Le donne nella Resistenza - IIS Severi

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Le donne nella Resistenza - IIS Severi
Le donne nella Resistenza
Approfondimento realizzato dagli studenti della classe V C del Liceo Francesco
Severi di Milano, anno scolastico 2015-2016, a partire da documenti storici sulle
partigiane, conservati presso l’Archivio Storico dell’Istituto nazionale per la storia del
movimento di liberazione in Italia (INSMLI) “Ferruccio Parri” di Milano, e consultati
dagli studenti sotto la guida del Prof. Andrea F. Saba.
Il testo degli studenti è stato corretto, relativamente alla congruenza con i documenti storici, dalla
Prof.ssa Cecilia Maria Di Bona, che ha premesso al lavoro dei ragazzi un breve saggio storico
introduttivo.
La fotografia del frontespizio ritrae la partigiana Tina Lorenzoni.
Iris Versari
Poggio di San Benedetto in Alpe, 12 dicembre
1922 - Ca' Cornio di Tredozio, 18 agosto 1944
Iris Versari è stata una partigiana italiana,
decorata con la Medaglia d’Oro al Valor
Militare. Nacque a Tredozio, da una famiglia di
contadini, era una bambina allegra, dal grande
entusiasmo ed espansiva.
La ragazzina, ‘mandata a servizio’ presso una
famiglia benestante di Forlì, aveva dovuto
difendersi dalle "insidie" dei "padroni" e anche quest'umiliazione contribuì a
formarne il carattere.
Conobbe nel novembre del ’43, ad un ballo, Silvio Corbari, il quale era a capo di
una banda di partigiani. Il legame tra i due diventò forte a tal punto che Iris si
unì alla sua banda; la sua partecipazione era di grande importanza, in quanto non
temeva di impegnarsi nella lotta e non si faceva intimorire dal pericolo.
Nell’aprile del ’44, Corbari volle eliminare il console della Milizia di Forlì,
Marabini, persecutore dei partigiani. Egli si presentò accompagnato da Iris
Versari, per inspirare al console maggior fiducia. Saliti tutti e tre, più l’autista in
macchina, Corbari uccise il console, mentre l’autista, dopo esser stato disarmato,
fu fatto tornare a Forlì.
Nell’agosto del ’44, la giovane partigiana, che, ferita ad una gamba, si era
rifugiata con Corbari e altri compagni in una casa colonica, venne sorpresa
insieme ai compagni da tedeschi e fascisti. I partigiani opposero resistenza, la
ragazza capì che, non potendo muoversi, non avrebbe neppure potuto tentare la
fuga e che era solo d’impedimento alla salvezza dei compagni, e così si uccise. I
nazifascisti, ritrovando il corpo, impiccarono il suo cadavere prima a Castrocaro
poi a Forlì.
Il ricordo di questa ragazza è rimasto come quello di un’eroina caduta in difesa e
affermazione dell’ideale di libertà e di giustizia.
Gli italiani ricorderanno sempre il nome di Iris Versari insieme a quello di tutti i
Martiri, perché, né il capestro dei traditori, né il piombo degli aggressori
possono uccidere lo spirito degli eroi che durerà a tener viva nei secoli la
fiamma dell’ideale per il quale essi hanno combattuto.
Il presente testo è tratto da un articolo del giornale “La Lotta” di Forlì. È catalogato dal
C.V.L. Comando generale Archivio storico con il n° 364 e conservato presso l’Archivio
INSMLI di Milano, busta169, fasc. 559. Le informazioni sono state integrate con la
consultazione della scheda su Iris Versari dell’A.N.P.I.
Francesca Bonato
1
Vera Pipan
Molti furono i giovani, sia uomini che
donne, ad aver sacrificato la propria
vita per un ideale: la libertà del nostro
paese. Non si sono rinvenuti tutti i
nomi di coloro che sono stati uccisi
combattendo o mentre portavano
rifornimenti, ma di alcuni sì, ad
esempio della compagna Vera Pipan.
