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L`immagine di sé oltre l`identificazione con l`Io - in
L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’Io
Laura Boggio Gilot
Cofondatore dell’Associazione Italiana di Psicologia Transpersonale e della European Transpersonal
Psychology Association
“INformazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria”, n°40, maggio
– agosto 2000, pagg. 50-57, Roma
La grandezza delle creature consiste
nel fatto che essa è legata in modo
velato all’infinito.
R. Tagore
Il ruolo della coscienza nelle componenti della percezione, del pensiero, del sentimento e
della volontà, è fondamentale in tutto il rapporto dell’individualità con l’esistenza, ed è certamente
un capitolo di fondo dell’esperienza psicoterapica.
C. G. Jung asseriva che: “Nella vita individuale come nella vita collettiva tutto dipende dallo
sviluppo della coscienza. Questo porta gradualmente alla liberazione dalla prigionia
dell’incoscienza e pertanto apporta luce alla guarigione...”
Sulla stessa linea di pensiero, W. James affermava che: “il nostro normale stato di
coscienza non è altro che uno speciale tipo di coscienza, mentre intorno a noi, separate da
sottilissimi schermi, esistono forme potenziali interamente differenti. Noi possiamo andare
attraverso la vita senza neanche sospettare della loro esistenza ... eppure nessuna penetrazione
della realtà può lasciare fuori queste altre forme di coscienza ... “
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
Pressoché ignorato dalle scuole della psicologia occidentale, lo studio organico della
coscienza e dei suoi stati non ordinari è stato assunto dalla Psicologia Transpersonale, ed i
risultati da questa ottenuti in questi ultimi vent’anni hanno portato ad un rivoluzionario punto di
svolta nelle teorie dello sviluppo e della psicoterapia, nella conoscenza della natura del Sé e
delle sue potenzialità inesplorate.
La ricerca sugli stati non–ordinari di coscienza ha dapprima differenziato, nel contesto
dell’esperienza “non–normale”, l’esperienza patologica da quella che ha la potenzialità di
guarigione, trasformazione ed evoluzione.
Tra i primi studiosi dell’area, S. Grof, per definire queste esperienze non–ordinarie ma
sane, ha usato il termine “olotropico”. La parola significa andare in direzione dell’interezza: dal
greco holos che vuol dire “intero” e trepein che vuol dire “muoversi verso”.
“Nello stato olotropico si realizza una coscienza più espansa di quella ordinaria associata a
cambiamenti percettivi nell’area sensoriale, emozionale e cognitiva, accompagnata da intense
manifestazioni psicosomatiche e forme non convenzionali di comportamento” 1 .
Mentre nell’esperienza patologica è perso il contatto con la realtà ordinaria, nell’esperienza
olotropica tutta la percezione evolve su due livelli: il continuum con la realtà ordinaria e quello con
la realtà non–ordinaria. Nelle esperienze olotropiche Grof annovera le esperienze di nascita e di
morte psicospirituali; sentimenti di unità con altre persone, la natura, Dio; incontri con immagini
archetipiche; comunicazioni con entità disincarnate, ecc.
Secondo Grof, l’esperienza olotropica, da lui prodotta all’inizio con LSD e poi con tecniche
di respirazione profonda, lavoro corporeo e musica, può essere indotta anche da una varietà di
tecniche aborigene o “tecnologie del Sacro”, tra cui quelle sciamaniche che possono includere,
oltre a danze rituali e mutamenti nella respirazione, interventi di digiuno, deprivazione sensoriale,
inibizione del sonno, ecc. .
Lo psichiatra americano afferma, che i portati delle osservazioni negli stati olotropici indotti
rivelano importanti aspetti della realtà che sono usualmente nascosti nella consapevolezza
ordinaria: tra questi le dimensioni interiori dell’inconscio perinatale e transpersonale e una visione
del mondo che è in accordo con l’unità della vita e la fondamentale presenza della “coscienza”
nella realtà, come descritto nella filosofia spirituale del Vedanta, del Buddismo, del Taoismo, del
Sufismo, della Cabala, del Cristianesimo mistico, ecc., insomma, nella cosiddetta filosofia
perenne.
