Progetto “Diversamente Uguali” - Benvenuti sul sito dell`Istituto

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Progetto “Diversamente Uguali” - Benvenuti sul sito dell`Istituto
Progetto “Diversamente Uguali”
Percorso di Educazione alla Cittadinanza per la prevenzione dell’emarginazione e della
discriminazione rivolto a bambini in età prescolare e scolare (4-10 anni)
INTRODUZIONE
Il progetto Diversamente uguali nasce dall’esigenza di riportare l’attenzione della scuola
dell’obbligo sulle tematiche relative all’educazione alla cittadinanza e alla convivenza civile nella
precisa convinzione che sia proprio la scuola a giocare un ruolo decisivo nel favorire sia i processi
di integrazione dei cittadini immigrati sia quelli di trasformazione della stessa società ospite e dei
suoi modelli.
Esso prevede un percorso educativo-didattico per la prevenzione dell’emarginazione e della
discriminazione rivolto agli insegnanti e a tutti i bambini (italiani, stranieri e con background
culturale diverso) in età prescolare e scolare (3-11 anni) realizzato presso l’ Istituto Comprensivo
“Bottacchi” di Novara con la partecipazione dell’Associazione “Noi del IV Circolo” di Novara, di
Assopace – Novara, Amnesty International di Novara, Unicef di Novara e con il finanziamento della
Fondazione Comunità del Novarese.
L’intento del progetto è quello di promuovere all’interno della scuola una riflessione sulla tematica
dell’identità culturale anche alla luce delle trasformazioni a cui essa deve far fronte e di avviare un
processo di cambiamento rispetto alle modalità e alle pratiche utilizzate dagli insegnanti per
accogliere la diversità interculturale nel pieno rispetto di ogni individualità.
Partendo dal presupposto che l’identità culturale propria di ogni bambino non è qualcosa di
definito e “immutabile”, ma si costruisce e ri-costruisce costantemente nell’incontro e nel
confronto con gli altri all’interno di relazioni e scambi reciproci, il progetto propone attività volte a
rendere i bambini più consapevoli di sé, dei propri vissuti e della propria identità, a sviluppare in
loro la capacità di riconoscere le molteplici differenze che caratterizzano la vita di ognuno e a
permettere una miglior convivenza rispettosa dell’Altro.
L’universo scuola, come ci ricorda Tobie Nathan, ha la tendenza ad uniformare i saperi, a sminuire
le diversità, a smembrare le identità, mira alla dispersione dei gruppi d’origine, e la violenza e
l’impulsività così spesso registrate nei figli degli immigrati sembrano testimoniare le difficoltà
incontrate da questi bambini e adolescenti ad affermare le loro appartenenze culturali.
Ancora Pierre Bordieu parla di “violenza simbolica” che si trasmette in questa come in altre
istituzioni imponendo la legittimazione di valori, principi, gerarchie e l’addestramento (dressage)
della mente.
Tuttavia, sebbene la scuola possa essere anche luogo di criticità, essa rimane un territorio
privilegiato nel quale è possibile mettere in luce specifici “campi di potere” e specifiche modalità
di “trasmissione del potere”.
Il progetto Diversamente uguali prevede la realizzazione di un percorso formativo finalizzato alla
pratica di una pedagogia dell’inclusione. Attraverso laboratori didattici culturali supportati da
incontri formativi e da un kit didattico gli insegnanti potranno sperimentare una specifica
metodologia di accoglienza che potranno poi utilizzare ogniqualvolta sulla loro strada
incontreranno un bambino straniero. Il progetto prevede altresì incontri di monitoraggio per
verificare quanto realizzato e un incontro conclusivo per valutare la validità e l’efficacia del
percorso ed eventualmente apportare delle modifiche migliorative.
OBIETTIVI SPECIFICI
1
Obiettivo 1: Approfondire gli orientamenti teorici più significativi in materia di educazione alla
cittadinanza e alla convivenza civile. Costruzione di un “kit” teorico - didattico rivolto agli
insegnanti della scuola dell’infanzia e della suola primaria per promuovere la lotta all'
emarginazione e alla discriminazione etnica e culturale.
Obiettivo 2: Aggiornare gli approcci d’intervento già utilizzati nella scuola e sviluppare una
proposta metodologica specifica per ogni fascia di età (3-5 anni, 6-8 anni, 9-11 anni) della scuola
dell’infanzia e della scuola primaria. Formare insegnanti allo sviluppo di competenze relative
all'educazione alla cittadinanza ed alla convivenza civile.
