Il futuro sarà tutto un`impresa

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Il futuro sarà tutto un`impresa
IL CAFFÈ
17 febbraio 2008
14
Progetti e
per far ripartire
la locomotiva
FATTI E SOCIETÀ
idee
Il futuro sarà tutto un’impresa
Lo spirito imprenditoriale come molla del rilancio
La cultura dell’intraprendere, il gusto del rischio, ecco il
propellente per rimettere in moto la “locomotiva Ticino”
secondo Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio. Sono la voglia e la capacità di fare impresa a creare
le basi dello sviluppo e della crescita, senza di esse ogni progetto resta lettera morta, così come gli appelli e le aperture
alla società civile che non avrebbe altrimenti gli strumenti
giusti per affrontare le sfide del mercato. E qui, per Albertoni, entrano in gioco la scuola e il rapporto tra Stato ed
economia privata. La prima, che oggi assicura una buona
formazione, dovrebbe però fare di più nell’incentivare nei
ragazzi questa cultura del fare impresa e del rischio im-
prenditoriale. Economia privata e Stato dovrebbero, invece, contribuire ad ovviare a questo deficit in un processo sinergico che coinvolga imprenditori ed enti pubblici. Da
questa riscoperta dello spirito d’impresa possono nascere le
condizioni per un maggiore protagonismo della società civile, auspicato da Tito Tettamanti e da Sergio Morisoli dalle
colonne del Caffé, ma anche quella creatività, quel mix tra
razionalità e intuizione, tra tecnica ed estetica, ricordata da
Denis Baggi settimana scorsa. Quattro qualificati interventi
che hanno messo a fuoco i nodi sugli scenari futuri del Ticino, tratteggiati dal nostro giornale nei mesi scorsi con la
presentazione di dieci progetti per il rilancio.
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LA LETTERA/4
RISCOPRIRE IL GUSTO
DEL RISCHIO
LUCA ALBERTONI, direttore Camera di Commercio
za propositiva deve ritrovare il gusto del rischio, la volontà di rimettersi in gioco e di acquisire continuamente nuove
competenze, riscoprire l’importanza della responsabilità individuale, tutti
valori un po’ annacquati e che
dobbiamo assolutamente evitare di perdere.
Ma come? Dato
che il problema
sembra essere
soprattutto
di
natura culturale,
occorre valutare
le possibilità di sostenere e rafforzare la posizione di chi già vive ed
opera secondo questi principi e di
chi potenzialmente dispone di una
forza innovativa, ma che non ha
ancora avuto la possibilità di svilupparla. Concretamente si tratta
di appoggiare e non ostacolare lo
spirito imprenditoriale e la voglia
di fare impresa. Le associazioni
economiche si occupano delle
aziende già attive, ma qui si tratta
di andare a scoprire e valorizzare
soprattutto i potenziali imprenditori fra i giovani che possono assicurare un ricambio generazionale
e garantire continuità a quella fucina di idee, progetti e innovazioni che sono le aziende. E qui inevitabilmente entrano in gioco lo
Stato e le scuole. Godiamo di un
alto livello di formazione, che
imprenditoriale, base della crescita e del benessere del nostro Paese. Ma come si può realizzare un
obiettivo del genere? Non si
tratta, come detto, di rimettere
in
questione
quanto offerto
oggi in termini
di formazione,
bensì di trovare
nuove strade di
valorizzazione
delle competenze
personali.
Spesso mi capita
di
incontrare
classi scolastiche per discutere
d’imprenditorialità e mi rendo
conto che si tratta di un concetto
ancora troppo astratto, malgrado
l’impegno dei docenti per spiegare le dinamiche aziendali. È vero
che lo spirito imprenditoriale è
anche una dote innata e che non si
può instillare come una medicina,
ma non di rado vi sono persone
che non osano lanciarsi sul mercato con progetti nuovi perché bloccati dalla paura, figlia della mancanza di conoscenza di un mondo
certamente duro, ma affascinante.
