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peter ciaccio
Il vangelo secondo
Harry Potter
Come affrontare la vita
con la Bibbia in una mano
e la bacchetta magica nell’altra
Prefazione di Dario E. Viganò
CLAUDIANA - TORINO
www.claudiana.it - [email protected]
Peter Ciaccio,
pastore metodista, si è laureato alla Facoltà valdese di Teologia di
Roma con una tesi sui modelli pastorali nel cinema di Ingmar Bergman.
Ha continuato a occuparsi del rapporto tra fede cristiana e cinema, con
incursioni nella letteratura, ed è tra i fondatori dell’Associazione Protestante Cinema «Roberto Sbaffi». Collabora stabilmente con i periodici
“Riforma” e “Gioventù Evangelica”, con Radio Voce della Speranza e
Radio Beckwith Evangelica. Si occupa inoltre di diritti umani e libertà
religiosa nell’ambito della Conferenza delle Chiese Europee.
Scheda bibliografica CIP
Ciaccio, Peter
Il vangelo secondo Harry Potter : come affrontare la vita con la Bibbia in
una mano e la bacchetta magica nell’altra / Peter Ciaccio ; prefazione
di Dario E. Viganò
Torino : Claudiana, 2011
112 p. ; 21 cm. - (Nostro tempo ; 112)
ISBN 978-88-7016-871-6
1. Rowling, Joanne . Harry Potter - Temi [:] Teologia cristiana
(CDD 22.) 823.087609 Narrativa inglese di fantascienza e fantasy. Storia,
descrizione, studi critici
© Claudiana srl, 2011
Via San Pio V 15 - 10125 Torino
Tel. 011.668.98.04 - Fax 011.65.75.42
E-mail: [email protected]
Sito web: www.claudiana.it
Tutti i diritti riservati - Printed in Italy
Ristampe:
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Copertina: Umberto Stagnaro
Stampa: Stampatre, Torino
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Il cuore di un bambino
Nonostante tutte le tentazioni, tutte le sofferenze che hai conosciuto,
rimani puro di cuore, puro come lo eri a undici anni
(Principe Mezzosangue, 23).
In verità vi dico: chiunque non accoglierà il regno
di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto
(Lc. 18,17).
In occasione dell’uscita del primo film e del quarto libro, nel
2001, il fenomeno Harry Potter fu oggetto di diversi programmi televisivi, tra i quali non poteva mancare il principale rotocalco della
tv italiana, Porta a porta, che gli ha dedicato una trasmissione incentrata sulla presunta pericolosità delle storie del maghetto per i
nostri bambini, sulla possibilità che fossero veicolo di idee diaboliche. Come è solito per questo tipo di trasmissione, la notizia si perde dietro lo spettacolo che i partecipanti danno di sé, nella fattispecie padre Gabriele Amorth, forse il più noto esorcista della chiesa
cattolico-romana, e il mago Marco Belelli, meglio conosciuto come Divino Otelma. Chi non ha visto la trasmissione può facilmente immaginare come si sia svolto il dibattito e come ciascuno dei
protagonisti abbia eletto l’interlocutore a proprio nemico. Eppure,
come notò Umberto Eco in una delle sue Bustine di Minerva, pur
sembrando due parti avverse, si trattava di due adulti che sostenevano entrambi l’esistenza di maghi e stregonerie.
Nel criticare gli oppositori di Rowling, Eco individuò con facilità nell’opera della scrittrice i tre grandi filoni della letteratura per
l’infanzia: il “brutto anatroccolo”, ovvero il bambino dall’orrendo
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presente, ma dal nobile passato e destinato a un radioso avvenire;
la scuola nella sua versione più classica dal punto di vista letterario, ovvero il college, la boarding school britannica, in cui gli studenti non solo imparano (se ci riescono!) le materie del programma, ma vivono e crescono insieme; e infine la magia. Nel merito
della supposta pericolosità di Harry Potter per i bambini, il semio­
logo parla della sana paura dei bambini per gli orchi, che serve a
prepararli a temere il buco dell’ozono da grandi e si contrappone
all’ignoranza di coloro che da adulti credono in sedicenti maghi,
nel malocchio ecc.
