zurigo, a Berlino. Dieci anni fa andavo a New York e quello che oggi sta
avvenendo qui l’ho già visto in occasione di quei miei viaggi nella metropoli americana. I
poveri sono sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi».
«Il rischio di povertà è un dato di fatto», asserisce con cognizione di causa un operatore
del credito. «Gente che vive con pensioni basse ce n’è di certo e a Pioltello la percentuale
di queste persone sul totale della popolazione e forse più alta che altrove».
«Il nucleo nel quale lavora solo il capofamiglia e questo fa l’operaio, ha dei figli da
mantenere e la moglie a carico, l’affitto da pagare, considerato oltretutto che il posto di
lavoro oggi non è più certo come lo era un tempo, ebbene, questa famiglia è a rischio di
povertà. Se poi c’è l’automobile di mezzo, lo è ancora di più. Io mi chiedo spesso come le
persone facciano ad acquistare l’appartamento con i prezzi che ci sono. A volte, come
operatore bancario, mi capita di dover far capire a una persona che è meglio che non gli
conceda il mutuo perché il farlo significherebbe metterla in difficoltà per il futuro».
Il quadro che viene dipinto dai nostri interlocutori non è certamente incoraggiante, c’è però
da rilevare che rispetto al passato, anche su questo versante, le cose stanno migliorando.
«Pioltello sta venendo fuori molto bene e molto velocemente anche rispetto ai livelli di
reddito», sostiene un operatore della cultura. «Negli anni ‘70 c’era un nucleo familiare di
immigrazione numeroso con un solo reddito che aveva dei problemi di sopravvivenza, oggi
questa famiglia tipo nella migliore delle ipotesi ha la stessa struttura con quattro o cinque
redditi per cui i problemi sociali immediati si sono attutiti».
Le testimonianze di recupero sul piano della capacità reddituale della comunità di Pioltello
provengono da due fonti. La prima è costituita dalla sensibile modificazione in positivo del
rapporto tra il reddito pro-capite dei pioltellesi e le medie provinciali. Non bisogna del resto
dimenticare che ancora a metà degli anni ‘80 Pioltello appariva al 209° posto della
graduatoria dei comuni milanesi i quali, come è risaputo, a quel tempo erano 247.
Tabella n. 24
Reddito pro-capite. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1995
‘81
‘95
9.300.000
34.500.000
100
325
4.700.000
23.779.000
indice di crescita
100
506
rapporto Pioltello/Prov.Milano
50,5
78,8
Prov.Milano
reddito pro-capite in lire correnti
indice di crescita
Pioltello
reddito pro-capite in lire correnti
Fonti: Banco di Santo Spirito e Istituto Tagliacarne
La seconda fonte è costituita dal bene casa.
«La situazione della casa a Pioltello oggi è positiva, la maggior parte della gente è
proprietaria del proprio alloggio. Anche se qui da noi la casa è un po’ una partita di giro,
nel senso che la gente prima ne acquisisce una in zone delicate come il Satellite, poi dopo
un po’ di tempo vuole migliorare e allora la vende e ne ricompra un’altra in una zona
migliore».
C’è chi fa notare con una punta di preoccupazione che «le ragazze nere che prima
‘battevano’ i marciapiedi si stanno insediando tutte qui, con quattro soldi si stanno
comprando la casa a Pioltello».
Sta di fatto che anche il numero della abitazioni in proprietà è cresciuto negli anni e pure
questo è un indice di maggiore capacità di reddito e di risparmio. A confermarlo, del resto,
è ancora un operatore finanziario.
«Oggi sono in molti ad avere l’esigenza di mutui per acquistare la casa. In questi due anni
c’è stata la discesa dei tassi di interesse che ha fatto sì che molti affittuari si siano decisi
ad acquistare la propria abitazione. C’è una forte ripresa immobiliare e alla banca arrivano
molte richieste di mutuo. La casa torna ad essere un bene per cui vale la pena di fare
debiti proprio grazie ai bassi tassi d’interesse. Un tempo era difficile sostituire un affitto con
un mutuo, ora invece è possibile. La richiesta principale che abbiamo oggi è proprio
questa».
Tabella n. 25
Indici e valori percentuali delle abitazioni occupate, in proprietà e in affitto. Pioltello,
Provincia di Milano - 1981-1991
‘81
‘91
abitazioni occupate: indice
100
130
% su totale abitazioni
94,9
95,0
% abitazioni occupate in proprietà
52,4
71,9
% abitazioni occupate in affitto
47,6
28,1
nuclei familiari
100
130
abitazioni in proprietà
100
185
abitazioni occupate: indice
100
130
% su totale abitazioni
93,3
92,2
% abitazioni occupate in proprietà
48,7
65,2
% abitazioni occupate in affitto
51,3
34,8
nuclei familiari
100
105
abitazioni in proprietà
100
141
Pioltello
Prov.Milano
Fonti: Istat e Regione Lombardia
16. L’insistente domanda di sicurezza e di servizi
«Un altro problema che Pioltello ha è che non c’è più sicurezza. Qui gira la droga, girano
le armi, al Satellite ci sono ancora quei personaggi famosi, a Seggiano si spara e si fa a
botte», denuncia un giovane.
«I nostri governanti a livello generale hanno mollato troppo le redini e chissà dove
andremo mai a finire», ammonisce un commerciante.
La questione della sicurezza, infatti, viene posta in maniera insistente.
«Uno dei provvedimenti più importanti e urgenti che dovrebbe essere preso dalle autorità
è quello della sicurezza perché i cittadini qui hanno veramente paura. Legato a questo c’è
poi quello della circolazione in città durante le ore notturne».
«La sera non c’è nessun controllo del territorio e questo è grave. Un comune non molto
distante dal nostro ha assunto dei vigilantes per le ore prive di controllo e questo è un fatto
molto importante».
Ad essere preoccupati non sono solamente i residenti, ma anche alcuni operatori
economici.
«Nella zona - annuncia il rappresentante di un’associazione degli interessi - abbiamo
svolto un’indagine attraverso un questionario distribuito ai commercianti e abbiamo
constatato che le preoccupazioni per la questione della criminalità erano tutto sommato
abbastanza contenute. Dei tredici comuni interessati all’indagine, però, Pioltello si è
distinto per una percentuale più alta della media di commercianti preoccupati. Sul territorio
esiste la macrocriminalità, ma i nostri associati temono di più la microcriminalità perché
una rapina può tradursi con estrema facilità in una uccisione».
E la stessa Pastorale ecclesiastica in un suo documento sottolinea la necessità di
«soddisfare il bisogno di sicurezza materiale (spazio di appartenenza)», oltreché quello
della «sicurezza spirituale o del senso di identità (spazio di identificazione)», e in
conseguenza di «darsi delle regole e farle rispettare».
«Noi abbiamo avuto una rapina anche se non violenta da parte di due orientali e mia
moglie si è spaventata parecchio», racconta un commerciante.
«Di violenze non ne ho mai subite - aggiunge un altro - però anni fa mi hanno rubato due
o tre volte la merce, cosa che ora non ruba più nessuno».
«Noi abbiamo subìto anche dei furti - avverte il dirigente di un’azienda di Seggiano - e
abbiamo dovuto assumere dei vigilantes e ricorrere ai sistemi di allarme. Specie la sera
questa zona è deserta e qui ci sentiamo isolati».
«Nella nostra agenzia c’è stata una rapina tre anni fa, da allora però non è più successo
nulla. Il problema della sicurezza lo sentiamo sollevare dai nostri clienti», afferma un
direttore di banca.
A Pioltello ci sono stati però anche dei fatti di una certa gravità.
«Di recente c’è stato l’omicidio del barista all’angolo di via Bellini è questa vicenda ha
colpito a fondo la coscienza dell’opinione pubblica».
Poi c’è stato anche un tentato omicidio, come ci racconta la sua stessa vittima.
«Un signore di 59 anni che cercava lavoro e per il quale io mi ero impegnato a trovarglielo,
perché mi dispiaceva di vederlo in quella condizione, il 19 marzo dell’anno scorso mi ha
fatto la festa, si è presentato qui in cooperativa e fuori all’entrata, dopo avermi
rimproverato di averlo preso in giro per un mese, ha estratto la pistola e mi ha sparato
scaricandomi addosso tre colpi. A salvarmi è stato il telefonino, comunque sono stato in
rianimazione quindici giorni. Non gli ho assicurato un posto di lavoro fisso e lui
evidentemente ha perso la testa».
Nel rapporto di ricerca sulla criminalità che l’Amministrazione comunale ha di recente
affidato a un gruppo di studio specializzato è tra l’altro detto: «Cosa nostra, ‘ndrangheta,
Camorra, Sacra corona unita e Stidda sono tutte presenti sul territorio milanese. Nell’area
metropolitana agiscono tuttora gruppi criminali appartenenti a tutte cinque le
organizzazioni mafiose italiane. Tra le diverse mafie è sicuramente la ‘ndrangheta
calabrese quella che è stata capace di svilupparsi di più. I mafiosi calabresi infatti
rappresentano sicuramente più della metà dei mafiosi presenti nell’area milanese.
L’aspetto più interessante per un mafioso nella realtà milanese è quello della droga».
Infatti, sembra essere proprio «il narcotraffico la principale attività dei mafiosi presenti a
Pioltello. Il gruppo dei caulonesi (Caulonia - RC) è ben conosciuto nel territorio di
Pioltello».
Non è dunque un caso che «Piazza Garibaldi si presenti tutt’oggi come una sorta di
bunker inaccessibile, tendenzialmente autogovernato, in cui la presenza delle istituzioni è
pressoché nulla».
«Al Satellite - invece - un tempo abitavano famiglie i cui membri entravano e uscivano da
prigione in continuazione e si conoscevano pubblicamente anche i nomi. Un tempo via
Cilea era sempre alla ribalta della cronaca nera».
«Per fortuna, però, ora non è più così. Di malavitosi ce ne saranno ancora, ma
mediamente non più di altri paesi. Forse qui avranno il terreno più fertile perché c’è una
storia alle spalle. Quelli che ora preoccupano sono gli immigrati non in regola, quelli che
spacciano e che sono i più brutti». «Al Satellite lo fanno con discrezione, sono bravi
perché si autoregolano: di macchine ne rubano non più di tante, di furti negli appartamenti
ne fanno in numero ridotto».
«Bisogna comunque ammettere che ultimamente la situazione è migliorata. Rispetto a tre
o quattro anni fa, sarà perché li hanno individuati o per altra ragione, fatto è che si
verificano meno furti. Comunque sia, il bisogno di tenere sotto controllo il fenomeno esiste
ancora».
Che le cose vadano meglio è una conclusione alla quale è giunta la stessa ricerca sulla
sicurezza. Infatti, essa conclude: «La città di Pioltello è soggetta a un numero sempre
minore di abusi e molestie da parte dei suoi principali utenti: i cittadini. Il processo di
‘riconciliazione’ tra Pioltello e i pioltellesi è in fase di progressivo consolidamento».
E questo fa dire a qualcuno che se «dal punto di vista della criminalità è pur vero che a
Pioltello sono successi episodi che hanno fatto cronaca, la situazione oggi non appare
molto differente da quella di altri comuni della cintura milanese».
Tabella n. 26
Numero dei delitti per 100.000 abitanti. Pioltello, Provincia di Milano, Lombardia - 1996*
n° delitti x 100.000 ab.
Lombardia
5.265
Provincia di Milano
7.732
Pioltello
3.157
* Il 1996 è l’anno in cui a Pioltello si è registrato il più alto numero di delitti
rispetto al 1997 e al 1998.
Fonti: Regione Lombardia ed elaborazioni del Gruppo Abele su dati della Prefettura di Milano
«Rispetto alla questione della criminalità e della sicurezza va detto che c’è stato un
periodo, esattamente a metà degli anni ‘70, in cui si diceva che nel carcere Beccaria, che
a quel tempo conteneva dalle 150 alle 180 persone, più della metà degli ospiti fossero
ragazzi di Pioltello. E’ chiaro che questo era un segno di una situazione per nulla
tranquillizzante. Però, anche alla luce di questo dato che testimonia lo stato di malessere
di quel tempo, Pioltello non era affatto dissimile da una serie di comuni dalle identiche
caratteristiche sotto l’aspetto della criminalità. Se è pur vero che le cronache dei giornali
riportavano le vicende di Pioltello con un alone di negatività, non è che andassero meglio
le cose negli altri comuni. Il problema è che a Pioltello non c’era nulla da contrapporre in
alternativa a questo fenomeno, il paese faceva notizia solo per questo».
Il fatto che il clima sia migliorato non giustifica certo un eventuale disimpegno sul fronte
della prevenzione e della vigilanza, considerato che a Pioltello continua comunque a
essere diffusa la microcriminalità.
«Qui ci sono rioni nei quali, come assicuratore, devo entrare con attenzione. Spesso mi
arrivano qui in ufficio ragazzi con un pacco di centomila lire per fare l’assicurazione
integrale e io devo rifiutare la richiesta. Ho una clientela che devo salvaguardare e che
non posso compromettere.
Tra il ‘73 e il ‘75, quando avevo da poco assunto in carico l’agenzia, ricordo che la mia
compagnia, su 60 milioni di premi complessivi me ne cancellò 30 perché certe auto che
assicuravo in via Galilei piuttosto che al Satellite mi creavano due, tre sinistri all’anno ed
erano tutti riferibili all’uscita o all’entrata nei parcheggi. Erano i tempi più brutti, quando
l’inserimento per un meridionale risultava difficile».
E oltre a una sempre più efficace lotta alla criminalità viene reclamata da molti nostri
interlocutori anche una più assidua vigilanza urbana.
«La sera e il sabato ci sono degli automobilisti che percorrono vie a senso vietato e la
vigilanza non c’è. I vigili sono in funzione solo durante la giornata e se li si chiama, quando
va bene, arrivano dopo un’ora che è successo il fatto. Questo vale anche per i
carabinieri».
«Nei parcheggi si possono vedere addirittura per settimane e anche per mesi auto rubate,
con i vetri rotti, addirittura bruciate senza che i vigili vi facciano caso».
«Ho notato che se un vigile viene mandato a presidiare una scuola è come se avesse il
paraocchi; non vede niente, non dirige, non dimostra perspicacia».
Qualcuno giustifica questa carenza di vigilanza facendo notare che «ogni comune
dovrebbe avere un vigile ogni ottocento abitanti, ma a Pioltello non ce ne sono tanti quanti
ce ne dovrebbero essere, l’organico è inadeguato, perciò ci sono dei disservizi».
Una critica che invece sembra non trovare né giustificazioni né attenuanti è quella relativa
alla inadeguatezza dei trasporti pubblici extraurbani, in particolare di quelli riguardanti il
collegamento con le strutture sanitarie e con la città di Milano.
«Quello che soprattutto manca qui sono i trasporti. Non c’è un collegamento con la
metropolitana e con gli ospedali. Se io vado a Cernusco so quando c’è e dove passa un
mezzo di trasporto pubblico. Qui a Pioltello non è così. Soprattutto per noi anziani quello
dello spostamento è un problema serio».
«Non c’è un mezzo di trasporto che da Pioltello porti all’ospedale di Cernusco. Io non ho la
patente e se domani mio marito dovesse essere ricoverato in ospedale mi troverei in
grande difficoltà».
«Lo stesso discorso vale per i collegamenti con l’ospedale di Melzo e con il San Raffaele
che è ormai diventato l’ospedale di Pioltello. Anzi, per raggiungere questi luoghi è ancora
più difficile».
«Abbiamo sempre avuto i pullman e anche se erano da far west sono sempre stati tanti. A
Limito un tempo oltre alla stazione c’era il tram che passava sulla statale e c’erano delle
reti di collegamento molto valide, oggi invece non c’è più niente».
Ma a lamentarsi della carenza dei mezzi di trasporto pubblico non sono solamente gli
anziani.
«Chi va a Milano è ancora fortunato, mentre chi deve andare a Monza deve affrontare
un’avventura. Ho un figlio ingegnere che da tre anni va a lavorare alla Malpensa e al
mattino deve partire alle 5 per poi tornare la sera alle 20 proprio a causa della mancanza
di mezzi di trasporto funzionali ed efficienti».
«Io vengo da Como ogni giorno e non posso utilizzare il mezzo pubblico per arrivare qui,
la metropolitana non vi arriva».
«Questa zona è ben attrezzata come viabilità automobilistica, a livello di trasporti pubblici
invece è scarsamente servita. Quando capita che qualche cliente proveniente da Milano
deve venire da noi, questi si trova in grande difficoltà».
«I candidati che vengono da fuori Milano - fa notare l’operatrice di un’agenzia interinale hanno difficoltà a raggiungere questa zona perché non è ben servita dal trasporto pubblico
e anche questo è un fattore di difficoltà per chi cerca lavoro. Gli stessi collegamenti tra
Pioltello e Segrate, tra S. Felice e Segrate sono difficoltosi e se abbiamo un candidato che
ha le competenze, che ha voglia di lavorare, ma che non ha l’automobile è ben difficile che
questo accetti un posto di lavoro presso un’azienda del luogo. Questo è un problema
davvero tragico per questa zona».
E a riguardo dei servizi pubblici in genere le insoddisfazioni e le lamentele non si
esauriscono.
«La posta di Pioltello fa schifo, tant’è che io vado a Cernusco. Oltre alle code ci sono degli
impiegati maleducati».
«Forse è perché lavorano in uffici situati in buchi perfidi, indegni di avere quella funzione e
allora si sono abbruttiti anche loro».
«Il Comune dovrebbe intervenire per creare una struttura che informi e che aiuti le
persone a fare il vaglia postale, perché c’è gente che non è capace di farlo».
Poi «a Pioltello mancano le strutture per gli handicappati».
«Non c’è una ludoteca spaziosa da mettere a disposizione non solo dei ragazzini, ma
anche delle mamme, perché il disagio familiare e la mancanza di luoghi di socializzazione
da noi sono molto forti. E a soffrirne sono soprattutto le donne, anche perché in virtù di
come è nata e cresciuta Pioltello, mancando le scuole e certi servizi, sono riuscite a
qualificarsi professionalmente in poche.
Oggi sono molte le donne che sono ‘in giro’ nel senso che non hanno modo di occupare il
loro tempo perché, a parte quello domestico, sul territorio di lavoro femminile ce n’è poco.
Ci sarebbe bisogno di trovare perciò un luogo dove far ritrovare bambini e mamme per
ricostruire un po’ di questi momenti di socializzazione. Le mamme non sono abituate a
partecipare ai giochi dei loro bambini e noi lo constatiamo quando organizziamo le nostre
iniziative. Pensare dunque a uno spazio grande dove far interagire bambini e genitori
sarebbe l’ideale, soprattutto per un quartiere come il Satellite.
Pensare a una ludoteca significa anche dare delle opportunità alle donne di crearsi
qualcosa, anzi, potrebbe essere gestita proprio dalle mamme stesse. Sicuramente si
creerebbero degli stimoli che avrebbero un beneficio sugli stessi figli.
Dal punto di vista familiare qui a Pioltello c’è una sofferenza che è terrificante. Non è che
qui ci siano fenomeni di asocialità, c’è invece bisogno di creare qualcosa che metta
insieme la gente. E questo vale per tutta Pioltello, compresa la Pioltello vecchia, cioè la
Pioltello ‘bene’».
E sempre a riguardo dei servizi pubblici, il dirigente di un’impresa sottolinea l’opportunità
della realizzazione di una mensa in una località di Pioltello molto frequentata e della quale
potrebbero trarre beneficio molti lavoratori di quella zona, ma non solo loro: «Qui ci sono
molti dipendenti che sono costretti ad arrangiarsi in qualche modo e poi ci sono anche
molti camionisti che vanno e vengono e l’ipotesi di realizzare un piccolo ostello con una
mensa non è del tutto fuori luogo. Rappresenterebbe a mio avviso un grosso affare,
perché anche la notte molti camionisti sono costretti a dormire in cuccetta. C’è gente che
si fa addirittura da mangiare con il fornellino elettrico. Ora c’è un camioncino che fa sosta e
distribuisce i panini ed è sempre pieno di gente».
Le cose da fare, come sottolineano i nostri testimoni, sono parecchie, va però anche
ricordato che a riguardo dei servizi sociali e pubblici Pioltello non è affatto all’anno zero.
Uno stesso critico delle stato di cose presenti ammette: «Va riconosciuto però che negli
ultimi anni la qualità dei servizi è migliorata; qui ci sono due asili nido, poi c’è la piscina».
Soprattutto, «c’è un servizio che l’Amministrazione comunale sta offrendo ai cittadini più
disagiati il quale rappresenta la prima sperimentazione compiuta sul territorio italiano. Per
24 ore su 24 è in funzione un telefono, un numero verde che non costa nulla, che ti può
dare una mano se ne hai bisogno. La centrale operativa fa capo a una società svizzera la
quale ha maturato una lunga esperienza nel settore dell’assistenza. Il servizio assicura il
pronto intervento del medico, dell’elettricista, dell’idraulico, ma in determinati casi anche
dello psicologo e della guardia giurata. L’onere finanziario di questo servizio se lo è
completamente assunto il Comune.
L’esperimento è stato avviato nel giugno del ‘99 e ogni mese io ricevo un resoconto degli
interventi effettuati il quale serve anche a identificare le vie dove succedono i furti o
accadono avvenimenti particolari e funziona, in sostanza, anche come monitoraggio. In un
anno ci sono stati 60 interventi e in verità non sono molti, mentre sono state numerose le
chiamate di assistenza e per chiedere spiegazioni.
I dati ridimensionano il diffuso convincimento che a Pioltello siano estesi i fenomeni di
criminalità, ma sottolineano l’esistenza di una discreta domanda di assistenza per servizi
di tipo casalingo (dall’idraulico all’elettricista).
Noi abbiamo in sostanza messo a punto un network che fornisce informazioni e addirittura
preventivi per gli interventi richiesti.
Ora questo servizio lo stiamo ampliando e per tre mesi lo sperimenteremo anche nei
negozi».
17. L’uso irrazionale del territorio e il problema degli alloggi
Anche a riguardo del modo in cui nel passato è stato fatto uso del territorio e della sua
programmazione le insoddisfazioni sono parecchie.
«Il centro storico a Pioltello non c’è, a Limito dicono di averlo fatto, ma dov’è? Con il centro
storico si riempiono la bocca, buttano fumo negli occhi alla gente».
«Pioltello non ha un centro storico, e perché non ce l’ha? Perché qui nel 1400, 1500, 1600
nessuno aveva i soldi per fare un centro storico».
«Pioltello ha una chiesa senza piazza e un paese senza piazza è un paese disperato e
significa che c’è qualcosa in esso che non funziona».
«Il centro storico di Pioltello è una cosa oscena, hanno rimesso a posto le case, ma sono
rimaste brutte lo stesso».
«Pioltello è costruita da sei sestieri o da sei rioni che non sono coesi; la parte vecchia che
è il ceppo storico sopravvive disperatamente perché non ha un ruolo».
Limito poi, «è tagliata fuori dalla ferrovia, in via Monza c’è solo il sottopasso. Si è avuto
uno sviluppo quando si sono insediate le aziende del polo chimico che hanno creato dei
posti di lavoro, però poi lo sviluppo si è bloccato anche a causa delle lamentele per
l’inquinamento».
«Limito ha una grossa penale, cioè quattro confini ben delimitati: la ferrovia, il polo
chimico, la rivoltana e un progetto di espansione urbana sull’altro lato il quale prevede la
costruzioni di abitazioni prevalentemente di lusso e poi un’area commerciale. A breve
partirà il progetto di raddoppio della rivoltana che ci separa da quest’area e sarà come
raddoppiare la barriera. Andando verso Milano, Limito va a morire contro quei capannoni
che sono tutti adibiti a magazzini e depositi. In sostanza è una realtà chiusa».
«E’ una realtà tutta da rivedere. Come si fa a fare un centro storico se la via Dante è a
senso unico?».
Ma anche «Seggiano è cresciuto in modo raffazzonato come Dio ha voluto. Ora poi
qualcuno ha avuto la bella idea di far edificare in un’unica zona destinata a ville dei palazzi
di quattro o cinque piani, cioè si costruiscono ancora case popolari in mezzo a case
destinate a gente non povera».
«L’aspetto peggiore è che nel passato dentro la città si sono insediati capannoncini un po'
qua e un po' là. C’è stato uno scempio con gli insediamenti delle aziende di autotrasporto
che hanno stravolto Limito e la via Dante e la cui situazione appare antidiluviana dal punto
di vista dell’organizzazione di un territorio.
E’ chiaro che ora queste aziende ci sono e non si possono cacciare via, con loro si deve
convivere e anche per l’Amministrazione comunale gestire una simile situazione non
diventa cosa semplice», commenta un esponente politico dell’opposizione.
«Si deve pianificare lo sviluppo territoriale così come hanno fatto a Cernusco, a Segrate e
in altri comuni lungimiranti».
Per poter dare ordine «bisogna però mettere in condizione le aziende di spostarsi sul
territorio stesso del comune. Quelle che si trovano in mezzo all’abitato sono impiccate e la
loro situazione è un non senso. Bisogna bonificare e trovare un punto di incontro degli
interessi in gioco affinché siano spostate all’esterno con tutte le garanzie del caso».
A riguardo della programmazione urbanistica il manager di una grande impresa insediata
a Pioltello sostiene: «Il territorio deve diventare competitivo e interessante, bisogna però
che le persone si rendano conto che non è possibile cambiare il contesto entro cui Pioltello
è cresciuta. Ciò che occorre è favorire un equilibrio e l’Amministrazione pubblica deve
assolvere al compito di far convivere i diversi interessi che in certi casi sono contrapposti».
E un altro operatore economico osserva: «Dal punto di vista economico-imprenditoriale
Pioltello non ha ancora sviluppato le potenzialità che ha. Se si vuole mettere in piedi
un’azienda qui non c’è una zona industriale omogenea».
Mentre un libero professionista fa notare che «a Pioltello non c’è un solo palazzo destinato
agli uffici, tutti quelli esistenti si trovano al piano terra e hanno dovuto essere sistemati nei
buchi disponibili. Io, ad esempio, ho un ufficio che è diviso in tre parti. Non c’è poi un
centro direzionale quando intorno a noi li troviamo ormai ovunque».
Tabella n. 27
Superfici territoriali destinate alla produzione e aree dismesse - 1987-88- 1997
‘87-’88
‘97
Superfici territoriali produttive (ha)
91,8
121,8
aree dismesse (mq)
4.794
6.000
Fonte: Cciaa di Milano
Se si prendono in considerazione i dati relativi al territorio destinato alle attività produttive
e quelli riguardanti le aree dismesse che sono disponibili per la reindustrializzazione, ci si
rende conto che non è affatto mancata in questi anni recenti la volontà di favorire gli
insediamenti e che pure esiste sul territorio una sia pur modesta disponibilità di edifici
vecchi da ristrutturare.
Osserva un operatore pubblico non di Pioltello: «La struttura urbanistica di questa città è
fatta di quartieri popolari dormitorio ed è una realtà dura da amministrare».
In effetti, «Pioltello ha fatto registrare nei decenni trascorsi una continua costruzione di
case popolari, Gescal, Ina-case, case in 167, di edilizia economica popolare», sostiene un
amministratore pubblico degli anni ‘70. «E’ una città di 35.000 abitanti molto simile a
Cinisello Balsamo, Sesto S. Giovanni, Cologno Monzese. Qui c’è tutta povera gente, non
c’è un solo industriale che risieda qui, non c’è una villa che sia degna di questo nome».
«Allora ad amministrare Pioltello c’era la Dc che è rimasta al governo fino agli anni ‘70 rammenta un esponente politico di sinistra - ma non si può certo dire che le giunte ‘rosse’
che sono succedute non abbiamo perpetuato quella stessa logica, anzi, l’hanno cavalcata
assegnando una parte preminente dei terreni alle cooperative popolari e giustificando
quelle scelte con un bisogno di case che sicuramente c’era, ma che non legittima certe
politiche edilizie che sono state poi attuate».
«Questa era la Stalingrado lombarda», controbatte un nostro testimone che si colloca in
un’area politica opposta. «Prima c’erano i democristiani, poi sono andate al governo le
sinistre e a quel punto il Comune ha costruito case popolari in misura maggiore di tutti gli
altri comuni d’Italia. Le giunte social-comuniste hanno dato tutti i terreni alle cooperative
attraverso la 167 e di conseguenza hanno portato qui tutto un ceto popolare».
«Gli stessi uomini della sinistra riconoscono che nei venticinque anni di governo socialcomunista a Pioltello sono stati costruiti palazzi piccionaie».
Ma anche laddove è intervenuta l’iniziativa dei privati le cose non sono andate molto
diversamente. Ricorda un libero professionista: «A Seggiano, io amministravo condomini e
avrò venduto almeno 400 appartamenti con etti di cambiali per non dire chili, per altro tutte
onorate. Si trattava di gente che magari saltava il pasto ma pagava la cambiale, lavoratori
seri, gente onesta. C’erano famiglie che dopo aver acquistato con sacrifici enormi
l’appartamento, si preoccupavano di acquistarlo per i propri figli. Erano meridionali
immigrati che avevano voglia di lavorare e avevano bisogno di inserirsi».
«Bisognava invece offrire la possibilità di costruire case di qualità per tentare di portare qui
personaggi che qualificassero questa realtà comunale».
«Un conto era la casa in affitto e un altro quella in proprietà per la quale la gente veniva
legata a un mutuo per vent’anni e quindi condizionata. Tutto sommato le cooperative
hanno assolto a un grande compito per i primi tempi, ma poi hanno procurato problemi
nella destinazione del territorio che poteva essere gestita meglio, questo almeno con il
senno di poi. In sostanza, poteva esserci un ordinamento diverso».
Un dirigente del movimento cooperativo precisa che «tutte le Amministrazioni comunali di
sinistra che hanno governato il Comune di Pioltello dal ‘72 in poi, con il solo intermezzo
della giunta leghista, cioè dal ‘93 al ‘97, hanno sempre favorito lo sviluppo del
cooperativismo».
«Qui sono presenti molte cooperative non locali», chiarisce un attento osservatore della
realtà locale. «L’unica cooperativa del posto è stata quella costituita da don Civillini che ha
costruito alcune case e poi si è bloccata. Si è trattato delle prime case costruite in
cooperativa a Pioltello e non si è mai capito perché si siano poi fermati. Localmente non
c’è mai stata una cooperativa forte, qui ci sono sempre state delle diramazioni delle grandi
cooperative, mentre a Cernusco esiste la famosa cooperativa ‘Costante’ che è una
potenza e che è nata con capitali e con mentalità manageriali cernuschesi. Qui ci sono le
grandi cooperative che hanno beneficiato di piani regolatori pilotati e che in quegli anni si
sono spartite le opportunità costruendo case di bassa qualità. Chi entrava in quelle case,
spendeva una barca di soldi, si impegnava e alla fine si ritrovava una casa che dopo
trent’anni era da buttare giù. Hanno costruito le case a tunnel, in cemento armato, le quali
oggi devono essere risistemate. In questi casi ci sono state senz’altro delle responsabilità
politiche importanti».
Simili giudizi, ovviamente, non sono condivisi da chi del movimento cooperativistico è stato
protagonista e fautore.
«A Pioltello esistono altre cooperative, ad esempio legate alle Acli che hanno fatto in
maniera positiva degli interventi, così come li abbiamo fatti noi e in modo sporadico li
hanno fatti altri.
La Cooperativa del popolo di Limito è arrivata ad avere 1.500 soci ed ha assegnato
direttamente circa 400 alloggi e in collaborazione con altre cooperative altri 500-600. Gli
alloggi costruiti a Pioltello da tutte le cooperative qui esistenti saranno più di 2.000, cioè un
quinto delle abitazioni di questa città. Questo è un aspetto storico positivo.
Tre o quattro anni fa la nostra cooperativa ha fatto richiesta di poter far parte dell’albo delle
cooperative, cioè di godere della certificazione che viene rilasciata dal Ministero del lavoro
e la quale attesta che abbiamo sempre operato con intelligenza e rispettando le norme.
Per quel che ci riguarda noi abbiamo sempre lavorato con la Lega delle Cooperative che è
stata per noi un valido referente.
La nostra è stata una delle prime cooperative che oltre a costruire alloggi ha realizzato box
in edilizia convenzionata con il Comune. Ne abbiamo costruiti 180 nel sottosuolo. Ci sono
poi state altre due cooperative che hanno fatto la stessa cosa. Sicuramente la
cooperazione ha dato una risposta importantissima al bisogno di acquisizione di case da
parte di chi ha un reddito basso.
L’ultimo intervento l’abbiamo fatto in piazza Schuster dove, nel ‘96, abbiamo consegnato
gli ultimi alloggi. Attualmente abbiamo oltre 300 soci che ci stanno chiedendo case in
cooperativa. Il 95% di questi sono di Pioltello e sono o inquilini in affitto oppure proprietari
di casa con la necessità di alloggi più grandi. Noi abbiamo dato casa a genitori e a molti
loro figli. Questo risultato ci ha soddisfatto e ha gratificato il nostro impegno sociale dal
momento che la cooperativa non ha scopi di lucro.
Le prospettive odierne sono quelle di gestire l’area di 167 che ci viene destinata dal prg
per costruire nuovi alloggi e per questo abbiamo già iniziato le preiscrizioni. Per il futuro
speriamo di avere la possibilità di operare finalmente oltre l’ambito della costruzione degli
alloggi e conseguire invece altre finalità sociali. Le vicende di ‘tangentopoli’ che hanno
pure investito la realtà di Pioltello non hanno toccato il mondo cooperativo. Qualcuno c’è
cascato dentro, ma non perché legato al movimento cooperativo. Al di là di qualche
problema non abbiamo mai avuto traumi di quella natura».
Un altro aspetto sempre relativo alla questione degli alloggi e su cui viene manifestato da
più soggetti un senso di disagio e di preoccupazione è quello relativo a una diffusa
presenza del subaffitto.
«Qui a Pioltello è diffusa la pratica del subaffitto, specie in zone come il Satellite e piazza
Garibaldi, e investe in particolare il mondo degli extracomunitari. Da parte dei vigili urbani
sono state fatte anche delle retate e in alloggi di due, tre locali sono state trovate stipate
anche dieci persone.
La cosa grave è che a subaffittare sono le stesse persone che in tempi non lontani si sono
trovate nelle medesime condizioni di sfruttamento. Subaffitti fatti da poveri cristi a poveri
cristi sono purtroppo vicende ricorrenti. Quali dimensioni abbia questo fenomeno però non
sono in grado di stabilirlo, so che ci sono stati periodi in cui venivano affittati anche i box
come luoghi dormitorio».
«Qualcuno dà via l’appartamento a 1.500.000 lire al mese e chi ci va dentro o non paga
più o per poter pagare quella cifra deve farne un uso illecito. C’è chi ospita 8-10 persone a
dormire e piglia un sacco di soldi, fa lo speculatore, l’usuraio. E così il Satellite diventa un
porto di mare e a pagare sono quelli più tranquilli».
«Se dovessero fare un censimento al Satellite si accorgerebbero che nel giro di sei mesi
cambia continuamente il tipo di extracomunitari presenti. Prima erano i marocchini a vivere
stipati in venti in un solo appartamento gestito dal meridionale che a sua volta in Germania
aveva vissuto una vicenda di ricatto. Ora i marocchini sono diventati muratori e
guadagnano abbastanza bene e se ne stanno andando. Poi sono arrivati quelli del Bangla
Desh che si sono comprati la casa, infine gli albanesi. Mentre i palazzi esterni del Satellite
sono belli perché hanno degli spazi enormi di verde, all’interno ci sono le due torri che non
avrebbero dovuto esistere e che sono delle cose pazzesche. Sono questi i luoghi dove si
insediano i disperati e dove avvengono frequenti passaggi di proprietà. Dall’interno si
passa all’esterno e poi da qui si investe altrove. Molta gente che è venuta da Milano e che
si era comprata l’appartamento al Satellite, quando si è resa conto che il suo vicino non
era più il milanese, ma l’extracomunitario, si è fatta la villetta a schiera altrove».
«Non è certo semplice, ma bisognerebbe impedire ai proprietari di queste case di
compiere questi atti», suggerisce una nostra interlocutrice.
E altri ancora osservano: «Gli amministratori per rimediare tutto dovrebbero buttare giù
piazza Garibaldi e le torri che sono nel centro del Satellite».
«Di questo dovrebbero farsene carico le autorità. Occorre selezionare la gente che entra,
anche se capisco che questo non è facile perché prima lo deve fare il proprietario e poi
deve anche intervenire la gente e le autorità».
«Il sindaco è intervenuto proibendo l’insediamento qui della casa da gioco, però quello era
un negozio dove la gente va e viene. Un’abitazione è invece un’altra cosa, li ci stanno in
permanenza. Dipende dal buon senso della gente».
Dopo di che, come fanno notare alcuni nostri interlocutori residenti al Satellite, esiste
anche il «problema delle insolvenze che penalizza le famiglie oneste».
«Noi qui siamo in 220 famiglie e tra queste ci sono cinque o sei persone che non pagano e
gravano sul condominio. A buttarli fuori non si può e qualora si tentasse di farlo si
impiegherebbero dieci anni. Per le opere straordinarie questi gravano su tutti gli altri.
Spesse volte ci sono degli amministratori che dovrebbero darsi da fare per risolvere simili
questioni e invece non lo fanno. Conosco gente che fa sacrifici, suda sette camice per
stare qui. In questo condominio noi abbiamo pagato due volte le ristrutturazioni in quattro
anni e ancora non è finita. Io personalmente ho speso 52 milioni di lire per la
ristrutturazione e non ho avuto neanche pulito il balcone di casa. A chi ha l’appartamento,
quando rifanno i frontalini del balcone, deve pagare 6-7 milioni di lire. Ci sono più spese
straordinarie che ordinarie e questa è la ragione per cui l’appartamento non rende più. A
quel punto uno si stufa e vende. E di casi del genere se ne sentono raccontare tutti i
giorni».
«A questo punto entrano i faciloni, quelli che dicono che pagano e poi non lo fanno. Ora ci
sono i marocchini , gli albanesi e così via. Al Cilea 1 c’è un gruppetto di belle famiglie tra
cui un dottore che nel condominio ha fatto molte spese, ha messo il riscaldamento
autonomo. Sopra di lui però c’è una squadra fatta di gentaglia che ne combina di tutti i
colori e di notte non riesce a dormire. Ora ha deciso di mettere in vendita l’appartamento e
così facendo lo butta via. Succede che la parte buona della popolazione del Satellite se ne
va».
«Il sindaco lo sa che l’anno scorso qui c’era una mora per il gas e per l’acqua di 200
milioni di lire».
Insomma, di problemi non ne mancano per davvero. Come però intervenire per dare
soluzione a situazioni tanto complesse e difficili da affrontare, per certi aspetti addirittura
drammatiche, nessuno è in grado di indicarne i termini e i modi.
18. I propositi per un riordino urbano
«Noi - dichiara un amministratore comunale - abbiamo cercato di far sì che con il nuovo
piano regolatore potesse esserci una rinascita della città, un rilancio di questo comune che
ha delle potenzialità notevoli.
Abbiamo cercato di fare i conti con il fatto che Pioltello non è disposta come altre città
similari e che l’assenza di un centro cittadino ben individuato non facilità affatto una senso
di appartenenza. Per questo abbiamo teso a favorire una ricostruzione dei diversi centri e
a stabilire una connessione tra loro in modo da far sentire la città maggiormente propria
dei cittadini e insieme più sicura.
Per la posizione che vanta Pioltello, chi proviene dall’Est Milanese per arrivare a Milano
deve per forza attraversarla. Questa sua posizione strategica deve essere sfruttata e non
deve comportare solo un dare, ma può anche significare un ricevere senza risultare in
posizione di subordine nei confronti della metropoli.
Certo, i problemi sono tanti: c’è la presenza del polo chimico, una diffusione di aziende di
trasporto e logistica, il passaggio sul territorio di Pioltello di due grandi arterie viabilistiche
e della ferrovia, c’è poi il problema delle cascine da salvaguardare. Si tratta indubbiamente
di fattori macroscopici che fanno deprimere al solo pensiero di mettere mano a questo
territorio».
A sottolineare l’impegno dell’Amministrazione comunale nell’affrontare questa complessa
situazione è uno stesso esponente dello schieramento di opposizione il quale così
commenta le scelte che si stanno compiendo: «Stiamo approvando un piano regolatore
che ha tra l’altro l’obiettivo di disegnare la struttura urbanistica anche dal punto di vista
dell’evoluzione sociale del territorio e alcune scelte come quella di portare fuori dai centri
storici alcune unità produttive in modo che abbiano l’opportunità di avere accessi più rapidi
e comodi, la quale costituisce una vera e propria novità per Pioltello dal momento che i
piani regolatori sono sempre stati fatti sulle case».
Anche se qualcuno fa notare che «oggi a Pioltello ci sono solo due grossi immobiliaristi, e
perciò sul fronte del frazionamento delle proprietà non ci sono più interessi per cui litigare
o per prendere iniziative di un certo interesse», non mancano critiche per il modo in cui gli
amministratori pubblici hanno trattato certi proprietari di terreni.
«Noi oggi abbiamo ancora dei terreni a Pioltello che cerchiamo di rendere edificabili.
Erano tali in seguito alla convenzione sulle infrastrutture che avevamo sottoscritto con il
Comune tempo fa, ora però ci troviamo di fronte a degli espropri e tutto quello che noi
abbiamo fatto nel passato per la comunità locale è stato completamente dimenticato. E’
una cosa abominevole. Ci odiano e con il piano regolatore ci hanno dato solo legnate. Ci
sono rimasti solo 40-50.000 metri quadrati e anche questi sono sotto mira del Comune.
Noi saremo forse stati cattivi, ma i nostri errori li abbiamo pagati attraverso i minori ricavi e
non dovrebbero perciò metterci in croce, anche perché noi siamo sempre stati adempienti
verso l’amministrazione pubblica e quando essa ha avuto bisogno di aree le abbiamo
cedute e abbiamo sempre collaborato».
In merito al destino delle aree di una certa estensione non ancora edificate un
amministratore pubblico precisa: «Non abbiamo voluto punire nessuno. Qui c’è un’area
sulla quale a metà degli anni ‘80 si parlava di costruire una cittadella della televisione e
successivamente di una cittadella della telefonia. Quello che noi abbiamo fatto è stato di
cercare di ridurne l’impatto, perché secondo noi si trattava di un impatto eccessivo che
avrebbe comportato un carico viabilistico notevole quando praticamente non ci sono
infrastrutture sufficienti a reggerlo. Più o meno si trattava di un milione di metri cubi e noi
l’abbiamo ridotto del 50% e abbiamo imposto 120 mila mq complessivi circa, 80 mila
destinati al terziario e 40 mila, cioè un terzo, alla residenza la quale serve come presidio
della zona onde evitare il degrado notturno. Cosa poi i proprietari ci costruiranno sopra
non ho la benché minima idea».
«Stiamo poi cercando di spostare le aziende che sono storicamente collocate all’interno
dell’abitato e che risultano incompatibili con il vivere tranquillo dei cittadini i quali hanno
diritto di poter dormire la notte e di non sentire le puzze e i rumori», aggiunge un
esponente dello schieramento di maggioranza. «Questo sforzo nel cercare di dare ordine
a Pioltello è una politica che a noi sta molto a cuore. A causa degli errori compiuti nel
passato, però, ci troviamo nella condizione di non avere abbastanza territorio per poter
compiere scelte tali da conseguire gli effetti positivi desiderati».
E l’elenco di ciò che si è inteso conseguire con il nuovo strumento urbanistico continua.
«Abbiamo anche cercato di tradurre l’urbanistica in sicurezza, nel senso della percezione
di una sicurezza personale, unitamente ad altre iniziative specifiche dal momento che il
problema assume diversi aspetti. Oltre all’operazione relativa al coordinamento tra i diversi
comuni della zona, ci siamo adoperati per garantire la sicurezza nelle scuole e negli edifici
pubblici investendo fior di quattrini per il rilevamento degli impianti e l’applicazione delle
norme su tutti gli apparati elettrici che erano privi delle garanzie più elementari (dalle
uscite alla presenza di eternit sulle coperture). In tre anni abbiamo in sostanza messo in
sicurezza tutti gli edifici.
Nel piano regolatore abbiamo attuato una salvaguardia estrema del verde e addirittura ci
sono delle fasce ecologiche che vanno a salvaguardare alcuni percorsi e alcune trame
preesistenti come i fontanili, alcuni dei quali non sono più attivi. L’intenzione nostra è
quella di riattivarli, così come abbiamo fatto al Castelletto, per ricreare quell’ambito florovegetativo che caratterizzava Pioltello nel dopoguerra. E’ questa una testimonianza attiva
di come era il territorio e noi la vogliamo offrire alle nuove generazioni. Questi percorsi
sono stati fatti anche per controllare l’immagine dell’espansione della città, quindi per
contenere l’ambito urbano.
Abbiamo pure stabilito che nei prossimi dieci anni la popolazione pioltellese non deve
avere un aumento superiore a quello fisiologico, cioè non deve superare il 10%, un limite
giusto per i figli che nascono e le persone che si sposano».
«Attorno a Pioltello ci sono comuni che non hanno più nemmeno un metro quadrato di
terreno per metterci il vaso di fiori - osserva un’esponente della maggioranza - e noi non
intendiamo fare quella fine».
«Poi abbiamo fatto in modo di riqualificare i cascinali per dare la possibilità di nuove
attività economicamente interessanti».
Una prospettiva questa che viene accolta favorevolmente da un operatore economico il
quale suggerisce: «Le cascine potrebbero essere ristrutturate e trasformate in botteghe
d’arte e dei vecchi mestieri, oltre che come luoghi che ospitano centri dell’informatica. Si
possono poi utilizzare anche come residenza di persone handicappate sole che sono
assistite dal volontariato. Si potrebbero altresì utilizzare per favorire l’autoimprenditorialità
dei giovani ricorrendo ai fondi dell’Unione Europea e dando vita a legatorie di libri,
restaurazione di mobili, officine per il ferro battuto, e così via. Questo sarebbe non solo
motivo di aiuto ai giovani sul fronte occupazionale, ma anche una maniera per promuovere
la socializzazione e l’aggregazione sociale».
Non tutti però apprezzano gli sforzi compiuti dall’Amministrazione comunale nel redigere il
nuovo piano regolatore e mettono in discussione gli obiettivi che con esso si intendono
perseguire.
«Anziché dare la possibilità agli artigiani di crearsi una prospettiva di sviluppo destinando
questi terreni all’espansione industriale, hanno preferito riconfermare l’agricoltura il che è
antimoderno. Hanno preso la scusa di salvaguardare il verde contro il rischio della
cementificazione. E’ giusto tenere conto che l’uomo deve respirare e che il verde è
necessario, però se per certi luoghi va bene, questa regola non vale per noi. Questa è
una zona di sviluppo e non la si può tenere ferma».
«Ritengo che il fare una pista ciclabile in una zona industriale come hanno fatto qui sia un
errore. Vedo utili queste realizzazioni solo nelle zone residenziali».
«L’ultima cosa che hanno fatto è stata quella degli orti per gli anziani, in via S. Francesco.
Hanno fatto un prato ed è rimasto un filare di una quindicina di alberi vecchi di settant’anni.
Fanno il progetto urbanistico, disegnano gli orti, fanno la pista ciclabile e poi abbattono gli
alberi per sostituirli con dei nuovi. E’ stata una scelta inaudita, io ho avuto un impatto
emotivo bruttissimo e penso lo sia stato per tutte le mille persone che abitano in quella
zona. Gli alberi erano sanissimi e per realizzare gli orti e la pista ciclabile non era
indispensabile abbatterli».
C’è poi chi ritiene che per ridare un volto moderno a Pioltello «sarebbe il caso di rivolgersi
e far prendere in mano la situazione a professionisti del livello di Renzo Piano».
Ma dello stesso avviso non è chi ha la responsabilità di amministrare Pioltello.
«Sullo strumento urbanistico si manifestano ovviamente sensibilità diverse: uno ha la
fissazione della salvaguardia del verde, un altro quella del traffico e c’è anche chi si
preoccupa della zona artigianale e degli insediamenti industriali. Che poi questo sia
necessariamente indice di una sensibilità particolare o di una precisa politica, direi proprio
di no. La vocazione dell’urbanistica è proprio quella di essere partecipata e la
partecipazione è parte integrante del suo progetto costitutivo.
Solo di recente è stata avviata a Pioltello una fase delicatissima che ha significato una
riappropriazione e un riuso del territorio.
Pioltello oggi si presenta decisamente come una città policentrica.
Lo sviluppo storico di Pioltello può essere, a mio avviso, inquadrato a partire dal tema
della deterritorializzazione.
La trasformazione dei luoghi in siti è parte integrante del processo di degrado delle
metropoli e delle aree conglobate nelle metropoli dove si verifica l’abbandono della cura
della città da parte della comunità insediata. La città non appare più di nessuno.
A Pioltello interi quartieri di residenza vivono questo problema. La perdita di sapienza
ambientale ha provocato la rottura di delicati equilibri che ora torna difficile ricostruire. Si
tratta di un territorio completamente lobotomizzato.
Oggi che il processo di consumo del territorio è in stato avanzato, diventa necessario
riorganizzare il ‘genius loci’ e mettere in campo un’intelligenza collettiva per individuare e
dare soluzioni ai bisogni che esprime la comunità».
19. La questione ambientale
«Ancora oggi il polo chimico rappresenta un problema per la popolazione locale perché
continua a disturbare in termini di rumore. E’ certo vero che rispetto agli anni passati sono
diminuite le emissioni di odori, ma checché se ne dica, dal punto di vista pratico la bonifica
non è ancora partita. Esistono poi differenti risultati tra il monitoraggio fatto dalle aziende e
quello fatto da altre strutture e questa diversità di valutazioni induce a preoccupazione»,
chiariscono gli esponenti del movimento ambientalista locale.
Non solo, ma «con il passare del tempo al caso del polo chimico si sono aggiunti i
problemi dei trasporti nell’area di Seggiano, quelli della ferrovia che sono ancora aperti,
poi c’è il passaggio degli aerei, insomma, qui ci sono problemi molto forti dal punto di vista
ambientale».
Nel ciclone, a dire degli interessati, si ritroverebbe in particolare Limito.
«Questa è la parte di Pioltello più disperata perché qui ci sono sia le industrie chimiche
che gli autotrasportatori i quali lavorano anche la notte e disturbano gli abitanti con il
funzionamento degli impianti e con la movimentazione dei muletti».
«Sia il polo chimico che gli autotrasportatori hanno causato degli scompensi che durano
ormai da vent’anni e per i quali non si è ancora trovata una soluzione».
Il movimento ecologista locale è infatti nato e cresciuto contestando il polo chimico.
«A cavallo degli anni ‘80 - raccontano - c’è stata un’indagine fatta da alcuni medici che
evidenziava dei casi di tumore, soprattutto polmonari, concentrati a Limito che era una
zona a rischio proprio a causa delle emissioni sia nell’aria che nelle acque di falda da
parte di un’azienda del polo chimico. La contestazione è partita da lì».
Quell’indagine venne però contestata dall’azienda in questione e pure dai rappresentanti
sindacali dei lavoratori. «La tesi secondo cui nell’area di Pioltello-Rodano si sia verificata
una percentuale superiore di morti di cancro è stata smentita dalle statistiche. Il problema
vero è che vale la regola corrente e diffusa secondo cui si riconosce l’utilità
dell’inceneritore o della discarica di rifiuti, però nessuno li vuole vicini a casa propria. E’
chiaro che qui non si fabbricano bambole, ma prodotti chimici. Noi lavoratori comunque
siamo sempre stati impegnati a far si che i processi produttivi non avessero a danneggiare
la salute dell’uomo né dentro né fuori la fabbrica», sostengono i delegati di una delle
aziende del polo chimico.
Di opinione differente sono invece alcuni residenti di Limito i quali ricordano che fin da
bambini scorgevano «montagne bianche di rifiuti senz’altro tossici e il fondo del suolo non
era stato preparato per impedire le infiltrazioni. Questa situazione è durata venti o
trent’anni, senza alcuna protezione e con i rifiuti abbandonati all’aperto. Qualche problema
c’è dunque stato. Noi abbiamo cambiato di recente le inferiate dei balconi ed erano tutte
corrose, il ferro si sbriciolava nonostante fossero sempre state verniciate a dovere.
Figuriamoci quali sono gli effetti che queste emissioni hanno avuto e hanno ancora sulle
persone».
Non tutti però la pensano in questo modo.
«Che l’inquinamento abbia causato dei danni alla salute non lo so. Hanno detto che c’è
stato un alto tasso di mortalità per cancro, ma io vedo che di questo brutto male si muore
in tutti i paesi, anche in quelli di montagna».
