Interazioni idrofobiche e assemblaggio di macromolecole

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Interazioni idrofobiche e assemblaggio di macromolecole
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI ROMA TRE
FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI
CORSO DI LAUREA IN FISICA
Tesi di laurea triennale in Fisica
INTERAZIONI IDROFOBICHE E
ASSEMBLAGGIO DI MACROMOLECOLE.
Relatore
Prof. M. A. ricci
CANDIDATO
NICOLETTA LIGUORI
ANNO ACCADEMICO 2008-2009
A Riccardo
1
INTRODUZIONE.
Più se ne studiano le peculiarità, più l’acqua si rivela un liquido sorprendentemente speciale.
Basti pensare all’ingente quantità di pubblicazioni interessate ad esempio all’effetto idrofobico, per
scoprire come studiosi del calibro di Chandler [1,2], Pratt [3,4], Hummer [3,4,5] e via dicendo,
siano da più di mezzo secolo interessati a carpire ogni singolo aspetto di tale fenomeno, uno dei più
importanti riguardanti l’acqua.
Comprenderne l’importanza non è difficile dato che, tra le altre cose, l’effetto idrofobico è la causa
principale dell’assemblaggio proteico, della formazione di micelle, bistrati e molte macrostrutture
importanti per svariati settori di medicina, biologia, chimica, nano strutture e altri ancora.
È per questo motivo che ho deciso di approfondire nel mio lavoro di tesi i concetti fondamentali
riportati nell’articolo pubblicato su Nature (vol.437, 29/09/2005) da David Chandler:
“Interfaces and the driving force of hydrophobic assembly” [1].
In particolare questo articolo illustra il processo di solvatazione di composti apolari e anfifilici al
variare delle dimensioni e dello stato del sistema.
Tale processo può comportare la formazione di interfacce in vicinanza delle quali si verificano delle
fluttazioni di densità dell’acqua ( tipiche delle superfici liquido-vapore) e un insieme di fenomeni ad
esse collegate, che costituiscono la base per l’assemblaggio di strutture idrofobiche.
Presenterò una breve rassegna delle principali caratteristiche del processo di assemblaggio
idrofobico, dal punto di vista termodinamico, illustrando i concetti su cui si sono sviluppate le
ricerche dell’ultima metà del secolo scorso e le simulazioni al computer e gli esperimenti che hanno
permesso di dare una spiegazione al comportamento anomalo di composti idrofobici o anfifilici in
acqua.
2
SOSTANZE IDROFOBICHE, IDROFILICHE, ANFIFILICHE .
Per poter capire l’effetto idrofobico e quindi perché la solvatazione in ambiente acquoso di
determinate sostanze comporti questo fenomeno, bisogna dapprima avere chiara una descrizione
generale delle molecole d’acqua e del come i vari tipi di sostanze interagiscano con essa.
Data una molecola d’acqua H2O, i legami covalenti polari tra i suoi atomi, orientati ad un angolo di
104,45° l’uno dall’altro, producono un momento di dipolo elettrico risultante pari a 1,847 D =
6,17 ⋅ 10 −30 C ⋅ m .
Figura
1:
rappresentazione
grafica
della
disposizione angolata degli atomi di una
Figura 2: configurazione elettronica
tetraedrica della molecola d’acqua, [6].
molecola d’acqua. Sono indicati l’angolo tipico
del legame intramolecolare H-O-H pari a
104,45°, le cariche parziali
δ±
dislocate sugli
atomi a causa della differenza di elettronegatività
e la lunghezza del legame covalente H-O, [6].
Nel liquido a temperatura ambiente, ciascuna molecola d’acqua può formare fino a un massimo di 4
legami idrogeno, dando luogo a una rete estesa di legami del tipo mostrato in fig. 3.
Figura 3: rappresentazione schematica dei 4 legami a
idrogeno formati da una molecola d’acqua.
Le sfere nere e grigie rappresentano rispettivamente gli atomi
di ossigeno e d’idrogeno. Le molecole di tipo A e B
costituiscono i vicini donatori rispettivamente di coppie
solitarie di elettroni agli idrogeni dell’atomo centrale, e di
atomi di idrogeno all’ossigeno in posizione centrale.
L’angolo γ è l’angolo H-O….O del legame a idrogeno
intorno all’atomo di ossigeno della molecola centrale, mentre
θ è l’angolo compreso tra le due molecole A e B vicine
all’atomo centrale,[7].
3
L’acqua date le caratteristiche polari delle sue molecole si classifica come solvente polare; quando
in essa solvatiamo soluti polari, le interazioni tra i due sistemi porteranno le molecole d’acqua a
circondare quelle del soluto.
In figura il caso di un composto ionico disciolto come NaCl.
Figura 4: solvatazione di
NaCl. Sfera d’idratazione
intorno allo ione Na, [6].
Bisogna fare una distinzione tra solvatazione e dispersione: in effetti, mentre la prima porta il
soluto a interagire con il solvente nel modo sopra descritto, il che avrà per risultato una soluzione
omogenea, la seconda indica la situazione in cui il sistema finale è costituito da più fasi eterogenee
(se il disperdente è liquido si ottengono le emulsioni, come nel caso dell’olio in acqua, oppure
sospensioni e schiume nei casi di oggetti dispersi solidi o gassosi) .
Nel caso di soluti apolari (o idrofobici) l’acqua è un cattivo solvente ma, come vedremo, dotato di
caratteristiche particolari.
Per definizione una superficie è idrofobica se l’angolo di contatto α è superiore a 90°, definizione
equivalente tra l’altro a quella di superficie non bagnabile.
Molecole idrofobiche sono molecole pressocchè apolari come idrocarburi, olii e grassi in genere.
Sono praticamente insolubili in acqua mentre lo sono in solventi apolari.
Se α ≤ 90° allora la superficie in questione è per definizione idrofilica.
Figura 5: in figura due esempi di goccia di liquido su un piano solido. L’angolo di contatto è α e nell’esempio
rappresenta l’angolo formato tra l’interfaccia liquido-vapore della goccia e la superficie solida,[8].
