2004-11-24_Paolo Segatti - Dipartimento studi Sociali e Politici

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2004-11-24_Paolo Segatti - Dipartimento studi Sociali e Politici
Dell’interesse per la politica. Sue cause e conseguenze
di
Paolo Segatti
Versione largamente provvisoria
Un tema ricorrente nelle riflessioni sulla democrazia è quello delle caratteristiche che
dovrebbe avere il rapporto tra i cittadini e la politica. L’attenzione nasce dal fatto che nessun altro
regime politico della storia fa dipendere il suo funzionamento da quello che pensa, dice e fa l’uomo
della strada in una misura più estesa di una democrazia.
Bobbio ricordava spesso che un regime democratico è tale perché chi governa lo fa in modo
trasparente. Ma anche il più liberale dei leader politici può sentirsi meno costretto dall’esigenza di
non opacizzare ciò che dovrebbe essere trasparente, se i cittadini non hanno occhi per vedere, cioè
non guardano perché non interessati o guardano ma non vedono perché incapaci di capire. In
democrazia si dice che chi governa lo fa in nome del bene pubblico. Ma qualsiasi cosa venga intesa
con ciò, è ben difficile che chi governa si senta vincolato a ciò, se i cittadini non formano un
pubblico che discute e avanza le sue idee. Amartya Sen sostiene che la democrazia incarna valori
universali perché grazie ad essa ogni uomo e donna riescono a divenire autonomi, quindi anche
capaci di un giudizio autonomo sulle cose pubbliche o, come recita una vecchio detto, i migliori
giudici di se stessi e delle proprie opinioni. Dopo un secolo nel quale si sono visti regimi politici
non democratici in grado di mobilitare in profondità i loro cittadini siamo diventati ancor più
consapevoli del valore di quel vecchio detto. Ma è anche vero che se quella massima ha un
significato diverso dalla tendenza che tutti si sentono liberi di opinare anche se non sanno, esso sta
nella aspettativa che i cittadini siano in grado di esprimere opinioni su questo o quel tema in
discussione non causali, non ondivaghe ma riflettenti (sperabilmente) un coerente sistema di
credenze. Un regime democratico infine affida la selezione dei suoi leader anche all’uomo della
strada. Fa dipendere le fortune di un “grande” dal giudizio di un “piccolo”. Ma perché la scelta sia
“felice” è auspicabile che i tanti “piccoli” si rechino a votare e votino sapendo effettivamente quello
che fanno. In breve una democrazia per essere una democrazia di qualità ha bisogno di un pubblico
di qualità. E , come ricorda di frequente Sartori, più coinvolgimento dei cittadini chiediamo in
procedure di decisione, più qualità dovremmo attenderci nei giudizi politici dei cittadini comuni.
Ma che vuole dire un pubblico di qualità? Per quel che qui ci preme, potremmo convenire su
una definizione minima un pubblico un po’ informato, le cui opinioni siano relativamente stabili nel
tempo e coerenti tra loro perché tutte ricavate dall’elaborazione di un sistema di credenze, un
pubblico, quindi relativamente sofisticato e infine un pubblico che trova in sé argomenti e
motivazioni per partecipare politicamente, dal voto all’impegno oltre al voto. Una lunga tradizione
di ricerca mostra che ognuno di questi tratti si accompagna ad un atteggiamento psicologico di
curiosità e attenzione verso la politica, di un atteggiamento cioè di interesse per la politica o di
consapevolezza politica come alcuni preferiscono chiamarlo [Zaller 1992]. Infatti da tempo si è
scoperto che il cittadino che prova interesse per la politica di solito tende ad essere anche un
cittadino informato, che possiede opinioni stabili nel tempo e coerenti l’una con l’altra perché tutte
facenti parte di un sistema di credenze ben organizzato [Converse 1964]. Un cittadino interessato
poi tende a votare più di uno che non lo e anche il suo voto è più stabile nel tempo (Verba et alii,
1978 e 1985;Barbagli e Macelli, 1985).
Ma questa stessa tradizione di ricerca ci ha posto spesso di fronte ad un fatto imbarazzante. Di
solito, a parte cioè di momenti eccezionali di elevato coinvolgimento individuale, il numero di
coloro che si dichiarano interessati alla politica è limitato, come ancor più limitata si è rivelata la
percentuale di cittadini dotati di un seppur minimo livello di informazione politica. Negli anni venti
del secolo scorso un giornalista, Walter Lippman, parlava di un pubblico fantasma per dire che il
pubblico a cui in democrazia viene attribuito un ruolo così importante è in realtà un pubblico
evanescente quanto a capacità effettive di esprimere opinioni fondate. Lippman diceva queste cose
in un epoca non c’era modo di misurare quanto evanescente fosse il pubblico dei cittadini. Qualche
lustro dopo il modo si era trovato e si è scoperto che la vita politica agli occhi della grande parte dei
cittadini delle nostre democrazie continuava a rimanere un oggetto oscuro certamente, ma non
desiderato. Sulla base di queste evidenze ha ben presto preso forza una interpretazione
“minimalista” delle capacità del pubblico, e si potrebbe aggiungere pessimistica, circa l’effettiva
capacità di gran parte dei cittadini di soddisfare quell’elevato ruolo che le teorie democratiche
attribuiscono loro. Sniderman (1993:219) così riassume gli aspetti centrali di questo paradigma : “I
pubblici di massa erano distinti da (1) livelli minimi di attenzione politica;(2) padronanza minima
dei concetti politici astratti come liberalismo –conservatismo;(3) stabilità minima delle preferenze
politiche;(4) e soprattutto livelli minimi di coerenza negli atteggiamenti (attitude constraint)” .
Alla luce di questa lettura si potrebbe concludere che le nostre democrazie se e quanto
funzionano, funzionano a prescindere dalle capacità dei cittadini.
L’interpretazione minimalista è stata oggetto di estese critiche sin dagli anni settanta. Tali
critiche appartengono a due generi diversi. La prima si caratterizza per una prospettiva di natura
macro-sociale. Secondo questa prospettiva le limitate capacità del pubblico di massa scoperte dagli
studi degli anni 50 sarebbe la conseguenza del clima politico ed ideologico di quel periodo e della
struttura socio-culturale sottostante. Dalla fine degli anni sessanta in poi le società occidentali
avrebbero subito un cambiamento profondo, sia a livello di struttura sociale, sia a livello di valori.
Gli elementi centrali del cambiamento sono rappresentati dalla diffusione di un elevato livello di
benessere e dalla crescita del livello di istruzione a livello di massa. In particolare “la crescita della
società post-industriale conduce ad un crescente potenziale per la partecipazione dei cittadini in
politica” (Inglehart, 1997). Il vettore dell’espansione di partecipazione in forme che vanno al di là
dei comportamenti convenzionali (voto e iscrizione ai partiti e ai sindacati) sarebbe costituito
dall’aumento del livello di istruzione che a sua volta avrebbe determinato una crescita delle abilità
cognitive dei cittadini. Gli studiosi di questa scuola di pensiero chiamano tale crescita mobilitazione
cognitiva (Dalton, 1988) e un aspetto centrale di tale mobilitazione è rappresentato dalla crescita del
livello di interesse per la politica. La seconda prospettiva opera invece una critica interna al
paradigma “minimalista”. L’argomento principale in questo caso è rappresentato da una serrata
messa in discussione della validità di molte delle misure utilizzate per sostenere che la gran parte
del pubblico di massa, soprattutto americano, non avrebbe avuto un livello adeguato di
sofisticazione ideologica (per una discussione di queste critiche , Converse 1999).
Negli anni ottanta questo linea di critica è stata sostanzialmente abbandonata di fronte
all’evidenza che il pubblico di massa continua ad essere un fantasma per usare l’espressione di
Lippman. Semmai il fuoco dell’analisi si è sempre più concentrato sul problema di come i cittadini
riescono ad arrivare a giudizi politici, nonostante il loro povero livello di capacità cognitive.