«Il polo chimico a me non ha mai procurato dei problemi anche perché è a sud della mia
abitazione e sia l’aria che l’acqua vanno in quella direzione».
E a proposito delle mobilitazioni ecologiste di quel tempo il rappresentante di una delle
aziende chimiche afferma: «Ci sono state delle fasi di grossa conflittualità non tanto con la
popolazione, ma con i gruppi ecologisti locali che le hanno generate e che erano
l’espressione della piccola borghesia in rivolta più che del popolo. Si è trattato di quei
milanesi che avevano abbandonato la città e si sono fatti la casa a Pioltello i quali si sono
poi ritrovati le fabbriche chimiche a ridosso. Ogni malodore che si avvertiva, a dire di molti,
era necessariamente prodotto da una ben individuata azienda, magari poi si scopriva che
era emesso da un’altra. Questa allora diventava il mostro da sbattere in prima pagina
perché rappresentava i cattivi. Il tutto all’interno di un gioco di strumentalizzazioni e di
demagogia.
Tutte le Amministrazioni comunali hanno dovuto pagare un pedaggio pesante a questi
gruppi i quali hanno saputo creare un’atmosfera di allarme, di paura spesso infondata. Il
caso più tipico è quello di una causa che è stata intentata dall’azienda in questione contro
questi gruppi perché avevano sostenuto che erano successe al suo interno certe cose,
quando invece il danno che in quella circostanza si era registrato era pari a quello di una
piccola tanica di benzina verde buttata per terra. Loro avevano sostenuto in
quell’occasione che il primo maggio di quell’anno poteva essere l’ultimo per Pioltello e
Rodano».
«A quell’epoca, noi come sindacato ci siamo trovati tra due fuochi», rammenta il
responsabile della Rsu di questa azienda. «Da una parte avevamo il datore di lavoro,
dall’altra l’ambiente esterno come società civile. Abbiamo subìto i ricatti occupazionali da
parte dell’azienda perché pretendeva che fossimo noi a difendere il suo operato e così
abbiamo rischiato di essere scambiati come degli antiambientalisti nel difendere la nostra
condizione di lavoratori. Noi siamo sempre partiti dal principio che non si inquina fuori se
non si inquina all’interno della fabbrica dove operano i lavoratori. Se non c’è la
compatibilità ambientale non si può e non si deve continuare a lavorare».
Ma in difficoltà a quei tempi non è venuto a trovarsi solo il sindacato.
«Quando io come sindaco, spinto dai sindacati, ho incominciato a fare in modo che la
sicurezza fosse assicurata all’interno dell’azienda e poi anche per gli abitanti della zona,
dopo che avevo emesso delle ordinanze, mi sono trovato ad avere a che fare con cento
operai di quell’azienda che mi volevano linciare perché erano convinti che io
compromettevo il loro posto di lavoro. I medici che entravano nelle aziende per eseguire i
controlli venivano cacciati fuori malamente. Eppure, la magistratura non è mai intervenuta
e alla fine questi medici hanno dovuto desistere dallo svolgere i dovuti controlli».
Da parte loro le imprese si giustificano sostenendo che quelli erano «anni in cui non si
aveva la consapevolezza dei danni che venivano recati all’ambiente per cui, se è vero che
ne sono state fatte di tutti i colori, a farle sono stati tutti. L’ecologia allora non era
conosciuta. Anche noi abbiamo fatto cose che con la coscienza di oggi non sarebbero
state fatte e purtroppo i rapporti con la popolazione hanno cominciato ad essere
conflittuali».
«Restano tutt’oggi delle remore, c’è ancora un sottofondo di antindustrialismo che di tanto
in tanto emerge e che sicuramente è da mettere in relazione al fatto che quello di Pioltello
è l’ultimo polo chimico dell’hinterland milanese», rimarca un dirigente d’azienda. Mentre
un altro precisa: «Le difficoltà sono dovute anche al fatto che per definizione le aziende
chimiche sono un problema per l’ecologia e la popolazione delle zone in cui siamo
insediati vuole ovviamente vivere in modo tranquillo dal punto di vista della sicurezza».
Sta di fatto che l’inquinamento c’è stato e rischi e pericoli non sono ancora scomparsi.
Non molto tempo fa i tecnici della Asl hanno trovato nelle acque dei fiumi del lodigiano
delle sostanze inquinanti. «Proprio l’anno scorso nei pozzi di acqua potabile fino a Lodi è
stato trovato un composto delle cefalosporine che è l’MMTT il quale non è tossico, però
avrebbe dovuto essere depurato dall’impianto», spiega un medico.
Ma il problema più preoccupante resta indubbiamente quello della presenza delle
discariche.
«Nel sottosuolo di un’azienda del polo chimico si trovano nascoste delle vere e proprie
bombe. Il suo stesso amministratore delegato qualche tempo fa ha ammesso
pubblicamente per la prima volta che in quelle discariche ci sono sostanze altamente
nocive, compreso il mercurio».
E le rappresentanze sindacali dell’azienda in questione così descrivono la situazione: «Noi
abbiamo tre discariche, la ‘A’, la ‘B’ e la ‘C’ che è quella che più fa discutere. il fatto è che
non si sa esattamente cosa ci sia al suo interno. Mentre per le prime due sono in
discussione alcuni esami fatti per accertare il grado di nocività del contenuto, per la ‘C’ la
situazione è molto confusa. L’intesa raggiunta al Ministero è quella di costruire due
sarcofaghi di cemento e poi di travasare in questi i rifiuti accumulati in modo che siano
isolati e posti sotto controllo».
Mentre il rappresentante della stessa azienda precisa: «Una delle questioni che è rimasta
sul tappeto è quella delle discariche e l’azienda, per tagliare la testa al toro, si è assunta
l’onere di realizzarle, anche se non spetterebbe ad essa farlo. Non si può infatti applicare
la regola del ‘chi ha sporcato paga’ perché l’azienda ha sporcato sì, ma in anni in cui non
era vietato sporcare, cioè erano tempi quelli in cui ogni complesso industriale aveva la sua
discarica di accumulo.
Ci sono dei bidoni, dei rifiuti del cui smaltimento l’azienda, dopo un tira e molla infinito, ha
deciso di farsene carico. Perché si possa rimediare a questa situazione, però, è
necessario che all’azienda venga concesso di fare nuove produzioni e di modificare quelle
attuali. Questo si scontra con la teoria delle Amministrazioni comunali precedenti che è
stata quella della delocalizzazione e la quale non tiene conto dell’esperienza di Pero dove
le aziende se ne sono andate scaricando tutta la responsabilità della bonifica sulle spalle
della comunità.
I più illuminati hanno capito invece che è bene che l’azienda resti lì e che si lavori insieme,
attraverso i dovuti controlli, per risanare e assicurare una pacifica convivenza. Le
organizzazioni sindacali hanno questo atteggiamento e così la pensano anche gli
esponenti della Asl».
E chi ha appunto la responsabilità del controllo ambientale chiarisce: «La discarica ‘C’ è
quella più pericolosa perché contiene tutti i composti più inquinanti: dagli ftalati al
mercurio, ai policiclici e questo, secondo me, omologa la falda. A questo riguardo, però,
c’è una divergenza tecnica tra noi e i periti dell’azienda.
In questa discarica, che è da mettere definitivamente in sicurezza al più presto, ci sono
anche duemila fusti. La preoccupazione deriva dal fatto che si tratta di sostanze attive e
nessuno può escludere che ci sia un accumulo e poi un riaccumulo di qualcuna di esse
che scappa all’impianto di depurazione. Noi abbiamo sempre chiesto di collettare le acque
di processo a un vero corso d’acqua che non deve servire per irrigare i campi e non deve
finire in fognatura».
Una rappresentante dell’organizzazione ambientalista fa presente che oltretutto «esistono
delle incompatibilità per le quali non si può fare finta di niente: la vicinanza della discarica
alla linea ferroviaria, ad esempio, è una cosa davvero terrificante».
L’aspetto inquietante è che la bonifica promessa rischia di non essere portata a
compimento, come da accordi sottoscritti da tutte le parti interessate, dal momento che
l’azienda in questione ha cessato l’attività ed è stata dichiarata in stato fallimentare.
Rispetto alla situazione generale i tecnici dell’Asl assicurano che «il territorio di Pioltello
dal punto di vista ecologico è sotto controllo. In confronto ad altre realtà, come è il caso di
Castellanza, la situazione di questo polo chimico è molto migliore. Dopo le denunce e le
vicende giudiziarie le aziende si sono allineate e hanno fatto alcuni lavori importanti.
La stessa azienda che maggiormente è responsabile dell’inquinamento si è allineata ai
parametri di legge ed è andata anche oltre. Oggi è una delle migliori aziende chimiche che
si conoscano dal punto di vista del rispetto dei termini di sicurezza, lasciando ovviamente
a parte il problema delle discariche. Lo stesso discorso vale per le altre aziende lì
insediate. E tutto questo è dimostrato dalle cifre: tutti i parametri d’inquinamento sono
scesi, alcuni addirittura di dieci volte rispetto a quelli che si registravano un tempo. Le
condizioni che c’erano vent’anni fa non ci sono più. I problemi esistono, ma non hanno più
la drammaticità del passato e possono essere inquadrati in un ambito di scelte politiche di
tipo amministrativo e non più sanitario».
A confermare lo stato di normalità sono gli stessi ambientalisti: «In tutti questi anni di lotte
e di contestazioni abbiamo sempre avuto la preoccupazione del polo chimico. Oggi
possiamo dire che come non mai siamo in presenza di una situazione di tranquillità dal
punto di vista ambientale. Va detto che per la maggior parte delle aziende insediate nel
polo chimico, rispetto al passato, oggi c’è molta più disponibilità alla collaborazione. Una di
queste aziende ha deciso di installare più di una centralina per monitorare l’inquinamento
acustico, ha poi deciso di realizzare la barriera verde e questo per noi è un riscontro
importante delle lotte che abbiamo fatto in tutti questi anni».
Ed è pure cambiato il linguaggio degli stessi rappresentanti delle imprese: «Noi sappiamo
di essere un gruppo che ha anche inquinato l’Italia in tempi in cui lo stato di conoscenza
della scienza e la sensibilità della gente erano molto arretrati rispetto ad oggi. Ora però il
gruppo è molto attento verso i problemi ecologici».
E una maggiore attenzione è il requisito dichiarato da tutti gli operatori industriali.
«Faccio periodicamente tutte le analisi sulle emissioni, sui rumori e sono disponibile ad
avere tutti controlli che vengono richiesti. Quello che chiedo è che mi si metta in condizioni
di lavorare».
Anche l’azienda più discussa, prima di cessare le produzioni, aderiva al progetto
«Responsable Care» il quale «è un progetto di responsabilità ambientale. L’azienda ha
ottenuto poi tutti i più selettivi parametri Iso 9000 ed è stata una delle prime in Italia a
conseguire un determinato parametro di qualità ambientale, perciò vanta tutte le
caratteristiche e le prerogative del caso».
Annota il dirigente di un’altra azienda del complesso chimico: «I problemi più grossi che
abbiamo avuto sono derivati dalla grande ostilità della gente al polo chimico, ma anche
dalla scarsa attività che l’azienda ha fatto per farsi conoscere e per sottolineare le sue
specificità e le differenze rispetto al resto del polo chimico. Come recenti studi hanno
dimostrato, noi siamo l’azienda che, pur essendo classificata nella categoria ‘grandi rischi’,
ha un impatto ecologico quasi nullo.
Ora da questa situazione stiamo lentamente uscendo anche grazie a una serrata politica
di attenzione verso il sociale».
Le rassicurazioni e il clima disteso non cancellano però del tutto le ragioni perché si
continui ad essere preoccupati a riguardo del destino futuro del polo chimico. Afferma un
tecnico dell’Asl: «Se capisco l’atteggiamento assunto verso queste problematiche dalle
popolazioni, non riesco a comprendere l’atteggiamento che invece hanno avuto le
Amministrazioni comunali le quali hanno recepito in maniera troppo piatta le lamentele
della gente.
Mentre un Comune agiva per la chiusura, noi come Asl agivamo per la bonifica e questo
ha comportato una divergenza che non ha certo favorito la soluzione dei problemi. Una
cosa chiara è che non si può chiedere alle aziende del polo chimico di bonificare il
territorio e poi costringerle a chiudere i battenti, magari perché le pubbliche istituzioni
intendono costruire su quell’area una stazione di interscambio metropolitana-ferrovia. A
quel punto dovrebbe essere il pubblico a bonificare la zona dopo aver dato un incentivo
alle aziende per trasferirsi altrove.
Una dislocazione del polo chimico nell’attuale congiuntura economica, ma anche in quella
di dieci o vent’anni fa, è un’utopia. Fra le ditte da dislocare, per esempio, ce ne sarebbe
una che ha qualcosa come 300 chilometri di ossigenodotto che parte da lì e serve tutta
Italia, il che creerebbe indubbiamente qualche problemino.
C’è invece un’azienda che ha impianti di trent’anni fa i quali vanno chiusi.
La strada giusta è quella delle convenzioni ecologiche. E’ una strada un po’ stretta, però è
percorribile, e se fossi io nei panni delle Amministrazioni comunali la percorrerei anche ai
fini del mantenimento dell’occupazione che oggi assicura il polo chimico.
Il Comune di Pioltello ha accolto il mio suggerimento di non dire alle aziende niente in
assoluto, ma di proporre di volta in volta delle convenzioni ecologiche. Ovviamente, per
alcune aziende le condizioni devono essere abbastanza rigide, specie sul piano
dell’edificabilità, dal momento che tutte sono fuori dei limiti. Però è necessario che
permettano loro di fare delle lavorazioni nuove, il proibirglielo sarebbe un errore».
A riguardo delle iniziative intraprese nei confronti delle aziende del polo chimico un
amministratore pubblico precisa: «Il problema grosso è quello della falda e a me sarebbe
piaciuto che si fosse trovato il modo di risolverlo. All’interno delle norme del nuovo piano
regolatore abbiamo inserito la possibilità di fare delle convenzioni per ogni nuovo impianto,
così come è stato previsto dall’accordo con la Regione. Per ora ne abbiamo fatta solo una
relativa al polo chimico, ma siamo fermamente intenzionati a proseguire su questa strada.
Il problema è che purtroppo nessuno ha saputo darci una traccia circa la strutturazione di
queste convenzioni perché sono una novità in assoluto. Credo comunque che ce la siamo
cavata discretamente e proprio sulla scorta di questa esperienza positiva riproporremo
un’identica soluzione ad altre aziende anche in situazioni differenti».
A riguardo del fatto che tra l’Amministrazione comunale e le aziende del polo chimico ci
debba essere una volontà di trattativa e di collaborazione, si registra consapevolezza
anche tra i cittadini. «Non si devono chiudere le aziende, esse possono coesistere con le
abitazioni, vanno invece migliorate le cose con gli strumenti tecnici che oggi ci sono»; «io
credo che occorra andare a un’operazione di sfoltimento nell’area del polo chimico per
rendere quella realtà produttiva molto più compatibile con l’ambiente».
E c’è pure chi sostiene che la presenza delle aziende del polo chimico potrebbe portare
addirittura dei benefici alla comunità pioltellese. «Un problema non risolto è quello relativo
allo sfruttamento del vapore dell’acqua. Una delle aziende del polo chimico rilascia molto
vapore dalle torri di evaporazione e anziché disperderlo questo vapore potrebbe essere
usato benissimo per il teleriscaldamento, risparmiando così energia per il riscaldamento
delle case».
E a questo riguardo il rappresentante di una di queste aziende ricorda di aver «proposto
che le emissioni di vapore acqueo fossero utilizzate per il teleriscaldamento, il che avrebbe
significato il rimpiazzo di centinaia e centinaia di piccole caldaie che inquinano.
Nonostante fossero stati fatti dei progetti a questo riguardo, i quali tra l’altro, sono costati
miliardi, non se ne è fatto nulla perché, secondo qualcuno, questo avrebbe significato
radicare l’azienda sul territorio. E’ successo così che le amministrazioni comunali hanno
bocciato una simile prospettiva».
Ma i problemi di compatibilità ambientale non si limitano alla presenza del polo chimico.
Lagnanze e addirittura vere e proprie vertenze tra aziende e cittadini si sono verificate
anche in altre zone cittadine dove certe attività produttive si trovano insediate all’interno o
a ridosso dei centri abitati.
Raccontano i dirigenti di alcune di queste aziende: «Il problema che abbiamo avuto in
questo stabilimento è proprio costituito dalle lamentele della gente che abita qui vicino. Nei
nostri confronti c’è stata quasi una psicosi, tutto quanto veniva percepito come rumore di
disturbo era attribuito a noi. C’erano addirittura delle persone che facevano intervenire i
vigili perché un camion, in attesa di scaricare, teneva il motore acceso. E qui da noi ne
arrivano dai 12 ai 18 al giorno. Oggi ci sopportano anche perché noi abbiamo cercato di
eliminare tutte le fonti di disturbo».
«L’inconveniente che abbiamo è la concomitanza di un’area industriale con un’area
residenziale e questo provoca disagi a chi vi abita. Dal mattino alle 7,30 fino alle 19-19,30
di sera, a volte anche oltre, qui c’è attività e quindi movimento.
Noi abbiamo un potere sul personale interno, ma non su quello esterno. Se un automezzo
con il compressore per la cella frigorifera non spegne il motore e se ne va per i fatti suoi,
non è cosa semplice per noi intervenire per farlo spegnere. I cittadini hanno giustamente
ragione di lamentarsi, ma d’altra parte non è colpa nostra se le loro abitazioni sono state
costruite ai confini dell’azienda. Per evitare i disagi lamentati noi dovremmo cessare di
lavorare. Si sta cercando da tempo di trovare le giuste soluzioni, ma la cosa non è
semplice».
In effetti, l’uso promiscuo che si è fatto del territorio è all’origine di tutte queste
contraddizioni.
«E’ accaduto che progressivamente intorno alla nostra azienda si sono insediate anche le
abitazioni e la speculazione edilizia ha dilagato. Questo è avvenuto a seguito dei processi
di immigrazione e ha fatto sì che si venisse a creare una situazione contraddittoria dal
punto di vista ambientale».
Non manca però chi sostiene che comunque esistono delle aziende che creano danni per
l’ambiente circostante indipendentemente dal fatto che la loro localizzazione sia interna o
esterna all’abitato. «Se l’Asl facesse un salto qui ogni mese sarebbe un’ottima cosa. Qui
certe irregolarità avvengono di notte quando appunto l’Asl è chiusa», denuncia un
delegato sindacale.
A provocare danni e disagi «è poi la presenza delle aziende trasportatrici che massacrano
il territorio. Noi abbiamo speso un miliardo per sistemare una strada che era stata ridotta
in uno squallore incredibile e nel giro di pochi mesi gli autotrasportatori l’hanno
nuovamente resa malconcia. E’ un continuo ripristinare danni che si ripropongono. Anche
per queste aziende useremo il criterio delle convenzioni ecologiche in maniera che
contribuiscano materialmente anche loro a mantenere in buona qualità l’arredo urbano»,
afferma un pubblico amministratore.
Ma ad alimentare le preoccupazioni di una parte dei pioltellesi non sono solamente le fonti
di disturbo e di inquinamento che già esistono, bensì concorrono anche gli insediamenti
che sono previsti per il futuro.
«Quattordici sale, tre spettacoli al giorno quante automobili verranno qui a Pioltello?
Soprattutto, è il caso di chiedersi: cosa porterà la multisala a Pioltello? Niente! Ci saranno
trenta-quaranta addetti ai lavori dei quali venti per le pulizie e poi per dei tecnici che qui
non si trovano sicuramente. E tutto quell’ambaradam per così pochi posti di lavoro pone
inevitabilmente degli interrogativi».
«La multisala poteva essere pensata meglio, è una cosa gigantesca con pub, pizzeria, Mc
Donald’s il che equivale a una torre nel deserto, giustificata solo dall’intento di fare soldi e
non invece, come si dice, per aiutare Pioltello a vivere meglio. Il parco delle cascine
poteva rientrare sotto l’area protetta, ma questa operazione non l’hanno fatta».
«Un’impresa ‘culturale’ che non è stata presa molto bene dal nostro circolo - afferma
un’esponente del movimento ambientalista locale - è quella della costruzione della
multisala cinematografica la quale viene insediata in un polmone verde, cioè nel parco
delle cascine. Abbiamo un po’ combattuto contro questa decisione, ma non siamo riusciti a
fare molto anche perché quell’area era edificabile e l’alternativa al cinema era quella di un
centro commerciale. E ovviamente, a quel punto, il centro cinematografico è meglio del
centro commerciale, anche in considerazione che da 4.500 posti si è scesi a 3.000 e
poiché la cosa che a noi preoccupava di più era il parcheggio, possiamo dire che rispetto
al progetto originario c’è stato un ridimensionamento. Anche se è fatto di blocchetti con
l’erbetta, il parcheggio è sempre cemento. Su questo aspetto c’è stata una bella battaglia
che ha messo in discussione non la costruzione in sé, ma il traffico che inevitabilmente ne
deriva, perché al cinema la gente vi andrà con l’auto. Noi abbiamo chiesto che si facesse
uno studio di impatto ambientale e l’Amministrazione comunale ha proceduto a farlo. Ora
noi lo valuteremo le cose volta per volta».
Ma c’è anche chi pensa che «forse il megacinema procurerà un po’ di caos alla zona, però
c’è da tenere in conto che ormai ovunque si tende a inglobare e se non lo fa Pioltello
sicuramente lo avrebbe fatto qualche altro paese vicino e i disturbi ci sarebbero sempre
stati».
A respingere gli allarmismi ci prova il rappresentante della stessa società multinazionale
che gestirà il centro cinematografico.
«Per quanto riguarda l’ipotesi che l’apertura delle multisale accresca il traffico nella zona
c’è da dire che le abitazioni insediate in essa non sono molte, è un’area abbastanza
isolata. Comunque questo è un problema ormai generale, stamattina per fare 30
chilometri, dalla Brianza a qui, ho impiegato tre quarti d’ora.
Sulla cassanese il traffico c’è in ogni ora del giorno e questo da sempre, perciò trovo
pretestuoso contestare la multisala con queste motivazioni».
Da parte loro gli amministratori pubblici sostengono che l’insediamento del centro
cinematografico rappresenta la «soluzione migliore di altre possibili come quella, ad
esempio, della realizzazione di un centro commerciale».
Ma c’è anche chi, a proposito di questa disputa invita alla riflessione.
«Buona parte della discussione che si è sviluppata sulla opportunità o meno di dare corso
a questa iniziativa si è concentrata tutta sugli effetti di impatto ambientale, cioè su quante
automobili avrebbe messo in circolo, quanti parcheggi sarebbero serviti, quali problemi di
viabilità avrebbe creato, ecc.. Mentre a riguardo delle opportunità che una simile struttura
può creare sul fronte dell’occupazione e dello sviluppo non si è manifestato affatto alcun
interesse e non c’è stata alcuna discussione. Sia chiaro, i problemi della viabilità sono
certo importanti, però anche il resto credo lo sia. E questo modo di ragionare viene
applicato anche alle vicende del polo chimico, uno dei pochi ormai rimasti nella provincia
di Milano. C’è grande sensibilità sugli effetti, sulla bonifica delle discariche, sugli aspetti
ambientali, però sui temi della riconversione, della riqualificazione, del futuro sviluppo non
si registra altrettanta sensibilità. Questo anche perché c’è stata una divisione radicale e
storica nella cultura dei pioltellesi. Fino a ieri, da una parte c’era chi ha difeso a spada
tratta la presenza del polo chimico senza porsi alcun problema sul fronte della tutela
ambientale, dall’altra chi invece avrebbe voluto eliminarlo a tutti i costi. Oggi succede che
posti di fronte alla necessità di mettere in campo una scelta alternativa a queste due
ipotesi per renderlo invece compatibile con l’ambiente, si registra in tutti molto imbarazzo».
A proposito degli aspetti ambientali, in conclusione, la realtà dei fatti dimostra comunque
che, nel complesso, la qualità dell’aria che in questi anni si è respirata a Pioltello, almeno
per quel che è dato di saperne attraverso le fonti ufficiali di rilevamento, non è affatto
risultata peggiore di quella che respirano coloro che vivono nella metropoli. Il che è un
dato incoraggiante e che smentisce taluni ingiustificati allarmismi.
Tabella n. 28
Rilevamenti della qualità dell’aria e confronti con altre località - 1992-1998 (valori mediani microgrammi per metro cubo)
Biossido di azoto (NO2)
‘92
‘93
‘94
‘95
‘96
‘97
‘98
Limito
65,8
62,0
56,4
56,4
60,2
56,4
56,4
Agrate Brianza
67,7
67,7
63,9
63,9
56,4
60,2
63,9
Mi - viale Marche
97,8
90,2
90,2
90,2
79,0
82,7
90,2
Biossido di zolfo (SO2)
valore annuo medio
minimo
massimo
‘94-’95
8,9
2,1
14,8
‘97-’98
7,5
1,3
19,8
‘94-’95
8,7
4,7
15,9
‘97-’98
4,7
1,8
12,9
‘94-’95
22,0
6,2
42,7
‘97-’98
16,8
2,2
35,3
Limito:
Cassano:
Mi-Marche
Monossido di carbonio (CO)
Limito:
’95
1,6
0,6
2,8
’98
1,6
0,0
3,0
’95
1,0
0,2
2,1
’98
1,6
1,0
3,0
’95
3,7
1,5
5,9
’98
3,5
2,0
6,0
Cassano:
Mi-Marche
Fonte: Regione Lombardia
20. Il complesso problema delle infrastrutture
«Logisticamente Pioltello è ben collocata, vanta una buona accessibilità viabilistica
complessiva, dovuta principalmente alla prossimità dei caselli autostradali e all’esistenza
di una ricca rete infrastrutturale regionale e intercomunale sia radiale che tangenziale; poi
risulta favorita dalla vicinanza di centri intermodali privati».
«Qui ci troviamo bene, la rivoltana è un buon collegamento e poi siamo vicini a
infrastrutture essenziali».
«I vantaggi di stare qui sono costituiti dalla vicinanza della ferrovia, dell’aeroporto e
dell’autostrada. Il nostro centro intermodale è uno dei più attrezzati e con queste
caratteristiche c’è solo il quadrante Europa di Verona».
«E poi c’è il progetto dell’interporto che accresce la funzionalità di quest’area».
Ecco come si esprime il mondo delle imprese a riguardo dell’essere insediati sul territorio
di Pioltello!
«L’unico handicap è la non inclusione nella rete telefonica di Milano, un problema questo
che però si dovrebbe risolvere presto».
Anche per questa sua allocazione strategica, «Pioltello risulta essere il perno di tanti
progetti che riguardano la viabilità della zona dell’Est Milanese: centro intermodale,
quadruplicamento della linea ferroviaria, trasformazione della rivoltana e della cassanese,
soprattutto la nuova stazione di porta che offrirà l’occasione per fare di Pioltello la vera e
propria porta di Milano, fondamentale punto di passaggio tra l’Italia e l’Europa centroorientale».
La ricchezza infrastrutturale e la particolarità logistica di quest’area comporta però anche
dei notevoli problemi. Il congestionamento del traffico e il fatto stesso che la città sia
attraversata da due importanti arterie viabilistiche e poi anche dalla strada ferrata creano
dei disagi e degli ostacoli sia alla popolazione che alle stesse aziende.
«Il principale problema che abbiamo oggi - dichiara il dirigente di una grande azienda - è
proprio quello della viabilità che con il passare del tempo è peggiorata, anzi oggi è
orrenda.
Noi siamo estremamente interessati all’interporto, alla stazione di porta, all’autostrada,
perché se è vero che con Internet possiamo mandare un messaggio a Hong Kong in un
secondo, noi non possiamo di certo impiegare ore e ore per raggiungere l’aeroporto.
Occorrono più infrastrutture e meno burocrazia.
E’ auspicabile che a livello comunale e pluricomunale si realizzino delle iniziative per
creare quelle infrastrutture che consentono a quest’area e al Paese di poter competere e
ciò vuol dire strade, ferrovie, svincoli, servizi. In questo ambito, se noi oggi abbiamo un
problema, questo riguarda proprio lo spazio e le strade. Qui siamo veramente ingolfati.
Abbiamo bisogno di avere aree intorno a noi e una viabilità scorrevole. Per noi il problema
della viabilità è fondamentale».
E lo è anche per i semplici cittadini e per chi a Pioltello trascorre buona parte del proprio
tempo per ragioni di lavoro.
«Io abito a Verderio e per arrivare qui ogni mattino impiego oltre un’ora, un’ora e un quarto
per fare solamente 40 chilometri»; «per entrare sulla cassanese negli orari in cui c’è il
traffico dei pendolari noi impieghiamo un sacco di tempo»; «io mi meraviglio che siamo
ormai entrati nel 2000 e ancora il problema del traffico non è stato risolto».
«E pensare che ancora qualche anno fa in centro al paese passava il cavallo con il
carretto, mentre oggi ci sono alcune zone nelle quali si fa fatica a circolare».
«Quello che meraviglia è che all’interno dell’abitato siano ancora insediate alcune grosse
aziende e pure gli autotrasportatori la cui presenza complica la circolazione e incrementa
l’inquinamento dell’ambiente».
«E poi il passaggio continuo di mezzi pesanti rappresenta un motivo di dissesto delle
strade. Non essendoci gli spazi sufficienti, i camion rischiano di rovinare la strada».
«Da quando ci siamo insediati qui - ammette un imprenditore - abbiamo creato non pochi
problemi alla viabilità. Per parecchi anni abbiamo avuto un buon afflusso di camion, di
automezzi pesanti che hanno procurato alla collettività dei disagi. Con il tempo abbiamo
ridotto pesantemente la movimentazione degli autotreni che erano nell’ordine di 20 al
giorno. Un tempo avevamo poi anche un flusso del prodotto finito e del semilavorato che
comportava la presenza di altri automezzi, mentre ora questo traffico è stato di molto
ridimensionato».
I disagi dovuti al transito dei mezzi pesanti e la pericolosità sulle strade ha persino indotto
in più circostanze gruppi di cittadini a rivolgere petizioni di protesta all’Amministrazione
comunale.
«Nel tratto di dieci chilometri - fa presente un artigiano - abbiamo Lambrate, come
attraversamento della ferrovia, il ponte di Segrate e quello di Limito e il traffico che c’è è
tale da non poter essere sostenuto dalle strutture viarie esistenti. In particolare, il ponte di
Segrate è abbastanza pericoloso. Io lo attraverso due o tre volte al giorno e ci ho rimesso
due o tre specchietti talmente è stretto. Ci sono quindi delle perdite di tempo che incidono
sia sulle imprese che sui lavoratori».
Se si tiene conto della sproporzione che si registra tra la crescita del numero di veicoli
circolanti sulle strade della provincia di Milano e il modesto potenziamento che di riscontro
hanno avuto in questi ultimi decenni le infrastrutture viarie, non ci si può affatto
sorprendere che oggi ci si trovi in una situazione che è ai limiti della sopportabilità.
Tabella n. 29
Indici degli autoveicoli e della rete stradale. Provincia di Milano - 1961-1995
‘61
‘95
Autoveicoli in circolazione
100
763
rete stradale (km)
100
112
autoveicoli per 1 chilometro
97
661
n° abitanti per autoveicolo
9,8
1,5
Fonte: Anfia, Regione Lombardia
In pregiudicato è non solo la viabilità esterna all’abitato, ma anche quella interna.
«Abbiamo avuto lamentele sui problemi relativi alla viabilità dai nostri associati di via
Roma, di via Milano e da quelli di via Dante a Limito», fa presente il dirigente di una delle
associazioni dei commercianti.
E uno dei diretti interessati spiega: «Quelli che amministrano hanno attuato una viabilità
caotica e noi abbiamo chiesto delle modifiche che però non sono state prese in
considerazione. Non solo hanno pasticciato, ma hanno agito con molta prepotenza. Ora si
parla di 150 giorni di chiusura per rifare la viabilità, ma io temo che diventino 300. In via
Dante, quando hanno rifatto la pavimentazione si è verificato il disastro. Non dico che sia
stato un errore, perché qualcosa a queste vie bisognava pur fare, solo che nell’agire in
fretta i tecnici hanno commesso degli errori».
E proprio a riguardo di via Dante si riscontra un coro di lamentele.
«Qui ci hanno fatto un salottino, ma quando hanno chiuso c’è stata la rivolta dei
commercianti e alla fine è intervenuta la mediazione del senso unico. Questa soluzione
che ha permesso una viabilità solo di passaggio, concretamente non risulta utile al
commercio. Credo sia più propositivo adeguarsi a un discorso di via chiusa con un
contorno di parcheggi, di situazioni che consentono di spostarsi per fare gli acquisti
avendo l’auto vicino.
Se ci fosse la chiusura, mi chiedo cosa farebbe mai il negozio di ferramenta che è
collocato qui. Come potranno mai essere riforniti delle materie prime gli artigiani del
luogo? Occorre far sì che la gente di fuori possa venire a Limito con tranquillità a fare gli
acquisti e se trova la via Dante chiusa deve poter parcheggiare vicino».
«Il problema che abbiamo è proprio quello del parcheggio. A volte i nostri clienti non
riescono a trovare posto dove mettere l’auto».
«Abbiamo poi il grosso problema della manutenzione di via Dante. Il fondo stradale ha un
aspetto gradevole, però è molto delicato e la strada si dissesta facilmente. Si verificano
cedimenti del fondo e ora ci sono dieci punti critici che rischiano di diventare pericolosi se
si ritarda nella manutenzione. Poi la via Dante è carente di parcheggi, gli spazi per farli ci
sono e il problema può essere facilmente risolto».
Accanto a chi protesta c’è però anche chi esprime apprezzamenti.
«Togliendo il pavé e facendo la pavimentazione hanno fatto un bel lavoro però non è stato
risolto il problema del parcheggio. Prima comunque in via Dante passavano pullman,
camion e tir, c’era un traffico intenso e noi avevamo il problema di uscire dai portoni, ora
invece si sta bene».
E la questione dei posti auto viene sollevata anche dai commercianti del Satellite.
«Il problema attuale è quello dei parcheggi. Avevano permesso la sosta per mezz’ora e
andava bene, poi invece l’hanno tolta. Ora è un disastro perché non c’è più il posto per
mettere l’automobile. Non so chi e perché ha chiesto una simile modifica, sta di fatto che
un giorno qualcuno ha reclamato, compreso qualche esercente che più che essere tale è
un mestierante, e hanno tolto la mezz’ora.
Da me, una volta al mese e specie durante le festività natalizie, vengono clienti meridionali
da Bergamo a prendere le specialità e faticano a trovare il posto per parcheggiare l’auto.
Si tratta di una disfunzione che deve essere corretta, occorre vietare anche agli stessi
esercenti di parcheggiare davanti ai propri negozi per un tempo infinito. Uno che viene qui
a prendere due piedini non può rischiare di prendersi 50.000 lire di multa parcheggiando in
doppia fila».
Eppure, non si può certo dire che sul fronte delle infrastrutture e del riordino della viabilità
interna l’Amministrazione comunale si sia dimostrata insensibile e non abbia operato al
fine di trovare una soluzione ai problemi sollevati.
Documenta il responsabile amministrativo della viabilità:
«Ci siamo occupati della sicurezza stradale intervenendo attraverso l’istituzione di zone a
traffico limitato dal momento che nella nostra realtà è impensabile fare delle isole pedonali
perché ovunque ci sono passi carrali. Abbiamo cercato di migliorare le cose non solo con
la segnaletica stradale, ma anche con interventi strutturali, cioè modificando la sede
stradale, sistemando i marciapiedi, realizzando piste ciclo-pedonali e piccole rotatorie al
fine di limitare l’inquinamento e favorire la circolazione. Sul piano più generale abbiamo in
programma la messa in galleria artificiale della cassanese che permette una congiunzione,
una ricucitura del territorio e soprattutto una continuità del sistema delle aree verdi a sud
con quelle a nord-ovest destinate a parco».
«Con l’interramento della cassanese - aggiunge un altro amministratore pubblico possiamo costruire un prato e dare così continuità al territorio. Questa è una delle cicatrici
che intendiamo curare».
Recentemente, infatti, è stato firmato l’accordo tra le Ferrovie dello Stato, il Ministero delle
Finanze, la Regione, la Provincia e i Comuni di Milano, Segrate e Pioltello per procedere
nell’opera di interramento.
«Per la rivoltana, che è un altro elemento di frattura del territorio, anche se separa
solamente la parte di San Felice a sud che è area agricola, è previsto invece il raddoppio.
Con gli insediamenti che ci saranno in quell’area si pone però un problema di connessione
e allora abbiamo ideato un sistema viabilistico e di attraversamento ciclo-pedonale che
dovrebbe connettere la parte nuova con quella storica».
Poi è in programma «la realizzazione della stazione di porta che è un altro veicolo di
qualificazione del territorio il quale dovrebbe favorire l’approdo di operatori economici e di
investimenti sviluppando così l’economia locale. Anche questo è un provvedimento di
connessione del tessuto urbano perché la stazione verrebbe realizzata su un doppio
affaccio, a nord con la piazza della stazione e a sud dove è previsto un parcheggio
pubblico che è un elemento di valorizzazione di quella parte del territorio. Questo
consentirebbe il superamento dell’attuale divisione che è comportata dalla stessa
ferrovia».
Non tutti però confidano nella bontà di un simile progetto.
«L’idea di fare una stazione di porta può far credere che si tratta di una soluzione comoda
per chi vuole andare a Milano a lavorare perché non accetta i lavori dequalificati che ci
sono qui, anche se saranno sempre pochi. Non può invece significare un accrescimento
del livello della qualità della vita di chi vive a Pioltello».
«Alla stazione di porta non siamo gran che interessati, perché il nostro collegamento
ferroviario ci garantisce già a sufficienza», precisa il dirigente di un’azienda di stoccaggio
e logistica.
Comunque, «prima di realizzare la stazione di porta dovrebbero creare le necessarie
infrastrutture. Ben venga la nuova stazione perché assicura un migliore servizio per la
zona, però occorre il parcheggio per chi viene in macchina, occorrono i collegamenti
adeguati per accedere a questo nuovo servizio».
Oltre a coloro che manifestano riserve sul progetto c’è anche chi diffida della sua stessa
realizzazione.
«Ricordo che davanti al Malaspina un tempo c’era un cartello che annunciava la
costruzione di una rotonda e di un cavalcavia della ferrovia che avrebbe dovuto sbucare lì
davanti e dovevano perciò allargare la rivoltana. Quel cartello un giorno è sparito e di
lavori non se ne sono mai visti. Ecco, come spesso vanno le cose e qui da noi ci sono
problemi irrisolti da più di vent’anni. Non vorrei che anche i progetti di oggi facessero
quella fine».
La complessità nell’affrontare la questione delle infrastrutture nella specifica realtà di
Pioltello è dovuta al fatto che qualsiasi intervento su di esse e la loro stessa
programmazione non sono purtroppo di competenza dei poteri pubblici locali, bensì, data
l’importanza d’area che esse assumono, il loro governo è affidato a enti sovraccomunali.
Questo comporta delle implicazioni di carattere regionale e nazionale. va poi aggiunta la
problematicità della loro stessa gestione a causa proprio del loro elevato grado di
interdipendenza.
«La presenza di Linate - ad esempio - ha sviluppato la logistica e ha accresciuto le
opportunità per questo territorio. La stessa metropolitana e pure la linea ferroviaria MilanoVenezia hanno aumentato il suo valore. Tutto questo però ha anche creato grossi
problemi. Alla presenza di due autostrade, la Milano-Bologna e la Milano-Bergamo, si
associa una congestione tale sulla tangenziale est che risulta ingestibile e causa
scompensi alla situazione infrastrutturale dell’intera zona».
«I problemi di Pioltello sono quelli di un’area metropolitana tipica e la necessità prioritaria è
quella di una maggiore razionalizzazione dei collegamenti e dei servizi. Poiché
tutta l’area del Nord Est milanese vivrà ancora fenomeni di delocalizzazione dal centro
della città capoluogo e non avrà più delle connotazioni nette come le avute nel passato,
ma ci sarà una mescolanza di industria, di terziario, di servizi, magari anche di attività
agricole in forme estremamente marginali, occorre creare le condizioni per attirare attività
imprenditoriali, anche di servizio e individuali, opportunità di nicchia o di collocazione».
«Il nostro problema è proprio questo», avverte un altro imprenditore. «Mentre dal punto di
vista del mercato abbiamo buone prospettive, dal punto di vista della gestione territoriale ci
sentiamo nella cacca».
«Pioltello sarà competitiva solo se noi riusciamo a farla diventare tale», fa presente un
amministratore pubblico. «Oggi lo è solo in potenza essendo in una collocazione
territoriale favorevole ed essendo vicina alla metropoli e a una serie di reti infrastrutturali
fondamentali. Se vanno in porto certe scommesse e se si risolvono determinate
contraddizioni, queste potenzialità possono tradursi in capacità competitiva. Come ente
locale abbiamo però scarsi poteri d’intervento. Quando si tratta di affrontare il problema
dell’alta velocità ci accorgiamo che esiste tutto un sistema istituzionale fatto di strutture
burocratiche che non risulta affatto in sintonia con i processi di modernizzazione».
Poi «risulta difficile portare al tavolo tutti questi soggetti e quando si riesce ad averne uno
manca poi l’altro».
«Rispetto alle politiche infrastrutturali e alla presenza e distribuzione dei servizi sul
territorio è indubbiamente mancata una sintesi delle istituzioni sovraccomunali e Pioltello,
già penalizzata nel passato perché esclusa dai benefici politici che invece hanno avuto
altri comuni, continua a soffrirne. A questo deficit noi dobbiamo sopperire in qualche
maniera e perciò abbiamo fatto quello che ci è stato possibile dal momento che la Regione
Lombardia è ancora nel campo delle cento pertiche riguardo a tutto e la Provincia di
Milano, con la stessa passata amministrazione di sinistra, ha mancato di prendere
determinate decisioni».
«Abbiamo chiesto alla Regione di avviare un piano d’area che obbligherebbe a riflettere
sul futuro di questo territorio e sulla sua programmazione».
«I progetti infrastrutturali per quest’area esistono - sostiene il dirigente di una struttura
comprensoriale - alcuni sono in cantiere da anni. Il problema è che non si realizzano. Poi,
per valorizzare al meglio le vocazioni di questo territorio mancano le sedi per sviluppare un
dibattito politico-programmatico. I comuni sono 30, si va da 1.500 abitanti a 34.000; c’è
un’area abbastanza densamente popolata che riguarda la fascia dei comuni di Segrate,
Vimodrone, Cernusco e Pioltello i quali insieme fanno oltre centomila abitanti. A differenza
però di Sesto S. Giovanni o di Monza, questi quattro comuni hanno quattro
amministrazioni politicamente differenti e tra di loro non ci sono grandi rapporti, non c’è in
sostanza un tavolo di confronto.
Succede allora che a svolgere un ruolo di promozione notevole ci provi Melzo. Tentativi
simili li vedo anche nell’Amministrazione comunale di Pioltello però essa non riesce
ancora a svolgere quel ruolo di guida che per sua natura gli spetterebbe».
«A riguardo dei problemi infrastrutturali e di urbanizzazione dell’area Est Milano - osserva
un amministratore di Pioltello degli anni ‘70 - non c’è una visione d’insieme. La Provincia di
Milano è sempre andata per i fatti suoi e della Regione Lombardia è meglio non parlarne».
Non solo dunque c’è difficoltà d’intesa, ma sembra che ci siano anche delle idee confuse
sul da farsi.
«Quando si parla di quadruplicamento della ferrovia Milano-Venezia, di stazione di porta,
di scambio intermodale ferro-gomma, ecc., sembra che il polo chimico non abbia alcun
senso di esistere. Il rischio è che venga assunto come oggetto di altri interessi. Tempo fa
qualcuno ha suggerito di destinare quest’area alla realizzazione di un polo di sviluppo del
terziario avanzato e questo è un modo per generare incertezza e confusione».
Sono perciò in molti a sottolineare l’urgente necessità di un confronto sull’insieme dei
problemi relativi alle infrastrutture e alla programmazione di questo territorio e per fare
questo viene invocato uno «sforzo di cooperazione su progetti chiari».
«Gli enti locali potrebbero e dovrebbero creare forme di raccordo, di coordinamento,
dovrebbero fare sinergia».
«Tocca alle Amministrazioni locali giocare un ruolo sul piano delle politiche industriali e
questa esigenza oggi è avvertita da molti».
Precisa a questo riguardo un pubblico amministratore: «Un tavolo di concertazione a
livello di quest’area territoriale non esiste, esistono invece diversi tavoli gestiti da Regione
e Provincia e ai quali noi veniamo di tanto in tanto chiamati a partecipare. Questi tavoli
risultano però segmentati, sono tra di loro incomunicanti su un’infinità di problemi: dalla
grande viabilità al polo chimico, dalla stazione di porta all’aeroporto di Linate. Questo fa sì
che noi veniamo coinvolti in tanti progetti, in tante discussioni, ma non abbiamo delle
responsabilità complessive e non c’è nessuno che abbia una visione unitaria dei problemi
e delle cose da fare.
Ho addirittura fatto una polemica in Regione perché alla riunione sulla stazione di porta i
tecnici regionali erano convinti che il polo chimico si stesse spostando, quando invece non
è così, perché mentre a quel tavolo si parlava di delocalizzazione, a un altro tavolo si
programmava la reindustrializzazione della stessa area. Insomma, sono pasticci».
Eppure, nonostante queste incongruenze, «nella provincia di Milano esistono esperienze
che dimostrano la possibilità e la positività di un’azione di integrazione e partenariato.
Anche Pioltello dovrebbe operare maggiormente in questa direzione».
21. Il bisogno crescente di “fare concertazione”
Affrontare il problema delle infrastrutture, far coincidere la programmazione del territorio
con l’obiettivo di conseguire una più alta qualità dello sviluppo e soddisfare in questa
maniera le esigenze dei vari attori economico-sociali, risulta indubbiamente un’operazione
difficile soprattutto perché tra questi ultimi e le pubbliche istituzioni si riscontra una
precarietà, se non addirittura una vera e propria mancanza di rapporti e di dialogo.
Molto spesso da parte del privato esiste addirittura un senso di disistima nei confronti di
tutto quanto sa di pubblico e in alcuni casi emerge anche un atteggiamento di chiara
avversione.
Sotto questo aspetto Pioltello non fa di certo eccezione nel panorama milanese e italiano.
E’ però il caso di riconoscere che non sempre le cause di questo deplorevole clima sono
da imputarsi esclusivamente a dei pregiudizi.
«Come spesso succede - fa notare un manager - la sensibilità delle imprese rispetto ai
cambiamenti in atto è molto più elevata di quella delle strutture governative, non tanto
sulla percezione dei problemi che pure oggi c’è, ma sui processi decisionali e sulla scelte
conseguenti che devono essere fatte. La burocrazia e la vecchia cultura sono
d’impedimento.
In Italia non ci si rende ancora conto che in un processo di globalizzazione le imprese per
resistere devono assumere dei ritmi decisionali, organizzativi, commerciali molto elevati,
mentre le strutture pubbliche arrancano dietro. Non si è ancora capito che sono vincenti
quei Paesi le cui strutture pubbliche sanno interpretare le esigenze delle imprese. Questa
è la palla al piede del sistema Italia».
E le lamentele degli imprenditori e dei dirigenti d’azienda verso gli enti pubblici non hanno
fine.
«Il vero grande problema italiano è quello della burocrazia. L’apparato pubblico è
veramente molto inadeguato alle esigenze della società moderna. Più il mondo
progredisce e più si nota questo divario. Quando da noi arrivano gli stranieri strabuzzano
gli occhi».
«Sui livelli di competitività aziendale pesano la burocrazia, il fisco, lo Stato. Questi sono i
nostri veri problemi».
«Per avere un’autorizzazione che all’estero la si ottiene entro un mese qui da noi ci
vogliono tempi infiniti».
«Esiste il problema delle bollette di accompagnamento che ci fa perdere molto tempo,
mentre in Francia non c’è. Là c’è molto più autocertificazione, meno timbri, meno controlli,
meno pratiche, meno code agli uffici».
«Dello sportello unico ne abbiamo sentito parlare sui giornali e alla tv, ma di benefici
concreti noi non ne abbiamo ancora avuti. Così è per le semplificazioni amministrative e
per il fisco, nonostante vengano fatti anche degli sforzi per semplificare, alla fine tutto
risulta sempre più complicato.
Si stava meglio quando si stava peggio. Rispetto ai concorrenti anche queste
complicazioni pesano perché in altri Paesi tutto è molto più funzionale».
«Velocizzare la macchina pubblica non è semplicemente un problema politico, ma è anche
una questione di cultura. Prima di abituare l’apparato pubblico a lavorare più velocemente
e meglio ce ne vuole di certo del tempo. Mentre l’azienda che opera sul mercato è
costretta a velocizzarsi, il pubblico ha bisogno necessariamente di input e purtroppo questi
non sempre ci sono.
Io lavoro molto con i Paesi scandinavi e devo dire che è un altro mondo: rispettoso,
veloce, serio, e poi duro con chi non rispetta le regole».
«Anche a livello locale c’è bisogno di avere un rapporto più veloce e snello con
l’amministrazione pubblica. Si è parlato di sportello unico, ma chissà quanto tempo
occorrerà perché sia operativo. A noi è successo che per mettere a posto un parcheggio
non sono bastati sei mesi e ancora oggi le pratiche burocratiche non sono esaurite. Non
avendolo recintato, proprio per le lungaggini, qualche disgraziato lo ha scambiato per una
discarica e vi ha depositato del materiale che ora il Comune ci contesta e ci obbliga,
giustamente, a smaltire».
«Oggi stiamo sviluppando un’attività con il Comune che forse è la più consistente da
quando siamo insediati qui. Si tratta del nostro progetto di ampliamento. Tutti i tempi che
noi c’eravamo prefissati per realizzare il nuovo capannone da adibire al reparto estrusione
e per ristrutturare il reparto stamperia slittano di mese in mese. Noi ci eravamo dati dei
tempi che sono stati completamente smentiti. Si sa che le complicazioni sono d’obbligo, le
nostre lungaggini però sono incredibili.
Ora abbiamo un concentramento di impianti e di personale in un’area che risulta
eccessivo, provoca dei costi e diventa sempre più inagibile».
Non tutti hanno però avuto esperienze negative.
«Io ho sempre contestato all’Amministrazione pubblica di Pioltello la grande lentezza con
cui abbiamo gestito il rinnovo della convenzione, però devo dire che se mi misuro con altre
disavventure avute sul territorio italiano e con altri processi che altre imprese hanno con la
pubblica amministrazione, quella di Pioltello è stata ancora rapida. In cinque-sei mesi
abbiamo completato il tutto. Cinque-sei mesi che sono sempre troppi rispetto a un mese o
due mesi che occorrono in Belgio o in Germania, comunque sono sempre un record
rispetto ai 36 mesi di altre regioni italiane».
«Con le Amministrazioni comunali non abbiamo mai avuto dei rapporti consistenti, ci
siamo sempre limitati a chiedere ciò che ci era necessario e nei limiti delle leggi abbiamo
sempre ottenuto ciò che desideravamo. Ci è voluto comunque tempo e fatica. Una cosa
che abbiamo rilevato in ambito comunale è che rispetto a un dato problema abbiamo
sempre trovato immediatamente la persona giusta a cui rivolgerci».
A lamentare i disagi della burocrazia non sono però solamente le imprese, anche il
semplice cittadino ha di che recriminare.
«Un giorno stavo portando la carta da buttare in un cassonetto e un dipendente del
Comune mi ha detto che da un mese era entrato in vigore il ritiro periodico sotto casa da
parte del servizio pubblico e mi ha consegnato un volantino dell’assessorato che io non
avevo ricevuto. Allora mi sono recato in Comune per ritirarne un po’ di copie da distribuire
nella mia via. Allo sportello ho dovuto attendere 25 minuti perché il capo ufficio era al
telefono, dopo di che, quando si è liberato e gli ho spiegato la ragione della mia presenza,
in maniera sprezzante mi ha detto che lui non aveva tempo da perdere per darmi dei
volantini. Ho dovuto minacciare di rivolgermi al sindaco e quando poi si sono decisi a
fornirmeli per fotocopiare venti volantini hanno impiegato un’eternità.
Quando c’era da conteggiare l’Ici a fare servizio agli utenti c’erano tre geometri e io mi
sono divertito tanto perché ognuno di questi mi ha fatto calcoli differenti».