1
S. Grof, The Cosmic Game, State University of New York Press 1998, pag.6
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
Nonostante l’interesse clinico, epistemologico e filosofico delle ricerche di Grof, il suo
approccio agli stati non–ordinari si pone nel quadro esperienziale di tipo transitorio che hanno
poco a che fare con il raggiungimento di uno stadio di sviluppo più evoluto di quello ordinario. Agli
stati transpersonali di coscienza allargati possono appartenere esperienze psicodinamiche e
spirituali, che in qualche caso si rivelano utili per l’esplorazione di se stessi e il superamento di
alcuni confini percettivi, e addirittura possono contribuire alla soluzione di conflittualità
psicopatologiche, ma certamente sono riduttive dal punto di vista di una stabile trasformazione
della personalità in senso transpersonale e inoltre possono essere anche causa di stati regressivi
e inflattivi di tipo psicopatologico.
Perché dall’esperienza di coscienza non–ordinaria si possa passare ad uno stabile stadio
sano di consapevolezza e di identità oltre l’io, occorre un altro grado di pratica spirituale e di
sacrificio personale, volto alla conoscenza e alla trasformazione di se stessi: questo itinerario è
insegnato nei sistemi meditativi e, con particolare rigore epistemologico, nelle tradizioni asiatiche
induiste e buddiste.
Queste tradizioni meditative insegnano una spiritualità che trasforma, propongono
complessi training mentali, pratiche psicofisiche ed etiche che, come una vera e propria metànoia
(usando un termine platonico), dissolvono alchemicamente il senso separato dell’io ordinario e gli
attributi egoistici ed illusori che lo costellano.
Attraverso l’investigazione sistematica dei sistemi meditativi e la ricerca diretta ed
esperienziale negli insegnamenti di cui sono testimoni, le ricerche sulla coscienza si librano su
una dimensione assai più efficace ai fini della teoria della salute e della crescita transpersonale.
Dai suddetti sistemi meditativi emergono gli assunti comuni che:
1. Il nostro stato ordinario di coscienza, quello che appartiene all’“io” considerato
normale, è sub–ottimale, distorto e illusorio, associato ad una personalità poco
sviluppata nelle sue potenzialità creative e nelle sue funzioni cognitive.
2. Esistono stati di coscienza superiori e associati a gradi più inclusivi di
percezione della realtà, ad una maturità che include qualità e virtù, e ad una salute
psicologica assai più complessa e integrata di ciò che è reputato sano nella nostra
scienza.
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
3. Nei sistemi meditativi esistono discipline della coscienza che consentono di
espandere la consapevolezza verso la mèta dell’Illuminazione, che rappresenta il grado
più alto di coscienza possibile a un essere umano, in cui avviene il riconoscimento
diretto e non mediato della natura trascendente del Sé e del fondamento sacro
permanente e indistruttibile che sottende e unifica il Sé e la Realtà Suprema. L’essenza
sacra del Sé è il messaggio centrale di tutte le grandi religioni. Come rileva Roger Walsh
2
, il Cristianesimo afferma: “il regno di Dio è dentro di voi”; il Giudaismo afferma: “Egli è
in tutto e tutto è in Lui”; il Confucianesimo afferma: “quelli che conoscono la Sua natura
conoscono se stessi”. Il Buddismo dice: “guarda dentro di te e troverai il Buddha”.
L’Induismo dice: “l’Atman o coscienza individuale è identica al Brahman o Coscienza
universale”.
Ben oltre il livello dell’io e della sua coscienza dualistica, l’Illuminazione sulla natura del Sé
è attribuita ad uno stato di coscienza non–dualistica (definito Samadhi, Nirvana, Satori, Alfanà,
ecc.), che è un quarto stato oltre la veglia, il sonno e il sogno, in cui la separazione tra soggetto e
oggetto è trascesa e la realtà indivisa si svela al di là dei filtri del pensiero concettuale e nel
silenzio del divino assorbimento.