In questo capitolo torneremo ad interrogarci sulla possibilità che l’evidenza di limitate
capacità cognitive degli italiani di oggi possa essere imputate ad errori delle misure impiegate per
determinare il loro livello di interesse per la politica. Ci chiederemo dunque anche noi se la limitata
ampiezza dei cittadini che dicono di provare interesse per la politica non sia imputabile alla
circostanza che abbiamo fatto la domanda sbagliata. Domande diverse potrebbero ottenere risposte
diverse. Vedremo però che così non è, analizzando in particolare in che modo l’interesse per la
politica si correla con il livello di informazione politica e con il grado di sofisticazione ideologica.
Ma vedremo anche che nonostante pochi siano quelli che sono interessati della politica, sia questi
che quelli non interessati sono in grado di manipolare, senza grandi difformità tra loro, informazioni
preziose e decisive per la scelta del partito da votare. Quindi è vero che i cittadini sono per lo più
estranei alla politica, ma la politica e le sue istituzioni in qualche caso provvedono a dare loro delle
stampelle cognitive che li aiutano a decidere. Passeremo poi a discutere il primo tipo di critiche al
paradigma “minimalista”, chiedendoci (1) se si sia verificata in Italia una crescita della
mobilitazione cognitiva negli ultimi trenta anni; (2) a quali fattori vada attribuita tale mobilitazione
cognitiva e se vi sia stata nel nostro paese una evoluzione dei loro effetti; (3) quale infine sia il
rapporto tra interesse per la politica e partecipazione sociale e politica.
2. Quanti sono gli interessati di politica nel 2004?
Da molto tempo e in molti paesi per sapere quanti cittadini si interessano alla politica si
ricorre ad una domanda nella quale si chiede all’intervistato di dire “ se , in generale, si interessa di
politica” Le risposte proposte variano da molto a per niente. Nella primavera del 2004 la risposta è
stata quella che viene mostrata nella tabella 1.1.
Tab. 1.1 Si interessa di politica?
Molto
Abbastanza
Interessati
5,5
26,3
31,8
Poco
Per niente
Non interessati
(N)
43,2
25,0
68,2
1882
I dati indicano che solo circa un elettore su tre si è dichiarato interessato alla politica. Gli
italiani che si interessano di politica sono dunque una minoranza. Per valutare questo dato è
opportuno, tuttavia, tenere presente alcune cose. Innazittutto la domanda chiede in sostanza una
auto-dichiarazione. Non potendo “misurare” effettivamente il grado di interesse ci si affida a ciò
che dicono di sé gli intervistati. Il che è fonte di possibili errori. C’è la possibilità che qualcuno
“bari” sul proprio livello effettivo di interesse. Un simile evento, secondo alcuni studi, pare essere
più probabile durante le campagne elettorali, forse perché l’intervistato percepisce che in tali periodi
ci si aspetta da lui che sia interessato di politica. Si è anche osservato che la percentuale di coloro
che si dichiarano interessati di politica è più alta nei sondaggi nei quali le domande vertono
prevalentemente su temi politici, come se ci fosse una sorta di effetto alone indotto dall’oggetto
centrale del sondaggio. Inoltre bisogna anche aggiungere che da qualche tempo pare in aumento in
molti paesi il tasso di rifiuto da parte dei cittadini inclusi in un campione a farsi intervistare. Poiché
tra chi si rifiuta ve ne sono molti con basso livello di istruzione, è possibile che alla fine si verifichi
la spiacevole situazione che a farsi intervistare sulla politica siano di più quelli che amano parlare di
politica (Natale 2004). Insomma tutto ciò dovrebbe condurci alla conclusione che quel 32% circa di
interessati nella primavera del 2004 è in realtà una stima generosa dell’ampiezza del segmento di
effettivamente interessati alla politica nel nostro paese. Infatti i dati su cui basa sono stati raccolti
durante l’intensa campagna elettorale delle Europee del 2004, in un sondaggio interamente
focalizzato su temi politici, e i cui intervistati erano una parte, estratta casualmente, di un campione
di elettori già intervistati da Itanes nelle settimane successive alle elezioni del 20011.
Tuttavia è probabile che questa nota di cautela di fronte al dato della tabella 1.1 non convinca
molti lettori. Alcuni di questi potrebbero obiettare che abbiamo avuto queste risposte perché
abbiamo fatto la domanda sbagliata. Abbiamo chiesto se l’intervistato è interessato di politica. In
questo modo lo abbiamo stimolato a pensare alla politica. Ed è possibile che la parola politica
evochi in molti “quella cosa lì che accade a Roma e che si vede nei telegiornali”, e cioè il batti e
ribatti dei politici, le lunghe e noiose dichiarazioni di qualche ministro o esponente dell’opposizione
su argomenti quali l’ennesimo litigio tra questo o quel partito. Insomma è possibile che la parola
politica evochi una rappresentazione della stessa come politica politicante. E allora come si fa a
dirsi interessati alla politica politicante?
Forse moltissimi si dichiarano non interessati solo alla politica politicante, a “questa politica”.
Ma in realtà sono interessati ai problemi “veri”, a quello che succede nel mondo, a quello che il
governo o la regione o il comune fanno e propongono, a quello che accade nel loro paese o nel loro
quartiere. Insomma, la risposta è quella che è perché la domanda si basava su una parola, “politica”,
che evoca più si che no cose oggettivamente poco attraenti. In effetti l’obiezione è seria. Non
1
Di tutte e tre le fonti di errore a nostro parere la minore è stata l’ultima. Infatti le risposte date dall’intero campione del
2001 sono abbastanza simili a quelle date dal sottocampione intervistato nel 2004. Il che non esclude che nel 2001 ci sia
stato un quel errore imputabile alla maggiore propensione degli elettori interessati alla politica di accettare ad essere
intervistati su temi politici.
abbiamo bisogno di sofisticate indagini per scoprire che oggi la politica è molto screditata. Basta
frequentare qualche treno di pendolari, per esempio.
Per aggirare l’ostacolo rappresentato dagli stimoli negativi suscitati dalla parola “politica”,
abbiamo quindi chiesto agli stessi intervistati se e in che misura sono interessati a problemi come
quello che succede nel mondo, quello che fanno e propongono le autorità di governo nazionali o
locali, quello infine che accade attorno a lui.
Le risposte ottenute tratteggiano uno scenario alquanto interessante. Tolta di mezzo la parola
politica, coloro che si dichiarano interessati ai problemi “veri” si sono moltiplicati , di quasi tre
volte se il problema è ciò che accade nel mondo o ciò che succede nel proprio paese o quartiere, di
quasi due volte se il problema riguarda le decisioni delle autorità di governo nazionali e locali.(vedi
tab. 1.2).
Tab. 1.2 Interessato ai problemi “veri”
Interessato a:
Molto
Abbastanza
(Interessati)
Poco
Per niente
(N)
Quello che succede
nel mondo
30,6
Quello che
fa e propone
il governo
18,8
Quello che le istituzioni
locali stanno decidendo
16,8
Quello che accade nel
suo paese e nel suo
quartiere
31,0
56,0
48,8
46,1
49,4
(86,6)
11,3
(67,6)
26,9
(62,9)
29,6
(80,4)
15,7
2,1
5,5
7,5
3,8
1882
1882
1882
1882
Di fronte a dati come questi dovremmo forse concludere che hanno ragione coloro che
sostengono che chiedere a qualcuno se è interessato alla politica è come chiedergli se è interessato
ad andare dal dentista. Certo che no dirà, anche se sarà pronto a riconoscere che il dentista, come la
politica, ha a che fare con problemi che lo riguardano personalmente e quindi, quando si verificano,
lo interessano davvero. Osserviamo però che anche escludendo la parola politica, l’interesse per le
decisioni delle autorità di governo è inferiore di molto all’interesse per gli eventi che accadono sulla
scena del “largo” mondo o per quelli che succedono nel “piccolo” mondo.