A riconoscere ritardi e disfunzioni è del resto lo stesso dirigente di una struttura pubblica:
«Andrebbero riviste molte norme, la privatizzazione del pubblico non si è verificata e i
rapporti sono sempre informati a troppa burocrazia. Noi stessi siamo ancora legati alle
procedure, alle norme e non invece ai risultati. E’ un passaggio culturale non certo facile
da gestire».
E pure un ex amministratore pubblico denuncia: «La difficoltà maggiore che io ho
incontrato nel fare l’assessore è stata la burocrazia. Non sapevo neanche cosa fosse la
macchina comunale, venivo da un’esperienza totalmente diversa e mi sono scontrato con
il prefetto, con il Magistero delle acque, con la Provincia, con lacci e lacciuoli. La
burocrazia è infernale. Per fare quello che abbiamo fatto abbiamo dovuto spendere cento
energie ottenendo un risultato di dieci. Lo Stato deve di certo avere i suoi vincoli, perché la
deregolation e il liberalismo selvaggio porterebbero al caos, però ci deve essere un
equilibrio».
Un operatore economico sottolinea come verso l’istituzione pubblica esistano dei veri e
propri preconcetti i quali però in taluni casi trovano una valida giustificazione. «Noi siamo
ormai abituati a vedere nelle istituzioni statali delle strutture di controllo e non degli
organismi di supporto alle attività industriali. Quando pensiamo alla Asl è perché c’è la
grana di mezzo, mentre quando pensiamo allo sviluppo aziendale non facciamo affatto
riferimento ad alcuna struttura pubblica perché non entra nell’ordine di idee la possibilità di
trovare in essa un aiuto alla soluzione di un nostro problema. Quando si devono fare delle
analisi o si ha bisogno di servizi si ricorre sempre al privato. Infatti, quando ci é capitato di
avere qualche controllo da parte delle strutture pubbliche noi abbiamo sempre avuto una
grande perdita di tempo».
Ma oltre alle lungaggini vengono anche denunciate delle inadempienze.
«Lo svantaggio delle imprese italiane è di non avere alle spalle lo Stato quando vanno
all’estero, a differenza degli altri Paesi europei che invece da questo punto di vista sono
molto sostenuti e favoriti. L’Ice, ad esempio, non ci garantisce un credito all’estero. E
nonostante queste difficoltà operiamo sui mercati di tutto il mondo e siamo la quinta
potenza industriale».
Il distacco tra il “pubblico” e il “privato” non è solo metaforico, esso è anche fisico. Fatta
eccezione di alcuni casi particolari, la generalità degli operatori economici dichiara, almeno
per il passato, una inesistenza di relazioni con le pubbliche istituzioni.
«Con l’Amministrazione comunale, nei limiti che abbiamo, collaboriamo. Partecipiamo, ad
esempio, alla festa degli anziani a Natale, a quella cittadina, abbiamo finanziato la ricerca
degli architetti. Quando il sindaco ci chiama, se noi possiamo, non manchiamo di fornire il
nostro contributo».
«Con l’Amministrazione comunale stiamo operando per una convenzione la quale tende a
sanare le vecchie situazioni. L’esperienza che abbiamo fatto in questi mesi è stata positiva
e se fosse intensificata sarebbe sicuramente un fatto positivo. Quella che stiamo
sperimentando è una metodologia corretta».
«Mi è capitato più di una volta di essere invitato al dialogo da parte delle Amministrazioni
comunali, anche da parte di quella di Pioltello il cui impegno è di migliorare la città e i
rapporti con i commercianti. Con essa abbiamo posto le basi per uno studio sulla fattibilità
di rifacimento di una piazza in fondo a via Roma, dove c’era anche la localizzazione di un
mercato settimanale, e perciò di un’azione sinergica. C’è stata poi l’interlocuzione su altri
vari aspetti».
Ma per i più la regola è un’altra: «Non siamo abituati a essere consultati dal Comune
quando si tratta di prendere delle decisioni importanti. Sarebbe certo utile che i privati
fossero investiti dei problemi e venissero sollecitati ad esprimere i loro pareri e le loro
proposte, ma questo non è mai accaduto».
«Con le istituzioni pubbliche non abbiamo mai avuto rapporti».
«Mi pare di capire che l’Amministrazione comunale non sa nemmeno chi io sia, non sono
mai venuti a trovarmi, non c’è mai stato un dialogo. Forse con le aziende del polo chimico
hanno avuto dei rapporti, con noi no di certo. Dalle amministrazioni precedenti mi sono
sempre tenuto io stesso un po’ distaccato.
Non ho mai avuto il piacere in trent’anni di bere un caffè con un sindaco di qualsiasi
formazione politica egli fosse.
Operiamo da trent’anni a Pioltello, paghiamo le tasse, abbiamo garantito dei posti di
lavoro, non abbiamo mai trasferito nessuna lavorazione, nessun macchinario fuori da
questo stabilimento. Credo che chi rappresenta la comunità di Pioltello potrebbe almeno
avere un dialogo quando si tratta di stabilire se la strada qui sotto deve essere più grande
oppure no, se fare un centro sociale o non farlo, se fare un centro ricreativo per i giovani o
altro».
Ammettono gli stessi attuali responsabili del governo della città: «L’esigenza di un rapporto
con le aziende locali fino ad ora è emerso solo nei casi in cui c’erano di mezzo le
dismissioni o si poneva l’esigenza di un intervento di riqualificazione o di recupero. Per
avere relazioni diverse sarebbe occorso mettere in campo delle politiche attive del lavoro,
cosa che non è nella tradizione degli enti locali».
Eppure, l’ipotesi di un dialogo permanente, di un contatto non affidato all’emergenza, ma
finalizzato a una reciproca conoscenza dei problemi e a un confronto al fine di trovare le
giuste soluzioni, incontra il favore di tutti, seppure con qualche distinguo e ad alcune
condizioni.
«Sarebbe certamente positivo il fatto che esistesse una struttura, uno strumento che in
modo permanente consentisse alle aziende e all’Amministrazione comunale di parlarsi, di
comunicare i loro rispettivi problemi al fine di trovare le giuste e le più sollecite soluzioni.
Questo permetterebbe anche di fare delle valutazioni anticipate su quelle che possono
essere le problematiche future. Interloquire prima che si inizi una pratica, un iter, diventa
importantissimo. Sarebbe un’opportunità, un grosso vantaggio per le imprese avere dei
luoghi referenti dove periodicamente discutere dei problemi che si hanno».
«Tutte le occasioni per conoscere meglio la realtà del paese le ritengo positive, quindi se
esistesse un tavolo di concertazione attorno al quale discutere dei problemi comuni
verrebbero favoriti gli scambi di informazioni e di opinioni e si potrebbero trovare le
soluzioni necessarie».
«Se lo spirito è quello di incontrarci per fare qualcosa io sono disponibile a farlo tutte le
settimane, se invece si tratta di incontri di compiacenza non sono disponibile».
«Se si decidesse di far incontrare le varie aziende non per scambiarsi semplicemente le
opinioni e quindi perdere tempo, ma per ragionare su dei progetti e su delle problematiche
precise, la cosa sarebbe interessante».
«Se ci fosse sul territorio un organismo stabile di dialogo tra i vari soggetti con il compito di
scambiarsi informazioni e tenersi aggiornati sugli avvenimenti sarebbe una garanzia per
tutti».
«E’ indubbio che se ci fosse un’istanza attraverso la quale dialogare meglio tra aziende e
struttura pubblica i problemi sarebbero di meno. Senza dialogo le cose rischiamo invece di
complicarsi».
E anche dai settori del commercio e dei servizi provengono sollecitazioni affinché i rapporti
tra pubblico e privato siano più stretti e collaborativi.
«Il dialogo tra commercianti, artigiani e Amministrazione comunale più ancora che utile è
indispensabile, perché i commercianti si sentono veramente abbandonati, questa almeno
è la sensazione che io continuo ad avere quando partecipo alle riunioni. Anzi, si sentono
quasi sfruttati dalla stessa Amministrazione comunale quando si fanno le feste, perché a
dominare è lo sponsor del Comune.
Comunque l’Amministrazione dovrebbe prendere un tavolone, far sedere tutti attorno ad
esso, rendersi disponibile a sentire le lamentele, raccogliere un può di idee e poi avanzare
delle proposte, togliendosi così da quella posizione di presunzione che fa dire a qualcuno
‘qui decidiamo noi!’».
«Il messaggio che mi sento di mandare al Comune è appunto quello di stabilire dei
collegamenti anche con noi, di offrirci l’occasione di un interscambio di informazioni.
Pioltello è un mare di cantieri e con i nuovi insediamenti diventa importante anche per noi
che operiamo nel mondo del credito essere meglio informati per gestire in maniera giusta i
rapporti con questa realtà.
Sarebbe utile che ci fossero maggiori contatti soprattutto rispetto a scambi di informazione
su ciò che l’ente pubblico intende fare sul territorio.
Se nel tempo a disposizione dell’Amministrazione comunale fosse possibile ritagliare
mezz’ora al mese per riunire le varie banche allo scopo di fornire loro delle informazioni
sarebbe un’ottima cosa».
«Anche noi - afferma un operatore della scuola - riteniamo che nel futuro i rapporti con gli
attori sociali e istituzionali del territorio debbano essere più stretti, perciò i contatti devono
essere ricercati e migliorati. Questa è una delle condizioni della nostra stessa crescita».
Anzi, «se l’Amministrazione comunale mettesse un giorno tutti gli operatori delle scuole
locali attorno a un tavolo per ragionare sul proseguimento dei percorsi di studio e per
verificare la possibilità di avere rapporti e relazioni più rapidi tra di noi, sarebbe una cosa
ottima. Lo sforzo che andrebbe fatto è quello di mettere assieme le realtà che già esistono
per evitare un dispendio di energie e mettere in rete le diverse esperienze».
Tutto questo, però, «deve essere fatto con spirito aperto», «deve esserci molta
disponibilità alla comprensione», «anziché istruire nuove procedure sarebbe più utile che
le cose si facessero a livello di collaborazione effettiva», «i tavoli di concertazione non
devono servire a fare chiacchiere».
«Io credo - asserisce il dirigente di un’azienda multinazionale - che l’Amministrazione
pubblica più che costruire tavoli di concertazione deve essere un agente che favorisce la
coagulazione e non deve presentare a livello locale degli schemi e delle formule rispetto
alle quali ci si atteggia con una certa prevenzione. Quando oggi si parla di concertazione il
primo sinonimo che viene in mente è l’immobilismo. Se un domani l’Amministrazione
pubblica locale favorisse un tavolo di concertazione nella speranza di creare una
coagulazione a mio avviso fallirebbe; se invece individua un fabbisogno e intorno a quel
fabbisogno che può interessare le imprese crea un progetto allora la cosa riesce. Direi che
il criterio può essere quello di incontrarsi per risolvere un problema, mettendo in comune le
forze e favorendo le sinergie. Questo potrebbe almeno ridurre l’individualismo, non certo
superarlo considerato che sta nel dna dell’italiano».
E di sollecitazioni a un impegno più assiduo da parte delle pubbliche istituzioni nel “fare
rete” provengono anche dagli operatori di alcune strutture comprensoriali: «Sarebbe
opportuno che le Amministrazioni comunali si occupassero maggiormente anche del
governo della sanità dal momento che esiste un’assemblea che non funziona. Non c’è la
dovuta attenzione ai problemi e alle politiche sanitarie e l’impressione che si coglie è che
ognuno si accontenti di ottenere qualche servizio al quale è interessato, ma che badi poco
alla gestione complessiva.
Noto che sullo sportello unico, materia di competenza sia delle Asl che dei Comuni, c’è
molta tiepidezza, anzi ci sono resistenze sia politiche che amministrative, mentre sulla
vigilanza urbana nei cantieri edili c’è una scarsa cooperazione».
«Eppure c’è l’esigenza di fare concertazione. Questo territorio della Martesana ha
caratteristiche omogenee storiche e la difficoltà di un’azione sinergica consiste nella
presenza di comuni troppo piccoli.
Forse una conferenza delle Amministrazioni locali, dei sindaci o qualcosa di analogo
potrebbe rappresentare un avvio.
Se non si vuole partire da strutture, ma invece da una verifica della volontà politica, credo
che potrebbe essere istituita una conferenza permanente delle Amministrazioni locali,
anche a guida alternata, attraverso la rotazione fra i diversi membri, la quale potrebbe
darsi dei programmi di lavoro.
Il modello che potrebbe essere preso ad esempio è quello di Vimercate dove le
Amministrazioni di quel territorio, indipendentemente dal colore politico, hanno deciso di
fare questa conferenza e piano piano sono riuscite a costruire delle strutture di servizio ad
hoc, da una parte il Centro Lavoro dall’altra l’Agentec che è un’agenzia di servizio alle
imprese, un consorzio di servizi sociali. In sostanza, si tratta di un modello che riadattato a
questa realtà potrebbe risultare utile.
L’idea che, secondo me, sarebbe opportuno sollecitare e spingere avanti è quella di
puntare su una struttura leggera che possa servire ai Comuni per favorire in maniera
veloce la fattibilità dei progetti».
«Ci vorrebbe un ente capace di sviluppare la programmazione nel senso di cogliere le
dinamiche che ci sono sul territorio e di incentivarle, farne oggetto di una riflessione
comune. A fare questo potrebbe essere la Provincia insieme alle Amministrazioni
comunali che io vedo molto più attente e interessate rispetto al passato. Le vedo cioè alla
ricerca di un lavoro comune, impegnate a superare i localismi che ci sono sempre stati e
noto una maggiore tendenza a individuare terreni comuni di lavoro e a costruire gli
strumenti di reciproco sostegno. I servizi per l’impiego, che sono una componente
fondamentale operante sul territorio, è una testimonianza di questa tendenza. Vedo un
tentativo interessante di fare altrettanto con le imprese».
«Risulterebbe importante la costituzione di una struttura del tipo agenzia di sviluppo il cui
scopo potrebbe essere quello di costruire un’identità socio-economica di questo territorio,
invertendo così la tendenza storica alla dipendenza passiva dalla città capoluogo e
mettendo in campo un soggetto attivo di sviluppo della propria realtà».
«Una simile struttura potrebbe avere un ruolo, ad esempio, di analisi del territorio, nel
tessere i rapporti con le aziende, nel coordinare le politiche d’incontro tra domanda e
offerta di lavoro piuttosto che gestire direttamente la partita del collocamento dei
disoccupati».
«Intorno a Milano - fa presente un dirigente d’azienda - ci sono delle realtà che si stanno
riconvertendo in forma molto interessante. Tutti, ad esempio, ci si aspettava un inesorabile
tramonto di Sesto S. Giovanni dopo la chiusura delle acciaierie Falk, mentre oggi si
assiste a una sua formidabile rinascita. Ecco perché credo che gli amministratori di
quest’area devono stare attenti, se essi colgono le opportunità possono attirare qui
investimenti e l’evoluzione può esserci.
Questa è la settima area in Europa in termini di Pil, è una delle più vitali e se non è la
prima come qualità della vita, è indubbio che, come si dice a Milano, i dané scorrono qui».
«Anch’io guardo con interesse e attenzione a quanto si sta facendo a Sesto S. Giovanni aggiunge il dirigente di una struttura comprensoriale - perché è una fucina di iniziative e
può essere per noi un esempio di come muoverci.
Perché, ad esempio, non sviluppare iniziative di cottage del lavoro quando su questo
territorio abbiamo l’ingresso della metropolitana e il passaggio della ferrovia? Iniziative di
questo genere trovano le condizioni ideali per svilupparsi facilmente considerato anche
che possono trovare beneficio nel dinamismo dell’imprenditoria locale.
Qui abbiamo la presenza della televisione, delle telecomunicazioni, delle società di
informatica, però mancano iniziative adeguate ed efficaci come avviene in altri territori.
Forse questa carenza di iniziativa è giustificabile con il fatto che qui non abbiamo vissuto
delle crisi molto forti e perciò si è portati a sopravvivere all’infinito, continuando con
dinamiche non governate o almeno non apparentemente governate.
Ci vogliono poi i cervelli, un interscambio con l’università e purtroppo a me non risulta che
qui esista una volontà e le condizioni per fare questo. La stessa realtà economica della
città di Milano da questo punto di vista non è che dia grandi garanzie. Il caso più
significativo resta appunto quello di Sesto S. Giovanni dove stanno avvenendo processi
molto interessanti.
Se si vuole mettere in campo un progetto occorre portare a sintesi le risorse che ci sono
attraverso un’azione che può essere svolta solo dal sistema istituzionale locale in rapporto
con la Camera di Commercio e con l’università. Laddove c’è una sorta di concertazione
delle politiche industriali, com’è il caso di Sesto attraverso l’Agenzia di sviluppo Nord
Milano, si individuano anche più facilmente gli strumenti per favorire questa convergenza».
Del resto, le stesse esperienze dei «patti territoriali» che anche in alcune aree della
Lombardia e della stessa provincia di Milano sono state compiute o sono tuttora in corso,
stanno a dimostrare che laddove si riesce a fare concertazione i vantaggi sul piano della
crescita e della qualificazione dello sviluppo sono assicurati.
22. Il Centro Lavoro e le nuove strutture del collocamento
«Il ragionamento sulle opportunità di una concertazione tra enti locali e parti sociali deve
necessariamente essere approfondito - sostiene un pubblico amministratore - anche
perché le esigenze e le possibilità sono molteplici».
Una delle urgenze a questo riguardo è senz’altro quella relativa al governo del mercato del
lavoro il quale sta vivendo un processo di decentramento e di innovazione molto
importante.
«La riforma avviata con la legge 469/97 - osserva il responsabile del Centro Lavoro - mi
sembra che stia cominciando ad entrare nel vivo. Intanto i collocamenti così come li
abbiamo conosciuti in questi cinquant’anni sono scomparsi e il decentramento è stato
innescato. Le competenze in termini di indirizzo sono passate alle Regioni mentre la
gestione è affidata alle Province in raccordo con i Comuni. L’impostazione legislativa è
positiva e laddove ci si è mobilitati i risultati si sono visti. Si sta sviluppando una
copresenza di più attori perché, accanto al servizio pubblico puro, ora ci sono i Centri per
l’impiego che sono un misto di pubblico e privato e poi c’è il privato che è fatto di agenzie
interinali e di intermediazione. Una contraddizione è costituita dal fatto che mentre la
legislazione sull’impostazione dei servizi per l’impiego parla di una convergenza tra
formazione, orientamento e servizi, la Provincia di Milano ha deciso di dividere in due
l’assessorato competente e questa scelta solleva molti interrogativi. Nella nostra provincia
siamo decisamente avanti rispetto ad altre nella costruzione dei servizi all’impiego, però mi
pare che ancora non ci siano le idee chiare circa il sistema di gestione definitivo».
A dire invece di un dirigente dello Scica, «il passaggio di competenze dallo Stato alle
Province non ha portato ad alcun cambiamento; la modifica radicale c’è stata nel ‘91 con
la legge 223 che ha cambiato tutto il collocamento. Prima l’azienda poteva avere il nulla
osta per assumere un dato numero di lavoratori, mentre per i rimanenti aveva l’obbligo di
chiederli all’ufficio di collocamento che a sua volta li sceglieva attraverso le graduatorie.
Da quel momento, cioè dal ‘91, il collocamento è cambiato di molto, ora invece è stata
cambiata solo l’etichetta: non ci chiamiamo più Ministero del lavoro, ma Centri per
l’impiego. Le aziende hanno l’obbligo di comunicarci le assunzioni entro cinque giorni, per
il resto le cose vanno come sempre.
Lo scombussolamento che c’è stato é dovuto al fatto che molti addetti sono rimasti al
Ministero e così le Province si sono trovate a dover assolvere al funzionamento degli
Scica, cioè a un servizio per loro nuovo, con pochissimi operatori a disposizione.
A chi viene da noi, facciamo l’intervista e mettiamo il loro curriculum nel computer.
Noi abbiamo sempre cercato di snellire le procedure.
Il lavoro previsto dal nuovo programma è bellissimo, solo che non abbiamo personale
sufficiente per poterlo realizzare in maniera completa. Oggi, tutto quanto perviene nel
nostro ufficio viene digitato».
Alla luce di questi non marginali cambiamenti, cresce il protagonismo delle strutture
pubbliche periferiche. Osserva un amministratore locale: «Occorre incrementare le
politiche attive del lavoro, senza avere l’illusione di risolvere con queste il complesso
problema occupazionale che non è certo risolvibile né dai Comuni né dai Centri Lavoro.
Quello che possono fare le nuove strutture è di essere più vicini ai cittadini monitorando i
loro bisogni ».
La riforma ha prodotto, tra l’altro, una proliferazione delle strutture che si occupano di
incrocio tra domanda e offerta di lavoro e anche nell’Est Milanese sono sorte in questi anni
numerose agenzie private d’intermediazione.
«E’ proprio la comparsa delle agenzie interinali ad aver cambiato il mondo del lavoro.
Anche noi a questo punto dovremmo essere autonomi, come Centro per l’impiego,
dovremmo cioè essere messi in condizioni di fornire noi stessi il lavoratore alle aziende,
ovviamente dietro pagamento in modo così di coprire i costi di questo servizio», sostiene
un operatore dello Scica.
«Non abbiamo ancora censito le strutture che si occupano di mercato del lavoro e che si
sono insediate sul nostro territorio, è comunque chiaro che dovremo tendere a far sì che
esse operino in maniera collegata tra di loro, cioè in rete».
«Io supponevo che ci sarebbe stata l’immediata integrazione tra noi e i Centri Lavoro,
invece così non è stato. Perché la Provincia deve farsi carico di pagare noi e anche i
Centri Lavoro? Dovremmo assemblarci, fare un centro unico, invece per ora hanno tenuto
in piedi due corpi.
Sarebbe utile che si facesse un esperimento. Se stanno in piedi le agenzie interinali, mi
chiedo perché mai non dovremmo stare in piedi noi. Potremmo metterci in concorrenza
con il privato ed offrire il nostro servizio alle imprese».
«A riguardo delle assunzioni del lavoro temporaneo non abbiamo ancora il dato definitivo,
possiamo però dire che il 60-70% degli avviamenti a tempo determinato (ogni mese sono
400-500 su un totale di 1.400 assunzioni) è frutto di assunzioni tramite le agenzie
interinali. Una parte di queste assunzioni si trasformano poi in rapporti a tempo
indeterminato».
Il Centro Lavoro Est Milano, come si sa, è nato due anni fa su iniziativa della Provincia e
attraverso l’associazione di 18 Comuni del comprensorio.
«La sua importanza è indubbia. Esso vuole significare la volontà di creare un bacino di
riferimento per ridare un’identità alla zona della Martesana e valorizzare le sue specificità
occupazionali, produttive, merceologiche. Oggi purtroppo non esiste una riflessione, una
ricerca, una elaborazione politica in materia di lavoro, perché i Comuni hanno una
funzione marginale in questo campo. Non esistono degli assessorati, non esistono degli
addetti che abbiano competenze adeguate per occuparsene e allora il Centro Lavoro può
essere una modalità per portare all’interno delle Amministrazioni locali il problema nel suo
complesso, per favorire una riappropriazione della conoscenza del territorio, per fare
ricerca e per mettere a disposizione dei cittadini un servizio e delle opportunità.
Un tempo Pioltello era sede dell’ufficio di collocamento che poi è stato spostato a Melzo.
Nel corso di questi anni passati, assieme a questo ufficio, Pioltello ha perso altri servizi
pubblici importanti e il fatto che la presidenza del Centro Lavoro sia stata affidata a noi lo
considero come un’occasione per rilanciare il ruolo di questa città. Qui poi è stato aperto
uno sportello la cui attività sta dimostrando la giustezza della scelta compiuta».
Racconta infatti un’operatrice dello sportello di Pioltello: «Questa sede distaccata del
Centro lavoro registra un buon afflusso di persone. Se inizialmente la tipologia dell’utenza
si poteva collocare in una fascia medio-bassa, col passare del tempo si è incrementato
l’accesso di diplomati e anche di qualche laureato, oltre a persone già occupate che sono
in cerca di una diversa collocazione.
Allo sportello si presentano persone che hanno anche bisogno di informazioni, e noi, oltre
a spiegare i termini del servizio che offriamo, cerchiamo di individuare il bisogno
dell’utente e di definire i passaggi successivi di un intervento a suo favore.
Formiamo informazioni sia sulla legislazione che sul mercato del lavoro. Sollecitiamo poi
tutti gli utenti a frequentare corsi di formazione, specie coloro che risultano deboli dal
punto di vista professionale, questo come buona carta per accedere o per restare nel
mercato del lavoro.
Non alimentiamo illusioni, ma chiariamo che noi facciamo preselezione e non selezione e
perciò non siamo noi a trovare il lavoro, ma noi mettiamo insieme i pezzi e costruiamo gli
itinerari perché chi ne ha bisogno rimedi poi un’occupazione. Abbiamo constatato che la
chiarezza paga, molti utenti tornano qui per avere chiarimenti, informazioni, per accedere
agli annunci e questo dimostra appunto che abbiamo acquisito la loro fiducia.
Noi ormai, qui in via Leoncavallo, insediati tra gli anziani e i campi da tennis, siamo
diventati visibili per tutta la popolazione di Pioltello. Allo sportello ne arrivano da Seggiano,
da Limito e questo dimostra la nostra visibilità. Ma oltre a quelli di Pioltello, abbiamo anche
utenti di Segrate, di Cernusco e di Vimodrone. Si tratta di Comuni grossi che non hanno
aderito all’associazione. Essendo però noi una struttura che fa servizio su tutta la provincia
ci mettiamo a loro disposizione. Non sono moltissimi quelli che vengono da fuori comune,
però ce ne sono.
Dell’afflusso che abbiamo siamo soddisfatti e per il momento basta così, anche perché
quando siamo aperti al pubblico non torna semplice gestire gli utenti che già si rivolgono a
noi. Siamo in due operatori e nonostante ci suddividiamo il lavoro (accoglienza, interviste
di preselezione e colloqui di approfondimento) spesso siamo in difficoltà. Andrebbe
potenziata la presenza degli operatori dal momento che mentre ci si aspettava un calo di
affluenza, abbiamo invece registrato un progressivo aumento degli utenti.
Pioltello è una realtà dove la presenza delle persone si rinnova di anno in anno e questo
alimenta la richiesta di prestazioni del Centro».
Le aziende di Pioltello che, nel periodo 1/12/99-30/6/00, hanno fatto richiesta di personale
allo sportello del Centro Lavoro sono state 22 e hanno riguardato 35 profili professionali;
gli avviamenti sono stati 34.
Il numero di assunti nelle diverse forme contrattuali sono stati invece 49, a fronte di 98
proposte di lavoro fatte pervenire agli utenti.
Gli utenti presenti in banca dati presso lo sportello di Pioltello, al 30/6/00, erano 941.
Durante il primo semestre 2000 allo sportello di Pioltello si sono presentati 220 nuovi utenti
e sono transitate 768 persone. La presenza di utenza femminile è stata pari al 63%.
Le domande aziendali pervenute al Centro Lavoro Est Milano, dal momento della sua
entrata in funzione al 30/6/00 sono state 597, per un totale di posizioni da coprire pari a
1.235 unità. Le aziende che si sono rivolte al Centro sono state 379.
Gli avviati sono stati nel complesso 228, a fronte di contatti con ben 3.853 disoccupati . Di
questi ne sono stati segnalati alle aziende 1.954. Le aziende hanno intrattenuto colloqui di
selezione con 966 candidati.
La banca dati del Centro Lavoro Est Milano, al 30/6/00, era formata da 6.099 curricula. Nel
primo semestre 2000 si sono rivolti agli sportelli del Centro Lavoro di Melzo 955 nuovi
utenti e sono transitate 2.988 persone.
Puntualizza il direttore del Centro: «Attualmente stiamo lavorando con la categoria della
mobilità e poi stiamo mettendo a punto progetti per altre categorie come quelli sul disagio
e sull’abbandono scolastico. Stiamo operando in rapporto stretto con le strutture del
territorio, in particolare con le scuole superiori».
«Anche noi svolgiamo un servizio per i disoccupati - precisa il direttore di un centro di
formazione professionale - però in automatico è diventato un servizio che facciamo alle
aziende, nel senso che da noi arrivano in media una decina di richieste di personale al
giorno. Questi imprenditori scavalcano lo Scica e il Centro Lavoro e arrivano direttamente
a noi. Loro ci precisano le caratteristiche della figura professionale di cui hanno bisogno e
noi, tramite gli utenti dei nostri corsi e in base alla banca dati che abbiamo, verifichiamo le
disponibilità. In banca dati abbiamo ormai un migliaio di aziende sia della zona sia di
Milano che del Vimercatese, di Monza e anche della Bassa Bergamasca.
Il nostro servizio consiste in momenti di colloquio individuale, a partire dall’accoglienza, e
poi nel fare un bilancio di competenza con approfondimenti a livello individuale. Facciamo
anche una serie di incontri di gruppo che servono come orientamento e per capire meglio
le attitudini dei partecipanti ai corsi.
Per quanto riguarda lo Scica stiamo aspettando che in Provincia definiscano un po’ meglio
i rapporti tra noi e il Centro per l’impiego, tra noi e il Centro Lavoro e tra gli stessi Scica e
Centro Lavoro. Sarebbe estremamente interessante per lo Scica fare un bilancio di
competenza degli iscritti alle liste di collocamento e noi siamo a questo riguardo molto più
attrezzati di loro. Il limite dei Centri per l’impiego e della struttura pubblica è proprio quello
di non fare il bilancio di competenza quando invece esso porta a dei risultati
estremamente interessanti, perché consente di collocare la persona giusta al posto
giusto».
A ricercare una collocazione di lavoro per le persone che ne hanno bisogno sono
impegnate anche le agenzie interinali.
«La nostra agenzia è stata aperta nell’agosto ‘99 - raccontano le sue responsabili - prima
la zona di Segrate-Pioltello era seguita da una filiale di Milano-Lambrate che però a un
tratto è giunta sul punto di scoppiare per il troppo lavoro e allora si è deciso di decentrare.
Di agenzie nostre in zona ce ne sono una a Melzo e una a Cernusco.
Le aziende di Pioltello le abbiamo assunte in carico a partire dallo scorso ottobre.
Non ci si aspettava proprio che in questa zona ci fosse una richiesta tale da dover poi
dividere questa filiale in due, cioè una per Segrate e una per Pioltello. Prossimamente,
infatti, divideremo il locale e ne ricaveremo due filiali distinte. Tra Segrate e Pioltello
abbiamo 34 clienti-aziende. In questa zona c’è molto terziario avanzato e a Segrate in
particolare ci sono molti centri direzionali.
Noi lavoriamo sia per l’industria che per il terziario. Mentre per Segrate le richieste
riguardano soprattutto le figure impiegatizie, per Pioltello c’è un po’ di tutto, anche se a
prevalere sono le figure operaie. Serviamo diverse importanti aziende medio-grandi e
anche piccole di Pioltello. Ci sono poi anche aziende che ricorrono a più agenzie interinali.
Abbiamo cioè un buon portafoglio di aziende clienti, mentre abbiamo in carico 95
lavoratori, dei quali una quarantina sono di Pioltello.
Le aziende preferiscono rivolgersi alle società di selezione, alle agenzie di reclutamento e
di selezione, alle nostre agenzie interinali piuttosto che agli uffici di collocamento e questo
fa sì che mentre chi si iscrive alle liste degli Scica vi rimane per lungo tempo senza essere
chiamato, chi viene da noi trova rapidamente collocazione.
La pubblicità come agenzia di lavoro temporaneo ce la facciamo tramite i siti Internet, poi
distribuiamo anche materiale nelle scuole, nelle sedi di Informagiovani, nei negozi e nelle
biblioteche».
23. La scarsa propensione alla coalizione
La riforma del collocamento ha decentrato i poteri, ha liberalizzato il mercato del lavoro, ha
favorito la nascita di nuovi soggetti, però non ha ancora creato le condizioni perché si
sviluppasse un’azione sinergica fra tutti gli attori che operano sul mercato del lavoro e che
comunque sono interessati a favorire un nuovo rapporto tra scuola e mondo del lavoro.
«Nella riforma del collocamento noi non siamo stati coinvolti - afferma un preside di
scuola media superiore - probabilmente perché si ritiene che la scuola non abbia un
rapporto immediato con il mondo del lavoro, non abbia cioè il ruolo di fornire
immediatamente manodopera, anche se poi è quella che prepara la classe dirigente del
futuro. Il rapporto con il mondo del lavoro è più stringente per gli istituti professionali o
tecnici piuttosto che per i licei».
Ma il mancato coinvolgimento viene rimarcato dagli stessi imprenditori.
«Il Centro Lavoro Est Milano non lo conosciamo», dichiara un dirigente d’azienda.
«Come imprenditore, nella gestione del Centro Lavoro non sono mai stato direttamente
coinvolto».
«Quando dobbiamo assumere del personale ci rivolgiamo ai Servizi sociali del Comune e
ci facciamo indicare da loro gli eventuali soggetti bisognosi. Che un tale servizio lo faccia il
Centro Lavoro proprio non lo sapevo».
Ad apprezzarne l’esistenza sono invece alcuni giovani ai quali torna confortante la
presenza sul territorio di una struttura cui ci si può rivolgere quando si è in cerca di una
prospettiva occupazionale.
«Il fatto che a Pioltello ci sia il Centro Lavoro, anche se fino ad ora non abbiamo ancora
avuto modo di usufruire dei suoi servizi, è una buona cosa perché è un’opportunità per noi
oltreché per le imprese».
«Del Centro Lavoro di via Leoncavallo mi hanno parlato abbastanza bene, io
personalmente però non ci sono mai andata».
«C’è un mio amico che è molto soddisfatto perché è riuscito a trovare un’occupazione
seppure a tempo determinato».
Sull’istituzione di queste strutture e sulla loro operatività non mancano però riflessioni
critiche e riserve.
«Sulla formazione i Centri Lavoro sono totalmente spiazzati per due motivi: primo perché
sono stati investiti del grosso problema del lavoro e questo assorbe di per sé tutte le
scarse risorse a loro disposizione; secondo perché non si è ma capito bene il ruolo che
questi Centri intendono giocare.
Con i loro responsabili ci siamo incontrati parecchie volte e l’impressione che io ne ho
ricavato è che anziché disporsi a collaborare alla pari essi siano interessati solo ad avere
una copertura, come è il caso dei corsi sull’apprendistato», osserva il dirigente di un centro
di formazione professionale.
Che la fase attuale risulti essere per queste nuove strutture un periodo necessariamente di
assestamento e che occorra pertanto ancora chiarire ambiti di intervento, competenze e
quindi definire i rapporti che devono essere stabiliti tra i vari soggetti in campo, è cosa ben
chiara nella coscienza di chi dirige queste strutture.
«Il compito che ci siamo dati è proprio quello di far comunicare tra loro i vari soggetti e va
detto che il metterli in rete non è facile. Esistono problemi di gelosie, timori di invadenze.
Con la dovuta attenzione stiamo mettendo in moto un processo nuovo.
Tra gli obiettivi statutari abbiamo appunto quello di mettere in relazione l’un con l’altro
cercando di valorizzare le specificità di ciascuno. Ognuno ha la propria storia e il mettersi
in discussione costa fatica, però c’è una grossa sensibilità e tutti incominciano a rendersi
conto che ognuno può fare la propria parte.
Purtroppo sul territorio esiste un deficit di concertazione e questo non favorisce la
coalizione. Le organizzazioni imprenditoriali non sono presenti se non per garantire i
servizi ai propri associati; le organizzazioni sindacali sono presenti con strutture
decentrate in funzione più organizzativa che di direzione politica.
Il problema è che anche quando sono presenti in termini di attività, molti di questi soggetti
operano in una loro specificità e non colloquiano con gli altri».
C’è poi da aggiungere che anche le associazioni rappresentative degli interessi sono state
investite in questi anni da una crisi di rappresentatività e che pertanto anche loro faticano
a rapportarsi alle esigenze dei loro stessi associati.
Comunque, il mettere in rete i vari attori economici e sociali e il proporsi la costruzione di
condizioni tali per cui si riesca a fare coalizione nel perseguire obiettivi di interesse
generale non è di certo affatto cosa semplice. Gli ostacoli da superare sono molti e spesso
di natura costituzionale.
«Con i sindacati non abbiamo mai avuto rapporti - confessa la responsabile di un’agenzia
di lavoro temporaneo - e questo è anche dovuto al fatto che i nostri lavoratori sono
supertutelati e godono del rispetto di tutti i loro diritti.
Abbiamo invece un buon rapporto con l’Ufficio di collocamento che ci fornisce gli elenchi
delle categorie protette. Diverso è il discorso con il Centro Lavoro, essendo questa una
struttura che opera sul nostro stesso terreno.
Difficoltà ne abbiamo avute anche con i centri di formazione professionale quando
abbiamo chiesto di avere le liste delle persone che frequentano i corsi.
C’è in sostanza un clima un po’ ostile nei nostri confronti e forse perché ancora non hanno
ben compreso quante offerte di lavoro noi possiamo garantire. I rapporti di collaborazione
incontrano molte difficoltà, si fa fatica a dialogare».
Conferma il direttore di un centro di formazione: «Noi riceviamo tutti i giorni richieste di
fornitura di nominativi da parte delle agenzie interinali e delle numerose agenzie private di
selezione e di collocamento che esistono sul territorio. Il nostro è un no automatico, dal
momento che queste agenzie non fanno un servizio sociale, bensì speculativo.
Collaboriamo invece con il Centro lavoro e con lo Scica. Con il Centro Lavoro abbiamo
fatto una collaborazione specifica con tirocini che abbiamo monitorato tramite il nostro
personale. Si è trattato di un’esperienza contenuta, ma significativa.
Quando però si tratta di trovare forme di collaborazione più stabili ci si trova
inevitabilmente di fronte ad atteggiamenti concorrenziali. Noi facciamo questo servizio da
cinque-sei anni e ora arriva il Centro Lavoro e tenta di fare le stesse cose che noi
facciamo con competenza.
E’ da notare una paurosa dispersione di forze rispetto a quelli che sono gli interlocutori che
esistono sul territorio. Anziché diminuire la competizione si accentua. Capita di trovare
interlocutori diversi che fanno le stesse cose e invece di collaborare tra loro si trovano in
oggettive situazioni di concorrenza».
«Un ruolo importante nello spingere i vari soggetti a dialogare e a fare tra loro sinergia
potrebbe essere giocato dall’Assolombarda, ma questa organizzazione sembra essere
interessata solo alla realtà di Milano e poco a quella periferica e diventa faticoso
coinvolgerla in iniziative locali», annota il dirigente del Centro Lavoro.
E la tradizionale tendenza a operare in base alle proprie specifiche esigenze e in funzione
esclusiva dei propri obiettivi viene messa in risalto dagli stessi operatori economici.
«Le associazioni di rappresentanza hanno dimensione provinciale e rispetto alla realtà
territoriale nostra non c’è alcuna istanza rappresentativa. Io per la verità, a livello
territoriale non ho mai sentito la mancanza di una struttura che mi rappresentasse.
L’Assolombarda ha già delle sezioni territoriali che servono fondamentalmente a
organizzare mezze giornate di studio su singoli argomenti e quindi a evitare che ci si
debba recare in via Pantano a Milano. Non credo ci sia una necessità di avere qui strutture
specifiche».
«A Pioltello non c’è una realtà specifica di riferimento per le aziende, noi abbiamo come
referente l’Assolombarda. Finora la necessità di fare coalizione in loco non l’abbiamo
avvertita, abbiamo sempre fatto le nostre cose per conto nostro e senza disturbare gli altri.
Lo scambio non c’è mai stato. Se però ai tempi del fordismo questa assenza di
collaborazione poteva anche andare bene, oggi con la globalizzazione si avverte la
necessità di relazionarsi e di operare in modo sinergico. Da quando poi l’Amministrazione
comunale ha incominciato a operare in modo aperto, questo bisogno lo si avverte ancora
maggiormente. Prima ci sentivamo un po’ controparti, oggi non è più così».
«Con l’Associazione degli industriali abbiamo un ottimo rapporto, con le altre categorie di
interessi invece non abbiamo alcun legame».
«Con le altre aziende qui attorno non abbiamo contatti anche perché non abbiamo nulla
da condividere».
«Di rapporti con le altre aziende di Pioltello non ne abbiamo. L’eccezione si registra con
l’azienda che è nostra vicina perché abbiamo un interesse comune a riguardo dei terreni e
per i quali stiamo discutendo con il Comune da illo tempore».
«I rapporti con gli altri attori fino ad oggi sono stati tiepidi; permane sempre quel senso
tipicamente italiano di individualismo che passa dalla persona alla gestione stessa
dell’impresa.
Si tratta di un paradosso dal momento che l’impresa italiana va nel mondo. C’è da dire che
essa a volte perde punti proprio perché preferisce non associarsi piuttosto che affrontare
assieme le cose.
Nel mondo ci copiano i distretti, eppure queste realtà sono prigioniere di certi schemi di
derivazione medioevale di cui è necessario liberarci. Devono essere compiuti dei veri e
propri salti perché, come ha detto paradossalmente uno studioso, oggi il tempo dura
meno. Qui da noi si fa coalizione con difficoltà, mentre all’estero c’è una maggiore
capacità di coagulare il consenso».
«L’associazione dei commercianti c’è sul territorio, tiene la contabilità ed esaurisce così la
sua funzione. Prima era un po’ più sentita da tutti perché eravamo in tanti e in un primo
tempo ci eravamo addirittura organizzati in categorie, ora invece il presidente dei
commercianti non fa nemmeno più l’esercente e non abita più qui. Siamo ormai così in
pochi che non ci poniamo nemmeno più il problema dell’organizzazione».
«Noi siamo nella Confcommercio e ci sentiamo ben rappresentanti, anche se la
convivenza con le piccole imprese è un po’ una contraddizione», sottolinea il dirigente di
un’azienda della grande distribuzione.
«Esiste ancora l’Asco che sta spendendo le ultime energie dei commercianti proponendo
le feste per attirare la gente nei negozi. Raggruppa sia i commercianti che gli artigiani e
suo obiettivo è quello di vivacizzare un po’ il paese, al di là di questo però i rapporti di
interesse sono scarsi».
Per certi aspetti si può dire che siano addirittura conflittuali. Afferma infatti un
rappresentante della categoria: «Le Asco sono delle belle realtà che noi vorremmo fossero
dei bracci operativi del sistema che noi rappresentiamo. Noi però con le Asco non
centriamo e anzi, nel momento in cui da parte dell’Amministrazione comunale vengono
messi a disposizione dei contributi destinati ai commercianti, noi desidereremmo che tutte
le associazioni fossero poste su un piano di parità.
Spesso infatti succede che la presenza delle Asco contribuisca a far perdere il riferimento
istituzionale dell’organizzazione associativa.
Con le altre categorie di interessi non abbiamo rapporti. Gli stessi artigiani che da noi sono
fortemente presenti non sono organizzati più di tanto sul territorio».
A faticare nel fare rete e coalizione sono soprattutto le vecchie generazioni, «laddove
invece avviene il ricambio e subentrano i giovani, la mentalità cambia e si fa avanti
l’avvertenza dell’importanza di fare sinergia. I tradizionali segreti, le antiche invidie che
erano tipiche dei vecchi commercianti, con l’avvento dei giovani decadono e si fa invece
forte l’esigenza del dialogo, dello scambio e dell’iniziativa comune».
«Quella dei commercianti è una brutta categoria perché è difficile metterli assieme»,
sentenzia un esponente dello stesso mondo degli esercenti. «Fino a quindici anni fa c’era
un’associazione commercianti che funzionava e che aveva come obiettivo quello di creare
un punto vendita in Pioltello, poi invece tutto si è disfatto».
E neppure coloro che hanno lavorato per decenni la terra non sono mai stati capaci di
unificarsi e di raccordare i loro interessi. «Come agricoltori di Pioltello non ci siamo mai
riuniti, ognuno ha sempre agito per proprio conto secondo i propri interessi. Anni fa io mi
sono interessato un po’ di politica rappresentando gli agricoltori, ma anche in quella
circostanza non ho mai avuto con loro uno scambio di idee circa le prospettive
dell’agricoltura».
«Gli agricoltori non si sono mai messi assieme per difendere l’agricoltura, ognuno ha
pensato per sé, hanno fatto studiare i propri figli perché trovassero un’alternativa a quella
di fare il contadino».
E persino nel mondo della cooperazione prevale la tendenza all’individualismo
imprenditoriale.
«Un rapporto tra di noi cooperative non c’è mai stato e non c’è tuttora. Esiste semmai un
po’ di concorrenza ed è normale che sia così, perché si cerca di lavorare e fino a quando
non si toccano le tariffe le cose vanno bene a tutti».
A tentare di compiere uno sforzo sinergico ci stanno provando invece alcuni operatori della
scuola.
«Con il Gramsci abbiamo qualche rapporto di collaborazione anche perché in passato
abbiamo lavorato entrambi sul progetto qualità», afferma un preside di liceo. «Loro sono
certificati. Con le altre scuole invece abbiamo rapporti sporadici. Un rapporto stretto
l’abbiamo anche con il Centro di formazione professionale di Cernusco perché ci ha fornito
un servizio, cioè gli abbiamo dato in gestione dei corsi pomeridiani perché sono più
specializzati di noi. Con l’autonomia possiamo fare operazioni di questo genere che
sicuramente rendono un servizio migliore al territorio».
Ma anche in questo ambito le difficoltà non mancano: «Con le scuole che esistono sul
territorio per il momento non ci sono particolari forme di collaborazione», precisa la
responsabile delle «150 ore». «Occorre trovare un aspetto concreto su cui lavorare
insieme e per ora il bisogno di operare in sinergia non è ancora avvertito da tutti».
24. Il ruolo strategico della formazione
L’obiettivo di mettere in rete i vari soggetti che operano sul territorio per stimolarli a una
pratica coalizionale torna senz’altro funzionale anche al bisogno di favorire l’incrocio tra
domanda e offerta di lavoro determinando al tempo stesso un nuovo rapporto tra il mondo
della scuola e quello del lavoro.
«Noi abbiamo il problema di trovare le giuste professionalità. C’è da dire che la scuola non
prepara affatto i giovani al lavoro».
«Io, come studio, ricevo dieci, dodici domande di lavoro alla settimana da parte di ragazzi
che sono diplomati, ma in pratica essi non sanno poi fare nulla».
«La scuola è da riformare, noi sforniamo dei diplomati e dei laureati che non sono
preparati ad affrontare il mondo del lavoro, a parte il fatto che non sanno neanche l’italiano
e se si leggono i temi dei concorsi pubblici e privati c’è ragione di mettersi le mani nei
capelli. Soprattutto, non hanno una capacità professionale, mentre oggi la professione è
tutto. Quel che manca è appunto la base».
E’ da tenere presente che «nel comprensorio Est Milano viene realizzato solo il 5,17% dei
corsi di formazione professionale che si svolgono in tutta la provincia di Milano, mentre gli
occupati rappresentano il 7%».
Anche per questa ragione «occorre attrezzarsi sul versante della formazione e della
creazione di opportunità di finanziamento per promuovere corsi di formazione, campo
questo in cui è debole non solo il territorio dell’Est Milanese, ma la stessa realtà di Milano.
La formazione professionale è stata distrutta perché la Regione quando ha giustamente
abbandonato il settore della prima formazione non ha poi sviluppato il settore conseguente
della seconda formazione.
A Melzo c’è L’Enaip e un Cfp per l’handicap, però il sistema è debole e inadeguato. Io
conosco abbastanza la realtà di Milano e posso assicurare che anche nel capoluogo la
situazione è insoddisfacente.
Il rilanciare la formazione professionale a partire dalle necessità dell’incontro tra domanda
e offerta di lavoro può essere la modalità giusta e più adeguata per risolvere il problema
occupazionale», sostiene un amministratore pubblico.
In effetti le strutture formative esistenti sul territorio Est Milanese sono scarse.
«Per la formazione qui a Pioltello esiste un centro territoriale permanente, ex ‘150 ore’,
che è situato dietro al municipio e che fa servizio gratuito. Noi siamo in contatto con
questo centro e ci sforziamo di formalizzare gli invii che sono numerosi. Si svolgono corsi
di lingua inglese, di informatica e quest’anno dovrebbero istituire anche un corso di livello
intermedio avanzato.
Fanno poi corsi di italiano per stranieri e i docenti sono bravi. Per noi è un buon punto di
riferimento».
In zona esistono poi altre strutture specializzate le quali sono interessate a soddisfare al
meglio la domanda di formazione che proviene da Pioltello.
«Dietro nostra sollecitazione l’Amministrazione comunale ha deciso di darci ospitalità in
una scuola media di via Bizet dove, a partire dal prossimo settembre, svilupperemo dei
corsi destinati a ragazzi di tipologia particolare: si tratta di un corso per elettricisti
impiantisti a bassa tensione e di un corso di addetti alla grande distribuzione», precisa il
direttore di un centro professionale con sede a Melzo.
Purtroppo però, rispetto al fabbisogno l’attività formativa si dimostra inadeguata sia in
termini di quantità che di qualità.
«Mancano dei progetti di formazione, di qualificazione, di accompagnamento al lavoro,
forme di inserimento anche parziali finalizzate a far rientrare nel mercato le figure
maggiormente in difficoltà».
«Se guardo al piano della formazione della provincia di Milano e leggo i corsi che vengono
proposti per le varie figure, mi ritrovo ancora attività formative per operatori d’ufficio addetti
alla contabilità generale e cose del genere che ormai appartengono al passato. E’ proprio
a partire da simili impostazioni che bisogna cambiare. I vari centri professionali hanno
avuto la capacità di adattarsi ai tempi moderni e hanno inserito l’informatica e altre attività
all’insegna dell’innovazione, ma se la Regione obbliga a mantenere questa vecchia
mentalità significa che proprio non ci siamo».
Per colmare il divario esistente tra domanda e offerta di formazione «è necessario
costruire a livello comprensoriale un’associazione temporale di scopo e poi ricorrere ai
finanziamenti che l’Unione Europea mette a disposizione per la formazione», sostengono
al Centro Lavoro.
Mentre il direttore di un centro di formazione professionale argomenta:
«Noi abbiamo corsi di base, di formazione iniziale rivolti ai ragazzi più giovani; abbiamo
poi tutta una serie di corsi rivolti a giovani in possesso di diploma di scuola superiore, corsi
di post-diploma, di qualifica, di specializzazione della durata massima di un anno. Da
cinque-sei anni interveniamo poi sempre più massicciamente su un’utenza di adulti in
stato di disoccupazione e pure di mobilità e cassa integrazione e, infine, organizziamo
degli stages mirati della durata di 150 o di 300-350 ore».
In un rapporto del Centro Lavoro viene documentato che «l’81% degli utenti sono privi di
conoscenze informatiche, mentre il 34% mancano della conoscenza di almeno una lingua
straniera».
Conferma un operatore della formazione: «Le richieste più grosse che ci vengono fatte
sono sul fronte dell’informatica, sia informatica di base che avanzata. Noi pensavamo che
le grosse aziende fossero ormai in condizioni ottimali anche dal punto di vista
dell’automazione e dell’informatizzazione, invece ci accorgiamo che sono ancora in
difficoltà non solo sul piano dell’informatica avanzata, ma anche su quello dell’informatica
di base».
«Stiamo però intervenendo parecchio anche sul fronte delle lingue, sia per l’inglese che
per il francese. Interveniamo poi sul discorso della comunicazione con interventi che
possono sembrare banali, ma le aziende si sono accorte che anche a livelli bassi, dal
centralinista al portinaio, c’è la necessità di alzare il livello delle capacità relazionali, di
front-office con l’utente esterno e infatti stanno intervenendo su questi aspetti. Noi
operiamo poi anche nell’ambito della qualità e pure in quello della sicurezza organizzando
la formazione dei rappresentanti dei lavoratori sulla ‘626’ con un modulo classico di 32
ore».
E a proposito dell’importanza di avere una conoscenza delle lingue un dirigente d’azienda
commenta: «La nostra organizzazione è molto internazionale, spesso vanno e vengono
ingegneri di varie nazioni e la conoscenza dell’inglese diventa sempre più impellente. Fino
ad oggi la stragrande maggioranza della nostra manodopera era indifferente all’inglese
anche perché si considerava tutelata dal fatto che presso ogni stabilimento almeno il
direttore era in grado di svolgere una conversazione in inglese o in francese. Oggi non è
più così perché le visite e i contatti sono sempre più frequenti e solo per la gestione del
millenium bag è stato necessario coinvolgere un numero rilevante di persone che a loro
volta dovevano essere in contatto con un numero rilevante di colleghi stranieri e questa è
stata la prova più evidente della necessità di avere all’interno un maggior tasso di
internazionalizzazione. Del resto tutti i nostri collaboratori si rendono ormai conto
dell’esigenza di conoscere le lingue proprio attraverso le innumerevoli sollecitazioni che
essi hanno dall’esterno, sia attraverso la pubblicità televisiva che attraverso la carta
stampata. Si nota infatti una continua crescente comparsa di espressioni inglesi il cui
significato è ormai dato per scontato. Lo stesso Internet richiede la conoscenza
dell’inglese. Noi abbiamo dei sofisticati sistemi di comunicazione interna attraverso la
posta elettronica e se i nostri collaboratori non hanno le conoscenze di base rischiano di
essere tagliati fuori».