4
Le molecole anfifiliche sono composti formati da sia da gruppi idrofobici che idrofilici.
La parte idrorepellente è generalmente formata da catene alchiliche contenenti atomi sia di carbonio
che di idrogeno.
La solvatazione di molecole di questo genere in acqua può portare alla formazione di aggregati
supramolecolari una volta raggiunta la concentrazione micellare critica(1) (CMC).
Questi aggregati possono strutturarsi in vario modo: bistrati, micelle, liposomi e via dicendo, ma in
seguito si prenderà in considerazione solo la formazione di una micella in soluzione acquosa,
ovvero una vescicola composta da molecole anfifiliche con le code idrofobiche orientate verso
l’interno e le teste idrofiliche verso l’esterno.
Figura 6: sezioni di strutture anfifiliche supramolecolari formate in fase acquosa da fosfolipidi, molecole organiche
anfifiliche, [9].
(1) Concentrazione micellare critica (CMC): valore della concentrazione di tensioattivi in soluzione per il quale i
monomeri solvatati iniziano a formare una micella.
5
ƒ
IDRATAZIONE DI PICCOLI E GRANDI SOLUTI.
In questa trattazione dell’effetto idrofobico, piccoli e grandi soluti saranno modellizzati con sfere
ideali e con sfere rugose ideali e il potenziale generato da esse sarà quello di sfera dura, il cui
andamento è riportato in figura:
Figura 7: andamento del potenziale di sfera dura in funzione della distanza r dal centro dell’atomo, [10].
Possiamo immaginare che il processo di solvatazione di queste particelle in acqua avvenga in due
fasi: la creazione di cavità dal cui volume verranno quindi escluse le molecole d’acqua, la
riorganizzazione delle molecole sulla superficie della cavità, allo scopo di circondare conservando i
legami a idrogeno il più possibile intatti.
La peculiarità dell’effetto idrofobico è quella di dipendere non dalla forma dei soluti idrofobici
solvati in acqua, bensì dalla loro dimensione.
Nei casi d’idratazione di piccoli e grandi soluti avremo quindi due diversi comportamenti
dipendenti dal fatto che le molecole d’acqua, non potendo formare legami con le sostanze in
questione poiché apolari, tenderanno a preservare al meglio l’integrità dei legami con le altre
molecole d’acqua, circondando le cavità ed eventualmente formando delle interfacce.
Vediamo nella figura seguente cosa accade nei due differenti casi :
Figura 8: i dischi rossi,blu e bianchi rappresentano rispettivamente le molecole idrofobiche, gli atomi di ossigeno e
quelli di idrogeno. I due casi illustrati a sinistra e a destra sono quelli di un piccolo e di un grande soluto. Le linee
tratteggiate raffigurano i legami a idrogeno, [1].
6
Nelle due immagini precedenti possiamo riconoscere quello che avviene ad esempio
rispettivamente nella solvatazione di una molecola di metano e in quella di un cluster idrofobico
contenente 135 particelle dello stesso composto, aggregate a formare un’unità sferica rugosa di
raggio maggiore di 1 nm.
È deducibile subito l’attitudine dell’acqua a minimizzare le perdite di legami a idrogeno
allontanandosi dall’aggregato di dimensioni maggiori.
Nel primo caso invece non è difficile risolvere il problema ed infatti il liquido si riorganizza
circondando con i suoi legami le piccole particelle disciolte, dove per piccole intendiamo di raggio
inferiore a 0,5 nm.
Perché è importante la grandezza delle cavità nell’organizzazione della rete di legami?
Ovviamente la risposta è che un soluto di grande volume supera la naturale elasticità dei legami a
idrogeno e non permette alle molecole d’acqua di continuare a interagire tra di loro senza
modificare la loro organizzazione spaziale.
Le distanze su cui le molecole d’acqua si influenzano l’un l’altra sono facilmente desumibili
dall’analisi delle funzioni di correlazione per atomi di idrogeno ed ossigeno appartenenti a due
molecole d’acqua distinte.
Di seguito riportiamo gli andamenti delle funzioni di correlazione radiale, g(R), ottenuti
sperimentalmente in condizioni ambiente.
Figura 9: andamento di G(R) in
condizioni ambiente (P=1 atm T= 298,15
K) in funzione della distanza R tra i due
atomi appartenenti a molecole di H2O
distinte.
Le linee continue sono il risultato di
misure sperimentali, quelle tratteggiate di
diversi tipi di simulazione.
I due massimi indicano per ciascuna
funzione la posizione più probabile dei
primi e secondi atomi vicini a quello
posto nell’origine del sistema di
riferimento.
Come centro da cui calcolare la distanza
R s’intenda il primo atomo in pedice alla
G(R), [7].
7
Queste funzioni possono essere interpretate come la probabilità di trovare ad una distanza R dal
centro di un atomo, un altro atomo (il secondo riportato in pedice).
Per la definizione di funzione di correlazione rimando all’appendice.
Guardando i massimi delle tre funzioni di correlazione si deduce che le distanze su cui
interagiscono gli atomi di molecole d’acqua distinte siano tra gli 0,3 e gli 0,5 nm all’incirca.
Dopo il secondo picco la g(R) tenderà a 1, avendo l’atomo sicuramente qualche altro atomo nel suo
intorno sferico di raggio R >> 0,5nm .
Per l’interpretazione dei due picchi di massimo, possiamo pensare che solo fino alle prime shell si
può considerare ancora ordinata la struttura del liquido intorno alla molecola presa come origine;
allontanandosi dal centro di quest’ultima le forze esercitate dalle molecole esterne saranno sempre
più schermate da quelle appartenenti alle prime shell e quindi si andrà verso una densità di particelle
che tende a quella di un liquido ideale, ovvero costante.
Trovate quindi le distanze su cui si esercitano le interazioni tra molecole d’acqua vicine,
possiamo dedurne che, cavità con raggi inferiori agli 0,5 nm, non costringono le molecole d’acqua
di idratazione ad allontanarsi troppo l’una dall’altra, ma procurano solo una distorsione della rete di
legami idrogeno.