Grazie ad un articolo del 26 gennaio 1946, pubblicato a Trieste, possiamo
conoscere la vita di Vera Pipan. Vera nacque a Comeno nel 1926. Nel 1942,
venne a contatto con i partigiani e volle fin da subito rendersi utile. Per quasi un
anno e mezzo, raccolse vestiti e viveri durante il giorno per poi portarli durante
la notte nelle postazioni. Non sembrandole sufficiente, decise l’8 settembre del
’43, giorno del proclamazione dell’armistizio da parte di Pietro Badoglio, di
entrare nella vita partigiana e di impugnare il fucile. Pochi giorni dopo, fu ferita
a Gorizia ma anziché andare all’ospedale, si offerse di recare un urgentissimo
messaggio a Veliki Dol (Slovenia); per poi trovare l’offensiva tedesca a
Lukovec, sulla via del ritorno. Non si fermò nemmeno davanti a questo ostacolo,
infatti rifiutò di indossare l’abito civile offertole dalle compagne e rispose: “Ho
indossato la divisa partigiana e non la svestirò finché il nemico non sarà
abbattuto e la libertà raggiunta.” Quello stesso giorno, le sue compagne la
ritrovarono morta vicino a due compagni e con la mitraglia in mano. Accanto a
lei c’era un biglietto, lasciato dalla stessa Vera prima di morire, con su scritto:
“Moriamo per la libertà. Morte al fascismo.”
L’articolo dal quale è tratto il presente testo è tratto da “Gioventù”, pubblicato a Trieste il
26.01.1946. È catalogato dal C.V.L. Comando generale Archivio storico con il n° 1177 e
conservato presso l’Archivio INSMLI di Milano con il n° CP b. 168, fasc. 551A.
Sveva Burchielli
2
Elvira Vezzali
1901- 1945
Nei pressi di Soliera, vicino Modena, il
3 aprile 1945, la staffetta partigiana
Elvira Vezzali, al termine di una
missione, si trovò coinvolta in uno
scontro armato contro un gruppo
nemico. I colpi subiti risultarono per lei
fatali e la coraggiosa donna morì poco
dopo.
La figura della staffetta, spesso ricoperta
da giovani donne tra i 16 e i 18 anni, era
un ruolo molto rispettato e pericoloso, le
loro azioni erano indispensabili.
Quello di Elvira è solo uno dei numerosi
esempi di fulgida abnegazione e di attaccamento alla lotta per la libertà che
caratterizzarono l'intero movimento della resistenza italiana.
Il testo è tratto da un articolo su Elvira Vezzali,
pubblicato in “La voce del partigiano”,
30.03.1946, a Modena; è catalogato e
conservato presso l’INSMLI di Milano nel
Fascicolo: " Caduti partigiani, biografie
complete" nel CP come n°26 busta 169, Fasc.
560.
Niccolò Castiglioni
3
Valentina Guidetti, “Nadia”
1922-1945
Il periodo della Resistenza fu vissuto con
forte intensità e partecipazione anche
dalla componente femminile, alla quale
ardore e coraggio non mancarono mai.
La vicenda di Valentina Guidetti, staffetta
partigiana, è sicuramente uno dei tanti
memorabili e commoventi episodi di tutta la Resistenza reggiana. Abbandonato
il paese natio da giovane, si offrì come donna di servizio, come era consuetudine
tra le giovani ragazze della montagna reggiana. Lo scoppio della guerra suscitò
in lei un forte senso di solidarietà nei confronti del movimento partigiano;
assegnata in un primo momento al Distaccamento Orlandini della 26esima
brigata Garibaldi , si mostrò coerente con i suoi principi ideali. Durante
un'azione di guerra, si offrì volontariamente di ristabilire il collegamento,
essendo il suo reparto isolato. Molteplici furono le dimostrazioni del suo
coraggio, della sua costanza e del suo spirito di sacrificio. Finì tristemente a
colpi di pugnale, pur di salvare i propri compagni. I suoi incredibili gesti furono
premiati giustamente con il conferimento della Medaglia d'Argento alla
memoria.
La Resistenza, per quanto rilevante fosse stata l'azione degli uomini, non
sarebbe stata la stessa senza l'intervento delle donne. Esse parteciparono
collettivamente, in massa: uno spirito nascente dall'iniziativa spontanea di molte.
Anche se considerate inadatte all'ambito militaresco, si fecero valere e rispettare.
L’articolo dal quale è tratto il presente testo è tratto da “La verità” di Reggio Emilia del
07.03.1948. È catalogato e conservato presso l’Archivio INSMLI di Milano con il CP n° 97,
CP n° 97, b. 166, fasc. 538. Le informazioni sono state integrate con la consultazione della
scheda su Valentina Guidetti dell’A.N.P.I.