C’è chi fa notare però che «non tutti i settori e non tutte le imprese sono coinvolti in questo
processo. L’imprenditore della subfornitura non è ancora entrato in questa mentalità,
vincolato dalla rigidità del suo modo di produrre e dalle sue relazioni industriali, egli fa
molta fatica a cambiare. Valuta l’impresa ancora dal punto di vista dei costi e non da
quello dei progressi sul piano dell’innovazione».
Ad avvertire il bisogno della formazione e della riqualificazione del personale sono
soprattutto le aziende medio-grandi.
«Noi abbiamo scelto la strada della formazione interna che viene gestita dagli stessi nostri
fornitori di impianti. Acquistiamo gli impianti chiavi in mano e a questi impianti leghiamo del
personale che viene formato in più cicli in modo da consentire loro di acquisire il massimo
delle nozioni. Ci stiamo poi creando in casa una struttura tecnica che ci assicura una
formazione continua anche per quel personale che non vanta livelli di istruzione adeguati
alle esigenze produttive».
«A riguardo della formazione professionale, al nostro interno abbiamo sviluppato due
approcci diversi: facciamo addestramento professionale che è strettamente legato alle
esigenze tecnico-organizzative e produttive dell’impresa e poi facciamo la formazione
globale che è un concetto che stiamo affrontando adesso perché da un punto di vista
strategico noi siamo molto preoccupati dell’evoluzione futura.
Nel 2025, in Italia ci saranno 8 milioni di persone in meno a causa della crescita zero e
questo comporterà un rischio molto elevato per il sistema economico del Paese. O questa
parte della popolazione viene rapidamente sostituita oppure si devono trovare dei
correttivi. La sostituzione non può avvenire in maniera superficiale come spesso si crede,
cioè attraverso l’apertura delle frontiere alla forza lavoro proveniente dal bacino del
Mediterraneo, perché questo personale, purtroppo, non ha le competenze tecniche
necessarie per inserirsi immediatamente nel ciclo produttivo e per sostituire la
manodopera locale, almeno questo non è possibile nel nostro ciclo produttivo. Mentre va
bene per molte acciaierie nostre clienti, per aziende con alti livelli tecnologici come la
nostra l’inserimento della manodopera non è così immediato e di conseguenza la nostra
maggiore criticità nei prossimi cinque-dieci anni sarà di sicuro costituita dal tasso di
obsolescenza della manodopera. A questo noi intendiamo riparare coinvolgendo sempre
di più le persone in progetti di formazione che a volte possono anche non essere
direttamente collegati alle loro prestazioni perché sono più globali».
«Da noi un nuovo assunto fa una settimana di formazione e viene accompagnato a
conoscere l’azienda. Viene istruito a dovere dal momento che opera in una unità
produttiva chimica dove esistono certi rischi».
«La direzione aziendale sta programmando corsi di formazione per macchinisti anche
perché incominciano ad avere dei resi a causa della scarsa qualità della produzione».
«Qui si fa formazione sia sulle mansioni che sulla sicurezza. In alcuni casi c’è anche
l’affiancamento dei giovani assunti».
«Con l’applicazione della ‘626’ in azienda si fa maggiore informazione e formazione al fine
di garantire la sicurezza dei lavoratori».
«La formazione la facciamo noi spiegando le norme igienico-sanitarie e le regole che
devono seguire. Negli ultimi due-tre anni a livello di gruppo è entrata in funzione anche
una scuola che fa dei corsi per neolaureati e neodiplomati i quali fanno degli stages e poi
vengono assunti. Essendo un’azienda leader nel nostro settore siamo in qualche misura
obbligati a crearci le figure professionali in casa».
«Noi avvertiamo forte il bisogno di formazione, ma purtroppo quello che il sistema
formativo offre è insufficiente. Gli istituti professionali risultano ormai superati dalla
moderna tecnologia e non rispondono alle esigenze delle imprese le quali hanno bisogno
di tecnici preparati e capaci. E’ allora l’azienda che deve promuovere questo tipo di
formazione. Noi ci stiamo provando, abbiamo promosso dei corsi interni, stiamo
realizzando dei filmati con dei computer per mostrare le varie parti degli impianti e per
evidenziare i rischi in virtù della ‘626’.
Si tratta di cose non semplici e noi siamo chiamati a colmare le deficienze del sistema
scolastico.
Qui ospitiamo anche delle persone che vengono a fare gli stages e per stendere la tesi. In
genere provengono dall’università di Castellanza dove c’è la facoltà di ingegneria grafica.
Abbiamo spesso anche delle visite da parte dei ragazzi dell’istituto Rizzoli che servono a
far capire loro che non necessariamente lo sbocco dopo la scuola è quello di lavorare in
ufficio. Alcuni di questi ragazzi li collochiamo anche nei nostri reparti e si tratta di giovani
che non hanno paura di sporcarsi le mani».
«Lo stage - commenta chi si preoccupa di far incrociare domanda e offerta di lavoro potrebbe essere uno strumento da utilizzare in svariati casi, invece esso viene destinato
esclusivamente ai ragazzi che hanno già dei requisiti».
«Noi stiamo facendo un grosso lavoro abbastanza accurato a proposito degli stages. C’è
però da stare molto attenti perché spesso queste forme di introduzione dei giovani nel
mercato del lavoro diventano delle opportunità per le aziende ai fini di un risparmio sul
costo della manodopera. Questo avviene soprattutto nel campo dei consulenti del lavoro,
degli uffici professionali e anche nella piccola azienda; a volte c’è anche la grande azienda
che tenta il colpaccio richiedendo 9-10 persone in stage. Noi richiediamo sempre la
dimostrazione che esistono realmente finalità occupazionali», puntualizza un operatore
della formazione.
Solo le cooperative di facchinaggio non avvertono un impellente bisogno di formazione.
«Ai nostri nuovi assunti facciamo fare 5 giorni di addestramento e poi li teniamo in prova
per 3 mesi e questo basta per avviarli alle loro mansioni».
E una certa trascuratezza viene denunciata anche dalle istanze sindacali dello stesso ente
pubblico locale. «La formazione da noi è prevista nel contratto ma non è decollata. Si sono
fatti un po’ di corsi per l’uso del computer, però una formazione vera e continua non c’è,
non è ancora partita. Eppure di formazione c’è bisogno sia per chi lavora in ufficio che per
gli operai. Noi all’interno della nostra piattaforma avevamo incluso il problema
dell’aggiornamento professionale, però non si è venuti a capo di nulla. C’è da dire che di
formazione nelle strutture pubbliche se ne fa proprio poca».
Ci sono invece aziende che su questo fronte stanno facendo sperimentazioni di
avanguardia.
«Con il Politecnico abbiamo un sistema di formazione permanente a tutti i livelli e i risultati
sono inimmaginabili, essendoci una crescita complessiva straordinaria. Certi metodi teorici
servono ad aprire l’orizzonte e anche gli operai di linea dimostrano di conseguire
un’apertura mentale non indifferente».
«Io sto realizzando finalmente il sogno che ho maturato da vent’anni. Noi in Italia abbiamo
degli ottimi diplomati (vedi Bergamo con i cotonifici, Biella con i lanifici, Como con i setifici),
però siamo l’unico Paese a non avere l’università tessile. Lo Stato mi ha concesso il
permesso e io farò presto l’università internazionale tessile. Trovo però che cinque anni
siano troppi, perciò limiterò i corsi a tre anni che bastano dal momento che siamo legati ad
aziende con alta tecnologia. Nel nostro campo questo basta e risulta valida anche la
laurea breve».
L’impegno che su questo fronte viene profuso da parte della generalità delle imprese
medio-grandi testimonia l’importanza strategica che nell’epoca della globalizzazione
assume la formazione professionale, sia quella necessaria al giovane per accedere al
mercato del lavoro, sia quella svolta in forma continua e permanente e destinata a chi il
lavoro ce l’ha già al fine di poterselo mantenere o di sapersi riconvertire a nuove mansioni.
«Le aziende chiedono ancora il titolo di studio, ma oggi più ancora di questo richiedono
capacità di competenze, abilità, flessibilità, adeguamento rapido ai cambiamenti
dell’organizzazione del lavoro, dei metodi produttivi e dell’ambiente».
«Le stesse banche oggi privilegiano il giovane che ha frequentato il liceo scientifico pur
dovendolo adibire a un lavoro amministrativo, perché chi ha fatto quell’indirizzo scolastico
ha una cultura più vasta e sa districarsi meglio anche nei rapporti con il cliente», osserva
un formatore.
Del resto, «oggi i lavoratori vengono giudicati per le loro attitudini e predisposizioni e non
solo per quel che sanno fare come mestiere. Una persona può avere anche meno
competenze però deve essere pronta a gestire i cambiamenti, deve essere adattabile e
saper svolgere un ruolo che la vede più partecipe rispetto al passato.
E’ questo un processo che si svolgerà nel tempo e solo i giovani vantano simili
caratteristiche».
La risposta che però danno i lavoratori a questo mutamento di esigenze da parte delle
aziende non è univoca. «C’è chi risponde bene avendo caratteristiche personali di
adattabilità e intuizione, ci sono altri invece che non si adeguano e questi vengono
destinati a incarichi per i quali la specializzazione non viene richiesta», annota un
dirigente d’azienda.
La situazione sembra però essere più positiva di quanto qualcuno tende a descriverla.
«Le persone di Pioltello che frequentano corsi qui da noi - precisa il dirigente di una
scuola di formazione situata fuori dai confini comunali - sono più di 60 e rappresentano il
10-15% dei nostri alunni. Si tratta di un dato strutturale perché si ripete negli anni e
dimostra che una domanda c’è, anzi che è tale da ipotizzare l’istituzione di un centro di
formazione in Pioltello. Il problema è che il far partire una scuola civica dal nulla è un
investimento non da poco».
Qualche tempo fa, nel corso dei colloqui che gli esponenti dello Scica hanno avuto con gli
iscritti alle liste di collocamento, a questi ultimi è stato chiesto se erano interessati a
frequentare un corso professionale, a indicare l’area di attività e a tenersi disponibili per
dei contatti successivi di approfondimento e di orientamento. Una risposta positiva a
questa eventualità è stata data dal 42,74% dei 1590 interpellati e ciò dimostra che anche
tra gli aspiranti lavoratori esiste ormai la consapevolezza dell’importanza della formazione.
Dei 600 disoccupati residenti a Pioltello che si sono presentati ai colloqui, ben 360 si sono
detti disposti a frequentare dei corsi di formazione.
Commenta l’operatrice del Centro Lavoro: «Devo confessare che una grandissima
disponibilità alla formazione da parte degli utenti non c’è. Sicuramente però una domanda
esiste e questa purtroppo non può essere soddisfatta in loco. Comunque, è da tenere in
conto che sia Melzo che Cernusco sono raggiungibili con una certa facilità. Poi quest’anno
verranno organizzati a Pioltello due corsi e questo potrebbe rappresentare un’indicazione
importante circa il fabbisogno e le effettive disponibilità».
Cosa certa è che le difficoltà nel fare formazione sono parecchie.
«Noi siamo partiti quest’anno con l’apprendistato e abbiamo incontrato molte difficoltà a
causa del fatto che le aziende si sono chieste ripetutamente e insistentemente se erano
per davvero obbligate a mandare i giovani assunti con contratto di apprendistato ai corsi di
formazione. Ci siamo trovati di fronte addirittura a casi di promozione dell'apprendista al
livello di operaio pur di non staccarlo dal posto di lavoro per la formazione e anche a casi
di autolicenziamento dell’apprendista stesso il quale non intendeva assolutamente
partecipare ai corsi.
In molte aziende non c’è ancora la percezione che la qualificazione delle risorse umane è
uno dei fattori della competitività aziendale».
E questo succede nonostante gli indiscussi vantaggi che la formazione offre sia alle
imprese che ai senza lavoro.
«Fino a qualche tempo fa il 70-80% di chi frequentava i nostri corsi trovava
un’occupazione quasi immediatamente, oggi il 90-95% di coloro che frequentano il
percorso di orientamento vengono assunti. Non si tratta di assunzioni a tempo
indeterminato, spesso sono occupazioni temporanee, però le persone vengono collocate»,
fa notare il direttore di un centro professionale.
E’ comunque da tenere presente che «una fascia di giovani è in chiara difficoltà. Si tratta
di quelli che oggi fanno l’operaio e che a quarant’anni saranno ancora operai proprio
perché non hanno una mentalità dinamica. A livello di formazione io ho cercato di
chiedermi cosa si possa fare per questi giovani e ancora non sono riuscito a darmi una
risposta. Il mercato del lavoro flessibile esclude molto di più di quello fisso e mentre le
persone in gamba si destreggiano, quelle che sono in difficoltà soccombono. Il cosa fare
per questa categoria di persone è la sfida del domani».
Quello dei cosiddetti drop out e di quei ragazzi che dopo la scuola dell’obbligo si
immettono immediatamente nel mercato del lavoro senza alcuna qualificazione è
senz’altro uno degli aspetti più spinosi della questione. Esso mette in risalto l’importanza
che assume un’azione di orientamento al lavoro sia nelle scuole che sul territorio.
«Io faccio di mestiere l’operatore nel campo dell’orientamento presso il Comune di Milano,
perciò ho ben presente la problematicità del rapporto tra formazione e politiche attive del
lavoro.
Una diecina di anni fa avevo aperto proprio qui a Pioltello un servizio di consulenza, un
consultorio psico-pedagogico per i ragazzi che era finalizzato all’orientamento scolastico.
Uno dei primi Informagiovani della provincia di Milano è sorto proprio in questa città e
quindi possiamo dire che a Pioltello vantiamo una tradizione in questo campo. Da anni
facciamo un’iniziativa nelle scuole per i diplomandi che si chiama ‘18anni e poi’ e che fa
conoscere le aziende agli studenti. E anche nelle scuole medie facciamo entrare del
personale specializzato che affronta con i ragazzi i temi dell’occupazione e della
disoccupazione».
E pure nelle scuole superiori si opera in questa direzione.
«Noi facciamo un orientamento abbastanza incisivo sulla scelta della facoltà universitaria
più che sull’avviamento al lavoro. Quando abbiamo tentato di fare qualcosa in questo
senso abbiamo avuto poca corrispondenza dal momento che pochi ragazzi del liceo sono
indirizzati verso una scelta di attività lavorativa.
Nell’azione di orientamento per la scelta della facoltà universitaria abbiamo un ottimo
rapporto di collaborazione con i Lions di Segrate i quali ci danno la possibilità di avere qui
a scuola la presenza di esponenti della varie professioni e del mondo del lavoro che si
incontrano con gruppi di studenti e offrono loro informazioni sulle prospettive del futuro.
Noi cerchiamo di trasmettere nei giovani anche una capacità di relazionare, di orientarsi in
un mondo che cambia in continuazione e lo facciamo utilizzando anche la cultura
tradizionale. Ci preoccupiamo di far crescere non solo il bagaglio delle conoscenze, ma
anche il bagaglio delle loro capacità e anche quando insegniamo materie tradizionali come
il latino e la filosofia ci sforziamo di far crescere le loro capacità di analisi e di giudizio e
quindi le capacità critiche. Se il ragazzo ha sviluppato queste capacità è poi in grado di
approfondire e analizzare qualsiasi fenomeno. Del resto, il nuovo esame di stato tende ad
accertare questi tre elementi: le conoscenze, le capacità e le competenze».
Del problema dell’orientamento si occupa lo stesso mondo della formazione.
«Sui ragazzi di quarta e di quinta delle scuole superiori interveniamo in termini di
orientamento alla scelta sia universitaria che lavorativa. Obiettivo dei nostri corsi è quello
di dare delle competenze non solo di tipo professionale, ma anche per autoricercarsi il
posto di lavoro, per costruire bene un curriculum vitae, per gestire il colloquio con il
selezionatore dell’azienda, per consultare banche dati, per saper leggere e scrivere una
domanda-offerta di lavoro sui quotidiani; tutte cose queste che sembrano semplici ma che
non lo sono affatto».
Ad entrare nelle suole per spiegare ai giovani come sta cambiando il mondo del lavoro
sono le stesse agenzie interinali.
«Mesi fa abbiamo fatto una presentazione del nostro servizio in una scuola superiore di
Pioltello e il corpo docente è stato favorevolmente colpito dal fatto che noi, durante
l’incontro, abbiamo spiegato come si fa un curriculum vitae, come si sostiene un colloquio,
cos’è il mondo del lavoro».
E pure qualche cittadino privato si dice impegnato a offrire le proprie competenze per
favorire l’incontro tra scuola e lavoro.
«Faccio parte del Rotary e so che per dare un indirizzo alle scuole ci devono essere le
aziende le quali hanno diritto e dovere di assunzione. Ebbene, questo collegamento non
c’è da nessuna parte e allora io sto cercando disperatamente con le Amministrazioni
comunali di potenziare nelle scuole l’attività di orientamento. Perché quel che si fa oggi a
questo riguardo non è all’altezza delle esigenze del sistema economico-produttivo».
Come si può dunque constatare, se è pur vero che esistono carenze e difficoltà, non
mancano di certo volontà di fare e progetti. Di risorse ce ne sono abbastanza per
migliorare la situazione, il problema diventa semmai quello di gestirle nel modo giusto e
più efficace.
25. Bassi livelli di istruzione e politiche formative
Le difficoltà nel fare incontrare la domanda con l’offerta di lavoro sono anche dovute al
fatto che a Pioltello i livelli di istruzione scolastica della popolazione residente sono al di
sotto delle medie provinciali.
«Il livello culturale della nostra gente è piuttosto basso rispetto a quello di altri comuni
perché qui, in specie al Satellite, ci sono diversi giovani che hanno avuto un cattivo
rapporto con la scuola e con la cultura», afferma una giovane.
E un operatore della formazione asserisce: «Poiché a Pioltello ci sono dei livelli di
istruzione più bassi si rende necessario un più incisivo intervento da parte delle istituzioni
preposte non solo verso i giovani, ma anche nei confronti degli adulti e noi stiamo proprio
operando nella logica della formazione continua. Non ci si deve assolutamente fermare
nell’apprendere né quando si è raggiunto un titolo di studio e nemmeno quando si è
trovato un lavoro. Questo discorso vale non solo per i disoccupati, ma per gli stessi
occupati».
Ecco come alcuni dei nostri interlocutori spiegano le cause e gli effetti di questo deficit di
frequenza scolastica.
«Il consumo culturale qui è quasi inesistente e sarebbe interessante conoscere la quantità
dei libri venduti.
Nel corso dell’esperienza che ho fatto in dieci anni di insegnamento alla scuola popolare
ho constatato la presenza a Pioltello di molte persone che non avevano conseguito la
licenza elementare».
«Per esperienza acquisita lavorando con gli adulti, posso affermare che ci sono ancora
oggi molte persone che non hanno ultimato la scuola elementare e che comunque hanno
un basso livello di preparazione di base e quindi di cultura. Esistono poi diffusi problemi di
alfabetizzazione e di rialfabetizzazione».
«A causa dell’invasione della televisione sono in calo anche le vendite dei giornali, la
gente non legge più».
«Noi anziani abbiamo bisogno più dei giovani di imparare. Tra di noi c’è un bel 45% che
non sa né leggere né scrivere, io me ne accorgo quando espongo un cartello e con la
scusa di non avere gli occhiali molti vengono a chiedermi di leggere il suo contenuto.
Questo avviene qui al Satellite».
«Tre anni fa, come centro sociale abbiamo deciso di inserire nelle nostre attività un corso
per apprendere meglio la lingua italiana in modo di aiutare a scrivere chi non lo sapeva
fare. Ebbene, non c’è stata una sola persona che si sia iscritta».
«Qui si sa tutto su Richy Martin, ma si è indifferenti al fatto che il Cenacolo è stato
restaurato. E non è che non interessi, proprio non entra nell’ordine di idee e la gente
sembra dimostrare che si può vivere e morire senza averlo neanche mai visto. Forse a
somigliare un po’ a Pioltello è Cologno Monzese, però Pioltello è una realtà tutta
particolare».
«Di soldi ne guadagnano anche, perciò non sono affatto tagliati fuori, qui c’è gente che
spende, però risulta pur sempre tagliata fuori dal punto di vista culturale. Magari su cinque
uno emerge, ma gli altri quattro restano tagliati fuori. E non è nemmeno a causa del basso
livello di istruzione, è qualcosa di diverso, di atipico. Non ci siamo geneticamente, manca
la consapevolezza che si può vivere anche in un’altra maniera. Questo è il vero
problema».
E i riscontri empirici non mancano.
«Noi apparteniamo al circuito di biblioteche dell’Est Milano dove la media dei prestiti di libri
per abitante è uguale a 1. Ebbene - spiegano in Comune - a Pioltello l’indice è dello 0,25,
cioè solo un quarto della media».
«Durante le nostre mostre di libri organizzate in ambiti non scolastici - testimonia
un’operatrice culturale - noi abbiamo notato una cosa banalissima: si vendono tantissimi
libri per bambini, pochissimi per adulti. Questo dipende sicuramente dagli impegni di
lavoro, ma dimostra anche che c’è poca abitudine a leggere. La fascia tra i 15 e i 35 anni
non si ferma neanche a guardarli. Gli anziani poi alle nostre mostre di libri non li abbiamo
mai visti e quei pochi che si sono fatti vedere si sono premurati di giustificare la loro
presenza con il fatto che erano interessati a verificare se c’erano dei libri per i loro
nipotini».
Ma a confermare che la situazione è per certi aspetti preoccupante sono le stesse
statistiche.
Un dato confortante è costituito dal forte recupero che si è registrato negli anni ‘80 e
questo fa supporre che la tendenza al miglioramento sia proseguita anche nel decennio
appena concluso.
Sul rapporto tra cultura e modernità un dirigente d’azienda tiene a precisare: «Il fatto per
cui oggi si è in presenza di un ritorno al semianalfabetismo non é certo da imputarsi alla
new economy, bensì al dissesto del sistema scolastico. Anche se, proprio per l’esperienza
che ho fatto all’estero, devo confessare che io non manderei mai un mio figlio a fare
l’università in altri Paesi. Lo manderei magari a fare il master, ma non certo a frequentare
le scuole, perché
Tabella n. 30
Livelli di istruzione. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1991 (valori percentuali su
popolazione residente)
Pioltello
Laureati
‘81
‘91
‘81
‘91
1,0
1,9
3,4
5,0
diff. ‘91 su ‘81
diplomati
+ 108%
8,0
diff. ‘91 su ‘81
media inferiore
Prov.Milano
+ 44%
16,3
13,4
+ 131%
25,5
diff. ‘91 su ‘81
22,3
+ 63%
34,3
27,8
+ 53%
32,2
+ 13%
licenza elementare,
senza titolo e
analfabeti
diff. ‘91 su ‘81
65,5
47,5
- 18%
55,4
40,5
- 29%
Fonte: Istat
in Europa al livello dell’ingegnere italiano c’è solo quello tedesco. In termini di competenza
gli altri, che pure sanno vendersi meglio, non sanno certo offrire la stessa real ability come
si dice in inglese. L’istruzione di massa non ha però curato la qualità dei programmi e i
ragazzi di venti-venticinque anni che non sanno scrivere in italiano sono la conseguenza di
quella politica che pensava di riuscire ad attribuire tutto a tutti, ma che in realtà non ha
cambiato niente, perché pochi hanno continuato ad avere tutto e molti hanno avuto solo la
parvenza di avere quello che desideravano».
«Rispetto ai cambiamenti comportati dalla cosiddetta modernità qui a Pioltello esistono luci
e ombre», sostiene un amministratore pubblico. «Ci sono delle fughe in avanti e poi esiste
una realtà che richiede invece un lavoro di semina e che deve essere pazientemente
seguita.
C’è senz’altro una grossa potenzialità intellettuale e intellettiva che è assolutamente da
valorizzare e da mettere a frutto. Il problema è che queste risorse non si riconoscono nella
loro città e in un progetto per qualificarla. Noi abbiamo un liceo che è portato in palmo di
mano nella provincia di Milano per la qualità delle sue prestazioni. A fianco c’è poi un
Istituto tecnico commerciale che è certificato, uno dei tre esistenti in Italia. Abbiamo quindi
delle perle incastonate in un contesto che è fatto di retaggi e una simile realtà reclama un
bisogno forte di recupero».
«E’ un luogo comune dire che nell’area di Pioltello c’è un livello medio culturale piuttosto
basso - sostiene un preside di scuola - l’esperienza del nostro liceo smentisce questo
convincimento. Ci sono due fattori da considerare: intanto, il livello medio culturale, sociale
ed economico della popolazione di Pioltello sta crescendo come del resto avviene altrove;
poi nella zona ci sono altri istituti tecnici e professionali, l’omnicompresivo di Cernusco e
altri, per cui la popolazione scolastica si distribuisce sull’insieme di queste istituzioni
scolastiche.
Qui ci sono 850 ragazzi che provengono da tutto il bacino territoriale, arrivano anche da
altre località come Gorgonzola, Pessano e Bussero che pure sono coperte da altri licei,
però c’è chi preferisce venire qui.
Noi riteniamo che la nostra scuola abbia un ottimo nome, del resto è un dato confortato da
elementi oggettivi. Ad esempio, l’anno scorso abbiamo avuto 22 votazioni massime, cioè
100 su 100, con una percentuale del 16%, mentre la media nazionale è del 5% e quelle
dei licei è del 9%. Stessi risultati si sono avuti l’anno precedente. Quest’anno, invece,
siamo in linea con la media nazionale. I dati confortanti arrivano anche dalle indagini che
abbiamo fatto sui nostri studenti diplomati. Da queste emerge infatti che la quasi totalità
degli studenti che si iscrivono all’università continuano gli studi e riescono a laurearsi. Si
sa che in Italia a livello universitario solo il 30-40% degli iscritti consegue il titolo di studio.
E la grande maggioranza di chi esce dal nostro liceo si iscrive all’università, in special
modo alle facoltà scientifiche, dalle scienze sociali all’economia, dall’ingegneria alla
medicina.
Il nostro liceo nel contesto socio-istituzionale locale gode di una buona considerazione,
questo non si può certo dire per la scuola italiana in genere.
E’ noto che in Italia la scuola ha un ruolo marginale, è la cenerentola, per la scuola si
investe poco, nonostante i licei italiani siano le migliori scuole del mondo e questo è un
dato accertato.
Ora la riforma e il riconoscimento dell’autonomia esigono un rapporto molto stretto con il
territorio per rispondere alle sue esigenze culturali e formative.
A partire dall’anno prossimo noi avremo non solo il classico e lo scientifico, ma ospiteremo
anche sei classi di un istituto professionale di Pioltello e nella prospettiva si potrebbero
avere anche delle classi dell’istituto tecnico con la creazione di un polo unico con più
direzioni e con più offerte formative.
Qualcosa abbiamo già fatto in questo senso. Gli interlocutori per noi ora sono
essenzialmente le famiglie e la nostra utenza scolastica. In questo spirito, l’anno scorso
abbiamo offerto la possibilità a tutti di frequentare corsi pomeridiani di lingue e di
informatica e la risposta è stata massiccia».
Già a partire dagli anni ‘60 è attiva a Pioltello la scuola popolare che ha convertito l’attività
dall’alfabetizzazione ai servizi per gli adolescenti e preadolescenti.
«Da due anni - afferma una sua operatrice - i corsi che prima erano di scuola media sono
diventati di competenza del centro territoriale permanente che si occupa non più solo di
persone che devono prendere il diploma di terza media, ma anche di chi vuole rientrare
nella formazione e che è interessato o a prendere il diploma di licenza media o a imparare
la lingua italiana. Quest’anno, infatti, abbiamo molti stranieri e offriamo la possibilità a chi
lo vuole di seguire percorsi di studio nei più vari ambiti culturali. Abbiamo dei corsi di
informatica, di inglese, di cultura generale.
Anni fa c’erano cinque corsi di ‘150 ore’ in questo distretto scolastico, ora siamo noi l’unico
centro territoriale e abbiamo anche una sede a Gorgonzola. Il territorio è molto vasto e
forse il centro andrebbe articolato.
La domanda di ‘150 ore’ in questo territorio è sempre più crescente e il centro territoriale
sta dando risposte diversificate perché le richieste sono anche sempre più specifiche.
Oggi le ‘150 ore’ diventano essenziali per molti ai fini di rimediare un lavoro o per
migliorare la posizione lavorativa acquisita. Queste almeno sono le motivazioni iniziali, poi
lungo il percorso chi frequenta la scuola si costruisce altre motivazioni.
Abbiamo un’utenza mista, ci sono persone adulte, ma ci sono anche parecchi giovani che
sono stati bocciati più volte e i quali poi rientrano nella scuola proprio attraverso i corsi
delle ‘150 ore’.
Noi, in sostanza, funzioniamo un po’ da paracadute dopo che questi ragazzi hanno tentato
di trovarsi un lavoro e si sono scontrati con l’importanza di avere un minimo di cultura e un
titolo di studio.
Negli anni passati le ‘150 ore’ erano vissute come il frutto di una conquista da parte dei
lavoratori e in chi le frequentava vi era la consapevolezza di questo diritto acquisito
attraverso lotte e sacrifici. Per questa ragione c’era in loro lo sforzo per usare al meglio
l’opportunità che si erano conquistati. Ora questa tensione è venuta meno, resiste ancora
solo in certe figure come è il caso delle casalinghe le quali sono interessate ad apprendere
sia per aiutare i figli, sia per sentirsi più attive e partecipi nelle discussioni in famiglia o con
gli amici.
Quest’anno abbiamo fatto un’esperienza interessante di teatro, un laboratorio di libera
espressione e improvvisazione teatrale che è stato un approccio all’utilizzo di forme di
comunicazione diverse da quelle classiche della parola.
Noi puntiamo sulla possibilità di organizzare nel futuro visite nelle aziende, fino ad ora
purtroppo non siamo stati nella possibilità di realizzarle.
Uno degli obiettivi che abbiamo raggiunto quest’anno è stato quello di far iscrivere
parecchi giovani, anche stranieri, alle scuole professionali. Abbiamo dato loro delle
indicazioni e talvolta li abbiamo accompagnati presso le rispettive scuole anche perché
molto spesso non hanno alle spalle una famiglia molto presente.
Anche attraverso queste esperienze costruiamo i rapporti con le scuole del sistema
professionale».
Un’esperienza interessante di formazione scolastico-professionale è anche quella
compiuta da una scuola civica ubicata in un comune confinante e frequentata da diverse
persone residenti a Pioltello.
«La nostra scuola - racconta il suo direttore - si è ritagliata una nicchia ben definita
rispetto ai corsi riconosciuti e ha implementato in modo definitivo l’attività cosiddetta libera
di corsi civici che sono finora al 90% a domanda individuale emergente dal territorio. Da
qualche anno a questa parte stiamo operando una piccola riconversione proponendo
anche delle attività a domanda organizzata da aziende e da amministrazioni comunali.
Qui girano ogni anno 700 persone. I rapporti con la gente del territorio sono tanti perché
questo centro di formazione è ormai riconosciuto da tutti. Da vent’anni organizziamo corsi
di lingua straniera e nonostante tutti i Comuni della zona abbiano deciso di convenzionarsi
con un operatore privato di Monza, noi ogni anno abbiamo 200 persone che si iscrivono a
questi nostri corsi di inglese».
Se dunque Pioltello si è storicamente contraddistinta per livelli di istruzione al di sotto della
media provinciale, oggi offre abbondanti segni di recupero e vanta oltretutto la presenza
sul suo territorio, o comunque ai suoi margini, di una rete di strutture scolastiche e
formative che fanno ben sperare per il futuro.
A fine anni ‘90, infatti, avevano sede nel comune cinque scuole superiori: il liceo classico,
il liceo scientifico, l’istituto tecnico commerciale, l’istituto tecnico per periti aziendali e
l’istituto professionale commerciale. Complessivamente queste strutture assicuravano 61
classi e raccoglievano all’incirca 1.300 alunni.
I giovani studenti di Pioltello che, a fine anni ‘90, avessero inteso frequentare scuole di
altro indirizzo potevano trovare nella zona circostante tutte le opportunità del caso,
essendo presenti sul territorio comprensoriale: la scuola magistrale, l’istituto tecnico per
geometri e l’istituto tecnico industriale, a Gorgonzola; l’istituto professionale industriale a
Cernusco, a Cassano e a Melzo; per chi invece avesse voluto frequentare il liceo artistico
avrebbe dovuto recarsi a Milano.
Se dunque a riguardo del sistema delle strutture scolastiche presenti sul territorio non ci si
può certo lamentare, rispetto alle politiche di sostegno che queste strutture richiedono per
poter funzionare al meglio, da alcuni nostri testimoni vengono sollevate delle riserve.
«I rapporti che abbiamo con gli enti locali della zona sono difficoltosi» , lamenta il
responsabile di una scuola civica. «La causa di queste difficoltà sta nel fatto che la scuola
appartiene a un determinato Comune il quale investe risorse significative, si tratta di 200
milioni l’anno, mentre gli altri Comuni non si sono lasciati e non si lasciano coinvolgere dal
punto di vista economico».
«Qualche anno fa avevo proposto di aprire una scuola civica a Pioltello, visto che noi
abbiamo parecchi utenti residenti in questo comune, e avevo assicurato il supporto del
nostro know how e l’accompagnamento fino alla sua completa autonomia, ma una simile
ipotesi è rimasta senza risposta, eppure io continuo a considerarla fattibile».
Un giudizio positivo a riguardo dell’atteggiamento che le pubbliche istituzioni hanno verso
la scuola viene invece espresso da una direttrice scolastica.
«L’Amministrazione comunale di Pioltello ci ha sempre garantito un contributo economico
per la campagna di informazione sui corsi e l’anno scorso ci ha dato un supporto piuttosto
valido per gli interventi che intendiamo fare all’interno dei corsi stessi».
Perché comunque il sistema scolastico-formativo possa rispondere in maniera sempre più
efficace alle domande dei diversi soggetti sociali è indispensabile che esso stesso sia in
grado di operare in rete e agire in termini di sinergia. Questo sforzo sembra però essere
solo agli inizi e non manca di incontrare difficoltà.
«Con il Centro Lavoro stiamo iniziando una collaborazione che dovrebbe portare
all’apertura di percorsi specifici come la presenza degli operatori ai corsi per parlare del
lavoro e fare orientamento. Continueremo e perfezioneremo i rapporti con i centri di
formazione professionale e poi rafforzeremo i legami con l’università delle tre età d
Pioltello che propone dei percorsi formativi e culturali».
«Noi poi abbiamo contatti con l’Enaip di Melzo, con il centro di formazione professionale di
Cernusco e con quello di Gorgonzola. La Provincia ci fornisce le informazioni in tempo
reale, attraverso la banca dati, dei corsi di formazione del Comune di Milano, di quelli della
Regione e del Fondo sociale europeo. Questi rapporti hanno però bisogno di essere
rafforzati e perfezionati».
«Da poco abbiamo iniziato a intervenire nell’istituto tecnico di Pioltello con dei moduli di
breve durata, dalle 25 alle 50 ore, rivolti ai giovani del primo anno della scuola superiore
che dopo la riforma della scuola secondaria sono ancora da orientare. A riguardo però
della cultura del lavoro nella scuola restano ancora molte cose da fare».
26. La crisi d’identità e il bisogno di un nuovo senso comune
«Purtroppo questa è una città che non ha cultura. Qui non c’è una libreria, quando uno
deve prendere un libro deve andare o a Cernusco o a Milano. Un tempo c’era un cinema,
ora non c’è più».
«In effetti Pioltello è carente dal punto di vista della presenza di determinate strutture
come la libreria e la formazione, ma quello che manca è una politica culturale generale, un
coordinamento».
«Il nostro circolo culturale è nato proprio sull’idea di realizzare una libreria comunale, non
più solo farmacie comunali, ma anche librerie. La carenza di certe strutture che sono indici
di cultura è però anche il prodotto della storia stessa di Pioltello che ha vissuto nei decenni
una trasformazione continua».
«La nostra biblioteca comunale è situata nel seminterrato di una scuola ed è anche
lontana da tutte le abitazioni del paese; è perciò scomoda per tutti e poi ha pochi libri, non
è ben fornita. L’ambiente poco invitante e la stessa scarsità di personale scoraggiano
ancora di più chi vorrebbe farne uso. Comunque, chi per queste ragioni sostiene che a
Pioltello c’è una cultura di qualità inferiore sbaglia».
Ammette un amministratore pubblico: «Noi siamo un comune di 33 mila abitanti ed è vero
che abbiamo una biblioteca nel sottoscala e pure che non esiste una libreria commerciale,
per cui chi vuole comprare libri deve recarsi in altre città. Devo confessare che di questo
mi vergogno. Si tratta di gravi contraddizioni culturali che noi dobbiamo affrontare e
risolvere».
«Per uno come me che si trasferiva dalla città per venire ad abitare a Pioltello, lo scoprire
che qui non c’era una sala cinematografica, non esisteva una libreria e a quel tempo non
esisteva nemmeno una piscina, è stata una vera e propria sorpresa».
Qualcuno fa presente che «non corrisponde affatto al vero l’affermazione secondo cui a
Pioltello non ci sarebbe mai stata una sala cinematografica, perché fino a non molto tempo
fa a Seggiano esisteva un cinema e nei tempi precedenti esisteva anche a Pioltello, anche
se si trattava di strutture da paese. La verità è che hanno chiuso perché non lavoravano a
sufficienza per poter tenere i battenti aperti».
E sempre a riguardo dell’assenza di queste strutture un altro nostro testimone argomenta:
«Se è vero che a Pioltello manca una sala cinematografica c’è da dire che questo è un
fenomeno tipico ormai di molti comuni della periferia milanese. Stesso discorso vale per
l’assenza di una libreria. Noi, in Italia, abbiamo un concetto strano della cultura, essa viene
propagandata, sostenuta cioè soltanto a parole. Se io faccio il libraio e vado dal grossista
o dalla casa editrice, questo mi fa mediamente il 32% lordo di sconto e se sono insediato
in un territorio molto limitato come questo, con quattro centri commerciali a ridosso che si
permettono il lusso di vendere qualsiasi libro con il 20% di sconto sul prezzo di copertina,
come piccolo operatore culturale io sono destinato a morire dopo tre settimane. Cernusco,
che viene sempre portata come esempio di paragone, ha sempre avuto una sola libreria
parrocchiale che c’è ancora. Negli anni ‘80 era nata una libreria privata che è durata solo
quattro o cinque anni e poi è morta proprio per ragioni economiche».
A dare una spiegazione della ferrea legge del mercato intervengono anche, e con
cognizione di causa, il responsabile della multisala che entrerà prossimamente in funzione
a Pioltello e un commerciante locale.
«La riduzione delle sale cinematografiche che si è registrata in questi decenni è un
fenomeno generalizzato ed è dovuta al fatto che ci sono sempre più occasioni e possibilità
di divertimento. I cinema che non si sono rinnovati ma sono rimasti tali e quali nel tempo,
sono entrati inevitabilmente in crisi. Anche nel cinema è necessario investire altrimenti si
perdono le chances».
«Fino a dieci anni fa noi, in negozio, trattavamo molti più i libri, solo che chi richiede un
certo titolo lo vuole subito e con i milioni di titoli che ormai esistono sul mercato è
pressoché impossibile anche per le grosse librerie disporre di tutto. Per avere una struttura
ricca di titoli, la zona non si presta, non si regge economicamente. Questa è la ragione
vera per cui a Pioltello non esiste una libreria».
Al di là della presenza o meno di certe strutture, la sensazione che si coglie è che, anche
a Pioltello, il fare cultura non sia semplice e a testimoniarne le complicazioni sono gli
stessi esponenti di alcune associazioni culturali.
«Nell’ambito delle attività culturali, anni fa avevamo tentato dimettere in piedi
l’Associazione Arcobaleno attraverso la quale si intendeva coprire un vuoto di iniziativa
culturale e di aggregazione specie verso i giovani. Per una serie di ragioni, però, il gruppo
dei promotori si è autosciolto dopo che alcuni dei suoi esponenti si sono trasferiti in altri
paesi».
«Noi c’eravamo dati l’obiettivo di costruire dei punti di incontro e di realizzare dei cinema di
quartiere. L’attività degli oratori, infatti, da questo punto di vista è carente perché risultano
validi ed efficienti soprattutto nei periodi estivi, quando finiscono le scuole, infatti l’oratorio
viene utilizzato come centro estivo, per il resto invece si registra un vuoto di iniziativa
culturale. Però questo nostro proposito si è scontrato con diversi ostacoli».
«Come circolo culturale siamo anche apprezzati da chi ci conosce e ci segue. Il problema
grosso per noi è che l’attività ricade sempre sulle nostre spalle. Non siamo in molti e non
riusciamo ad avere un turn over e questo diventa un problema. Un centro culturale per
essere vivo e stimolante non può che avere un continuo apporto di idee, di energie, di
risorse umane, ma così non è.
Noi ci siamo mossi molto perché le iniziative che abbiamo fatto sono veramente tante, anzi
tantissime, e hanno anche avuto un’evoluzione. Siamo partiti da mostre di libri con la
bancarella, piano piano abbiamo costruito una rete di collaborazioni con le varie scuole,
con il Comune, attraverso l’assessorato alle attività educative che ha raccolto delle nostre
proposte su dei concorsi rivolti alle scuole.
Abbiamo fatto anche attività di ricerca, com’è il caso della pubblicazione sulla nascita del
quartiere Satellite, e si è trattato di un lavoro difficile perché noi non siamo degli storici e
poi perché abbiamo trovato con difficoltà la documentazione e faticato a intervistare le
persone.
Abbiamo organizzato persino un corso sulla poesia dialettale articolato in cinque incontri e
abbiamo avuto in media una trentina di persone per ognuno di essi. Si è trattato di
persone anziane con tanta voglia di ricordare e di partecipare e che hanno vissuto questi
incontri forse più come un momento di socializzazione e di comunicazione prima ancora
che culturale.
Sul campo, oltre a noi c’è poi l’‘Uni3’ che è l’università delle tre età ed è una struttura
ibrida. Essa è nata nel ‘96 per iniziativa di un medico che lavora qui e ha poi trovato i suoi
agganci in Comune. Ha iniziato con conferenze proposte essenzialmente agli anziani, poi
si è allarga e dall’anno scorso propone dei mini corsi rivolti a tutti come stimolo culturale.
Gli argomenti sono i più vari: si va dalla meditazione alla musico-terapia, all’egittologia.
L’anno scorso a questi corsi hanno partecipato 300 persone. Questo dimostra che c’è una
domanda, che c’è gente disponibile a fare cultura anche se a livelli non specialistici.
Quando si è fatta storia dell’arte, ad esempio, le trenta persone partecipanti sono state poi
portate a Brera.
Questo smentisce quanto si dice a riguardo della qualità culturale di Pioltello che secondo
alcuni risulterebbe di livelli inferiori ad altre realtà».
Osservano alcuni semplici cittadini:
«Anche l’Amministrazione leghista aveva cominciato a fare le rappresentazioni teatrali
durante l’inverno e molti cittadini di Pioltello hanno gradito questa iniziativa anche perché
le compagnie teatrali erano abbastanza brave. A Pioltello come cultura non c’era niente e
questa è stata un bella iniziativa. Prima di allora di iniziative del genere non ne avevano
mai fatte».
«C’è da dire però che ultimamente il nuovo assessore alla cultura si sta dando un po’ da
fare. Il cinema all’aperto, il parco per i bambini, i concerti in chiesa organizzati dal
Comune, ad esempio, sono iniziative positive. Poi qualche spettacolo lo si può trovare nei
comuni vicini, tutto sommato però non si fa più di tanto. Il problema poi è che non sempre
le iniziative sono pubblicizzate a dovere e di conseguenza uno non lo sa e non vi
partecipa».
«Certe iniziative di carattere cinematografico o teatrale che ha organizzato il Comune
hanno registrato un largo consenso. Io ho visto qualche commedia di Goldoni e la sala era
piena di gente».
«Di recente sono andata a vedere il ‘Flauto magico’, organizzato in occasione della festa
cittadina, e devo dire che per me è stata una cosa interessante. Ho anche però capito che
lo spettacolo non era proprio adatto al pubblico di Pioltello dal momento che per
apprezzarlo era necessaria una certa cultura. Molta gente che è venuta è rimasta delusa,
io ero seduta sui gradoni e ho notato che dopo cinque minuti molti se ne sono andati.
Quando si fanno queste iniziative bisognerebbe pensarle anche in modo diverso. Mio
papà, per esempio, avrebbe preferito che il ‘Flauto magico’ venisse recitato o cantato e
non invece interpretato con i cd e con quelle cose che salivano e scendevano. Era molto
simbolico e chi non conosceva il significato non poteva certo apprezzarlo. Io stessa,
attraverso quei simboli, non sono riuscita a individuare i personaggi».
In questi ultimi tempi si è infatti verificato un incremento delle iniziative culturali attraverso
la promozione di feste ricreative.
«Da alcuni anni a giugno si fa la festa dello sport e da due anni la si organizza insieme alla
festa cittadina che è una manifestazione molto importante. A questa iniziativa partecipano
molti cittadini e la si fa con molto volontariato, soprattutto da parte degli anziani che ci
mettono l’anima. Ha un buon successo di immagine e ci aiuta a farci conoscere».
Non tutti però apprezzano forme e contenuti di queste manifestazioni.
«Fare le feste cittadine dove tutti si lamentano perché c’è solo il ballo liscio ed è tutto lì,
non basta a soddisfare il bisogno di aggregazione».
«La festa cittadina secondo i pioltellesi non va bene. A dirlo non sono solo quelli di Limito,
ma anche quelli del Satellite. Si tratta di una festa campestre e in sostanza è una
sostituzione di una festa dell’Unità, dell’Avanti o dell’Amicizia, dal momento che la si fa in
mezzo ai prati. Loro cercano di coinvolgere il paese, ma qui ci sono quattro rioni e per
andare alla festa bisogna recarsi in campagna. Bisognerebbe invece svolgere queste
manifestazioni nel cuore della città».
Ma i responsabili delle politiche culturali e ricreative ricordano che a Pioltello non si
promuovono solo feste cittadine.
«Abbiamo anche una rassegna di teatro svolto in classe e ci sono delle produzioni fatte da
scolaresche locali con testi impegnativi che è ormai giunta alla sua diciassettesima
edizione in un crescendo che sta attirando l’interesse delle scolaresche dei paesi vicini
proprio per il suo livello qualitativo.
Abbiamo sviluppato anche una rassegna teatrale d’avanguardia che si svolge tutti gli anni
a Pioltello e alla quale partecipano gruppi di Milano del teatro giovane d’avanguardia».
Ma soprattutto si pensa al futuro.
«Il nuovo centro cinematografico dovrebbe comportare uno sviluppo delle attività ricreative
e culturali», infatti, «è stato sottoscritto un accordo che consentirà al Comune di utilizzare
per 35 giorni all’anno una delle sale per promuovere le iniziative che ritiene più
opportune».
«La biblioteca dovrebbe essere dotata delle strutture e degli strumenti più moderni e
dovrebbe promuovere incontri con gli autori e iniziative interculturali. In sostanza,
dovrebbe essere un luogo di coordinamento a tutto campo dove il politico dirige e la
gestione viene affidata a una struttura capace di coinvolgere più persone».
«Dovrebbe poi nascere lo sportello stranieri che non si limiterà a garantire l’assistenza agli
immigrati, ma dovrebbe fare anche cultura favorendo un processo di confronto, di
conoscenza e di integrazione».
E le condizioni per suscitare un nuovo protagonismo e mettere al lavoro nuovi soggetti non
mancano di certo.
Dichiara un imprenditore che opera nel campo delle attività del tempo libero:
«Una priorità sarebbe quella di costituire un nucleo della società civile formato da persone
interessate a impegnarsi sul fronte della cultura e della rivalutazione dell’artigianato e dei
vecchi mestieri.
Un comitato culturale che stimoli la ricerca e l’interesse sulla nostra storia. Io sono
disponibile a collaborare a una simile operazione e a metterci anche i mezzi.
Ho collezionato dodici carrozze d’epoca e ho predisposto uno spazio che può diventare un
museo. Si potrebbe pensare a una fondazione alla quale dare in gestione con determinate
garanzie questo museo. Ho anche una collezione di quadri abbastanza importanti e poi ho
racimolato tutte le opere in ferro battuto che ha realizzato l’artigiano d’arte Galbiati di
Pioltello e intendo fare un’esposizione permanente. Qui da me già oggi arrivano le
scolaresche e io faccio da cicerone ai ragazzi che impazziscono nel vedere le carrozze.
Sto pure facendo una ricerca sulle carrozze e sto adoperandomi perché in tutta Europa
vengano individuate le migliori e poi la metterò a disposizione di chi è interessato».
Una promozione dell’iniziativa culturale a tutto campo è suggerita anche dalla necessità di
favorire la comprensione degli avvenimenti di natura epocale che oggi mettono a dura
prova la coscienza sociale e rischiano di far perdere l’identità degli individui.
Anche tra i cittadini di Pioltello sono abbondanti i segni di un disagio nel gestire la
transizione in atto.
«Con la globalizzazione la nostra civiltà, quella europea, si sta impoverendo e lo ha
documentato di recente anche il Censis.
Noi assomigliamo e assomiglieremo sempre più agli americani. Il vuoto di valori viene
riempito con i soldi e con l’ego. Lo stesso scadimento della politica ha proprio le radici nel
venire meno dei valori», dichiara preoccupato un imprenditore «prestato» alla politica. Ma
le riflessioni critiche sono diffuse.
«Sul fronte del rapporto tra i cambiamenti in atto e la cultura che abbiamo ereditato la
situazione è terribile», «oggi a tenere la società sono le vecchie generazioni e c’è da
chiedersi cosa succederà fra dieci anni quando queste si tireranno da parte».
«Io capisco la necessità economica e politica di costruire l’Europa, però sono contrario alla
massificazione che questa unità porta con sé».
«La globalizzazione impoverisce sempre più la cultura del lavoro e insieme i diritti acquisiti
da una parte della popolazione».
«Il progresso che c’è stato in questi anni non può che essere considerato positivo, esso
però porta con sé il rischio che l’uomo non si accontenti di quanto ha acquisito e che
pertanto ecceda».
«Oggi si inaridiscono gli animi e ciò che conta è la new economy che significa soldi. Il dio
che impera oggi è il dio denaro».
«Si vive per l’immediato e si trova diffuso un materialismo pratico che fa paura. La
memoria storica che è fondamentale per comprendere l’esistente, sta venendo meno».
«Il mondo in cui viviamo sollecita a più appartenenze il che se da una parte richiede una
maggiore libertà mentale, dall’altra comporta una maggiore confusione mentale, per cui il
discorso della coerenza salta e la gente si muove per sensazioni e per istinti. Secondo
questa logica uno può essere contemporaneamente solidarista con i bisognosi e
intollerante verso gli stranieri. E questo è un indice che si vive alla giornata. L’adulto,
sedotto da una società che vive per l’immediatezza, è diventato pragmatico e non è più
disposto a progettare il villaggio globale e quindi a mettere in gioco la sua sicurezza e
tranquillità; è un integrato. Il giovane, accedendo a un mondo di valori di questo tipo si
adegua e vive alla giornata».
«Se non è sport, se non è qualcosa che porta la salamella o il ballo o il divertimento, il
resto non interessa più. Uno deve avere necessariamente in cambio qualcosa. Non c’è più
la soddisfazione dello spirito, il gusto della solidarietà».
«Non c’è più la coesione di un tempo, ora si è degli estranei anche se si abita nello stesso
cortile».
«Fra cinque o dieci anni, se l’Italia va bene, anche a Pioltello la gente avrà un buon
reddito, però ognuno sarà destinato a vivere completamente sganciato dall’altro, dilagherà
l’individualismo e l’asocialità».
L’incertezza, la preoccupazione, l’inquietudine, addirittura l’angoscia contraddistinguono
dunque il pensare e l’agire di larga parte degli stessi pioltellesi. Il dovere di chi governa la
comunità non può certo limitarsi ad assicurare una risposta ai bisogni materiali, ma deve
saper offrire anche dei riferimenti morali e intellettuali. La società civile oggi manifesta,
coscientemente o no, una forte esigenza di orientamento e di accompagnamento verso il
«nuovo» e quindi il problema della formazione del senso comune non può non essere
parte dell’impegno pubblico.