Questo comporterà soprattutto un cambiamento d’entropia del sistema, come vedremo nella
trattazione termodinamica, dal momento che aumenta il grado di disordine della rete di legami
idrogeno.
Nel caso della solvatazione di un grande soluto è necessario creare nel liquido una cavità con una
superficie con bassa curvatura che, come già detto, si estenda su un’area di raggio maggiore di 1
nm: ciò comporta la necessità di spezzare sicuramente parte dei legami idrogeno nelle vicinanze
della cavità.
Per minimizzare tali perdite l’acqua si allontana dalla superficie della cavità, ovvero dal soluto.
Questo allontanamento genera un’interfaccia tra la cavità ed il solvente dalle caratteristiche simili a
quelle riscontrate per un’interfaccia tra liquido e vapore.
Ricordiamo che, quando due fasi come quella liquida e di vapore sono in equilibrio, la pressione
parziale di quest’ultimo raggiunge il valore della cosiddetta tensione di vapore γ per quella data
temperatura.
Questo parametro ci sarà utile per determinare l’energia libera di dissoluzione.
8
In base al comportamento dell’acqua di fronte ai diversi tipi di soluti, possiamo definire le cavità
bagnate o asciutte.
L’accezione con cui intendiamo questi attributi è più descrittiva che puramente formale.
In effetti la definizione di bagnabilità per superfici equivale a quella data precedentemente per
superfici idrofobiche e idrofiliche, misurandosi anch’essa tramite l’angolo di contatto.
Da un altro punto di vista possiamo dare un’ulteriore sfumatura a questi due attributi:
Figura 10: funzioni di correlazione per molecole d’acqua (in blu nell’immagine superiore) e cavità sferiche a distanza r
+ R in acqua liquida in condizioni standard. Le linee continue rappresentano il comportamento di un soluto idrofobico
ideale con potenziale di sfera dura, quelle tratteggiate invece la situazione in cui il soluto sferico ideale esercita anche
forze attrattive sulla molecola d’acqua quali quelle di van der Waals, come nel caso olio più acqua, [1].
Guardando gli andamenti delle funzioni g(r+R) in fig.10, equivalenti alla densità media d’equilibrio
dell’acqua a distanza r + R dalle cavità di raggio R (<ρ(r+R)>= ρg(r+R)), notiamo come solo nel
caso R = 0,4 nm si verifichi un aumento della densità nelle vicinanze della cavità.
Questo è intuitivo pensando che per poter mantenere saldi i legami le molecole si avvicinino
maggiormente alla piccola cavità, come in un “abbraccio” sempre più forte.
Nei casi R= 10 nm e R= 100 nm vi è invece un netto abbassamento nel valore della funzione mentre
possiamo considerare R= 1 nm un caso intermedio.
9
Questi grafici danno la riprova della tendenza dell’acqua ad allontanarsi da grandi soluti idrofobici,
e quella contraria con i piccoli, possiamo quindi intendere i due casi estremi, in senso lato, come il
fatto che le cavità diventino rispettivamente bagnata e asciutta.
Ovviamente nessun soluto disciolto in acqua potrà mai essere letteralmente asciutto poiché il lavoro
necessario per allontanare lo strato acquoso dalla superficie idrofobica sarebbe proibitivo date le
forze attrive che si esercitano tra acqua e soluto. Considerando però l’estensione della superficie e la
densità nelle sue vicinanze rispetto a quella riscontrata nel caso di 0,4 nm in poi possiamo
considerarla asciutta nel senso descrittivo.
10
ƒ
TERMODINAMICA.
La solvatazione di un composto idrofobico differisce da quella di un qualsiasi soluto polare poiché
in essa non avvengono le classiche reazioni elettrostatiche o chimiche che regolano l’idratazione di
sostanze idrofiliche.
Lo studio della dinamica del processo va quindi condotto in maniera differente, partendo dal
presupposto che questa solvatazione non dipende dal tipo o dalla forma del soluto idrofobico ma,
come vedremo, solo dalle sue dimensioni.
Possiamo quindi ricorrere al più semplice modello che ne rispecchi il comportamento:
come già anticipato, i soluti idrofobici di qualsiasi forma saranno trattati come sfere rigide che
escludano perfettamente, dal volume da loro stessi occupato, i centri delle molecole d’acqua
identificati con gli atomi d’ossigeno.
La meccanica statistica ci suggerisce un metodo adatto allo studio del problema:
la solvatazione è una trasformazione del sistema dallo stato di solvente puro a quello di solvente +
soluto, ad essa sarà quindi associato un cambiamento nell’ energia libera di Gibbs del sistema pari
a ΔG = G fin − Gin , (i pedici indicano gli stati finale ed iniziale).
Questa variazione rappresenta il costo termodinamico necessario a solvatare il soluto.
In figura un esempio di come possiamo ricostruire il processo:
Figura 11: (sinistra) “snapshot” di una simulazione 3D per un ensemble canonico di 343 molecole d’acqua (ne sono
rappresentati solo gli ossigeni) che rappresentano il sistema solvente a T=300K
ρ = 1.0
g
; (destra) sfere rigide di
cm 3
raggio 15 nm (rappresentanti il sistema soluto) inserite successivamente nella configurazione raffigurata sulla sinistra,
[1].
11
Possiamo collegare le variazioni di energia libera con la probabilità d’inserimento per le molecole
di soluto all’interno del solvente [1,3,4,5].
Durante il moto termico, il solvente presenterà dei volumi vuoti e valuteremo la probabilità che
particelle di soluto possano occuparli.
Nel modello a sfere rigide per soluti, la differenza di energia dei microstati ΔE è infinita quando il
solvente occupa la cavità, 0 altrimenti.
Potremo quindi dire che ΔGV è connessa alla probabilità pV (N ) di trovare in un volume V, pari a
quello delle cavità, N particelle di solvente; se N=0, una volta formata la cavità durante il moto
termico del solvente, pV(0) sarà la probabilità che il soluto occupi tale volume.