Comunque, a ben vedere, il punto fondamentale è capire se chi dice di essere interessato alla
politica è diverso da chi dice di non essere interessato a questa ma ai problemi che la politica
dovrebbe essere chiamata ad affrontare. Diverso innanzitutto rispetto a quanto ne sa di politica;
diverso soprattutto rispetto a come organizza le sue opinioni sui problemi in discussione. Sono le
opinioni di chi è interessato alla politica e di chi non lo è ma è interessati ai problemi “veri”
egualmente coerenti, cosi da apparire espressioni di un sistema di credenze ideologico? Oppure le
opinioni dei primi lo sono, mentre quelle dei secondi sono incoerenti e contraddittorie?
Questi due (livello di informazione politica e coerenza delle opinioni) sono i test grazie ai
quali Converse (1964) aveva concluso che nei lontani anni ‘60 la gran parte degli americani non
esprimevano consapevoli orientamenti ideologici .
Per trovare una risposta a queste domande abbiamo anzitutto distinto coloro che si dicono
interessati sia alla politica sia ai problemi citati nella tabella 1.2 da coloro che sono solo interessati
ai problemi “veri” ma non alla politica2. Successivamente abbiamo distinto questi ultimi secondo il
numero di problemi a cui sono interessati, ottenendo così la classificazione mostrata nella tabella
1.3.
2
Il 79% di quelli che si dichiarano molto o abbastanza interessati alla politica sono anche interessati a tutti e quattro i
problemi menzionati nella tab. 1.2. Il 14% a tre dei problemi. E il resto a due problemi.
Tab. 1.3 Chi è interessato a che cosa?
Nessun interesse per la politica o per i problemi
Interesse solamente per un solo problema
Interesse solamente per due o tre problemi
Interesse solamente per tutti e quattro i problemi
Interesse per la politica e per i problemi
(N)
7,4
9,3
25,6
25,9
31,8
1882
Le cinque classi presentano una distribuzione che ci fa intendere come gli elettori che
dichiarano di non interessarsi né alla politica né ai problemi “veri” sono una ristretta minoranza. La
maggioranza qualche tipo e grado di interesse lo manifesta. Il punto è se esistono delle linee di
demarcazione in questa vasta area e dove esse vadano collocate. In particolare il punto cruciale è se
esiste una linea di demarcazione tra l’ultima categoria e il vasto mondo di chi ha in disdoro la
politica, ma non i problemi che questa dovrebbe affrontare. La tab. 1.4, che mostra i valori medi del
numero di conoscenze fattuali sulla politica all’interno dei nostri cinque gruppi, indica che esistono
chiare linee di demarcazione.
Tab. 1.4 Numero medio di risposte corrette a cinque domande di conoscenza su regole, attori
e procedure delle istituzioni politiche secondo tipo e gradi di interesse per le cose politiche.
Media
Nessun interesse per la politica o per i problemi
Interesse solamente per un solo problema
Interesse solamente per due o tre problemi
Interesse solamente per tutti e quattro i problemi
Interesse per la politica e per i problemi
Media generale
*
N
1,3
1,3
1,7
2,0
3,3
2,2
136
174
460
505
607
1882
Range: da 0 tutte le risposte sbagliate a 5 tutte le risposte corrette
Il primo dato da sottolineare è che in generale il livello di conoscenza fattuale sulla politica è
in generale molto basso, come testimoniato dalla media complessiva (ultima riga). Anche chi si dice
interessato alla politica e ai problemi in realtà non sa molto del funzionamento delle istituzioni
democratiche. Molto meno tuttavia ne sa chi è interessato solamente ai problemi. Il divario più
ampio compare già tra chi è interessato alla politica e ai problemi a chi è interessato a tutti e quattro
i problemi. Qui evidentemente esiste una prima linea di distinzione. Una seconda linea di
distinzione va forse tracciata tra chi si dichiara interessato a tutti e quattro i problemi e il resto.
Qualcuno però, a questo punto, potrebbe obiettare che la nostra misura di conoscenza della
politica è alquanto discutibile. Buona forse per un esame di educazione civica, ma inadatta a
cogliere le effettive diversità quanto a capacità cognitiva tra le diverse modalità di esprimere
interesse per le cose politiche. Rimandando ad una altra occasione la discussione su questo punto e
consigliando ai critici la lettura di Delli Carpini e Keeter (1992), la tesi che i cinque gruppi che
abbiamo individuato sono diversi viene anche confermata dal secondo test, quello della coerenza tra
le varie opinioni.
Per semplificare l’analisi abbiamo ridotto i gruppi a tre, riunendo assieme chi non ha alcun
interesse per la politica o per i problemi con chi interessato solamente sino a tre problemi e
lasciando inalterati i due gruppi.
In generale l’obiettivo di questo test è di stabilire in che misura conoscere come uno degli
intervistati la pensa su un tema ci aiuta a capire come la pensa su un altro tema. Se la prima
opinione ci aiuta a prevedere la seconda, si può allora pensare che l’una e l’altra sono costrette a
stare assieme da qualche principio ideologico di ordine più elevato. Come misura della costrizione
possiamo prendere il coefficiente di correlazione lineare tra le diverse opinioni sui vari temi e per
semplificare la media complessiva di tali coefficienti. Nel nostro caso il test di coerenza ideologica
riguarda le posizioni assunte dagli intervistati in merito a quattro issue particolarmente importanti,
sanità, scuola, tasse e numero di immigrati. Il formato delle domande era simile e costringeva
l’intervistato a scegliere tra due polarità distanziate tra loro da una scala di sette punti. L’intervistato
era dunque posto innanzi ad alternative tra scuola pubblica vs privata, sanità pubblica vs privata,
concedere il permesso di entrare a molti immigrati vs pochi, aumentare la spesa pubblica anche a
costo di aumentare le tasse vs ridurre le tasse anche costo di ridurre la spesa pubblica.
Tab. 1. 5 Livelli di coerenza tra le opinioni su quattro issue secondo il tipo e grado di interesse
per le cose politiche
Tra chi ha interesse per la politica e per i problemi
A. Sanità (pubblica vs privata)
B. Immigrati (accoglierne di più vs di meno)
C. Tasse (più spesa pubblica con più tasse vs meno spesa pubblica
con meno tasse)
D. Scuola (pubblica vs privata)
Media coefficienti di correlazione tra quattro issue
Tra chi è interessato solamente a quattro problemi
A. Sanità( pubblica vs privata)
B. Immigrati(accoglierne di più vs di meno)
C. Tasse (più spesa pubblica con più tasse vs meno spesa pubblica
con meno tasse)
D. Scuola (pubblica vs privata)
Media coefficienti di correlazione tra quattro issue
Tra chi è interessato solamente a 3 o meno problemi o non ha
nessun interesse per le cose politiche
A. Sanità( pubblica vs privata)
B. Immigrati(accoglierne di più vs di meno)
C. Tasse (più spesa pubblica con più tasse vs meno spesa pubblica
con meno tasse)
D. Scuola (pubblica vs privata)
Media coefficienti di correlazione tra quattro issue
Nota: I valori retinati indicano le coppie di items correlati tra loro
* indica significativo <.05
A.
B.
*0,11
*0,11
*0,36
*0,45
C.
