Il dolore: una malattia da riconoscere, curare e

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Il dolore: una malattia da riconoscere, curare e
Il dolore: una malattia da riconoscere, curare e
gestire
Responsabili scientifici: Dr Sergio Mameli, Responsabile U.O.C. Terapia del Dolore, Presidio Ospedaliero A.
Businco, ASL 8 Cagliari
Dott. Michele Fanello, Senior Executive Consultant di Sanitanova, società di consulenza e formazione in
sanità
Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento standard n. 12 del
07/02/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni.
Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività
ECM.
Data inizio corso: 20/12/2015; ID evento: 12-145403
Modulo 6 – Il dolore cronico nel paziente
oncologico e le opzioni di trattamento
Autore: Dr.ssa Claudia Laterza, pediatra ed esperta in cure palliative, Bari
Dr Sergio Mameli, Responsabile U.O. Medicina del dolore, Presidio Ospedaliero A. Businco, Cagliari
Dr. Giovanni Pisanu, Servizio Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica - ASL Cagliari
Obiettivi formativi
Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di:
 comprendere l’eziologia del dolore di origine neoplastica;
 classificare le diverse tipologie di dolore;
 valutare le opzioniterapeutiche.
Riassunto
Nell’approccio al dolore nei pazienti oncologici, pur essendo identico l’obiettivo primario di controllare
l’intensità del dolore riducendola il più possibile, gli obiettivi di cura e l’orientamento terapeutico si rivelano
diversi anche in virtù delle recenti osservazioni sulla peculiarità di alcuni meccanismi fisiopatologici del
dolore neoplastico. Il dolore nel paziente neoplastico può essere presente in tutte le fasi della malattia e
costituire la prima manifestazione di una neoplasia misconosciuta, l’espressione di una malattia neoplastica
nota, di cui rappresenta un sintomo, l’espressione di un danno iatrogeno (post-chirurgico, post-attinico,
post-chemioterapico) nel paziente in trattamento, il segnale di una ripresa/progressione di malattia,
oppure il sintomo di una malattia in fase avanzata.
La strategia terapeutica tuttora principale riferimento è la scala a tre gradini.
Trattamenti farmacologici, non farmacologici e interventi invasivi vanno valutati in funzione delle condizioni
dei pazienti.
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Keyword
Epidemiologica del cancro, eziologia del dolore nel paziente oncologico, scala a tre gradini, FANS, oppioidi
bdeboli, oppiodi forti, farmaci di primo gradino, farmaci di secondo gradino, farmaci di terzo gradino, scala
a tre gradini, interventi invasivi
Introduzione
Può sembrare artificioso differenziare l’approccio al dolore nei pazienti oncologici e non oncologici, poiché
il dolore inteso come “esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o
potenziale, o descritta in termini di danno” (International Association for the Study of Pain - 1986) resta
un’esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono componenti sensoriali e componenti esperenziali e
affettive, che modulano in maniera importante quanto percepito da ciascun individuo indipendentemente
dalla causa che scatena il dolore. In realtà, questo approccio è indispensabile poiché, pur essendo identico
l’obiettivo primario di controllare l’intensità del dolore riducendola il più possibile, gli obiettivi di cura e
l’orientamento terapeutico si rivelano diversi anche in virtù delle recenti osservazioni sulla peculiarità di
alcuni meccanismi fisiopatologici del dolore neoplastico.
Nel dolore cronico non oncologico, obiettivo prioritario è la riduzione dell’impatto del dolore
sull’autosufficienza e sulle attività e relazioni quotidiane, in altre parole la riduzione della disabilità; nel
malato oncologico invece il dolore fisico si inserisce in un più ampio quadro di dolore “globale” che
coinvolge varie sfere della persona che improvvisamente si ammala di cancro; il dolore nel paziente
oncologico assume solo in parte le caratteristiche di dolore “malattia”, come si osserva tipicamente nel
dolore cronico benigno, in quanto diagnosi, eziopatogenesi, e fisiopatologia sono per la maggior parte note
e collegate alla malattia oncologica di base.
Per il malato oncologico il dolore diviene l’espressione più tangibile della sua malattia, può dominare ogni
aspetto della sua vita e quindi il sollievo dal dolore oncologico deve essere un obiettivo prioritario in ogni
fase della malattia oncologica; il tempo di trattamento, indipendentemente dalla prognosi, è generalmente
limitato a mesi o pochi anni, per cui gli allarmi (già poco motivati nel dolore cronico non oncologico) sulle
conseguenze dell’uso degli oppioidi devono trovare ancora meno spazio nel dolore cronico oncologico. Va
anche ricordato che la ricerca clinica e le strategie terapeutiche (in particolare, la Scala Analgesica a tre
gradini della World Health Organization [WHO]) sono nate e si sono sviluppate in gran parte nel dolore da
cancro e le evidenze scientifiche e l’esperienza clinica sono quindi al momento maggiori per la terapia del
dolore cronico in oncologia.
Nella fase avanzata di malattia l’obiettivo è la riduzione del sintomo per permettere la migliore qualità di
vita residua possibile e in questi casi è auspicabile la presa in carico da parte di un’equipe di cure palliative,
possibilmente domiciliari, per accompagnare il paziente e la famiglia con dignità.
Nonostante queste premesse, i dati dimostrano che il dolore da cancro rimane tuttora, nonostante la
sempre maggiore consapevolezza degli operatori sanitari, i programmi educazionali e gli interventi di
organizzazione sanitaria finalizzati a diffondere una cultura di attenzione a tale problematica, un sintomo
diffuso e a elevato impatto, sia sulle attività di vita quotidiana, sia a livello emozionale.
Dimensioni del problema
Le neoplasie sono un grave problema di Sanità pubblica, in grande espansione nel mondo intero; tale
dilatazione sempre maggiore del problema è legata alla crescita della popolazione mondiale,
all’invecchiamento complessivo e alla diffusione di abitudini cancerogene in un sempre maggior numero di
nazioni. Stime di Jemal e coll. riportavano, per l’anno 2008, 12,7 milioni di neoplasie maligne e 7,6 milioni di
morti da cancro nel mondo intero; il rapporto annuale dell'International Agency for Research on Cancer
(IARC), l'agenzia dedicata dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), prevede che in meno di
vent'anni i casi passeranno dai 14 milioni del 2012 ai 22 milioni nel 2030, con una mortalità che passerà
dagli 8,2 milioni all’anno a più di 13 milioni. Sebbene l’incidenza per tutte le forme di neoplasia sia di circa 2
volte più alta nei paesi sviluppati rispetto ai paesi in via di sviluppo, tanto nei maschi come nelle femmine,
le morti per tutti i tipi di cancro nei paesi sviluppati sono più alte soltanto del 21% nei maschi e del 2% nelle
donne, a testimonianza delle più elevate possibilità di diagnosi e cura in tali paesi rispetto a quelli in via di
sviluppo.
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In Italia sono stati diagnosticati nel 2008 circa 265.000 nuovi casi di tumore, nel 2012 circa 364.000 nuovi
casi e si stima che il progressivo invecchiamento della popolazione determinerà un incremento della
prevalenza di tumori, cioè del numero complessivo di persone viventi con diagnosi di tumore: ciò avviene
con un ritmo pari circa al 3% l’anno, quindi se nel 2006 erano circa 2.250.000 mila gli italiani con diagnosi di
tumore, nel 2014 erano circa 2.900.000 mila. Nel nostro Paese i tumori sono la seconda causa di morte
(30% di tutti i decessi), dopo le malattie cardio-circolatorie (38%) e mediamente, secondo dati istat 2011,
ogni giorno oltre 470 persone muoiono in Italia a causa di un tumore. Considerando il rischio cumulativo di
avere una diagnosi di qualunque tumore, questa probabilità riguarda un uomo ogni due e una donna ogni
tre nel corso della loro vita; stratificando per sesso e per tipologia di tumore, si osserva come
probabilmente ogni 8 donne una si ammalerà di un tumore alla mammella, così come un uomo ogni 9 e
una donna ogni 36 svilupperà un tumore al polmone, 1 uomo ogni 7 un tumore della prostata, un uomo
ogni 10 e una donna ogni 17 un tumore del colon-retto.
In tale contesto epidemiologico si inserisce il tema del dolore oncologico, che assume grande rilevanza
sanitaria e sociale, costituendo il sintomo più frequente e costante di ogni tipo di malattia neoplastica,
aggravato dallo stato di fragilità psicoemotiva del paziente. L’incidenza del sintomo “dolore oncologico”
non è semplice da definire, come dimostra nel 2005 la review di Goudas che, dopo avere identificato 464
studi e averne selezionati 28, ha concluso che è impossibile combinare tra loro i risultati degli studi a causa
delle differenze nel setting, nelle popolazioni studiate, nei siti tumorali primari e nelle metodologie
impiegate.
Più efficace la recente (2007) revisione sistematica con metanalisi di van den Beuken-van Everdingen et al.
che mostra una prevalenza complessiva del dolore >50% in tutte le tipologie di tumore e del 53% in media
considerando tutti gli stadi di malattia, con una prevalenza del dolore pari al 33% nei pazienti che hanno
terminato il trattamento curativo, del 59% nei pazienti che sono in trattamento con una terapia
antineoplastica mentre nei pazienti caratterizzati da malattia avanzata/metastatica o terminale la
prevalenza del dolore sale al 64%. La severità del dolore era valutata solo in 17 studi su 52 ma la prevalenza
del dolore moderato-severo (da 4 a 10 sulla scala numerica), variava da 31 a 45%, a seconda della
popolazione di pazienti.
Nonostante quanto finora esposto, il dolore neoplastico appare ancora fortemente sottotrattato come
mostra la recente revisione di letteratura di Deandrea che riporta l’imbarazzante dato che quasi un
paziente su due risulta sottotrattato relativamente al dolore da cancro. In Italia sono stati fatti molti sforzi
per regolamentare la dispensasione degli oppioidi, fino alla promulgazione della Legge 38 e alle norme che
ne hanno semplificato e facilitato la prescrizione; persistono tuttavia barriere professionali, da parte del
medico, legate alla carenza di formazione sulla valutazione del dolore, all’insufficiente esperienza nella sua
gestione e nell’utilizzo degli oppioidi e delle linee-guida esistenti e soprattutto legate a un approccio di cura
orientato alla malattia, anziché a un modello di intervento mirato alla valutazione e cura del dolore globale
del paziente. Talvolta si riscontrano ancora resistenze motivate dai falsi miti della morfina (depressione
respiratoria, tolleranza, sviluppo di dipendenza psicologica o accelerazione della morte), oppure tardivi e
inadeguati programmi di interfaccia con le equipe di cure palliative.