Alessia Danioni
4
Vera Bratogna
Tra le molte donne divenute martiri nella lotto contro il fascismo non va
certamente dimenticato il nome di Vera Bratogna, ragazza di 23 anni nata a
Pola, che tutta Fiume ricorda e onora come eroina del popolo. Per la lotta ha
donato ogni sorriso, ogni gioia e tutta la sua giovinezza; era la capogruppo del
fronte femminile antifascista. Sotto il nome di compagna “Irina” venne arrestata
dai fascisti il 4 Dicembre 1944 e trasportata nella caserma delle SS in via della
Vittoria. Visto il suo importante ruolo nella resistenza i fascisti sapevano che
con le sue confessioni avrebbero potuto estorcere un gran numero di preziose
informazioni: la portarono così nella sala delle torture dove la sottoposero ad
aghi, acqua fredda ed altri differenti sevizie con lo scopo di ottenere solamente
alcuni nomi. La sua forza d’animo e la sua fedeltà alle sue compagne trionfarono
sulle sofferenze non solo fisiche ma anche morali come la cattura anche della
sorella che le fu mostrata in prigione. Trascorse così più di un mese e mezzo nel
carcere di Fiume finché stremata decise di
togliersi la vita tagliandosi le vene, ma il
tentativo risultò vano poiché i suoi aguzzini,
scoprendola, la salvarono. Il 20 Gennaio 1945
venne trasportata a Trieste e rinchiusa nel
Coroneo dove per non subire ulteriori tormenti
fu costretta a simularsi pazza. Tra il 4 e il 6
aprile del ’45, in vista dell’imminente
liberazione, insieme ad altre compagne, venne
condotta presso San Sabba1, dove morì.
“Se il ricordo delle sofferenze, dei sacrifici e
della lotta è fede, è sostegno, è ardore impulsivo
per nuova costanza, è lava che brucia ed incita i
cuori e che accende la nostra volontà di
entusiasmo, la memoria dei martiri è raggio di
luce e nello stesso tempo monito solenne”.
L’articolo dal quale è tratto il presente testo è tratto dal giornale “La voce del popolo” di
Fiume, del 04.04.1946. È catalogato dal C.V.L. Comando generale Archivio storico con il n°
2564 e conservato presso l’Archivio INSMLI di Milano nel fascicolo: " Caduti partigiani,
biografie incomplete" C.P. 104, busta 164, Fasc. 528 b. Le informazioni sono state controllate
confrontandole con quelle contenute in Una grande tragedia dimenticata di Giuseppina
Mellace.
Niccolò De Crescenzo
1
La lista di Albin Bubnič Persone soppresse alla Risiera di San Sabba. Le persone uccise alla Risiera sono, secondo le
risultanze processuali, almeno duemila. Gli storici ipotizzano non meno di 4.000 vittime. Una lista parziale con i nomi delle
vittime, viene pubblicata sul quotidiano triestino «Primorski dnevnik» il 16 maggio 1965 e riproposta il 20 aprile 1975.
5
Anna Picari, la sposa partigiana
Anna, detta Anna James (nata il 1
gennaio 1922. Nome di battaglia,
Morina, morta il 17 ottobre 1944 a
22 anni), nome tanto grande
quanto sconosciuto; è il nome di
una moglie e di una madre la cui
storia è la storia di una donna
coraggiosa, è la storia di un amore
immenso sbocciato tra le valli e i monti della Valdossola. Il marito di Anna,
Enrico, con grande dolore ma, al tempo stesso, immensa speranza aveva lasciato
la sua amata per unirsi ai partigiani che difendevano con tenacia e forza d'animo
le proprie montagne, le quali erano in grado di offrire loro solo ghiaccio e gelo.
Anna, rimasta sola con la madre, aspettava giorno dopo giorno notizie del marito
e quando queste tardavano ad arrivare, il terrore che egli fosse caduto nelle mani
dei tedeschi le attanagliava il cuore. Un giorno, appena scoperta la gravidanza,
decise di lasciare la sua vita che, per quanto tormentata, le garantiva un comodo
giaciglio e un tetto sicuro, per recarsi sui monti dall'amato Enrico a combattere
per dei valori più forti di qualunque dittatura: la Libertà, la Fratellanza, l'Amore.