0,06 0,05
0,19
-0,01
-0,01
*0,31
*0,20
*-0,17 -0,08
0,04
-0,03
0,04
*0,17
*0,29
-0,13 -0,07
0,04
La tabella 1.5 mostra i coefficienti di correlazione tra le opinioni sui quattro issue e la loro
media. Osserviamo prima la struttura complessiva delle relazioni. Dai dati appare chiaro che in tutti
i tre gruppi le opinioni sulla sanità e quelle sulla scuola vanno assieme, nel senso che chi è a favore
della scuola pubblica tende anche ad essere a favore della sanità pubblica. Vanno assieme, anche se
con minore forza, le opinioni sulle tasse e spesa pubblica e sul numero di immigrati, nel senso che
chi è a favore di un aumento della spesa pubblica, anche a costo di maggiori tasse, è anche a favore
di una accoglienza di un numero maggiore di immigrati. Va notato però che per tutti e tre i gruppi le
opinioni sui due primi issue appaiono alquanto indipendenti rispetto alle opinioni sugli altri due
issue, nel senso che le due coppie di opinioni appaiono correlate tra loro molto debolmente , anche
se con segno variabile. Qui si pone un problema generale. Era lecito attendersi che chi fosse a
favore della sanità pubblica e della scuola pubblica fosse a che a favore di aumentare la spesa
pubblica per tenere alti i servizi e pure a favore di una accoglienza di un numero maggiore di
immigrati. Invece così non è. C’è quindi una certa incoerenza tra le opinioni sulle due coppie di
temi.
Passando ora ad osservare le differenze tra i tre gruppi, appare chiaro che tra quelli che sono
interessati alla politica i valori dei coefficienti di correlazione all’interno delle due coppie di
opinioni sono più robusti mentre il segno dei coefficienti tra le due coppie di opinioni è positivo. Il
che dà luogo ad una media di 0,19. Negli altri due gruppi di interessati i valori dei coefficienti di
correlazione all’interno delle due coppie sono minori mentre il segno dei coefficienti tra le due
coppie sono negativi. Il che dà luogo ad una media di 0,04.
Sulla base di questi dati possiamo quindi concludere che a scegliere i diversi modi di dirsi
interessato per le cose politiche sono elettori diversi quanto al livello di capacità cognitive. Le
preferenze di chi è interessato alla politica e al resto sono comunque meno incoerenti di quanto lo
siano le preferenze di chi è interessato solo ai problemi “veri”, pochi o tanti che siano3. Anche se,
occorre sottolinearlo, le differenze che abbiamo notato si manifestano in una quadro di generale di
limitata sofisticazione ideologica.
Riassumendo, chi si dichiara interessato alla politica tende ad avere una visione meno sfocata
di quello che la politica è di chi dice di non interessarsene, anche se poi quest’ultimo manifesta una
certa attenzione per le grandi e piccole questioni che la politica è chiamata ad affrontare. Può essere
dunque che per molti dirsi interessato alla politica è come dirsi interessato al dentista. Ma
comunque chi dice di essere interessato alla politica sembra avere una idea più precisa circa il fatto
che, come nel caso delle pratiche del dentista, la politica politicante è un modo forse inevitabile,
ancorché fastidioso, per affrontare i problemi di una società. Viceversa chi dice di non essere
interessato alla politica ma ai problemi forse coltiva il sogno che ci si possa curare il mal di denti
senza ricorrere alle pratiche fastidiose di un dentista4.
Nonostante le differenze tra chi è interessato e chi non lo è, dobbiamo prendere sul serio
l’osservazione che la gran parte di coloro che si dice non interessato alla politica riesce comunque a
compiere le operazioni mentali necessarie alla decisione di voto. La constatazione che questo
accade nonostante quanto si è visto ha aperto la strada verso l’analisi delle diverse scorciatoie
cognitive messe in atto dagli elettori per superare i loro limiti di informazione e di sofisticazione
ideologica (Sniderman e Tetlock, 1992). Di recente Sniderman (1999) ha osservato che queste
scorciatoie o euristiche non vanno considerate come abilità cognitive esclusive dei soli cittadini.
Esse vengono anche offerte dal funzionamento delle istituzioni politiche, in primis dai modi con cui
i partiti e quindi le elite politiche definiscono il contesto istituzionale in cui competono. Come ci
insegna il neo-istituzionalismo, le istituzioni includono “modelli condivisi” che forniscono una
rappresentazione della realtà che contiene linee guida in grado di suggerire operazioni mentali e
pratiche di comportamento costrittive, normativamente obbligate e cognitivamente ovvie (Scott,
1995). La rappresentazione dello spazio di competizione tra i partiti nei termini di sinistra e destra è
per l’appunto uno di questi modelli condivisi istituzionalizzati.
Se questo è vero, dovremmo attenderci che le differenze che abbiamo individuato tra le
diverse modalità di definirsi interessato alle cose politiche tendono a scomparire quando si chiede
agli elettori di collocare i partiti oggetto della scelta di voto sulla scala sinistra-destra. Così in
effetti è, come si può vedere dalla figura 1.1
(qui figura 1.1)
3
Alcuni dati demografici possono essere utili per dare un volto a queste diverse modalità di dirsi interessato alle cose
politiche. Chi è interessato alla politica e al resto tende ad essere più maschio che donna, relativamente più istruito e
delle classi d’età centrali. Viceversa il profilo di chi si interessa solo a 3 problemi o meno è speculare al primo. Il
profilo invece di chi si interessa tutti i problemi ma non alla politica non presenta alcun tratto peculiare.
4
Vi è qui un punto interessante circa le aspettative che la maggior parte dei cittadini coltiva nei confronti della politica
che meriterebbe di venire esplorato. A me sembra che una di queste aspettative nasca dalla insofferenza personale verso
il conflitto e dalla speculare convinzione di senso comune che i problemi politici possano essere risolti senza conflitto.
Nella figura 1.1 abbiamo collocato sulla ascissa i partiti dei quali si è chiesto agli intervistati
di indicare la posizione sulla scala sinistra-destra. Sull’ordinata sono invece indicati i valori medi
della collocazione dei partiti sulla scala sinistra destra. Le tre linee indicano le scelte compiute da
chi si è detto interessato alla politica e al resto, di chi si è detto interessato solo ai quattro problemi,
e di chi si detto interessato solo ad un numero inferiore di problemi o a nessuna di queste cose.
Come si può vedere le collocazioni medie dei partiti suggeriscono una rappresentazione delle
posizioni dei partiti abbastanza precisa, non diversa da quella che potrebbe suggerire un consumato
politico. Inoltre le differenze tra le tre diverse modalità di interesse sono molto piccole e
concernenti solo la posizione di alcuni partiti.
Questo dato ci suggerisce la conclusione che i partiti e le elite, quindi la politica, hanno forse
un ruolo importante nel determinare il livello di sofisticazione degli elettori. A forza di definire il
loro spazio di competizione nei termini di sinistra e destra, esse riescono a fornire anche agli elettori
poco o nulla interessati alla politica strumenti cognitivi utili per svolgere le operazioni mentali
necessarie per avere un’idea dello spazio politico. Allo stesso modo allora esse potrebbero anche
migliorare il livello di coerenza delle opinioni degli elettori sui temi in discussione, qualora
definissero di più e meglio il loro spazio di competizione in questi termini. Va però detto che è
molto più semplice e remunerativo definirsi sulla base di etichette in fondo vaghe che entrare nel
dettaglio dei temi, senza dire che attestarsi al livello delle etichette risulta più comprensibile alla
stragrande maggioranza degli elettori che prendere posizione sulle policy relative alle issue.
3. L’evoluzione nel tempo del livello di interesse per la politica e le sue determinanti
Come si diceva nella premessa, l’interpretazione minimalista circa il livello di sofisticazione
dei cittadini e quindi del loro livello di interesse è stata messa in discussione indirettamente da una
tradizione di ricerca secondo la quale a partire dagli anni settanta in poi sarebbe avvenuta nelle
democrazie occidentali un cambiamento profondo nei rapporti tra cittadini e la politica. Al centro di
tale cambiamento ci sarebbe un ampliamento dell’esposizione ai canali informativi da parte dei
cittadini, una crescita del loro livello di informazione politica, un incremento dell’interesse per la
politica, e quindi un aumento del livello di sofisticazione ideologica dei cittadini. Alcuni studiosi
per definire l’insieme di questi processi sono ricorsi alla nozione di “mobilitazione
cognitiva”(Dalton, 1988). All’origine di questo fenomeno ci sarebbero mutamenti socio-culturali di
ampia portata che hanno investito in misura diversa certamente tutte le società occidentali,
facendole transitare da una fase moderna ad una post-moderna. In particolare i crescenti livelli di
benessere economico nell’immediato dopoguerra, accompagnati da una espansione senza precedenti
dei tassi di scolarità avrebbero determinato un mutamento valoriale in senso post-materialista, in
particolare nelle nuove generazioni, i cui effetti sul piano politico sarebbero stati un declino della
deferenza verso le autorità di ogni tipo e una crescita delle abilità cognitive della popolazione
(Inglehart ,1977, 1990, 1997).