Sta scritto in un documento della pastorale delle Parrocchie di Pioltello: «La formazione
della personalità fa leva sulla forza persuasiva della ragione e si scontra con un pensiero
‘debole’». E oggi, purtroppo, i principali facitori del senso comune non fanno sempre uso
della ragione e spesso alla riflessione prediligono la superficialità, alla complessità la
semplificazione.
«Nella formazione della coscienza e del senso comune delle persone la famiglia, che nel
passato aveva un ruolo primario, oggi più che trasmettere valori svolge una funzione di
ammortizzatore sociale».
«Oggi esiste questo grosso mezzo che è la tv il quale ti frega e soprattutto per noi che
come forza abbiamo solo la parola, la sua capacità di invadenza rappresenta un serio
problema», annota un sacerdote.
E poi, «i figli, il lavoro, la carriera sono tutte cose che mettono a dura prova una realtà di
fede. Anche la Chiesa oggi ha il suo bel da fare».
Recita ancora il documento della Pastorale: «In una realtà sociale pluralista e complessa,
l’esperienza cristiana non è più perseguita né egemone e molti, pur dichiarandosi credenti,
assumono tranquillamente comportamenti poco evangelici». E quindi ricorda come
«un’inchiesta del settimanale ‘Città Nostra’ dello scorso anno mette in luce una costante
tendenza alla diminuzione dei matrimoni nell’hinterland. Il dato riguarda tanto le unioni
religiose come quella civili. Addirittura il calo raggiunge, nella nostra zona, per l’ultimo
quinquennio, il 20%; rimane invece invariato il rapporto tra matrimoni religiosi e quelli civili,
che è circa di 76 a 24. L’attuale percentuale di matrimoni, ogni mille abitanti è di 4,1 (pù’
bassa della media nazionale che per il ‘98 era del 4,8).
A Pioltello i matrimoni sono 4,2 ogni 1000 abitanti e il rapporto tra matrimoni religiosi e
civili e di 75 a 25 (dati ‘98)».
«Il famoso detto ‘due cuori e una capanna’ ha subìto un’alterazione, sono rimasti i cuori
ma non sempre c’è la capanna», commenta un sacerdote. «Oggi, un po’ per motivi
economici, un po’ per altre ragioni la vita a due non sempre corrisponde alla vita di
famiglia. Mentre ci sono madri che per mantenere un rapporto affettivo materno con il figlio
scelgono il part time, ce ne sono altre che rinunciano alla figura materna ed evadono».
Eppure, «il cuore dell’uomo è sempre uguale e la cosiddetta modernità con i nuovi modi di
comunicare e di relazionare non muta i suoi sentimenti, i rapporti con i suoi simili, le
sensazioni che prova. Pure nel 2000 questi restano identici a quelli del 1600 anche se ci
sono correttivi sociali e strutture culturali diverse. Quello che sta emergendo adesso è un
sentimento adolescenziale che porta a ritenere la trasgressione un comportamento
naturale. E allora non sia va più a messa, non si crede più, si lascia che i comportamenti
affettivi e razionali siano dominati dall’istintività, dalla sensibilità e dall’immediatezza. E
allora si sfidano le tradizioni e le convenzioni, si sfida se stessi e i propri limiti».
Poi, sempre a riguardo delle difficoltà che incontra la Chiesa, è da considerare che anche
a Pioltello «sono sempre più numerose le famiglie di religione non cattolica, cioè
musulmane, anglicane, protestanti, evangeliche e dei testimoni di Geova.
Noi qui abbiamo una sala usata dagli evangelici che sono come i cristiani; i testimoni di
Geova invece non hanno la ‘sala del regno’ però fanno molto movimento.
La presenza di questi credenti non cattolici comporta anzitutto una conoscenza che non
sempre è facile perché c’è chi al contatto reagisce con la tesi secondo cui il dio ce l’ha già
e non ha bisogno di averne un altro. C’è poi chi, ed è il caso dei testimoni di Geova, ricorre
anche a forme di pressione scorretta dimostrandosi un po’ fondamentalisti e non sempre
c’è il senso del rispetto».
«Nel nostro tempo si è affermata la convinzione che credere non significa
necessariamente essere religiosi e in questa logica si affermano i ciarlatani facendo leva
sia sul fascino che sull’ignoranza che è molto diffusa. Stiamo passando in sostanza dalla
religione cattolica come religione civile e di tutti, a una religione più di scelta, sempre più
personalizzata.
I cattolici non si sono ancora resi conto che devono dare motivo reale della propria
decisione di fede, mentre le altre religioni sono molto più forti come convinzione perché
sono una minoranza».
«Siamo in presenza di una modificazione etica, non so se è un’etica che ne sostituisce
un’altra oppure se si tratta di un suo abbandono in cambio di una scelta permissivistica. Il
nostro mondo non è immorale, è amorale oppure, come diceva il mio professore di
filosofia, è o-sceno, cioè fuori dalla scena, quella scena che ci permette di assumere la
nostra identità. Io sono però convinto che nell’uomo sia inscritta un’etica. L’essere umano
ha un suo disegno, una sua scrittura, un suo profilo che poi si reinterpreta attraverso la
cultura, i segni, i valori, le scelte. C’è insomma un dna etico che una volta si chiamava
morale naturale. L’uomo è grande proprio perché può reinterpretare la sua natura, non la
può però cambiare».
La crisi di identità agisce dunque nel profondo e se si vuole impedire lo spaesamento e
l’insorgenza dell’anomia si è obbligati ad agire.
«Ciò che occorre è una nuova consapevolezza culturale, non settoriale, ma
multidisciplinare, arricchita di contributi epistemiologici, sociologici, geologici, etnologici,
linguistici», suggerisce chi porta la responsabilità di governare la comunità locale.
«Ad essere prioritaria oggi è la necessità di trovare gli stimoli perché la gente viva
consapevolmente la propria esistenza. Si deve riuscire a far dare importanza non solo al
lavoro, alla casa, ma anche a quei valori di cui abbisognano gli esseri umani per vivere in
maniera solidale».
Nel documento delle Parrocchie si sostiene che occorre «promuovere una lettura
condivisa della realtà in cui siamo inseriti e delle novità che in essa si producono.
Identificare e attuare le linee di risposta più adeguate alla situazione che si va via via
cogliendo. Un primo guadagno da ‘portare a casa’ in ordine a qualsiasi scelta è quello di
pensare complessivamente per agire localmente, allargare lo sguardo per leggere meglio i
particolari».
E di un simile approccio alle novità del nostro tempo c’è indubbiamente estrema necessità.
27. Lo scarso senso di appartenenza e il diffuso campanilismo
«Avendo Pioltello vissuto dei forti cambiamenti nel giro di questi ultimi vent’anni, la sua
popolazione ne ha sofferto sul piano dell’identità».
E «rispetto a Cernusco dove la gente si sente orgogliosa di appartenere al proprio comune
e al proprio territorio, a Pioltello non c’è un’identità forte».
«Quello che a Pioltello non è scattato è l‘incontro, l’osmosi tra le varie culture che vi
coabitano, ma che si sono sempre mantenute nella loro autonomia».
«I pioltellesi non hanno potuto avere l’attaccamento alla loro terra perché l’inserimento di
ventimila ospiti ha distrutto le loro radici nel territorio».
«Le trentamila persone che sono venute qui ad abitare nel corso di questi anni non hanno
il senso dell’appartenenza».
«Se si va in piazza Garibaldi ci si accorge che non tutti, anche a distanza di molti anni, si
sono integrati nella nostra realtà. Al Satellite, per quel poco che ne so, la vita sociale non è
sentita come dalla comunità della vecchia Pioltello o della vecchia Limito. Seggiano stessa
come realtà sociale è differente dalle altre. Perché tutti abbiano a sentirsi appartenenti a
un’unica città ci vorrà ancora del tempo, non è facile amalgamare le mentalità presenti».
«Uno rifiuta di essere e di sentirsi pioltellese perché manca l’orgoglio di appartenere a una
città la quale ha dato una brutta immagine di sé. Solo chi abita alle ‘quattro strade’ si sente
di Pioltello».
«Pioltello ha una disposizione un po’ particolare, è divisa in realtà un po’ a sé stanti e
diventa difficile mettere assieme la gente. Qui non c’è il corso, non c’è la piazza, non c’è
una via che rappresenti tutti. Nemmeno la Parrocchia è rappresentativa di tutti, infatti ce
ne sono quattro».
Insomma, le ragioni per cui a Pioltello non esiste o quanto meno è carente un’identità
collettiva sono tante.
«Qui ci sono quattro Parrocchie, due sono tradizionali mentre le altre due sono delle
escrescenze. Una di queste è situata al Satellite e risulta troppo vicina alla parrocchiale
vecchia e troppo lontana dal quartiere. Da una parte ci sono comunità che io paragono un
po’ a quelle protestanti, perché tendono a chiudersi in sé e sono di vecchio stampo, anche
se oggi il 50% delle persone che vi fanno capo provengono da fuori, dall’altra parte si è in
presenza di un porto di mare perché c’è tantissima gente, in specie tantissimi ragazzi.
Mentre in una realtà ci sono relazioni brevi, più dirette ed esiste un clima familiare, quasi
come se fosse un club, dall’altra non esiste il senso dell’appartenenza».
Questa storica separazione fisica ha fatto sì, come spiega un pubblico amministratore, che
nel momento in cui «al pioltellese si mostra la mano, questo vede solo le cinque dita. Detto
in forma di battuta, questo è il test del pioltellese. Egli vede cioè Pioltello vecchia, Pioltello
nuova, Limito, Seggiano e San Felice. Queste cinque dita, cioè queste realtà geografiche
non si percepiscono come un insieme, perciò hanno bisogno di essere riabilitate. Occorre
cioè riuscire a far toccare il pollice con il mignolo e questo movimento si rivela nella
fattispecie di una raffinatezza estrema perché richiede un coordinamento assolutamente
eccelso. Noi siamo distrofici, le nostre dita vanno per conto loro. E questo è un ostacolo
per il governo di questa città. Si può dire che nel passato la gente di Pioltello sia stata
abbandonata al fatalismo».
«E’ verissimo - conferma un «pioltellese doc» - che a mostrare una mano a chi abita qui ci
si trova di fronte al rischio che questo non veda la mano ma le cinque dita e cioè la propria
specifica realtà. Questo accade perché purtroppo i quartieri sono realtà tra loro differenti,
con tradizioni e a volte anche con mentalità diverse, anche se distano solo due
chilometri».
«E’ vero, a Pioltello c’è campanilismo. Bisogna tenere conto però del fatto che un tempo il
quartiere di Limito faceva comune a sé e questa cosa ha pesato. Solo dopo è diventato
Pioltello. Non si può di certo dire che qui ci sia un senso comune di appartenenza, se
questo c’è è relativo esclusivamente ai quartieri. Io stesso qualche volta incorro nell’errore
di definirmi seggianese e non pioltellese proprio per una questione culturale. Seggiano ha
comunque rappresentato negli ultimi venti, venticinque anni la parte maggiore di Pioltello
in termini di popolazione residente. Questo perché Seggiano ha avuto la capacità di creare
un humus grazie alla presenza di un suo parroco. Oggi questo quartiere conta 12-14 mila
abitanti e vanta un numero consistente di istituzioni sociali e di volontariato, oltre ad avere
gente attiva e impegnata nelle istituzioni pubbliche».
«Qui da noi c’è una cultura del territorio che è suddivisa in quattro tronconi: ci sono quelli
di Limito, ci sono quelli di Seggiano, quelli del Satellite e quelli di Pioltello.
Esistono cioè quattro città. Come succede a Bruxelles dove i valloni restano distinti dai
fiamminghi nonostante sia la sede della Comunità Europea».
«Succede che quel che fa Limito non lo sa Seggiano, quel che fa Seggiano non lo sa
Limito. Un clima di reciproca fiducia non ci sarà mai, è impossibile che ci sia perché
esistono realtà differenti. E’ una tradizione».
«Pioltello è sempre stato diviso da Limito, però poi in un secondo tempo si è inserita
questa struttura intermedia di Seggiano e infine c’è stata l’esplosione del Satellite».
«Seggiano ha un’altra identità ancora, perché era vissuta come un’altra costellazione,
come quella parte di territorio dove si era insediata l’immigrazione, comunque è sempre
stata considerata migliore del Satellite».
«Quando io ho incominciato a lavorare in Comune e chiedevo a certe persone se erano di
Pioltello, mi sentivo rispondere di no e mi precisavano che erano di Limito. C’erano
dunque già delle fazioni quarant’anni fa, erano storiche e sono rimaste tali».
«Anche molti anni fa Limito non veniva vissuto come parte di Pioltello, ma era di fatto un
altro paese. I ragazzi di Limito venivano a Pioltello a trovare le ragazze, mentre quelli di
Pioltello andavano a loro volta a corteggiare le ragazze di Limito come se fossero due
paesi diversi».
«Ci hanno messo non so quanto tempo per far capire a quelli di Limito che non potevano
più scrivere Limito sui cartelli stradali perché l’Europa non lo consentiva e doveva esserci
invece scritto Pioltello».
«Una volta quelli di Limito hanno addirittura tentato di fare un comitato irredentista per
pretendere la separazione da Pioltello».
Ma come si spiegano questi campanilismi?
«Io abito a Limito e della gente di Limito so tutto; una persona so chi è, chi è suo zio, chi è
suo nipote, come si chiama il suo cane, se ci incontriamo per strada ci salutiamo, al
Satellite non è così.
Mentre al sud della ferrovia il problema della sicurezza non si sente, a nord è fortissimo.
Noi a Limito camminiamo tutti liberi anche di notte senza problemi, non si può dire
altrettanto per il Satellite e questo significa una non riconoscenza dell’appartenenza a
questa città».
«I limitesi - aggiunge un amministratore comunale - considerano la barriera a nord
costituita dalla ferrovia come una protezione da Seggiano che viene da loro visto come
luogo malfamato. Non si tratta affatto di una interpretazione, ma di una manifestazione
aperta. E’ assurdo che esista una simile repulsione verso un altro quartiere che più che
altro è vissuto da immigrati. Gli stessi abitanti originari di Seggiano si sono trasferiti in altre
nuove aree urbanizzate dove la qualità della vita per quanto riguarda la dimensione degli
alloggi è diversa proprio per non confondersi con gli immigrati. Questa percezione si è
manifestata addirittura in una contrarietà alla realizzazione di un sottopasso della ferrovia
perché viene visto da molti abitanti di Limito come un varco aperto che compromette il
territorio. Proprio per questa ragione il superamento fisico della barriera costituita dalla
ferrovia rappresenta una schiodatura di questo concetto che io considero assurdo».
«Sarà molto difficile mettere assieme i quartieri, perché tra la Pioltello vecchia e la Pioltello
nuova c’è sempre stata una grande discrepanza. Pur essendo un unico paese, la gente di
Pioltello vive la propria specificità di quartiere e questa divisione è stata determinata anche
dalle scelte urbanistiche che sono state compiute in virtù della volontà di costruire case e
non tanto invece da una razionalità residenziale. Questi grandi casermoni sono stati
costruiti quando già stava iniziando il processo migratorio».
C’è chi tende a minimizzare queste divisioni: «Forse una volta i quartieri vecchi di Pioltello
rappresentavano un po’ l’aristocrazia del paese, oggi invece non è più così perché c’è
stata una omogeneizzazione. Comunque questo fenomeno non ha avuto la capacità di
riprodursi».
Però è chiaro che l’assenza di una coesione della popolazione la si tocca con mano e
questo comporta non pochi problemi per chi ha il compito di governare la città.
«Persino nel mondo dello sport c’è un po’ di campanilismo. Io avevo tentato tempo fa di
creare una sola società di calcio di buon livello, ma il campanilismo ha giocato a sfavore di
questa soluzione. Avevo anche cercato di creare una squadra di pallavolo, avendo fatto il
presidente di questo settore fino all’anno scorso, perché qui esistono le condizioni per
mettere assieme un’élite forte. Ma anche in questo caso ho trovato del campanilismo
dovuto probabilmente anche alla presenza degli oratori che senz’altro fanno un lavoro
molto utile, essenziale, però hanno poi questo rovescio della medaglia contro il quale ci si
scontra quando si tenta di far crescere, di migliorare e di creare realtà nuove».
E neppure la Chiesa è riuscita a lenire le competizioni territoriali e a unificare nello spirito
le diverse comunità.
«Anche a livello di comunità cristiana c’è ancora molto separatismo. Quando sono venuto
qui nei confronti di Seggiano ho trovato un atteggiamento non certo incoraggiante perché
sembrava che qui, in confronto al resto del paese, fosse concentrata l’ira di Dio nel male.
Nella Pioltello vecchia ci sono ancora famiglie che si ritengono un po’ depositarie delle
vere tradizioni di Pioltello.
Non è un caso che la Lega Nord abbia avuto anche qui a Seggiano un successo nelle
stesse sedi storiche della sinistra».
«Questo comune è diviso storicamente. Quelli di Pioltello vecchia hanno costruito il loro
‘muro di Berlino’ e non ci hanno mai accettato. Io non sono un meridionale, però mi hanno
fatto sentire un forestiero. Ho lavorato in Parrocchia fino all’anno scorso facendo il
catechista e per trent’anni ho vissuto con i bambini e ho notato che sono stati cresciuti con
una mentalità vecchia. Tra questa gente ho tanti amici, però noto che non c’è
affiatamento, non c’è carità, non c’è amore, non c’è niente, anche nella stessa Chiesa. Un
giorno, in occasione dell’esposizione della Madonna che avviene ogni 25 anni, uno di
Pioltello vecchia mi ha chiesto cosa facevo mai nella loro chiesa. Quando un cristiano
parla così significa che non ha capito niente di cristianesimo».
«Questo aspetto - osserva un anziano - lo ha evidenziato con diverse lettere ai parroci lo
stesso Cardinal Martini sottolineando che sono troppo divisi come parrocchie».
«Ero presente anch’io - aggiunge un altro anziano - quando nell’83 è venuto per la prima
volta e qualcuno gli ha chiesto cosa ne pensava di questa città. Dopo una breve
meditazione, egli l’ha paragonata a Mosé quando passava il Mar Rosso. L’ultima volta che
è venuto qui ha però riconosciuto che sono stati fatti dei bei passi in avanti».
Nel documento della Pastorale parrocchiale viene sottolineata la «necessita di
abbandonare ogni posizione individualistica ed ogni contrapposizione campanilistica.
Appare urgente che le quattro comunità pioltellesi inizino ad attrezzarsi, fin da subito,
prima di tutto a livello di acquisizione di cultura (cioè di mentalità), e poi a livello di
creazione delle strutture necessarie, in modo da creare una rete di collegamenti attraverso
la quale far circolare le risorse presenti sul territorio».
«La mia prima sensazione, quando sono arrivato a Pioltello - confessa un sacerdote - è
stata quella di rilevare che mentre da una parte esisteva qualche forma di autodifesa,
dall’altra c’era gente che ancora non aveva messo radici.
Ora festeggiamo il trentennio della presenza di questa parrocchia e a questo anniversario
abbiamo voluto dare il significativo titolo ‘è ormai tempo di mettere le radici’».
Qualcuno si consola ricordando che il campanilismo è un fenomeno non esclusivo di
Pioltello.
«La nostra situazione è di certo complessa perché il comune è diviso in quattro zone, c’è
però da dire che a Segrate ci sono addirittura sette paesi in uno. Mettere assieme uno di
Novegro o di Lavanderia con uno di Rovagnasco è come mettere assieme la Svezia con
l’Uganda».
Al localismo interno si accompagna poi un atteggiamento di esasperata competizione con i
Comuni vicini.
«Noi siamo sempre in un rapporto di amore-odio con Cernusco».
«Tra Cernusco e Pioltello esiste una dualità tremenda e pensare che sono divisi solo da
una strada. Si passa da una situazione di prospettiva florida a una realtà che risulta
penalizzata da scelte sbagliate compiute nel tempo».
«Cernusco è in condizioni migliori perché esiste una politica trentennale di sviluppo
ordinato. Infatti, mentre a Pioltello si è favorita l’edilizia popolare, a Cernusco è stato
favorito l’insediamento del ceto medio-alto».
«Cernusco e Gorgonzola vantano la metropolitana perché hanno sempre avuto
rappresentanti politici a livello istituzionale che contavano, mentre Pioltello ha messo in
mostra le pezze sul culo e non ha avuto una capacità di contrattazione politica».
«Cernusco è riuscito ad accaparrarsi la metropolitana e una serie di servizi e ha fatto di
tutto per togliere determinate cose a Pioltello».
«A Cernusco c’è un ospedale come in tutti i paesi importanti. Solo Pioltello e Vimodrone
non c’è l’hanno».
«Quelli di Cernusco sono ricchi sin dal 1400, cioè da quando hanno costruito il naviglio e i
loro orti hanno sempre reso tantissimo dal momento che i prodotti venivano portati e
venduti al mercato».
«Cernusco ha collocato tutta la zona industriale alle spalle di Pioltello, loro sono rimasti
una bella cittadina, hanno mantenuto e abbellito il centro storico, mentre su di noi hanno
scaricato i disturbi. Quanta gente di via Wagner è andata via per questa ragione?»,
osserva un anziano.
E pure un pubblico amministratore degli anni ‘70 si interroga:
«E’ mai possibile che Cernusco si sia mantenuta un bel centro storico scaricando a
ridosso di Pioltello la zona industriale?».
A questo interrogativo altri nostri testimoni danno però delle risposte secche e chiare: «Gli
amministratori pubblici di Cernusco hanno saputo dividere bene i vari settori, l’artigianato,
l’industriale, il residenziale, e hanno saputo difendere i loro interessi molto bene, facendolo
tra l’altro con una certa eleganza, cosa invece che gli amministratori di Pioltello non hanno
saputo fare».
«Cernusco ha curato di più i servizi, là c’è la metropolitana, ci sono più scuole e questo sta
a significare che quegli amministratori sono stati più attenti di quelli di Pioltello».
«A Cernusco c’è stato un sindaco che era democristiano non solo a parole o per interesse,
ma era un uomo capace di trascinare capitali, era democristiano nella sostanza»,
commenta una persona che ha vissuto male il disfacimento del vecchio sistema dei partiti.
Anche se c’è chi considera Cernusco «un’enclave stupida e che ha i prezzi più alti del
centro di Milano perché c’è quest’aura di essere il paese oasi di lusso, il che è un falso
clamoroso», il confronto con questo e con gli altri Comuni confinanti è una componente di
fondo della cultura di molti pioltellesi.
«Ad essere favoriti sono sempre stati gli agricoltori di Rodano, mentre quelli di Pioltello
sono stati continuamente penalizzati, tant’è che ormai tutti i nostri agricoltori hanno
abbandonato le cascine».
E la competitività la si registra anche a livello istituzionale: «Sulla multisala, ad esempio, i
comuni limitrofi, Cernusco e Segrate, hanno cercato di boicottarci in tutti i modi per
portarla sul loro territorio. Nel compiere le nostre scelte, noi abbiamo cercato di tenere
conto degli effetti che i vari provvedimenti avrebbero avuto sui comuni vicini. Abbiamo
lavorato seriamente oltreché onestamente e serenamente, avendo rispetto dei nostri
confinanti, mentre questo non si può sempre dire di loro».
«Segrate vuole costruirsi il suo cinema in alternativa alla multisala che verrà realizzata
prossimamente da noi. Esiste un campanilismo esasperato che è alimentato anche dal
fatto che le amministrazioni comunali sono politicamente differenti. Pioltello è sempre stata
penalizzata molto da questi atteggiamenti di antagonismo campanilistico, conseguenza
forse anche di una gestione politica che non è mai riuscita a guardare lontano, oltre i
propri confini».
28. L’immigrazione extracomunitaria e i problemi dell’integrazione
Com’è noto, una visione localistica dei rapporti sociali fa a pugni con la presenza sul
territorio di una molteplicità di etnie e di culture e da questo punto di vista Pioltello è
decisamente un melting pot.
Recita ancora il documento della Pastorale: «Gli extracomunitari stimati sono 1.000-1.200
provenienti principalmente da Egitto, Filippine, Albania, Marocco, Ecuador e Peru’».
E la ricerca svolta sulla storia del Satellite ha stabilito che «nel ‘99, nel comune di Pioltello
risultavano essere residenti 1122 stranieri di cui 389 abitanti al Satellite. Essi provengono
da ben 40 Paesi».
Tabella n. 31
Indici della presenza degli stranieri residenti e valori percentuali sulla popolazione.
Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1991-1997/98
indici
‘91
% su popolazione
‘97/’98
‘91
‘97/’98
Pioltello
100
218
1,1
2,6
Compr.Melzo
100
172
1,2
2,0
Prov.Milano
100
192
1,6
3,2
Fonti: Regione Lombardia, 0TML Provincia di Milano
Tabella n. 32
Valori percentuali degli stranieri residenti sulla popolazione. Pioltello, Cernusco, Segrate 1999
%
Pioltello
3,4
Cernusco
2,0
Segrate
4,5
Fonte: OTML Provincia di Milano
«Noi abbiamo una forte immigrazione di latino-americani e di pakistani - dicono a
Seggiano - poi qui ci sono peruviani, molti equadoregni, incominciano ad essercene
qualcuno anche del centro America, del Salvador. In genere essi hanno voglia di lavorare
e noi abbiamo l’impressione che si sfruttino anche un po’ fra di loro con il subaffitto».
«Una cosa che ultimamente ho notato nella realtà di Pioltello è la massiccia presenza di
stranieri situati in particolare al Satellite e a piazza Garibaldi», annota un’operatrice
scolastica.
Mentre altri nostri interlocutori commentano: «Il problema dell’immigrazione è un aspetto
che riguarda di più la parte a nord della ferrovia piuttosto che quella a sud. Verso nord il
territorio è molto più disomogeneo».
«Oggi al Satellite si stanno installando molti extracomunitari. Si tratta di un
extracomunitario povero che sostituisce il meridionale povero, quello che ha acquistato la
casa a un prezzo ragionevole da quello che da Milano si è trasferito qui e che poi l’ha
rivenduta per sistemarsi meglio».
«In questi decenni si è verificato un grande turn over di popolazione a Pioltello. Mentre in
alcuni comuni milanesi simili al nostro c’è stata l’ondata migratoria che si è poi
sedimentata e la gente ha messo radici, qui ci si è trovati di fronte a una tendenza
continua alla mobilità, Pioltello si è dimostrato un luogo di transito. La gente viene qui, ci
abita per un anno o due, si accorge che il paese è una schifezza e se ne va, sostituita da
altra gente in arrivo.
In questi ultimi dieci anni il fenomeno ha preso una piega che non riguarda più la
migrazione interna, ma l’immigrazione extracomunitaria».
«Il fatto grave è che non è ancora sedimentata la prima immigrazione, quella dei
meridionali, e oggi Pioltello è investita da una nuova ondata di immigrazione
extracomunitaria».
«Abbiamo avuto l’invasione di albanesi e curdi e loro hanno sicuramente le loro ragioni
politiche per rifugiarsi qui, però hanno anche portato la delinquenza. E questo avviene
ovunque, in specie a Milano dove si viene disturbati anche la notte. Qui però lo notiamo di
più perché l’ambiente è piccolo».
«Il problema è che quando ci sono le retate della polizia, poiché vige ancora la legge
Martelli, questi vengono portati in Questura e poi rilasciati dietro l’intimazione di una loro
rispedizione in patria solo dopo 15 giorni. E questi invece di partire rimangono qui».
Osserva un amministratore pubblico:
«Di extracomunitari ce ne sono molti che lavorano in quelle cooperative che operano nelle
grandi aziende e li si può vedere la sera quando in gruppo tornano dal lavoro oppure
vanno a fare il turno notturno. Sul versante della richiesta d’impiego però l’immigrazione
extracomunitaria incide poco, non c’è una grande pressione sulle strutture del
collocamento e per quel che è dato capire, mentre una parte di loro sono occupati nel
mercato del lavoro semiprecario, svolgendo magari mansioni rifiutate dai nostri, l’altra
parte è impegnata in attività illegali e concorre ad accentuare i problemi di sicurezza che
questo territorio presenta».
In effetti, a Pioltello, la pressione della forza lavoro extracomunitaria sul mercato del lavoro
è superiore alla media comprensoriale, ma è inferiore a quella provinciale.
Tabella n. 33
Stranieri iscritti al collocamento. Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano Primavera-estate 2000 (percentuale su totale iscritti)
%
Pioltello
Compr.Melzo
Porv.Milano
10,4
6,6
14,6
Fonte: Scica Melzo e Centro Lavoro Est Milano
Nel ‘99, in provincia di Milano, il 66,7% degli stranieri avviati al lavoro è stato assunto a
tempo determinato o parziale, cioè in forme contrattuali atipiche, mentre il 77,5% è stato
destinato a mansioni generiche, non specializzate.
Dicono nelle aziende: «Da noi ormai lavorano persone di tutte le razze, anche immigrati
clandestini. Noi abbiamo avuto l’esperienza positiva dei filippini che sono un gruppo
omogeneo e con una precisa identità di vita e che hanno fatto causa all’azienda. Oggi ci
sono i marocchini che operano nel reparto del pesce e sollecitano un intervento del
sindacato. Io però ritengo ancora prematuro e rischioso aprire una vertenza per la loro
stessa permanenza essendo ancora a contratto a tempo determinato».
«Noi abbiamo inserito nell’organico delle persone di colore del Centro Africa e l’esperienza
che abbiamo fatto è più che positiva. Si tratta di senegalesi e c’è da dire che sono ottimi
lavoratori, rispettano le regole del lavoro, hanno una cultura scolastica elevata, si adattano
a fare lavori che i nostri giovani non fanno più. Sono qui ormai da tantissimi anni».
«L’esperienza con la comunità egiziana che abbiamo qui è positiva, li stiamo sollecitando
a seguire i corsi di italiano per stranieri sia perché è importante che lo sappiano parlare,
sia perché diventa fondamentale che sappiano leggere e scrivere. Se questi diventeranno
nostri operai fissi, sempre per via delle certificazioni di qualità, dovranno saper leggere gli
ordini e saper scrivere. Ora invece sono impossibilitati a farlo. Qualcuno di loro ha già
confermato la presenza al corso, qualche altro invece ha delle difficoltà causa il basso
livello di scolarizzazione».
«Qui ci sono pochi immigrati, si tratta solo di tre o quattro egiziani».
«Nella cascina ci stanno gli albanesi, quelli giusti ovviamente, i quali lavorano
stupendamente. Abbiamo portato qui anche la loro madre e abbiamo creato un ambiente
dove si trovano bene».
Anche le agenzie interinali si avvalgono ormai di forza lavoro extracomunitaria.
«Attualmente - precisano le loro operatrici - per noi lavorano quattro persone immigrate e
l’esperienza è positiva, è gente che si dà da fare. Il loro handicap è la mancanza del
mezzo di trasporto.
Il problema degli immigrati è che in genere non hanno il permesso di soggiorno oppure
hanno il tagliandino che comunque non consente una loro assunzione. Poi, mentre alcune
aziende sono disponibili ad assumere gli immigrati extracomunitari, altre non ne vogliono
assolutamente sapere».
Ma è soprattutto nelle cooperative di facchinaggio e di pulizia che vengono impiegati gli
stranieri.
«I problemi relativi alla presenza degli extracomunitari sono tanti e grossi come quello dei
senza permesso di soggiorno. Noi abbiamo una cinquantina di extracomunitari molti dei
quali sono senza permesso, sono clandestini. Come cooperativa non ci prendiamo la briga
di assumerli perché da noi il nero non esiste, però cerchiamo di aiutarli. A volte siamo
andati anche in Questura a richiedere i permessi per inserirli così nel nostro organico.
Comunque rispetto a due anni fa oggi notiamo un maggior controllo.
Tra questi immigrati c’è, come ovunque, il bravo e il cattivo. Abbiamo un gruppo di rumeni
che sono bravissimi, poi ci sono anche degli albanesi e dei pakistani che sono altrettanto
bravi. Il problema principale che essi hanno è quello di trovare la casa in affitto».
«Accanto a chi rifiuta ideologicamente l’extracomunitario qui c’è anche chi lo cerca», fanno
presente al Centro Lavoro. «Ci sono anche delle aree di maggior concentrazione dove si
creano fenomeni di disagio pubblico, però complessivamente la situazione è abbastanza
tranquilla, non esistono emergenze. Ai nostri sportelli si rivolgono molti immigrati stranieri
tant’è che abbiamo deciso di costruire un progetto specifico per loro».
«Noi - precisa un imprenditore - abbiamo difficoltà non solo a trovare personale
specializzato, ma anche manodopera generica e allora siamo ricorsi a una comunità
egiziana composta da sette persone che lavora qui con soddisfazione reciproca».
Ma gli stranieri extracomunitari non si limitano a sopperire alle carenze del mondo del
lavoro dipendente, essi si cimentano anche con il lavoro autonomo.
Commenta un esponente della categoria dei commercianti: «L’espansione del fenomeno
dell’immigrazione ha favorito l’insediamento di attività imprenditoriali commerciali gestite
dagli stessi immigrati le quali rispondono all’esigenza di una variazione dei consumi che
consegue al crescere della loro presenza sul territorio».
L’integrazione viene dunque sospinta dagli stessi processi strutturali e il problema diventa
quello di governarla. Ma a questo riguardo, come vivono e come giudicano il loro
inserimento nella realtà sociale di Pioltello i diretti interessati? Ecco le testimonianze di
due immigrati qui residenti.
«A Pioltello sono arrivata nel ‘98. Sono partita dal Togo con mio fratello nell’84 per motivi
di studio. Lui frequentava la facoltà di medicina a Lomé e poiché ha voluto venire in Italia a
specializzarsi, si è dato da fare e ha trovato il modo di poter conseguire a Sassari la
specializzazione. Quando si è trasferito qui aveva bisogno di una mano in casa e allora
sono venuta anch’io con lui.
Inizialmente ho fatto lavori domestici in una famiglia e ho accudito una persona anziana.
Poi ho frequentato un corso di infermiera-assistente sociale che ho poi concluso al San
Raffaele di Milano. Ora sono diplomata e lavoro al Fatebenefratelli di Cernusco che è un
ospedale psichiatrico. Qui mi trovo bene e faccio l’infermiera professionale.
Per poter accrescere la mia professionalità e per diventare caposala ora dovrei
frequentare l’università, però per fare questo ho bisogno della maturità, cosa per me assai
difficile da conseguire. Prima di sposarmi avevo pensato a un simile percorso, solo che
ora sono presa dal lavoro, dalla famiglia e poi da un’attività culturale che svolgo con un
gruppo del Benin.
Ho lasciato il mio Paese con l’intenzione di studiare e poi di ritornarci. Ora però anche nel
Togo ci sono molti infermieri che sono disoccupati e io mi devo specializzare se voglio
ritornare e trovarmi un posto di lavoro laggiù.
Le mie connazionali lavorano alcune ore in qualche famiglia. Ci sono poi quelle che vivono
nella famiglia stessa che le ospita e sono libere solo una giornata alla settimana. C’è chi si
trova bene e chi no. Il dramma è di quelle donne che hanno lasciato i figli al loro Paese e
che non possono ricongiungersi perché le famiglie che le ospitano non sono disponibili.
Conosco una mia connazionale che per avere solo chiesto di portare qui la propria figlia è
stata licenziata.
Non tutte sono regolarmente assunte. In genere hanno il permesso di soggiorno e
lavorano saltuariamente e a orari parziali.
I miei compaesani che non hanno un diploma o ce l’hanno di tipo diverso dal mio
incontrano molte difficoltà a trovare una sistemazione lavorativa.
Il limite degli immigrati in generale è che si rendono disponibili a qualsiasi lavoro poiché
hanno bisogno di guadagnare soldi e così non possono disporre del tempo necessario per
specializzarsi. Molti di loro poi non sono informati sui loro diritti e pertanto vengono
facilmente sfruttati».
«Per noi immigrati diventa difficile trovare lavoro anche tramite le stesse agenzie interinali
, specie quando si è in età non più giovane come lo sono io. Quando notano l’età ti
accampano una serie di ragioni, ti chiedono sei hai il computer, ti premettono che si tratta
di lavoro precario, ti dicono che il datore di lavoro vuole lo specializzato, insomma, ti
creano difficoltà. In Italia non c’è la cultura del merito, i politici e i giornalisti giocano
sull’ignoranza della gente e se ne fregano di creare un senso comune che permetta di
valorizzare gli stranieri per quel che valgono. Non ci consentono di portare il nostro
contributo al miglioramento delle cose in Italia e insieme non ci permettono di lavorare
secondo le nostre attitudini.
Scattano tre meccanismi: il fatto che siamo stranieri, il fatto che non tutti siamo giovani,
l’assenza di una cultura del merito.
Spesso poi non ti assumono perché pensano che tu hai molta esperienza e non sei
disponibile a farti plasmare come uno che è grezzo.
I nostri problemi sono tanti, dal lavoro alla casa, dai diritti agli atteggiamenti intolleranti, dal
ricongiungimento con i familiari al problema dei figli.
Molto spesso chi subisce delle violenze, anziché denunciarle sta zitto per timore di
perdere il lavoro e di essere cacciato».
Sostiene un’operatrice culturale che con gli immigrati ha rapporti quotidiani: «La possibilità
di trovare un alloggio, un lavoro, una forma di accoglienza decente non è di tutti. Del resto,
problemi ce ne sono anche per noi che viviamo qui e non è perciò facile trovare le
soluzioni. Uno degli aspetti che mi pare essere più importante da affrontare è quello
dell’integrazione nell’ambiente».
«Attraverso la Caritas - afferma un sacerdote - abbiamo saputo che una famiglia
equadoregna di quattro persone, appena arrivata qui, con due di loro che lavoravano e
che guadagnavano due milioni, doveva pagare 250 mila lire al mese a testa solo per il
letto. Questo ci dice che da noi oggi si ripetono quelle esperienze che hanno vissuto nel
passato i nostri emigranti nei vari Paesi del mondo».
«So di un immigrato che lavora regolarmente in ufficio con un posto fisso e che vive in
automobile e regolarmente va a lavarsi alla struttura di accoglienza di Limito».
«A Pioltello si sa che esistono queste situazioni, però di esse ci si occupa poco. Anche dal
punto di vista delle istituzioni si è a conoscenza di certe situazioni del tipo di quella delle
case affittate dagli albanesi ai fini speculativi o per altri giri, però l’intervenire per impedire
questi abusi diventa difficile persino ai carabinieri».
«Se io fossi in Comune - dice ancora l’immigrato - affronterei subito il problema
fondamentale degli affitti delle case. La situazione di oggi da questo punto di vista è
terribile, c’è una speculazione incredibile. Se uno vuole star da solo deve affrontare affitti
impossibili e allora per farcela deve condividere l’alloggio con altri quattro o cinque.
Io riserverei agli stranieri e agli anziani una percentuale di case non solo di proprietà
pubblica, ma anche di quelle private. Con i privati farei delle convenzioni e in questo modo
abbasserei il costo degli affitti. Il lavoro, l’alloggio e l’integrazione sono i tre terreni su cui
bisognerebbe darsi da fare».
«Gli stranieri che frequentano i nostri corsi - precisa l’operatrice delle ‘150’ ore provengono da tutto il territorio circostante e si tratta di stranieri originari di diversissimi
Paesi.
Per poter rilasciare dei diplomi noi dobbiamo però avere persone che hanno il permesso di
soggiorno. A volte abbiamo accettato anche chi il permesso non ce l’aveva perché ci
pesava buttarli fuori dalla scuola nel momento in cui si rivolgevano a noi.
Nella scuola l’integrazione diventa un momento di confronto e di lavoro comune che serve
agli stessi italiani per constatare che in fin dei conti l’immigrato non è né un delinquente né
quello che viene a portarci via il posto di lavoro, come spesso si è portati a pensare. La
presenza nella stessa classe di culture diverse, di etnie diverse aiuta sicuramente a farsi
conoscere reciprocamente e a farsi rispettare. Difatti, capita spesso che qualche italiano a
un certo punto del corso o alla sua fine ci dica che non immaginava che uno straniero
potesse essere tanto disponibile e generoso».
A darsi da fare sul fronte dell’integrazione nel contesto socio-culturale sono gli stessi
immigrati.
«Io sono impegnata con un gruppo di immigrati del Benin, dal momento che sono
originaria di quel Paese, per far conoscere la nostra cultura. Per ora abbiamo operato
nella zona Est Milano. Il nostro progetto è quello di aiutare lo sviluppo del Benin e
soprattutto di limitare l’emigrazione. Quando si esce dal proprio Paese d’origine non si sa
cosa poi si trova fuori. Si pensa di trovare il paradiso, poi invece si scopre che c’è anche
l’inferno. La cosa migliore è quella di far sì che i nostri fratelli trovino lavoro laggiù.
Le Acli di Cernusco ci hanno concesso la sede. Ora stiamo cercando di avere un appoggio
da parte delle Amministrazioni comunali della zona.
Il problema nostro è purtroppo quello di non riuscire ad unirci anche perché proveniamo da
Paesi diversi. Molti vengono qui con il preciso scopo di guadagnare dei soldi e poi di
ritornare alla propria casa e questo non favorisce certo l’unione e l’iniziativa comune. A
questi non interessa altro che guadagnare denaro».
«E’ vero, gli immigrati extracomunitari non comunicano tra di loro», sostiene un operatore
del volontariato. «Quelli del Bangla Desh, per esempio, non parlano con gli indiani. Così
come quelli del Bangla Desh odiano i neri dell’Africa, non riescono a sopportarli. Hanno
riportato qui dai loro Paesi di origine i vecchi rancori.
Il Satellite è così diventato un serbatoio di conflitti, e pensare che qualcuno si era illuso di
poterlo svuotare. Farlo diventare un luogo di convivenza fra più culture ed etnie è quasi
impossibile, proprio perché ognuno è autonomo economicamente e autosufficiente e
pertanto può permettersi di non avere rapporti con l’altro».
A complicare il processo d’integrazione concorrono poi le intolleranze.
«Purtroppo sono diffusi gli atteggiamenti razzisti; c’è gente ignorante che ti dice di ritornare
al tuo Paese perché stando qui noi porteremmo via il lavoro ai loro figli. Questi
dimenticano che ci sono tanti italiani che vivono in altri Paesi e che si sono trovati nelle
nostre stesse condizioni.
Gli europei che vengono nel nostro Paese sono invece accolti da noi molto bene e viene
loro riconosciuto il contributo professionale che danno al nostro sviluppo, mentre noi qui
veniamo guardati male e non trattati con dignità. Questa è una vera e propria ingiustizia».
«L’intolleranza esiste e quando c’è l’ignoranza c’è anche il razzismo perché sono due cose
che vanno di pari passo».
Purtroppo i pregiudizi esistono e non solo da oggi.
«Quando molti anni fa sono arrivato qui, a ragione o a torto, ho trovato una situazione
ostile verso noi meridionali. Questo perché molti di quelli che erano arrivati prima di me si
erano comportati in maniera non civile e la gente del posto si è tenuta sulle sue.
Personalmente me la sono sempre cavata bene e molti dei miei amici sono proprio
originari del posto».
«Sono preoccupata per il clima di intolleranza che dilaga fra la gente».
«Il fatto che a Pioltello non si sia ancora integrata del tutto la prima immigrazione e che ora
ne arrivi un’altra ancora più difficile da integrare rappresenta un problema molto serio».
«Gli immigrati trovano spesso ospitalità e solidarietà solo nelle loro comunità, tra amici e
parenti. Sono costretti a vivere in una realtà che è molto diversa da quella che pensavano
e auspicavano di trovare».
«Nei confronti degli immigrati extracomunitari clandestini a Pioltello abbiamo le trincee. In
certi condomini la gente non vive più. Pioltello è una realtà in fermento ed è molto difficile
gestirla».
«Bisogna comunque riuscire a superare le intolleranze che, come in tutti i paesi, esistono
anche qui pur se in forme mascherate. Momenti di grosse intolleranze però non ci sono
mai stati. In occasione della morte di un barista per mano di un albanese, qui al Satellite è
stata organizzata una fiaccolata e non si è registrata alcuna tensione cattiva contro gli
stranieri, ma solo disagio. C’è da dire che qui le condizioni di vita non sono favorevoli né
per gli italiani né per gli stranieri».
Riflette ad alta voce una giovane diplomata che svolge un lavoro precario : «Il problema
dell’immigrazione a Pioltello è serio. Anch’io appartengo a una famiglia di immigrati, i miei
provengono dalla Basilicata e quando sono venuti qui hanno cercato di ambientarsi, si
sono trovati un lavoro, si sono creati il loro spazio e si sono integrati. Ora invece ci sono gli
albanesi che dal mattino alla sera te li vedi sempre lì seduti senza che si pongano il
problema di trovarsi un lavoro. Sarò forse un po’ razzista, ma questi te li vedi lì seduti con
il cellulare, con la macchina grossa, cose che nemmeno io possiedo e mi chiedo come
questo sia possibile. Questi vengono qui non per adeguarsi alla nostra società, ma per
crearsi una sorta di supremazia, per prendere il potere e allora è ovvio che si crei la
malavita e che si abbassi il livello della qualità dei rapporti sociali. Ovviamente non tutti gli
immigrati hanno di questi comportamenti, c’è però una piccola parte che danneggia
l’immagine di tutti gli altri. Ai marocchini io tolgo il cappello perché quelli che sono qui
lavorano, magari in modo saltuario e precario, però si guadagnano da vivere onestamente,
cosa che non fanno gli albanesi. Lo spaccio di droga a Pioltello c’era già prima che
arrivassero loro, però con la loro presenza è sicuramente aumentato».
E altri nostri testimoni non più giovani si sforzano di spiegare le cause del dilagare di certi
atteggiamenti xenofobi.
«Personalmente io non sono preoccupato della presenza degli immigrati. Ho sempre
avuto buoni contatti con loro, anzi ho parecchi amici tra i meridionali i quali si sono
integrati benissimo. In tutte le migrazioni purtroppo c’è anche una parte di gente che se ne
approfitta della buona fede altrui. Noi qui un tempo lasciavamo aperte le nostre case, a un
certo punto questo non lo si è più potuto fare e da qui nasce la reazione che ci ha resi un
po’ più cattivi. Per quanto riguarda invece le ultime immigrazioni, quelle dei marocchini e
degli altri extracomunitari, purtroppo, per esperienza diretta ho potuto constatare che il
rapporto tra delinquenti e gente onesta è molto superiore rispetto all’immigrazione del Su
d’Italia. Allora la gente veniva soprattutto a cercare il posto di lavoro, questi invece non
sempre hanno intenzione di lavorare».
«Sento molte famiglie qui del Satellite che ormai non ce la fanno più a vivere perché
nell’appartamento a fianco ci sta l’extracomunitario che non ha riguardi e disturba».
«Di immigrati in questo territorio non ne abbiamo moltissimi, però anche a questo
proposito andrebbe fatta una bella selezione all’origine. Il soggetto extracomunitario è utile
se lavora, non lo è se sfrutta la prostituzione, se è arrogante. La società italiana deve
tutelare il cittadino onesto. Noi non possiamo prendere dentro tutti e ogni due anni fare la
sanatoria. Ci deve essere una rigidità, perché certi immigrati non sono proprio da sanare.
Bisogna invece trovare il modo di trasferire imprese e macchine nei loro Paesi e mandare i
nostri tecnici perché insegnino loro a lavorare e favorire così il loro sviluppo».
«Quelli di qui non hanno legato neanche con i meridionali, sono rimaste le distinzioni e
ancora oggi i bambini delle famiglie originarie di Pioltello che frequentano le scuole
elementari, non legano con quelli di origine meridionale e vanno addirittura all’oratorio in
orari differenti. Esiste una mentalità diversa. Perché i ragazzi giochino tutti assieme
dovranno passare delle generazioni.
Con gli immigrati extracomunitari è una cosa ben diversa, i meridionali sono italiani, sono
venuti qui per lavorare, questi no».
Sulle difficoltà che si incontrano nel far crescere uno spirito di accoglienza e di reciproca
comprensione e rispetto si sofferma un sacerdote.
«Di fronte all’attuale ondata di immigrazione extracomunitaria, c’è il rischio che gli
immigrati di prima, i meridionali, diventino ancor più integralisti di quanto non lo siamo noi
del posto. Scatta il meccanismo della concorrenzialità.
In Germania c’è un’infinità di turchi, in Francia ci sono molti nord-africani e quelle
situazioni non sono di certo paragonabili all’Italia, però in quei Paesi c’è una cultura
diversa, quella della relazione, della diversità, dell’accoglienza. La nostra stessa cultura
cattolica che è fondata sul solidarismo fatica a entrare in questo ordine di idee, anche
perché esiste sempre il discorso del campanile per cui c’è sempre una parte che deve
essere difesa a tutti i costi».
E c’è anche chi insiste sulla necessità del processo d’integrazione indicando le possibili
strade da percorrere e riconfermando il proprio impegno in tal senso.
«Se uno vede le diversità come risorse non può tralasciare di considerare positivo un
confronto con gli immigrati e una mescolanza con loro.
A Pioltello esistono ottime mediatrici culturali e nei rapporti con gli extracomunitari presenti
andrebbero valorizzate al massimo».
«Noi siamo impegnati a organizzare a fine anno scolastico una festa interetnica come
momento aperto alla popolazione e a tutto il territorio.
Stiamo pensando anche di produrre del materiale sul tema delle diverse culture e sarebbe
interessante e utile verificare se il Comune è disposto a farsi carico della pubblicazione.
Del resto, la valorizzazione della diversità è un po’ la storia delle «150 ore» dal momento
che essa è sempre stata la caratteristica dei nostri corsi sin dalle origini. Sperimentate dai
metalmeccanici, infatti, le ‘150 ore’ sono state poi frequentate dai lavoratori di altre
categorie, dalle casalinghe, dai disoccupati e poi la presenza di persone di differenti età e
provenienza ha favorito la conoscenza e la comprensione. La stessa presenza di giovani e
anziani ha favorito uno scambio di esperienze positivo e molto spesso apprezzato dagli
stessi giovani. Noi ci consideriamo perciò un importante veicolo d’integrazione».
«Si può dire che Pioltello sia già un esempio di società multietnica e multiculturale e le
difficoltà di un amministratore pubblico stanno proprio nel cercare di trasformare la
presenza sul territorio di tante culture e tradizioni in una fonte di ricchezza evitando che sia
invece motivo di emarginazione e di separazione».
E commenta un immigrato: «Si possono fare tante iniziative culturali come il teatro,
però nel concreto si fa poco o nulla. Lo stesso gemellaggio con la Costa d’Avorio, ad
esempio, è solo un’operazione di facciata,
L’anno scorso sono state fatte, e vero, delle iniziative alle quali hanno partecipato
soprattutto gli arabi e i cinesi, però poi non c’è stata una continuità.
Ci sono poi le iniziative del Cacis, delle scuole, però anche queste sono episodiche, non
sono coordinate. Sarebbe bene invece che tra i diversi organismi ci fossero delle relazioni
stabili.
Per noi diventa impossibile costruire questo tessuto di relazioni periodiche e stabili, spetta
proprio al Comune dare ufficialità all’iniziativa.
Da tempo si sta tentando di costituire la Consulta dell’immigrazione. Siamo in ballo ormai
da due anni e mezzo in questa operazione che va avanti lentamente perché è una
questione sociale e non solo politica. Si deve sapere che la Consulta non serve solo agli
immigrati, ma all’intera popolazione, perché l’integrazione serve a migliorare la convivenza
sociale.
Le disponibilità che comunque dimostrano la Caritas e il Comune si scontrano poi con un
senso comune che non favorisce certo l’integrazione, ma che pretende invece
l’assimilazione».
«Che esista una consulta dell’immigrazione noi siamo estremamente interessati sottolinea un’immigrata - certo è però che il riconoscimento del diritto di voto
amministrativo sarebbe una cosa molto più positiva e più efficace. Le istituzioni devono
dare più informazioni, non solo a noi, ma alla propria gente; hanno il dovere di formare le
persone affinché si dispongano ad aiutarci nel processo di integrazione. Ormai qui ci sono
le famiglie di immigrati, qui nascono i figli e questi devono essere accolti. Le famiglie
italiane devono accettare la convivenza. Questa è la direzione verso cui lavorare».
Un invito questo che trova pienamente concorde chi ha la responsabilità del governo
locale.
«Pioltello è di fatto un laboratorio, magari con grandi sofferenze, ma tale è. Questo vuol
dire essere all’avanguardia e tentare soluzioni nuove, ricercarle.
