““LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA STAMPA (PARTE PRIMA)”

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““LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA STAMPA (PARTE PRIMA)”
“LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA STAMPA
(PARTE PRIMA)”
PROF.SSA FRANCESCA MITE
Università Telematica Pegaso
La disciplina giuridica della stampa (parte prima)
Indice
1
DAL PERIODO STATUTARIO AL PERIODO GIOLITTIANO --------------------------------------------------- 3
2
LA STAMPA NEL PERIODO FASCISTA: STRUMENTO DI SOSTEGNO E PROPAGANDA ALLO
STATO----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3
LA LIBERTÀ DI STAMPA NEL PERIODO COSTITUZIONALE PROVVISORIO ------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La disciplina giuridica della stampa (parte prima)
1 Dal periodo statutario al periodo giolittiano
Un preciso inquadramento della legislazione sulla stampa succedutasi in Italia a partire dalla
nascita della Repubblica, impone un’indagine preliminare di carattere storico- politico su quanto
accaduto prima dell’avvento repubblicano.
Ebbene, una prima formulazione della libertà di stampa e della relativa forma di tutela ebbe modo
di affermarsi già prima della nascita della Repubblica, ciò avvenne precisamente in coincidenza con
l’affermarsi della forma di Stato liberale. Tuttavia, a veri e propri consolidati modelli di tutela della
libertà di stampa si giunse solo con le due grandi rivoluzioni, americana1 e francese2, della fine del
700.
Nel respiro di un’ aria liberale, si inserì perfettamente la promulgazione nel Regno di Sardegna, il 4
marzo 1848, dello Statuto Albertino3 il cui art. 28 afferma e riconosce la libertà di stampa
precisando, altresì, che una legge ne reprimerà gli abusi, formulando così una riserva di legge, ed
infatti, sempre nel 1848, ad attuare la disciplina statutaria sulla stampa, fu concesso motu proprio
(di propria iniziativa) dal sovrano Carlo Alberto anche l’Editto sulla stampa4 che affronta tutti i
profili fondamentali della disciplina della libertà di stampa.
1
Il modello americano di stampo giusnaturalista, che trova espressione nel 1° emendamento della Costituzione del
1787, ritiene che la libertà di espressione sia un diritto naturale, che preesiste alla Costituzione e, quindi, non può subire
alcuna forma di limitazione a priori.
2
Il modello francese di stampo giuspositivista che trova espressione nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 e
poi nella Costituzione del 1791. Modello questo, al quale si ispireranno le Costituzioni liberali europee del secolo
scorso e ritiene che le libertà siano solo quelle riconosciute dal diritto positivo; fonda, quindi, sulla Costituzione e sulle
leggi del Parlamento la definizione di equilibrio tra libertà di espressione e ragioni dell’Autorità, laddove tale equilibrio
si fonda sul divieto di intervento prventivo, sull’affermazione costituzionale della libertà di parola, sulla riserva di legge
nella definizione di abuso e riserva di giurisdizione in base alla quale solo il giudice può decidere un intervento
repressivo.
3
Peraltro esteso successivamente come Carta costituzionale al Regno d’Italia. Spiccano, nella disposizione dell’art. 28
dello Statuto «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi», gli elementi caratteristici del modello
francese: affermazione costituzionale della libertà; riserva al legislatore della definizione dei limiti all’esercizio della
libertà; divieto implicito di ogni forma di intervento preventivo (salvo quello previsto dall’art. 28, co. 2, a proposito
della stampa religiosa), previsione di meccanismi repressivi successivi alla pubblicazione.
4
Regio Decreto 26 marzo 1848, n. 695. In esso si stabilisce per la prima volta una differenza tra la stampa comune e la
stampa periodica: per la prima si prevedeva ‘obbligo di deposito dello stampato all’autorità giudidizaria e
all’Università, e alla Biblioteca, con i dati dello stampatore e dell’editore; per la seconda si prevedeva la comunicazione
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Significativa, in primis, l’affermazione della libertà di manifestare il proprio pensiero e, di poi,
l’introduzione del divieto di ogni forma di censura preventiva della affermata libertà a cui, peraltro,
faceva da contrappeso un corrispondente divieto di stampa anonima5; venne, altresì, fornita una
previsione dei reati a mezzo stampa, da quelli contro lo Stato o la società6 a quelli contro i privati7
ed un’ampia nozione di abuso8 nell’esercizio della libertà di stampa. Nell’Editto, insomma, la
configurazione dei pubblici poteri era concepita in chiave essenzialmente repressiva di eventuali
abusi.