Discuteremo nel prossimo paragrafo delle conseguenze sui comportamenti politici e sociali
della mobilitazione cognitiva. Gli interrogativi che invece vogliamo affrontare a questo punto sono
due:
1.
Ci sono evidenze robuste che indichino che anche in Italia si è verificato un aumento
stabile dei cittadini cognitivamente mobilitati, cioè interessati alla politica e informati, dagli anni
settanta in poi?
2.
Quali sono i fattori sociali e culturali più importanti che influenzano il livello di
interesse per la politica e come è cambiata nel tempo, se è cambiata, la loro influenza?
Una possibile risposta al primo interrogativo viene dalla figura 1.2.
(qui figura 1.2)
La figura mostra l’evoluzione di tre indicatori di “mobilitazione cognitiva” : la percentuale di
italiani che in vari anni dal 1972 al 2004 si sono dichiarati interessati alla politica e la percentuale di
italiani che hanno dichiarato di discutere frequentemente di politica. La seconda serie è tratta
dall’Eurobarometro, mentre la prima da varie indagini (Barnes e Sani, Quattro Nazioni, Itanes90
2001, 2004 e ESS 2002). I due indicatori sono diversi. Del primo ne conosciamo già il formato. Il
secondo è derivato da una domanda in cui si chiede all’intervistato di dire se discute
frequentemente, occasionalmente o raramente di politica. Per quanto i due possano sembrare a
prima vista misurare oggetti diversi (atteggiamenti e comportamenti), sono fortemente correlati tra
loro. Van Deth e Elff (2000) hanno mostrato che nelle indagini Eurobarometro in cui sono presenti
ambedue gli indicatori, il loro coefficiente di correlazione gamma relativo al nostro paese è pari allo
0.837 per l’intera scala e dello 0,915 per una scala dicotomica in cui chi discute frequentemente di
politica è messo a confronto con chi non discute mai di politica e chi è molto o abbastanza
interessato alla politica è messo a confronto con chi lo è poco o nulla. Dunque possiamo pensare
che i due indicatori colgano in misure diverse lo stesso fenomeno. Il terzo indicatore è in realtà un
indice complesso. Raggruppa in una stessa categoria coloro che in vari anni si sono dichiarati
interessati alla politica più della media del campione e conoscono oggetti e attori politici più della
media. Si tratta di un indice che sconta una grave limite. In Italia non abbiamo una serie storica
lunga di indicatori del livello di conoscenza fattuale, come quelle che hanno consentito a Delli
Carpini e Keeter (1996) di mostrare come il livello di conoscenza degli Americani non sia affatto
salito negli ultimi 40 anni. Inoltre non possediamo indicatori di conoscenza fattuale di cui
conosciamo il grado di difficoltà. Quindi la costruzione del nostro indice potrebbe basarsi in un
anno di stime della conoscenza “facili” e in un altro “ difficili”.
Dati questi limiti non può stupire che i nostri tre indicatori non presentino un andamento
simile. Mostrano tutti grandi oscillazioni, anche se due , quello relativo alla frequenza di
discussione politica e quello che ingloba una stima della conoscenza fattuale, indicano minori
oscillazioni e una tendenza in parte diversa da quella segnalata dalla semplice dichiarazione di
interesse per la politica. Quest’ultima sembra segnalare una tendenza all’incremento. La percentuale
di coloro che si dicono interessati varia dal 14% circa del 1972 al 32% del 2004. L’indicatore basato
sulla dichiarazione di discussioni frequenti di politica ( e pure il terzo indice) mostra invece una
tendenza alla stabilità, come del resto accade anche nel resto dei paesi europei (Van Deth e Elff,
2000).
Tutto ciò ci conduce ad una prima osservazione. E’ possibile che l’incremento della
percentuale di coloro che si dichiarano molto o abbastanza interessati alla politica segnali non tanto
una crescita della mobilitazione cognitiva, ma più semplicemente una maggiore disponibilità
(ovvero una minore reticenza) a dirsi interessato alla politica. Se questa ipotesi è vera, potremmo
allora pensare che i tre indicatori colgano, con qualche (parecchi?) errore di misura, i limiti minimi
e massimi della fascia di elettorato italiano che può dirsi mobilitato cognitivamente. Tale fascia
varierebbe dunque da un sesto ad un terzo dell’elettorato. Tale variazione andrebbe attribuita più
allo strumento di misura che al periodo. In altre parole siamo di fronte ad un segmento, quello degli
interessati, che probabilmente è rimasto inalterato per tutto il periodo esaminato. Inoltre facendo
tesoro di quanto abbiamo appreso nel primo paragrafo, potremmo osservare come il resto
dell’elettorato non è composto da cittadini del tutto estranei alla politica, privi di qualsiasi
attenzione per le cose politiche. Piuttosto siamo in presenza di una distribuzione delle competenze
cognitive, che vede una minoranza dotata di un certo livello di sofisticazione, una maggioranza
caratterizzata da abilità e capacità meno articolate, meno organizzate, ma non del tutto assenti e una
minoranza priva di qualsiasi curiosità per la politica. A conforto di questa ipotesi c’è l’analisi di
Van Deth e Elff (2000) che mostra come la percentuale di elettori italiani ed europei che non
discute mai di politica è scesa in Italia e nel resto dell’Europa nel corso degli ultimi trenta anni5.
5
In Italia chi non discute mai di politica nel 1999 è circa il 63% di quelli che non discutevano mani di politica nel 1973.
Quali sono le determinanti dell’interesse per la politica o della mobilitazione cognitiva? Da
tempo gli studi hanno individuato una serie di fattori più importanti di altri nel promuovere la
competenza cognitiva in politica. Alcuni di questi sono il genere, l’età e l’anno di nascita,
l’istruzione, la professione e i valori post-materialisti, nel senso che i maschi sono più coinvolti
cognitivamente in politica delle femmine, i cittadini istruiti più che quelli con poca istruzione,
coloro che hanno un’età centrale e sono stati socializzati in un periodo storico di forti mobilitazioni
politiche, e che svolgono una professione centrale (Gabriel e Van Deth, 1995). In questa sede ci
limiteremo ad analizzare l’influenza di tre di questi fattori: il genere, l’anno di nascita come
indicatore del periodo di socializzazione politica6, e il grado di istruzione. Allo scopo di esaminare
se e come varii nel tempo l’influenza nel tempo di questi fattori esamineremo il loro impatto in tre
anni, nel 1972, nel 1985 e nel 2004. La nostra variabile dipendente sarà la dichiarazione di essere
molto o abbastanza interessati alla politica.
Tab. 1.6 Percentuale di interessati alla politica secondo il genere, il livello di istruzione e la
generazione politica in vari anni
1972
1985
2004
Genere
Maschio
Femmina
30
13
42
24
42
23
Istruzione
V elementare o meno
III media o Professionale
Diploma o più
08
17
39
18
34
56
20
22
44
11
16
*19
25
*29
39
*37
31
*29
39
30
*30
Generazioni politiche
Nati sino al 1930
Nati dal 1931 al 1940
Nati dal 1941 al 1955
Nati dal 1956 al 1970
Nati dal 1971 al 1983
Nota: * indica che la percentuale non statisticamente significative al 5% dalla precedente
I dati mostrano ancora una volta che i maschi sono sempre più interessati alla politica, come lo
sono i più istruiti rispetto a chi lo è meno. L’ultima parte della tabella mostra come la generazione
dei nati tra il 1941 al 1955, quella che si è socializzata durante gli anni della protesta operai e
studentesca, sono quelli più interessati alla politica. Ma mostra come anche le generazioni
successive a questa presentino percentuali inferiori di interessati alla politica.