Pioltello è un crogiuolo, non è Berlino est-Berlino ovest, non è Beirut est-Beirut ovest, non
è neppure Segrate a quartieri omogenei e separati in termini di classi sociali. Pioltello è un
crogiuolo dell’accoglienza, perché le persone che sono venute a Pioltello negli anni ‘60
e’70 oggi sono pioltellesi. Qui non c’è stato un fenomeno di rigetto, un fenomeno di
razzismo e ora noi diciamo che vogliamo diventare un laboratorio dell’accoglienza per le
persone che non sono italiane le quali ci ripropongono la scoperta di ciò che sta nel dna di
Pioltello, cioè la sua diversità rispetto ai comuni vicini sul piano della capacità di
integrazione. Su questo terreno noi siamo più avanti degli altri. Il contributo che Pioltello dà
alla Martesana è proprio quello di essere laboratorio e crogiuolo dell’accoglienza».
Sulla stessa onda ci sono anche le Parrocchie: «Una considerazione a cui siamo arrivati è
che Pioltello può essere una città laboratorio dal momento che qui ci sono forze giovani e
anche qualche entusiasmo. L’esperienza del centro di ascolto cittadino per gli stranieri è
proprio lì a dimostrare che esistono le condizioni perché questo obiettivo venga
realizzato».
E simili propositi fanno ben sperare.
29. La questione giovanile
Un altro aspetto problematico della realtà pioltellese è costituito dalla questione giovanile.
«A dare qualcosa ai giovani sono le Parrocchie, mentre invece nell’Amministrazione
comunale non c’è questa mentalità, il Comune non va incontro alle loro esigenze».
«Secondo me, il Comune fa molto di più per noi anziani che per i giovani. Organizzato dal
Comune c’è solo il Puccini come scuola di musica, nulla più».
E a confermare un simile giudizio è una giovane la quale ricorda come a Pioltello ci siano
«molte opportunità per gli anziani come i centro sociali, i campi da bocce, mentre per i
giovani non c’è assolutamente niente. L’unica cosa positiva che è stata fatta a livello
giovanile è quella della multisala cinematografica, anche se resto convinta che a Pioltello
ne sarebbero bastate due tipo l’Agorà di Cernusco.
Questa città è molto più organizzata di Pioltello a livello giovanile e culturale, ci sono infatti
molte iniziative alcune delle quali rivolte anche ai giovani dei comuni del circondario, come
il concorso musicale dell’anno scorso, cosa che a Pioltello non c’è mai stata. Non ricordo
che da noi sia mai stato indetto un concorso al quale abbiano partecipato i giovani o
gruppi di giovani di altri comuni della zona».
Persino un vecchio sindaco è convinto che per i giovani si sia fatto poco.
«I giovani di Pioltello sono o sotto i portici o ai giardini o al monumento ai caduti
abbandonati a loro stessi e per fortuna c’è qualche oratorio. Per i giovani non si è mai fatto
nulla. Si è fatta la piscina che è costata un capitale, però non è molto frequentata».
E c’è anche chi sottolinea come «le nuove generazioni vivono poco la vita di Pioltello».
Difatti, confermano i giovani, «uno che la domenica vuole fare qualche cosa di
interessante deve necessariamente spostarsi. Qui non ci sono discoteche, non ci sono
luoghi di aggregazione, non esiste nemmeno una gelateria dove la sera ci si possa sedere
e mangiare un gelato dal momento che quelle che esistono sono tutte da asporto».
«Io la realtà di Pioltello non la vivo proprio per niente. Ho delle amicizie con dei giovani di
Pioltello però come gruppo ci spostiamo verso Melzo o Cassano».
«Io ho una figlia di 14 anni che la domenica pomeriggio va a passeggiare o a Milano o a
Cernusco, perché qui non c’è un luogo dove si possa fare questo ed è innegabile che
l’assenza di luoghi di socialità è il risultato delle scelte urbanistiche che sono state
compiute nel passato».
«Anch’io ho due figlie, una è integrata nel Gabbiano e dedica parte del suo tempo libero
allo sport qui a Pioltello, l’altra invece va a Cassina de’ Pecchi perché frequenta un coro.
Per conoscere Pioltello i giovani devono necessariamente essere aggregati a qualche
comunità locale o a qualche oratorio o società sportiva, diversamente si spostano in altri
comuni».
«I giovani dai 15 ai 20 anni sono costretti a spostarsi altrove, una sera a Milano, un’altra a
Cernusco e così via, perché non hanno luoghi dove andare. Questo io l’ho constatato con i
miei fratelli. C’è peraltro da dire che i giovani di questa età si dimostrano sempre meno
interessati alle questioni sociali e anche per questo risultano meno legati all’ambiente in
cui risiedono».
«E’ il benessere che rovina tutto - sentenzia un anziano - i giovani pensano alla casa al
mare e a quella in montagna, si vantano perché sono abbronzati, sono diventati
appassionati di sci, fanno la settimana bianca e vivono al di sopra dei propri mezzi».
Sta di fatto che anche a Pioltello, come sottolinea un sacerdote, «la realtà giovanile è
frammentata, i giovani non li si ritrova più tutti in un posto e soprattutto non li si ritrova più
schierati, almeno in generale. Sono più possibilisti, se non arrivisti, comunque molto più
preoccupati di sé. Sono il prodotto della società di oggi.
Le prediche e i lunghi discorsi non valgono più, per i loro linguaggi frammentati occorrono
solo i messaggi. A volte le iniziative preparate in qualche maniera riscuotono successi
insperati, mentre quelle preparate per mesi non funzionano.
La fascia dei giovani di un certo livello sociale è in cerca di determinati interessi e si
muove verso Milano, cioè sul mondo dell’università, della scuola e del lavoro. La fascia più
bassa invece ha altri interessi, gioca a pallone e perde tempo. Direi che la maggior parte è
a un livello medio-basso».
«Tendono ad essere molto individualisti e abituarli a un servizio non è semplice.
Non c’è in loro una voglia di ricerca, di conoscenza. Ovviamente in qualcuno c’è, ma in
genere c’è piattume. Uno ormai ha il computer e si diverte con quello, ha il motorino, i soldi
in tasca non mancano per cui una voglia di capire, di saperne di più non c’è.
Il rischio reale è quello di una rottura con la memoria storica e questo è estremamente
preoccupante perché mette allo sbando quei giovani che sono molto fragili. Quando questi
vanno in crisi non vanno a parlare con uno più grande di loro, ma si confidano tra di loro
stessi e non avendo esperienza molto spesso non riescono a trovare le giuste soluzioni,
non sanno individuare la strada da imboccare».
«Il giovane risponde alle sollecitazioni del mondo adulto e vive anche lui tutti i
comportamenti a rischio dell’adulto. Egli però è tendenzialmente più stupido dell’adulto
avendo meno memoria. Di fatto la modernità riproduce comportamenti antichi in una
struttura sociale più comunicativa e più veloce.
I giovani che si spiaccicano contro i muri non sono altro che le vittime di questa sfida
portata agli estremi. Tutto quello che il giovane sperimenta, tutto quello che il giovane
chiede, tutto quello che il giovane vive non è nient’altro che lo specchio di ciò che il mondo
degli adulti gli trasmette. E l’adulto gli trasmette anche valori di trasgressione, magari
travestiti. Essendo più nuovi dentro i giovani, quando vengono raggiunti da certe
esperienze forti della vita, reagiscono tirando fuori la parte migliore di sé che è quella che
cerca aria pura. L’adulto invece spesso è abituato a respirare l’aria viziata».
«Non è comunque così per tutti - precisa un nostro interlocutore - io ho un figlio il quale ha
degli amici seri e tra di loro si aiutano come non mi è mai capitato di vedere nel passato».
E a negare che le nuove generazioni siano meno impegnate di quelle del passato
sono coloro che hanno la responsabilità istituzionale della loro formazione.
«I giovani sono molto più in gamba di quanto lo eravamo noi ai nostri tempi. Hanno una
volontà di fare molto superiore. Il giudizio che il giovane è disimpegnato e non ha i valori lo
tiriamo fuori noi che ormai siamo diventati vecchi e ci grogioliamo nei nostri ricordi.
I giovani si stanno adattando molto bene al cambio di mentalità, siamo noi che facciamo
fatica. Noi, ad esempio, non siamo in grado di seguire i cambiamenti che sta subendo il
lavoro e consideriamo disoccupato quel giovane che tenta di impiantare una sua attività
legata alle nuove tecnologie.
I giovani incontrano dunque difficoltà di carattere psicologico. Noi abbiamo la scuola e
l’università che sono ancora molto ingessate e la famiglia che ancora non accetta i nuovi
stili di vita».
«Quando si dice che i giovani di oggi sono meno impegnati di ieri si fa una considerazione
che ha valore più rispetto all’apparenza che alla sostanza. C’è da rilevare che i giovani di
oggi hanno un impegno che non è più rivolto in una sola direzione come avveniva per noi
che guardavamo prevalentemente allo studio. Quella di ieri era una realtà abbastanza
semplice, mentre quella di oggi è complessa e pertanto il loro impegno è più diversificato.
Sotto tanti aspetti, rispetto a quello che eravamo noi alla loro età, essi dimostrano una
maggiore maturazione».
L’aspetto educativo comunque «si rivela sempre più difficile».
«La maggiore difficoltà che noi dobbiamo affrontare nella scuola è quella relativa alla
complessità dei messaggi che oggi arrivano ai giovani. I messaggi a livello formativo,
educativo che noi diamo loro sono analoghi a quelli che vengono dati dalla famiglia, ma
sono in contrasto con quelli che inviano altre agenzie formative ed educative, come i
mass-media. Questa è una lotta dura, è una vera e propria competizione. Alla fine però
forse siamo in grado di spuntarla e io sono molto fiducioso perché vedo che i nostri
ragazzi crescono in maggior parte sani e impegnati, sono veramente degli ottimi ragazzi».
Non tutti però frequentano la scuola fino al diploma o alla laurea e la maggior parte
risultano esposti alle insidie del pensiero «debole».
Come ci ricorda una ragazza, «i giovani di oggi si portano dietro tutte le ipoteche della
società del consumismo. Persino nelle esperienze d’amore c’è uno scadimento. Per me è
ancora importante innamorarsi di una persona e non concepisco la pratica di cambiare
ogni giorno il ragazzo. Eppure moltissime delle mie amiche si innamorano un giorno di uno
e l’altro di un altro. Molto spesso si sta assieme alle persone per far passare il tempo. Molti
giovani hanno ormai questa abitudine, stanno assieme a una persona per comodità o per
paura della solitudine. E la solitudine nei giovani è molto diffusa, venendo a mancare un
sacco di valori per forza di cose ci si sente soli. E per sfuggire alla solitudine si va in
discoteca, si esce con una persona che neanche si conosce e che non interessa
nemmeno conoscere un po’ a fondo, oppure ci si affida al branco obbedendo a logiche
che spersonalizzano.
Sento molti giovani che nei confronti della persona con cui stanno assieme dalla mattina
alla sera non nutrono alcuna fiducia. Escono con essa ma non sanno nemmeno quando è
nata. E’ brutto da dire questo, però è la verità. Tra di oro c’è poca solidarietà, i loro rapporti
sono spesso opportunistici.
In molti giovani la famiglia non ha assolutamente alcuna importanza. Nella loro mentalità
la famiglia non esiste, c’è il desiderio di essere indipendenti, di fare quel che si vuole.
Serve solo perché è il luogo dove si dorme e si mangia, ma il giovane non ha voglia di
stare in casa, preferisce uscire, trovarsi con gli amici.
Io lo noto con le ragazzine delle medie che stanno in giro la sera e i cui genitori non si
preoccupano. La crisi della famiglia non è dovuta solo ai giovani, anzi incomincia proprio
dalla famiglia stessa, dai genitori che non trasmettono ai figli i valori della vita».
E il disimpegno educativo degli adulti è l’argomento su cui insiste un sacerdote: «Quello
che mi impressiona di più è che non c’è ormai più nessuna figura che venga ritenuta
importante da rispettare, ognuno si erge a giudice e non c’è nessuno che si oppone a tali
pretese. E’ venuto meno il senso del rispetto altrui».
«I genitori di oggi dimostrano di avere molta paura del confronto che i figli fanno tra i loro
comportamenti e quelli degli altri e se gli altri ragazzi riescono ad ottenere dalla propria
famiglia determinate cose anche loro si prodigano a procurarle ai propri. Qui da noi i
genitori si riuniscono tutte le settimane per la catechesi e quando si confrontano scoprono
che hanno gli stessi problemi esistenziali con i figli. Questi rispondono e non obbediscono
e prima che facciano quello che i genitori richiedono loro, ce ne vuole. Non è che noi
fossimo migliori di loro, però se la mamma diceva una cosa sapevi che se non la facevi
non era cosa giusta e ne tenevi conto, oggi invece questo rispetto non c’è più. I giovani di
oggi rispondono ai genitori in una maniera che di certo noi non avevamo.
I genitori non hanno poi più il coraggio di dare loro una sberla perché hanno paura che i
figli alzino il telefono e li denuncino e poi non sanno più da che parte voltarsi per educarli.
Io non sono convinto che nei giovani ci sia una mancanza di valori. Come sempre capita, i
disvalori si fanno più pubblicità dei valori. Che però oggi vivere i valori sia diventato più
difficile è un dato acquisito».
«Gli adulti non si prendono adeguatamente carico dei giovani e spetta proprio ai giovani
cercare aria pura. Pioltello è un po’ il concentrato di tutte queste cose.
Si fa una fatica tremenda a raggiungerli. Dal punto di vista educativo bisogna creare figure
nuove, perché l’immagine bella che un tempo ha avuto un suo valore, quella cioè del prete
e anche quelle del cortile, dell’oratorio, del pallone non reggono più.
La sensazione che si ricava è che ognuno si faccia i fatti suoi. Alcuni sono disponibili e
danno una mano alla Parrocchia e all’oratorio, la maggior parte però sia dei giovani che
degli adulti non si lasciano coinvolgere più di tanto e questa è una delle maggiori difficoltà
che incontriamo. Giocano molto le amicizie prima ancora della famiglia».
Il rapporto dei giovani con la fede poi, «è un bel casino. Con loro bisogna essere franchi e
dire esplicitamente che il cammino della fede è un cammino serio che prevedere anche
momenti in cui si va in crisi fortemente, specie a 14 o 15 anni».
«La fede non ha più alcun senso per la maggioranza dei giovani, avere fede costa troppa
fatica. Figuriamoci se uno deve scervellarsi per pensare se esiste o no un dio. Per un
giovane di adesso non esiste alcun tipo di valori, vive per il presente, si alza al mattino e si
pone solo il problema di come tirare sera. Io lo verificavo con i miei compagni di classe,
eravamo solo in due o tre ad andare a messa. I giovani vanno nella direzione degli eventi,
vivono passivamente, non si curano di avere un loro protagonismo.
Sono in queste condizioni soprattutto quei giovani la cui famiglia non si preoccupa di
trasmettere loro dei valori. I miei genitori, invece, mi hanno sempre parlato di fede e sin da
piccola mi hanno portato all’oratorio. Chi non ha avuto e non ha alle spalle una famiglia del
genere vive passivamente, è privo d’interesse verso tutto».
In un suo documento pastorale la Chiesa di Pioltello ribadisce la necessità di costituire un
coordinamento giovanile proprio perché, pur esistendo «una buona ricchezza educativa (a
volte un po’ snobistica), c’è lentezza nell’appropriarsi di una figura della fede più
personale, condivisa e convinta da parte dei giovani».
E poi non mancano certo le preoccupazioni per la presenza di episodi di vandalismo e di
devianza.
«Anche stanotte nella via dietro la chiesa hanno fatto le scritte sulle case e sporcato
l’ambiente», lamenta un parroco. «Qui vale poi anche la legge del branco, perché dal
branco i giovani si sentono protetti e rispetto a un tempo sono molto meno se stessi. Più
volte mi sono sentito ripetere dai giovani ‘se cambiano gli altri cambio anch’io, altrimenti
no’ e questo dimostra la grande influenza che la compagnia ha su di loro».
«Il problema delle devianze a Pioltello è forte, esiste un mondo legato alla microcriminalità
e alla droga che ha radici pesanti e segni marcati. Quello della devianza è un fenomeno
che non lo si fa emergere, è conosciuto solo dagli addetti ai lavori ed è difficile da
intercettare. Quando ero assessore dal Sert ho avuto il dato dei morti di immunodeficienze
a Pioltello e ho avuto un shock. Io che ero contrario a collocare i distributori di siringhe, a
quel punto ho mollato tutte le mie difese mentali perché capivo che qualcosa bisognava
pur fare contro il comune sentire delle gente che lo rifiutava. E’ un problema molto forte e
va di pari passo con il venire meno dei valori».
«Qui i giovani vivono una crisi d’identità e tra loro è diffusa la tossicodipendenza. Basta
guardare nel tardo pomeriggio il parchetto del Satellite che viene frequentato da gruppi di
giovani per averne una testimonianza. Anche se va ricordato che si tratta di un problema
che non può essere localizzato solo su Pioltello visto che ha una dimensione generale».
«Io abito in un posto dove già dal primo mattino un gruppo di ragazzi si spinella», racconta
un anziano. «Quando ero giovane io, andavo a lavorare e non avevo certo il tempo per
spinellarmi».
«Direi però che in questi ultimi dieci anni c’è stata un’evoluzione», afferma un sacerdote.
«Prima, proprio qui davanti all’oratorio, era molto evidente una situazione di droga, ora
invece, pur essendoci ancora questo fenomeno, a ricorrere alla droga pesante sono solo
quelli di un tempo i quali continuano a farlo, mentre non ho visto altri entrare nel giro, non
c’è in sostanza un turn over. Anche le bande o cose di questo tipo non si vedono più in
giro come una volta, ci sono invece le compagnie di adolescenti che si spinellano e questi
sono controllabili non solo dal punto di vista dell’uso della droga leggera, ma per la loro
logica e dinamica».
«E’ vero - conferma un curato - il modello del tossicodipendente seduto per strada
stravolto che si sta facendo con la siringa infilata nel braccio non c’è più, ora però c’è il
bravo impiegato che sniffa cocaina al mattino, a mezzogiorno e alla sera per essere
sempre pimpante e poi c’è il giovane che va in discoteca e si prende la pasticca. Questo
non fa schifo, non ti fa sentire un tossicodipendente nella forma che è nell’immaginario
collettivo e che viene condannata.
A Pioltello continuano ad esserci i tossicodipendenti vecchia maniera, però da qualche
tempo si coglie questa evoluzione».
I dati forniti dalla ricerca sulla criminalità svolta di recente, dicono che “nel 1992 i
tossicodipendenti conosciuti dal Not erano 200 e che una stima faceva supporre fossero
complessivamente circa 600”, un equivalente cioè pari al 6-7% della popolazione di età
compresa fra i 15 e i 30 anni.
E a proposito di devianze, osserva un nostro anziano interlocutore: «Si fa tanto scalpore
per la droga, ma si dimentica che a Pioltello sono diffusi anche altri due fenomeni che
rovinano la salute e tra l’altro impediscono che si facciano donazioni di sangue: si tratta
del bere e del fumare. L’alcolismo in particolare fa dei danni che non vengono mai
considerati come una devianza, eppure hanno un’incidenza enorme e preoccupante».
La questione giovanile a Pioltello assume una notevole rilevanza anche perché «il nostro
comune vanta un’alta percentuale di giovani tra i 14 e i 25 anni e la parrocchia di Maria
Regina è quella che ha più giovani in assoluto».
Ancora la ricerca svolta sulla criminalità e sicurezza ricorda che «la percentuale di giovani
tra gli 11 e i 20 anni residenti a Pioltello è superiore a quella stimata in tutta la Lombardia
(11,06 per cento contro il 10,56); i minori fino a 10 anni sono il 10,94 per cento. Da questi
dati si capisce quanto siano fondamentali politiche giovanili riguardo a prevenzione,
formazione e aggregazione: la risorsa principale di Pioltello deriva proprio da loro».
In effetti, anche se nel corso di questi ultimi venti anni i rapporti percentuali tra la
popolazione giovanile di Pioltello e le medie provinciali hanno fatto registrare un
avvicinamento, ancora oggi un abitante su tre ha meno di 30 anni. E una così massiccia
presenza di giovani esige senz’altro la messa in campo di efficaci politiche atte a
soddisfare la domanda di lavoro, di cultura, di orientamento e formazione e di
organizzazione del tempo libero che proviene da questo mondo.
Tabella n. 34
Giovani e anziani residenti. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1999/2000 (valori percentuali
su popolazione)
‘81
‘91
‘99/2000
49,6
43,0
31,6
6,8
8,9
12,6
con meno di 29 anni
41,5
37,0
28,0*
con più di 65 anni
11,8
13,9
17,0*
Pioltello
con meno di 29 anni
con più di 65 anni
Prov.Milano
* stime
Fonti: Istat, Regione Lombardia e Comune di Pioltello
«Purtroppo noi giovani siamo un po’ disastrati e bisognerebbe fare qualcosa se è vero che
siamo la società del futuro. Bisognerebbe che qualcuno ci coinvolgesse in attività che
favoriscono la creazione di amicizie durature per distoglierci da altri pensieri».
«La generazione di quelli che oggi hanno 13 anni sembra avere le potenzialità per un
impegno nuovo, le mentalità stanno cambiando e questi ragazzi sono più profondi, forse
con questi diventa possibile costruire qualcosa di positivo».
«A riguardo dei giovani io non parlerei di problemi ma di potenzialità. Se c’è un problema è
proprio quello di come suscitare questa potenzialità. Noi stessi sacerdoti ci rendiamo
spesso conto di non avere le parole adatte, il linguaggio giusto per fare questa
operazione».
«Gestire i giovani significa anzitutto conoscere la loro realtà, capire quali sono i loro
problemi da adolescenti, quelli che devono affrontare tutti i giorni. L’adolescenza è una dei
periodi più complessi nella vita di una persona e se si conoscono si affrontano meglio.
Conoscendo i loro bisogni a livello scolastico e affettivo, i problemi che pongono possono
essere affrontati nella maniera giusta».
«Sono due le strade che si devono battere: una è quella dell’appartenenza che può essere
risolta con il circolo giovanile, l’altra invece è quella che richiede un discorso molto
personalizzato. Non bisogna consentire che nei giovani si arresti la ricerca e la volontà di
arrivare da qualche parte».
«Il problema principale relativo ai giovani che esiste a Pioltello è quello del disagio che
deriva da tutti questi anni di morte sociale».
Della necessità di un intervento appropriato ed efficace verso le nuove generazioni
sembra avere consapevolezza anche chi ha la responsabilità di governare la città.
«Con la ricollocazione di un supermercato che è situato sul territorio comunale e con il suo
spostamento in altro luogo, l’attuale edificio viene ceduto al Comune. Sono già stati fatti
dei progetti circa il suo utilizzo e tra le varie ipotesi c’è quella della realizzazione di un
centro giovanile. Si tratta di circa 4 mila metri quadrati e l’area verrà dotata di servizi di
interesse provinciale».
Si tratta di un progetto che sicuramente è destinato a incontrare il favore dei giovani, ma
se si vuole che esso corrisponda pienamente alle loro aspettative è necessario che si
pensi a una gestione aperta al loro stesso contributo. Avverte una giovane: «Io so cosa
non farei. Pensare ai giovani non significa affatto limitarsi a fornire loro un contenitore
dentro il quale ritrovarsi, perché si rischia poi di ritrovarsi dentro a un contenitore vuoto.
Bisogna invece rendere chiaro ai giovani che non gli si chiede un’opinione quando poi
qualcuno ha già scelto cosa fare per loro. Occorre dar loro spazio di decisione.
Verso le istituzioni da parte dei giovani oggi c’è una diffidenza a priori ed è proprio questa
che deve essere abbattuta».
In questi ultimi anni l’Amministrazione comunale si è pure aperta alle istanze giovanili e
almeno in due circostanze ha tentato di sperimentare un rapporto nuovo con questo
mondo variegato e complesso. Queste esperienze però hanno prodotto nei giovani che ne
sono stati coinvolti anche insoddisfazione e delusione.
«Nel programma elettorale dello schieramento di centro-sinistra si è dichiarato molto
interesse verso i giovani, specie verso i minori. Il progetto ‘città dei ragazzi’ però è rimasto
un po’ in sordina», afferma una componente della stessa coalizione di governo.
Di questo progetto è stata animatrice, tra gli altri, una giovane studente universitaria la
quale così giudica l’esperienza da lei vissuta.
«Proprio il progetto ‘città dei ragazzi’ avrebbe potuto e potrebbe essere uno strumento di
coinvolgimento dei giovani, oltre che degli anziani e dei cittadini in generale, recuperando
così il loro interesse all’impegno sociale.
Con esso l’Amministrazione comunale si proponeva di costruire una città a misura di
bambino coinvolgendo i ragazzi delle scuole elementari e medie in proposte di
riqualificazione di alcune aree cittadine.
In teoria, noi dovevamo essere quelli che seguivano in un determinato percorso i ragazzi
all’interno delle classi. Si doveva seguirli fino alla formulazione di una proposta di
sistemazione di un’area verde.
Si può immaginare che sia stato inizialmente costituito un gruppo di persone che erano
interessate a questo argomento e che poi insieme hanno cercato di portarlo avanti. Di fatto
non è stato così, perché il gruppo è stato messo assieme in modo abbastanza
improvvisato, non c’erano cioè le condizioni perché diventasse lo strumento in grado di
sopportare tutta l’esperienza in modo organico dal principio alla fine. Non è un caso che
poi ci si è dispersi.
Il primo anno abbiamo lavorato con due scuole elementari e una scuola media; il secondo
anno con una scuola media e una elementare per un totale di cinque classi e il lavoro che
abbiamo fatto lo scorso anno si è strutturato meglio in rapporto con la didattica e con gli
insegnanti rispetto all’anno precedente.
La ragione ufficiale per cui ci siamo fermati è che si è voluto evitare di continuare a far fare
progetti ai ragazzi che poi non si concretizzavano. L’idea era quella di concentrarsi sui
progetti proposti dai ragazzi nel ‘98 e nel ‘99. Io ho condiviso questa decisione anche
perché è utile capire bene dove si vuole andare.
Il problema sorge quando l’esperienza con la scuola si conclude. Dopo essere passato un
anno da quando hanno fatto le loro proposte i bambini si sono chiesti: ma perché il nostro
quartiere scolastico è rimasto tale e quale a prima?
Non c’è stato un momento comune di confronto tra l’Amministrazione, la scuola e il gruppo
di studenti di architettura che era stato coinvolto. Se ci fossimo messi in contatto con altre
esperienze strutturate di questo genere probabilmente le cose sarebbero andate
diversamente.
A Pioltello di recente si è fatto il Piano regolatore, però questa esperienza non ha trovato
occasione di integrazione, è rimasta su un piano ufficioso quando invece avrebbe potuto e
dovuto interagire.
Infatti, il progetto ‘città dei ragazzi’ non ha senso se è fine a se stesso, ma ce l’ha solo se
rientra in un quadro strategico e cioè nell’approccio che l’Amministrazione comunale ha
nei confronti del territorio».
La seconda esperienza è quella relativa ai rapporti stabiliti con i giovani del centro
«Antiorario». Ecco il racconto di uno dei protagonisti.
«Il Centro Antiorario è nato nel ‘93-’94 e noi che allora eravamo un gruppo di giovani molto
impegnati, siamo entrati mentre i fondatori lo hanno abbandonato. Loro pensavano a un
centro sociale vero e proprio, estremista, noi invece volevamo una cosa per Pioltello. A
quel punto siamo andati a patti con la Lega Nord dal momento che questa ci ha concesso
quello che avevamo chiesto.
Ci avevano riconosciuto uno spazio per riunirci una volta la settimana e duecentomila lire
per la Siae, cose che non fanno mai male. Piano piano siamo arrivati a fare feste in paese,
a promuovere concerti, abbiamo fatto teatro e animazione di strada.
Poi la Lega se n’è andata con mille promesse non mantenute e noi ci siamo sentiti fregati.
Quando incominciava la campagna elettorale abbiamo invitato tutti i movimenti politici e
abbiamo fatto dei dibattiti sul problema dei giovani facendoci dire cosa ci avrebbero dato.
A quel tempo avevamo uno zoccolo duro di trenta persone ed eravamo molto attivi. Il
Centro sociale ha accolto anche persone giovani e meno giovani con grossi problemi,
persone che avevano un disagio psicologico molto forte.
Nel gruppo c’erano molti operatori sociali, animatori, educatori, c’era chi studiava
sociologia, chi psicologia e questi hanno creato una cultura sul ‘terzo settore’ molto forte.
Abbiamo prodotto un corso di teatro che è durato due anni, abbiamo allestito mostre di
fotografia, organizzato rassegne teatrali. All’auditorium abbiamo organizzato un corso di
animazione di strada e impegnavamo quel locale almeno per tre o quattro giorni la
settimana, al punto che avevamo cominciato a considerarlo come uno spazio tutto nostro,
con un senso di appartenenza molto forte. A quel tempo le cose giravano, qualche soldo
l’avevamo, siamo diventati anche associazione. Abbiamo partecipato alle feste cittadine
con un grosso impatto, poi abbiamo addirittura lavorato con gli oratori.
A Pioltello funzionano bene gli oratori e noi, per la prima volta nella storia, in occasione del
carnevale siamo riusciti a riunirli tutti insieme, cosa di per sé incredibile, e a farli lavorare
con l’Amministrazione comunale. Tutti erano allibiti e il fulcro della situazione eravamo noi.
Ecco quale era la risorsa del centro sociale!
Questo progetto di impegni intensi è durato un anno, però dopo quattro anni di attività si è
fatta avanti la stanchezza.
Da trenta persone che eravamo inizialmente siamo scesi a venti, poi a dieci, poi a cinque
e poi sono sorti i vari problemi interni tra persone e tra gruppi, quei conflitti che sono cose
normali. Come centro sociale abbiamo avuto una sorta di disagio interiore ed è così
sopravvenuto il declino. A quel punto la sede ha dovuto essere ristrutturata perché c’era
l’amianto e nonostante noi avessimo fatto di tutto per rientrarne in possesso, alla fine lo
spazio non ci è più stato riconosciuto.
Noi lavoravamo bene con il Comune, con i dipendenti, visto che li conoscevo tutti, mentre
non era così positivo il rapporto con gli assessori.
Nostro intendimento era quello di creare un centro socio-culturale su altri livelli e fare
progetti di musica da strada, teatro di strada, ecc., dal momento che ormai eravamo in
grado di gestire molte attività.
Ci siamo proposti anche per la festa cittadina. L’Amministrazione comunale ci ha detto che
avrebbe valutato la cosa, ma sono passati quattro mesi senza che più nessuno si facesse
vivo. A quel punto è crollato tutto e ognuno è andato per la sua strada.
Per quanto riguarda il Comune è stata una generale delusione: fai una campagna
elettorale sull’autopromozione del cittadino e poi tratti l’unica risorsa giovanile attiva che
hai sul territorio in questo modo.
Noi avevamo proposto di creare un osservatorio giovanile, loro invece hanno contrapposto
la costituzione di una consulta, però poi in pratica non hanno fatto più nulla».
30. Potenzialità e difficoltà del ‘terzo settore’
Una delle particolarità di Pioltello è senz’altro costituita da una diffusa presenza sul
territorio di forme di associazionismo e di volontariato le quali rappresentano un’importante
risorsa che la società civile assicura ai fini del progresso e di una qualità della vita sempre
migliore.
«L’anno scorso sono state censite le associazioni e noi siamo rimasti molto sorpresi dal
numero delle presenze: a Piolello ne esistono una cinquantina», racconta un’esponente di
questo mondo.
E osserva al riguardo un leader politico locale: «Pur avendo una dinamica non
brillantissima dal punto di vista della partecipazione, Pioltello ha però una capacità
associativa notevole e sono molte le società sportive e di altro tipo presenti sul territorio,
anche se questo universo resta relegato a un livello di basso profilo».
«Le associazioni sportive e ricreative sono circa una quarantina, dunque sono tantissime,
e sono raccolte in una consulta sportiva che si riunisce periodicamente, a volte
mensilmente a volte a scadenze più lunghe, per discutere e valutare le problematiche
relative allo sport, all’associazionismo sportivo e cultural-sportivo, come, ad esempio, le
associazioni di ballo che non sono un vero e proprio sport.
La consulta è nata circa trent’anni fa e a quel tempo era un’associazione non riconosciuta
voluta da alcune società sportive che ritennero di unirsi per concretizzare assieme agli
amministratori pubblici le politiche dello sport, dalla costruzione degli impianti alla
promozione delle manifestazioni. Ora la consulta serve a prendere decisioni non di politica
dello sport, ma di ordine tecnico-gestionale.
Alla consulta ogni società sportiva deve presentare i propri bilanci e deve essere in regola
con i pagamenti delle strutture perché se non lo sono perde il diritto ad accedervi».
Il fatto che esista una consulta dello sport si giustifica ovviamente con la diffusa presenza
sul territorio di associazioni sportive, ma soprattutto perché «verso lo sport esistono molte
sensibilità e un grande interesse nel senso comune della gente».
«A Pioltello ci sono un paio di sport forti e sono il calcio e la pallavolo.
Ad eccellere è comunque la pallavolo. C’è stato un tempo in cui chi veniva a giocare a
Pioltello se ne andava via bastonato.
Ci siamo trovati ad avere due squadre di pallavolo in serie “C” e avremmo potuto puntare
a fare una squadra che ambisse alla serie “B”, ma questo non è stato possibile proprio a
causa dell’esistenza di campanilismi. Anche nella pallavolo, come nel calcio, per essere
competitivi bisogna cercare atleti esterni alla realtà di Pioltello e questo evidentemente non
è compatibile con uno spirito municipalistico che a volte si è rivelato esasperato.
Nonostante questo però lo sport a Pioltello è andato avanti.
Il numero dei partecipanti alle attività totali si può valutare intorno alle 3.500/4.000 unità e
questo ci dice che un buon 15% della popolazione fa attività sportiva. Tra questi ci sono
anche gli scolari e gli studenti.
Esclusi i ragazzi delle scuole, a fare tennis e altri sport ricreativi o agonistici sono più del
20%, forse 1 su 4 dei cittadini di Pioltello, e questo significa che anche da noi la qualità
della vita sta migliorando. A fare sport sono di più i giovani, anche se gli anziani fanno
ginnastica oppure giocano alle bocce. Il livello è soddisfacente e la domanda e l’offerta si
compensano, potrebbero esserci dei problemi se la domanda dovesse eventualmente
alzarsi oltre il 5%.
Nelle scuole elementari l’anno scorso siamo riusciti come consulta a inserire gli insegnanti
di educazione fisica che fanno parte delle varie associazioni e riteniamo che si tratti di una
cosa importante. A farsi carico degli oneri che questa operazione di inserimento comporta,
che tra l’altro è di non poco rilievo, è intervenuto il Comune.
La realtà che opera nel mondo dello sport di Pioltello è fatta di gente non professionista in
tutti i campi e di sponsorizzazione c’è solo qualcosina. Quando abbiamo investito le
aziende locali ci siamo trovati di fronte ad alcune risposte positive e ad altre negative.
Comunque le società sportive di Pioltello godono di buona salute, riescono a trovare i soldi
necessari per gestirsi. Questo non significa che tutte abbiamo i bilanci in attivo. Poiché i
bilanci devono essere portati tutti in Comune, i soci delle organizzazioni che alla fine
dell’anno sono in deficit concorrono di persona a pareggiarli.
Noi abbiamo un centro di medicina dello sport che è stato creato dalla consulta con delle
grosse battaglie sostenute quindici-venti anni fa. Il centro di fisiologia dello sport serve per
fare le prove agli atleti sotto sforzo. Hanno tentato di portarcelo via, con l’intendimento di
trasferirlo in qualche altro comune, di farcelo chiudere e in ogni caso non ce l’hanno fatta.
Dobbiamo comunque difenderlo con i denti».
«Pioltello ha avuto anche la possibilità di avere una università dello sport negli anni ‘80,
ma purtroppo la cosa si è trascinata fino agli anni ‘90 senza che venisse sfruttata», tiene a
ricordare un amministratore comunale del passato.
«I problemi delle società sportive sono quelli relativi al costo dei trasporti. Poi oggi le leggi
sullo sport sono molto rigide e le società devono avere la partita Iva.
I quattrini che escono per gli allenatori devono essere dichiarati e questo comporta la
denuncia dei redditi. Ci sono adempimenti quasi simili a quelli di una normale azienda e in
molti casi rappresentano dei problemini per chi le dirige.
La consulta ha anche un compito di assistenza delle società nell’adempimento di questi
obblighi.
Per quanto riguarda le palestre l’impiantistica di Pioltello è ottimale, anzi è uno dei paesi
del circondario dove si sta meglio. Non manca certo la necessità di rivedere qualcosa,
perché i problemi di impiantistica portano con se altri problemi come il riscaldamento,
l’acqua calda, e altri ancora.
Per quanto riguarda invece i campi all’aperto, dalla piscina ai campi di calcio, di tennis, la
domanda è in crescita. Nonostante i passi che sono stati fatti da questa Amministrazione
comunale per il campo di Seggiano e per altri campi di quartiere, quello che c’è non basta
perché esiste una richiesta superiore.
Manca un bocciodromo coperto per l’inverno, c’è solo quello in via Leoncavallo per l’estate
e anche per questo c’è una certa domanda. Oltre al bocciodromo sono anche richiesti i
campi da tennis perché quelli esistenti sono un po’ carenti».
Commenta una giovane pioltellese: «Qui da noi c’è il campo di atletica, c’è la piscina che
mi hanno detto che è molto bella, ci sono poi un paio di palestre. Non ci sono grandi cose,
però se uno vuole muoversi e fare sport ha di certo delle possibilità per farlo.
Sarebbe comunque bello promuovere delle iniziative che servano a incentivare sia lo sport
che l’interesse culturale. Se si organizzasse una marcia, un giro collettivo per Pioltello
potrebbe significare favorire l’avvicinamento allo sport di molti giovani e non solo di
questi».
Ma Pioltello non è ricca solo di associazioni sportive. «Qui c’è anche una forte presenza di
due associazioni riconosciute a livello nazionale: la Caritas a livello cattolico e la Lega
ambiente a livello dell’area laica, di sinistra e progressista».
«La Caritas cittadina è il frutto della collaborazione delle quattro Caritas che esistono nelle
parrocchie dove ci sono dei centri di distribuzione di alimenti e vestiti. A Limito offrono
anche la possibilità alle persone di far fare la doccia.
Esse operano negli stessi ambiti: ammalati, extracomunitari, anziani.
Esiste ed opera poi una struttura cittadina per la cura particolare delle emergenze inerenti
alla realtà delle persone extracomunitarie che giungono a Pioltello: il Cacis, Centro
accoglienza stranieri. Oltre a questo c’è la presenza del gruppo ‘Dai una mano alla pace’
che pure svolge alcune attività caritative».
«Come Caritas stiamo cercando di aiutare questa gente. Da noi vengono soprattutto quelli
che non hanno il permesso di soggiorno e sono in tanti, in un anno girano più di cento
persone. Noi ovviamente diciamo subito loro che se non hanno il permesso di soggiorno
devono tornare al loro Paese. Quando invece riusciamo a trovare un lavoro gli facciamo
fare la richiesta, ma questi poveracci devono fare una trafila di infinite pratiche
burocratiche. Diamo loro un tesserino che serve, a seconda dei vari bisogni che vengono
valutati attraverso i colloqui, per ritirare vestiti o cibo oppure per interventi per i bambini e
che dura tre mesi. Cerchiamo di seguire le donne mandandole a fare le varie cure di cui
hanno bisogno, anche se non sempre questo risulta facile a causa della loro cultura.
Abbiamo aperto anche uno sportello per gli italiani, in particolare per gli ex carcerati per
piccoli reati che hanno bisogno di essere seguiti in modo da essere reinseriti nella società
e seguiamo pure le loro famiglie».
«Considerato che in questo territorio i problemi sono immensi, a un certo punto la Lega
ambiente ha deciso di occuparsi, oltreché di politica ambientale, anche di politica sociale.
Organizziamo iniziative nelle scuole, sul territorio e operiamo nelle situazioni sociali più
complesse e disagiate com’è il caso del Satellite. Le nostre iniziative verso i bambini, ad
esempio, sono state molto apprezzate e hanno registrato una forte partecipazione. Noi li
facciamo giocare sulla strada chiusa al traffico, facciamo costruire loro delle cose con il
cartone e con la plastica. L’obiettivo è quello di allontanare i bambini dalle automobili e di
far loro usare la strada come terreno di gioco. E la risposta del territorio a queste iniziative
è molto positiva, si nota che sono assetati di festa, di giochi, di momenti di
socializzazione».
Ma oltre a queste due associazioni di diramazione nazionale ne esistono altre che seppure
abbiano carattere locale assolvono a compiti di grande rilevanza.
«Alla Croce Verde fanno capo circa 150 persone. Da tantissimi anni abbiamo una
convenzione con il Ministero della difesa che ci assegna degli obiettori di coscienza. Per
conto della presidenza del Consiglio dei ministri facciamo poi i sostituti del Ministero della
difesa.
La nostra esperienza di volontariato non nasce nella Pioltello storica, ma al Satellite,
presso la chiesa nuova, attorno a Don Ercole che è un prete con la nostra mentalità, un
tipo un po’ strano, fatto a modo suo, ma capace ed è l’unico prete che qui fa il parroco da
trent’anni.
E’ stata fondata quando al Satellite erano arrivate molte persone da Milano che più o
meno stavano bene e che avevano fatto esperienze particolari. C’era chi aveva fatto lo
scout, chi altro e ad un tratto ci siamo ritrovati. Da noi la tradizione degli scout non
esisteva. E’ successo così che alcuni padri di questi ragazzini avevano fatto l’esperienza
nella Croce Verde. Qui del resto mancava una struttura di protezione civile e se qualcuno
si fosse fatto male l’ambulanza avrebbe dovuto arrivare da Cernusco. A quel punto è
emersa una figura in gamba, un martinit, tal Rognoni che lavorava in banca, e lui e don
Ercole hanno deciso di mettere in piedi qui a Pioltello la Croce Verde. Questo non è
avvenuto nel contesto del paese, ma all’oratorio del Satellite per iniziativa di persone
provenienti un po’ da tutte le parti, cioè milanesi, veneti, piemontesi, meridionali.
Questo succedeva 25 anni fa e l’esperienza che prendeva corpo era sganciata sia da
qualsiasi formazione politica, pur essendo quelli i tempi in cui ogni formazione aveva un
suo referente, sia dal mondo economico. Tant’è che questa sede è di nostra proprietà.
L’iniziativa venne pianificata sin da allora con una mentalità tale in modo che avesse a
dare i risultati che noi oggi verifichiamo.
Il volontariato come il nostro è una protezione civile specializzata e quello che noi
facciamo è ciò che formalmente fa lo Stato quando una persona chiama il 118. Se noi
siamo disponibili, quando il 118 chiama interveniamo.
Ora stiamo recuperando l’handicappato, l’anziano al quale garantire una prestazione
qualitativa che altri non danno.
Noi manteniamo nel nostro piccolo, e ci ripromettiamo di mantenerla in futuro, una scuola
di qualità della vita, proprio perché a Pioltello una qualità della vita non esiste.
Assicuriamo il servizio di pronto soccorso e ospitiamo la guardia medica che fa capo
all’Asl. Agli obiettori di coscienza e a una struttura che stiamo recuperando vogliamo far
fare dei servizi elementari che però sono importantissimi.
Poi siamo nel meccanismo della protezione civile come appoggio sanitario, questo però è
un settore in piena revisione e ristrutturazione.
L’aspetto negativo è che non c’è mai la verifica dei servizi che garantiamo, ci
autocertifichiamo noi stessi.
Quando ci sono le varie campagne contro l’Aids le varie organizzazioni promotrici si
appoggiano a noi. Facciamo poi anche un servizio di consegna di medicinali per chi non è
in grado di muoversi, anche se non sono molti quelli che ne usufruiscono perché,
nonostante tutto, si registra ancora un senso di solidarietà tra vicini di casa.
Il fronte su cui noi vorremmo fare di più è quello culturale però ci vuole gente.
Negli ultimi due anni le cose sono cambiate in maniera così veloce che fare una previsione
per il futuro della Croce Verde diventa difficile. C’è oltretutto il problema del 118 che ci
pone nelle condizioni di interrogarci se è giusto che noi facciamo ciò che dovrebbe fare lo
Stato. Stiamo attendendo delle chiarificazioni che invece continuano ad essere rinviate nel
tempo.
Può essere che un giorno il servizio del 118 non lo faremo più e che ritorneremo a fare i
nostri servizi minuti, come i corsi di pronto soccorso che a molti sono serviti per orientarsi
nella loro professione: chi a fare l’infermiere professionale, chi a diventare addirittura
medico.
A Pioltello esistono altre associazioni di volontariato e noi siamo un po’ il riferimento per
tutte quelle che operano nel campo socio-sanitario. C’è un volontariato classico formato
dalla S. Vincenzo, dalla Caritas e quando hanno bisogno di trasportare le persone noi
siamo loro referenti dal momento che abbiamo i mezzi.
Facciamo qualità della vita, cosa questa che però ci viene poco riconosciuta. Vorremmo
contare di più, non per interesse personale, ma per il servizio che svolgiamo».
E poi ci sono le sezioni dell’Avis e dell’Aido.
«Nel ‘77 mi sono ammalato di un male un po’ brutto e se sono sopravvissuto lo devo alle
donazioni di sangue le quali non solo mi hanno fatto riacquistare la salute, ma mi hanno
anche cambiato il cervello.
Quando sono rientrato dall’ospedale mi sono infatti dato da fare per aprire una sezione
dell’Avis a Pioltello.
L’Aido è nata in seguito come costola dell’Avis.
Gli iscritti all’Avis sono 120, gli attivi sono 75. Quest’anno abbiamo già fatto un’ottantina di
donazioni. L’Aido è da tempo in una situazione di difficoltà, anche perché di fatto a questa
associazione non ritorna niente in termini di gratificazione».
E a Pioltello non mancano neppure esperienze di volontariato che hanno una dimensione
meno organizzata e dal carattere più personale.
«Un giorno, dopo che ero andato in pensione, ho saputo che cercavano dei volontari per
far funzionare i centri sociali e io mi sono reso disponibile. Ho preso così in mano la
situazione che nei primi tempi era abbastanza dura perché la gente non intendeva capire
cosa fosse e significasse un centro sociale. Col tempo però questa esperienza è maturata
e cresciuta.
Oggi sono contento di quello che ho fatto, sono sempre stato presente ogni giorno qui al
centro sociale degli anziani e mi fa piacere pensare che questa città cresca bene e
continui a crescere. Desidero che tutti ricordino che gli anziani hanno fatto qualcosa non
solo per il presente, ma anche per quelli che dovranno venire».
«Io ho fatto il volontario nella Croce Bianca che fa servizio di trasporto degli ammalati a
Lourdes e sono orgoglioso di questa mia prestazione».
Ma la solidarietà dei pioltellesi non conosce confini e varca addirittura le frontiere.
«Attorno al progetto Cernobyl, che è stato promosso da un gruppo di famiglie della
parrocchia di Seggiano, ogni anno ci sono nuove disponibilità a ospitare i bambini, e
questo si registra anche al Satellite. Anzi, ora c’è l’interesse anche di famiglie dei paesi
vicini. Siamo al sesto anno e questa esperienza dimostra un alto grado di sensibilità
sociale che fa ben sperare. E’ un esempio di quanta voglia di socializzare ci sia. Alcuni si
sono resi disponibili perfino ad imparare il russo per favorire i rapporti con i bambini
ospitati».
«Ora qui a Pioltello sta per essere realizzata anche la banca del tempo».
Ad essere impegnate sul fronte della solidarietà ci sono pure entità imprenditoriali del
mondo della cooperazione.
«La nostra cooperativa ha rapporti solidaristici con Cuba da quando è caduto il ‘muro di
Berlino’ e tutti gli aiuti internazionali che partono dall’Italia verso l’isola caraibica passano
da noi dal momento che li spediamo gratuitamente. E’ questo un lavoro che facciamo in
modo volontario. Ogni mese abbiamo 4 o 5 conteiner da spedire. Noi siamo stati e siamo
internazionalisti. Durante la stagione del Vietnam eravamo l’anello finale di tutti gli aiuti
diretti a quel Paese, ma l’abbiamo fatto anche con il Mozambico e con l’Angola.
In Vietnam c’è un reparto di un ospedale che porta il nome della nostra cooperativa
proprio come riconoscimento degli aiuti che abbiamo fornito loro».
Pioltello vanta dunque un «terzo settore» notevolmente dinamico e di qualità. Solo che
anche questo mondo oggi incontra delle difficoltà.
«Ci troviamo di fronte a un problema che è comune a tutte le associazioni come le nostre
e che è la grossa crisi del volontariato. Non si trova più gente disponibile.
La difficoltà di reclutamento la si riscontra più che nei giovani nella media età. Noi stiamo
recuperando gente che è venuta in Croce Verde tanto tempo fa e per diversi anni e che
adesso, essendo andata in pensione, si rende disponibile. Queste persone non più giovani
da noi si rivitalizzano, però questo aspetto positivo non può consentire di trascurare le
difficoltà che incontriamo nel rapporto con le generazioni più giovani».
«Il numero delle associazioni del volontariato presenti è ormai consolidato, ma non vedo
una nuova fioritura, anzi, credo che anche questo settore risenta di un venire meno della
partecipazione e questo vale sia per la Croce Verde, sia per la Caritas che per tutto il
resto. Quello che invece mi pare stia venendo avanti è un insieme di forme spontanee di
impegno solidale. La ‘Missione Arcobaleno’, ad esempio, registra un sacco di adesioni e di
disponibilità forse proprio per la specificità dei suoi obiettivi e non certo perché esista un
retroterra di pensiero culturale che va nella direzione del volontariato tradizionale. Mi
sembra più un’adesione immediata e contingente, non destinata a durare nel tempo».
Chi sembra soffrirne di più solo le associazioni delle donazioni.
«Oggi il volontariato è in crisi perché stanno cambiando i valori. Tutti ormai sono
interessati a discutere su ciò che c’è da prendere, sul donare invece non c’è interesse. La
Caritas a Pioltello continua a essere attiva anche perché quanto riceve lo distribuisce e la
gente ha un interesse. Noi invece non abbiamo nulla da distribuire, per fare il donatore ci
vuole soprattutto l’animo. La generosità purtroppo è un bene che oggi è in calo.
Credevo che l’Avis avesse un riconoscimento sempre più crescente nell’opinione pubblica,
invece devo constatare che questa società sta sempre più degradando. Non c’è più lo
spirito che ci ha animati quando abbiamo aperto la sezione, non c’è più la dovuta
sensibilità non solo tra i giovani, ma tra gli anziani, tra gli stessi consiglieri. C’è un
disimpegno ed è venuto meno lo spirito di solidarietà. Se non ci fossi io la sezione
chiuderebbe.
La realtà è che manca il sangue e l’anno prossimo rischiamo di rimanere senza. Eppure
dare il sangue è un bene anche per chi lo dona e i nostri donatori sono sottoposti a tre
controlli medici l’anno. Se non si trovano incentivi, se non si è capaci di convincere le
persone che donare è un bene perché significa anche fare prevenzione, andremo
sicuramente verso l’esaurimento dell’Avis».
«Noi qui abbiamo anche il circolo degli anziani e io faccio fatica a tenerlo aperto, ormai ce
l’ho tutto sul gobbo. Ieri ho dovuto fare anche un po’ di servizio. E’ dura, e non solo per
me, ma anche per le altre associazioni che vedo faticano a tenere aperti i battenti. Ormai
nel volontariato moderno un posto per gente come me non c’è più. Ho ormai 80 anni e mi
pare di capire questo mondo non faccia più per me».
E’ il caso dunque di riflettere a fondo sulle difficoltà che incontra il volontariato e di
compiere uno sforzo per individuare i possibili interventi al fine di favorirne un rilancio nelle
forme e modalità corrispondenti ai nuovi stili di vita. Tutti i nostri interlocutori convengono
sull’importanza che a questo riguardo può comportare un ruolo attivo dell’ente locale e
pertanto avanzano suggerimenti e proposte, non tralasciando di esprimere giudizi critici e
riserve sulle esperienze passate e recenti.
«Anche per il volontariato il Comune fa poco o niente, non premia ad esempio chi fa
volontariato, mentre invece dovrebbe farlo».