È evidente come le critiche dell’esorcista Amorth siano fuori
luogo, per almeno due motivi: sono ideologiche e non prendono
in considerazione queste storie per quello che sono, ovvero libri
per bambini che crescono. Come dice Eco, questi libri servono a
crescere ed è interessante che, una volta cresciuti, siano molti a dimenticarsi di questo ruolo fondamentale della letteratura. Infatti, i
telegiornali e i programmi di approfondimento si mostrano spesso
disorientati rispetto ai casi più efferati di cronaca nera, chiedendosi come comunicare ai bambini che succedono cose del genere
(dovrebbero invece cominciare a porsi la domanda su come e se
comunicare questi eventi agli adulti, ma questa è un’altra storia).
Tale domanda potrebbe essere generalizzata, chiedendosi come si
possa spiegare ai bambini l’esistenza di un male radicale che neanche gli adulti comprendono. La letteratura per l’infanzia ha già
provveduto al riguardo, raccontando del piccolo Pollicino che riesce a battere l’Orco, di Pinocchio che sfugge ai ladri di bambini
e di Cappuccetto Rosso e sua nonna che vengono prima mangiate
dal Lupo cattivo e poi salvate dal cacciatore.
Tuttavia, volendo questo essere uno studio sul rapporto tra letteratura e teologia, scritto dal punto di vista di quest’ultima, non
entreremo nel dettaglio della questione della letteratura per bambini. Bisogna però considerare che la dizione «letteratura per l’infanzia» non è universalmente accettata e scrittori autorevoli come
J.R.R. Tolkien criticano radicalmente questa classificazione. Rimando chi è interessato ad approfondire la questione al suo saggio Sulle fiabe, pubblicato nel 1964 nella raccolta Albero e foglia
(Milano, Bompiani, 2002), del quale mi limito a riportare una sola interessante considerazione: i bambini non necessitano di una
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letteratura propria, perché non sono «esseri di specie a se stante,
quasi una razza diversa», quando invece dovremmo guardare a loro come «membri normali, ancorché immaturi, di una famiglia in
particolare e della famiglia umana in generale». Gli adulti che sono
soliti leggere libri per bambini (non solo ai propri bambini, ma per
il proprio diletto), si convincono presto che la letteratura per l’infanzia è tale per una questione di editing, ovvero per la copertina
sgargiante, spesso cartonata, per il tipo di carta, per la grandezza
del carattere e per le illustrazioni, piuttosto che per una questione
di contenuti. È interessante notare che la casa editrice britannica
Bloomsbury, che pubblica l’edizione originale di Harry Potter, abbia dato alle stampe un’edizione “per adulti” della saga, con copertina sobria e carattere più piccolo: in poche parole un’edizione
che non faccia sembrare l’austero lettore un bambinone. Tuttavia,
in questo libro continuerò a usare per convenzione il termine «letteratura per l’infanzia».
Harry Potter è un bambino che seguiamo attraverso l’adolescenza fino al raggiungimento della maggiore età. Ma che tipo di
bambino è? È un “quattrocchi” più basso degli altri bambini, non
è particolarmente bello e ha la fronte sfregiata da una cicatrice che
gli ricorda, ogni volta che si guarda allo specchio, che i suoi genitori gli sono stati tolti troppo presto. Harry è dunque un bambino
che soffre nel profondo e che ha tutte le caratteristiche per poter
diventare oggetto preferito di scherno e di bullismo a scuola. Rowling, infatti, a differenza di altri grandi scrittori per bambini, non
idealizza l’infanzia. I bambini sono parte della stessa specie degli
adulti (come direbbe Tolkien) e riproducono in piccolo i comportamenti più o meno cattivi, più o meno meschini, più o meno irrazionali dei grandi. A scuola Harry Potter incontra gli amici per una
vita, addirittura si innamora (più di una volta, dimostrandosi confuso come ogni ragazzo all’arrivo della tempesta ormonale), ma
trova anche personaggi tremendi come Malfoy, Tiger e Goyle, vere e proprie nemesi del trio Harry-Ron-Hermione.
Harry è un bambino comune, in cui possono rispecchiarsi molte
persone, anche adulte. Questo è sicuramente uno dei perni del successo della saga, ma è anche uno dei punti di maggior interesse e
pregio. I bambini non sono protetti dal male, ma devono crescere
operando delle scelte. Non si sceglie da adulti, ma sin da piccoli.