La meccanica statistica suggerisce di calcolare l’energia libera di solvatazione di una particella
idrofobica di volume V come:
ΔGV = − KT ln( pV (0))
laddove K è la costante di Boltzmann e T la temperatura alla quale avviene il processo.
Pratt, Chandler e i loro collaboratori hanno supposto che per piccoli soluti,
quindi per piccoli V, pV(N) segua una distribuzione quasi esattamente gaussiana:
1 ( ρV ) 2
−
1
pV ( N ) =
e 2
2πχV
χv
dalla quale è possibile ricavare ΔGV in termini del volume V, del numero medio di molecole
d’acqua che lo occupano <Nv>=ρV (momento primo della gaussiana con ρ densità del solvente) e
delle fluttuazioni χ V del numero medio di molecole (momento secondo o varianza).
La sua espressione sarà quindi
⎡ ( ρV ) 2 ⎤
⎤
⎡1
ΔG ≅ KT ⎢
⎥ + KT ⎢ ln(2πχV )⎥ .
χ
2
2
⎦
⎣
V ⎦
⎣
12
L’utilità di aver potuto ricavare una formula del genere per l’energia libera, a partire dalla
supposizione che per piccoli volumi le fluttuazioni nel numero di cavità seguano un andamento
gaussiano, sta nel fatto che la varianza del numero di particelle è ricavabile sperimentalmente, o
meglio tramite simulazioni, essendo nota la forma della χV dalla meccanica statistica applicata ai
liquidi:
χ V =< (δN ) 2 >= ρV + ρ 2 ∫ dr ∫ dr '[ g (| r − r ' |) − 1]
V
V
(questa formula per le fluttuazioni del numero di particelle è legata all’equazione di compressibilità e la
dimostrazione è riportata in appendice).
Al secondo membro,l’integrando contiene la funzione di correlazione di coppia che come abbiamo
già visto, tende ad 1 per r grandi, e di conseguenza l’energia libera di Gibbs avrà un andamento
pressocchè lineare con il volume delle cavità.
Questo approccio al calcolo delle energie libere ha tra i suoi fautori Pratt e Chandler (risultati simili
erano comunque già stati raggiunti in precedenza) e permette di ricavare accuratamente i valori
delle energia libera di solvatazione a partire da dati sperimentali, una volta specificato il volume
delle cavità. Se i risultati non seguono l’andamento teorico previsto, vuol dire che il volume delle
cavità è troppo grande e la probabilità non seguirà la distribuzione Gaussiana proposta.
Si dovrà quindi ricorrere ad un’altra teoria più generale.
Ecco quindi spiegata la proporzionalità tra ΔG e V fintanto che i volumi dei soluti considerati siano
al di sotto di un valore critico (si noti che tale valore è prossimo a 1 nm):
Figura 12: in figura è disegnato l’andamento di
ΔG
, in particolare del contributo di volume, in funzione di R (espresso in nm); le
4πR 2
linee nere raffigurano gli andamenti teorici prima per piccoli e poi per grandi soluti, i pallini blu indicano i risultati sperimentali, [1].
13
Il cambiamento di tendenza nell’andamento del ΔG è dovuto alla formazione di un cluster con una
superficie di raggio talmente grande rispetto alla lunghezza dei legami ad idrogeno, che la rottura di
questi ultimi crea una separazione e quindi un’interfaccia tra le due fasi, similmente a ciò che
accade nella formazione di una superficie liquido-vapore:
in effetti la tensione dell’acqua sull’interfaccia è pari a quella all’equilibrio di fase con il suo
vapore, ovvero la tensione di vapore γ.
Per R → ∞ si può approssimare l’andamento dell’energia libera di solvatazione come segue:
ΔG ≈
4 3
πR p + 4πR 2 γ , dove R è il raggio della cavità in esame, p è la pressione esterna al sistema
3
e γ è la tensione liquido-vapore.
Il primo termine rappresenta il lavoro di volume che deve effettuare il sistema per ampliare la cavità
contro la pressione esterna p, mentre il secondo è il lavoro di superficie.
Poiché il sistema è studiato usualmente a temperatura ambiente, l’acqua si trova vicina al punto
triplo, e perciò nelle simulazioni e negli esperimenti vengono applicate pressioni talmente basse
che il contributo di volume del ΔG è trascurabile fintanto che il raggio R non sia troppo grande.
Possiamo quindi permetterci la successiva approssimazione:
ΔG ≈ 4πR 2 γ valida per raggi superiori a 1 nm, corrispondente al valore critico da cui si passa da un
regime all’altro.
Dimostriamo la validità dell’approssimazione per alcuni valori di R,
con T = 298 K, p= 1 atm, γ = 65,3 mJ/m2 :
1
⎛ J ⎞
Rp ⎜ 2 ⎟
3
⎝m ⎠
(contributo
R (nm)
di
volume
normalizzato
alla
⎛ J ⎞
γ ⎜ 2⎟
⎝m ⎠
Tensione superficiale
superficie)
0,1
3,3 ⋅ 10 −6
65,3 ⋅ 10 -3
1
3,3 ⋅ 10 −5
65,3 ⋅ 10 -3
100
3,3 ⋅ 10 −3
65,3 ⋅ 10 -3
È evidente come per piccoli raggi R del soluto, il contributo di volume sia trascurabile rispetto a
quello di superficie e come invece, al crescere di R, il primo tenda esattamente a valori dell’ordine
di grandezza di γ (come illustra il grafico in figura 12) e quindi non più trascurabili.
14
Dividendo il contributo di volume per l’area dell’aggregato, otteniamo la funzione disegnata nella
figura precedente per valori di R grandi, ovvero quella convergente a γ come dimostrano anche i
dati sperimentali.
Il passaggio da un regime che cresce linearmente con il volume ad uno che cresce linearmente
(nelle condizioni di pressione e temperatura suddette) con la superficie dei soluti idrofobici, è
dovuto al fatto che il termine di tensione di vapore è originato dalla creazione di un’interfaccia che
l’acqua non forma nelle solvatazioni di piccoli soluti.