Lo stato di Illuminazione è anche definito come liberazione dalla sofferenza prodotta
dall’ignoranza (avidya) in cui vive la personalità ordinaria.
In questo contesto, il termine spirituale si riferisce ad un cammino verso il risveglio alla vera
natura del Sé, e l’esperienza spirituale si qualifica come una diretta percezione delle potenzialità
del Sé e delle sue connessioni con il Sacro.
2
R. Walsh, Essential Spirituality, John Wiley & Sons, Inc. New York 1999.
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
I livelli di soggettività: l’asse io – Sé
Integrando psicologia e tradizione meditativa Yoga–Vedanta, la mia ricerca sulla coscienza
si è particolarmente rivolta allo studio del “soggetto” dell’esperienza, con particolare riferimento
alla natura della percezione soggettiva nei diversi stadi di crescita: il rapporto tra l’immagine di
sé, il senso del proprio essere nel mondo e il comportamento, allarga la ricerca della coscienza
alle tematiche psicoterapiche 3 .
• Chi è il soggetto della coscienza?
• Chi è colui che sperimenta se stesso e la realtà?
• Qual è il suo rapporto con la vita?
Nella tradizione psicoanalitica il soggetto sperimentatore è l’io. Nella cornice di riferimento
psicodinamico l’io è un termine collettivo che designa funzioni regolatrici e integrative, che danno
la possibilità di esercitare il controllo sugli impulsi e di pensare, organizzare, riflettere e decidere
per finalità realistiche e utili ai propri ruoli.
Il senso dell’io è quello che dà continuità alla personalità ed evolve per effetto
dell’esperienza con gli oggetti e del tipo di interazione che si ha con essi.
Nella codificazione freudiana l’io è visto come un membro della struttura tripartita (es, io,
super–io). L’io è il mediatore o l’arbitro tra le pulsioni tendenti al piacere (l’es), le richieste morali
(il super–io) e le esigenze della realtà esterna.
Nella struttura tripartita l’io ha il ruolo di soggetto adulto, che esercita la decisione e la
scelta con finalità di adattamento alla società, muovendosi tra il richiamo infantile del principio del
piacere e il codice normativo super–egoico di tipo genitoriale.
In questa cornice di riferimento, un io ben strutturato è quello che si libera, attraverso i
processi difensivi, dagli oggetti che impediscono l’adattamento alla realtà: dimenticandosi di
desideri, bisogni e pensieri pericolosi, l’io ordinario si autorappresenta attraverso un processo di
selezione e di separazione dalle componenti indesiderate rimosse. Attraverso questa divisione la
personalità si costruisce come una “maschera” separata dall’”ombra”, dedicata ad ottenere profitti
nella vita esteriore ed a realizzare un’interazione gratificante con gli altri.
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L. Boggio Gilot, Il Sé Transpersonale, Edizioni Asram Vidya, Roma 1992.
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
A questo livello, l’immagine di sé è il risultato di un’autorappresentazione, colorata di
contenuti mentali molteplici e contraddittori, costruita dal rapporto con l’esterno, attraverso
processi di interiorizzazione, identificazione e difese. In nulla, l’immagine dell’io, quale soggetto
ordinario, riflette la natura del Sé: infatti, questo soggetto egocentrico si conosce attraverso i suoi
filtri percettivi che escludono sia le più alte potenzialità spirituali che gli aspetti negativi da cui si è
separato.
Da tale stato di separazione e illusorietà deriva un comportamento naturalmente confuso,
illusorio, possessivo e competitivo.