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Questa visione della scrittrice britannica sfida tutto il sistema educativo, ma, in particolare per quanto ci interessa, anche la catechesi
in atto nelle chiese. Basti pensare a come Gesù è spesso presentato
ai bambini: come una persona buona che amava i piccoli e che ama
anche le loro mamme e i loro papà, omettendo gli aspetti più controversi della figura di Cristo. Ne risulta un Gesù distante dalla vita
di tutti i giorni, un Gesù “per bambini” che sarà abbandonato non
appena la vita si presenterà nella sua serietà e durezza, esattamente
come da grandi non si riprendono in mano Pinocchio o Alice.
Nei vangeli leggiamo che Gesù accoglie i piccoli in maniera particolare, spesso contrapponendoli agli apostoli. Pensiamo all’episodio in cui rimprovera i discepoli per aver tentato di bloccare i
bambini che volevano andare da lui: «Lasciate i bambini, non impedite che vengano da me, perché il regno dei cieli è per chi assomiglia a loro» (Mt. 19,14). Oppure pensiamo all’episodio in cui
Gesù, quando gli apostoli gli chiedono chi fosse il più grande tra
di loro, prende un bambino e dice: «Se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto
si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me» (Mt. 18,3-5). Inoltre quest’ultimo testo continua nel versetto successivo con uno degli ammonimenti più duri e irriducibili di Cristo: «Ma chi avrà scandalizzato uno di questi
piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare». I bambini sono anche al centro dell’evento delle Palme (Mt.
21) quando, dopo l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, la
folla osannante ammutolisce davanti alla cacciata dei mercanti dal
tempio: gli unici a continuare ad agitare palme e a gridare «Osanna
al Figlio di Davide» sono i bambini. Scribi e sacerdoti sono scandalizzati dal comportamento dei bambini e in qualche maniera ne
chiedono conto a Gesù, il quale risponde citando il Sal. 8,2: «Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto una forza, a causa dei
tuoi nemici, per ridurre al silenzio l’avversario e il vendicatore».
Oltre a questi testi della tradizione sinottica, c’è un altro passaggio importante nel Vangelo di Giovanni, che non parla direttamente di bambini, ma che risulta interessante alla luce della nostra riflessione.
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C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei
Giudei. Egli venne di notte da Gesù, e gli disse: «Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può
fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui». Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo
non può vedere il regno di Dio» (Giov. 3,1-3).
Questo testo ci interessa sia perché la nuova nascita richiama
a una nuova infanzia sia perché, anche qui come in Mt. 19, Gesù
spiega come entrare nel regno di Dio.
È chiaro che il tema della nuova nascita è ben più ampio di una
riflessione sull’infanzia, ma è anche chiaro che la Bibbia chiede al
cristiano un atteggiamento nei confronti dei bambini ben diverso
rispetto a quello riservato loro dal “mondo”. Il mondo maltratta i
bambini, la loro condizione normale non è quella generale vissuta
nel nostro contesto, ma è quella dello sfruttamento nel lavoro, se
non addirittura dell’abuso sessuale. La Convenzione internazionale
sui diritti dell’infanzia è un documento che ha poco più di vent’anni (fu approvata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1989) e il
mondo di oggi fa ancora fatica a “globalizzare” i diritti umani.
Per la Bibbia, i bambini hanno un ruolo che gli adulti generalmente negano e Dio non si è incarnato in un adulto “pronto per
l’uso”, ma in un neonato, perché non si può prescindere dall’infanzia se si vuole vivere da essere umano. Il peccato umano può
trasparire anche nell’interpretazione dell’incarnazione di Cristo a
Natale: il bambino Gesù è spesso raffigurato come un Dio addomesticato, che non poteva piangere, che sicuramente obbediva ai
genitori, un modello per i bambini monelli. L’edizione del 2000
dell’Innario cristiano (a uso delle chiese membro della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) è per fortuna abbastanza immune da questa deriva, ma già la terza strofa dello splendido canto inglese Once in Royal David’s City di Cecil Frances Alexander
(1848), che tradizionalmente apre il Carol Service della Vigilia di
Natale, dice:
And through all His wondrous childhood
He would honour and obey,
Love and watch the lowly Maiden,
In whose gentle arms He lay:
21
Christian children all must be
Mild, obedient, good as He1.
La saga di Harry Potter non solo mette i bambini al centro della narrazione, ma si dice consapevole del diritto dei bambini a vivere una vita protetta. Ciò purtroppo non è possibile perché il male colpisce tutti, adulti e bambini, in maniera indiscriminata. Tuttavia, l’aspetto interessante è che i giovani personaggi della saga
siano responsabilizzati quasi allo stesso livello degli adulti e, dove questo non avvenga, gli adulti si accorgono che è stato un grave errore.