Per quanto riguarda gli atteggiamenti degli oncologi nei confronti delle cure palliative e della terapia del
dolore da cancro, gli studi di Cherny sugli oncologi europei hanno mostrato un interesse apparentemente
non prioritario della maggior parte degli oncologi relativamente a questi aspetti. Solo il 43% degli oncologi
rispondenti (ha risposto solo il 33% di coloro che avevano ricevuto il questionario!) era coinvolto in modo
continuativo nel trattamento dei pazienti in tutte le fasi di malattia e solo il 39% conduceva incontri con le
famiglie dei pazienti terminali. Sicuramente esistono limiti da imputare ai pazienti (e alle loro famiglie)
legati al livello sociale, a questioni culturali o a difetti di comunicazione: si pensi al concetto di dolore da
accettare fatalisticamente, soprattutto se correlato con il cancro, oppure al timore di “distrarre” il medico
dall’obiettivo prioritario della lotta contro la malattia neoplastica, oppure ai fenomeni di rimozione che
subentrano laddove un più elevato livello di dolore venga correlato alla presa d’atto di una progressione
della patologia oncologica. Può esistere inoltre una riluttanza ad assumere i farmaci antidolorifici (gli
oppioidi in particolare), per paura della dipendenza psicologica e fisica o per la volontà di intervenire sul
dolore al bisogno o per timore di effetti collaterali. Dallo studio di Reid e coll. tuttavia emerge che spesso le
paure, le convinzioni e le attitudini del curante verso gli oppioidi influenzano in modo significativo
l’atteggiamento dei pazienti e delle loro famiglie; un appropriato intervento educazionale, esteso a tutte le
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professioni sanitarie, potrebbe dunque rappresentare un intervento pratico per migliorare i percorsi
diagnostici, terapeutici ed assistenziali del paziente oncologico con dolore, in tutte le fasi di malattia.
Eziologia del dolore
Come già evidenziato in precedenza, il dolore nel paziente neoplastico può essere presente in tutte le fasi
della malattia e costituire la prima manifestazione di una neoplasia misconosciuta, l’espressione di una
malattia neoplastica nota, di cui rappresenta un sintomo, l’espressione di un danno iatrogeno (postchirurgico, post-attinico, post-chemioterapico) nel paziente in trattamento, il segnale di una
ripresa/progressione di malattia, oppure il sintomo di una malattia in fase avanzata.
L’eziologia del dolore è per il 70% correlata ai fenomeni compressivi o irritativi che la neoplasia determina
negli organi o apparati coinvolti dalla neoplasia o a carico dei tessuti viciniori; il meccanismo patogenetico
di tipo compressivo e/o infiltrativo, causato dal tumore, può interessare soma, visceri o nervi, generando
tipologie differenti di dolore a seconda delle strutture colpite.
Tabella 1 - Eziologia del dolore oncologico
Dolore da diretto interessamento del tumore (dolore da effetto massa)
 da metastasi ossee
 da infiltrazione di plessi o strutture nervose,
 da ulcerazione di cute o mucose,
 da infiltrazione di muscoli o parenchimi,
 da ostacolo alla canalizzazione intestinale o urinaria
 da distensione di organi parenchimatosi.
In almeno il 20% dei casi il dolore è iatrogeno, cioè determinato da procedure diagnostiche e terapeutiche;
spesso si tratta di un dolore complesso, legato a un danno diretto a cute o mucose oppure a danno o
irritazione a strutture nervose periferiche ma anche determinato da espansione di compartimenti
ematopoietici, da squilibrio idro-elettrolitico o scompenso metabolico (vedi Tabella 2)
Tabella 2 Dolore da procedure diagnostiche e terapeutiche
• dolore correlato con la procedura (biopsia, indagini diagnostiche invasive, aspirato midollare, ecc.)
• dolore acuto o cronico post-operatorio
• dolore acuto o cronico post-radioterapia (dermatiti e mucositi, enteriti,ecc.)
• dolore acuto o cronico da chemioterapia (mucositi, irritazione locale, cefalea, neuropatia periferica, ecc.)
• dolore acuto e cronico da trattamenti integrati (CT+RT palliativa, adiuvante o neoadiuvante)
• dolore da trattamenti di supporto (dolore da fattori di crescita ematopoietici,cefalea da antiserotoninergici o )
Importante per la pratica clinica dell’oncologo medico, e di cui è spesso sottostimata la prevalenza nella
pratica clinica, sono le sindromi dolorose croniche postchirurgiche, potenzialmente causa di aggravamento
della qualità della vita del paziente con tumore, nel corso di tutta la storia naturale della malattia. Si pensi
alle problematiche connesse al dolore neuropatico periferico da lesione di strutture nervose (sindrome da
organo fantasma, sindrome da lisi nervosa periferica), ma anche alle problematiche secondarie alle
sindromi aderenziali post chirurgia, alle intolleranze a impianti protesici (chirurgia protesica della
mammella, chirurgia protesica delle metastasi ossee, ecc.) o ai fenomeni di trazione su parenchimi e tessuti
sani da fenomeni di retrazione cicatriziale.
Il dolore iatrogeno postchemioterapico comprende un dolore acuto secondario a fenomeni di irritazione
cutanea o mucosa o da fenomeni infiammatori nel trattamento palliativo delle lesioni ossee, e un dolore
cronico legato essenzialmente ai processi di fibrosi o vasculite cronica post attinici.
Per quanto riguarda il dolore da trattamento chemioterapico, si tratta di un dolore neuropatico i cui
meccanismi patogenetici sono rappresentati da un danno citotossico diretto o un danno a livello
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microtubulare dell’assone nervoso. È fondamentale, per prevenire il dolore acuto postchemioterapico,
l’impiego di tutti i trattamenti e strategie finalizzate alla prevenzione o al contenimento del danno acuto da
chemioterapia (norme igieniche, uso di chemioprotettori), nonchè un adeguato monitoraggio e
trattamento della sindrome dolorosa al momento della sua manifestazione clinica. Nel dolore cronico da
trattamenti antineoplastici, le manifestazioni cliniche prevalenti sono quelle di un dolore neuropatico
periferico e si distinguono farmaci il cui danno prevalente è a carico delle strutture sensitive e altri il cui
danno è a carico sia delle strutture sensitive sia di quelle motorie; la neuropatia indotta da chemioterapia si
presenta di solito all’inizio della cura, con torpore a distribuzione distale a calza e guanto che può evolvere
in dolore. I sintomi neuropatici più frequenti sono formicolio (71%), torpore (58%), disturbi della sensibilità
(45%) e dolore (40%). Va ricordato che per i farmaci a potenziale effetto neurotossico periferico esiste una
correlazione positiva tra effetto tossico e dose somministrata per singolo ciclo, dose cumulativa del
farmaco e ritmo di somministrazione; i trattamenti di associazione (per esempio cisplatino-taxano)
rappresentano una condizione di rischio aggiuntivo.
La tabella 3 raccoglie i principali farmaci chemioterapici responsabili di neuropatia periferica
Tabella 3. Farmaci chemioterapici responsabili di neuropatia periferica
Danno sensoriale
Danno sensoriale e motorio









Bortezomib
Carboplatino
Cisplatino
Etoposide
Gemcitabina
Ifosfamide
Interferone alfa
Oxaliplatino
Talidomide








Citarabina (Citosina Arabinoside)
Docetaxel
Paclitaxel
Epotiloni
Vincristina
Vinblastina
Vinorebina
Vindesina
Il dolore da radioterapia può essere acuto, secondario a fenomeni di irritazione cutanea e mucosa, o legato
a esacerbazione dei fenomeni infiammatori nel trattamento palliativo delle lesioni ossee, oppure può
essere cronico, legato essenzialmente ai processi di fibrosi post attinica o a vasculite cronica (vedi Figure 1
e 2).
Figura 1. Dermatite postattinica
Figura 2. Mucosite postattinica
Le Tabelle 4 e 5 raccolgono le Principali sintomatologie algiche causate dai trattamenti oncologici e le
possibili metodiche di prevenzione.
Tabella 4 - Principali sintomatologie algiche causate dai trattamenti oncologici
Trattamento oncologico
Principali sintomatologie algiche
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Dolore post-chirurgico
Lesione nervosa periferica, sindromi aderenziali, intolleranza delle protesi
Dolore post-radioterapico
Mucosite, enterite, dermatite, gastrite, cefalea, trazione secondaria a
fenomeni di fibrosi post-attinica, vasculite cronica
Dolore post-chemioterapia
Irritazione della parete venosa, mucosite, neuropatie acute e croniche,
gastrite, enterite, dermatite, cefalea, dolori ossei, crampi muscolari,
febbre, sindrome similinfluenzale, necrosi di cute e sottocute, stravaso di
farmaco
Dolore da altre terapie (fattori Sindrome influenzale, dolori ossei, osteonecrosi mandibolare,
di
crescita
emopoietici, osteonecrosi testa-femore
bisfosfonati, cortisonici)
da AAVV. Il dolore cronico in medicina generale. Ministero Salute, 2010
Tabella 5 - Prevenzione delle principali sintomatologie algiche legate ai trattamenti oncologici
Sintomatologia algica
Prevenzione
Radiodermiti
Detersione delicata, idratante lenitivo, schermi solari, vitamina E.
Non utilizzare creme a base di cortisone
Enteriti
Disinfettantiintestinali, dieta, antidiarroici
Mucosite
Igiene del cavo orale, sciacqui con bicarbonato e collutorio
disinfettante, antifungini topici, anestetici per uso topico; lubrificanti
per rapporti sessuali
Neuropatie periferiche
Attività fisica giornaliera, cyclette
Stipsi
Idratazione, mobilizzazione, dieta, eventualmente lassativi
da AAVV. Il dolore cronico in medicina generale. Ministero Salute, 2010
In una percentuale molto più bassa il dolore non è causato dalla neoplasia o dai trattamenti ma è correlato
alle sindromi paraneoplastiche; queste hanno eziopatogenesi svariata e ancora oggetto di
approfondimento; comprendono una serie di sintomi e segni legati al danno di organi o tessuti lontano dal
sito di origine della neoplasia, non dovuti a metastasi e neppure ad altri effetti a distanza del tumore; le più
frequenti e studiate sono quelle endocrino-metaboliche, neurologiche e nefrologiche.