La Psicologia Umanistica–esistenziale, testimonia uno stadio dell’io più maturo di quello
psicoanalitico; definito da Wilber, il “centauro”, (il simbolo del centauro come essere mezzo uomo
e mezzo animale, sta a significare il raggiungimento dell’unità tra corpo e mente). Diversamente
dall’io adattato, l’io centauro ha raggiunto un’integrità con le sue emozioni ed i suoi desideri, è più
autentico e autonomo, e pertanto in grado di ascoltare i suoi bisogni di crescita e le sue più
autentiche spinte esistenziali e creative. Questo soggetto, liberato dal bisogno di sicurezza e di
adattamento, utilizza le sue potenzialità al servizio dei propri valori e credi, ponendo al primo
posto più che il mantenimento di ruoli precostituiti per l’adattamento, l’esplicazione dei propri
talenti e delle proprie risorse creative, indipendentemente dalle richieste del conformismo sociale.
Diversamente dall’io adattato, l’io autonomo ha un’immagine di sé più ampia e realistica;
essendo integrato nelle componenti corporee e mentali, conosce i suoi talenti, le virtù, le
aspirazioni, i difetti e i limiti. Il centauro rappresenta il più alto grado di soggettività di cui parla la
psicologia ed anche quel campione umano, autorealizzato e sano, di cui parla Maslow. Nel suo
libro “Verso una psicologia dell’essere”, il pioniere della Psicologia Transpersonale descrive la
persona sana autorealizzata con queste qualità: “concezione della realtà superiore alla media,
accettazione maggiore di sé e degli altri, maggiore spontaneità, maggiore capacità di
concentrarsi sui problemi, maggior distacco e desiderio di privatezza, maggiore autonomia e
resistenza all’acculturazione, maggiore freschezza di apprezzamento e ricchezza di reazioni
emotive, struttura del carattere più democratica, creatività accresciuta, capacità di amare e così
via” 4 .
Per conoscere i gradi di soggettività oltre l’io centauro e oltre il concetto scientifico di salute,
occorre rifarsi ai grandi testi della tradizione sapienziale e meditativa e da questi umilmente
imparare.
4
A. Maslow, Verso una psicologia dell’essere, Ubaldini, Roma 1971, pag.158.
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
Per esempio, nella tradizione Yoga–Vedanta si parla del Sé quale espressione di una
totalità bio–psico–spirituale, di cui l’io è solo una piccola parte.
Nelle Upanisad, che raccoglie il cuore della tradizione Vedanta, il Sé è descritto come un
centro di coscienza pura (Atman) ricoperto e velato dai cinque involucri di forme ed energia che
sono: Annamayakosa (corpo), Pranamayakosa (emozioni), Manomayakosa (pensiero analitico),
Vijnanamayakosa (intelletto intuitivo), Anandamayakosa (archetipi principiali).
Tali involucri definiscono tre fondamentali livelli dell’individualità: grossolano – fisico, sottile
– mentale, causale – spirituale, tutti esistenti nei limiti spazio–temporali e composti da qualità.
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
L’io personale è il senso dell’identità incapsulata nel corpo identificato con il corpo e il livello
inferiore della mente (Annamayakosa, Pranamayakosa, Manomayakosa).
Sono esclusi dall’io gli aspetti superiori dell’intelligenza intuitiva e supercosciente
(Vijnanamayakosa) e l’essenza archetipica, ovvero le forme perfette del Vero, del Bello e del
Buono che abitano le vette del Sé (Anandamayakosa).
A causa del limitante processo di identificazione con una parte ristretta della totalità, l’io è
debole e privato di quella forza, di quella creatività e di quella intelligenza spirituale che
appartiene ai livelli superiori dell’interezza umana.
Il Sé è descritto sia come la somma di tali livelli, ovvero come una totalità
multidimensionale, che come un centro di coscienza che trascende ogni forma e qualità e ne è il
principio ordinatore e regolatore.
L’Atman, il Sé quale centro di coscienza trascendente forme ed energia, è descritto come
una essenza pura, permanente, eterna, immutabile, beata, libera dalla sofferenza e dalle
limitazioni dovute al tempo ed allo spazio.