Un esempio si può trovare alla fine del quinto volume, dopo la
morte di Sirius Black, per la quale Harry non può non sentirsi in
parte responsabile. Il preside Albus Silente spiazza Harry (e il lettore) prendendosi tutta la responsabilità dell’accaduto:
Se io fossi stato sincero con te come avrei dovuto, avresti saputo da un pezzo che Voldemort avrebbe cercato di attirarti laggiù e
non saresti mai caduto nella trappola. E Sirius non sarebbe stato
costretto ad accorrere in tuo aiuto. Questa colpa è mia, e mia soltanto […]. Ti devo una spiegazione [Harry; N.d.A.] […]. La spiegazione degli errori di un vecchio. Perché ora capisco che il mio
comportamento nei tuoi confronti ha tutti i segni delle debolezze
dell’età. I giovani non possono sapere quello che i vecchi pensano e provano. Ma i vecchi sono colpevoli, se dimenticano che cosa significa essere giovani […] e ultimamente sembra che io l’abbia dimenticato […] (Ordine della Fenice, 37).
Queste parole di Silente appaiono come una vera e propria confessione di peccato in stile protestante: infatti, nonostante le evidenti responsabilità di Harry in questa faccenda particolare, il preside analizza la faccenda cercando non l’errore altrui, ma il proprio.
Inoltre, comunica al ragazzo una propria debolezza che Harry al
momento non vede, ma negli anni imparerà a conoscere: nel settimo volume della saga, infatti, egli si lamenta del fatto che Silente
lo abbia tenuto all’oscuro di tante cose.
1 «E per tutta la sua infanzia meravigliosa / Egli avrebbe onorato, obbedito, / amato e guardato all’umile fanciulla, / nelle cui braccia ora riposa: / tutti i bimbi cristiani devono essere / dolci, obbedienti e buoni come Lui».
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La morte di Sirius, come delle altre figure paterne di Harry, è
un evento necessario per il proseguimento verso il duello definitivo
della saga, in cui l’eroe si troverà da solo contro il nemico.
La consapevolezza dell’errore di Silente nasce dal fatto che il
professore conosce il cuore di Harry e il suo valore. Questo è evidente sin dal primo libro, in cui lo stratagemma per impedire a Voldemort di prendere la Pietra Filosofale si basa sulla fiducia che il
preside ha nei confronti del ragazzo. «Soltanto chi avesse voluto
trovare la Pietra […] bada bene: trovarla, non usarla […] sarebbe
stato capace di prenderla» (Pietra Filosofale, 17). Harry è un bambino con cui la vita è stata crudele sin da piccolo: eppure è capace di apprezzare quel poco di buono che riceve (poco, perché non
è nulla rispetto a quanto ha perso) ed è profondamente altruista.
Non tutti i cuori dei bambini sono così, ma lo sono quelli di questo particolare bambino e dei suoi amici Ron, Hermione, Ginny,
Neville, Luna e gli altri.
Certo, la bontà del cuore non nasce dal nulla, ma dall’amore
ricevuto. Lo stesso Draco Malfoy mostrerà maggior senno degli
adulti in quanto amato dalla madre Narcissa e protetto con affetto da Silente e Piton. Tom Riddle, invece, diventa il potente mago
malvagio Lord Voldemort, perché è nato e cresciuto senza amore,
ha un cuore cattivo, incapace di rimorso, che egli stesso disprezza. L’amore, perno di tutta la saga e sul quale tornerò più avanti, si
dimostra fondamentale anche e soprattutto nel preservare il cuore di un bambino.
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i n dic e
Avvertenze
7
Prefazione di Dario E. Viganò
9
1. Magia e teologia
13
2. Il cuore di un bambino
17
3. Predestinazione
25
4. Vocazione
31
5. Il coraggio e la paura
37
6. Il peccato imperdonabile
41
7. Il Regno di Dio
47
8. Cristo e l’Anticristo
51
9. Il potere
59
10.La giustizia
69
11.Oltre il dualismo
73
12.L’amore e la morte
83
Excursus
La trasposizione cinematografica di una saga
95
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Conclusioni
103
Ringraziamenti
107
Fonti
109
Finito di stampare il 15 giugno 2011 - Stampatre, Torino
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