Anna con grande coraggio si dedicò ai feriti, lavava i panni dei compagni, ma fu
anche costretta a imbracciare il fucile, il 17 Ottobre 1944. Visse le sue ultime
ore con passione accanto al marito e al bimbo che portava in grembo, simbolo di
speranza e di grande amore. In un attimo, fu presa ed uccisa, senza alcuna pietà
per la nuova vita che cresceva dentro di lei. Due scariche sul ventre e una
pallottola in bocca; così morì Anna James, per la Patria, per la Fede.
L’articolo su di lei “Riposa Anna la giovane sposa partigiana” venne scritto da I. Calone e
pubblicato su La Stella Alpina di Novara il 16/6/1946. Poi conservato e catalogato nel CVL
Comando generale Archivio storico con il n°4194. È conservato presso l’Archivio INSMLI di
Milano nel CP è catalogato come n°41, busta 164, fasc.526. Le informazioni sono state
integrate con la consultazione della scheda su Anna Picari dell’A.N.P.I. di Novara.
Ilaria Dellarole
6
Amalia Lydia Lalli
1922-1945
Amalia Lydia Lalli, medaglia d'argento al valor
militare alla memoria, nacque a Flaibano, sulle rive
del Tagliamento, il 16 giugno 1922. Figlia di Maria
Monino e Oscar Lalli, un esponente socialista
apuano. Compì gli studi elementari e poi medi a
Massa. Conseguita la abilitazione magistrale, al
momento di entrare all’Università, scelse ingegneria
all'Università di Pisa. Quando venne la guerra, con
entusiasmo e invidia, salutò i compagni in partenza per il fronte. Ma dopo
l’armistizio, ella osservò addirittura con maggiore dolore e ammirazione coloro
che si sacrificavano in un ultimo disperato tentativo di ribellione contro la
sopraffazione, seguiva i primi patrioti che si rifugiavano tra i monti, quando
ancora erano chiamati “ribelli”, guardando con ammirazione e paura il nuovo
movimento patriottico.
Nel settembre ’44, la giovane, appena ventitreenne, lasciò l'Università di Pisa e
trasferitasi con la famiglia a Sarzana, entrò a far parte della nella Brigata
Garibaldi "Ugo Muccini", col nome di "Kira". Lydia aveva seguito tempo
addietro un corso di addestramento al primo soccorso e dapprima venne
utilizzata come crocerossina, per curare e medicare i feriti, e impavida si recava
anche nei luoghi più pericolosi, dimostrando di possedere un grande coraggio,
tanto che per due volte riuscì a salvare il fratello dalla cattura dei tedeschi, ella
iniziò a prendere parte ad azioni combattenti.
E fu proprio in una di queste che Kira, come forse avrebbe voluto, trovò la
morte.
Una pattuglia partigiana era partita dal comando della brigata, a ridosso di
Giucano, con l'ordine di prendere contatti con il comando della IV Zona
Operativa ligure, di stanza a Zeri.
Gli anglo-americani avevano infatti comunicato ai partigiani il loro imminente
attacco decisivo al fronte, e quindi bisognava passare la notizia. Per raggiungere
i partigiani dello Zerasco, rimasti privi di radio-ricevente, bisognava attraversare
la Magra. Questo compito se lo assunse la brigata di Lydia. Ma un’imboscata
tedesca li colse nella notte e più o meno nei pressi delle Lame di Aulla.
Lydia cadde, morta, nel fiume. Il corpo di Lydia Lalli fu sepolto
provvisoriamente in un pianoro vicino a Stadano. Fu poi recuperato subito dopo
la Liberazione ed inumato nel cimitero di Sarzana.
Il 9 maggio 1947, l'Università di Pisa conferì alla giovane la laurea ad honorem
in ingegneria, mentre la Repubblica italiana le conferì la medaglia d'argento al
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valor militare. Sarzana le ha intitolato a sua volta l'asilo nido comunale che
sorge non lontano dalla stazione ferroviaria. Ricevette la medaglia d’argento alla
memoria con la seguente motivazione: "Abbandonati gli studi universitari per
portare il suo contributo alla lotta di liberazione, in una ardimentosa azione di
collegamento, che volontariamente aveva chiesto di compiere, veniva scoperta e
colpita a morte dal nemico in agguato".
L’articolo dal quale è tratto il presente testo è stato scritto dalla sorella e pubblicato dal
giornale “Noi donne” di Roma 1 Agosto 1946. È catalogato dal C.V.L. Comando generale
Archivio storico con il n°4139. Il C.P 48 busta 168, fasc. 544. Le informazioni sono state
integrate con la consultazione della scheda su Amalia Lydia Lalli dell’A.N.P.I.