L’immagine di se stesso nel Sé è qualificata nei seguenti sutra:
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
“Come la luminosità è la natura del sole, la freddezza è quella dell’acqua e il calore è quella
del fuoco, la natura del Sé è Esistenza, Coscienza e Beatitudine assoluta, eternamente pura 5 .
“Io sono senza attributi, privo di movimento, incontaminato, immutabile, eterno, sempre
libero e puro”
6
“Quello che è più piccolo di un atomo sono io, altresì quello che è più grande di tutto ciò
che è presente sono io. Sono il Signore, l’essere supremo, la mia natura è come l’oro e la mia
forma rimane tranquilla. Questo Sé puro, tranquillo e permanente è anche senza sofferenza” 7 .
“Poiché sono oltre il corpo non ci sono per me cose come nascita, vecchiaia, decrepitezza
e morte, poiché sono altro dalla mente non ci sono cose in me come sofferenza, attaccamento,
avversione e paura”
8
Il Sé, quale Coscienza pura, invulnerabile e perfetta è definito come un soggetto non
conoscibile dal pensiero, testimone dell’individualità e distinto da ogni oggetto di percezione.
“Sempre distinto dal corpo, dalla mente, dall’intelletto, il Sé è il Testimone delle loro
modificazioni, simile ad un sovrano” 9 .
La tradizione Vedanta sottolinea come il Sé, seppur trascendente e libero dalla personalità,
ha il potere di regolarla, ordinarla e influenzarla, rimanendo indipendente. Insomma, il Testimone
è la consapevolezza luminosa ed unificante, che seppur trascendente, è capace di conferire
unitarietà a tutti i livelli dell’individualità e quindi, di illuminare lo sperimentatore egoico.
“Io sono il Signore supremo, l’onnisciente, l’ordinatore interno, Sorgente del Tutto ...
5
Sankara, Opere Minori, Vol. II, Atmabodha, sutra 24. Edizioni Asram Vidya, Roma 1991.
Sankara, Op. cit., Atmabodha, sutra 34.
7
Kaivalya Upanisad, sutra 20.
8
Sankara, op. cit. , Atmabodha, sutra 33.
9
Sankara, op. cit., Atmabodha, sutra 18.
10
Mandukya Upanisad, sutra 6.
6
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9
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“Come una massa magnetica con la sua sola presenza impulsa al movimento dei pezzi di
ferro, allo stesso modo il Sé, sebbene privo di qualsiasi attività, costituisce l’Illuminatore del
soggetto agente”
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Sankara, Opere Minori, Vol. I, Atmajnanopadesavidhi, sutra 14, Edizioni Asram Vidya, Roma 1990.
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“Soltanto il Sé illumina l’intelletto ed anche i sensi, come una lampada illumina una brocca”
12
.
Scopo della tradizione Vedanta è l’autorealizzazione quale trascendenza dall’io e
realizzazione del Sé (totalità espressiva e Coscienza Testimone libero dalle catene spazio–
temporali che comprimono l’io).
Dal punto di vista evolutivo questo significa poter integrare le potenzialità delle componenti
formali intuitive e spirituali che sono oltre quelle del corpo e della mente e realizzare l’esperienza
della Coscienza pura e della sua infinita ed eterna immutabilità.
Per il Vedanta, l’autorealizzazione è ben oltre quell’accezione delineata da Maslow, e si
realizza attraverso un processo di conoscenza del tutto interiore e profondo centrato sulla
discriminazione tra Sé e non–Sé.
E’ proprio, infatti, la mancanza di discriminazione la causa dell’ignoranza e della
sofferenza.
“Per mancanza di discriminazione vengono sovrapposti al Sé, che è assoluta esistenza e
conoscenza, le caratteristiche e le attività del corpo e dei sensi, nello stesso modo in cui il colore
blu viene attribuito al cielo”
13
.
“... Le limitazioni costruite dalla mente, vengono attribuite al Sé attraverso l’ignoranza,
proprio come il movimento dell’acqua è attribuito alla luna che vi si riflette”
14
.