Questo cambiamento di tendenza nel processo di solvatazione di soluti idrofobici può essere visto
da un ulteriore punto di vista:
-la rete di legami ad idrogeno si può considerare una struttura ordinata, almeno a breve raggio;
-i legami a idrogeno rappresentano una configurazione d’equilibrio per le molecole d’acqua e,
affinchè si spezzino, il sistema necessita di un apporto di energia.
Queste due proprietà indicano che il sistema solvente più soluto potrà evolvere verso una situazione
in cui cambieranno i rapporti energetici oppure varierà l’ordine della configurazione del liquido
puro.
Quando il soluto ha un volume piccolo (R<<1 nm), l’acqua, riorganizzandosi nell’intorno del
soluto, comporterà una ridistribuzione dei legami nello spazio e quindi un cambiamento nella rete di
legami a idrogeno.
Questo è un processo di carattere entropico.
L’inclusione di questi volumi nell’acqua ridurrà inoltre il numero di configurazioni possibili per le
molecole del sistema e significherà un cambiamento verso uno stato più ordinato, ovvero con
diminuzione di entropia (ΔS<0), cambiamento sfavorevole considerando la tendenza naturale di
ogni sistema a raggiungere stati sempre più disordinati a livello microscopico (ΔS>0).
Se invece l’alta densità di soluto ha portato alla formazione di un aggregato, la superficie estesa di
quest’ultimo comporterà la perdita di legami ad idrogeno e quindi necessiterà di una forza
favorevole alla creazione di un’interfaccia che compensi il costo energetico di queste perdite.
Questo processo comporterà quindi soprattutto una variazione di entalpia.
Queste variazioni dell’ordine e dei legami sono descritte dalle seguenti funzioni di stato: l’entropia
S e l’entalpia H, entrambe contenute nell’espressione termodinamica dell’energia libera di Gibbs:
G=H-TS e per trasformazioni a temperatura costante si ha ΔG = ΔH − TΔS .
15
La variazione di energia libera sarà determinata in maniera differente nei due casi (piccoli o grandi
soluti): in uno il contributo prevalente sarà dato dalla variazione dell’entropia, nell’altro
dell’entalpia e il processo finale di assemblaggio sarà determinato dalla differenza tra i due nel
processo in esame.
Rivediamo adesso sotto questa luce l’andamento dell’energia libera:
Figura 13: sul grafico è rappresentato l’andamento di
ΔG
V
in funzione di
, dove V ed S sono il volume e la
S
S
superficie della cavità. Le linee in rosso e in blu indicano che il processo è stato ottenuto a temperature rispettivamente
più alte e più basse, [1].
In figura è descritto quello che avviene nel caso in cui nel solvente acquoso si vogliano disciogliere
N piccoli composti idrofobici, con N che cresce via via.
La natura vuole che particelle idrofobiche solvatate, tendano a riorganizzarsi a formare aggregati,
ovviamente laddove convenga anche all’acqua, e questo lo possiamo vedere proprio dall’andamento
delle variazioni di energia libera.
Per concentrazioni molto basse quest’ultima è additiva, ovvero si ha ΔGtot = nΔG0 , con ΔG0 riferito
al singolo soluto, e quindi, al variare di N, ΔGtot cresce proporzionalmente al volume di soluto
disciolto.
Quando però aumenta la densità del soluto, le particelle iniziano a formare un aggregato e il
ΔGtot diventa proporzionale alla superficie di quest’ultimo. In tal caso l’energia libera di Gibbs
cesserà di essere additiva e consisterà di una parte dipendente dal volume ed una dalla superficie
dell’aggregato.
16
Ciò avviene quando il rapporto V
è abbastanza grande da far si che, come evidenzia l’ampiezza
S
della parentesi graffa in figura 13, la variazione di energia libera sia favorevole all’aggregarsi delle
particelle piuttosto che alla riorganizzazione del liquido.
Proprio quest’ampiezza indica quanto possa essere più favorevole per il sistema avere i soluti
aggregati invece che solvatati singolarmente.
Questo d’altronde è ciò che avviene per i tensioattivi quando, superata una certa concentrazione
critica, trovano vantaggioso formare una micella piuttosto che rimanere dispersi nel liquido.
Si è dimostrato tramite simulazioni che utilizzano solventi di volume finito, che affinché si formi un
aggregato stabile il valore critico che il suo raggio deve superare è proprio 1 nm, altrimenti
l’entropia del sistema, la quale è maggiore nella situazione in cui il soluto è mischiato al solvente in
maniera disordinata piuttosto che riunito a formare un composto, guiderà il soluto alla dispersione
nel liquido.
Tramite simulazioni, Chandler e TenWolde [2] hanno dimostrato che la formazione di globuli da
catene di polimeri non è guidata dalla dinamica della catena stessa tramite le interazioni tra coppie
di segmenti appartenenti ad essa, bensì dalle fluttuazioni di densità dell’acqua nelle vicinanze della
superficie della macromolecola. Queste infatti determinano la forza motrice del collasso della
catena e della formazione di una bolla nell’acqua abbastanza grande da poter permettere
l’inserimento del globulo.
Per misurare sperimentalmente, e quindi non tramite simulazioni, la variazione di energia libera
nella solvatazione in acqua di specie idrofobiche bisogna misurare i cambiamenti di energia nel
trasferire le specie dal loro ambiente naturale ( liquido apolare) all’acqua.
In letteratura si ha un esempio di come prevedere la configurazione che si raggiungerà in soluzione
a partire dal ΔG stimato, con solvatazione di n-alcani con 21 o meno atomi di carbonio ciascuno (nel
seguente esperimento sono stati utilizzati acidi carbossilici con coda alchilica di 21 carboni al
massimo).
Smith e Tanford nel 1972 pubblicarono i risultati di una loro ricerca sugli acidi carbossilici e sul
loro comportamento in soluzioni acquose al variare del numero di carboni appartenenti alla catena
Alchilica [11].