Sotto il vigore dello Statuto Albertino, il sequestro della pubblicazione poteva essere disposto solo
dal giudice e solo in ipotesi di commissione di reati a mezzo stampa e, quindi, solo in ipotesi di
integrazione di responsabilità penale.
Tuttavia, dopo solo qualche anno, questa disciplina, certamente garantista nei sui obiettivi ed
«essenzialmente di stampo positivista»9, conobbe, soprattutto nelle fasi di forte tensione sociale e
politica, in concomitanza con l’approvazione delle leggi di polizia del 1859, un preoccupante
regresso rispetto allo spirito liberale che la imprimeva: le libertà fondamentali sancite dallo Statuto
Albertino, con particolare riferimento alla libertà di stampa, furono ben presto progressivamente
trasformate10 in senso più restrittivo, con il prepotente imporsi del nesso tra stampa e politica.
alla Segreteria di Stato dell’inizio delle pubblicazioni, del nome della tipografia autorizzata, dei dati dello stampatore e,
soprattutto, si prevede l’obbligo di identificare un gerente responsabile (di cui alla successiva nota), che risponde di
articoli anonimi pubblicati ed è correo in caso di violazioni.
5
L’Editto disciplinava anche la figura del gerente responsabile, per la stampa periodica, che andava obbligatoriamente
individuato perché centro di imputazione di responsabilità per i reati commessi con il mezzo della stampa.
6
Contestazione del Re o delle Camere, offese contro la religione di Stato o altri culti, adesione a forme di governo
diverse da quella monarchico-costituzionale, superamento del limite del buon costume, etc.
7
Ingiuria, diffamazione, e “libelli famosi”.
8
Particolarmente significativa la nozione di abuso che sposta la configurazione delle ipotesi di reato dalla disciplina
codicistica a quella speciale, prevedendosi quali ipoetsi di reato, le lesioni di interessi pubblici, (dichiarazioni contro il
sistema monarchico costituzionale, l’offesa al diritto di proprietà, l’apologia di reato, gli attacchi alla famiglia o al re.
Insomma l’abuso si trasforma in una repressione autorizzata del dissenso politico) e le lesioni di interessi privati (reati
che contemplano l’ingiuria, la diffamazione, lesivi dell’onore altrui, o fatti passibili di incriminazione)
9
S. Sica e V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, pg. 19, II Edizione, Cedam
2012.
10
Grazie alla natura flessibile della carta costituzionale, modificabile con una semplice legge ordinaria.
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A conferma di tale delimitazione non solo le prassi applicative delle norme dell’Editto dal tenore
meno liberale, non solo le severe leggi di polizia succedutesi a partire dal 185911, ma anche la
trasformazione del sequestro della pubblicazione: da strumento repressivo che poteva essere
disposto solo dal giudice ( e non dalla polizia) e solo in caso di commissione di reati a mezzo
stampa, diventa strumento preventivo, disposto anche dall’Autorità di Pubblica Sicurezza, a
prescindere dalla commissione di reati a mezzo stampa.
Bisognerà attendere la maggiore stabilità politica e sociale del periodo giolittiano per assistere ad
una attenuazione delle tendenze restrittive in materia di libertà di stampa. Ancora una volta è
l’istituto del sequestro la “cartina di tornasole” della più o meno forte tutela della libertà di stampa.
Ed infatti, con la legge 28 giugno 1906, n. 278, il Legislatore decise di limitare il sequestro
preventivo a due sole ipotesi:
1) violazione del buon costume
2) mancato rispetto dell’obbligo di deposito delle tre copie presso le autorità pubbliche.