“Come il chicco di riso che inizialmente è avvolto nella buccia, ne è totalmente separato,
allo stesso modo si deve discriminare attraverso l’intelligenza e il discernimento il puro e intimo
Sé dagli involucri con i quali è identificato” (le componenti dei livelli grossolano, sottile e causale)
15
.
12
Sankara, op. cit, Atmabodha, sutra 28.
Sankara, op. cit., Atmabodha, sutra 21.
14
Sankara, op. cit., Atmabodha, sutra 27.
15
Sankara, op. cit., Atmabodha, sutra 16.
13
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
Il discernimento puro di cui parla il sutra suddetto, è praticato attraverso un processo di
autosservazione che distingue progressivamente la coscienza, quale contesto, da ogni contenuto
che la vela, ovvero da tutti gli oggetti mentali.
“La liberazione consiste nel riportare la coscienza alla sua fonte imperitura”
16
.
Il vedantino parte dalla premessa che, per conoscere se stesso e liberarsi dall’ignoranza
ontologica, deve attentamente osservare nel suo campo interiore e comportamentale,
distinguendo progressivamente la Coscienza quale Testimone stabile e permanente, da tutti i
contenuti oggettivi che sono impermanenti e instabili.
Attraverso
un
training
complesso
di
autosservazione,
si
realizza
la
cosiddetta
disidentificazione della coscienza dai contenuti imprigionanti, dalle emozioni, dalle assunzioni e
dai pensieri che ne occupano il campo. Nella prassi di disidentificazione la coscienza si libera
dalle sovrapposizioni velanti che operano in maniera deformante sulla percezione di se stessi e
del mondo, e conquista progressivamente la capacità di discriminare tra Sé e non–Sé.xxxxxx
Attraverso il processo di disidentificazione e discriminazione si oggettivano le identificazioni
egocentriche e i costrutti che regolano i processi mentali, avendo accesso alle dimensioni
inconsce rimosse e potenziali
17
.
Risvegliati alle proprie possibilità di operare sui contenuti della personalità storica, è
possibile a questo punto divenire dei demiurgi di se stessi: varcati i confini del sentimento della
finitudine e della mortalità, dell’incompiutezza e del bisogno, diviene attivo quell’essere nel
mondo come ”operaio della vigna” che migliora se stesso per donarsi con valore alla vita. E’
questo l’operare come Dharma o come servizio sacrale che parte dalla trasformazione di se
stessi.
Per quanto riguarda l’immagine di sé, varcati i confini della personalità incapsulata nel
corpo–mente, il soggetto si riconosce libero da elementi di sofferenza autoprodotta e di divisione,
e si risveglia progressivamente alla sua appartenenza allo schema universale della vita.
L’immagine di sé, superato l’io incapsulato nella fisicità e includendo i valori archetipici e
spirituali dell’esistenza, si riconosce come un anello della grande catena universale e interrelato
con l’universo e, conseguentemente, al senso ed al compito della esistenza.
Allora si riconosce, come dice Tagore, che “la grandezza delle creature consiste nel fatto
che esse sono legate in modo velato all’Infinito”.
16
Sankara, op. cit., Atmabodha, sutra 15.
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
Questa immagine di sé che ha acquisito un senso di eternità, di infinitezza e di capacità di
bene, è naturalmente liberata da paura, avidità e attaccamento.
Il risveglio all’amore verso l’umanità e alla reverenza verso la vita è un naturale aspetto
dell’immagine transpersonale di se stessi e, pertanto, la sfida del ricercatore della coscienza,
impegnato nella comprensione del modello evolutivo transpersonale è la definizione
epistemologica, metodologica ed esperienziale del cammino che porta a sviluppare l’immagine di
sé oltre l’identificazione con l’io, ovvero, il cosiddetto processo di trascendenza dell’io.
Questo impegno implica per lo psicologo l’applicazione del percorso autorealizzativo
transpersonale alla psicoterapia.