17
Figura 14: andamento di log(Kp) e ΔG al
variare del numero di carboni della coda
alchilica degli acidi.
I pallini bianchi e neri rappresentano
rispettivamente i risultati dei due scienziati e
quelli precedenti di Goodman.
log(Kp) = −
ΔG
, con Kp(2) costante di
KT
equilibrio, [11].
L’esperimento condotto dai due scienziati mirava a riesaminare i risultati ottenuti anni prima da
Goodman il quale, come evidenziano le sue misure nella figura precedente, aveva stabilito che,
l’energia libera di trasferimento di acidi carbossilici da una soluzione acquosa all’eptano liquido
(sostanza apolare e quasi completamente insolubile in acqua), variasse linearmente con il numero di
carboni della catena degli acidi solo fino al quindicesimo elemento.
Smith e Tanford hanno poi trovato che tali risultati erano dovuti al fatto che si era trascurata
l’influenza del PH del solvente acquoso sui risultati sperimentali.
Ripetendo l’esperimento in condizioni controllate, dimostrarono dunque che l’energia libera di
trasferimento era una funzione lineare del numero di particelle almeno fino al C21COOH, ovvero
che questi acidi tendevano difficilmente a formare micelle.
(2) Costante di equilibrio KP: grandezza associata ad una reazione chimica all’equilibrio; si esprime come il rapporto tra
il prodotto delle concentrazioni dei prodotti e quello delle concentrazioni dei reagenti, ciascuna elevata al suo
coefficiente stechiometrico.
Questa quantità chimica si collega alla termodinamica tramite l’equazione ΔG = − KT log( K P ) , laddove ΔG è
0
0
l’energia libera standard di reazione, ovvero quella calcolata in condizioni standard (T=273,15 K, P=100 kPa ≅ 1 atm).
18
•
INTERAZIONI DEBOLI ED INTERAZIONI FORTI.
Fino ad ora abbiamo analizzato solo il ruolo giocato dalle cosiddette interazioni idrofobiche nella
solvatazione di piccole particelle lipofiliche o nella formazione di interfacce come conseguenza
della solvatazione di grandi soluti idrofobici.
In realtà, soprattutto nel caso in cui i soluti siano di tipo anfifilico, danno un contributo alla
soluzione o emulsione risultante anche altri tipi di interazione, che siano esse deboli o forti.
È importante notare che nell’assemblaggio di strutture idrofobiche, nella formazione di interfacce o
nella solvatazione di piccoli soluti in solvente acquoso, l’unica forza motrice è proprio quella
idrofobica.
Le interazioni di cui parlerò in questo paragrafo contribuiscono in maniera differente alla
solvatazione, intervenendo nella dislocazione delle interfacce o nella forma che l’aggregato
prenderà.
In un liquido praticamente incompressibile come l’acqua in cui solo forti interazioni come quelle
dei legami ad idrogeno possono influenzare la struttura del liquido, è difficile immaginare che
interazioni deboli come quelle di van der Waals possano avere effetti.
Dei cambiamenti invece li apportano, ed uno di questi è visibile in figura 10, laddove la funzione
g(r+R) cambia il suo andamento da quello teorico in linea continua a quello in linea tratteggiata
proprio a causa della presenza di interazioni deboli attrattive.
Le interazioni di van der Waals che si esercitano tra soluti idrofobici e solvente sono importanti nei
casi in cui i soluti siano grandi, mentre sono trascurabili nei casi in cui siano piccoli.
Le correzioni da apportare alla variazione di energia libera sono:
ΔG = ΔGV + ρ ∫ drg V ( r )u ( r )
Dove ρ è la densità del soluto, g V (r ) la densità media relativa del solvente in presenza ed in assenza
della cavità, e u(r) il potenziale di van der Waals agente sul solvente nella posizione r.
Poiché il potenziale è negativo, il contributo di queste interazioni alla solvatazione è favorevole alla
solvatazione.
Rimane comunque un contributo trascurabile e perciò anche se l’ultimo termine al secondo membro
scala con la superficie del soluto, l’energia libera totale continua ad essere lineare con il volume
(per piccoli soluti).
19
Nel caso di grandi cavità si è già notato come la presenza di forze attrattive tra l’aggregato
idrofobico e l’acqua determini un incremento della densità del solvente nei pressi della superficie
del soluto.
Si potrebbe quindi definire bagnato l’aggregato in questione, secondo il linguaggio descrittivo
utilizzato in precedenza, ma bisogna notare un altro particolare:
le forze attrattive deboli tra i due sistemi, avvicinando l’interfaccia all’aggregato, aumentano non
solo la densità dell’acqua nei pressi del soluto, bensì anche l’entità delle fluttuazioni del numero di
particelle di solvente.
Maggiore l’attrazione tra aggregato e acqua, maggiore il numero di fluttuazioni.
Un soluto che possa definirsi bagnato non prevede un valore notevole di fluttuazioni ed è per questo
motivo che continueremo a immaginare asciutta una grande cavità.
Quando si considera la tensione superficiale γ non si deve trascurare la componente attrattiva, ed in
effetti per l’acqua la superficie olio-acqua è minore di quella liquido-vapore del 20%.
Le interazioni forti danno un contributo importante all’auto-assembaggio di molecole anfifiliche.
L’effetto principale di tali forze è una localizzazione delle molecole d’acqua e conseguentemente
una limitazione delle fluttuazioni del numero di queste ultime.
Si formerà un’aggregato mesoscopico nel quale le repulsioni tra le parti polari collocate sulla
superficie esterna del cluster saranno parzialmente stabilizzate dalle interazioni idrofobiche.
Per affrontare il calcolo della variazione di energia libera di Gibbs ΔG, si può ricorrere agli stessi
ragionamenti fatti in precedenza per molecole idrofobiche, aggiungendo il contributo dato dalle
componenti idrofiliche.