Approfondimento: la mucosite
Le mucositi si possono manifestare nei pazienti sottoposti a terapia medica (chemioterapia) o in seguito a
radioterapia del quadrante testa-collo. L'incidenza e la gravità degli effetti tossici a livello della mucosa
orale sono influenzate dall’azione peculiare dei chemioterapici, dal loro dosaggio e dalle modalità di
somministrazione. In questa condizione una scarsa igiene orale preesistente gioca un ruolo facilitante. Nelle
mucositi il dolore è spesso intenso. Le mucositi indotte dalla chemioterapia si manifestano dai 3 ai 5 giorni
dall’inizio della terapia, raggiungono l’apice d’intensità entro i 7/10 giorni e lentamente si risolvono nei
successivi 5/7 giorni, a meno che il quadro non si complichi con una sovrainfezione o con complicanze di
tipo emorragico. Tra i segni clinici di mucosite ricordiamo l’edema e l’arrossamento della mucosa, l’alterata
cheratizzazione superficiale e le ulcerazioni. L’irradiazione dell'orofaringe e della mucosa esofagea dà luogo
a quadri clinici di tipo infiammatorio che si manifestano solitamente alla fine della seconda settimana di
trattamento, raggiungono il plateau durante la quarta settimana d’irradiazione e persistono per 2-3
settimane dopo il completamento del ciclo di radioterapia.
Inizialmente, la mucosa appare arrossata e gonfia; continuando il trattamento, la mucosa si ricopre con un
essudato fibroso. Nel caso di mucosite sia da chemioterapia, sia secondaria a radioterapia, i pazienti
riferiscono una sensazione di ‘bocca che brucia’. Il trattamento comporta un uso importante di farmaci
analgesici locali e per via sistemica.
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Valutazione
neoplastico
del
dolore
nel
paziente
La valutazione del dolore si fonda sull’analisi di alcune informazioni:
1) anamnesi personale e farmacologica;
2) esame obiettivo generale e neurologico;
3) analisi dello stile di coping;
4) studio delle caratteristiche del dolore raccolte durante un colloquio nel quale il medico può guidare
il paziente attraverso uno schema mentale prefissato (PQRST di Gray);
 P (Provocative): cosa provoca dolore? (che cosa lo fa peggiorare? che cosa lo fa migliorare?)
 Q (Quality): come può essere definito? (Urente, Costrittivo, Pulsante, Trafittivo, etc)
 R (Radiation): dove s’irradia?
 S (Severity): intensità del dolore;
 T (Temporal): variazioni d’insorgenza e durata nel tempo.
Secondo le recenti linee guida dell’AIOM (Associazione Italiana Oncologi Medici), i vari domini individuati
come importanti per la valutazione del dolore oncologico l’intensità del dolore, gli aspetti temporali
(frequenza ed esacerbazioni) e gli effetti del trattamento (sollievo) sono da considerarsi quelli più
comunemente accettati come essenziali e quelli più comunemente inclusi negli strumenti di valutazione
esistenti; le altre caratteristiche del dolore, utili nella diagnosi e cura del sintomo (aspetti qualitativi,
interferenza con le comuni attività quotidiane, effetti collaterali dei trattamenti, componenti emotive,
durata, attitudini e pregiudizi sui trattamenti, soddisfazione riguardo al trattamento), devono essere
indagate riducendo al massimo il potenziale disagio del paziente che non deve essere sottoposto in
occasione della prima visita alla compilazione di questionari eccessivamente lunghi e complessi.
Esiste accordo in letteratura sulla validità e affidabilità delle tre scale unidimensionali principalmente
utilizzate per la misurazione dell’intensità del dolore: la scala analogica visiva (Visual Analogue Scale, VAS),
la scala verbale (Verbal Rating Scale, VRS) e la scala numerica (Numerical Rating Scale, NRS a 11 livelli dove
0= nessun dolore, e 10=peggior dolore immaginabile), accettata dai pazienti e più frequentemente
somministrata. Quanto alla frequenza di misurazione la raccomandazione è di effettuare valutazioni
giornaliere riferite alle 24 ore precedenti sia per il dolore basale, sia per le esacerbazioni, risevandosi
misurazioni più frequenti in caso di necessità; sicuramente nel malato oncologico che riferisce dolore,
intervalli settimanali, quindicinali o mensili non sono assulutamente contemplabili.
Trattamento farmacologico
La strategia terapeutica che rimane tuttora il principale riferimento nel trattamento del dolore da cancro, è
quella proposta nel 1986 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la cosiddetta Analgesic Ladder, a cui
fanno riferimento le successive linee-guida prodotte dalle Società Scientifiche. La versione più moderna
della Scala prevede l’utilizzo di Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei (FANS) e paracetamolo (farmaci del
primo gradino) nel dolore lieve (1-3 della scala NRS); di “oppioidi deboli” (farmaci del secondo gradino) per
il trattamento del dolore lieve-moderato (NRS 4-6), associati o meno a farmaci del primo; e di “oppioidi
forti” (farmaci del terzo gradino), per il dolore moderato-severo (NRS 7-10), associati o meno a farmaci del
primo. Possono essere associati ai farmaci di tutti e tre i gradini della scala analgesica i farmaci adiuvanti
cioè “farmaci non specificamente analgesici ma che, nel contesto del dolore da cancro, possono contribuire
all’ottenimento di una riduzione del dolore” (esempi: anticonvulsivanti, antidepressivi, corticosteroidi) (vedi
Moduli 5 e 8).
Ciò che caratterizza gli oppioidi del primo e del secondo gradino è un effetto-tetto, ossia un dosaggio
massimo di farmaco oltre il quale aumentano gli effetti collaterali, in assenza di effetto terapeutico
aggiuntivo. Per tale motivo e per la possibilità di trattare il dolore moderato con basse dosi di oppioidi forti,
alcuni Autori consigliano di eliminare il secondo gradino dalla scala.
Un'altra variazione rispetto al passato è rappresentata dall’indicazione di utilizzare i farmaci in base
all’intensità del dolore; il paziente che si presenti con dolore severo non necessariamente deve “passare”
sequenzialmente attraverso tutti e tre gradini, ma può assumere farmaci del secondo e terzo gradino fin
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dall’esordio, a dosaggi opportuni. Infine alla scala originale si sono aggiunti altri due scalini la cui scelta può
essere motivata dall’inefficacia di un dosaggio adeguato di oppioide o dalla presenza di effetti collaterali
ingestibili: uno prevede la rotazione (sostituzione) dell’oppioide usando opportuni fattori di conversione o
la variazione della via di somministrazione (orale, transdermica, sottocutanea, endovenosa) o entrambe le
strategie; l’ultimo gradino, che trova indicazione in una bassa percentuale di pazienti (2,7-5m4%), prevede
approcci antalgici cosiddetti invasivi (posizionamento di catetere peridurale o intratecale).
Recentemente è stato pubblicato l’aggiornamento delle Linee-Guida EAPC sull’utilizzo degli oppioidi nel
dolore da cancro; la strategia di base rimane quella relativa al WHO, ma con una serie di approfondimenti
dettati dalle evidenze cliniche più recenti.
I farmaci vanno somministrati secondo alcune regole semplici e condivise (oggi, ma non nel momento in cui
la scala venne proposta!):
 somministrazione a orari fissi, rendendo disponibile una dose rescue o di salvataggio da
somministrare al bisogno, in caso di necessità;
 somministrazione per bocca, cioè nella modalità meno invasiva e più accettabile per il paziente;
ovviamente qualora non sia disponibile la via orale (pazienti che non sono in grado di deglutire,
pazienti con nausea e vomito o malassorbimento, fasi avanzate di malattia) vanno preferite altre
vie di somministrazione, come per esempio le formulazioni transdermiche o la somministrazione
parenterale quando sia richiesta un’azione analgesica rapida o una rititolazione;
 individualizzata, cioè adattare le dosi in base alle caratteristiche del paziente fino alla dose minima
efficace; differenze interindividuali nei processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed
eliminazione degli oppioidi possono determinare effetti clinici diversi sia nel livello di analgesia sia
nalla comparsa di effetti collaterali, variabili da soggetto a soggetto a parità di dose di farmaco;
questo fenomeno viene definito responsività ed è condizionato sia da fattori legati al paziente, tra
cui le variabili genetiche relative all’espressione qualitativa e quantitativa dei diversi recettori per
gli oppioidi, sia da fattori quali la tipologia del dolore (nocicettivo, neuropatico), sia dall’evoluzione
della malattia (vedi al riguardo il Modulo 9);
 con attenzione ai dettagli (valutare attentamente dosi, orari, effetti collaterali).
Farmaci del Primo gradino
L’utilizzo del FANS si è dimostrato efficace nel trattamento del dolore da cancro; la scarsa durata degli studi
clinici a disposizione non permette considerazioni di merito circa l’incidenza degli effetti collaterali dei FANS
a lungo termine (sicurezza), come spesso sarebbe necessario nel trattamento dei pazienti oncologici. I FANS
presentano effetto-tetto per cui quando si è arrivati al limite superiore della dose raccomandata e l’effetto
di sollievo sia stato giudicato insufficiente, il farmaco va sospeso; la “rotazione dei FANS” non ha alcuna
base scientifica e costituisce un pericolo per i pazienti. Inoltre non è stato possibile definire la superiorità di
un FANS rispetto ad altri, per l’esiguità della differenza clinicamente significativa e pertanto si consiglia di
scegliere una molecola (evitando di prolungare l’uso di FANS, da utilizzare esclusivamente per il dolore
acuto) seguendo le indicazioni regolatorie nella scheda tecnica del prodotto, per quanto riguarda dosaggio
durata massima di somministrazione e controindicazioni (vedi nota AIFA 66)1.
Una metanalisi degli studi di confronto dei FANS da soli o in associazione con oppioidi non ha permesso di
dimostrare che la somministrazione congiunta di FANS e oppioidi determini un incremento dell’effetto
analgesico e che tale effetto sia attribuibile a un’azione sinergica dei due farmaci; non ha rilevato, inoltre,
alcuna differenza significativa tra i due gruppi rispetto alla comparsa di effetti collaterali e conseguente
sospensione del trattamento. L’impiego dei FANS in associazione agli oppioidi, tuttavia, in quei pazienti in
cui la somministrazione si rivela clinicamente efficace, può consentire un minore incremento di dosaggio
dell’oppioide stesso e risulta particolarmente utile nelle metastasi ossee, in cui gli alti livelli di
prostaglandine possono giustificare un utilizzo precoce e costante dei FANS (vedi Tabella 6).