Questo livello di analisi tuttavia non tiene conto del fatto che i tre fattori hanno effetti
congiunti sull’interesse per la politica. Per esempio, nel nostro paese il livello di istruzione ha avuto
il suo massimo incremento proprio tra il 1972 e il 2004. In particolare è giusto osservare come i nati
tra il 1941 e il 1955 è la prima coorte di nascita ad avere avuto un accesso più esteso all’istruzione
superiore. In questa sede esamineremo solamente quali sono gli effetti combinati di queste tre
variabili sulla probabilità di essere interessati alla politica in ogni anno considerato, attraverso
un’analisi multivariata condotta con una regressione logistica binomiale.
6
Abbiamo adottato la classificazione degli anni proposta da Van den Broek (1996) che distingue tra i nati sino al 1930
definiti come la generazione pre-guerra che si è socializzata in gran parte durante gli anni del primo dopoguerra, i nati
dal 1931 al 140 chiamati la generazione silente, i nati dal 1941 al 1955 chiamati la generazione della protesta, i nati dal
1956 al 1970 chiamati la generazione perduta, i nati tra il 1971 al 1983 chiamati la generazione pragmatica.
Tab. 1.7. Analisi multivariata degli effetti della generazione politica, del genere e del livello di
istruzione sull’interesse per la politica in alcuni anni
Nati sino al 1930
Nati dal 1931 al 1940
Nati dal 1941 al 1955
Nati dal 1956 al 1970
Nati dal 1970 al 1983
Genere (Maschio)
V elementare o meno
III Media o prof.
Diploma o più
Costante
R-quadrato di Nagelkerke
Chi2 (Gradi di libertà)
Nota: * significativo < 1%
1972
1985
B
E.S.
B
E.S.
Cat. di rif.
Cat. di rif.
0,20 0,19
-0,02 0,16
0,19 0,19
0,04 0,15
*-0,52 0,17
2004
B
Cat. di rif.
-0,16
0,02
*-0,56
*-0,89
E.S.
0,22
0,22
0,22
0,23
*1,35
0,17
*0,69
0,10
*0,89 0,11
Cat. di rif.
*0,83
*2,05
*-3,39
0,20
0,17
0,17
Cat. di rif.
*0,92
*1,92
*-1,84
0,14
0,14
0,12
Cat. di rif.
0,29 0,18
*1,54 0,17
*-1,75 0,20
0,25
267,8 (5)
0,19
305,3(6)
0,16
234,6(7)
La tabella 1. 7 suggerisce diverse osservazioni. La prima è che in tutti gli anni considerati il
genere e il livello di istruzione hanno gli effetti maggiori sulla probabilità di manifestare interesse
per la politica, anche tenendo costante gli effetti del periodo di socializzazione politica. Va aggiunto
però che questi effetti sembrano ridursi nel corso del periodo considerato. Questa fenomeno emerge
in parte anche dall’analisi che Van Deth e Elff (2000) hanno svolto sulla probabilità di discutere di
politica di frequente. I loro risultati, ricavati da una analisi dell’interazione tra il trend temporale dal
1973 al 1999 e le stesse tre variabili indipendenti da noi prese in considerazione, sono molto chiari
per quanto riguarda l’istruzione. In Italia, Belgio Francia, Germania Ovest, Olanda e Grecia, “ gli
effetti dell’istruzione declinano. (Ma) in Lussemburgo, Irlanda, Nord Irlanda, Portogallo e in una
certa misura in Gran Bretagna le differenze quanto al coinvolgimento politico tra i gruppi distinti
secondo il livello di istruzione sembrano crescere” (p. 19). Meno chiari sono quelli relativi al
genere. In generale, in quasi tutti i paesi europei (Italia compresa) ma ad eccezione della Grecia,
l’interazione tra gli effetti di trend e il genere, tenendo costanti gli altri effetti, determina effetti
statisticamente sotto la soglia di significatività (van Deth e Elff, 2000:23). La nostro analisi invece
pare suggerire che gli effetti del genere si riducano nel corso degli anni, in particolare nel passaggio
tra il 1972 e il 1985. Molto interessanti sono infine gli effetti del periodo di socializzazione. Nel
loro caso due cose appaiono evidenti. Anzitutto la generazione dei nati tra il 1941 e il 1955, quella
che è stata più coinvolta sia nella espansione del livello di istruzione che nelle mobilitazioni a
cavallo degli anni settanta, non pare essere diversa dalle generazioni precedenti, una volta che il
livello di istruzione è tenuto costante. Il che significa che il primato di questa generazione quanto al
livello di interesse, che emergeva nella tabella 1.5 , in realtà va attribuito almeno in parte alla
presenza al suo interno di una maggiore quota di istruiti. Il contributo allo sviluppo dell’interesse
per la politica dato dal periodo di socializzazione degli anni della protesta appare sostanzialmente
pari a quello offerto dal periodo dei grandi conflitti politici del primo dopoguerra vissuti negli anni
formativi delle generazioni precedenti. Inoltre le generazioni nate dopo il 1955 mostrano una
propensione ad esprimere interesse per la politica fortemente minore delle generazioni precedenti,
anche di quelle più anziane, una volta che il livello di istruzione è tenuto costante. Non occorre dire
che all’interno di queste generazioni la quota di istruiti è molto elevata. Il che è una prova in più, se
si vuole, che in Italia gli effetti dell’istruzione sulla propensione ad esprimere interesse per la
politica stanno calando.
I risultati di questa analisi ci portano a concludere che la teoria della “rivoluzione silenziosa” ,
o almeno alcuni suoi aspetti, quelli relativi all’impatto che avrebbe avuto l’espansione dei livelli di
istruzione sulla mobilitazione cognitiva, sembrano per lo meno dubbi. I nostri risultati mostrano che
quanto accaduto nel nostro paese viene meglio spiegato da una teoria della modernizzazione sociale
che descrive i cambiamenti delle società occidentali (crescita economica nonostante i cicli, crescita
degli standard di vita, cambiamenti della divisione del lavoro, diffusione delle comunicazioni
massa, aumento dei livelli di istruzione, ecc.) allo stesso modo di quella di Inglehart, ma ne ipotizza
effetti in parte diversi. Questi processi invece di spingere in su la mobilitazione cognitiva,
potrebbero avere “conseguenze livellatrici sull’interesse per la politica … Quest’ultimo cioè
potrebbe essere divenuto crescentemente indipendente dalla posizione socio-strutturale delle
persone” ( Van Deth e Elff, 2000: 17; corsivo nel testo citato).
4. Le conseguenze dell’interesse per la politica.
Uno dei risultati più consolidati degli studi sulla partecipazione politica mostra come
l’interesse per la politica occupa una posizione centrale nella catena causale che fa aumentare la
probabilità di andare a votare o venire coinvolto in azioni al di là del mero atto di votare. Come
abbiamo visto nel paragrafo precedente l’interesse per la politica dipende a sua volta dall’istruzione
e dal genere, anche se dalla nostra analisi, come da altre, sembrerebbe che il loro impatto stia
declinando. Ora livello di istruzione e genere sono risorse sociali che gli individui traggono dalla
loro posizione nella struttura sociale. Varie ricerche hanno mostrato che pure risorse di altra natura
svolgono un ruolo importante nel determinare chi partecipa politicamente e il livello della sua
partecipazione. Tra queste, secondo diversi studi, conta il coinvolgimento dei cittadini in
organizzazioni di vario tipo. Verba et alii (1995) hanno mostrato come in America il
coinvolgimento in organizzazioni sociali pre-politiche, tra cui quelle religiose, aumenta la
probabilità che un cittadino partecipi oltre alla mera espressione del voto. In particolare la
partecipazione sociale sembra svolgere una funzione di riequilibrio dell’impatto delle risorse
strettamente sociali, nel senso che individui privi di risorse come quelle derivanti dall’istruzione o
dal genere acquisiscono attraverso la partecipazione sociale le motivazioni ed abilità necessarie per
partecipare in politica. Non diversamente la vasta letteratura sul capitale sociale giunge a
conclusioni simili (per tutti, Putnam, 1993; 2000).