Obiettivo 3: Sperimentare sul campo la metodologia proposta coinvolgendo un campione di
bambini di sezioni e di classi selezionate. Attuare i laboratori didattici.
Obiettivo 4: Valutare l'intervento attraverso l’analisi del materiale utilizzato dalle insegnanti ed
elaborato in un focus group conclusivo.
Obiettivo 5: Diffondere i risultati del progetto aumentando la sensibilizzazione della scuola nei
confronti dell’Educazione alla cittadinanza e alla convivenza civile nell’ottica di una didattica
inclusiva.
FASI, AZIONI E TEMPI DEL PROGETTO
Fase di Start Up
E’ stato necessario svolgere una serie di attività propedeutiche finalizzate alla realizzazione
dell’idea progettuale.
a)
stesura dell’idea progettuale
b)
coinvolgimento dei partners e ricerca dei finanziamenti. Partners: Noi del IV Circolo onlus,
Istituto Comprensivo “Bottacchi” di Novara, Assopace (Novara), Amnesty International (Novara),
Unicef (Novara); Contributo della Fondazione della Comunità del Novarese e di Assopace di
Novara.
a)
configurazione del gruppo progettuale
b)
stesura definitiva del progetto per la partecipazione ai bandi e ai canali identificati
Fase 1. Progettazione del laboratorio e costruzione del kit didattico (luglio – ottobre 2016)
a)
Coordinamento scuole e insegnanti
b)
Ricerca e messa a punto del materiale didattico;
c)
Predisposizione di un kit didattico scritto e illustrato;
d)
Predisposizione delle linee guida per l'attuazione del laboratorio;
e)
Predisposizione delle linee guida per la verifica e la convalida del kit in questione.
f)
Riproduzione del materiale didattico
Fase 2. Formazione degli insegnanti (Novembre 2016)
a)
identificazione degli insegnanti da coinvolgere con le rispettive sezioni e classi attraverso
criteri prestabiliti
b)
formazione di 32 insegnanti, 10 ore di formazione distribuite in 4 incontri di 2,30 ore per
acquisire le conoscenze e gli strumenti del kit ludico-didattico
Fase 3. Attuazione dei laboratori ad opera degli insegnanti coinvolti (dicembre 2016 – aprile
2016)
a)
Svolgimento dei laboratori in 8 sezioni e 8 classi
Fase 4. Monitoraggio (Febbraio 2016)
2
1 incontro in itinere per monitorare l'andamento del progetto
Fase 5. Verifica dell’esperienza dei laboratori (maggio 2016)
a)
focus group
b)
Stesura report conclusivo
Fase 6. Sensibilizzazione e diffusione dei risultati
LINEE GUIDA
Le presenti “linee guida” sono precedute da riflessioni teoriche che fanno da sfondo
all’applicazione del progetto e costituite da indicazioni metodologiche a supporto dello
svolgimento dei laboratori.
METODOLOGIA DEL PROGETTO
Si propone un percorso di laboratori educativi supportati da un kit didattico per gli insegnanti.
Ogni laboratorio si articolerà, a discrezione dell’insegnante, in 3 incontri di 2 ore ciascuno oppure
in 6 incontri di 1 ora ciascuno e sarà differenziato per fasce di età:
•
•
•
3-5 anni ( scuola della infanzia )
6-8 anni (primo ciclo della scuola primaria)
9-11 anni (secondo ciclo della scuola primaria)
I laboratori
I laboratori proposti nel progetto Diversamente uguali si configurano come spazio interstiziale in
cui si incrociano le rappresentazioni e i vissuti dei bambini al fine di :
- sviluppare processi di conoscenza dell’alterità,
- stimolare la curiosità dei bambini per il “non ancora conosciuto”, per la diversità, per la
differenza dei punti di vista
- favorire l’accoglienza, il rispetto, la conoscenza reciproca
- promuovere processi di contaminazione reciproca
- aiutare a “tenere insieme” i frammenti delle molteplici identità e delle memorie emotive
ad esse legate.
I laboratori didattici proposti offrono ai bambini la possibilità di riflettere e di sperimentare su di
sé vissuti ed emozioni legati ai temi dell’identità, della diversità e dell’incontro con l’Altro.