Tabella 6. Paracetamolo e Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei più usati
Farmaco
Forma e posologia Dose giornaliera Tempo per picco Emivita (ore)
(mg)
massima
massimo (ore)
1
Il testo della nota AIFA 66 è disponibile al link: http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/nota-66
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8
raccomandata
(mg)
Paracetamolo
Cp, supposte 5001000
Ibuprofene
Cp 200-400-600
Cp 800 a rilascio
modificato
Ketoprofene
Cp 25-75
Cp
a
rilascio
modificato
100150-200
Naprossene
Cp 250-375-500
Acido
acetil Cp 500-1000
salicilico
Diclofenac
Cp 50,100 a lento
rilascio, supposte
da 100, fl da 75 im
Acido
Cps 250-500
mefenamico
Nabumetone
Cp o granuli per os
1000
Piroxicam
Cp 20
Meloxicam
Cp 7,5-15
Celecoxib
Cp 100-200
Fonte: linee guida AIOM
3000
1
1-4
3200
1-2
1.8-2.5
300
0n5-2
2-4
1500
3000
2-4
1-2
12-15
3-5
225
2-3
1-2
1000
2-4
2-4
2000
3-6
24
20
15
800
3-5
5-10
2-4
30-86
15-20
6-12
Farmaci del Secondo gradino
Una revisione sistematica della letteratura ha dimostrato che la codeina e il tramadolo sono efficaci se
paragonati al placebo. L’utilità degli oppioidi del secondo gradino WHO è stata oggetto di studio di tre trial,
tutti gravati da difetti metodologici significativi, che tuttavia mostrano che morfina orale, idromorfone e
ossicodone a basse dosi possono essere usati nei pazienti con cancro opioid-naive e che in alcuni pazienti il
sollievo dal dolore potrebbe essere migliore che in quelli che lo raggiungono con i farmaci del II scalino. Non
esiste alcuna evidenza che dimostri che iniziare la terapia con oppioidi usando il secondo gradino migliori la
gestione del dolore da cancro e questa considerazione, in aggiunta al noto effetto-tetto, ha portato alcuni
Autori a eliminare il secondo gradino dalla scala.
Si tratta tuttavia di farmaci ampiamente utilizzati nella pratica clinica, come se il termine “debole” potesse
rassicurare e tranquillizzare il prescrittore; in realtà l’effetto della codeina dipende dalla sua
metabolizzazione a morfina e l’ampia variabilità genetica dell’efficienza dei processi di metabolizzazione ha
portato l’EMA (European Medicine Agency), e successivamente l’AIFA a limitarne l’utilizzo
(http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/codeina).
Farmaci del Terzo gradino
I dati della letteratura non mostrano importanti differenze tra morfina, ossicodone e idromorfone
somministrati per via orale e uno dei tre farmaci può essere usato come oppioide di prima scelta nel terzo
gradino per il dolore moderato-severo da cancro, quindi per il trattamento del dolore descritto con
intensità da 4 a 10 sulla scala NRS. Per molti anni è stata pratica consolidata quella di utilizzare morfina
orale a rilascio immediato ogni 4 ore, in virtù del suo profilo farmacocinetico, per iniziare la
somministrazione di oppiacei, attuando ulteriori incrementi di dosaggio fino al raggiungimento dell'effetto
desiderato; il dosaggio totale efficace utilizzato nelle 24 ore può essere poi convertito, usando le opportune
tabelle di equianalgesia, in formulazioni a rilascio controllato. L’aggiornamento della review Cochrane del
2013 sull’uso della morfina orale nel dolore da cancro rinforza tuttavia la tesi secondo cui è possibile
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utilizzare anche la morfina a rilascio modificato per titolare l’effetto analgesico; nonostante le formulazioni
a rilascio immediato siano più flessibili delle preparazioni a lunga durata d'azione, sia per quanto riguarda il
periodo di titolazione della dose, sia quando il dolore è scarsamente controllato, l’esperienza del medico
nell’uso di oppioidi consente di utilizzare anche le formulazioni orali di morfina, ossicodone e idromorfone
a lento rilascio per la titolazione della dose, purchè integrati con oppioidi orali a rilascio immediato
somministrati al bisogno (rescue dose).
Nessuna differenza significativa in termini di efficacia è emersa tra preparazione transdermica e altri
oppioidi e secondo le raccomandazioni AIOM fentanil e buprenorfina transdermici sono alternativi agli
oppioidi per via orale nei pazienti che non riescono a deglutire, rappresentando un dispositivo efficace e
non invasivo. Le prove indicano inoltre una riduzione utile e significativa della stipsi per fentanil
transdermico rispetto a morfina; a questo proposito va segnalata la presenza in commercio della
combinazione di un oppioide (ossicodone) e di un antagonista dei recettori degli oppioidi (naloxone),
studiata per contrastare gli effetti gastrointestinali (soprattutto stipsi) di questi farmaci. L’efficacia di questa
formulazione sulla stipsi è comprovata da diversi studi e Ahmedzai e coll. hanno confrontato la
combinazione ossicodone/naloxone versus ossicodone da solo in uno studio in doppio cieco in pazienti con
dolore moderato-severo, mostrando una sovrapponibilità dei due farmaci per quando riguarda il sollievo
del dolore, con un miglior profilo gastrointestinale della combinazione ossicodone-naloxone. Inoltre
l’ossicodone nella sua formulazione a rilascio controllato può essere considerato una alternativa alla
morfina orale nel paziente anziano con dolore di grado moderato severo in cui la terapia con oppioidi è
raccomandata e deve essere iniziata tempestivamente e in modo appropriato, senza dilazionarne l’inizio
con una eccessiva insistenza e permanenza sulla terapia con i farmaci del primo gradino.
Secondo una revisione sistematica della Cochrane, aggiornata da Cherny, il metadone può essere
considerato un'alternativa agli altri oppioidi orali del terzo gradino; si tratta tuttavia di una molecola con un
complesso profilo farmacocinetico e una lunga emivita; per questo l’AIOM, pur indicandone l’uso come
oppioide del terzo gradino, di prima o successiva scelta per il dolore da moderato a severo da cancro,
sottolinea la necessità che sia utilizzato solo da professionisti esperti.
Il tapentadolo infine è un farmaco più recente, che combina l’effetto agonista oppioide con quello di
inibizione del reuptake della noradrenalina; per le caratteristiche di dosaggio si presta a coprire un range
sovrapponibile a quello dei farmaci del secondo e del terzo gradino fino a dosi moderate, ma secondo le
linee guida AIOM 2014, il suo ruolo nel dolore da cancro deve essere ancora definito da maggiori evidenze
scientifiche.
Per quanto riguarda infine la somministrazione sottocutanea o endovenosa di morfina cloridrato, gli studi
mostrano che la via sottocutanea è semplice ed efficace per la somministrazione di morfina e dovrebbe
essere la prima scelta di via alternativa per i pazienti che non possono ricevere oppioidi per via orale o
transdermica, ricordando che quando si passa dalla somministrazione orale di morfina a quella
sottocutanea (o endovenosa), la potenza analgesica relativa è tra 3:1 e 2:1. La somministrazione
endovenosa deve essere usata per la titolazione degli oppioidi o quando è richiesto un rapido controllo del
dolore, in quanto permette un più rapido raggiungimento del sollievo rispetto alla morfina orale ed è ben
tollerata; l’infusione endovenosa può essere considerata anche nelle situazioni in cui l’infusione
sottocutanea è controindicata, per esempio, a causa di edema periferico, disturbi della coagulazione, deficit
della circolazione periferica, esigenza di elevati volumi e dosi.
La Tabella 7 riassume le informazioni dei principali farmaci oppioidi.
Tabella 7. Principali farmaci oppioidi: informazioni fondamentali
Farmaci per via orale
Durata (h)
Emivita (h)
Dosaggi
disponibili
(mg)
Codeina
3-6
2-3
30*
Tramadolo IR*
4-6
50,100
Tramadolo CR**
12
100,150,200
Ossicodone IR
3-6
2-3
5,10,20
Tapentadolo+
12
4
50,100,150,200,250
Ossicodone CR
12
2-3
5,10,20,40,80
Ossicodone+
naloxone
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Inizio effetto
(min o ore)
30m
30m
60-120m
40m
60m
40m
10
CR
Morfina IR
4-6
2-3
10,30,60,100
30m
Morfina CR
12
2-3
10,30,60,100
60-120m
Metadone
4-8
15-57
1mg/ml, 5mg/ml
60m
Buprenorfina sublinguale 6-8
2-5
0,2
30m
Fentanil TSD
60-72
24-40
12,25,50,75,100 μg/h
6-12 ore
Buprenorfina TSD
72
25-36
35-52,5-70 μg/h
12-24ore **
* in associazione a paracetamolo 500 mg
** dipende anche dalla dose (maggiore la dose piu’ breve l’intervallo all’inizio dell’effetto)
La seguente Tabella 8 compendia alcuni dei vantaggi e svantaggi delle terapie per il dolore da cancro.
Tabella 8 - Vantaggi e svantaggi delle terapie per il dolore da cancro
Tipologia
intervento
di
Vantaggi
Svantaggi
Usati per dolore lieve (NRS 0-3)
Effettotettodell’analgesia
Analgesici
orali
Effetti avversi anche gravi, tossicità
Facilmente reperibili, anche come prodotti da
gastroenterica,
renale,
banco
cardiovascolare
FANS
Paracetamolo
Nell’analgesia combinata si possono associare agli
polifarmacoterapia
oppioidi
Possono essere maneggiati dal paziente e dai Pochi sono
familiari
parenterale
Alcuni hanno un basso costo
disponibili
per
via
Alcuni hanno un costo elevato
Efficaci nel dolore moderato-severo (NRS 4-10)
In questa classe di farmaci esiste un a discreta
scelta e varie formulazioni (gocce, compresse…)
Oppioidi orali
Proprietà sedative e ansiolitiche sono utili in alcuni
Possono causare sonnolenza
trattamenti
L’uso può essere limitato da una certa
Possono essere maneggiati dal paziente e dai
inesperienza nel maneggiare questi
familiari
farmaci
Alcuni sono poco costosi
Esistono forme a rilascio prolungato
Lentezza nell’inizio d’azione e
Controllo del dolore grave in pazienti impossibilitati
difficoltà di modificare rapidamente il
ad assumere oppioidi per via orale
dosaggio o sospendere il farmaco
Oppioidi
transdermici
(fentanil,
buprenorfina)
Lunga durata d’azione per ogni cerotto (circa 72 96 ore)
Molti pazienti li gradiscono in quanto li trovano Possono essere usati solo in casi di
semplici da utilizzare
terapie stabilizzate
Permettono la somministrazione continua di
oppioidi senza l’uso di aghi o pompe
Possono essere maneggiati con facilità dal paziente
Richiedono adeguata titolazione
e dai familiari
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Relativamente semplici da usare in alternativa alla
La via di somministrazione non è
somministrazione orale, quando questa non è
gradita né al paziente né ai familiari
possibile
Rappresentano un’ottima alternativa a chi non Il sito d’azione ne limita l’efficacia
analgesica
Oppioidi per via tollera la morfina orale
rettale
Possono essere maneggiati dal paziente e dai
Lento onset d’azione
familiari
Controindicati se i leucociti o la conta
Meno costosi rispetto a farmaci da somministrare
piastrinica è bassa (rischio d’infezione
per via transdermica o per via endovenosa
o sanguinamento)
Determinano un rapido sollievo dal dolore
Oppioidi
infusione
sottocutanea
Oppioidi
infusione
endovenosa
Possono essere infusi in un volume
limitato (es.: da 2 a 4 ml/h)
La morfina e l’idromorfone sono i farmaci preferiti
Indurimento e irritazione del sito
per questo tipo di somministrazione, possibile
d’iniezione
in anche a domicilio
Somministrabili attraverso PCA, danno al paziente È richiesto il supporto di personale
la sensazione di poter provvedere egli stesso al esperto e collaborazione della
controllo del “suo” dolore
farmacia
Non è necessario un accesso venoso
È richiesta pompa d’infusione e
ricariche ricorrenti
Determinano un rapido sollievo dal dolore
È
necessario
reperimento
e
mantenimento dell’accesso venoso
Morfina cloridrato e metadone possono essere La gestione deve essere affidata a
personale specializzato
in somministrati per questa via
È richiesta la disponibilità di pompe
La possibilità di utilizzare la PCA dà al paziente la d’infusione
(elastomeriche,
sensazione di poter provvedere egli stesso al meccaniche o elettroniche) e di
controllo del “suo” dolore
sistemi di ricarica specifici
Hanno basso costo
L’approvvigionamento
difficoltoso
è
più
Adiuvanti
L’uso prolungato è associato a
soppressione
surrenalica,
ad
Efficaci nel dolore associato a una
alterazioni elettrolitiche a ritenzione
componente infiammatoria
di liquidi. Aumentano il rischio di
disturbi gastroenterici
Corticosteroidi
L’uso
prolungato
determina
Riducono edema e dolore associati
immunodepressione e aumenta il
a tumori cerebrali e del midollo
rischio di infezione.