Tuttavia, quel che poteva apparire un seppur timido ritorno allo spirito liberale, subì una brusca
battuta d’arresto con l’inizio della prima guerra mondiale. È a partire da tale periodo, infatti, che si
apre una stagione fortemente critica per la libertà di stampa.
Con la legge n. 83 del 1915, infatti, venne attribuito all’Esecutivo il potere di vietare, tramite il
Prefetto, la pubblicazione di ogni informazione di carattere militare, dando così nuovamente origine
ad un generalizzato impianto di censura preventiva degli stampati, non più limitato, quindi, alle sole
due ipotesi di violazione del buon costume e mancato rispetto dell’obbligo di deposito delle tre
copie presso le autorità pubbliche. Il Prefetto, cioè, poteva sequestrare a sua discrezione lo
stampato, invocando semplicemente la tutela della “sicurezza nazionale”.
Si trattava di un sistema, questo, che se durante il periodo bellico trovava una propria ragione di
esistere nelle esigenze legate alla sicurezza nazionale, continuò a trovare parziale applicazione
anche nell’immediato primo dopoguerra in considerazione delle forti tensioni sociali e politiche e
«fu alla base di quello che da lì a poco sarebbe divenuto l’asse portante della legislazione fascista in
materia»12.
11
Dall’autorizzazione obbligatoria che lo stampatore doveva richiedere alla polizia per esercitare l’attività topografica,
alla autorizzazione obbligatoria per affiggere manifesti, per arrivare al divieto della loro affissione per quelli contrari al
buon costume e alla morale.
12
In tal senso, P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, 2010.
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2 La stampa nel periodo fascista: strumento di
sostegno e propaganda allo Stato
La tendenza alla restrizione delle garanzie della stampa “riavviatasi”, come appena detto,
con l’inizio della prima guerra mondiale, conobbe forte espansione e si consolidò durante il periodo
fascista (1922-1943).
È doveroso un breve cenno storico, sì da poter correttamente collocare l’analisi che si intende
compiere, ricordando che il 28 ottobre del 1922 i fascisti marciarono su Roma e che dopo due
giorni, Vittorio Emanuele III affidò il Governo proprio a Benito Mussolini.
Formalmente il nuovo governo, per la presenza di ministri popolari, demosociali, demoliberali e
liberali, oltre che fascisti e nazionalisti, sarebbe un gabinetto di coalizione; tuttavia, nella realtà,
esso rappresentava un fatto nuovo che significava la rottura del sistema parlamentare e come tale fu
presentato da Mussolini il quale, fin dalle prime settimane di governo, rappresentò apertamente la
tendenza a rafforzare il suo potere personale non solo nel Paese ma anche nel partito fascista e,
soprattutto, ad instaurare un regime autoritario.
E così, con l’avvento del regime fascista, prese avvio anche l’inarrestabile trasformazione della
disciplina della libertà di stampa: dall’impronta essenzialmente repressiva dei possibili abusi
nell’esercizio di un diritto di libertà proprio dello Statuto Albertino, si precipita ad una
prevalentemente preventiva, nell’ottica delle restrizioni e della soppressione dei diritti di libertà.
Nel discorso tenuto alla Camera il 3 gennaio del 1925, Mussolini annunciò l’instaurazione della
dittatura, segnando la ripresa della controffensiva fascista e l’inizio della soppressione delle ultime
parvenze della libertà di stampa.
Per la verità è da dire che di fronte ad una così inarrestabile conquista del potere da parte di
Mussolini, ampi settori del mondo liberale e conservatore manifestarono una certa
accondiscendenza vedono in essa uno strumento contro i socialisti e le organizzazioni dei lavoratori
in genere, pensando e sperando di poter inserire il movimento di Mussolini in un blocco di destra o
di centro-destra.
Si tratta di un atteggiamento, questo, già assunto anche nei giornali quotidiani dallo stampo liberale.
Basti pensare al “Corriere della Sera” che, sin dalla fine del 1920, aveva valorizzato l’azione
fascista favorendone con il suo consenso, la diffusione nel Paese, nella convinzione che essa
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rappresentasse l’unico strumento valido a ristabilire l’ordine, restituire vigore alla tradizionale
classe dirigente e riaffermare il “regime liberale”13.