Le attività proposte interverranno su diversi piani:
 rapporto classe – insegnanti
 rapporto tra pari
 rapporto con il Sé corporeo e con i vissuti emozionali
Esse mirano ad accrescere le occasioni di conoscenza e di scambio all’interno del gruppo – classe
offrendo momenti per:
- verbalizzare gli stati di malessere e individuare le possibili cause che li hanno determinati
- imparare ad esprimere in maniera adeguata i propri affetti, le proprie emozioni, in modo
socialmente accettabile ed efficace
Esse mirano altresì a creare all’interno della classe un clima di ascolto e di rispetto delle differenze,
che permetta a tutti di esprimersi liberamente senza il timore del giudizio, che aiuti a sviluppare
relazioni positive e serene con i coetanei e gli adulti, che contribuisca a favorire l’integrazione di
ciascun bambino nel gruppo.
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Le indicazioni metodologiche per l’attivazione di un laboratorio educativo-didattico prevedono:
1) Un focus centrato su un tema specifico. Nel caso del progetto in questione si tratta di
circoscrivere l’intervento sulle tematiche dell’identità, della diversità e dell’incontro con l’Altro che
verranno affrontati in maniera sequenziale.
2) Un ambiente predisposto. Viene superata la tradizionale prossemica basata sulla dinamica
insegnante che espone e alunno che ascolta per favorire una circolarità del sapere e
dell’esperienza.
3) La realizzazione di attività basate sull’apprendere dall’esperienza nello scambio reciproco che
faciliti la trasposizione di quanto avvenuto nel laboratorio nel contesto di vita reale.
Il kit didattico
Il Kit contiene una parte teorica comune ed una parte metodologica specifica per ciascuna delle
tre fasce di età coinvolte.
Nella parte teorica del fascicolo didattico gli insegnanti troveranno sviluppate tematiche utili a
comprendere:
 il ruolo della scuola e del docente in particolare nell’attuazione di una pedagogia
dell’inclusione e dell’Intercultura
 le dinamiche identitarie dei bambini con background culturale diverso
Nella parte metodologica saranno esplicitati i percorsi formativi e i laboratori differenziati per
ciascuna fascia d’età (3-5 anni, 6-8 anni, 9-11 anni). Gli insegnanti troveranno un ventaglio di
proposte didattiche con schede e linee guida per attuarle e potranno scegliere quelle che
riterranno più opportune all’interno della loro classe o sezione. In questa parte del fascicolo
didattico gli insegnanti sceglieranno a loro piacimento le attività che intenderanno svolgere.
PARTE TEORICA
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La scuola e il paradigma dell’integrazione
Luz Cardenas
Il crescente incremento della popolazione di minori con background migratorio e la continua
evoluzione del fenomeno, impone alla scuola un ripensamento dell’approccio alle tematiche
dell’integrazione e la ricerca di nuovi strumenti e metodologie.
Il rapporto nazionale Miur-Ismu A.S. 2014 2015 conferma il trend di crescita delle iscrizioni degli
alunni stranieri nelle scuole italiane. Si è passati dai 196.414 dell’a.s. 2001/02, pari al 2,2% della
popolazione scolastica complessiva agli 814.187 dell’a.s. 2014/15, pari al 9,2% del totale. Il
rapporto mette anche in evidenza che fra i contesti scolastici a maggioranza straniera sono le
scuole dell’infanzia e le scuole primarie ad essere le più numerose. Inoltre presenta un' analisi
accurata della presenza dei minori non accompagnati nella scuola, questione nuova che si sta
presentando negli ultimi anni.
Il fenomeno migratorio in Italia presenta caratteristiche specifiche rispetto ad altri paesi e
soprattutto si è manifestato con un ritmo di crescita molto elevato nel giro di pochi anni. È a
partire dalla fine degli anni ‘90, anni nei quali i flussi migratori in Italia cominciano ad intensificarsi
considerevolmente, che inizia ad apparire una normativa più specifica che affronta la questione
della presenza dei minori stranieri nella scuola, la loro accoglienza e integrazione, la necessità di
un’ educazione alla convivenza democratica tra persone di diverse appartenenze, la necessità di
sviluppare azioni di educazione interculturale.
G. Favaro sottolinea come attraverso l’analisi del lessico utilizzato nelle esperienze e nei progetti
relativi all’inserimento scolastico degli alunni stranieri, si possano ripercorrere i cambiamenti di
questi anni: agli esordi venivano usati soprattutto i termini di “accoglienza e inserimento”; più
tardi le parole “integrazione e intercultura” sono state le più citate; ora è giunto il tempo
dell’inclusione. Nel corso del tempo si è venuto a creare un vero e proprio modello educativo
italiano della pedagogia interculturale in linea con una storia e tradizione educativa inclusiva che
accoglie le varie forme di diversità.
La scuola, dunque, per prima rispetto ad altre realtà sociali e ad altre istituzioni, raccoglie la sfida
che il fenomeno migratorio comporta cogliendo in essa l’occasione per ripensarsi, rileggere e
arricchire i propri strumenti pedagogici.