Possono mascherare episodi febbrili
In alcuni pazienti possono provocare
Aumentanol’appetito e possono
disturbi psicologici e della sfera
dare euforia
emotiva
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Possono indurre
sedazione
Anticonvulsivanti
sonnolenza
e
L’uso è diffuso nelle sindromi
Bisogna monitorare l’assunzione per
dolorose periferiche associate a
evitare
effetti
tossici
da
dolore neuropatico parossistico
sovradosaggio
Lento onset
L’uso è diffuso nelle sindromi
dolorose periferiche associate a
Possono aumentare la sedazione; a
dolore neuropatico, con dolore
volte possono dare disforia
post chirurgico, da chemioterapia o
da infiltrazione dei nervi periferici
In molti pazienti si manifestano
effetti anticolinergici
Antidepressivi
Possono aiutare a regolarizzare il La tossicità cardiovascolare
sonno
epatica ne limitano l’uso
ed
Può
essere
controindicata
l’associazione con alcuni oppiacei
Usata
soprattutto
per
trattamento di metastasi ossee
Radioterapia
il
Nel caso in cui siano somministrati
numerosi cicli si possono manifestare
gravi effetti collaterali
Può fornire un sollievo antalgico
Mielosoppressione
pressoché immediato
Per alcuni pazienti è sufficiente una
dose singola
In alcuni casi è possibile irradiare
più zone
Mucositi e dermatiti postattiniche
Insegna al paziente ad aver fiducia
nei trattamenti e lo aiuta a ridurre Richiede personale esperto
suoi timori
Psicoterapia e Counseling
Stimolazione cutanea
(massaggi, applicazione
caldo, del freddo)
Aiuta il paziente e/o i familiari a
ridurre la paura e gli stati di ansia
legati alla malattia, alla sua terapia
e all’evoluzione del quadro clinico
Può essere utile nel ridurre il
Il calore può provocare edema o
dolore, l’infiammazione e gli spasmi
sanguinamenti
muscolari
del Può essere usata con finalità di Il freddo è controindicato in zone
terapia adiuvante
ischemiche
Relativamente facile e di basso
costo
Agopuntura
Tecnica che può ridurre
sintomatologia dolorosa
Usata
anche
adiuvante
come
la Richiede personale esperto nella
tecnica
terapia
Costi
ALR: anestesia loco regionale; DREZ: DorsalRoot End Zone, corna dorsali del midollo spinale; PCA: PatientControlled Analgesia, analgesia controllata dal paziente;
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Vie utilizzate in soggetti che non hanno sollievo
con oppiacei somministrati a rotazione e
attraverso le diverse vie di somministrazione o in
caso compaiano effetti collaterali intollerabili
Si determina più facilmente la
tolleranza
rispetto
alla
somministrazione per os o
rettale
Possono essere utilizzati anche anestetici locali in L’infezione del catetere può
aggiunta agli oppioidi, se la risposta è determinare meningiti e/o
insoddisfacente
ascessi peridurali
Nella spasticità si ricorre al baclofene
Somministrazione per
via
peridurale,
intratecale e attraverso
i ventricoli cerebrali
Possono comparire prurito e
ritenzione urinaria
Controindicati se esiste una
compressione del midollo
spinale
Richiesta la presenza
personale esperto
di
Richiesto attento monitoraggio
quando
si
comincia
il
trattamento e quando si
aumentano i dosaggi
È richiesta pompa d’infusione
costosa
(se
totalmente
impiantata)e
ricariche
ricorrenti
Rischio
d’ipotensione
posturale,
occlusione
Molto efficace nel ridurre il dolore in pazienti con
intestinale,
incontinenza
una diagnosi certa, come cancro del pancreas
vescicale e sensazione di
paresi alle gambe
Neurolisi alcolica
Quando la procedura è di tipo
Usata nel dolore addominale refrattario alle altre neurolitico, anche le eventuali
terapie
complicanze sono a volte
irreversibili
Permette la riduzione dei dosaggi degli altri
Procedurapraticata da esperti
farmaci analgesici utilizzati
È un trattamentocomplesso
Utilizzato
nel
dolore
non
controllabile
Procedurairreversibile
determinato dal movimento e dal carico
Interventi di
Effettoantalgicopressochéimmediato
Numerolimitato di esperti
neuroablazione
(cordotomia
La procedura è disponibile solo
percutanea,
lesione Può essere praticata in ALR
in pochi centri
DREZ, ecc.)
Permette la riduzione dei dosaggi degli altri
farmaci analgesici utilizzati
Trattamento non farmacologico
L’uso corretto dei farmaci analgesici, assunti preferenzialmente per via orale, rappresenta il cardine del
trattamento del dolore cronico oncologico: non vanno tuttavia dimenticate altre metodiche che
contribuiscono al controllo della sintomatologia algica e, di conseguenza, al miglioramento della qualità di
vita dei pazienti.
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Le terapie fisiche, come la stimolazione cutanea, l’immobilizzazione, gli ausili protesici, la stimolazione
elettrica transcutanea (TENS) e l’agopuntura, possono essere usate in associazione ad altre modalità
antalgiche così come interventi in ambito psicosociale eseguiti da professionisti formati che possono agire
sia sul paziente sia sui membri della famiglia. È ormai opinione condivisa che l’intervento di uno
psiconcologo nel percorso di malattia oncologica sia in grado di apportare enormi benefici.
Abbiamo visto come la radioterapia possa essere causa di dolore iatrogeno nel paziente neoplastico ma
può essere anche utilizzata per alleviare il dolore secondario alla presenza di metastasi ossee (50% dei casi)
o contenere il corredo sintomatologico connesso alla progressione della malattia primitiva e in particolare
ai fenomeni compressivi provocati dall’espansione della massa (23% metastasi cerebrali, 15% masse
mediastiniche, 7% metastasi viscerali, 5% masse sanguinanti ascopo emostatico).
Nel porre indicazione al trattamento radiante occorre riferirsi allo stato di salute del malato e alla sua
aspettativa di vita (età, comorbidità) oltre che allo stadio di malattia e alla sua storia naturale impostando
un trattamento radioterapico con finalità curative, palliative per il controllo di malattia (es. quadri
oligometastatici) oppure palliative puramente sintomatiche. Il rapporto costo-beneficio deve guidare il
radioterapista nelle scelte terapeutiche.
La radioterapia può essere erogata con differenti volumi, dosi e frazionamenti in base alla finalità che si
vuole ottenere: la tendenza attuale è di trattare la maggior parte dei pazienti con tecnica 3D, riservando
solo a casi eccezionali altre tecniche ad alta specializzazione, quali brachiterapia, SRT, IGRT, 4D,
tomotherapy. L’uso della radioterapia 2D è ancora presente in molti centri in Italia ma è in via di
dismissione; rimane ancora valido in tutte le terapie di urgenza che si possono effettuare in radioterapia
(compressione midollare, sindrome mediastinica, terapia antiemorragica).
Interventi antalgici “invasivi”
Tra gli interventi invasivi, un intervento di chirurgia generale ha lo scopo di asportare la neoplasia primitiva,
la recidiva e/o la metastasi singola: l’atto chirurgico può migliorare la prognosi e indurre un aumento del
periodo di sopravvivenza del paziente oppure avere un intento palliativo, quando è in grado di determinare
un’effettivo miglioramento della qualità di vita residua del paziente, magari riducendo un dolore non
altrimenti trattabile.
Le nuove tecniche chirurgiche ortopediche e i nuovi materiali disponibili permettono oggi interventi locali
con notevole beneficio sul dolore e sulla qualità della vita dei pazienti: trovano indicazione nel caso di
metastasi vertebrali osteolitiche, in particolare del tratto dorso-lombare (sottoposte a maggiore carico) e
nel dolore da frattura patologica, con finalità radicale (asportazione in blocco della metastasi) o palliativa
(sollievo dei sintomi). La sede delle metastasi è determinante per la scelta del tipo di intervento, come pure
le condizioni generali del paziente e il tipo di malattia (lesione singola o lesioni multiple) oltre che la
prognosi; obiettivo della chirurgia ortopedica non è solo il controllo del dolore, ma il recupero funzionale e
la prevenzione delle complicanze. Procedure di vertebroplastica o cifoplastica aiutano a stabilizzare la
colonna e a ridurre il dolore, con beneficio sul dolore nel 70-85% dei casi. Altre tecniche di recente
introduzione sono rappresentate da ricostruzioni, stabilizzazioni chirurgiche, lisi tumorali con
radiofrequenza, embolizzazioni, ablazioni percutanee ma tali metodiche, la cui efficacia non è del tutto
stabilita, devono essere attentamente valutate considerando vantaggi e svantaggi.