Economia e Stato devono quindi
trovare insieme una via per ovviare a questo deficit. Lo Stato deve
creare le condizioni per stimolare
la voglia di prendere rischi e
l’economia, proprio per non gravare lo Stato di nuovi compiti (visto che gli si chiede al contempo
di risparmiare), deve contribuire
mettendo a disposizione le proprie conoscenze. Ma come agire
in concreto? Una possibile soluzione potrebbe essere cercata nella “governance”, poco simpatico
anglicismo che definisce un processo che coinvolge sia gli attori
pubblici che quelli privati.
L’obiettivo non è quello di creare
grandi e sterili ammucchiate, bensì di agire insieme, senza pregiudizi né visioni ideologiche di parte, per esaminare l’attuabilità pratica di un simile progetto comune.
Lo Stato non sarebbe l’epicentro
politico dell’azione, ma un partner del settore privato. Unendo le
interazioni fra i diversi livelli dello Stato da una parte e le idee degli attori, individuali e collettivi,
del settore privato dall’altra, si
riuscirebbe sicuramente a creare
una dinamica costruttiva in grado
di dare una spinta alle forze innovative del Paese e quindi a stimolare la creatività di una società civile maggiormente coinvolta e responsabilizzata. Da non trascurare che il citato modello permetterebbe al cantone di fare un salto
qualitativo anche in ambiti come
ad esempio quello della promozione economica del territorio,
che già oggi dispone di eccellenti
competenze, ma che va sostenuto
con strategie da sviluppare unitamente al mondo economico. Concludo auspicando che questi
spunti possano contribuire allo
svolgimento di un dibattito vivace
e costruttivo.
Rene
Boss
i©C
affè
E
gregio direttore,
l’interessante dibattito lanciato dal Caffè
su come rilanciare la
“locomotiva Ticino”
ha già prodotto numerosi spunti di varia natura e
molto stimolanti. Vorrei riallacciarmi in particolare a quelli che
chiedono una maggiore partecipazione della società civile e lo stimolo della creatività, fattori a mio
avviso essenziali per lo sviluppo
della nostra regione.
Evidentemente vi è da chiedersi
quali siano gli strumenti adatti per
realizzare gli obiettivi di cui sopra. È innegabile che le rapidissime e profonde trasformazioni in
ambito economico e sociale hanno reso inadeguati o addirittura
obsoleti strutture ed approcci da
tempo consolidati, con una paralisi delle istituzioni e del confronto
costruttivo di idee. Occorre pertanto trovare nuove forme di azione che, in termini di economicità
e finalità, siano conformi alla realtà odierna e che abbiano al contempo un’impronta rivolta al futuro. Da una parte vi è quindi senz’altro la necessità di ripensare la
funzione dello Stato ed i compiti
che esso deve svolgere, ma questo
meriterebbe un approfondimento
a parte. Preferisco invece soffermarmi sul maggiore coinvolgimento della società civile. Affinché essa possa assumere un ruolo
di guida è infatti necessario che
disponga della preparazione adeguata. La società civile quale for-
nessuno mette in dubbio. Una preparazione di natura puramente
tecnica, seppure di alto livello,
non garantisce però di per sé la
valorizzazione delle potenzialità
imprenditoriali e quindi propositive delle nuove leve, che devono
essere sensibilizzate già in giovane età sulla possibilità concrete di
realizzare le loro idee, osando anche l’originalità, senza timori. È
fondamentale, che culturalmente
si riesca a superare la logica univoca del posto fisso o dell’attività
sussidiata e che già allo stadio
della formazione di base si insegni che chi vuole essere creativo
ha le possibilità per concretizzarlo
e che non si troverà isolato nei
meccanismi del mercato, ma che
può contare su strutture ed istituzioni pronte anche a raccogliere le
provocazioni. Poi ogni individuo
effettua le proprie scelte, decide
quale sia la strada che predilige ed
è giusto che sia così. Massimo rispetto per tutti, ma sarebbe molto
pericoloso trascurare il potenziale
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