Considerando che l’ambiente naturale per composti idrofilici è ovviamente l’acqua, la variazione
totale di energia libera nel processo di solvatazione di molecole anfifiliche sarà praticamente
equivalente a l’energia libera di trasferimento gtrans delle parti idrofobiche da un solvente oleoso
all’acqua.
Il ΔGn totale di formazione di una micella costituita da n molecole anfifiliche conterrà quindi il
contributo -ngtrans.
Alle forze motrici dell’assemblaggio della micella, quali quella idrofobica che porta le code
idrofobiche a minimizzare il contatto con il solvente o le interazioni forti tra teste idrofiliche e
acqua, si contrappongono due contributi negativi:
20
uno di tipo entropico dovuto alla riduzione di configurazioni disponibili per le molecole anfifiliche
a causa della localizzazione delle code idrofobiche all’interno della micella e viceversa per le teste
idrofiliche; il secondo invece è dovuto lavoro necessario per la formazione dell’interfaccia
conseguente alla nascita dell’aggregato (contributo di tipo entalpico).
Guardiamo un esempio di aggregato anfifilico e di molecole dello stesso tipo solvatati in acqua:
Figura 15: rappresentazione di molecole
anfifiliche le cui teste idrofiliche sono colorate in
blu, e le code idrofobiche in rosso.
I parametri δ, α, L indicano rispettivamente:
la lunghezza e la larghezza della molecola, e il
raggio dell’aggregato supponendo che abbia una
forma di sfera rugosa, [1].
Considerando gli aggregati anfifilici delle sfere rugose come in figura, il raggio della micella è di
conseguenza L ≅ (α 2δ )3 (n )3 , laddove n indica il numero di molecole che costituiscono la micella.
1
1
La crescità della micella è però limitata dall’entropia del sistema soluto che sfavorisce il processo di
assemblaggio come detto in precedenza; per n grandi si continueranno a formare tante micelle
mentre in soluzione rimarrà costante la concentrazione di molecole anfifiliche solvatate al valore
della concentrazione micellare critica.
21
CONCLUSIONI.
Le caratteristiche dell’effetto idrofobico descritte in questo lavoro di tesi, riguardano i modelli e i
metodi utilizzati per l’analisi di tale fenomeno.
L’importanza del ruolo che l’acqua riveste nei processi di interazione con molecole idrofobiche o
anfifiliche risulta forse ancor più evidente dallo studio delle applicazioni dell’effetto idrofobico.
La teoria riportata in questa tesi è la più semplice tra tutte quelle formulate e non tiene conto di
ulteriori tipi di interazione tra soluto e solvente oltre al potenziale di sfera dura.
Nella biofisica ad esempio sarebbe utile trovare un modello applicabile all’interazione proteinaproteina: quelli utilizzati fino ad ora da una parte non sono applicabili a soluti di forma complicata,
dall’altra non tengono conto della presenza di radicali idrofilici sulla superficie delle proteine.
Queste differenze probabilmente porteranno l’aggregato ad avere una forma finale diversa da quella
prevista e a non potersi considerare completamente asciutto come avviene per grandi cluster
idrofobici.
Un altro campo d’applicazione interessante per l’effetto idrofobico è certamente la scienza dei
materiali.
Nella crescita di nanostrutture su substrati tramite evaporazione del solvente ad esempio, si ha la
necessità di considerare la variabile tempo che ancora la teoria dell’effetto idrofobico non
comprende.
Le problematiche nascono dalla competizione tra le scale di tempo di evaporazione del soluto e di
diffusione sul substrato delle nanoparticelle solvatate.
Gli articoli studiati per questa tesi arrivano fino al 2006 ma la ricerca in questo campo non accenna
a fermarsi, favorita dalla grande quantità, varietà e complessità di soluzioni acquose esistenti in
natura dove sia possibile riconoscere e studiare le peculiarità dell’effetto idrofobico.
22
APPENDICE
LA FUNZIONE DI DISTRIBUZIONE RADIALE A COPPIE g(r) E L’EQUAZIONE DI
COMPRESSIBILITA’ [12].
Vogliamo adesso dimostrare com’è possibile ricavare l’equazione trovata in precedenza:
χ V =< (δN ) 2 >= ρV + ρ 2 ∫ dr ∫ dr '[ g (| r − r ' |) − 1]
V
V
equivalente alle fluttuazioni del numero di particelle del solvente.
Bisogna ricorrere alla meccanica statistica ed in particolare studiare il sistema nell’ensemble gran canonico.
Ricordiamo che l’ensemble gran canonico è l’unico insieme che prevede che il sistema possa scambiare
particelle con l’ambiente ( reservoir) e che quindi possano verificarsi fluttuazioni nel loro numero.
Per introdurre l’ensemble gran-canonico partiamo dalla situazione in cui il sistema e il suo reservoir siano
descritti da un ensemble canonico e si trovino ad una determinata temperatura T.
Avremo che il volume totale sarà V = VS + VR e il numero di particelle totali N = NS + NR ,
( NR>> NS) , laddove i pedici S e R indicano rispettivamente Sistema e Reservoir.
Il sistema può scambiare particelle con il reservoir.
Nell’ensemble gran canonico la densità di n-particelle è espressa dalla seguente funzione:
ρ
(n)
1
(r1 ...rN ) =
Z GC
∞
ZN
− βU ( r N )
dr
...
dr
e
∑
, con Z funzione di partizione.
∫ n+1 N
N ≥n ( N − n)!
La densità è normalizzata in modo tale che:
∫ρ
( n)
dr n =
N!
( N − n)!
Di conseguenza:
n=1
∫ρ
(1)
dr 1 = N
n=2
∫ρ
( 2)
(r1 , r2 )dr1dr2 = N ( N − 1) = N 2 − N
(1)
(2)
23
Si definisce funzione di distribuzione radiale a coppie, o funzione di correlazione, g2(1,2):
g 2 (r1 , r2 ) =
ρ 2 (r1 , r2 )
.