Tuttavia di recente Van Deth (1999), in un importante contributo, solleva una questione
cruciale che mette in discussione la linearità della catena causale che fa derivare il coinvolgimento
politica dal semplice possesso di risorse sociali o acquisite attraverso il possesso di un elevato
capitale sociale. La tesi di Van Deth è dunque che questa linea di interpretazione trascura che il
possesso di risorse accresce il livello di autonomia individuale e quindi la possibilità di
intraprendere azioni alternative a quelle politiche. In questa prospettiva l’elevato possesso di
risorse individuali, sia economico-sociali sia derivanti dalla partecipazione sociale, invece di
promuovere il coinvolgimento in politica si assocerebbe in realtà ad una diminuzione di questo.
Centrale a questo proposito è la “riscoperta” di una dimensione centrale del coinvolgimento in
politica, la dimensione della salienza della politica. Per Van Deth l’attività politica non va vista solo
come il risultato sul piano comportamentale del semplice manifestarsi dell’interesse per la politica,
ma anche uno dei possibili esiti di molteplici spinte contrastanti derivanti dal coinvolgimento in
altre attività sociali7. Cioè si può dare il caso che per alcuni individui le attività politiche e in
generale la politica appaia interessante, ma irrilevante, come recita il titolo del suo articolo. Il
verificarsi di tali casi sarebbe più frequente per individui in possesso di risorse sociali elevate.
7
Se questo è vero, definire l’interesse per la politica come una sorta di partecipazione latente (Raniolo, 2002) è
semplicemente fuorviante.
Parlo di riscoperta perché non è una tesi nuova né da un punto di vista della teoria sociale
empirica né dal punto di vista della riflessione storico-filosofica sulla politica. Lo stesso Van Deth
ricorda come Robert Lane in un contributo degli anni 60 aveva attirato l’attenzione sul fatto che il
raggiungimento da parte di una società di un elevato livello di affluenza , e quindi di una maggiore
distribuzione di risorse partecipative, di per sé non è detto che promuova un maggiore livello di
partecipazione politica. Al contrario un’età di affluenza potrebbe promuovere una minore “urgenza”
dell’impegno politico. Giustamente Van Deth sottolinea come la tesi di Lane assomigli molto ad
una parte della teoria di Inglehart, ma se ne differenzi radicalmente rispetto alle aspettative.
Inglehart attribuisce al maggiore benessere la responsabilità di una maggiore mobilitazione
cognitiva in politica e quindi di una crescita dell’impegno politico, anche e soprattutto in forme non
convenzionali. Lane invece sembra indicare che gli effetti sull’impegno in politica del benessere e
di una maggiore distribuzione di risorse socio-strutturali non sono né lineari né diretti. Possono
eventualmente aumentare l’interesse, ma non è detto che accrescano la rilevanza soggettiva della
politica per i cittadini. L’argomento non è nemmeno nuovo per la riflessione storico-filosofica sul
rapporto tra cittadini e la politica. La messa a fuoco della dimensione della rilevanza o salienza
della politica richiama subito alla mente le tesi sviluppate da B. Constant nella nota conferenza sulla
“libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni”. In quella conferenza del 1818 Constant così
contrastava l’organizzazione della libertà degli antichi con quella dei moderni: “Nella libertà degli
antichi, quanto più tempo e forze l’uomo dedicava all’esercizio dei diritti politici, tanto più si
credeva libero; nella specie di libertà di cui siamo capaci, la libertà ci sarà tanto più preziosa, quanto
più tempo l’esercizio dei diritti politici ci lascerà per gli interessi privati” (2001:30-31). Ne deriva
che più alternative si rendono possibili meno saliente può essere la politica, anche se il livello di
interesse per la politica rimane costante. Al contrario l’argomento di chi come Inglehart stabilisce
una connessione diretta e lineare tra il possesso di risorse e l’impegno politico riecheggia la lettura
repubblicana che è stata fatta dei rapporti tra cittadini e politica nelle polis greche. Qui il luogo
classico è il discorso che Pericle fece ai funerali dei concittadini morti nel primo anno della guerra
del Pelopponeso. Vale la pena riprendere la parte centrale per intero. “ La cura degli interessi privati
procede per noi di pari passo con l’attività politica, ed anche se ognuno è preso da occupazioni
diverse, riusciamo tuttavia ad avere una buona conoscenza degli affari pubblici. Il fatto è che noi
siamo i soli a considerare coloro che non se ne curano non persone tranquille, ma buoni a nulla “
(Tucidide, Trad L. Canfora, 1986-Altre traduzioni rendono il termine greco con il più forte ed
eloquente inutili) . Appare evidente che in questa rappresentazione è esclusa la possibilità che un
cittadino possa sentirsi interessato alla politica, ma ritenere comunque la politica non rilevante per
la sua vita.
Van Deth ha operativizzato il concetto di salienza della politica ricorrendo ai dati della World
Values Studies del 1990 e dell’Eurobarometro del 1998 relativi ai paesi europei e utilizzando le
domande relative all’importanza di diverse sfere sociali e culturali per l’intervistato (famiglia,
religione, lavoro, tempo libero, attività sociali e per l’appunto politica). La sua analisi mostra come
coloro che dicono di avere un elevato interesse per la politica, ma attribuiscono una rilevanza alla
politica relativamente minore delle altre attività in cui un cittadino può essere coinvolto, sono meno
disponibili a forme di impegno politico, ma sviluppano un maggiore livello di attività in
organizzazioni sociali. Essi infine appaiono dotati di un elevate risorse sia in termini di istruzione
che di reddito. La conclusione empirica che si può trarre dalla sua analisi è che non esiste un
collegamento diretto tra capitale sociale e partecipazione politica.
L’European Social Survey del 2002 ci consente di testare anche per l’Italia il legame non
diretto tra interesse per la polita e modalità di attività politica più costose in termini di tempo della
partecipazione sociale. Il punto di partenza di questa analisi è offerta dalla figura 1.3 dove viene
mostrato il punteggio medio e la deviazione standard che assumono diverse sfere di attività o
impegno per gli italiani e per gli europei in generale.
(qui figura 1.3)
Non inaspettatamente la famiglia ottiene il punteggio medio più alto e la politica quello più
basso, tanto in Italia che in Europa. Va anche sottolineato che la religione e la politica sono le sfere
sociali alle quali i cittadini tendono ad attribuire punteggi più vari di importanza, come risulta dalla
deviazione standard. La figura 1.3 ci mostra tuttavia solo l’importanza assoluta e non quella relativa
delle diverse sfere sociali. In particolare non ci mostra la posizione relativa della politica rispetto
alle altre sfere. Abbiamo quindi costruito una scala relativa di importanza della politica i cui
punteggi variano da 0 (nessuna importanza della politica rispetto alle altre attività) a 41(massima
importanza alla politica rispetto alle altre attività)8. La scala di importanza relativa è stata divisa in
quartili, e si è infine provveduto a classificare tutti gli intervistati in quattro categorie, seguendo in
ciò Van Deth:
1.
Coloro che si sono dichiarati molto o abbastanza interessati per la politica e in base al
punteggio sulla scala di importanza relativa della politica si collocano nel quartile più elevato. Ho
chiamato costoro interessati alla politica e con elevata salienza della stressa
2.