In questo clima fortemente orientato alla repressione di ogni forma di libertà (e, quindi, anche della
libertà di stampa), si inserisce anche la riforma della legislazione di pubblica sicurezza14 con un
notevole potenziamento dei poteri di intervento preventivo dell’autorità di polizia – al di fuori di
ogni accertamento giudiziario, a prescindere, cioè, dall’integrazione di un reato.
Non solo, venne esteso anche quello che era l’ambito di intervento dell’autorità di pubblica
sicurezza che ben poteva operare tanto rispetto ai contenuti degli stampati ogni qual volta si
presentassero come contrari agli ordinamenti politici, sociali o economici costituiti nello Stato o
lesivi del prestigio dello Stato o dell’autorità o offensivi del sentimento nazionale, del pudore, o che
minacciassero la sicurezza pubblica ovvero che facessero propaganda indiretta o diretta di mezzi
anticoncezionali, tanto rispetto alle autorizzazioni per l’esercizio delle attività di stampa15.
A risentire della rinnovata impronta repressiva, fu naturalmente anche l’istituto del sequestro che,
con il T. U. del 1926 si trasformò in mezzo amministrativo preventivo, azionabile dall’autorità di
pubblica sicurezza, in assenza, quindi, di un controllo giurisdizionale e a prescindere da una
eventuale responsabilità per reato a mezzo stampa16.
13
Pur non esimendosi dall’esprimere il proprio dissenso in merito al colpo di mano del 28 ottobre 1922, il “Corriere”,
in un commento pubblicato lo stesso giorno, continuava a credere nell’idea di inserire il fascismo nell’organismo
statale.
14
In una sorta di continuità con l’epoca liberale, con i Testi Unici di Pubblica Sicurezza del 1926 e del 1931 si
esplicarono due tendenze: da un lato quella volta all’inasprimento del regime delle licenze di polizia legate all’esercizio
della stampa: licenze di polizia per ogni mezzo diretto alla diffusione del pensiero, licenza per affissione o distribuzione
di stampati, dall’altro quella volta alla trasformazione del sequestro da strumento meramente repressivo, azionabile dal
giudice, a strumento amministrativo di intervento preventivo, azionabile direttamente da parte della polizia,
indipendentemente dall’effettiva commissione di un reato a mezzo stampa, ma basato sul mero sospetto: dunque un
intervento diretto della polizia contro gli stampati contrari agli interessi nazionali dello stato, lesivi della dignità e del
prestigio delle nazionale e delle autorità, offensivi della morale, del buon costume, dell’ordine pubblico, ovvero
contengano riferimento diretto o indiretto a metodi anticoncezionali o a corrispondenze amorose o a immagini di delitti
di sangue.
15
Si ampliano i poteri di autorizzazione per lo svolgimento di attività collegate all’esercizio della libertà di stampa
(licenza di polizia per l’esercizio dell’attività tipografica, licenza per l’affissione o la distribuzione di stampati).
16
Con il T. U. del 1931 il sequestro fu disancorato addirittura dall’accertamento di reato, potendo l’Autorità di pubblica
sicurezza disporlo a propria discrezione, ogni qual volta ritenesse di trovarsi di fronte ad una pubblicazione in contrasto
con l’orientamento politico del regime nazionale.
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Non solo, con il successivo Testo Unico, quello del 1931, l’autorità di pubblica sicurezza poteva
disporre il sequestro addirittura discrezionalmente, a prescindere dall’accertamento di un reato,
laddove a suo giudizio la pubblicazione contrastasse con l’orientamento politico del regime.
Si comprende che l’obiettivo principale del Governo dell’epoca era prepotentemente quello di
impedire che attraverso la stampa si diffondessero idee difformi da quelle propugnate dal partito
fascista.
Ed infatti, per assicurare l’omogeneità e il coordinamento dei diversi mezzi di informazione ed
esercitare anche una efficace pressione politica sulla stampa, furono addirittura istituiti una serie di
apparati amministrativi dalle dimensioni sempre più consistenti, chiamati proprio a svolgere
compiti di controllo sui contenuti dell’informazione.