È stata scritta una canzone a lei dedicata, parole e musica di Elvis Morelli:
https://www.youtube.com/watch?v=EMby1l-jJ_A
Francesco Fossati
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Irma Marchiani
Firenze, 6 febbraio 1911 – Pavullo nel Frignano,
26 novembre 1944
Irma Marchiani, nata il 6 Febbraio 1911 a
Firenze, fu dapprima una staffetta, poi
un’informatrice e infine divenne, nel 1944, vice
comandante del Battaglione “Matteotti”,
Divisione “Modena”.
Irma è cresciuta in una famiglia antifascista. Fu
catturata durante la battaglia di Montefiorino mentre
aiutava un partigiano e internata nel campo di
concentramento di Bologna. Riuscì però a fuggire e
a ricongiungersi col proprio battaglione.
L’11 Novembre del 1944, fu sorpresa presso
Benedello da una pattuglia tedesca che la portò a Pavullo dove venne processata
il 26 Novembre e condannata a morte. Lo stesso giorno, alle ore 17.00, fu
fucilata. Le fu riconosciuta la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Nell’anno della condanna, Irma(nome di battaglia Anty) scrisse due lettere, una al
fratello e una alla sorella. Nella prima al fratello, dice di essere già parte di una
Formazione e nelle sue parole si sente la volontà di essere utile, di non deludere
nessuno perché le sembrava tutto triste e anche le cose belle venivano coperte da un
velo triste. Nella seconda lettera, invece le sue parole sembrano allo stesso tempo di
sconfitta e vittoria: il dono della vita le sta per essere tolto ma quello che ha fatto
negli anni passati non è stato vano. Qui saluta la sorella e coloro che la
ricorderanno.
Aveva 33 anni quando è stata uccisa. Le sue parole sono forti e anche se sono
poche, lasciano il segno. Dalle due brevi lettere mi è sembrato di sentire la crudeltà
di quella guerra, il dolore, la paura, la fatica di vivere. È stata una donna che ha
fatto quello che ha potuto e ha messo in gioco la sua vita per la Patria e per la
libertà. Come lei, tante altre donne hanno scelto di agire e credo che dovremmo
ringraziarle anche se la memoria forse non basta per ricompensare una vita perduta.
Irma Marchiani, in "Rassegna annuale dell'Istituto storico della Resistenza in Modena e
provincia" fasc. 4, Modena, Istituto storico della Resistenza in Modena e provincia,1963. Autrice
di alcune delle lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, raccolte nel libro a cura di
Mimmo Franzinelli, Ultime lettere dei condannati a morte e di deportati della Resistenza (19431945), Mondadori, Milano 2005, riportate anche sul sito nazionale dell’INSMLI. Le informazioni
sono state integrate con la consultazione della scheda su Irma Marchiani dell’A.N.P.I.
Chiara Mantovani
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Laura e Silvano Petracco
Martiri di via Ghega
Laura e Silvano sono due fratelli nati a Trieste da una famiglia che insegnò loro
ad amare la patria e la libertà. Laura, ragazza dal carattere dolce sereno ed
espansivo, nacque l’8 agosto del 1917. Dopo aver compiuto gli studi presso il
Ginnasio Liceo Francesco Petrarca, trovò marito in un semplice ragazzo che
dovette partire come ufficiale in Africa orientale lasciandola sola assieme al
figlio ancora piccolo. Animata dai più alti ideali di libertà, si unì ben presto alla
schiera dei combattenti della Gioventù Antifascista Partigiana di Trieste.
Troverà la morte il 23 aprile 1944 quando il suo corpo fu martoriato dal cappio.
Il fratello Silvano trovò la morte pochi giorni dopo, il 29 maggio 1944. Anche
lui si era unito alla gioventù antifascista e invano riuscì a superare la prima serie
di interrogatori nel marzo del ’43 venendo arrestato l’8 aprile dalle prezzolate
mani degli spioni di Gambini per opera del maggiore Carolo. Entrambi i fratelli
si trovarono riuniti nella vita che ci aspetta dopo la morte in età giovanissima,
senza aver potuto vedere né l’uno né l’altro dove portarono i loro sacrifici: la
Repubblica democratica Italiana. Va infatti ricordato che questa prima di essere
proclamata dai verdetti e dai giuristi, fu nei voti dei nostri Grandi che ci
precedettero e si è incarnata nella continuità storica del martirologio italiano. A
costruirla, forse ancor più dei vivi furono i morti. Ecco perché ricordando questi
santi nomi e venerando la loro memoria, daremo un contenuto storico-morale
indistruttibile alla Repubblica democratica Italiana e contrarremmo con essa un
vincolo indissolubile di fedeltà.