Nonostante una minoranza di pazienti (3-5%) sia candidata a interventi invasivi minori, è importante
prenderli in considerazione: spesso infatti questa possibilità viene ignorata, in particolare da parte di coloro
che non la praticano, o sconsigliata per il timore di complicanze di un certo rilievo, impedendo di fatto ai
pazienti di ottenerne gli indubbi vantaggi. La scelta terapeutica tuttavia deve essere preceduta da un
rigoroso iter diagnostico che conduca, in ultima istanza, alla diagnosi patogenetica che consenta
all’algologo di avvalersi non solo della terapia farmacologica, ma anche di tecniche di neuromodulazione, di
neurostimolazione e di neurolesione che secondo le recenti linee guida AIOM vanno riservate a casi
selezionati di dolore “difficile”.
Le tecniche di neuromodulazione e di neurostimolazione hanno lo scopo di ridurre l’input nocicettivo senza
agire sulla continuità anatomica delle vie afferenti nocicettive e la loro caratteristica fondamentale è la
reversibilità dell’effetto; trovano indicazione nei pazienti che non traggono più beneficio dalla terapia
farmacologica (rotazione degli oppiacei e vie di somministrazione), oppure in presenza di effetti collaterali
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non tollerabili dai pazienti con discreta aspettativa di vita e capacità residua di avere una buona vita di
relazione.
Le tecniche di neurolesione comportano invece l’interruzione definitiva della conduzione nocicettiva; non è
stata reperita in letteratura alcuna revisione, metanalisi o studio randomizzato e controllato sull’utilizzo di
metodiche neurolesive nei pazienti oncologici con dolore in fase avanzata di malattia, quali la cordotomia
cervicale percutanea, la termocoagulazione – alcolizzazione – fenolizzazione del 5° o 9° nervo cranico, la
fenolizzazione intratecale della cauda e quindi, second le line guida AIOM 2014, nel paziente oncologico in
fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia, l’esecuzione di una neurolisi chimica o fisica non
deve di norma essere effettuata ad eccezione della neurolisi del plesso celiaco che, nel paziente oncologico
in fase avanzata di malattia, con dolore da infiltrazione pancreatica o delle strutture viscerali celiache,
dovrebbe essere presa in considerazione come dimostrato nello studio di Wong.
Neuromodulazione farmacologica
somministrazione di farmaci
e
posizionamento
di
cateteri
per
Il posizionamento temporaneo di un catetere peridurale o intratecale è solitamente appannaggio degli
specialisti in anestesia: è necessario che tali procedure vengano attuate da esperti non solo nell’esecuzione
della tecnica ma anche nel precoce riconoscimento delle possibili complicanze (depressione respiratoria
indotta da oppioidi, ipotensione da blocco del sistema simpatico, blocco motorio da erronea
concentrazione e volume totale di anestetico locale) e capaci di trattare prontamente ed efficacemente
questi eventuali eventi negativi (vedi Tabella 8). La somministrazione peridurale (all’esterno del sacco
durale) viene utilizzata in via provvisoria in attesa di un intervento neurolesivo oppure per l’esecuzione di
blocchi selettivi; la permanenza di un catetere all’interno dello spazio peridurale porta alla formazione di
fibrosi attorno al catetere con la conseguenza di un ridotto assorbimento dei farmaci somministrati e
comparsa di tolleranza. La via subaracnoidea rappresenta invece la scelta d’elezione in quanto consente la
migliore risposta analgesica, l’utilizzo di dosaggi farmacologici ridotti e il ritardo della comparsa della
tolleranza.
La somministrazione dei farmaci per via spinale può essere effettuata a “boli”, con un certo disagio per il
paziente in quanto occorre ripetere l’operazione più volte nell’arco della stessa giornata e soprattutto
esiste il rischio di ricomparsa del dolore nel periodo di fine dose; molto più confortevole ed efficace la
somministrazione continua che evita il ricorso a boli ripetuti, ma soprattutto l’esposizione a crisi dolorose
per decrementi di concentrazione ematiche del farmaco. La somministrazione può essere effettuata con
sistemi di infusione esterni, dalle più semplici pompe elastomeriche alle pompe peristaltiche, e, laddove è
possibile, alle pompe totalmente impiantabili a flusso fisso o programmabili.
La somministrazione spinale dei farmaci consente di concentrare i farmaci in sede midollare con
distribuzione segmentaria, di ridurre il dosaggio totale del farmaco somministrato e di minimizzare l’azione
periferica (minore coinvolgimento recettoriale).
I farmaci utilizzabili per via intratecale (vedi Figura 3) sono:
- Oppiacei
- Anestetici locali
- Antispastici
- Ziconotide
- α2-agonisti
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Linea
1
Morfina
Idromorfone
Ziconotide
Linea
2
Fentanil
Morfina/Idromorfone
Morfina/Idromorfone
+ Ziconotide
+ Bupivacaina/Clonidina
Morfina/Idromorfone/Fentanil
Linea
3
Clonidina
Bupivacaina/+Clonidina
+ Ziconotide
Sufentanil +
Linea
4
Sufentanil
Bupivacaina/+Clonidina
+ Ziconotide
Linea
5
Ropivacaina, Buprenorfina, Midazolam, Meperidina, Ketorolac
Linea
6
Gabapentin, Octreotide, Neostigmina, Adenosina, Farmaci sperimentali
Figura 3 – Polyanalgesic Consensus Conference 2007: algoritmo raccomandato per la terapia analgesica
intratecale.
Tabella 9 – Vantaggi e svantaggi dei sistemi impiantabili
Sistemi impiantabili
Vantaggi
Svantaggi
Catetere percutaneo
temporaneo
Utilizzato sia intraoperatoriamente sia nel
post-operatorio soprattutto nei pazienti con Dislocamento del catetere
una prognosi inferiore a un mese
L’impianto è una procedura semplice. Ha un
Catetere peridurale a rischio di dislocamento e d’infezione
Richiede personale esperto nella
permanenza con utilizzo inferiore a quelli temporanei. È possibile
tecnica
di cateteri ad hoc
praticare boli, l’infusione continua di farmaci
e di usare la modalità PCA
Molto più stabili; rischio ridotto di infezione L’impianto
o dislocamento
invasiva
è
una
procedura
Impianto di punto di
accesso sottocutaneo per
somministrazione ev. o È possibile praticare boli, l’infusione Il gripper va inserito da mani
intratecale
continua di farmaci e di usare la modalità esperte
PCA
Accesso a volte difficile e rischio
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di fibrosi a seguito di ripetute
iniezioni.
Impianto di pompe per
Rischio di infezione potenzialmente ridotto
l’infusione continua di
Riduzione dei dosaggi di oppioidi
farmaci
Si tratta di una procedura
chirurgica invasiva che deve
essere effettuata da personale
esperto (sia nell’impianto sia nella
programmazione)
PCA: Patient-Controlled Analgesia, analgesia controllata dal paziente
Neuromodulazione elettrica
Tra le APT (Advanced PainTherapies), oltre le metodiche di somministrazione spinale di farmaci, abbiamo le
tecniche di stimolazione elettrica midollare (SCS, Spinal Cord Stimulation) e periferica nervosa (PNS,
Periferal Nerve Stimulation) attraverso l’impianto di device sofisticati ed efficienti.
Le metodiche di stimolazione hanno la loro indicazione principale nel dolore neuropatico periferico, come
nelle lesioni di nervo, radice o plesso da intrappolamento, trauma accidentale e lesioni post-chirurgiche,
nelle radicolopatie croniche cervicali e lombosacrali dovute a ischemia o compressione, nelle sindromi
dolorose miste da interventi chirurgici, nella neuropatia post-erpetica, nella plessopatia post-attinica e nelle
sindromi complesse quali le CRPS (Complex Regional Pain Syndrome) tipo 1 e 2.
Ulteriori indicazioni sono rappresentate dal dolore anginoso e di origine vascolare periferica.
La metodica consiste nel posizionamento di elettro-cateteri nello spazio epidurale posteriore in modo da
stimolare i cordoni posteriori del midollo spinale (SCS) o lungo il decorso della fibra nervosa (PNS).
Rizotomie Spinali
Nonostante la loro importanza storica, le rizotomie spinali non sono tecniche di gran rilievo in terapia
antalgica. Esse non possono essere considerate altro che tecniche complementari della cordotomia e si può
affermare che:
1) data la fugacità e la poca prevedibilità dei risultati a fronte della discreta invasività, la rizotomia
spinale a cielo aperto va evitata;
2) la neurolisi fenolica subaracnoidea può essere eseguita nel dolore tessutale localizzato alla parete
toraco-addominale e al perineo ma è da proscrivere in corrispondenza dei plessi brachiale e
lombosacrale; inoltre, Orlandini afferma che essa vada eseguita solo su un dolore relativamente
circoscritto e in pazienti con aspettativa di vita di poche settimane; se il dolore è neurogeno, vi
sono poche probabilità che il fenolo raggiunga il ganglio spinale bersaglio; se il dolore è a carico dei
plessi lombosacrale e brachiale, non si hanno garanzie di evitare i deficit motori; se il dolore
interessa una vasta superficie corporea, è arduo coinvolgere nella lesione l’adeguato numero di
nervi spinali: in queste circostanze, la neurolisi va eseguita in diverse sedute e, considerata la breve
durata del painrelief, è poco conveniente; se il paziente ha un’aspettativa di vita più lunga di
qualche settimana, la recidiva è certa e va preventivata la ripetizione della procedura; in questo
caso, se il dolore toracico è unilaterale o nettamente prevalente da un lato conviene eseguire la
cordotomia, eventualmente riservando la neurolisi fenolica subaracnoidea per il dolore residuo
controlaterale; un’altra indicazione della procedura è il dolore anoperineale in pazienti portatori di
ano preternaturale; in queste circostanze, è preferibile eseguire la cordotomia per controllare il
dolore nella metà del perineo dov’è preminente e la neurolisi fenolica subaracnoidea per quello
residuo controlaterale;
3) la termorizotomia spinale a radiofrequenza è una procedura relativamente semplice a livello
cervicale e lombare e di esecuzione piuttosto lunga, anche se scevra da difficoltà, a livello toracico e
sacrale dove richiede la tecnica translaminare; l’intervento è indicato nel dolore radicolare a carico
di 1-2 radici e, consentendo una discreta selettività metamerica, può essere eseguito, oltre che nel
tratto toracico, anche a livello dei plessi lombosacrale e brachiale; per contro, nel dolore tessutale
toraco-addominale, dov’è necessaria la tecnica translaminare, la procedura risulta eccessivamente
indaginosa dovendo essere ripetuta su un certo numero di radici spinali: in questo caso conviene
eseguire la neurolisi fenolica subaracnoidea.