«A differenza di tante altre associazioni del volontariato, noi non abbiamo mai ricevuto un
contributo dal Comune, anche perché non l’abbiamo mai chiesto. Non abbiamo mai voluto
ricevere contributi essendo interessati a mantenere la nostra autonomia. Ad aiutarci
dovrebbero essere le strutture della sanità, l’Asl in primo luogo. Il Comune invece
dovrebbe rendersi conto che la nostra è una funzione di civiltà e quindi gratificarci
moralmente. O magari sostenerci con dei servizi. Nei comuni dove l’Avis funziona esiste
un pulmino che porta i donatori all’ospedale, qui invece non è così. Se avessi un aiuto del
genere potrei senz’altro incentivare le donazioni. Basterebbe avere assicurato questo
servizio anche una volta la settimana. Invece ci devo andare io e non solo per le
donazioni, ma anche per il ritiro degli esami».
E una sollecitazione all’ente pubblico perché presti maggiore attenzione ai bisogni di
questo mondo arriva anche dalle altre forme dell’associazionismo.
«All’inizio, quando è stata fondata la consulta dello sport, abbiamo fatto una riunione di
tutte le associazioni. L’iniziativa è nata come un progetto che doveva essere una cosa
molto produttiva, il ‘progetto Camelia’, poi in realtà tutto è naufragato. Ci si è visti quella
volta ma poi non siamo più stati riuniti. In quella sede non è scattata una scintilla di
collegamento tra le varie associazioni per cui alla fine ognuno è andato per conto proprio e
non ci si è più collegati. Abbiamo difficoltà a metterci in contatto tra di noi. Se ci fosse una
consulta specifica della cultura le cose cambierebbero, anche se l’individuare le
associazioni che fanno attività di questo tipo non è cosa facile. Dovremmo poter contare
su uno stimolo da parte del Comune».
«Il passo che come comunità cristiane intendiamo fare nei confronti del pubblico è quello
di richiedere l’istituzione di un osservatorio politico che sia in grado di quantificare e
segnalare i bisogni emergenti».
31. Il nodo della rappresentanza sindacale
Un altro soggetto che incontra difficoltà nell’adempiere alla sua storica funzione e che
risente della crisi di rappresentatività che investe l’insieme dei soggetti collettivi è il
sindacato dei lavoratori.
«Con la globalizzazione le cose sono molto cambiate anche per il sindacato e non sempre
esso si dimostra preparato ad affrontarle», dicono i componenti di una Rsu.
«Una volta nelle fabbriche era possibile anche per il lavoratore medio attivarsi a fronte di
ciò che veniva contrattato con l’azienda, oggi invece si chiudono intere aziende anche con
2-3 mila dipendenti e non si verificano reazioni, questo proprio perché viviamo in un
sistema globalizzato che consente di trasferire le produzioni da un capo all’altro del mondo
senza più nessun ostacolo e controllo».
Qualcuno ricorda come nel passato il polo chimico sia stato luogo di conflitti sindacali e
come la capacità di mobilitazione dei lavoratori fosse elevata.
«La nostra è un’azienda che ha una presenza antica sul territorio e che è stata teatro di
gloriose lotte operaie. Negli anni ‘60 sono stati respinti i tentativi della direzione aziendale
di decapitare il sindacato, poi, negli anni ’80 in seguito agli scontri sull’ambiente, ci sono
stati diversi licenziamenti tra cui 8 membri del consiglio di fabbrica».
«In passato da noi i rapporti sindacali sono stati difficili, c’è stato un periodo in cui
l’azienda aveva assunto atteggiamenti arroganti con le organizzazioni dei lavoratori. E non
solo con queste, perché spesso faceva quel che voleva e non era disposta a renderne
conto nemmeno alle autorità. E’ successo persino che non ha permesso allo stesso
sindaco di entrare in fabbrica e questo atteggiamento è durato fino ai primi anni ‘90».
Da allora, però, «ci sono stati dei radicali cambiamenti», fanno osservare alcuni delegati
di fabbrica.
«Ormai nemmeno quando c’è il rinnovo del contratto collettivo di lavoro facciamo sciopero
e l’ultimo contratto fa schifo proprio perché non si è fatta una sola ora di sciopero».
«Nonostante tutto i rapporti con la direzione sono consolidati, qui il sindacato è sempre
stato forte e continua a esserlo».
«Il tasso di sindacalizzazione è molto alto, raggiungiamo addirittura il 70% e probabilmente
siamo una delle fabbriche più sindacalizzate dell’hinterland milanese e forse della
Lombardia. In linea di massima, qui non si muove nulla se il sindacato non è d’accordo e
questo è appunto indice di una forte capacità di contrattazione».
«Qui da noi la metà dei lavoratori sono iscritti al sindacato mentre gli altri, anche se non
sono iscritti, seguono abbastanza le nostre indicazioni. I rapporti con la direzione sono
buoni, salvo il fatto che l’azienda sta attraversando un periodo di crisi».
«Soltanto il 30% della nostra popolazione aziendale è sindacalizzato - osserva il dirigente
di un’azienda multinazionale - comunque è pur sempre un tasso al di sopra della media di
Assolombarda che si attesta sul 24%. E’ da rilevare che mentre ieri il sindacato
rappresentava tutti i dipendenti o quasi, oggi non rappresenta nemmeno la maggioranza e
la cosa che meraviglia ancor di più è che non rappresenta aree crescenti di rapporti di
lavoro che sono insofferenti a un certo modo di intermediazione degli interessi».
Se infatti nelle vecchie roccaforti operaie il sindacato vanta una soddisfacente capacità di
rappresentanza, nelle aziende di nuovo insediamento, in specie quelle del settore
terziario, incontra notevoli difficoltà a insediarsi e ad affermarsi come soggetto della
contrattazione.
Racconta il delegato sindacale di un’azienda della grande distribuzione: «Gli iscritti al
sindacato da noi sono circa un centinaio che aderiscono alla Cisl, una ventina alla Uil e
una settantina alla Cgil. Qui ci sono 400 impiegati, 200 intermedi e 300 e rotti operai ed
equiparati. Le prime due categorie che sommano a 600 persone non si sentono affatto
rappresentate dal sindacato, sia perché questo non ha mai preso in considerazione le loro
istanze, sia perché l’azienda appena vede che uno di loro si avvicina al sindacato lo
discrimina.
C’è poi da dire che qui accanto al sindacato di categoria dovrebbero esserci le nuove
strutture rappresentative dei lavoratori atipici perché qui ce ne sono parecchi, ma queste
organizzazioni evidentemente non sono presenti».
A proposito della capacità da parte del sindacato di rappresentare gli interessi dei
lavoratori, un esponente del mondo della formazione professionale commenta: «Con le
dirigenze sindacali abbiamo buoni rapporti a livello di zona, però ci siamo resi conto che
nella piccola azienda il sindacato non controlla più nulla. Gli è sfuggita di mano parecchia
roba in questi anni».
«Io lavoro in un’azienda dove la crisi di rappresentatività del sindacato è lì per esplodere
da un momento all’altro e sono abbastanza scettico sulla sua capacità di evitarla e di farsi
ascoltare», afferma un iscritto che è pure impegnato sul fronte politico.
In effetti, due categorie di soggetti in particolare le giovani generazioni e i lavoratori
cosiddetti atipici , nei confronti del sindacato manifestano un’evidente indifferenza, quando
non addirittura un chiaro senso di sfiducia.
«Da noi c’è il turn over e i giovani entrano in fabbrica. Mentre però un tempo entravano
giovani con bassi livelli di istruzione, oggi entrano laureati e diplomati i quali si pongono
l’obiettivo di fare carriera e questo li mette in competizione tra di loro non favorendo certo
la loro adesione al sindacato. Da parte loro non c’è interesse verso l’impegno sindacale e
nessuno sgomita per iscriversi».
Racconta una giovane donna: «A riguardo del sindacato mi sento spesso chiedere dai
miei amici se è proprio vero che esso aiuta e se in definitiva serve. E si tratta di giovani
operai, non di studenti o di benestanti. Loro non sono impegnati a nessun livello e non
sanno nemmeno dove stia di casa il sindacato».
Il dirigente di una struttura che si occupa di incrocio tra domanda e offerta di lavoro ritiene
che «le organizzazioni sindacali non dovrebbero limitare il loro interesse a chi il lavoro ce
l’ha già, ma dovrebbero farsi carico anche di chi l’occupazione non ce l’ha e pure di chi
opera nell’area grigia del lavoro temporaneo e precario».
Persino un esponente del mondo imprenditoriale si dice preoccupato della crisi di
rappresentatività del sindacato.«Se dilaga la sfiducia nelle rappresentanze storiche dei
lavoratori si corre il rischio o della microconflittualità oppure di avere interi settori o aree
che sfuggono alle forme di controllo reciproco. Basta vedere ciò che succede in certi
servizi come quello infermieristico a Milano, dal Niguarda al San Raffaele. La crisi di
rappresentatività sociale non può non preoccupare».
A determinare questa situazione di difficoltà hanno concorso e concorrono diversi fattori.
«Il deposito dell’azienda che ne rappresenta il cuore, un tempo era gestito dalla Cgil,
mentre la parte distributiva era gestita dalla Cisl. Per molti anni si è andati d’accordo, poi
nel ‘87-’88, quando si è trattato di gestire il processo di ristrutturazione, si sono verificate le
divisioni che hanno portato quasi allo sfascio del sindacato all’interno dell’azienda e
questo ha fatto sì che sul piano delle adesioni scendessimo ai minimi livelli storici».
«Se con le Rsu delle altre aziende del polo chimico abbiamo dei collegamenti ed esiste
anche un coordinamento, e quando ci sono dei problemi ci riuniamo e in qualche
occasione ci mobilitiamo anche unitariamente, con le Rsu delle altre aziende del territorio
ci vediamo invece raramente, anzi non abbiamo nessun collegamento e questo è un male.
Qui non c’è una unione delle strutture sindacali; così come non si fanno mobilitazioni a
livello di territorio, mentre invece ce ne sarebbe bisogno».
Ma non solo manca un coordinamento territoriale che, come sostiene un delegato,
«sarebbe una cosa importante, anzi un’esigenza», «non esiste nemmeno un rapporto tra
le Rsu dello stesso settore. Alla mia organizzazione sindacale ho chiesto più volte di
mettere in piedi delle riunioni periodiche, ma questo non è mai stato fatto. L’assenza di
collegamenti tra di noi ci impedisce di capire dove va il settore, ci espone alle manovre
della controparte facendoci trovare impreparati di fronte a certe scelte imprenditoriali.
Siamo così destinati a subire le ristrutturazioni e i cambiamenti che ormai sono periodici».
C’è dunque anche un deficit di rapporti tra le strutture di rappresentanza dei lavoratori, una
carenza di relazioni sindacali sia a reti corte che a reti lunghe.
«Sulla base della costituzione dei comitati aziendali europei, che comprendono anche la
rappresentanza dei datori di lavoro, abbiamo un incontro all’anno con le altre realtà
sindacali del gruppo, però questi rapporti non consentono un gran ché di scambio di
informazioni e di confronto. Strutture come i Cae permettono di tenere sotto controllo
l’attività di uno specifico settore produttivo, non certo quella del gruppo multinazionale al
quale apparteniamo. Noi, ad esempio, rappresentiamo solo il 6% del capitale sociale e al
nostro settore non sembra che venga data molta importanza. Su questo fronte, rispetto
alle evoluzioni che hanno avuto le aziende le quali varcano i confini e si diffondono a livello
globale, il sindacato è in arretrato di parecchi anni».
E poi viene lamentata una carenza di rapporti tra il sindacato e le istituzioni pubbliche
locali.
«Con l’Amministrazione comunale c’è stato nel corso degli anni un rapporto di
incomprensione e ancora oggi non si può certo dire che sia idilliaco. Noi avvertiamo la
necessità di ricostruire una relazione alla pari perché consideriamo indispensabile avere
un dialogo con i poteri locali», avverte il delegato di un’azienda chimica.
L’esigenza di relazioni più frequenti e tali da allargare i termini del confronto viene
sottolineata dalla stessa rappresentanza sindacale dell’ente pubblico locale. «I rapporti
che abbiamo con il Comune sono limitati alla pianta organica e alle condizioni di lavoro,
non investono invece la qualità dei servizi. Anche se il sindacato dovrebbe occuparsi di
questo, purtroppo noi non siamo ancora pronti a misurarsi a questo livello». Nel
riconoscere dunque l’utilità e l’opportunità di dare corso a conferenze di servizio, cioè a
momenti di verifica, di riflessione sul funzionamento della macchina comunale, attraverso
cui conciliare le istanze rivendicative con le esigenze di efficienza che si richiedono a un
ente erogatore di pubblici servizi, le rappresentanze sindacali manifestano un certo disagio
e mostrano i loro ritardi e limiti.
Ma a contribuire alla crescita dei fattori che determinano una minor presa del sindacato sui
lavoratori interviene anche l’azione che svolgono le nuove strutture di governo del mercato
del lavoro.
Raccontano le operatrici di un’agenzia di lavoro temporaneo: «Noi a Natale, da parte dei
candidati, abbiamo ricevuto un sacco di regalini, dalle scatole di cioccolatini ai fiori, dai
panettoni e pandori al vino bianco. Questo si spiega con il fatto che i lavoratori che
abbiamo in carico si sentono bene accolti e ci sono grati per aver trovato loro un posto di
lavoro che li garantisce di tutti i diritti. Ogni venerdì noi riceviamo i lavoratori che ci portano
le loro qualifiche di lavoro e in quell’occasione ci raccontano come vanno le cose e questo
modo di fare accresce la fiducia e stabilisce tra di noi un legame. Quando poi insorgono
dei problemi noi interveniamo immediatamente per risolverli. Il vedere che sono contenti e
che si sentono rassicurati ci procura tanto piacere.
Quando capita qui da noi qualcuno che ha già lavorato nelle cooperative, dopo avere
constatato come noi lo trattiamo, si rifiuta di rifare quell’esperienza passata. A differenza
delle cooperative noi non solo gli garantiamo tutti i diritti, ma lo seguiamo di più. Noi ci
diamo da fare per occuparlo subito dopo che ha finito una missione. Gli facciamo la lettera
di assunzione, gli spieghiamo cos’è un contratto, cosa prende all’ora, quali sono i suoi
diritti e tutto questo lo rassicura e lo rende contento. Questo vale in particolare per i
ragazzi i quali non conoscono nulla e non sanno nemmeno cosa sia il libretto di lavoro e
quale importanza abbia nella regolarizzazione della posizione lavorativa».
Nei fatti, queste nuove agenzie assicurano al lavoratore talune forme di assistenza che,
almeno in parte, tendono ad esautorare o quanto meno inducono a considerare superflua
la tradizionale funzione del sindacato.
A riguardo del grado di credibilità e di fiducia che il sindacato gode, va rilevato che mentre
tra le file del lavoro dipendente si colgono i segni di una diffusa insoddisfazione rispetto al
suo modo di essere e di agire, negli ambienti imprenditoriali il giudizio sull’evoluzione che
esso ha fatto registrare in questi anni si rivela invece decisamente positivo. Salvo la
riserva di chi non riesce ancora a considerarlo «un interlocutore capace di interpretare la
realtà economica», in genere le valutazioni sono di indubbio apprezzamento.
«Con i sindacati abbiamo rapporti normali. In questa fase poi non ci sono più momenti
conflittuali».
«Con il nostro consiglio di fabbrica dialoghiamo bene e le relazioni sono soddisfacenti. Di
grossi problemi non ne abbiamo ormai da tempo».
«I rapporti con il sindacato sono buoni, abbiamo degli incontri mensili con la Rsu aziendale
e con le strutture esterne. Fino ad ora siamo sempre riusciti a trovare un punto di
incontro».
«Qui da noi non c’è la rappresentanza sindacale, non c’è mai stato nessuno che si è preso
la briga di interessarsi e di esporsi. Saltuariamente però i sindacati vengono a fare le
assemblee, ma di vertenze non ne abbiamo mai avute».
«I rapporti con le organizzazioni sindacali sono ottimi, anche se occorre fare delle
distinzioni perché con i nostri molteplici insediamenti abbiamo un’articolazione di rapporti.
Un giorno abbiamo chiamato tutti i nostri 75 delegati sindacali attorno a un tavolo e
abbiamo avuto l’occasione di notare modi diversi di ragionare, di affrontare i problemi, di
fare politica industriale. Nello stabilimento di Limito i rapporti sono ottimi perché i delegati
sono consapevoli delle scelte che l’azienda ha fatto e qualche volta sono stati anche di
sostegno nei rapporti con l’Amministrazione pubblica».
«Noi abbiamo dei rapporti con i nostri dipendenti che fanno sentire ogni lavoratore
gratificato del proprio ruolo e questo scongiura conflitti sindacali».
«Il bello della nostra azienda è l’ambiente familiare, qui siamo tutti amici, non ci sono
gerarchie, ma solo le qualifiche ed esiste un collettivo. Il personale è mobile al massimo.
Siamo in 23 e c’è una rappresentanza sindacale che garantisce due assemblee all’anno.
Siamo senza cartellino e ognuno si autocontrolla, perciò le ragioni perché sorgano
vertenze sindacali non ce ne sono».
32. La crisi della politica e della partecipazione
La crisi di rappresentatività, purtroppo, investe l’intero mondo degli interessi sia materiali
che immateriali .
«In difficoltà è la stessa Chiesa e pure il rapporto che la gente ha con la fede e con i valori
oggi è messo a dura prova».
«Pur se i quattro oratori funzionano bene e sono le uniche strutture che ancora riescono a
raccogliere e organizzare i giovani contribuendo a creare il senso comune, le difficoltà non
mancano».
Qualcuno ricorda come negli anni ‘70, l’oratorio di Seggiano fosse «il punto di riferimento e
di aggregazione non solo dei cattolici, ma anche della sinistra extraparlamentare e il luogo
dove si è radicato il cosiddetto cattolicesimo democratico», per sottolineare poi come oggi
anche quella realtà risulti di molto cambiata.
A Pioltello, come ormai avviene ovunque, dilaga «un’apatia tale da far venire meno la
tenuta democratica e questo dato spaventa».
«La gente pensa soprattutto ai fatti propri».
Qualche tempo fa «è stata fatta un’indagine telefonica per quanto riguardava le iniziative
culturali del Comune e il risultato è stato che la gente vede i cartelli, guarda il bollettino del
Comune, tutto sommato sa che le iniziative ci sono, però il coinvolgimento, la
partecipazione risultano scarsi».
«In politica la gente non ha più fiducia, né nella destra né nella sinistra; queste vengono
considerate ormai uguali. La politica è vissuta male, non incanta più».
Le spiegazioni che vengono date a questo fenomeno sono diverse. C’è chi pensa che «la
gente di Pioltello non ha mai avuto coscienza politica», chi ritiene che il «diffuso clima di
sfiducia politica sia dovuto principalmente alla presenza di un basso livello culturale» e chi
invece si dice convinto che «lo scetticismo è da attribuirsi soprattutto al fatto che la gente
si è sempre sentita fregata da chi ha amministrato il paese e purtroppo, mentre ha pagato
è sempre stata zitta. Ora non ne può più».
Ma non manca nemmeno chi si dice sorpreso del fatto che«nonostante le ideologie siano
in crisi, a Pioltello sopravvivano ancora i comunisti. Come facciano a resistere dopo quello
che è successo nel mondo non è proprio spiegabile».
Di fatto, però «tutti i partiti sono in crisi perché la gente è stufa. Alla gente interessa che
venga aggiustata la strada che è rotta dal momento che ci troviamo di fronte a una cultura
concorrenziale e individualistica».
«I partiti come strumenti storici della democrazia hanno perso il ruolo che hanno avuto per
lungo tempo e questo è un fatto grave e preoccupante. Forse c’è bisogno di nuovi
strumenti, di nuove forme di organizzazione, di nuovi vocaboli, per il momento però esiste
un vuoto».
«I partiti hanno perso quella capacità di orientare e accogliere la gente. Sono a Pioltello
dall’83 e devo dire che qui è sempre stato difficile svolgere attività politica, ora però la
situazione è decisamente peggiorata. Di attività di sezione non ho più sentore. I partiti
ormai sono solo dentro le istituzioni e si vedono solo nel momento delle elezioni».
«Il Pci - ricorda un dirigente politico locale - vantava 600 iscritti, oggi al partito dei Ds
risultano iscritte solo 150 persone».
«Non c’è più interesse nella gente e poi non c’è neanche più un partito alle spalle. Quelli
che continuano a fare militanza sono degli eroi».
Ci sono ancora «alcuni esponenti politici locali che dimostrano di avere la sensibilità e la
voglia di affrontare e risolvere i diversi problemi che sono presenti a Pioltello, solo che
ormai la gente che gira nell’ambiente dei partiti è molto scarsa».
«La crisi della rappresentanza politica l’ho vissuta malissimo», confessa un militante di un
partito che ha cessato di esistere. Ma anche l’esponente di una delle formazioni politiche
nate in questi anni a seguito del collasso del vecchio sistema partitico commenta: «Oggi la
politica non c’è. Io sono cresciuto alla scuola repubblicana di La Malfa e ho inteso la
politica qualcosa di ben diverso da quello che vedo ora.
Da tre o quattro anni sono impegnato politicamente in maniera un po’ più seria e devo dire
che ho trovato il vuoto in tutti gli schieramenti. Viene da piangere perché non si riesce più
a fare un ragionamento filosofico o intellettuale con nessuno. Se a un comunista gli parli di
Marx questo non sa neanche chi fosse ed è come parlare delle encicliche del papa con un
cattolico. Ma forse sono io che appartengo ormai a un’epoca superata».
Accade così che se nei confronti della politica e dei partiti i giovani si dimostrano
disinteressati, i meno giovani appaiono disillusi.
«Di politica non so assolutamente nulla, vuoi per scarsa informazione o per scarso
interesse, comunque non sono sollecitata a interessarmi»; «nei giovani non c’è interesse a
fare dei discorsi impegnati. Ad esempio, noi quando siamo in compagnia non parliamo mai
di politica, e anche se questo a me personalmente pesa, le cose vanno così. A volte,
quando io accenno a qualche ragionamento vengo considerata come la noiosa. La frase
che sento dire più spesso è ‘io la politica non la capisco, non mi interessa’. C’è in pratica
un rifiuto totale», affermano due giovani ragazze.
Non tutti però manifestano segni di preoccupazione. Un giovane che pure vanta un
passato di impegno politico-sociale così si esprime: «I ragazzi più giovani che conosco se
ne fregano della politica, sia di quella del territorio che di quella più in generale, e questo è
buono perché sono riusciti a staccarsi da questa cozza della politica che negli ultimi anni
era diventata soffocante. Per questo, quando si esprimono sono più razionali, più
trasparenti, non sono tanto confusi sulle cose, sono immediati».
E’ un atteggiamento questo che, come dice un giovane, trova giustificazione nel fatto che
«quando si assiste al Consiglio comunale e si vede che si scannano tra di loro, si prova un
senso di pena e alla politica non ci si affeziona di certo».
«Ho fatto militanza politica dal ‘45 ritenendomi un buon socialista», confessa
un’ottantenne. «Ho anche fatto il segretario di sezione del Psi. A casa mia il socialismo
veniva dopo S. Francesco e S. Antonio. Credevo che la sinistra facesse come fanno i
missionari, invece ho poi scoperto che non era proprio così. A un certo punto ho capito
che per diventare come loro avrei dovuto abbaiare e io non ho abbaiato. Sono molto
spiaciuto perché nel partito socialista vi erano tante persone buone e oneste».
E un lavoratore impegnato sul fronte sindacale, giustificando il suo distacco dalla politica
attiva, asserisce: «Gli ideali sono stati persi per la strada. Io incomincio a dubitare che la
stessa sinistra sia in grado e abbia la voglia di risolvere i problemi degli operai».
Eppure anche a Pioltello ci sono stati tempi in cui il protagonismo politico-sociale era
intenso. «Nel passato, quando c’era una più forte partecipazione alla vita politica della
gente e c’era un più alto livello di militanza, un ruolo di protagonismo della società civile
venne svolto dai partiti stessi e per favorirlo vennero anche costituiti i consigli di quartiere.
Si trattò però di un’esperienza poco confortante perché queste strutture non furono affatto
dei luoghi di elaborazione, ma si trasformarono ben presto in autentici parlamentini.
Comunque a quel tempo c’erano l’impegno e la tensione».
«Con il ‘68 si era politicizzato tutto, anche la scuola dove erano sorti gli organi collegiali, e
qui a Pioltello c’è stata una grande battaglia politica».
«Ora ad avere un sede di partito, siamo ormai solo noi, anzi ne abbiamo tre e ci possiamo
considerare ricchi dal momento che viviamo ancora su qualche alloro del passato»,
afferma il dirigente di una locale sezione. «Ma l’assenza fisica dei luoghi della politica è un
segno di enorme sofferenza anche per noi».
«Lo sperimentiamo nel nostro stesso circolo dove ci troviamo sempre tra gli stessi e non
riusciamo a impegnare nuove persone, soprattutto giovani», ammettono i dirigenti del
locale movimento ambientalista. «Quel poco che siamo riusciti a ottenere a riguardo del
polo chimico è frutto di decenni di lotta e perché si facesse qualcosa abbiamo dovuto
lottare per 35 anni. Il circolo è formato da gente che lavora e che presta attività in forma di
volontariato; c’è poi anche gente che fa politica e che si è sempre mossa sul piano
dell’impegno sociale. I soci sono una cinquantina e sono tutti di Pioltello. Gli attivi però
sono solamente una diecina. Ogni martedì ci troviamo all’oratorio di Seggiano».
Ma la crisi della militanza ha comportato non solo un calo di presenze, bensì un «venire
meno della stessa capacità di elaborazione politica, anche se va detto che qui a Pioltello si
è sempre vissuto di luce riflessa, non si è mai elaborato gran che. Quando il mio stesso
partito vantava il 40% dei consensi ha commesso l’errore di seguire pedissequamente le
indicazioni che venivano prese a livello milanese e questo ha fatto sì che non ci fosse
autonomia e che i cervelli andassero all’ammasso. Non ci si è preoccupati di studiare una
politica locale. Oggi capita di assistere ogni tanto a momenti di elaborazione, di analisi e di
individuazione di obiettivi che suscitano speranze ed entusiasmo, però poi ci si accorge
che non c’è una continuità, non c’è capacità politica e organizzativa di tradurre intuizioni e
suggerimenti in strategie e in azione politica. E’ su questo difficile passaggio che crollano
poi anche le migliori intenzioni».
«Sulle problematiche dello sviluppo, dell’economia, del lavoro, del welfare le forze politiche
sono pochissimo attrezzate. I livelli di progettualità sono quasi zero», conferma un altro
dirigente politico locale.
E a riguardo dei rapporti con la politica sentenziano gli operatori del mondo economico:
«Le forze politiche sono relativamente attente ai nostri problemi e spesso succede che
prendano dei provvedimenti che ci riguardano senza neanche consultarci o tenere conto
dei nostri orientamenti. Notiamo un rinverdire di intenzioni solo nel momento elettorale,
quando c’è bisogno di raccogliere il consenso, poi invece svaniscono».
«Le forze politiche a parole si dimostrano sensibili ai problemi dello sviluppo e
dell’occupazione, nei fatti però si rivelano disimpegnate. Se lo fossero per davvero non ci
sarebbe l’animosità che oggi caratterizza il mondo politico. C’è la corsa al potere non per
risolvere i problemi, ma per occupare gli spazi e le poltrone. Poi si tende a fare quel che
produce consenso nell’immediato e non invece ad affrontare quelle questioni che per
essere risolte esigono del tempo.
Io non le vedo affatto preparate ad affrontare i nodi epocali che abbiamo davanti a noi
come è il caso del conflitto tra le generazioni. Non le vedo lungimiranti».
Che nei partiti esistano delle rigidità mentali lo conferma uno stesso esponente politico:
«La mia esperienza di amministratore pubblico non viene vissuta molto bene dalla mia
parte politica proprio per gli scarsi livelli di preparazione che denuncia. Essendo
assessore, io vengo visto dai miei compagni di partito solo come colui che gestisce il
potere e che fa le mediazioni. Dal partito perciò ho poco sostegno nella mia attività e
faccio fatica a portare al suo interno certe problematiche».
Ma la fatica e la problematicità della militanza non sono peculiarità esclusive di uno solo
schieramento politico e neppure delle sole formazioni storiche.
«Vai a capire il mio stesso movimento - afferma l’esponente di una forza politica nata di
recente - io che ci sto dentro faccio fatica a interpretare certe decisioni e certi suoi modi di
essere. Figuriamoci quali impressioni può ricavarne chi lo osserva dal di fuori. E un mondo
molto complesso e dal punto di vista culturale è un bel buione».
Un tempo Pioltello vantava uno schieramento di sinistra molto forte.
«Questo era un comune craxiano al 35%, i socialisti ora sono scomparsi oppure sono finiti
nel polo di centro-destra».
Ricorda un sindaco del tempo: «C’è stato il periodo di ‘tangentopoli’ e Pioiltello non è stato
esente. Ha però colpito un partito solo e non gli altri e questo probabilmente ha
scoraggiato e allontanato ancora di più una parte dell’elettorato».
«Politicamente qui da noi si sono registrati spostamenti nell’opinione pubblica da palo in
frasca e il fatto che certe formazioni abbiano raccolto fino al 40% dei voti è lì a
testimoniarlo. Questo loro successo era dovuto anche perché di particolari interessi da
difendere qui la gente non ne aveva e non ne ha».
«Alle elezioni europee vince il centro-destra, alle provinciali vince il centro-sionistra, a
livello locale invece si guarda all’uomo, alla persona e il suo orientamento politico conta
poco».
«La vittoria della Lega è il segno di una mobilità elettorale ed è proprio da interpretare
come una voglia di cambiamento. La gente che è qui da tanti anni era insoddisfatta di
come le cose andavano e ha tentato di cambiarle in quel modo».
«La larga fiducia data alla Lega sino al punto di farla governare - commenta un esponente
di questo movimento - è stata una dimostrazione di protesta che è da situare in una fase
storica ben precisa. I cittadini erano stufi di tutti, il degrado era diffuso, la malversazione la
si registrava a tutti i livelli, il dipendente comunale onesto era additato come lo scemo del
villaggio: ecco quali sono stati i motivi del successo della Lega! E noi abbiamo avuto il
consenso da una componente che per il 75% era di origine meridionale».
Ma le interpretazioni di questo sorprendente avvenimento politico sono le più varie.
Osservano altri nostri interlocutori: «L’Amministrazione leghista è stata semplicemente il
Tabella n.35
Andamento elettorale degli schieramenti politici. Elezioni politiche, europee, regionali 1975-2000 (valori percentuali)
sinistra e centro-sinistra
centro
destra e centro-destra
'75
64,4
30,3
5,3
'76
65,4
30,3
4,3
'79
63,4
31,3
5,3
'80
63,3
31,3
5,4
'83
61,5
31,6
6,9
'84
65,7
30,0
4,3
'85
62,9
29,6
7,5
'87
65,9
27,0
7,1
'89
67,5
25,7
6,8
'90
58,9
25,7
15,4
'92
52,7
23,9
23,4
'94
32,8
8,9
58,3
'95
40,1
7,4
52,5
'96
39,8
3,8
56,4
'99
34,1
10,0
55,9
'00
37,3
2,2
60,5
Fonti: Regione Lombardia e Comune di Pioltello
frutto di una frattura, di una rivolta da parte di uno strato di cittadinanza disposta a dare il
voto a chicchessia purché non fossero quelli di sempre».
«La Lega a Pioltello ha vinto e ha conquistato il Comune in forza di ‘tangentopoli’, cioè per
fattori politici e relativi alla specificità locale. Infatti, dopo che le vicende si sono
ridimensionate anche il fenomeno leghista si è sgonfiato».
«Ha vinto proprio al grido di ‘basta alla speculazione edilizia, basta alla rapina del
territorio!’».
«Prima del suo successo due dei tre ultimi sindaci erano finiti in galera. L’affermazione
leghista è dunque da far risalire ai grandissimi errori fatti a Pioltello da una sinistra ottusa,
presuntuosa e che ha persino creato un clima di odio tra le persone», afferma un dirigente
dello stesso schieramento di sinistra.
Comunque, «che il voto alla Lega fosse un voto di reazione è spiegato anche dal suo
rapido declino. Si è trattato di un segnale».
Grafico n.1
Andamento elettorale degli schieramenti politici. Elezioni politiche, europee,
regionali - 1975-2000
70
60
50
1
40
2
30
3
20
10
0
'75
'79
'83
1 - sinistra e centro-sinistra
'85
'89
2 - centro
'92
'95
'99
3 - destra e centro-destra
«Il successo della Lega non è altro che una reazione al fatto che anche certe fasce del
ceto medio sono state finalmente obbligate a pagare le tasse. Lo Stato, infatti, viene
vissuto da molti come un vessatore».
«A mio parere, il successo della Lega è un non senso: Bossi viene a predicare contro i
terroni maledetti e poi succede che proprio a piazza Garibaldi e al Satellite i meridionali
votano Lega. E’ un fenomeno che non si spiega razionalmente. E’ una reazione a uno
stato di fatto».
«Il successo dei leghisti è anche il frutto di una mancanza di coscienza politica, di cultura e
di autonomia degli abitanti di Pioltello la cui maggioranza è stata abituata nel tempo a
votare secondo le indicazioni del capo clan. Non c’è senso critico nel giudicare le cose,
non c’era ieri e continua a non esserci oggi».
«Ciò che appare chiaro è che in questa vicenda c’è anche una nostra responsabilità
dovuta al fatto che nessuno di noi non si è più interessato di politica. C’è stato cioè un
abbandono del campo».
Ma a costituire materia di riflessione e di preoccupazione non è solo il rapido e facile
spostamento delle posizioni politiche nell’opinione pubblica. Anche a Pioltello si registra un
fenomeno che ha sicuramente implicazioni ancor più gravi sul piano della democrazia, si
tratta della crescente e progressiva diserzione delle urne elettorali. Anche se qualcuno
sostiene che «l’astensionismo è l’unica risposta seria che si può dare alla crisi di fiducia
nei partiti», questo fenomeno non può che inquietare.
«L’astensionismo, dicono gli studiosi, è dovuto anche al fatto che ci sono molte persone
anziane le quali per una serie di motivi non vanno a votare. Questo succede però quando
la politica non ha più argomenti per ottenere la loro fiducia. Di fatto si registra una scarsa
capacità delle forze politiche di comunicare con i cittadini. Poi, a creare un distacco dalla
politica, hanno contribuito anche i cambiamenti intervenuti nei meccanismi e nei sistemi
elettorali, visto che ai ballottaggi c’è sempre meno gente che va a votare».
Oltre a tutto questo però c’è evidentemente anche una vera e propria disaffezione alla
politica.
«Sono a conoscenza di molti nostri compagni che non sono andati a votare alle ultime
elezioni», commenta il segretario di un partito della sinistra.
E poi sono venute meno le occasioni di una partecipazione più diretta e meno delegata.
«Di strutture di rappresentanza a livello di quartiere a Pioltello non esistono. Io vorrei che
ci fossero strutture del genere, perché se ne avverte il bisogno, però non spetta a me
promuoverle. Ci deve essere una disponibilità dall’alto, ma soprattutto qualcosa che
scaturisce dal basso, dalla stessa società civile perché altrimenti l’autonomia non si
realizza».
«Io credo che dovremmo rivedere il nostro giudizio sui consigli di quartiere e tentare
magari di ricorrere anche a maniere un po’ maldestre al fine di incoraggiare la gente a un
maggior
interesse verso le questioni comunali e alla partecipazione. Quel che mi preme è che la
gente torni ad avere un minimo di voglia di essere protagonista anche nella vita pubblica. Il
disinteresse è pericoloso perché si trasforma in esclusione sociale e in un deficit di
democrazia».
«A Milano con la morte dei partiti sono sorti i comitati spontanei, a Pioltello invece questo
non è avvenuto e con il declino dei partiti qui è morta la partecipazione. In passato c’è
stato il comitato antinquinamento che ha avuto un ruolo positivo per vent’anni, dal
momento però che si è istituzionalizzato entrando di fatto nell’Amministrazione comunale,
è sparito ed è così cessata anche la tensione sociale. Oggi esiste Lega Ambiente che però
fa poco o niente. A parte i comitati degli orti che emergono nel momento in cui
l’Amministrazione comunale
Tabella n.36
Astensionismo elettorale - 1975-2000 (valori percentuali astensioni, schede bianche e nulle
su totale aventi diritto al voto)
politiche
europee
regionali
'75
9,4
'76
7,5
'79
10,1
'80
'83
15,9
15,5
'84
18,4
'85
'87
10,4
9,0
'89
21,0
'90
12,4
'92
10,4
'94
9,9
24,5
'95
'96
'99
18,9
17,7
39,8
'00
41,7
Fonti: Regione Lombardia e Comune di Pioltello
decide di regolamentare il territorio, io non vedo altre iniziative che rappresentino una
volontà della popolazione di intervenire nella vita pubblica. Tanto meno sono presenti a
Pioltello espressioni che abbiano uno spessore etico propositivo e non esclusivamente di
protesta. Proprio per questa ragione nel nostro futuro vedo sempre meno democrazia».
«Il problema della partecipazione a Pioltello è drammatico e come responsabile locale
della formazione politica cui appartengo mi sto inventando mille espedienti per cercare di
snidare la gente dal proprio ambito privato e farla reagire a uno stato di abulia verso i
problemi collettivi», confessa un leader politico locale.
E accanto a chi si propone di rivitalizzare le antiche forme della partecipazione c’è chi si
dice impegnato nella ricerca di quelle nuove.
«Una delle lotte politiche che io ho condotto e sul cui esito ho dovuto prendere atto della
mia sconfitta è quella riguardante la consultazione. Può sembrare populistico e può essere
Grafico n.2
Astensionismo elettorale - 1975-2000 (astensioni, schede bianche e nulle su totale
elettori)
Astensionismo
50
40
30
20
10
0
'75
'76 '79
'80 '83 '84
'85 '87 '89 '90
'92 '94 '95
'99
'00
considerato strumentale, ma il convocare spesso i cittadini in assemblee serve
sicuramente a indirizzare politicamente le decisioni. Non capisco perché quando si tratta di
prendere una decisione importante io non possa e non debba sentire i cittadini i quali,
anche se non formalmente, quando percorro una via o mi reco al mercato o vado al
cimitero ho modo di sentire comunque quel che pensano e quel che vogliono».
«Sui giornalini che il Comune distribuisce si parla tanto di partecipazione - osserva una
nostra giovane testimone - è bene si sappia che per favorirla occorre una maggiore
propensione all’ascolto di chi sta dalla parte del comando. Capire, ascoltare, mantenere
fede agli impegni assunti sono il presupposto per creare fiducia, partecipazione e
autonomia di giudizio».
E da parte sua, chi ha la responsabilità del governo locale così si pronuncia a riguardo dei
deficit di partecipazione e di protagonismo: «E’ senz’altro necessario ripensare i modi e le
forme del coinvolgimento dei cittadini nella politica locale; occorre lavorare per una
rigenerazione del sistema dei partiti e della loro immersione nella società civile stessa.
Politica e cittadini devono essere considerati due facce della stessa medaglia.
Una pubblica amministrazione trae giovamento dal confronto con una comunità
consapevole dei propri diritti oltreché dei propri doveri. La competenza della comunità e la
sua capacità di controllo sono la miglior garanzia contro le inefficienze della pubblica
amministrazione».
33. Il giudizio sulle Amministrazioni comunali passate
L’atteggiamento ormai disincantato assunto della società civile nei confronti della sfera
politica porta i singoli cittadini a giudicare l’operato degli stessi poteri istituzionali locali con
un accentuato spirito di autonomia e di critica.
«Pioltello è stata amministrata malissimo e anche l’opposizione non ha fatto il suo
dovere», sentenzia categorico un operatore economico.
Una valutazione molto severa che trova però riscontro nella generalità dei nostri
interlocutori.
«Purtroppo in questi anni passati, parlo degli anni ‘60 e anche di quelli prima, noi abbiamo
avuto delle amministrazioni che di Pioltello proprio se ne sono fatte un baffo. Il tram che
passava per Pioltello e che portava a Milano si è trasformato in metropolitana che serve
Cernusco e questo è frutto del disinteresse di chi ci ha governato».
«Qui c’è sempre stato il centro-sinistra. Prima c’erano i socialisti assieme ai democristiani,
poi ha governato la sinistra».
«Negli anni ‘60, purtroppo, noi abbiamo avuto degli amministratori che erano incapaci e
ignoranti. Bisognava vedere il sindaco di allora come faceva la firma.
Io ho fatto il presidente dei genitori a scuola e ricordo che l’assessore alla cultura di quel
tempo era quasi analfabeta. Si trattava indubbiamente di brave persone, però non
sapevano nulla di architettura, di urbanistica, bastava che si costruisse e che la casa non
crollasse e per loro tutto andava bene. Questa gente era stata eletta da un popolo che non
aveva grandi pretese. In tempi successivi sono poi entrati in Comune molti meridionali,
gente brava, io ne ho conosciuti parecchi, i quali si sono anche dati da fare, però senza
avere nemmeno loro grandi competenze».
«Il sindaco degli anni ‘60 era un architetto, non era un ignorante. Egli andava a costruire a
Cologno Monzese, mentre il sindaco di quella città, pure architetto, veniva a costruire qui.
Le Amministrazioni che sono venute dopo hanno così dovuto rimediare i numerosi danni
che si erano verificati».
«A quel tempo per chi amministrava valeva il criterio secondo cui chi costruiva le case
doveva poi realizzare le scuole oppure una piazza. E non è che lo facessero per soldi, era
proprio una questione di cultura. L’abitudine di prendere soldi è arrivata più avanti negli
anni».
«Quando io lavoravo in Comune, e ci sono stato per 33 anni - afferma un pensionato non si poteva proporre niente e anche se si diceva qualcosa di buono, gli amministratori
facevano quel che volevano. A decidere molto spesso era la burocrazia, cioè i dirigenti del
Comune».
«Pioltello è sempre stato vissuto come paese dormitorio e il perché non lo si capisce.
Forse questo significa che c’è stata una miopia da parte degli amministratori pubblici del
passato i quali si sono dimostrati incapaci di fare dei piani regolatori che tenessero conto
delle evoluzioni e della dinamica dell’industria e del lavoro e di assegnare quindi a questo
tipo di sviluppo le aree adeguate. Forse è mancata una lungimiranza. Quando poi si è
giunti al punto in cui non c’era ormai più nulla di economicamente valido si è fatto posto
con estrema facilità agli autotrasportatori. Si è fatta così una gestione un po’ miope del
territorio ed è proprio da questa logica che nascono poi le note vicende speculative che
hanno investito le aree edificabili».
Eppure c’è chi assicura che agli amministratori comunali dei tempi andati non mancavano
assolutamente le doti dell’onestà, della serietà e della dedizione.
«Negli anni ‘60 io seguivo il sindaco quando andava nelle frazioni a verificare come
stavano le cose, era un uomo che intendeva la politica come servizio fatto alla gente e che
si accordava anche con i comunisti che a quel tempo erano all’opposizione. C’è invece da
dire che si è stravolto tutto negli anni ‘70 quando è cambiato il modo di fare politica e sono
arrivati i mestieranti.
Chi era preposto a governare la realtà di Pioltello nel corso delle sue trasformazioni non
ha fatto gran che per aiutare la popolazione ad affrontarle e quindi ad accompagnarla nel
cambiamento. Dagli anni ‘70 in poi non c’è stata più grande attenzione alle persone e solo
ora mi pare che l’attuale Amministrazione comunale se ne prenda cura».
«A segnare in negativo la storia di Pioltello sono sicuramente stati i venti anni di governo
social-comunista. Si è trattato di persone stimabilissime, ma le coalizioni politiche a cui
facevano capo erano internamente condizionate da una serie di meccanismi di corruzione
e non hanno saputo garantire né uno sviluppo cittadino all’altezza del ruolo di Pioltello né
un senso di appartenenza e d’identità ai suoi abitanti».
«Qualcuno era interessato più agli affari che al bene pubblico».
«Tutte le amministrazioni precedenti hanno pensato solo al guadagno, anche illecito,
inserendosi nelle grandi direttrici di ‘tangentopoli’.
«Questo è potuto avvenire perché Pioltello non aveva il personale politico di qualità che
invece ha avuto Cernusco».
Ma a fronte di questi severi giudizi, come si difendono e come valutano il loro operato
coloro che vengono posti sul banco degli imputati?
«Io sono stato eletto sindaco nel ‘72 e ho ricoperto quella carica fino all’80.
E’ stata per me un’esperienza traumatica perché a quel tempo Pioltello da paese di
agricoltori e contadini e di qualche operaio che era si è trasformato in città.
Io sono diventato sindaco per reazione. Avevo comprato un pezzo di terreno da un
contadino per costruire una villetta, in un luogo dove mi era stato garantito che era
destinato a villette. Quando un giorno sono tornato dalle vacanze, ai primi di settembre, mi
sono trovato di fianco alla mia casa un escavatore che aveva fatto una buca come se
cercasse il petrolio. Dopo di che a due metri dal confine hanno costruito un palazzo di
nove piani. Era il periodo della vacatio legis e di conseguenza, non avendo Pioltello a quel
tempo un piano regolatore, non fu possibile arrestare quei lavori. Il Comune allora non
faceva pagare gli oneri di urbanizzazione, in compenso però aveva fatto costruire
quell’obbrobrio della ‘Città Satellite’, come pure piazza Garibaldi a ridosso della stazione e
della Sisas.
Mio padre era socialista e mi aveva sempre pregato di non darmi alla politica perché,
diceva, si doveva dare l’anima senza avere nulla in cambio. Quando però ho saputo che il
sindaco era un socialista e per di più era un architetto, mi sono incazzato come una iena.
Mi sono messo in lista e sono stato votato dalla gente fino a diventare poi sindaco. Ero
almeno uno di Pioltello, perché prima di allora i sindaci venivano inviati qui dalle
federazioni milanesi dei partiti non essendoci persone del luogo che intendevano darsi da
fare.
Quando sono diventato sindaco io, tutto l’hinterland milanese era in quella situazione;
erano cioè pochi i comuni amministrati con capacità e competenza e, soprattutto, in ogni
dove c’era la presenza di un tessuto sociale variegato e complesso da amministrare.
Ho dunque fatto il sindaco in momenti brutti e ho dovuto persino imparare i dialetti siciliani.
La prima cosa che abbiamo fatto è stata la fogna. Milano non ha ancora oggi il depuratore,
noi invece abbiamo fatto l’impianto fognario già a quell’epoca.
Quel palazzo che hanno costruito a fianco di casa mia aveva davanti un giardino di otto
metri e mezzo e in esso avevano ricavato due pozzi perdenti. Dopo una settimana che la
gente si era insediata, succedeva che chi abitava all’ottavo piano quando faceva la pipì se
la vedeva fuoriuscire dal pozzo perdente. Come sia stato possibile far costruire con quei
criteri si spiega solo con una miopia amministrativa e tecnica. E’ vero, qui ci sono state
delle grosse incompetenze.
Come sindaco avevo ereditato una realtà che era una babele e nonostante ciò siamo
riusciti a fare delle buone cose.
Abbiamo cominciato prendendoci in carico un paese poverissimo, con quattro gatti in
Comune, quattro vecchi funzionari che conoscevano tutti ed erano loro stessi l’anagrafe
storica, e tre vigili urbani. Abbiamo dovuto rifare in pratica l’Amministrazione comunale. La
nostra era una compagine che aveva voglia di lavorare, purtroppo però gli assessori validi
venivano da fuori Pioltello.
Ci siamo indebitati all’inverosimile perché non si poteva mandare a scuola trenta bambini
di prima elementare al piano terra nei negozi del Satellite facendo per di più i doppi turni,
una settimana al mattino e un’altra al pomeriggio. Non c’erano le scuole medie sufficienti
per tutti, non c’era un asilo nido, c’era una sola scuola materna a Pioltello Vecchia.
Quando io ero sindaco avevo altre priorità rispetto ad oggi, erano le fogne, le scuole, gli
asili. Poi c’era la fame. Abbiamo rifatto il Comune nuovo, grazie purtroppo a concessioni
edilizie fatte a S.Felice. E’ grazie appunto agli oneri di urbanizzazione che abbiamo istituito
noi, perché prima non c’erano, se abbiamo potuto costruire la scuola materna, il liceo, la
palestra e poi il palazzo del Comune. Ci siamo fatti pagare non in soldi, ma in natura.
Noi siamo partiti con gli asili nido, le scuole materne, le elementari, le medie, il liceo
classico e quello scientifico, l’Ipso e oggi abbiamo anche ragioneria e i geometri, cioè tutti i
gradi di scuola.
Ci sono state in conclusione delle circostanze storiche ben precise che hanno
condizionato la vita di Pioltello e che noi abbiamo affrontato con impegno.
Le critiche sono ben accette, perché sono il sale della vita politica, ma va detto a questo
riguardo che nessuno ha mai avuto il coraggio di dirci dove abbiamo sbagliato.
Io ho sempre avuto molti suffragi ed ero anche benvoluto, nonostante i brutti momenti che
ho passato. Ho sempre avuto grande solidarietà e senso di amicizia, specialmente dagli
avversari politici, gente dalla scarpa grossa ma con il cuore grande, se non tanto dal
cervello fino.
Quando io mi sono messo in lista ho avuto suffragi inattesi. E probabilmente per tanti anni
ho garantito un buon governo perché se il paese è cambiato in meglio lo si deve proprio a
quel periodo che va dal ‘71 fino ai giorni nostri».
«Fatto è che Pioltello porta in faccia e sul corpo delle cicatrici che non si possono
nascondere», dice un nostro testimone.
«’Tangentopoli’ ha coinvolto due sindaci e il capo dell’ufficio tecnico».
Come ricordano le cronache, nel 1996, in cinque comuni della provincia di Milano, tra cui
Pioltello, sono stati rinviati a giudizio ben 76 imputati coinvolti in una vicenda di tangenti.
«In Comune a quel tempo c’era un direttore tecnico, che non so in che misura avesse a
che fare con gli amministratori, il quale decideva a modo suo nel rilasciare le licenze
edilizie. Alcuni si sono fatti per bene i loro affari», annota un anziano.
«Nelle passate amministrazioni per avere una licenza edilizia ci volevano dieci anni,
perché c’erano i raggiri e qualcuno è anche finito in galera. Ora invece le cose, a quanto
pare, si sono un po’ più sveltite».
Racconta un imprenditore: «Anni fa avevamo bisogno di trovare un’area su cui cominciare
a costruire, ci siamo guardati in giro e ci siamo trovati ad avere a che fare con un
personaggio che aveva in mano tutto lui e che ci ha fatto perdere un bel po’ di anni.
Abbiamo rimediato allo stato di necessità costruendo qui a fianco, mentre il personaggio è
finito in galera. Questa vicenda ha influito notevolmente in modo negativo sull’azienda.
La maniera in cui come azienda siamo cresciuti non è certo la migliore perché ci è costato
molto in termini di risorse e non abbiamo risolto i nostri problemi e ancora oggi siamo da
capo. Avremmo potuto anche decidere di trasferirci in altro comune, ma poiché abbiamo
voluto restare qui a Pioltello abbiamo dovuto pagare dei prezzi altissimi. Forse avremmo
dovuto capire prima com’era la situazione e probabilmente siamo stati un po’ ingenui.
Avevamo bisogno di arretrare il cancello e la richiesta ci è stata respinta sempre dal solito
personaggio ripetutamente per molti anni. La ragione era forse da attribuirsi al fatto che il
progetto era stato redatto da un tale piuttosto che da un tal altro».
«La corruzione purtroppo c’è dappertutto, però c’è da dire che le Amministrazioni comunali
un po’ più avvedute hanno dato al proprio paese delle strutture di servizio pubblico che a
Pioltello non ci sono, nonostante quel che si dica».
Dopo i social-comunisti «è arrivata la Lega. In Consiglio comunale vi erano 18 o 20
consiglieri che non erano di Pioltello e quando arrivavano qui per le riunioni dovevano
chiedere alla gente dov’era situato il Comune, quando andavano via si dovevano far
indicare la strada per tornare alla loro casa».
«Nel periodo in cui c’era la Lega in Comune si voleva fare una rivoluzione generale, però
poi si è operato nei particolari in modo sbagliato. Hanno tentato di mettere assieme
qualcosa senza riuscirci. Hanno fatto come la vecchia signora ottantenne che si rimette il
belletto e si rifà le ciglia spendendo molti soldi senza ottenere i risultati sperati, proprio
perché da rifare non era tanto l’esteriorità quanto il corpo stesso».
«Qui a Pioltello quelli della Lega hanno improvvisato molto, non avevano una proposta e
una strategia politica. Loro avevano promesso tutto a tutti ma poi era diventato difficile
stabilire a chi bisognava togliere. Non hanno potuto fare sconti perché i denari servono se
si vuole fare qualcosa. Hanno fatto cioè un buco nell’acqua e questo sta a dimostrare che
non ci si improvvisa amministratori pubblici».