Un’ occasione, quella della presenza degli alunni stranieri, che consolida una funzione della scuola
divenuta centrale: quella di integrare tutte le diversità, valorizzandole, ma anche individuando
elementi di somiglianza, possibilità di osmosi e di ibridazione tra culture come elementi di crescita
e di sviluppo culturale. Una scuola che arricchisce il suo mandato di agenzia educativa
impegnandosi ancora di più come costruttrice di cultura e di trasmissione di valori di scambio,
solidarietà, cittadinanza, tutela dei diritti, pari opportunità, garanzia della libera espressione
culturale, e che ridisegna anche un’ educazione civica in cui il rispetto dell’altro e l’esercizio della
cittadinanza da parte di tutti, indipendentemente dalle differenze, deve essere agito a partire dal
confronto, dallo scambio e dall’ acquisizione di strumenti fondamentali.
La scuola diventa quindi luogo di incontro, di confronto, di scambio fra culture, con la duplice
funzione di accoglienza e d’integrazione degli alunni stranieri nel nostro contesto culturale. La
scuola è chiamata a promuovere la cultura del dialogo e della reciprocità mediante percorsi
educativi che coinvolgano tutti gli alunni, italiani e non, in un processo che proceda dalla
consapevolezza di sé all’accoglienza dell’Altro, allo sviluppo di percorsi identitari che sappiano farsi
contaminare ed arricchire dalla conoscenza di altre realtà culturali, superando i limiti di una
appartenenza etnocentrica.
Nell’Osservatorio Nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione
interculturale del Ministero della Pubblica Istruzione dell’ottobre 2007, riferendosi alla via italiana
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per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri, si trova la seguente enunciazione:
“La scuola italiana sceglie di adottare la prospettiva interculturale – ovvero la promozione del
dialogo e del confronto tra le culture – per tutti gli alunni e a tutti i livelli: insegnamento, curricula,
didattica, discipline, relazioni, vita di classe. Scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non
limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di
carattere speciale. Si tratta, invece, di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa
della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di
provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica). Tale approccio si basa su una concezione
dinamica della cultura, che evita sia la chiusura degli alunni/studenti in una prigione culturale, sia
gli stereotipi o la folklorizzazione. Prendere coscienza della relatività delle culture, infatti, non
significa approdare ad un relativismo assoluto, che postula la neutralità nei loro confronti e ne
impedisce, quindi, le relazioni. Le strategie interculturali evitano di separare gli individui in mondi
culturali autonomi ed impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo ed anche la
reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed affrontare i conflitti che ne
derivano. La via italiana all’intercultura unisce alla capacità di conoscere ed apprezzare le
differenze la ricerca della coesione sociale in una nuova visione di cittadinanza adatta al pluralismo
attuale, in cui si dia particolare attenzione a costruire la convergenza verso valori comuni.” (pag.
9).
La presenza dei bambini stranieri e con background migratorio nella scuola dell’infanzia e nella
scuola primaria ha una grande importanza nell’ambito delle strategie dell’integrazione scolastica e
riveste un ruolo essenziale nell’apprendimento della lingua italiana, nella prevenzione del ritardo e
dell’insuccesso scolastico e nel processo di inclusione sociale. Rappresenta anche una grande
opportunità per i bambini italiani per imparare competenze di cittadinanza e di intercultura.
Nelle linee pedagogiche e valoriali della prospettiva della scuola italiana si delinea un modello
integrativo, interculturale, attento alla cultura altrui e alla valorizzazione della lingua di origine,
che tutela fortemente il diritto all’istruzione di tutti i minori presenti sul territorio italiano, come
diritto soggettivo e dovere sociale con l’importante obiettivo di “far sentire a casa propria tutti i
bambini” che la frequentano indipendentemente dal loro luogo di provenienza o da quello delle
loro famiglie. Questi attributi la distinguono rispetto ad altre realtà europee.
La scuola si configura come luogo privilegiato per sedimentare le basi per il divenire della nostra
società. Una patria-terra o società-mondo come orizzonti possibili richiedono ripensamenti della
Storia e una re-immaginazione di un tipo di società vivibile per tutti i soggetti viventi. L’urgenza del
presente per costruire il futuro ci mette di fronte alla necessità di resistere a forme di
impoverimento culturale, disinvestimento e banalizzazione rispetto alle complesse questioni
introdotte dai fenomeni migratori. Sembra pertinente a questo riguardo riportare la frase di
Corneluis Castoriadis (rispetto all’idea Moriniana di soggetto vivente) “il vivente costruisce il suo
mondo: formulazione fondamentale che dobbiamo porre al centro di tutto” .