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Rizotomie Craniche e termorizotomia trigeminale
Indicazioni:
1) nevralgia del trigemino;
2) dolore nel paziente oncologico soltanto se la nocicezione prodotta dalla neoplasia non sconfina dal
territorio trigeminale verso quello di altri nervi cranici e soprattutto verso la regione laterocervicale
innervata dai primi nervi spinali.
Mentre nella nevralgia del trigemino è sufficiente ottenere una lieve ipoalgesia nel territorio facciale e si
possono eseguire interventi come la glicerolizzazione retrogasseriana, come descritta da Hakansson, o la
microcompressione, come citata da Mullan e Lichtor, per controllare il dolore prodotto da un tumore che
ha invaso i tessuti facciali occorre sempre l'analgesia profonda e quindi la termorizotomia.
Termorizotomia del glossofaringeo
La termorizotomia percutanea del glossofaringeo è il moderno metodo di cura della nevralgia del
glossofaringeo e del dolore nocicettivo-tessutale da cancro nel territorio di distribuzione periferica del
nervo (faringe, palato molle, fossa tonsillare, parte posteriore della lingua e canale uditivo esterno). Il target
è il ganglio petroso di Andersch, all’uscita dalla pars nervosa del forame giugulare. Come citato da
Orlandini, l’operazione è complessa perché il target è difficile da vedere con la fluoroscopia e, essendo rare
le indicazioni, l’operatore non ha la possibilità di eseguirla di frequente.
La cordotomia cervicale percutanea
La cordotomia è l’unico modo per eliminare radicalmente i dolori nocicettivi con carattere incident. La
cordotomia, gravata da una fama tutt’altro che lusinghiera, è di veloce esecuzione, il risultato è immediato
e permette al malato una precoce dimissione (2-3 giorni di degenza).
Dopo l’intervento la motilità è conservata, allorché l’operazione sia stata eseguita con tecnica rigorosa e da
mani esperte. In particolare non è vero che la durata dell’efficacia antalgica è di soli pochi mesi poiché
esistono casi nei quali una lunga sopravvivenza alla malattia tumorale ha consentito di verificare che
l’analgesia perdura nel tempo se ben eseguita e ha conseguito l’analgesia profonda.
La cordotomia non presenta i ben noti effetti collaterali degli oppioidi (nausea, stipsi, diminuzione
dell’appetito, riduzione della vigilanza, riduzione della libido e della potenza sessuale) che sono causa di
grave disagio, fino alla sospensione del loro utilizzo. Per di più il paziente che assume morfina non potrà più
guidare l’auto, mentre quello trattato con cordotomia potrà farlo con padronanza: infatti, se eseguita al
momento opportuno, la cordotomia restituisce al paziente una vita assolutamente normale.
Sono indicazioni assolute alla cordotomia quelle nelle quali il dolore per il suo carattere incident non è
controllato dalle altre terapie: la radicolopatia lombosacrale, la radicoloplessopatia brachiale, la
radicolopatia toracica, l’invasione neoplastica dell’articolazione coxofemorale, l’invasione neoplastica della
spalla, l’invasione neoplastica del ginocchio, l’invasione neoplastica della colonna vertebrale, l’invasione
neoplastica della cute e delle mucose, la sindrome del torace a corazza (costo-pleural syndrome), la
sindrome dell’addome congelato (frozen abdomen syndrome), la sindrome della pelvi congelata (frozen
pelvys syndrome), la sindrome del dolore ano-genitale.
Indicazioni relative sono le situazioni costituite da un dolore unilaterale in pazienti con discreta aspettativa
di vita che possono essere curati con morfina ad alte dosi o con la cordotomia: la decisione terapeutica
spetta al paziente adeguatamente informato. Con la cordotomia s’interrompono le afferenze nocicettive
nel quadrante anterolaterale del midollo spinale. Essa produce la definita perdita della sensibilità dolorifica
su un emisoma con conservazione del tatto e della motilità.
Nella strategia terapeutica del dolore oncologico la cordotomia può, in casi selezionati, precedere la terapia
farmacologica con gli oppiacei ad alte dosi ed è un errore proporla come extrema ratio dopo aver provato
tutte le altre terapie (vedi Figura 4).
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Figura 4 - Cordotomia
Sindromi dolorose nel paziente neoplastico
Metastasi ossee
Il mieloma multiplo e il cancro della mammella, della prostata e del polmone sono patologie che hanno
grande propensione alla metastatizzazione alle ossa; le sedi più comunemente colpite sono le vertebre, il
bacino, il femore e il cranio. Le metastasi ossee sono di solito dolenti, anche se è stato riferito che il 25% di
pazienti con metastasi ossee non lamenta sintomi. Il dolore può essere la risultante del coinvolgimento
diretto del tessuto neoplastico all’interno del tessuto osseo con attivazione di nocicettori locali, oppure può
dipendere dalla compressione di nervi adiacenti o dal coinvolgimento di strutture vascolari e/o dei tessuti
molli. Il dolore viene descritto come sordo, ottuso; di solito è avvertito nell'area anatomica sede di
metastasi ed è esacerbato dai movimenti; le metastasi della colonna vertebrale possono coinvolgere e
comprimere le radici dei nervi segmentari e possono dare luogo a dolore di tipo radicolare, comportandosi
come dolore di tipo misto (dolore nocicettivo/neuropatico). Pazienti affetti da metastasi alla base del cranio
possono lamentare cefalea, dolori al movimento del capo nonché dolori al volto e/o al collo che possono
estendersi fino alla spalla. I disturbi legati alla presenza di metastasi ossee non consistono solo nella
presenza di dolore e immobilità ma possono essere causa di fratture e ipercalcemia, frequenti nel tumore
della mammella, del polmone, del rene, della tiroide e nel mieloma multiplo, e compressione del midollo
spinale.
La diagnosi di metastasi ossea viene frequentemente stabilita a seguito di accertamento radiologico;
scintigrafia e risonanza magnetica sono sistemi di rilevamento altamente sensibili; più raramente, è
necessaria biopsia ossea.
Un cenno particolare va riservato alle metastasi alle ossa del cranio. Distinguiamo:
 Sindrome della fossa media: la sintomatologia ricorda la nevralgia trigeminale: possono presenti
parestesie e senso d’intorpidimento o deficit sensoriali e solitamente il dolore è riferito nelle zone
della seconda e terza branca del trigemino. Talora si presentano anche ipotonia dei masseteri,
diplopia, disartria, cefalea e disfagia.
 Sindrome del forame giugulare: il paziente riferisce dolore occipitale irradiato alle spalle o al collo,
esacerbato da movimenti del capo ed eventualmente accompagnato da ipotonia muscolare o altri
sintomi neurologici. Il dolore è descritto come lancinante e soffocante e può manifestarsi una
sindrome di Bernard Horner.
Metastasi Peridurali/Compressione del midollo spinale
La metastasi peridurale è la complicanza più temibile della metastasi ossea vertebrale e costituisce
un’emergenza medica; sbagliare diagnosi e non trattare questa situazione porterà a deficit neurologici
permanenti a causa della lesione del midollo spinale. Una diagnosi tempestiva, di fronte a deficit
neurologici chiari, dovrebbe portare a misure chirurgiche urgenti in grado di consentire un rapido
miglioramento del quadro clinico.
Le metastasi peridurali sono una complicanza comune in pazienti affetti da carcinomi della mammella, della
prostata, del polmone, del mieloma multiplo, del carcinoma renale e del melanoma; nella maggior parte dei
casi l’invasione dello spazio peridurale avviene per contiguità dalle metastasi vertebrali e solo in una piccola
percentuale la progressione avviene per invasione diretta di una neoplasia retroperitoneale o per
contiguità di un tumore localizzato nel torace posteriore attraverso i forami intervertebrali. La diffusione
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per via ematica con conseguente disseminazione nello spazio peridurale è solitamente rara. Solitamente il
dolore è misto, ma pazienti affetti da una neoplasia che coinvolge le radici nervose presentano un dolore
acuto a distribuzione di tipo radicolare. Questi quadri clinici, qualora non vengano trattati in modo
adeguato, evolvono in modo infausto; il dolore aumenta lentamente e costantemente e nel giro di 7
settimane dall'esordio compaiono deficit neurologici a causa della compressione spinale. Segnali di
compressione del midollo spinale (sindrome della cauda) includono deficit a carico della componente
motoria e/o sensitiva e la disfunzione autonomica vescicale e intestinale.
Poiché il dolore è il primo segnale importante, le metastasi peridurali spesso possono essere diagnosticate
e trattate per tempo al fine di evitare lo sviluppo di deficit neurologici; pazienti affetti da dolore lombare
persistente, con RX della colonna vertebrale negativa, con o senza deficit di neurologici, dovrebbero subire
una valutazione più approfondita con RMN.
Pazienti affetti da un dolore vertebrale progressivo e persistente, con la presenza anche di dolore nucale, le
cui radiografie abbiano dato esito negativo per patologia, dovrebbero essere sottoposti a uno studio dello
spazio peridurale, anche in presenza di un esame neurologico normale.
La somministrazione di analgesici e corticosteroidi costituisce il cardine del trattamento farmacologico; la
radioterapia o l’intervento chirurgico seguito da radioterapia sono i due trattamenti standard.
Approfondimento: Bisfosfonati
Questa categoria di farmaci ha un ruolo importante nel trattamento delle metastasi ossee osteolitiche, in
associazione alle terapie convenzionali: terapia analgesica appropriata, radioterapia, chemioterapia
palliativa, eventuali procedure chirurgiche. I bisfosfonati sono efficaci nel sollievo del dolore, specie in
associazione alla terapia analgesica e alla radioterapia. Tra I più utilizzati il denosumab e l’acido
zoledronico, che nelle metastasi da carcinoma della mammella e della prostata e nel mieloma multiplo
hanno dimostrato di diminuire in modo significativo gli eventi scheletrici e aumentare il tempo alla
progressione, con diminuzione della necessità di ricorrere ad altre procedure (radioterapia o chirurgia
ortopedica) oltre a diminuire in modo significativo il dolore da metastasi ossee, osservata nei primi 3 mesi
di trattamento e mantenuta nel tempo. I bisfosfonati sono generalmente ben tollerati ma particolare
attenzione va posta alla somministrazione in pazienti con insufficienza renale (quale può riscontrarsi nel
mieloma multiplo), anziani o in trattamento con altri farmaci escreti per via renale; la somministrazione
deve essere preceduta da una valutazione stomatologica, Rx, ortopanoramica e istruzione del paziente per
una corretta igiene orale, per la prevenzione della una seppur rara, osteonecrosi mandibolare.