In tale clima, nel 1923 l’Ufficio stampa fu spostato, non a caso, dal Ministero dell’Interno, alla
Presidenza del Consiglio con il preciso compito di fornire agli organi di stampa le informazioni
politiche ufficiali al fine di assicurare un omogeneo allineamento dell’informazione soprattutto
politica, rispetto agli indirizzi politici del regime.
Nel 1937 l’Ufficio stampa creato da Mussoli venne trasformato in Ministero Della Cultura Popolare
(Min.Cul.Pop.)17. Questo Ministero aveva l’incarico di controllare ogni pubblicazione sequestrando
tutti quei documenti ritenuti pericolosi o contrari al regime; l’obiettivo era quello di diffondere i
cosiddetti "ordini di stampa" (o "veline") con i quali s’impartivano precise disposizioni circa il
contenuto degli articoli, l’importanza dei titoli e la loro grandezza. A capo di questo Ministero c’era
Galeazzo Ciano, che poi diventò Ministro degli Esteri e che s’interessò anche dei mezzi di
comunicazione di massa, cioè la radio e il cinema.
Sulla stessa scia, nel 1940 al preciso scopo di allineare le posizioni dei diversi organi di
informazione, fu istituito l’Ente Stampa (facente parte del Ministero della Cultura Popolare)18,
chiamato a svolgere specifica azione in tale direzione, fornendo servizi giornalistici previamente
sottoposti a filtro politico. Con la sua istituzione si arrivò al culmine dell’organizzazione fascista
della stampa periodica. Esso nacque col principale compito di "curare, secondo le direttive del
ministro per la Cultura Popolare, d’intesa col ministro segretario del Partito nazionale fascista, il
potenziamento e lo sviluppo dei servizi redazionali e di corrispondenza di giornali e periodici". A
17
Oltre a controllare le pubblicazioni, tale Ministero si pose come obiettivo quello di suscitare entusiasmo intorno alla
guerra d’Etiopia e di esaltare il mito del Duce.
18
Istituito nel 1937 con il compito di coordinare le diverse forme di controllo dello Stato su ogni aspetto della vita
culturale del Paese.
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tale precipuo scopo l’Ente, nel corso della sua breve vita, stipulò apposite convenzioni con i
proprietari di periodici, approvate dal ministero per la Cultura Popolare, e visse ottenendo contributi
da parte dello stesso ministero. Così, l’Ente riuscì ad uniformare e coordinare il contenuto dei
diversi organi di stampa, fornendo addirittura articoli preconfezionati e sottoposti a filtro politico.
Sfacciatamente evidente durante il periodo fascista, la tendenza del regime ad estendere il proprio
controllo non solo sui mezzi di informazione, attraverso la nascita di appositi apparati
amministrativi, ma addirittura sulle stesse condizioni di esercizio della libertà di stampa.
Fra i più significativi interventi nella costruzione di questa fitta rete di controllo anche sull’esercizio
della libertà di stampa, ricordiamo la Legge 31 dicembre 1925 n. 2307, con essa furono istituiti
l’Ordine e l’Albo dei giornalisti. Si trattava di un provvedimento che metteva in piedi un
meccanismo di filtraggio e selezione “politica” di coloro che intendessero esercitare l’attività
giornalistica.
L’ Albo si componeva di 3 elenchi: quello dei giornalisti professionisti (nel quale potevano essere
iscritti coloro che avessero esercitato la professione in via esclusiva per almeno 18 mesi), quello dei
praticanti (nel quale potevano iscriversi coloro che avessero esercitato in via esclusiva l’attività
giornalistica per un periodo inferiore ai 18 mesi o che non avessero ancora compiuto i 21 anni di
età), quello dei pubblicisti (nel quale potevano essere iscritti coloro che esercitavano l’attività
giornalistica non in via esclusiva).