Coloro che si sono dichiarati molto o abbastanza interessati alla politica e si
collocano nei tre quartili più bassi della scala di rilevanza della politica. essi sono interessati ma con
relativamente bassa salienza della politica
3.
Coloro che si dichiarano poco o nulla interessati ma mostrano di attribuire un elevata
salienza alla politica
4.
Coloro che si dicono poco o nulla interessati alla politica e reputano poco o nulla
rilevante la politica per le loro vite.
La distribuzione di questa classificazione è mostrata nella tabella 1.7.
Tab. 1.8 Una classificazione in base all’interesse e la rilevanza relativa della politica
Classi
%
Interesse e politica rilevante
17,0
Interesse ma politica irrilevante
16,0
Politica rilevante ma non interesse
7,5
Né interesse né politica rilevante
59,5
(N)
1168
Come si diceva poco sopra, Van Deth (1999) mostra nel suo lavoro che chi manifesta
interesse per la politica, ma valuta tale sfera di attività non rilevante per la sua vita,
comparativamente alle altre sfere di attività, ha più risorse in termini di reddito, ha più istruzione e
tende ad essere coinvolto di più in attività sociali, come volontariato sociale, gruppi religiosi o
gruppi femminili, mentre è meno coinvolto in attività politiche quali iscrizioni ai partiti sindacati e
partecipazione ai movimenti.
In questa sede ci siamo limitati ad analizzare alcune delle caratteristiche dei quattro gruppi di
cittadini che abbiamo isolato rispetto al numero di azioni politiche, al di là del voto, al numero di
attività in organizzazioni sociali. Le prime includono contattare un politico, lavorare in partito,
indossare un distintivo, firmare una petizione, prendere parte ad una manifestazione legale,
partecipare ad una campagna di boicottaggio, dare denaro a qualche organizzazione politica, essere
vicino ad un partito e partecipare negli ultimi mesi a qualche azione illegale. Le seconde includono
essere iscritto, partecipare alle attività o dare del denaro ad organizzazioni sportive, culturali, del
8
La scala di importanza relativa è stata costruita nel seguendo modo. Ho anzitutto costruito una scala di importanza
complessiva sommando tutte i punteggi validi attribuiti alle diverse scale di importanza. Poi ho diviso i punteggi della
scala di importanza della politica per i punteggi di tale indice complessivo, moltiplicando il risultato per 100.
tempo libero, di volontariato di consumatori ambientali, di promozione dei diritti umani, religiose e
scientifiche.
I risultati della nostra analisi sono presentati nella tabella 1.8, assieme al profilo dei quattro
gruppi circa il genere, il livello di istruzione e la fiducia politica esterna
Tab. 1.9 Punteggi medi delle attività, atteggiamenti e caratteristiche dei quattro gruppi
La politica è:
Attività politica (da 1 a 10)
Attività sociali ( da 1 a 9)
Genere (1=M; 2=F)
Anni di istruzione
Fiducia nei politici (0 bassa; 1 alta)
Fiducia nel Parlamento (0 bassa; 1
alta)
Interessante e Interessante ma Rilevante ma
Irrilevante e non
rilevante
irrilevante
non interessante interessante
2,5
1,8
0,6
0,7
1,2
1,3
0,6
0,7
1,6
1,6
1,4
1,4
13,5
11,9
9,2
9,7
0,3
0,3
0,2
0,1
0,5
0,5
0,4
0,4
F
***71,5
***19,0
***18,0
***35,1
***17,5
***6,3
Nota: I valori retinati in grigio sono statisticamente diversi dal precedente o dal seguente
valore; *** significativo allo 0001
La nostra analisi conferma in gran parte, ma non in toto, i risultati di Van Deth. Come nella
sua analisi i livelli maggiori di attività politica vengono raggiunti dal gruppo di coloro per i quali la
politica è interessante e rilevante. Il che significa che a promuovere l’impegno politico non basta
l’interesse per la politica, ma anche che alla politica venga attribuito un’importanza o superiore o
almeno parti a quella delle altre sfere di impegno. A differenza di quanto trovato da Van Deth,
tuttavia tra chi giudica la politica interessante ma irrilevante non emerge una maggiore propensione
alle attività sociali statisticamente significativa. Nemmeno emerge che essi sono più istruiti. I
risultati mostrano invece che essi sono coinvolti in attività sociali come gli altri e hanno un livello
di istruzione pari. Infine in Italia la fiducia politica esterna sembra limitata in tutti le categorie, a
differenza di quello che aveva trovato Van Deth analizzando tutti i cittadini europei intervistati nel
1990 e nel 1998.
I risultati della analisi da noi condotta non tolgono tuttavia interesse alla sentiro di ricerca.
Mostrano infatti che è utile concepire la mobilitazione cognitiva come un fascio di atteggiamenti
multidimensionale. E che nelle società contemporanee l’interesse per la politica non esclude una
posizione da spettatore della politica.
5. Invece di conclusioni
Quanto precede non consente di raggiungere alcunchè di conclusivo. Mi sembra utile tuttavia
riassumere il senso di questo tentativo e fissare tre punti.
Il senso del lavoro è presto detto. Da diversi anni si è consolidato un paradigma teorico secondo il
quale le nostre democrazie stanno attraversando una situazione di crisi, da cui si può uscire solo
nella direzione di una maggiore coinvolgimento dei cittadini. Questo starebbe anche nelle
aspettative di larghe fasce di questi ultimi, aspettative modellate dallo sviluppo di una cultura dove
da un lato la tradizionale deferenza per l’autorità in genere e per quella politica in particolare
sarebbe venuta meno e dall’altro sarebbero cresciute le competenze dei cittadini. E’ possibile che il
primo fenomeno sia avvenuto. Quanto alle seconde i dati raccolti in questa sede sembrano indicare
tre cose: (1) che solo una minoranza può dirsi veramente mobilitata cognitivamente; (2) che
probabilmente non vi è stata l’attesa espansione del coinvolgimento politico, nonostante che oggi
risorse come l’istruzione siano più diffuse di ieri; (3) che l’interesse per la politica non è l’unica
molla, a livello individuale, della partecipazione politica.
Fig. 1.1 Collocazione sulla scala Sinistra-destra di 14 partiti e di due coalizioni tra tre tipi di
interesse per le cose politiche
10,0
9,0
8,0
Interesse politico e int. per 4 temi alla politica
Collocazione media
7,0
Senza interesse pol. ma interesse per 4 temi
6,0
Senza interesse pol.ma interesse da 3 a zero
temi
5,0
4,0
3,0
2,0
Partiti e coalizioni
M
SI
An
Fi
D
L
C
N
or
d
U
dc
Le
ga
U
de
ur
Pa
nn
el
la
Sd
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M
ar
gh
er
Ve
rd
i
liv
o
U
s
D
Pd
ci
R
ifo
nd
az
io
ne
1,0
Fig. 1.2 Discutono di politica, si dichiarano interessati alla politica, sono interessati alla politica e
informati più della media
35,0
30,0
25,0
20,0
%
Discute frequentemente di politica
Si dichiara interessato
Interesse e conoscenza
15,0
10,0
5,0
Anni
20
04
20
01
19
98
19
96
19
94
19
92
19
90
19
88
19
86
19
84
19
82
19
80
19
78
19
76
19
73
0,0
Fig. 1.3 Importanza di diverse sfere sociali in Italia e in Europa
4,0
10,0
9,0
3,5
8,0
3,0
2,5
6,0
2,0
5,0
4,0
1,5
3,0
1,0
2,0
0,5
1,0
0,0
0,0
Famiglia
Lavoro
Amici
Tempo Libero
Sfere sociali
Religione
Volontariato
Politica
Deviazioni Standard
Punteggi medi
7,0
Italia (media)
Europa media)
Italia (dev.)
Europa (dev.)