Plessopatie
L’interessamento dei plessi cervicali, brachiali e lombosacrali può essere causa di dolore “intrattabile”
(farmaco-resistente) nel paziente neoplastico: il dolore si genera quando queste strutture vengono
infiltrate dal tumore o compresse da fibrosi in seguito a radioterapia di strutture adiacenti o esiti iatrogeni
chirurgici. Il dolore tende a essere meno preminente nelle plessopatie radio-indotte rispetto a quelle
secondarie a infiltrazione neoplastica. La plessopatia cervicale è causata più comunemente da metastasi ai
linfonodi cervicali o dall’estensione locale di tumori primitivi del capo e del collo; talvolta la causa va
ricercata nel decubito di sistemi di contenimento (spallacci) a livello della regione sovraclaveare. Il dolore
che origina nel plesso cervicale spesso viene avvertito inizialmente come un fastidio irradiato al collo e
all'occipite; nelle forme conclamate il paziente lamenta un dolore disestesico o lancinante, irradiato alla
regione retro auricolare, nuca, spalla e angolo mandibolare omolaterale spesso accompagnato da deficit
sensoriali.
La plessopatia brachiale è una complicanza comune del cancro al polmone, alla mammella e del linfoma,
ma può essere causata anche da metastasi di un tumore primitivo distante; la compressione o infiltrazione
del plesso può avvenire a causa di adenopatie o masse neoplastiche ascellari o sopraclaveari o tumori
dell’apice polmonare superiore (sindrome di Pancoast). Nell’interessamento della parte inferiore del plesso
(C7-T1) il dolore si localizza a spalla, gomito e parete mediale dell’avambraccio con intorpidimento del
quarto e quinto dito. L’interessamento della parte alta del plesso (C5-C6) invece determina dolore in sede
paraspinale, parte laterale del braccio e gomito con intorpidimento del pollice e indice e disestesie urenti. Il
plesso lombosacrale può essere interessato direttamente dall’invasione di tumori a partenza dall'addome o
dalla pelvi (tumori del colon retto, dell’endometrio e del rene) oppure sarcomi e linfomi, mentre nel 25%
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dei casi le plessopatie lombosacrali sono causate da metastasi linfonodali di melanomi, neoplasie
mammarie o polmonari. Il dolore continuo e gravativo, poi urente o disestesico è il sintomo d’esordio che
talora precede anche di alcune settimane la comparsa di sintomi neurologici: è localizzato in sede lombare,
quadranti inferiori dell’addome, fianco e coscia. Talora compaiono dolore e disestesia inguinale o genitale o
si può configurare la Malignant psoas Syndrome per infiltrazione del muscolo psoas.
Approfondimento: nevralgia acuta post-erpetica
Nei pazienti affetti da malattia oncologica vi è un elevato rischio d’insorgenza d’infezione o di riattivazione
di un’infezione latente da virus Varicella-zoster, a causa della più elevata incidenza d’immunodepressione
in questa popolazione di pazienti. Un quadro d’infezione da Herpes zoster disseminato ha una probabilità
d’insorgenza doppia nei pazienti con tumore in progressione rispetto ai soggetti con malattia neoplastica in
fase di remissione. Il paziente descrive tipicamente il dolore con distribuzione metamerica, come una
sensazione di bruciore o di scossa elettrica o talvolta lancinante. Si può localizzare nell'area delle croste
dopo guarigione delle stesse e nelle lesioni cutanee ormai chiuse e depigmentate, nelle quali di solito c'è
perdita di sensibilità: l'iperalgesia può essere profonda.
Nella fase acuta si raccomandano le terapie antivirali in combinazione con analgesici. Per la nevralgia posterpetica si possono utilizzare farmaci antiepilettici che agiscono sul dolore neuropatico.
Breakthrough Cancer Pain (BTcP)
Una completa trattazione del dolore oncologico deve comprendere la definizione e il trattamento del
Breakthrough Cancer Pain, termine usato prevalentemente nei paesi anglosassoni, che non ha un
equivalente in altre lingue europee, soprattutto di origine romanica, nelle quali si parla talora di dolore
episodico intenso (DEI), termine che, tuttavia, non contiene appieno il significato della parola inglese.
Citato per la prima volta nel 1990 da Portenoy come aumento transitorio dell’intensità del dolore di base,
nel 2002 è stato ripreso da Mercadante che dichiara che, nella popolazione oncologica, il BTcP è un dolore
transitorio, severo o atroce, che dura secondi o ore e si sovrappone a un dolore di base controllato da
oppioidi; nel 2005 Bennett afferma che il BTcP è qualsiasi dolore transitorio severo, la cui intensità supera
quella del dolore di base.
La definizione completa di BTcP attualmente validata è stata pubblicata sulla rivista ufficiale della Società
Italiana di Cure Palliative a Maggio 2010, che lo definisce come:
…un’esacerbazione transitoria del dolore, di intensità moderata-elevata, che insorge, sia
spontaneamente sia a seguito di un fattore scatenante, in pazienti con dolore di base
mantenuto per la maggior parte della giornata sotto controllo o di intensità lieve.
Il BTcP è caratterizzato da un’insorgenza improvvisa, una intensità di tipo moderato-grave (VAS d’intensità
maggiore o uguale a 6 – 7) e da una durata generalmente non superiore a 30 minuti (massimo 60); il BtcP
ha un impatto molto negativo sulla qualità di vita dei pazienti oncologici.
Dal punto di vista fisiopatologico sono stati identificati due sottogruppi: quello spontaneo che si manifesta
in assenza di uno specifico fattore scatenante e quello provocato; quest’ultimo comprende il dolore
volontario (indotto dal movimento) e quello non volontario (indotto da attività inattese quali tosse,
starnuto, vomito). Esistono poi il cosiddetto dolore procedurale (incannulamento venoso, medicazioni di
piaghe o ferite, posizionamento di sondini) e il dolore da fine dose che ha un approccio farmacologico
differente. La prevalenza del DEI riportata in letteratura varia dal 19 al 95% dei pazienti con dolore cancrocorrelato; tale dato riflette probabilmente la diversa valutazione clinica data al sintomo nei differenti trial
(vedi Tabella 9).
Per quanto concerne il trattamento, va inanzitutto raggiunta una ottimizzazione della strategia antalgica ad
orario fisso (Around The Clock - ATC), utilizzando gli oppioidi in un modo tale che sia raggiunto il migliore
equilibrio tra analgesia ed effetti collaterali; a questo punto la comparsa di episodi di BTcP prevede l’utilizzo
di rescue medication al regime analgesico di base. Date le caratteristiche del BTcP, idealmente la rescue
dose dovrebbe avere una rapida insorgenza dell’azione analgesica, efficacia clinica, una breve durata di
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azione, disponibilità e maneggevolezza nell’utilizzo e possibilmente assenza di effetti collaterali e costi
sostenibili. Storicamente l’uso della morfina a pronto rilascio alla dose di 1/6 rispetto alla dose equivalente
di oppioide usato per il trattamento del dolore di base, ha rappresentato per molti anni lo standard
terapeutico nonostante l’assenza di trial randomizzati che ne supportassero l’utilizzo; le caratteristiche
farmacocinetiche della molecola, come l’inizio d’azione (20-30 minuti) e il tempo al picco dell’effetto (60-90
min) la rendono poco adatta al BtcP; più efficace senz’altro è la somministrazione di boli endovenosi di
morfina, che risulta tuttavia un’alternativa poco maneggevole, soprattutto a domicilio. Per questo il
trattamento più approriato del BTcP è rappresentato dal ROO (Rapid Onset Opioid) a base di fentanil
transmucosale, disponibile in diverse formulazioni (fentanil citrato, compresse orosolubili, compresse
sublinguali, spray nasale con e senza pectina) da adattare al quadro clinico e alle caratteristiche e
preferenze del paziente.
Tabella 9. Fattori prognostici di dolore difficile
1) Pazienti più giovani
2) Dolore neuropatico
3) Dolore episodico o incidens
4) Distress psicologico
5) Abuso di sostanze stupefacenti, pregresso o in atto, con possibilità di utilizzo inappropriato degli
oppioidi o di precoce tolleranza
6) Impoverimento cognitivo con difficoltà di valutazione del dolore o ridotta tollerabilità ai trattamenti
farmacologici
7) Elevata intensità del dolore alla presentazione iniziale
Tratto da: Fainsinger RL, Cancer pain assessment we predict the need for specialist input?
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www.aiom.it
www.eapcnet.org
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Questionario ECM
1) Ogni giorno in Italia quante persone muoiono di tumore mediamente?
a) meno di 100
b) circa 240
c) oltre 470
d) oltre 700
2) Nella fase avanzata della malattia oncologica?
a) la priorità è la riduzione del sintomo dolore per permettere la migliore qualità di vita residua
possibile
b) è fondamentale il trasferimento in un hospice
c) l’obiettivo è curare la malattia oncologica per migliorare l’aspettativa di vita
d) tutte le risposte indicate
3) Il dolore in oncologia può essere presente in quali fasi di malattia ?
a) prima manifestazione di una neoplasia misconosciuta
b) l’espressione di una malattia neoplastica nota
c) danno iatrogeno
d) tutte le risposte indicate
4) In caso di dolore da diretto interessamento del tumore, esso può essere dovuto alle seguenti cause
eccetto:
a) metastasi ossee
b) infiltrazione di muscoli o parenchimi
c) infiltrazione di plessi o strutture nervose
d) dolore post-attinico
5) Nel sistema PQRST, quale definizione è scorretta?
a) P (Provocative): cosa provoca dolore
b) Q (Quality): come può essere definito
c) R (Radiation): intensità della radioterapia
d) S (Severity): intensità del dolore
6) I farmaci della scala del WHO vanno somministrati secondo le seguenti regole eccetto?
a) somministrazione solo a orari fissi
b) se possibile per bocca
c) individualizzata in base alle caratteristiche del paziente
d) con attenzione ai dettagli
7) I farmaci di terzo scalino?
a) non vanno mai somministrati se non in fase terminale
b) vanno somministrati solo quando i farmaci dei primi due scalini risultano inefficaci
c) vanno somministrati a orari fissi per diminuire il rischio di abuso
d) nessuna delle risposte indicate
8) Il trattamento del BreakthroughCancerPain:
a) prevede l’uso di boli di morfina e.v.
b) può contemplare l’uso di morfina orale a rapido rilascio, soprattutto nei casi prevedibili
c) si basa sull’uso di ROO
d) tutte le risposte indicate
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9) Le tecniche chirurgiche in terapia del dolore:
a) servono ad asportare la neoplasia
b) sono da considerare solo dopo il fallimento di tutte le terapie farmacologiche
c) sono da utilizzare solo in pazienti con dolore neuropatico
d) vanno tenute in considerazione, in casi selezionati che non rispondono alle terapie
farmacologiche o presentano effetti indesiderati intollerabili
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