L’insegnante e le competenze per una scuola inclusiva
Luz Cardenas
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L’incontro tra due esseri è come il contatto tra due sostanze
chimiche: se c’è una reazione entrambe ne vengono trasformate.
C. G. Jung
Da quanto detto nel paragrafo precedente la sfida è quella di rendere operativi nel concreto il
significato e la portata di una scuola inclusiva. L’Intercultura non va concepita come ricerca
“dell’esotico”, ma piuttosto come attenzione globale al mondo in cui viviamo e di cui siamo parte
integrante, nel rispetto delle diversità culturali, religiose, ambientali. Da questo punto di vista
comprendere l’altro, non significa parlare degli altri, raccogliere informazioni su usi e tradizioni
differenti, ma significa parlare con gli altri: compromettersi. Significa, dunque, ascoltare e cercare
risposte avviando processi di conoscenza, confronto, scambio e trasformazione reciproca.
La scuola è un’organizzazione che si distingue dalle altre per la durata della permanenza in essa
delle persone che ne fanno parte e per la peculiarità delle relazioni che si instaurano. La scuola è
speciale soprattutto per l’età degli utenti; bambini in crescita alle prese con i travagli fisici e
psichici che il processo maturativo comporta e per la specificità delle attività formative che vi si
svolge. Al cuore di tutto il processo si trova l’insegnante o meglio la relazione che egli instaura con
l’allievo, con la classe e con gli oggetti di lavoro. Ed è la qualità di questo rapporto a farne la
differenza. Carl Rogers pone al centro dell’azione educativa la relazione insegnante–allievo,
precisando che l’insegnante dovrebbe assumere il ruolo di “facilitatore” all’interno del gruppo. La
qualità principale del facilitatore non risiede, per Rogers, nella sua preparazione culturale, che
amplia e approfondisce continuamente, ma piuttosto nella capacità di stabilire con gli studenti
un’efficace rapporto interpersonale.
L’educazione interculturale deve prima diventare esperienza e maturazione nella testa degli
insegnanti per potersi tradurre in nuove configurazioni delle prassi educative. Richiede che i
docenti abbiano acquisito informazioni supplementari che li mettano nelle condizioni di leggere le
differenze, di rapportarsi ad esse, per saper gestire con maggior serenità eventuali problemi o
conflitti; occorre “esercitarsi” ad ascoltare e utilizzare nella relazione educativa comportamenti e
metodi argomentativi non violenti, nel rispetto delle diverse logiche d’interazione tra persone,
cresciute ed educate all’interno di mondi culturali e contesti storico-sociali diversi, spesso lontani,
e talvolta in conflitto.
L’insegnante quindi dovrebbe essere consapevole dei sentimenti, delle emozioni e delle
aspettative dei suoi allievi e dei loro familiari riguardo al suo ruolo e a quello rivestito
dall’istituzione. Ci sono rappresentazioni ed attese degli altri che giocano fortemente nella
relazione che si instaura. Il ruolo sociale attribuito alla scuola e quindi all’insegnante può assumere
diversi significati nel tempo e nello spazio. Deve tenere presente che uno dei motivi della
migrazione è quella di dare ai figli l’opportunità di un futuro migliore che contiene implicitamente
l’attesa di una scuola migliore.
Dovrebbe essere capace di avvicinarsi con sensibilità ai sentimenti e alle emozioni dei suoi allievi
all’interno e nei confronti del gruppo classe. Il mondo in classe è una condizione che va letta non
solo nella fatica che ciò comporta ma soprattutto nell’opportunità che si ha davanti per formare e
trasformare le persone. Perciò bisogna sapere gestire le dinamiche del gruppo con la sua vasta
gamma di emergenze: curiosità, apertura, conoscenza, conflitti, esclusione, separazione, ecc.
L’insegnante dovrebbe essere consapevole di cosa può accadere nella sua mente e di quali
possono essere le sue emozioni e i suoi sentimenti quando lavora e agisce davanti a certi temi e
questioni che toccano profondamente la sua soggettività e su cui deve agire assumendo
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inevitabilmente determinate posizioni. Il suo ruolo non è neutro. Ogni sua azione, in quanto attore
sociale, ha una valenza politica. Anche il silenzio o l’astenersi è comunicante.
Quali sono quindi le competenze specifiche che dovranno essere sviluppate in coerenza con
l’orizzonte della scuola inclusiva?