Per l’iscrizione all’Albo, oltre ai requisiti “positivi” (possesso della cittadinanza italiana, godimento
dei diritti civili, attestato dell’attività svolta presso un’impresa editoriale), si richiedevano anche
alcuni requisiti “negativi” che consistevano in una serie di divieti come, ad esempio, un divieto di
iscrizione per coloro che avessero riportato una condanna a pena detentiva superiore ai 5 anni, un
divieto a carico di coloro che avessero svolto una “pubblica attività contraria agli interessi della
Nazione” con obbligo di certificazione del prefetto sulla condotta politica dell’interessato, in modo
da assicurare l’allineamento politico di ogni giornalista ai principi del regime, e si esplicitava
l’esigenza dell’ allineamento politico di fondo di ogni giornalista con i principi del nuovo regime
che il richiedente era costretto a certificare legalmente dal Prefetto.
In realtà l’Ordine non entrò mai in funzione e le funzioni ad esso attribuite furono di fatto esercitate
dal sindacato nazionale fascista dei giornalisti19.
19
Intervenne, infatti, una nuova legge sull’organizazione sindacale che istituiva un sindacato unico per ogni categoria
professionale e, quindi, anche per quella dei giornalisti.
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Sempre nell’ottica di predisporre un impianto di controllo, la legge del 1925 relativamente alla
figura del gerente responsabile, la sostituisce con quella del direttore responsabile, la cui nomina è
subordinata al potere di riconoscimento, diffida e revoca da parte del prefetto. Non doveva, inoltre,
trattarsi di un deputato o di un senatore. Era evidente, in queste disposizioni, l’intento di evitare che
l’immunità dei parlamentari potesse divenire causa di non punibilità per i responsabili del reato.
Queste disposizioni si sono tradotte in uno straordinario meccanismo di controllo della libertà di
stampa dal momento che il reiterato rifiuto del prefetto del riconoscimento della nomina finiva per
condurre al blocco della pubblicazione del periodico.
Successivamente, in sede di approvazione del nuovo codice penale, la responsabilità del direttore
responsabile di una pubblicazione periodica sarà configurata in termini di responsabilità oggettiva
per fatto altrui, posto che l’art. 57 c.p. stabiliva che chi avesse la qualità di direttore rispondesse
“per ciò solo” del reato a mezzo stampa (lo stesso art. 57 per la stampa non periodica considerava
soggetto imputabile l’autore o, se questi era ignoto, l’editore, ovvero qualora anche questo fosse
sconosciuto, lo stampatore, mentre per la stampa clandestina, coloro che ne curavano la diffusione).
In questo quadro, anche la disciplina dei reati cd. d’opinione disegnata dal poco sopra richiamato
Codice penale (il cd. Codice Rocco)20 del 1930, appoggiò una linea marcatamente repressiva; fu
proprio nella rinnovata disciplina dei reati a mezzo stampa che il nuovo apparato della disciplina
della libertà di stampa trovò la sua attuazione.
Con il codice Rocco venne ricondotto nell’ambito della disciplina penale codicistica l’intero settore
dei reati a mezzo stampa, così abbandonando l’impianto di una disciplina speciale per quei tipi di
delitti, fatta propria, invece, dall’Editto del 1848. Trattavasi di una disciplina che oltre ad aumentare
i tipi di crimine (es. il vilipendio, la diffamazione, i reati a mezzo pubblicitario), che non avevano
più come elemento essenziale la pubblicità con il mezzo della stampa ma per i quali essa era una
circostanza aggravante, come per es. per la diffamazione, intervenne anche sul profilo
dell’imputazione della responsabilità per la commissione di reati di questo tipo, prevedendo anche
un aggravamento delle pene relative.
Proseguendo sempre nella intenzione, neanche tanto mascherata, di esercitare pressioni sulla
stampa, la politica fascista si mosse anche sul versante del sostegno economico alle imprese
editoriali, dando vita a forme di aiuto destinate a rimanere per lungo tempo, anche successivamente
al crollo del fascismo, tra gli elementi portanti del sistema dell’intervento pubblico in questo
20
Dal nome del Ministro di Grazia e Giustizia, tale codice sostiuiva il codice Zanardelli del 1889..