Le discipline della coscienza meditative, sia quelle di autosservazione e discriminazione,
che quelle di trasformazione, informano una spiritualità che trasforma ed ha profonde implicazioni
nei temi della salute mentale.
Specificamente, le discipline della coscienza meditative coinvolgono la vita del corpo, del
pensiero, del sentimento e della volontà, ristrutturando lo stato mentale e il comportamento verso
forme sempre più armoniche, creative e chiare, sviluppano l’attenzione, la consapevolezza e
l’intuizione; liberano le sorgenti della creatività e dell’intelligenza, costruiscono la pace del cuore
attraverso l’evocazione di sentimenti positivi come l’apprezzamento, la fiducia, il coraggio,
nonché virtù come la generosità e la comprensione. Lo stato mentale che più contraddistingue il
meditante progredito è quello della chiarezza percettiva, della tranquillità interiore e della
capacità di amare.
Come sottolinea R. Walsh 18 : “nel cammino verso la più grande di tutte le scoperte, la
natura sacra del Sé, le discipline della meditative producono benefici fisici e psicologici”.
A livello fisico sviluppano il rilasciamento, alleviano lo stress, aiutano l’insonnia, gli spasmi
muscolari, l’emicrania, riducendo i livelli di colesterolo e la pressione arteriosa.
A livello psicologico: riducono l’ansietà, sviluppano la calma mentale, la creatività,
l’intelligenza ed i talenti individuali.
I meditanti testimoniano l’allargamento e il potenziamento dell’autocontrollo, della
sensibilità ecologica e umana, della cooperazione e del superamento, attraverso l’apertura del
cuore, della paura e della rabbia. I temi della solitudine, della noia e dell’angoscia esistenziale
vengono leniti dai profondi significati addotti dalla visione spirituale della vita.
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18
L. Boggio Gilot, Crescere oltre l’io, Cittadella Editrice, Assisi 1997.
R. Walsh, op. cit. pag.3.
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L’immagine di sé oltre l’identificazione con l’io.
Va sottolineato che alle discipline di trasformazione appartengono le regole etiche applicate
all’uso del corpo, del pensiero, della parola e del comportamento. La condotta etica si basa su
osservanze di retti comportamenti e su astinenze di non retti comportamenti.
Nello Yoga–Sutra Patanjali
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così descrive le osservanze: la purezza (quale ritmo
armonico dato a tutta la propria vita), il contentarsi (senza cercare il superfluo), l’ardente
aspirazione verso l’autorealizzazione, lo studio di sé e la fede–devozione (verso il Sacro).
Le proibizioni sono: “la non violenza, la non falsità, la non appropriazione, la non
incontinenza e la non possessività”.
Queste pratiche di etica applicata a tutto il comportamento interiore ed esteriore,
ridirezionano le motivazioni egocentriche verso un essere nel mondo più tranquillo, più altruistico
e compartecipativo: tutte collaborano a coltivare quel sentimento di amore inclusivo,
disinteressato e incondizionato che in tutte le tradizioni spirituali informa la natura del cammino
autorealizzativo ed è la vera sorgente della pace del cuore.
Alla luce di quanto delineato in questo scritto, si può comprendere il ruolo innovatore e
rivoluzionario che può avere nel campo della psicologia l’introduzione della saggezza meditativa,
per la sua prassi conoscitiva e trasformatoria.
E’ speranza ardente di tutti i ricercatori convinti e testimoni della bellezza dell’incontro tra
psicologia e meditazione, che tale approccio sia utile non solo ai cultori del campo, ma anche a
coloro che nelle diverse aree dell’educazione e delle scienze sociali hanno a cuore il benessere
del pianeta e la crescita armoniosa dei suoi figli.
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Patanjali, La Via Regale della Realizzazione, Traduzione dal Sanscrito e commento di Raphael, Edizioni Asram Vidya, Roma 1992,
pagg.77 – 79.
File: RicercheCoscienzaMeditaz30ge.doc - 2000
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