L’articolo dal quale è tratto il presente testo
“Laura e Silvano Petracco martiri di via
Ghega” di E.S., è pubblicato in
“L’emancipazione”, il 29.07.1946 a Trieste.
È catalogato dal C.V.L. Comando generale
Archivio storico con il n° 4131, conservato
presso l’Archivio INSMLI di Milano con il
n° CP 168bis fasc.551b. Le informazioni sono
state integrate con la consultazione della
scheda su Laura e su Silvano Petracco
dell’A.N.P.I.
23 aprile 1944: 51 impiccati in Via Ghega a Trieste.
Eduardo Marra
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Lucia Sciomachen Mocari
Lucia Mocari nacque a Torino il 16 ottobre del 1891. Si trasferì ancora giovane
a Milano dove sposò il signor Enrico Sciomachen dal quale ebbe quattro figli:
tre femmine e un maschio. Il marito, soldato, fu fatto prigioniero dagli inglesi in
Africa Orientale e in seguito fu internato in India. Dopo i fatti accaduti in Italia
nel 1943, con la crisi del fascismo, che creò un forte disagio nella popolazione
che diede avvio a una serie di scioperi operai che partirono dalla città di Torino,
Lucia e tutta la famiglia furono compenetrati dagli ideali di Giustizia e Libertà.
Così mentre il figlio si univa sui monti dell’Ossola alla formazione partigiana
“Cesare Battisti” e le figlie e il genero, Sergio Tornaghi, alle organizzazioni
clandestine di Milano, si dedicò interamente alla causa. Il dolore per l’arresto e
il successivo internamento di una figlia e del genero la spronarono a
intensificare la sua collaborazione con i cospiratori. La sua casa ospitò
prigionieri alleati che attendevano di passare in Svizzera, compagni evasi dalle
carceri e riunioni clandestine dei più noti capi delle cospirazioni. Le vennero
affidati incarichi di ogni genere e il suo aspetto e i suoi modi di fare le fecero
presto attribuire il nome di ‘mamma Lucia’. Infatti, lei dava aiuto e conforto a
quei compagni sfuggiti al carcere o agli inseguimenti. Il 23 dicembre però,
mentre tornava da Bolzano, dove era stata inviata per tenere d’occhio il campo
di concentramento, nel quale una sua figlia era
internata, e fungere da guida e da madre a quattro
giovani evasi da quel campo, Lucia rimase uccisa
in seguito al ribaltamento dell’autocarro che la
trasportava in direzione di Milano. Oggi, riposa
nel cimitero di Rovereto.
Il documento su Lucia Sciomachen Mocari è conservato
presso l’Archivio INSMLI di Milano: "Caduti partigiani,
biografie complete", busta 168, fasc. 554.
Simone Mazzacara
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Irma Marchiani
Firenze, 6 febbraio 1911 – Pavullo nel Frignano,
26 novembre 1944
“Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho
combattuto: ora sono qui fra poco non sarò più,
muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile
affinché la libertà trionfasse”. Con queste parole
Irma Marchiani saluta la sorella Pally in una
lettera il 26/11/1944 prima di essere fucilata in
quanto partigiana. Irma nacque a Firenze da una
modesta famiglia antifascista nel 1911.
Decise di entrare a far parte dei partigiani come
staffetta e informatrice quando l‘8 settembre fu annunciato l’armistizio. Il suo
senso patriottico e il suo coraggio la portarono a diventare una comandante della
divisione “Modena”. Il suo stesso comandante la considerò una donna forte e
affidabile: "Hai nello sguardo qualcosa che mi dice che saprai comandare, la tua
mente dà il massimo affidamento; donne non mi sarei mai sognato di assumere,
ma tu sì". La stessa Irma era consapevole di essere una donna coraggiosa e di
voler combattere per la libertà della patria come possiamo leggere da ciò che
scrisse al fratello: “Ti chiedo una cosa sola: non pensarmi come una sorellina
cattiva. Sono una creatura d’azione, il mio spirito ha bisogno di spaziare, ma
sono tutti ideali alti e belli. Tu sai benissimo, caro fratello, certo sotto la mia
espressione calma, quieta forse, si cela un’anima desiderosa di raggiungere
qualche cosa, l’immobilità non è fatta per me, se i lunghi anni trascorsi mi
immobilizzarono il fisico, ma la volontà non si è mai assopita”. Irma fu catturata
due volte: la prima durante la battaglia di Montefiorino mentre aiutava una
partigiano ferito a farsi ricoverare mentre la seconda e, sfortunatamente ultima, a
Benedello, un piccolo paesino nei pressi di Pavullo. Lo stesso giorno in cui fu
catturata, fu processata e fucilata nel carcere di Pavullo dal comandate tedesco
di Bologna.