Possiamo sinterizzarle tenendo presenti i diversi piani : cognitivi, affettivi, relazionali e operativi
irreducibilmente interconnessi.
Sul piano delle rappresentazioni, idee e cognizioni sarebbe opportuno sviluppare forme mentali di
apertura verso la diversità, allargando la riflessività rispetto a come si sta in questi temi,
riconoscendo e assumendo i contenuti dei proprie pensieri, lavorando sui propri pregiudizi e
stereotipi.
Sul piano affettivo sarebbe opportuno assumersi il mandato della scuola inclusiva bilanciando la
fatica che può comportare il lavorare su questi temi con altre dimensioni piacevoli che accadono
quando ci si autorizza a immergersi autenticamente nel lavoro.
Sul piano relazionale sarebbe opportuno allenarsi all’osservazione a all’empatia curando con molta
attenzione le parole e i gesti con cui si comunica. Essere capace di costruire un clima di gruppo
piacevole, leggero, valorizzante e affettivo. Allenarsi nella gestione di dinamiche di gruppo sia sul
versante della cooperazione che sul versante della gestione dei conflitti.
Sul piano operativo sarebbe opportuno saper traghettare agendo con una attenzione permanente
e trasversale sui valori della scuola inclusiva per potere davvero attuare processi di maturazione e
di consapevolezza che si sedimentino autenticamente nelle persone in formazione con cui si ha a
che fare.
Approcci e metodologie delle pratiche interculturali
Come accennato nei paragrafi precedenti si è venuto a creare in Italia un modello educativo a
sostegno della scuola inclusiva che si riflette nelle diverse proposte didattiche che mirano a
concretizzare la pedagogia interculturale in aula.
In seguito si descrivono le caratteristiche di questi approcci con la finalità di orientare gli
insegnanti rispetto a ciò che troveranno nei percorsi proposti nel progetto Diversamente uguali.
Metodi decostruttivi
Questo tipo di approccio è orientato ad offrire un nuovo punto di vista o ad allargare il campo
visivo. Attraverso diverse tecniche si cerca di avvicinarsi ad un dato argomento o situazione con
approcci diversi, al fine di portare i partecipanti a scoprire modi alternativi di interpretare la
questione. Questo genere di metodi è particolarmente adatto allo sviluppo della capacità di
affrontare positivamente
e di risolvere creativamente i conflitti e a sviluppare la capacità di
decentramento dello sguardo nonché di sviluppare molteplici competenze comunicative e
relazionali.
Metodi ludico esperienziali
Vygotski sosteneva l’importanza del gioco per consentire al bambino di mettere alla prova le sue
potenzialità, e simulare i ruoli che potrebbe giocare, interagire ipoteticamente con una varietà di
contesti e di oggetti, e sperimentare nel suo piccolo mondo i temi che riesce a percepire e a
mutare dal mondo interno. Il gioco è transculturale, si gioca in tutto il mondo, per quel motivo
diventa uno spontaneo e immediato terreno comune tra bambini anche di culture diverse. Il gioco
risulta motivante e partecipativo per tutti, in particolare per i bambini dato che propone una
cornice di regole rassicuranti che stimolano il desiderio d’interagire, concentrando l’attenzione su
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un oggetto raggiungibile, coinvolgendo l’affettività, creando contatti e legami relazionali e
mobilitando azioni e risorse creative nel problem solving.
Attraverso il gioco si produce un contesto vivo in cui si sviluppano relazioni più libere e meno
formali. Permettono di superare alcune barriere, ad esempio di ordine linguistico. I contesti
informali e di gioco inducono i bambini e i ragazzi a osare e a sperimentarsi molto di più, per
questo “giocare” diventa “mettersi in gioco”. Per molti bambini è l’occasione per esprimere abilità
altrimenti non riscontrabili e quindi con implicanze identitarie nel riconoscersi e nel farsi
riconoscere.
Metodi narrativi
Si tratta di una vasta gamma di attività che favoriscono la maturazione di competenze attraverso
l’azione narrativa. L’approccio narrativo, modificando profondamente lo stile didattico e la
dinamica dell’aula, che smette di essere il “luogo delle risposte giuste”, diventa un luogo pieno di
storie da creare e ricreare, da esplorare e da scoprire, che promuovono l’interpretazione delle
esperienze proprie ed altrui. La pedagogia narrativa sprona la dimensione educativa istituzionale a
non limitarsi ad essere soltanto tempo e luogo di spiegazioni, ma ad essere anche spazio di ascolto
reciproco tra soggetti narranti, per la costruzione di un’identità che, come sostiene Paul Ricoeur, è
proprio un’identità narrativa, ossia un’identità a cui l’essere umano accede grazie alla stessa
mediazione della funzione narrativa. L’identità narrativa è dinamica, mobile, processuale, in
continua trasformazione: è un’”identità nomade” (Lucà 2008, 146).