ρ 1 (r1 ) ρ 1 (r2 )
Considerando che:
-in un sistema omogeneo la densità non dipende da r e per n=1
ρ 1 ( r) =
N
V
= ρ (ρ è la densità del sistema)
(3)
-in un sistema isotropico, poiché la densità calcolata non deve dipendere dalla particella presa in
considerazione si ha:
ρ 1 (r1 ) = ρ 1 (r2 ) = ρ
(4)
La g(r) diventa funzione solo del modulo della distanza tra le due particelle (per questo è una funzione
radiale):
g(r) = g (| r2 − r1 |) =
ρ 2 (| r2 − r1 |)
ρ2
Si dimostra che
lim r2 − r1 →∞ ρ 2 (r2 , r1 ) = ρ 1 (r2 ) ρ 1 (r1 ) + O (
1
)
N
e di conseguenza:
lim r →∞ g ( r ) = 1 + O (
1
)
N
24
Se volessimo invece definire intuitivamente la funzione di distribuzione radiale g(r), potremmo dedurre le
sue caratteristiche guardando il seguente grafico:
Figura 16: andamento della funzione di distribuzione di coppia g(r) in funzione della distanza dal centro di
una particella circondata da un sistema di altre particelle di pari diametro. Prima e seconda shell individuano
la posizione più probabile dei primi e secondi vicini, [13].
Nella figura precedente è illustrato l’andamento della g(r) per un sistema di particelle materiali, ad esempio
di molecole d’acqua.
Potenziali duri come quello considerato impongono che sia nulla la probabilità di trovare una particella entro
il volume di quella presa come origine e quindi la g(r) è diversa da zero solo per r maggiori del raggio della
sfera centrale.
La prima informazione che la funzione g(r) reca, una volta fissata una particella come origine del sistema di
riferimento, è dunque la distribuzione delle particelle nello spazio circostante l’origine poiché i picchi
indicano le posizioni in cui si trovano con maggiore probabilità le molecole vicine.
Si dimostra inoltre che la funzione di distribuzione si può esprimere come:
(1)
g ( r ) = e − βφ ( r )
con Φ(r) potenziale di forza media tale che F1 = −∇1 (φ (r )) è la forza media esercitata dal sistema sulla
particella presa come origine (allontanandosi dal centro, tale forza sarà schermata sempre più dai gusci
(shell) concentrici all’origine formati dalle particelle).
25
Studiando l’andamento della g(r) traiamo dunque informazioni anche sulle interazioni tra la molecola presa
in considerazione e quelle circostanti:
poichè il potenziale che descrive il campo di forze tende a zero per r grandi, l’esponenziale della (1) tende ad
1 e abbiamo trovato un’altra spiegazione per l’andamento della g(r).
Nello stesso tempo sappiamo che, annullandosi il potenziale a grandi distanze, il liquido in quelle regioni il
solvente avrà le caratteristiche di un liquido ideale e la sua densità tenderà a ρ:
è questa una nuova dimostrazione che g(r), indice delle deviazioni della densità del sistema dalla ρ del
liquido ideale, dovrà tendere a 1.
Adesso che abbiamo introdotto la funzione g(r) vediamo com’è possibile ricavare l’espressione trovata in
precedenza per la varianza χV del numero di particelle di solvente (nell’approssimazione di piccolo soluto).
Definiamo scarto quadratico medio o varianza del numero di particelle:
χ V = ΔN 2 = N 2 − N
2
= N + N ( N − 1) − N
2
=
(ricordando le formule (1), (2), (3) introdotte in precedenza)
(
)
= ρV + ∫ dr1 ∫ dr2 ρ 12 (r1 , r2 ) − ρ 1 (r1 ) ρ 1 (r2 ) =
V
V
(dalla definizione di g(r) della (4) )
= ρV + ρ 2 ∫ dr1 ∫ dr2 [g (| r2 − r1 |) − 1]
V
V
26
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI.
1.
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2.
TenWolde, P.R. & Chandler, D. Drying induced hydrophobic polymer collapse, PNAS, 2002
3.
Hummer, G. Garde, S. Garcia, A.E., Pohorille, A.&Pratt, L.R. An information theory model of
hydrophobic interactions, Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), USA 93, 8951-8955
(1996)
4.
Pratt, L.R., Hummer, G. Garcia, A.E. Molecular theory of hydrophobic effects, Proceedings of the
National Academy of Sciences (PNAS), 1996
5.
Garde, S. Hummer, G. Garcia, A.E. Paulaitis, M. E. & Pratt, L. R. Origin of entropy convergence in
hydrophobic hydration and protein folding, Physical review letters, 1996
6.
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Watermolecule.png#filelinks
7.
Jedlovszky, P. Brodholt, J.P. Bruni, F. Ricci, M.A. Analysis of the hydrogen-bonded structure of water
from ambient to supercritical conditions, The Journal of Chemical Physics, 1998
8.
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9.
http://www.bio.miami.edu/.../mcb2.20.micelle.jpg
10. http://www.labsuprman.com/suprman/attivita-di-formazione/formazione-system/modulo-a-1.1/valeriobellini/Lezione%20II.pdf
11. Smith, R. &Tanford, C. Hydrophobicity of long chain n-alkyl carboxylic acids, as measured by their
distribution between heptane and aqueous solutions, PNAS, 1973
12. Rovere, M. Appunti delle lezioni di fisica dei liquidi, Università di Roma Tre
13. http://mc2tar.phys.uniroma1.it/~fs/liquidi/gdir.pdf
27
Ringraziamenti
In questo spazio desidero ringraziare tutti Voi che avete contribuito e partecipato non solo in questi
ultimi mesi, ma in tutti questi anni, al mio accrescimento culturale e personale
e dedicarVi questo piccolo lavoro.
Alla Prof.ssa Maria Antonietta Ricci e a tutto il Liquids Group, per avermi supportato e sopportato
durante l’intera preparazione della tesi.
Alla mia amata famiglia, a tutti i miei cari amici, vicini e lontani, a tutti i miei compagni con i quali
è stato un piacere trascorrere insieme questi tre anni, e a tutti coloro che direttamente o anche solo
con il cuore sono riusciti a starmi accanto.
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