Combatté per quello in cui credeva, per gli ideali, ai quei tempi, condivisi da
molte persone e per questo fu ricordata così da Enrica Cavina: “Valorosa
partigiana, animata da ardimento, dopo essersi distinta per coraggio e sprezzo
del pericolo nella battaglia di Montefiorino, veniva catturata dal nemico nel
generoso tentativo di far ricoverare in un luogo di cura un compagno
gravemente ferito. Condannata alla deportazione e riuscita audacemente ad
evadere, riprendeva il suo posto di lotta e partecipava al combattimento di
Benedello, battendosi con indomito coraggio e prodigandosi nella amorosa
assistenza ai feriti. Caduta nuovamente nelle mani del nemico, affrontava
impavida la morte, offrendo fieramente il petto al piombo che troncava la sua
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bella esistenza”.
Noi oggi, 25 aprile, siamo qui riuniti per commemorare il giorno in cui la nostra
patria è stata liberata ma soprattutto ricordare coloro che in parte hanno reso
possibile ciò. I partigiani aiutarono l’Italia al fine di essere un paese libero ma
non sempre le loro azione furono giuste.
Irma Marchiani, in "Rassegna annuale dell'Istituto storico della Resistenza in Modena e
provincia" fasc. 4, Modena, Istituto storico della Resistenza in Modena e provincia,1963.
Autrice di alcune lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, raccolte nel libro a
cura di Mimmo Franzinelli, Ultime lettere dei condannati a morte e di deportati della
Resistenza (1943-1945), Mondadori, Milano 2005, riportate anche sul sito nazionale
dell’INSMLI. Le informazioni sono state integrate con la consultazione della scheda su Irma
Marchiani dell’A.N.P.I.
Alessandra Rigon
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Laura Petracco Negrelli
Laura Petracco nacque l'8 Agosto 1917, nei giorni
in cui il tormentato Carso fu terreno di battaglie
nella speranza di conquistare Trieste; la vita e il
destino di Laura si inscrissero in questa luce. La
giovane patriota ebbe una vita breve e intensa;
Terminati gli studi classici, frequentò la facoltà di
Legge. Grazie al suo carattere dolce e espansivo,
era capace di riempire di serena gioia il quieto
vivere della famiglia. Dopo essersi sposata, diede
vita a un bambino proprio nel momento in cui la
dittatura fascista stava compromettendo
inesorabilmente i destini del Paese. Con la guerra
del 1940, Laura fu costretta a separarsi dal marito che combatteva in Africa e
decise di entrare nella difficile e pericolosa lotta partigiana con cuore fermo e
deciso. In onore della libertà, si unì alla compatta schiera dei combattenti della
gioventù antifascista partigiana di Trieste e il 19 aprile del '44 fu consegnata alle
SS. Laura non giustificò mai il suo operato ma affermò la propria
consapevolezza di combattere per la giusta causa della Libertà e della giustizia;
dichiarò di appartenere con orgoglio all'invitto esercito dei liberi, pronti al
sacrificio pur di giovare con esso alla disfatta della tirannia. Inclusa negli
ostaggi per l'attentato di via Ghega, soffocata dall'asfissia nell'autocarro della
morte e martoriato il corpo dal cappio del 23 aprile 1944, Laura Petracco lasciò
la vita terrena per unirsi ai 50 eroi che furono di esempio all’azione dei vivi,
affinché la libertà e la giustizia possano trionfare sui loro secolari nemici. Il
fratello Silvano, fu da giovane catturato e confinato in cella. Nato a Trieste il 12
novembre del '44, aveva frequentato come la sorella il liceo classico ‘Petrarca’ e
si era successivamente iscritto alla Facoltà di Chimica di Padova. Studioso, serio
e riflessivo, era animato, anche nella sua giovane vita, da quel desiderio di
conoscenza piena delle cose che lo rendeva un giovane riflessivo e lucido. La
guerra del 1940 e la conseguente dittatura, antitesi assoluta d'ogni principio di
libertà, furono per lui altri problemi da studiare e analizzare. Le dottrine
comuniste incontrarono le sue simpatie; egli riuscì a comprendere come la lotta,
prima di essere sociale, dovesse essere necessariamente politica e premettere
l'unione di tutte le forze antifasciste del paese. Per questo motivo, si iscrisse alla
gioventù antifascista partigiana di Trieste nel periodo in cui si sperava ancora di
poter capovolgere con l'azione le sorti della guerra sul fronte orientale. Sfuggito
ai primi rastrellamenti, Silvano Petracco l'8 aprile 1944 fu arrestato e consegnato
alle SS. Inconscia del destino della figlia Laura, l'infelice madre errava per la
città. Dopo aver bussato a tante porte chiuse, la sua pena trovava un
momentaneo conforto nella concessione di un colloquio con il figlio in carcere.