«A riguardo delle politiche ambientali, quando la Lega è andata al governo si è accodata al
comitato antinquinamento anche perché, essendo saltati due sindaci, ha preferito
muoversi con i piedi di piombo».
«Nei nostri confronti - precisa il rappresentante di un’azienda chimica - l’Amministrazione
leghista ha avuto un atteggiamento un po’ sommario, demagogico e semplificatorio e
questo non ha certo favorito le prospettive dell’azienda. Quando il nostro amministratore
delegato si è recato dal sindaco, questi gli ha chiesto quand’è che ce ne saremmo andati
via da Pioltello».
C’è però anche chi esprime giudizi differenti.
«La Lega non coinvolgeva certo di più, ha fatto poche cose, ma ha fatto quel che aveva
promesso. I progetti urbanistici che ha redatto, personalmente mi facevano abbastanza
ridere, però li ha fatti».
«La passata amministrazione ha voluto fare una festa all’anno, l’hanno chiamata festa di
Santa Lucia e siccome è andata bene i commercianti hanno continuato a farla».
«Io devo ringraziare la Lega per avermi dato il terreno per la chiesa nuova e i contributi per
l’oratorio feriale».
Pure il rappresentante sindacale dei lavoratori dell’ente locale valuta quell’esperienza non
del tutto negativa: «Con l’Amministrazione leghista i rapporti sindacali sono stati difficili
all’inizio, poi invece si sono normalizzati. Abbiamo dovuto fare una bella battaglia sulla
vigilanza urbana perché volevano il terzo turno mentre non c’erano le condizioni per farlo».
E mentre qualcuno ricorda che «pur essendo monocolore la giunta leghista non ha
concluso il suo mandato a causa di conflitti interni ed è stata così commissariata», un suo
esponente rievoca nel modo seguente l’esperienza compiuta.
«Quando ero assessore mi sono battuto per fare il centro civico dove è stato poi insediato
il centro-ricreativo culturale della terza età e il Centro Lavoro. Nel centro sociale di via
Leoncavallo, quando sono diventato assessore, c’erano i drogati, ne abbiamo addirittura
trovati due con le siringhe in mano. Allora quella era una struttura fatiscente. La società
che l’aveva costruita era fallita e si scontavano almeno dieci anni di degrado.
Noi volevamo dare più spazio alle associazioni affinché avessero una sede e fossero
valorizzate.
La svolta con la giunta Torre è servita a cambiare i rapporti tra politica e città. Prima, per
vent’anni, gli amministratori erano sempre quelli e si scambiavano le poltrone con alleanze
di ferro e tra l’Amministrazione e il cittadino c’era un distacco enorme; se non si aveva la
raccomandazione non si otteneva nulla.
Noi della Lega eravamo invece persone che non erano conosciute da nessuno e non
abbiamo chiesto voti personali a nessuno, perciò non abbiamo dovuto fare favori a
nessuno.
Il percorso da noi intrapreso ha portato a un cambiamento nella mentalità sia degli
amministratori che dei dirigenti comunali e degli operatori. C’è stata un crescita generale a
livello politico dal momento che si è verificato un ricambio di classe politica. Rispetto al
passato e al di là del tipo di Amministrazione, oggi c’è sicuramente un taglio diverso
nell’affrontare i problemi. C’è stata una epurazione e non solo per una questione di
tangenti, ma proprio per ragioni culturali.
Oggi il cittadino entra in Comune con la testa alta, alza la voce e chiede il rispetto dei suoi
diritti».
34. Critiche ed apprezzamenti per gli amministratori di oggi
Come viene giudicato invece l’operato dell’Amministrazione comunale attuale?
«Circa il giudizio da dare a questa Amministrazione preferirei non entrare nel merito,
perché io non posso non ricordare che un tempo c’era chi sputava parole di fuoco contro
di me quando ero sindaco, per la mia supposta incapacità di intervenire contro un’azienda
del polo chimico. Ora queste persone sono al potere e a riguardo di quella stessa vicenda
non hanno fatto niente. Questa è gente che dovrebbe ravvedersi.
Credo comunque che abbiamo capito che un conto è pensare le cose ideologicamente e
un altro conto è porvi mano. A quel tempo dicevano che noi eravamo dei cementificatori,
ora stanno facendo cose peggiori sul piano dell’edificazione con interventi che sono molto
discutibili.
Non vorrei essere frainteso, ma va detto che nelle ultime amministrazioni di nuovo a
Pioltello non è stato fatto proprio nulla. Al posto della piscina c’erano tante altre cose da
fare».
Un altro nostro interlocutore ha motivo di lamentarsi sia dell’operato delle passate
amministrazioni che di quello dell’attuale.
«La proprietà di questa cascina è del Comune, io sono in affitto dal ‘36 e rispetto al
problema del tetto diroccato l’Amministrazione comunale si è sempre disinteressata.
Prima c’era mio padre al quale sono subentrato io e ora a me è subentrato mio figlio.
Quando si ha a che fare con i privati si sa che se non viene curato il tetto si è
inadempienti, mentre invece quando si tratta di un ente pubblico che non se ne preoccupa
le cose diventano più complicate. Uno degli affittuari di una parte della cascina, dieci anni
fa, ha dovuto citare in tribunale il Comune per fargli fare dei lavori altrimenti rischiava di
cadere tutto. E’ una cosa inverosimile.
Le varie amministrazioni comunali si sono scaricate le responsabilità l’una con l’altra. Il
fatto è che non hanno mai saputo dare una destinazione precisa a questo fondo e la
situazione si è trascinata per trenta, quarant’anni senza che si trovasse una soluzione.
Di proposte ne abbiamo fatte un sacco, eppure non hanno mai risposto una sola volta.
Ogni amministrazione che si è insediata, da ultimo quella attuale, ha dimostrato di non
sapere cosa fare e così siamo sempre nel campo delle cento pertiche, come diciamo noi
contadini».
Un commerciante invece accusa addirittura chi governa di assumere atteggiamenti
autoritari.
«C’è da dire che Cernusco ha incominciato a metà degli anni ‘60 a fare quello che sta
facendo oggi Pioltello. E hanno incominciato per gradi e non in modo drastico come fanno
i nostri attuali amministratori che hanno chiuso il paese. Quando l’anno scorso hanno
preso questa decisione hanno discusso con noi, però sono stati molto prepotenti. Lo
stesso assessore competente mi ha confessato che si è trattato di una ripicca perché
qualcuno di noi commercianti avrebbe sostenuto che non si doveva muovere una foglia.
Rispetto alla possibilità di un dialogo tra noi e l’Amministrazione comunale sono molto
scettico. Con questi non c’è nulla da fare, noi ci siamo andati in cinquanta quando c’è stata
la questione della viabilità, ma questi danno segno di voler comandare loro. Tra fascisti e
comunisti non c’è nessuna differenza, la dittatura è dittatura».
E altri lamentano di non essere stati consultati nel momento in cui si è elaborato il nuovo
piano regolatore.
«Quando hanno proceduto alla definizione delle nuove norme urbanistiche non ci hanno
interpellati. Sono solo stato informato che quest’area è diventata residenziale», sostiene
un imprenditore. «Se la mia azienda sta qui cento anni nessuno la può spostare, se però
vado via qui non può subentrare nessun’altra azienda. Non sono stati comunque molto
generosi né carini nemmeno nel coefficiente di costruzione, però io faccio l’industriale e
non il costruttore».
«Sul nuovo piano regolatore non siamo stati coinvolti, mentre saremmo stati interessati a
ragionare a riguardo della situazione di conflitto che come azienda abbiamo in atto con gli
abitanti della zona».
«Nel momento in cui a Pioltello si è avviata l’istruttoria per il piano regolatore, a
rappresentare gli interessi delle imprese è intervenuta l’Assolombarda che credo abbia
fatto tutto quello che era possibile fare.
Noi, assieme a un’altra azienda confinante, l’autunno scorso abbiamo discusso con
l’Amministrazione comunale a proposito della possibilità di costruire su questo comparto. Il
nuovo Prg prevede però che le nostre aziende non possono più esistere su questo
territorio. E’ successo che mentre l’Amministrazione comunale ci sollecitava a discutere
sul destino di quest’area, è saltato fuori un articolo di legge che blocca la produzione e lo
sviluppo. Purtroppo, per una normativa nazionale decisa anni fa dal Ministero
dell’ambiente a Roma, le aziende che vengono considerare insalubri, com’è il caso nostro,
vengono classificate di classe 1a e in questa categoria sono state inserite tutte le aziende
che hanno una lavorazione di materie plastiche a caldo. Per un refuso politico, e anche
perché l’Amministrazione di Pioltello ha inteso bloccare l’espansione del polo chimico,
cosa che è anche comprensibile, si è fatto di tutta l’erba un fascio e si è bloccato tutto.
C’era invece la possibilità di riclassificare le zone e in quel modo si sarebbe potuto evitare
che sulle nostre aziende venissero imposti dei vincoli.
Noi avevamo in progetto di costruire, ora invece non lo possiamo più fare, anzi, non
possiamo nemmeno modificare il ciclo produttivo. Contro questa norma hanno fatto
opposizione sia la Asl che le Organizzazioni sindacali. Va detto che se ci fosse stato un
dialogo preventivo, l’Amministrazione comunale avrebbe potuto avere le informazioni
sufficienti per capire la portata del problema ed evitare così i pasticci in cui oggi ci
troviamo».
«I pubblici amministratori non si sono premurati nemmeno di consultare il mondo
dell’agricoltura quando hanno redatto il piano regolatore». «Si è trattato di una scelta fatta
a tavolino che ha creato dei problemi agli operatori. Io ho contestato talune destinazioni e
devo dire che hanno capito e si sono perciò impegnati a rimediare. Secondo me hanno
fatto le cose un po’ troppo di fretta».
«Sarebbe stato importante nel momento in cui si è fatto il piano regolatore sentire tutte le
parti in causa, cioè gli operatori e i proprietari di terreni, a prescindere dalle intenzioni e
dalle decisioni che si sarebbero poi prese. Questo per impedire che, come avviene
spesso, venissero adottate delle soluzioni, dei sistemi, dei regolamenti che sono contrari al
buon senso. Loro vedono le cose dalla loro angolazione e credono di far bene a compiere
certi atti, ed è giusto che sia così, però io credo farebbero meglio ad osservare le cose
anche da altre angolazioni e il sentire il parere degli altri arricchisce le conoscenze e
perfeziona le decisioni».
«Questa amministrazione non ha fatto male, però si è impuntata con questo piano
regolatore che non favorisce certo quei dieci o venti miei amici che hanno dei grossi
interessi. Questi sono stati mortificati anche se per questo non muoiono di certo».
Le relazioni tra l’ente pubblico e la società civile non appaiono dunque sempre
soddisfacenti.
«Purtroppo con l’Amministrazione comunale i rapporti non sempre sono felici perché a
volte ci vengono richiesti interventi che noi non siamo nelle condizioni di soddisfare»,
sostiene un dirigente d’impresa.
E pure un giovane manifesta le sue perplessità: «Questa amministrazione di centrosinistra ha mandato molti messaggi dimostrando che è interessata a come vive la gente,
però poi non ha dato le risposte che ci si aspettava.
Sono convinto che essa stia facendo qualcosa per risvegliare questa realtà. I buoni
propositi ci sono, non è questo che contesto. Il problema è che sta sparpagliando energie
e risorse senza riflettere molto. Io non vedo un disegno e sarebbe bello che in nome della
trasparenza e dell’autopromozione del cittadino si facesse vedere bene quello che si vuole
e si sta facendo. Non sempre si capisce se l’Amministrazione fa una politica di territorio o
una politica nazionale o se invece insegue altri obiettivi.
I nostri amministratori non si parlano tra di loro, non si passano informazioni. In occasione
di un progetto che investiva due assessorati noi, quando operavamo come gruppo
giovanile, ci siamo accorti che questi non comunicavano tra di loro, anche negli aspetti più
elementari».
«Il sindaco è venuto alla nostra mostra - ricorda una giovane - e ha fatto un bel discorso,
però poi non ha più avuto un rapporto diretto con i ragazzi che hanno fatto il progetto. Può
sembrare una cosa da nulla impegnare dei ragazzi a fare dei progetti e poi non farsi più
vedere, ma in questo modo si consuma la propria credibilità. Rimane nella testa dei
ragazzi il fatto che quel loro progetto non è stato apprezzato e realizzato».
«Quello che non ho mai capito bene di questa Amministrazione - aggiunge un’operatrice
culturale -è la divisione tra l’assessorato alla cultura e l’assessorato all’istruzione. Fino ad
ora non era così, le due competenze facevano capo a un solo assessorato. Questa
separazione di responsabilità crea di fatto una frattura tra scuola e territorio».
Un amministratore pubblico degli anni passati sottolinea come rispetto ai suoi tempi chi
attualmente governa Pioltello risulti favorito dalle condizioni economiche più favorevoli.
«Le ultime Amministrazioni comunali hanno goduto del fatto che si sono sbloccati gli
organici e hanno così potuto assumere personale, cosa che a noi risultava difficile. Poi in
Comune ha incominciato a scorrere la lira, i debiti sono stati pagati e si è aperta la
possibilità di avere maggiori contributi.
Pioltello è cioè diventato più accettabile autonomamente. Oggi si rifà spesso l’asfalto delle
strade quando una volta lo si faceva solo a fine legislatura e a scopo politico-elettotale.
Altre cose invece non se ne vedono, si spendono soldi a valanghe per il porfido in centri
storici che tali non sono. Perché mai buttare via tanti soldi? Pioltello ha invece bisogno di
costruirsi un tessuto sociale diverso».
«In effetti - asserisce un commerciante impegnato in una commissione comunale come
rappresentante del fronte di opposizione - io lo dico sempre a mia moglie, questi stanno
lavorando bene, anzi io non so dove vadano a prendere così tanti soldi. Se lo domandano
tutti, comunque non sono affatto affari miei. Stanno lavorando e lavorano più degli altri,
stanno facendo quello che doveva essere fatto vent’anni fa, quando qui arrivavano sindaci
scelti a Milano.
Io sono in commissione edilizia e di lotte non ne faccio poi tante perché tutto quel che si fa
è regolare. Succede solo che a volte si tengono nascoste certe cose, te le fanno vedere
solo per dieci secondi e poi raccontano anche alcune frottole.
Se devo esprimere un consiglio agli attuali amministratori direi che devono essere più
morbidi e dire sempre la verità. Devono essere più genuini e più democratici. Non devono
dare delle risposte da cafoni e da prepotenti».
Tabella n.37
Entrate delle Amministrazioni comunali. Pioltello, Cernusco N., Peschiera B., Segrate,
Provincia di Milano - 1995 (valori percentuali e assoluti)
capacità
entrate proprie
trasferimenti
Stato
(1)
Regione
(2)
pressione
tributaria
(3)
Pioltello
39,2
350
17
392,7
Cernusco
16,5
328
28
730,2
Peschiera
15,1
157
4
695,2
Segrate
27,4
160
10
856,0
Prov.Milano
23,4
501
184
715,9
(1) Entrate extratributarie/(entrate tributarire+contribuiti/trasferimenti correnti+entrate
extratributarie) x 100
(2) In migliaia di lire - totale trasferimenti/popolazione
(3) In migliaia di lire - totale entrate proprie/popolazione
Fonte: Regione Lombardia
Di tono diverso sono invece le valutazioni che esprime un altro rappresentante del fronte
dell’opposizione. «Pur non facendo parte dello schieramento che è al governo di Pioltello,
verso alcuni componenti di questa Amministrazione nutro grande rispetto. Di problemi la
coalizione di maggioranza ne ha tantissimi e sono problemi che considero di casa loro,
poiché ognuno deve guardarsi in casa propria.
Questa Amministrazione ha mantenuto la linea che noi abbiamo tracciato nella tornata
precedente. Questo stesso colloquio dimostra come sia cambiato il clima politico a
Pioltello.
L’Amministrazione Torre ha aperto una nuova era, l’Amministrazione De Gaspari l’ha
continuata. E quel che io mi auguro è che la prossima Amministrazione, qualunque essa
sia, continui su questa strada.
Oggi il cittadino si sente rappresentato, si sente tutelato, sa che se ha bisogno di qualcosa
oggi trova chi gli risponde con competenza.
Questa Amministrazione sta cercando di dare un senso di appartenenza ai cittadini
valorizzando le cose positive che esistono. Si tratta comunque di un processo sociologico
di lungo periodo».
Tabella n.38
Spese delle Amministrazioni comunali. Pioltello, Cernusco N., Peschiera B., Segrate,
Provincia di Milano - 1995 (in migliaia di lire per abitante)
spesa corrente
spesa per investimenti
Pioltello
1.143
361
Cernusco
1.217
329
Peschiera
1.000
173
Segrate
1.154
289
Prov.Milano
1.758
1.671
Fonte: Regione Lombardia
Un giudizio positivo viene anche dalla rappresentanza sindacale dei dipendenti comunali.
«Con questa Amministrazione ci sono state delle novità e loro rispettano totalmente i
contratti, si fa concertazione, se c’è un problema lo si affronta fino a trovare la soluzione,
naturalmente entro i confini in cui sono stati blindati i contratti del pubblico impiego. Ogni
volta che abbiamo sollevato un problema abbiamo sempre trovato la disponibilità ad
affrontarlo.
Ci ha portato via moltissimo tempo il riordino professionale sul quale la nostra piattaforma
è stata accettata solo in parte perché l’Amministrazione comunale ha fatto delle proposte
che comunque abbiamo considerato buone. Anche se sono uno che punta spesso i piedi,
devo dire di ritenermi soddisfatto.
I problemi aperti e più spinosi riguardano la gestione degli asili nido, la gestione del
metano e la scarsa considerazione dei dipendenti operai. Un tempo ce n’erano trenta e si
facevano molti lavori, ora invece siamo carenti e siamo costretti alla polivalenza. Il servizio
del metano dovrebbe andare ai privati, ma per il momento è ancora in gestione nostra e
questa incertezza crea problemi di manutenzione. Dal momento che si lavora sempre in
emergenza questo servizio comporta anche problemi di sicurezza. Devo confessare che
da un po’ di tempo non mi sento tranquillo dal punto di vista della sicurezza nella gestione
del metano proprio a causa della scarsità del personale e dell’assenza di precise politiche
per il futuro. Si rimedia con la reperibilità dei dipendenti. O il servizio lo si affida a una
società pubblica, non certo ai privati che ci speculerebbero, oppure si governa come si
deve, cioè con tutte le garanzie di sicurezza del caso. E’ questo un settore strategico e
non può essere trattato così alla leggera.
Sugli asili nido, infine, noi abbiamo fatto molti accordi che non sono mai stati rispettati,
specie sulle sostituzioni. Si è teso solo ad esasperare il personale e si sono pagati dei
prezzi in termini di qualità del servizio. A me basterebbe essere sindaco per un sol giorno
per risolverlo. Devo dire che un simile problema con la Lega non l’abbiamo avuto; loro
volevano chiuderne uno, non ci sono riusciti e l’hanno dovuto tenere, però non hanno
scaricato i suoi costi sul personale.
Secondo me non c’è solo un problema di qualità del servizio, ci deve essere anche un
buon rapporto tra questo personale e il Comune, mentre sul comportamento
dell’Amministrazione comunale a riguardo della gestione dei nidi, dal punto di vista
sindacale sono molto critico. Questo comunque è l’unico punto di scontro.
Di conferenze di servizio noi qui non ne abbiamo mai fatte, i problemi sindacali sono
talmente tanti che l’incidere sulla qualità dei servizi diventa impossibile.
Se l’iniziativa la prendesse l’Amministrazione comunale sarebbe una buona cosa. Persone
in grado di dare dei contributi in questo senso ce ne sono. A volte nelle riunioni noi
entriamo nel merito della qualità dei servizi, ma c’è sempre qualcuno che teme si voglia
interferire nelle loro proprie competenze.
Nell’organico del Comune in questi dieci anni c’è stato un forte ricambio generazionale che
è servito moltissimo, ci sono molti giovani che dimostrano tanta volontà e vedono il lavoro
come un servizio sociale, poi hanno portato idee nuove e a confronto con il vecchio
impiegato che era il classico burocrate questi giovani sono più aperti e dinamici.
Quel che devono capire gli amministratori pubblici è che non è giusta e non paga la
politica verso il personale che privilegia e premia le 5, 6, 7 persone che vengono
erroneamente ritenute decisive nella gestione della macchina comunale, per affidare poi a
lunghe ed esasperanti trattative il rispetto dei diritti del resto del personale.
Noi dipendenti comunali abbiano una questione salariale che non è stata ancora affrontata
ed è sicuramente una questione generale, però da noi è più marcata che altrove. Quando
un operaio del Comune fa presente che pur essendo specializzato porta a casa 1.700.000
lire al mese, non può sentirsi dire dal manager ‘perché non te ne vai?’. Questo è un
insulto, è il segno della non volontà di volerlo valorizzare visto che l’operaio è uno capace
e ci tiene a fare il servizio alla sua città. Il sindaco dovrebbe rendersi disponibile ad
ascoltare i lavoratori del Comune, soprattutto quelli che gli sono più distanti».
Tabella n.39
Abitanti per ogni dipendente comunale. Pioltello, Cernusco N., Peschiera B., Segrate,
Provincia di Milano - 1997
abitanti per ogni dipendente
Pioltello
120
Cernusco
145
Peschiera
135
Segrate
143
Prov.Milano
509
Fonte: Regione Lombardia
Ma tra i nostri testimoni coloro che si dichiarano soddisfatti dell’operato
dell’Amministrazione in carica sono la maggioranza.
«Sull’operato di questa Amministrazione comunale mi sento di dare un giudizio
nettamente positivo e lo esprimo in base alla conoscenza diretta che per l’attività che
svolgo ho avuto nel passato con le precedenti Amministrazioni e in base a ciò che oggi si
sta facendo.
Queste sono persone che hanno dato un taglio diverso al rapporto con i cittadini.
Questa Amministrazione cerca di parlare, di aprirsi, di dialogare con tutti e questo prima
non è mai stato fatto, non c’è mai stata una volontà di ascoltare tutti e se non si colgono
questi cambiamenti dobbiamo concludere che la politica è fatta per gli affaristi e basta».
«Da parte dell’Amministrazione comunale, ultimamente, noi abbiamo trovato un’apertura
alle nostre istanze, mentre prima avevamo a che fare con gente che nemmeno era
disposta ad ascoltarci».
«In questi anni il rapporto con le istituzioni è sempre stato difficile, ma direi che con questa
Amministrazione si sta dialogando un po’ di più anche se con estrema difficoltà. C’è
purtroppo una minoranza molto attiva che pesa e crea confusione».
«L’amministrazione attuale presta più attenzione alle esigenze delle aziende
e si dimostra sensibile nel risolvere i problemi che abbiamo».
«Pur con alcune riserve e non condividendo scelte come quella del cinema megagalattico,
devo dire che l’amministrazione complessiva della città è positiva».
«Io sono qui da dieci anni e ho visto un cambiamento notevole. Prima il paese veniva
costruito in modo disordinato, mentre ora invece si è incominciato a costruire con un altro
criterio. Cercano di rimediare tutti gli spazi come il giardinaggio e il verde».
«Un dato positivo che va ascritto a questa Amministrazione comunale è l’impegno a
costruire la città non solo come atto formale, che pure è stato realizzato, ma con iniziative
tendenti a unire veramente una comunità che vive su un territorio urbanisticamente
tagliato a fette dalle infrastrutture e cresciuto storicamente in maniera disordinata».
«Stanno cercando di fare uno sforzo per costruire un’identità comune e questo è
importante».
«Noi siamo soddisfatti, vediamo tanti lavori. Lo spazio che hanno dato ai giardini è
enorme, cosa che una volta non si sarebbe neanche potuto immaginare».
«In alcune piccole porzioni della città vedo un tentativo di cambiamento, hanno realizzato
alcuni percorsi di pista ciclabile e c’è una volontà di recuperare una migliore qualità della
vita».
«In questi anni sono stati fatti dei miglioramenti importanti come gli interventi scolastici,
quelli sociali, quelli ambientalistici e anche se il tessuto di Pioltello non può certo dirsi
ancora competitivo, vedo che anche su questo si sta lavorando».
«Come preti oggi abbiamo un buon rapporto e con l’Amministrazione ci troviamo almeno
due volte l’anno per discutere sulle varie problematiche. Devo dire che c’è sempre stata
una buona attenzione sia alla questione giovanile che ai problemi del lavoro e dei bisogni.
Noi non ci sentiamo in concorrenza o in alternativa all’intervento pubblico, ma in genere ci
si aiuta e ci sono anche dei contributi economici per gli oratori feriali. Credo però che i
rapporti possano essere potenziati ancora di più».
«Con tutte le Amministrazioni con cui abbiamo avuto a che fare abbiamo trovato delle
cose positive e delle cose negative. Devo dire però che ultimamente, in questi ultimi dieciquindici anni, a parte qualche piccolo screzio, i rapporti sono stati e sono ottimi. Siamo
soddisfatti, anche se noi cerchiamo di avere sempre qualcosa di più, ma in genere quel
che chiediamo lo otteniamo, magari anche litigando e scontrandoci con l’assessore».
«La pubblicazione periodica di un giornalino su cui vengono affrontati i problemi di
Pioltello, ma dove ci sono anche i nomi e i numeri di telefono degli amministratori pubblici
è il segno di una volontà di contatto con la cittadinanza e questo è una buona cosa».
E oltre agli apprezzamenti per l’operato vengono espressi anche sentimenti di stima verso
le persone.
«Pioltello è cresciuta perché ad amministrare hanno messo delle persone più evolute, con
una certa cultura. Gente che ha visto come le cose vengono fatte altrove e cercano quindi
di mettere in campo le migliori soluzioni».
«Pioltello sta migliorando moltissimo e il sindaco sta facendo molto».
Persino un amministratore degli anni ‘70 riconosce l’impegno di chi regge il governo: «Il
sindaco si è dato da fare, ha battuto i pugni sul tavolo giusto ed è riuscito a garantire una
presenza più assidua e costante dei Carabinieri. Ora si vedono circolare più pattuglie. Ai
miei tempi il prefetto mi aveva accusato di volermi fare la campagna elettorale con i soldi
della Questura».
E il riconoscimento viene pure da altre espressioni della società civile.
«Sull’ultima vicenda che abbiamo avuto a seguito della ristrutturazione aziendale il
sindaco di Pioltello ci è stato vicino e noi abbiamo dei buoni rapporti con il Comune. Pure
essendo la nostra azienda insediata per il 90% sul territorio di un altro comune è stata
proprio l’Amministrazione di Pioltello a farsi maggiormente viva e a interessarsi
intervenendo quando era necessario».
«Il sindaco sta facendo anche un’operazione molto intelligente di marketing dimostrando
che Pioltello è un comune normale», egli «ha delle buone idee».
«Conoscendolo, io ho scoperto che dopo anni di amministrazione non sempre seria,
finalmente Pioltello ha un sindaco valido. E questo lo dico come figlio di un sindaco
democristiano eletto nel ‘58».
35. Le istanze della società civile
Alle critiche che vengono loro rivolte e alle insufficienze lamentate dai cittadini, così
rispondono gli amministratori pubblici in carica.
«La gestione del piano regolatore è un discorso durato tre anni perché sta per concludersi
adesso. Noi abbiamo lavorato solo sugli interessi pubblici, non siamo stati a badare gli
interessi di nessuno. Io ho avuto una miriade di pressioni e ho resistito a tutti. Ho prestato
attenzione alle proposte condivise dalla maggioranza, è il caso dell’insediamento della
multisala, dello spostamento, del supermercato, dell’insediamento nell’area un tempo
oggetto di interessi illeciti. Per il resto il criterio è stato quello di riqualificare il territorio,
recuperare le aree che potevano essere utilizzare e quindi evitare eventuali espansioni
urbanistiche, riducendo gli indici di edificazione per quei comparti che avevano già una
destinazione.
Siamo giunti alla fine senza accontentare o scontentare nessuno. Abbiamo usato un metro
che è stato valido per tutti. Abbiamo coinvolto i cittadini con quattro o cinque assemblee,
ma non i proprietari. Ci ha salvato la coerenza.
Una volta adottato il piano io non ho voluto saperne di riceve nessuno durante la fase delle
osservazioni e delle controdeduzioni.
E’ stato il lavoro più faticoso che io non abbia mai affrontato. Forse potevamo fare prima e
anche meglio. Alcuni ricorsi sono passati in giudicato e ci hanno messo in qualche
difficoltà. Non abbiamo atteso e abbiamo già incominciato a mettere in atto alcune cose
che prefiguravano l’impostazione del piano, soprattutto quella della zona della stazione di
porta.
Il problema della cascina dal tetto diroccato è da mettere in relazione al fatto che
qualcuno, nel passato, si è dimenticato di dare la disdetta agli attuali conduttori-affittuari.
Si è così creata una situazione indecente che non ci consente di mettere mano a quel
manufatto se non passando sotto le forche caudine di chi avrebbe il dovere di porre riparo
alla situazione. Come è possibile condurre un fondo se poi gli interessati non lo
mantengono in piedi? Con i pochi soldi che gli affittuari versano per quel fondo noi non
siamo nemmeno in grado di pagare gli avvocati dal momento che nei confronti
dell’Amministrazione comunale questi signori hanno intentato una procedura giudiziaria.
Noi abbiamo avanzato diverse proposte per addivenire a una soluzione del problema e
alla fine abbiamo mandato la disdetta. Non è possibile che un’amministrazione pubblica
venga umiliata da un conduttore, così come non è possibile accettare certe assurde
richieste».
«Noi in tre anni abbiamo dissodato tutta una serie di terreni, da quello culturale a quello
urbanistico e abbiamo fatto la scelta di conservare e di dare valore aggiunto a un’entità
percepibile della città. Abbiamo cioè voluto conservare uno stacco geografico tra l’abitato
nostro e quello di Segrate e Milano attraverso la destinazione a parco e a verde di certe
aree in modo che Pioltello sia riconoscibile come cittadina la quale ha una sua autonomia,
una sua peculiarità e quindi una sua identità. Questa identità si fonda sulla diversità,
l’identico equivale a essere diverso da e questo è un concetto che abbiamo speso a livello
urbanistico, economico e culturale.
Poi abbiamo cercato di chiudere questioni di un certo rilievo che si trascinavano da anni.
E’ il caso delle costruzioni a San Felice. Ci siamo proposti di chiudere il caso di un
contenzioso tangentato vecchio di vent’anni e molto scabroso e ora siamo appunto in fase
conclusiva.
Abbiamo poi operato per portare qui una sala cinematografica di rilievo regional-nazionale
per creare un valore aggiunto sotto il profilo culturale, artistico e dello spettacolo. Abbiamo
fatto una convenzione con un’azienda della grande distribuzione per la cessione gratuita
all’Amministrazione comunale di un edificio, un supermercato, che diventerà un polo
culturale multimediale a servizio non solo di Pioltello ma di tutta la provincia.
Dunque, forte volontà politico-amministrativa di costruzione e rafforzamento dell’identità di
Pioltello e poi una serie di iniziative di respiro più ampio, non soltanto per persone che da
Pioltello vanno fuori, ma anche occasioni per i milanesi, i segratesi, ecc. di venire a
Pioltello. La gente che arriva non ci spaventa.
Ci si apre se si ha qualcosa di cui si è certi, altrimenti ci si confonde e ci si rinserra in se
stessi. Noi non vogliamo la confusione e la chiusura, vogliamo l’apertura».
«Nella nostra esperienza ci sono sicuramente da aggiustare tante cose. Il rapporto tra di
noi, ad esempio, esige un maggior sforzo di coordinamento. Le nostre iniziative devono
essere caratterizzate da una maggiore capacità di elaborazione programmatica.
Dobbiamo elaborare meglio alcune linee politiche.
I rapporti in giunta sono cordiali e anche amichevoli a livello personale, lasciano invece un
po’ a desiderare dal punto di vista della capacità di svolgere un lavoro di équipe. Però
come squadra abbiamo funzionato e i risultati sono lì da vedere».
«Forse è mancata un’adeguata cultura politica, però occorre ricordare che la Pioltello
moderna nasce in condizioni difficili e che ha dovuto tirare le cinghia e pertanto gli
investimenti nei servizi sociali, nell’istruzione, nei bisogni di base hanno impegnato grandi
risorse».
«In questa nostra Amministrazione non c’è una sola persona che sia coinvolta in un
qualsiasi scandalo di oggi o di ieri, non ce n’è una sola che abbia avuto una pendenza con
la magistratura e dati i precedenti non è cosa di poco conto».
«Sono poi da considerare alcune inevitabili difficoltà che noi abbiamo incontrato e
incontriamo nell’affrontare i problemi più scottanti. Per esempio, noi abbiamo sei
assessorati: urbanistica e territorio, ecologia e tutela ambientale, servizi sociali, cultura,
commercio, bilancio e demanio-patrimonio. Nell’impianto istituzionale dell’ente locale
materie come quella del lavoro e dell’economia che oggi hanno una grande rilevanza,
proprio non trovano posto e nemmeno risorse. Nella sensibilità di chi amministra le
istituzioni pubbliche locali quello del lavoro e dello sviluppo è, per tradizione, un tema
marginale, affidato agli organi superiori e agli operatori privati. Gli enti locali mancano di
una capacità e di una cultura adeguata per intervenire nelle politiche industriali, non hanno
una visione organica di questo problema, per non dire dell’assenza di una legislazione a
supporto. Se noi pensiamo all’importanza che a Pioltello, ma anche altrove, hanno i
processi di riconversione produttiva, le politiche attive del lavoro, la formazione
professionale, per citarne solo alcuni, nella determinazione del benessere economico e
della qualità della vita, ci rendiamo presto conto di quali siano i limiti del nostro operare. Su
questi fronti i Comuni continuano a muoversi dentro gli schemi tradizionali. I modelli di
organizzazione e di operatività restano ancora costruiti sul modello dell’esecuzione dei
compiti stabiliti dall’alto e non invece su quelli della ricerca, dell’autonomia e del risultato.
E questa arretratezza legislativa, politica, culturale pesa, anche perché poi mortifica chi
amministra sul piano delle risorse.
Il Comune oggi più che mai è chiamato a ricomporre gli interessi che insistono sul proprio
territorio. Esso però non può fungere da semplice mediatore, come se fosse una sorta di
giudice di pace, di fronte alla complessità sociale e alle priorità che emergono dalla società
civile deve avere il coraggio di schierarsi e questo non sempre incontra il consenso
generale dei cittadini.
Perché in questa sua non facile funzione l’ente pubblico locale possa garantire il
conseguimento dell’interesse collettivo senza far sentire penalizzata una parte della
comunità, si rende necessario un rapporto stretto, un dialogo continuo con la cittadinanza
e con tutti coloro che operano sul suo territorio. E per ottenere questo risultato occorre un
sostegno attivo, anche critico, di tutti i soggetti».
«Le aziende insediate sul nostro territorio, per esempio, devono fare un passo avanti a
livello di coinvolgimento sul piano della cultura d’impresa. Un imprenditore non deve
pensare di essere qui a Pioltello solo per sfruttare esclusivamente le risorse esistenti sul
territorio, così come si usava fare negli anni ‘60 e’70. Ci deve essere invece anche da
parte loro una responsabilità etico-economica che consenta di restituire in proporzione a
quanto si riceve, e non solo in termini di tasse».
A questo riguardo è il caso di ricordare che sul territorio di Pioltello non solo esistono
imprenditori e dirigenti d’azienda che riconoscono in pieno le difficoltà dell’operare di un
ente locale nell’epoca della globalizzazione e nel suo doversi rapportare a un sistema
economico in profonda modificazione, ma come dimostra l’esperienza di questi ultimi anni,
ci sono aziende che hanno già incominciato a farsi carico di significativi interventi di natura
socio-culturale.
«Purtroppo anche il povero sindaco si scontra inevitabilmente con certe procedure e con
delle leggi che non sempre gli permettono di fare ciò che vorrebbe».
«Gestire la globalizzazione diventa più facile per il livello amministrativo centrale piuttosto
che a livello periferico. Per un ente locale è molto difficile mettere in campo un’adeguata
cultura e una capacità tali da poter competere sulle scelte imposte dall’economia e dal
mercato».
«Il sindaco e gli assessori si trovano spesso ad avere a che fare con una bailàmme di
leggi incredibili da gestire e poi anche con rapporti sociali e sindacali estremamente
complessi».
«Ovviamente, quando il Comune di Pioltello si fa promotore di iniziative intese a favorire
sia il suo territorio sia chi opera su di esso, come è il caso nostro, non può che averci al
suo fianco, così come del resto è già avvenuto in passato».
«Noi ci riteniamo dei protagonisti della realtà locale e se il Comune domani avesse a
trovare i modi più idonei per consultare e coinvolgere le imprese in progetti di
innalzamento delle capacità competitive di questo territorio, noi siamo interessati ad
essere parte attiva».
«Quando abbiamo fatto la lunga trattativa che ha portato alla convenzione per
l’insediamento di nuovi impianti industriali, la nostra azienda ha proposto l’istituzione di
borse di studio per indirizzare i ragazzi alle facoltà tecniche, per premiare i giovani
residenti di Pioltello che completano gli studi in ingegneria. Consideriamo questo atto una
testimonianza concreta di collaborazione».
La disponibilità ad essere parte attiva del processo di cambiamento in atto e dello sforzo
che l’ente pubblico sta compiendo per fare di Pioltello una città all’altezza delle attese dei
suoi cittadini, trascende la stessa polemica politica e sospinge i vari attori a formulare
suggerimenti e proposte che, pur nella loro disorganicità, costituiscono un saggio
eloquente del potenziale di intelligenze e di risorse che si annida nella locale società civile.
«Chi amministra Pioltello non deve fermare il progresso».
«Deve proteggere l’economia locale perché questo consente di garantire alla comunità
una qualità della vita superiore».
«Deve considerare il proprio territorio come qualcosa di strettamente connesso a tutti gli
altri Paesi d’Europa e del mondo. Deve perciò risolvere i problemi di area perché è da
questi che ne consegue il successo o meno del nostro fare comune».
«Deve considerare l’impresa come un bene da coniugare con le esigenze della collettività
e perciò evitare le crociate contro le imprese, specie contro quelle chimiche».
«Deve incentivare possibilmente la localizzazione di qualche industria nei dintorni perché
qui c’è bisogno di lavoro».
« Deve pensare per davvero agli interessi produttivi e valorizzare il lavoro».
«Deve andare da quelli del polo chimico e far rispettare i diritti di chi lavora la terra».
«Deve garantire una maggiore presenza come ente coordinatore e come soggetto
propositivo per tutte le attività commerciali e artigianali».
«Deve spingere le aziende a consorziarsi oppure favorire la creazione di strutture di servizi
qualificati alle imprese».
«Deve mettere a disposizione di chi vuole fare impresa una consulenza legale e
amministrativa offrendo così ai giovani l’opportunità di sperimentare progetti di
autoimprenditorialità e di verificare la loro capacità di stesura dei business plan».
«Deve sfruttare tutte le leggi sulle pari opportunità a favore delle donne».
«Deve riunire qualche volta le Rsu per sentire i loro problemi».
«Deve essere sempre più vicino alle aziende perché in queste ci lavorano molti cittadini di
Pioltello».
«Deve creare delle opportunità per il personale che rimane senza posto di lavoro a causa
delle crisi aziendali».
«Deve coordinare l’intervento delle Asl e delle istituzioni per limitare gli infortuni sui luoghi
di lavoro».
«Deve saper affrontare il problema della formazione professionale con un progetto
globale».
«Deve sollecitare le aziende a garantire la formazione continua».
«Deve organizzare un corso di formazione per tutti i dipendenti comunali».
«Deve mettere in circolo tutte le scuole che esistono sul territorio».
«Deve costruire una rete o comunque un coordinamento di tutte le iniziative culturali
istituendo una consulta oppure facendo funzionare la biblioteca come un centro di
documentazione di tutte le cose che vengono prodotte in loco dal punto di vista culturale».
«Deve dare maggiore visibilità alla sua azione a favore degli immigrati stranieri
accelerando la costituzione della consulta per l’immigrazione».
«Deve promuovere tutte le iniziative possibili per favorire un incontro tra le diverse culture
salvaguardando le rispettive identità e trasformandole in una nuova ricchezza per la
comunità».
«Deve essere disponibile al confronto e al dialogo e affrontare un problema alla volta».
«Deve dedicare un anno ai giovani e unificare tutte le forze disponibili per affrontare
questo spinoso problema».
«Deve prendere in considerazione la presenza a Pioltello degli operatori di strada».
«Deve informatizzare certi servizi pubblici e collegarli a Internet in modo che uno possa
usufruirne standosene a casa sua e insieme possa esercitare un controllo».
«Dovrebbe considerare la possibilità di gemellarsi con qualche comune o provincia di
Cuba».
«L’Amministrazione comunale deve essere sempre più presenzialista, deve essere
presente sul territorio in maniera tale da risultare, come si dice in Inghilterra, un civil
servant , stimolando con formule e progetti nuovi la gente, avvicinandola e
coinvolgendola».
«Un’operazione importante che l’Amministrazione comunale dovrebbe fare è quella di
stabilire un dialogo continuo con chi abita e opera a Pioltello. E anche se i cittadini la
criticano essa deve essere disponibile al confronto e al dialogo».
36. Considerazione conclusiva
Compiendo uno sforzo di estrema sintesi si può concludere che dalla realtà sociale di
Pioltello emergono tre precise esigenze le quali risultano tra di loro strettamente intrecciate
e interdipendenti ai fini di un loro soddisfacimento.
Esse sono:
- la generale aspirazione a una maggiore sicurezza economico-sociale e a livelli superiori
di qualità della vita;
- il conseguimento o la ricomposizione di un’identità collettiva;
- la messa in campo di nuove forme di partecipazione e di protagonismo.
La condizione per dare una risposta in positivo a queste domande che chiamano in causa,
in prima persona, i pubblici poteri è quella di mettere al lavoro in un disegno organico tutti i
soggetti che compongono il tessuto economico, sociale e culturale della città.
Avendo consapevolezza che:
a) per migliorare i livelli di qualità della vita non basta far leva sulle risorse economiche,
ma occorre contemporaneamente valorizzare i “saperi” vecchi e nuovi e tutte quelle
conoscenze che si trovano diffuse, spesso in modo occulto nella società civile e che
costituiscono la sua vera fonte di ricchezza;
b) per favorire la crescita di un’identità comune in grado di unificare ciò che oggi appare
diviso e contrapposto, occorre saper gestire la complessità che contraddistingue la società
moderna e, soprattutto, occorre valorizzare le diversità e sviluppare il confronto tra culture
differenti che a Pioltello sono ormai una componente strutturale;
c) per dare risposta all’emergente e diffuso bisogno di protagonismo è necessario fare
leva sia su quanto ancora rimane delle forme antiche di rappresentanza che su strumenti
nuovi di partecipazione che vanno pazientemente ricercati e sperimentati con l’ambizione
di esaltare l’autonomia dei singoli stimolando le capacità intellettive e la creatività di
ognuno.
In sostanza, occorre che venga bandita la retorica, che non siano temute le contrarietà e
che la critica sia vissuta come un fattore di crescita collettiva.
Di fronte all’inevitabile conflitto di interessi che è destinato a riproporsi in continuazione
devono essere messe a punto forme di contrattazione tendenti non già a consolidare le
differenze sociali esistenti, bensì a perseguire livelli superiori di giustizia e di progresso
sociale.
«Il Comune - recita un articolo del suo statuto - garantisce l’effettiva partecipazione
democratica di tutti i cittadini all’attività politico-amministrativa, economica e sociale della
comunità». Ebbene, gli attori istituzionali e sociali di Pioltello non devono fare altro che
rendere concreto questo proposito con il loro quotidiano impegno.
Appendice
Testimoni privilegiati della ricerca
1) Loris Abate - Dressage cavalli - Cascina Soresina
2) Angelo Agresta - Preside Liceo Machiavelli
3) Marco Anfossi - Dirigente Sodexho
4) Antonio Angioni - Dirigente Air Liquide Italia - Milano
5) Giovanni Appollonio - Vicepresidente Cooperativa Rad
6) Gianmario Arosio - Presidente Croce Verde
7) Edoardo Bai - Medico ASL - Gorgonzola
8) Luigi Baiardi - Commerciante
9) Claudio Bianchi - Direttore Enaip - Melzo
10) Franco Brevini - Consulente Sisas Group - Milano
11) Luciano Brioschi - Titolare Cavicel
12) Terry Brissi - Centro sociale anziani
13) Massimo Brivio - Rsu Antibioticos - Rodano
14) Guido Calcavecchia - Oltrelepagine
15) Pier Giorgio Cimardi - Centro sociale anziani
16) Angela Colombo - Centro sociale anziani
17) Antonello Concas - Democratici di Sinistra - Consigliere comunale
18) Ermanno Consonni - Dirigente Magazzini Generali Milanesi
19) Antonella Conte - Operatrice Centro Lavoro Est Milano
20) Santino Cortellini - Direttore filiale Banca Popolare di Milano
21) Giovanni Cortesi - Direttore Scica - Melzo
22) Roberto Cristofoli - Dirigente Intercond
23) Mario De Gaspari - Sindaco
24) Luigi Dell’Accio - Centro sociale anziani
25) Luigi Fiorentino - Rsu Sisas Group
26) Angela Follia - Lavoratrice atipica
27) Renzo Fossati - Direttore generale Esselunga
28) Antonio Frigerio - Direttore filiale Cariplo
29) Gaetano Gadda - Ras Assicurazioni
30) Lorenzo Gagliardi - Presidente Itam
31) Giovanna Gagliardoni - Lega Ambiente
32) Carla Galbiati - Dressage cavalli - Cascina Soresina
33) Giuseppe Galbiati - Agricola Beta - Milano
34) Egidio Gerli - Commerciante-tipografo
35) Angelo Giovanetti - Direttore Centro formazione professionale - Cernusco Sul Naviglio
36) Antoinette Goussikpe - Immigrata extracomunitaria
37) Paola Indelicato - Adecco - Segrate
38) Antonio Lepore - Cooperativa del popolo di Limito - Consigliere comunale
39) Daniela Lepore - Studentessa
40) Giuliano Maccarini - Dirigente Coes
41) Raffaella Magni - Adecco - Segrate
42) Nicola Mancinelli - Presidente Consulta dello Sport
43) Andrea Margaritora -Dirigente Laboratoires Boiron
44) Marco Marongiu - Centro sociale Antiorario
45) Roberto Mauri - Vicesindaco - Partito Popolare Italiano
46) Albertino Meazzi - Commerciante
47) Alberto Meazzi - Presidente Avis e Associazione del Fante
48) Maria Elena Mejani - Insegnante «150 ore»
49) Franco Menin - Centro sociale anziani
50) Sebastiano Monaco - Rsu Comune
51) Luciano Monti - Centro sociale anziani
52) Laura Negri - Lega Ambiente
53) Antonio Nichetti - Assessore Urbanistica
54) Giancarlo Ornaghi - Dirigente Rotolito Lombarda
55) Mario Palermo - Direttore Centro Lavoro Est Milano - Melzo
56) Don Enrico Parazzoli - Curato Regina Maria e S. Andrea
57) Ruggero Parisio - Presidente Movicoop
58) Pino Pietropaolo - Rsu Sisas Group - Consigliere comunale
59) Fiorenza Pistocchi - Oltrelepagine
60) Ivano Polidori - Rsu Antibioticos - Rodano
61) Renato Polli - La Tecnica
62) Carlo Pozzi - Commercialista, ex sindaco
63) Giovanni Pozzi - Dirigente Esselunga
64) Stefano Recagni - Rsu Rotolito - Cernusco sul Naviglio
65) Roberto Quber - Direttore Antibioticos - Rodano
66) Giovanni Santi - Cascina Castelletto
67) Eugene Sawyerr - Immigrato extracomunitario
68) Michele Sgueglia - Rsu Antibioticos - Rodano
69) Giuliano Spinelli - Rsu Esselunga
70) Alberto Taetti - Assessore - Rifondazione comunista
71) Don Felice Terreni - Parroco di Seggiano
72) Mario Trivillin - Lega Nord - Consigliere comunale
73) Andrea Vaglio - Centro sociale anziani
74) Stijn Vanspauwen - Direttore Fox Kinepolis
75) Caterina Villa Bianchi - Antico Albergo
76) Giuseppe Vitali - Unione Commercio - Melzo
77) Enrico Zamproni - Rsu Rotolito - Cernusco sul Naviglio
78) Angelo Zanini - Contadino in pensione
Bibliografia
- A colpo d’occhio su... - Ivan Cortesi - Centro Lavoro Est Milano
- Analisi sociologica di Comunità: Pioltello - Danilo Marzona - 1972
- Annuario statistico regionale 1999 - Regione Lombardia-Unioncamere-Istat
- Bozza di progetto del Coordinamento Interparrochiale di Pioltello - 2000
- Domanda e Offerta di Lavoro Dipendente - 1991-1996 - Provincia di Milano
- Enrico Toti 4 - F. Brevini - Sisas Group - 1997
- Excelsior. Sistema informativo sull’occupazione e la formazione - Lombardia 1997
- I diversi modelli di localizzazione delle imprese nel territorio provinciale:
dinamiche e caratteristiche. Una proposta metodologica ed esemplificativa di
ricerca sull’area campione del Distretto di Melzo - 1994
- Il mercato del lavoro lombardo nella transizione postfordista - V Moioli - Cgil
Lombardia - 2000
- Indagine sul lavoro interinale in Lombardia - Unioncamere - Ottobre 1996
- Insegnare e apprendere verso la società conoscitiva - Commissione europea 1996
- Laboratori Territoriali - Competizione e Leadership nella Questione
Settentrionale - Cnel - 1996
- La nuova fascia industriale di Milano - Banca Popolare di Milano - Nuova
Mercurio - 1962
- La società del rischio. Vulnerabilità ed esclusione sociale lombarda - C. Ranci Irer - Guerini e Associati - 1997
- Lavoro e sviluppo in Lombardia - Confindustria Federlombardia - 1999
- Lavoro temporaneo: bilancio e prospettive - Adecco/Cesri-Luiss-Ismo - 1999
- Le modificazioni nel lavoro e nuovi atteggiamenti dei cittadini lombardi - Irer-Ires
Lombardia - 1997
- L’occupazione in Lombardia - G.Giorgetti e R. Romano - Ufficio Studi Cgil
Lombardia - 1999
- Lombardia: le infrastrutture per il lavoro, la formazione e l’occupazione Confindustria Federlombardia - 1999
- Monitoraggio dei servizi all’impiego in Lombardia - a cura della Regione
Lombardia - marzo 1998
- Nota informativa sull’andamento del mercato del lavoro nella provincia di Milano I° Trimestre 1999 - Provincia di Milano
- Nota informativa sull’andamento del mercato del lavoro nella provincia di Milano I° Trimestre 2000 - Provincia di Milano
- Opinioni e atteggiamenti verso gli immigrati in Lombardia - Ricerca Irer-Ispo 1998
- Osservatorio sui lavoratori della Turati Lombardi S.p.a. - Comune di Trezzo
sull’Adda/Centro Lavoro Est Milano
- Pioltello. Storie di lavoro nella grande Milano - S. Malpezzi, A.Pettinelli e
C.Assi - Editrice la Martesana - 1998
- Quaderni di storia e tradizioni locali: La vera storia del Palazzo Opizzoni Comune di Pioltello - Ottobre 1998
- Quaderni di storia e tradizioni locali: La sicurezza a partire dalle realtà locali Comune di Pioltello - Febbraio 2000
- Quaderni di storia e tradizioni locali: 1943-1945 - La Resistenza a Pioltello Comune di Pioltello - Aprile 2000
- Quaderni di storia e tradizioni locali: Il Satellite di Pioltello. Alla ricerca delle
origini - Comune di Pioltello - Settembre 2000
- Rapporto sul mercato del lavoro in Lombardia a fine anni ‘90 - Regione
Lombardia-Irs - 1999
- Report attività 1999-2000 - Centro Lavoro Est Milano
- Rapporto sul Mercato del Lavoro nella provincia di Milano - 1998 - Provincia di
Milano
- Screening sugli iscritti alle liste di collocamento - Scica di Melzo e Cassano
d’Adda - Febbraio 1999
- Un’informazione continua sulle imprese, il lavoro e il territorio. I diversi modelli di
localizzazione: il distretto di Melzo - Regione Lombardia-Unioncamere - 1994
- Un modello previsivo del mercato del lavoro in Lombardia. Alcuni scenari al
2002 - Regione Lombardia
- Un progetto per Pioltello. Considerazioni sparse su quattro anni di vita amministrativa M.De Gaspari - 2000