I processi narrativi, oltre a favorire contesti relazionali positivi e generare motivazione e
coinvolgimento emotivo rispetto all’apprendimento, possono modificare le dinamiche dell’aula, in
quanto tutti possono diventare narratori, intervenire in una storia e ricrearla, fare previsioni sui
possibili sviluppi, avviare processi di identificazione (o disidentificazione) con i personaggi, ed
altro.
E’ facile immaginare laboratori narrativi per lo sviluppo di molte delle competenze interculturali o
per operare un’elaborazione, interpretazione o reframing di memorie, esperienze, relazioni o
conoscenze.
Metodi espressivi
I metodi espressivi promuovono un approccio esperienziale alla conoscenza, coinvolgendo le
dimensioni profonde dell’essere umano, attraverso l’esperienza dei sensi, la sollecitazione della
corporeità e del movimento, l’uso dell’intuito, la rielaborazione delle memorie e dei valori e la loro
traduzione in linguaggi alternativi.
Nell’espressione di sé ciascuno porta un vissuto che ha un valore esperienziale, che non è più
“vero” o “falso” degli altri, soltanto diverso, soggettivo e unico. L’ottica è quella di rendere espliciti
elementi impliciti, esplorare la complessità di Sé.
Questi metodi offrono una cornice strumentale protettiva per esplorare, interpretare e
manifestare le proprie esperienze e sono un’occasione privilegiata per comprendere quelle altrui,
creando un clima pluralistico. Essi sono particolarmente adatti a fornire un’esperienza di
conoscenza ed ascolto reciproco, attraverso significati e linguaggi soggettivi e creativi che
sollecitano l’emergere di nuovi aspetti di sé, perciò dispongono i partecipanti a lasciarsi
sorprendere dalla rinnovata scoperta di sé e dell’altro.
Identità, diversità e incontro con l’Altro
Fulvia Pitto
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Accade spesso ancor oggi nel mondo della scuola che gli insegnanti si mostrino preoccupati
quando arriva nelle loro classi un bambino straniero. Vorrebbero conoscere tutto della sua cultura
di appartenenza, vorrebbero capire come “funziona” per poter decodificare i suoi comportamenti
e trovare una chiave di lettura delle sue rappresentazioni. Ma soddisfare una tale richiesta
potrebbe essere fuorviante e anche molto pericoloso perché ci porterebbe, oltre che a
tratteggiare profili il più delle volte caricaturali, a ridurre i bambini e le loro famiglie alle loro
affiliazioni culturali che rappresenterebbero, in realtà, solo uno degli aspetti della loro identità.
Quest’ultima, come ci ricorda Claude Levy-Strauss, è un processo in divenire e non una natura. E’
una struttura mobile, permeabile, flessibile ed eterogenea e attraversata da una molteplicità di
elementi che si sviluppano solo nella relazione con l’Altro.
Identità, diversità e incontro con l’Altro sono infatti i tre temi affrontati nel progetto presentato.
Le questioni dell’identità e della diversità spesso si riducono erroneamente ad essere trattate in
termini di “appartenenza” e “distinzione”. Ma ben lungi dal considerare le culture di appartenenza
come sistemi dai confini netti e stabili, preferiamo condividere l’idea secondo cui ogni cultura è di
fatto il prodotto di contaminazioni, prestiti, scambi reciproci. Ogni cultura è perciò meticcia, cioè
costituita da elementi eterogenei che si evolvono nella relazione con l’Altro.
Allontanandoci da una compulsione classificatoria sterile e pericolosa, che tenta di ridurre la realtà
a categorie fisse e ben definite, preferiamo pensare all’incontro con l’Altro come ad una risorsa
piuttosto che come ad un ostacolo. Di fronte ad una diversità intollerabile tendiamo verso una
suggestione dell’etichetta, trascinati dall’impulso di situare frettolosamente ciò che non si conosce
dentro schemi a noi più familiari. L’invito è piuttosto di rimanere più a lungo nel labirinto
dell’inclassificabile e dell’incerto (Beneduce, 2005). Tornano qui utili le parole di Tobie Nathan
(2002) quando sostiene che nell’incontro con l’Altro bisogna compromettersi, esponendo cioè a
costante critica le proprie riflessioni, i propri modelli e le proprie categorie.