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Alla domanda di Silvano alla madre "sai nulla di Laura?", ella rispose con voce
angosciata che era stata deportata in Germania. Madre e figlio si lasciarono così
per andare ognuno incontro ai loro crudeli destini. Accompagnando con lo
sguardo la madre che si allontanava, il giovane Silvano conosceva già
lucidamente la propria sorte.
Non è vano ricordare questi eroi della nostra storia recente, ma non basta
commemorarli negli anniversari ufficiali. Ciò che bisognerebbe fare sarebbe
conservarne la memoria nel nostro cuore.
L’articolo dal quale è tratto il presente
testo è tratto da “L’Emancipazione”,
pubblicato a Trieste nel 1946. È
catalogato dal C.V.L. Comando
generale Archivio storico con il n°
4131 e conservato presso l’Archivio
INSMLI di Milano con il n° CP 16bis
fasc.551b, busta 168. Le informazioni
sono state integrate con la
consultazione della scheda su Laura
Petracco dell’A.N.P.I. nella quale è
stata rilevata un’incongruenza nel
riferimento alla Facoltà di Lettere in
luogo di Legge.
23 aprile 1944: 51 impiccati in Via Ghega a Trieste
Giorgia Segre
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Ada Prospero Marchesini Gobetti
Ada Prospero Marchesini Gobetti è stata una figura importante nell’Italia
contemporanea. In questa sede, ricorderemo solo alcuni momenti della sua vita.
Fu antifascista, fu una partigiana. È ricordata per essere stata scrittrice,
traduttrice e giornalista, e per la Medaglia d’argento al valor militare.
Nacque a Torino nel luglio 1902, collaborò a Energie Nuove e alla Rivoluzione
Liberale e negli anni del fascismo fu al centro di una rete clandestina
d’intellettuali antifascisti.
Dopo la morte prematura del suo primo marito, Piero Gobetti, si risposò. Nel
1941, Ada partecipò alla fondazione del Partito d'Azione e dopo l'armistizio, col
figlio Paolo entrò nella Resistenza, costituendo un primo nucleo di partigiani
nella "borgata Cordola" di Meana di
Susa. Oltre a mantenere i
collegamenti tra Torino e le
formazioni GL operanti, Ada
Gobetti collaborò alla costituzione
dei Gruppi di Difesa della Donna,
della cui drammatica esperienza
scrisse in “Diario Partigiano”.
Dopo la Liberazione, Ada Gobetti,
che fu vice sindaco comunista di
Torino, si impegnò in qualità di
traduttrice e scrittrice, diresse con
Dina Bertoni Jovine la rivista
Educazione Democratica e fondò il
Giornale dei Genitori. A Torino,
fondò, inoltre, con il figlio Paolo e
con la nuora, Carla Nosenzo, il
"Centro Studi Piero Gobetti", che ha
dato un importante contributo alla
vita culturale torinese. Tra le opere della Gobetti, ricordiamo ancora:
“Alessandro Pope Il poeta del razionalismo”, “Cinque bambini e tre mondi”,
“Non lasciamoli soli”, “Dai quattro ai sedici”, “Vivere insieme, Educare per
emancipare - Scritti pedagogici 1953-1968”.
Morì a Torino nel marzo 1968.
Molteplici sono le fonti per ricostruirne la biografia.
Melissa Vitali
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