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settore21. Ed infatti, nella prima metà degli anni 30, prende corpo la prima forma istituzionalizzata
di sostegno economico alla stampa. Essa nasce in realtà insieme alla costituzione dell’Ente
nazionale cellulosa e carta22.
21
Significative le parole di Mussolini nel discorso che fece ai direttori dei giornali, ottobre 1928, “ciò che è nocivo, si
evita, ciò che è utile al regime si fa”.
22
Il cui scopo dichiarato era quello di istituire un Ente pubblico promozionale dello sviluppo della produzione di
cellulosa; in realtà esso svolgeva attività protezionistica delle aziende italiane, anche per il tramite del sostegno diretto
alle imprese editrici, rappresentato dalla integrazione del prezzo interno, più alto, della carta e il prezzo esterno praticato
dalle imprese produttrici estere (decisamente più basso).
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3 La libertà di stampa nel periodo costituzionale
provvisorio
La legislazione sulla stampa, dall’impronta fortemente repressiva del periodo fascista, si
mantenne praticamente intatta nel corso della Seconda Guerra Mondiale e fino al momento della
caduta del fascismo, ed infatti gli unici due Decreti Legge (del 1943 e del 1944) non demolirono, né
scalfirono il sistema fascista23.
È pur vero che i primi interventi normativi relativi all’esercizio della libertà di stampa, adottati
subito dopo la caduta del fascismo, sono influenzati dal perdurare dello stato di guerra e dalla
situazione di sovranità limitata in cui versa l’Italia in questo periodo considerata la presenza delle
Autorità occupanti.
Solo con l’imminenza dell’avvio dei lavori dell’Assemblea Costituente24 può dirsi che si giunse ad
una svolta radicale rispetto al passato e, precisamente, ciò avvenne con il varo di un provvedimento
legislativo significativo della volontà di restituire alla stampa la sua dimensione di diritto di libertà,
superando quella imposta dal regime fascista di strumento di sostegno e propaganda degli assetti di
potere costituiti.
Si tratta del r.d.l.n. 561 del 1946 che abolì il sequestro preventivo ad opera dell’autorità di pubblica
sicurezza, limitandone il ricorso ai soli casi di sentenza di condanna irrevocabile per l’accertata
commissione di un reato a mezzo stampa.
Non solo, sempre nel periodo immediatamente antecedente l’entrata in vigore della Carta
Costituzione, con lo scioglimento del Ministero della Cultura Popolare 25, furono ricondotte alla
Presidenza del Consiglio le competenze amministrative in materia di stampa26.
23
Era lo stesso duce a dettare personalmente ordini ai giornali e all’Ageniza Stefani che, nata nel 1853, si trasformò
durante il ventennio, nell’unica fonte ufficiale di notizie, insieme all’Ente Stampa, istituito nel 1940. Insomma, le
notizie politiche che i giornali erano costretti, loro malgrado, a pubblicare erano fornite da tali organismi, abilmente
selezionate dal duce.
24
Un’assemblea costituente è tale quando viene eletta e costituita al precipuo scopo di scrivere, riformare drasticamente
e/o adottare una costituzione, assumendo così il cosiddetto potere costituente. L’Assemblea Costituente della
Repubblica Italiana si riunì il 2 giugno 1946 e venne sciolta il 12 maggio 1948 dopo l’adozione della Costituzione della
Repubblica Italiana.
25
Istituito nel 1937 con il compito di coordinare le diverse forme di controllo dello Stato su ogni aspetto della vita
culturale del paese.
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Università Telematica Pegaso
La disciplina giuridica della stampa (parte prima)
Approvata nel dicembre del 1947, la Costituzione entrò in vigore il primo gennaio del 1948 e, come
si vedrà, si preoccupò, fra l’altro, anche di regolamentare l’intero settore della stampa.
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È il sistema che resterà sostanzialmente inalterato fino ai nostri giorni, salvo l’istituzione di nuovi organi
amministrativi indipendenti.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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La disciplina giuridica della stampa (parte prima)
Bibliografia
 A. Del Ninno, Il regime giuridico delle pubblicazioni on line in www.engramma.it
 P. Caretti Diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam. 2010
 S. Sica e V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, II
Edizione, Cedam 2012
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