Certamente, e parliamo in particolare della condizione migratoria, il processo di meticciato è
spesso accompagnato da esperienze dolorose, da conflitti interni ed esterni, da contraddizioni e
solitudini che per i bambini si traducono in un vissuto di grande vulnerabilità psicologica,
intendendo con essa uno stato di minor resistenza ai pericoli e alle aggressioni esterne. Negli studi
sui bambini con background migratorio viene utilizzato di frequente tale concetto (Anthony E.J.,
1978). Si sottolinea come il funzionamento psichico del bambino vulnerabile sia tale che una
variazione minima interna o esterna provoca un disfunzionamento importante, una sofferenza
sovente tragica, un arresto, un’inibizione o uno sviluppo al minimo del suo potenziale. Questa
fragilità si manifesta sul piano psicologico attraverso sensibilità e debolezze, reali o latenti,
immediate o ritardate, dormienti o esplosive (Anthony E.J., Chiland C., Koupenik C.,(1978) L’enfant
dans sa famille, l’enfant vulnérable, Paris, PUF, riedizione 1982).
Sono stati individuati (M.Rose Moro) tre momenti particolarmente critici nella vita di un bambino
e di un adolescente migrante in cui la loro vulnerabilità si presenta con una maggiore evidenza.
Periodo post-natale: la madre e il neonato possono presentare grosse difficoltà ad adattarsi
l’uno all’altro, lontano dal loro sistema culturale di riferimento e dal contenimento del gruppo
famigliare.
Periodo di latenza: corrisponde al periodo di entrata nella scuola primaria, nel momento in
cui il bambino impara a leggere e a scrivere nella seconda lingua. Questo comporta spesso una
rottura definitiva con i legami fondamentali rappresentati dalla lingua materna. A scuola il
bambino straniero vive spesso come distanti e inconciliabili i modelli culturali proposti dai genitori
a casa e dagli insegnanti a scuola, rispetto ad esempio alle modalità di manifestare gli affetti e di
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strutturare i ruoli e le relazioni interpersonali, così come rispetto alle aspettative che gli vengono
richieste dai due spazi educativi.
Adolescenza: si pone la delicata questione della filiazione, cioè del legame per il quale
l’individuo viene a situarsi all’interno del gruppo al quale appartiene.
Il concetto di vulnerabilità psicologica non può essere definito senza far riferimento al suo
contrario, la resilienza, vale a dire la capacità di resistere e di difendersi dalle avversità della vita.
Alcuni bambini messi di fronte a situazioni particolarmente drammatiche, anziché soccombere,
sembrano reagire sviluppando risorse interne straordinarie.
Questo significa che non è detto che tutti i bambini stranieri, migranti, rifugiati o minori non
accompagnati,
manifestino
necessariamente
disturbi
psicologici,
gravi
difficoltà
nell’apprendimento o siano a rischio di sviluppare forme patologiche in relazione alle esperienze
traumatiche vissute. I fattori che entrano in gioco sono svariati e varie sono anche le dimensioni
(individuale, sociale, culturale, ecc.) che li attraversano.
Tuttavia è importante che gli insegnanti e chi si occupa di loro siano consapevoli della possibilità
che tali disagi si possano manifestare anche in relazione agli scenari culturali e geografici da cui
essi provengono.
La situazione transculturale che i bambini migranti vivono costituisce quindi un fattore di rischio
potenziale per un sano processo di crescita.
Essa implica che il bambino migrante provi a trovare a poco a poco un equilibrio dinamico tra
passato e futuro, tra quello che ha lasciato e quello che trova, dovrà cercare di staccarsi dalle sue
origini senza rinnegarle e vivere il nuovo senza sensi di colpa.
La situazione dei bambini migranti è potenzialmente a rischio in quanto essi si ritrovano a subire le
influenze di due ambienti, spesso anche in contraddizione l’uno con l’altro, da una parte la società
d’origine, rappresentata dalla famiglia e, dall’altra la società d’accoglienza, che richiede una certa
adesione ai propri modelli.
Essi si ritrovano a vivere una situazione di doppia appartenenza, che implica l’essere portatori di
un’identità culturale diversa rispetto a quella del paese di accoglienza ed il sentire di appartenere
contemporaneamente ad entrambe le culture. Un chiaro paradosso non sempre facile da gestire.
I bambini stranieri di seconda generazione sono portati inconsapevolmente verso un’assurda sfida
tra modelli culturali spesso vissuti e rappresentati come antagonisti.
Ma essi non possono scegliere tra una cultura e l’altra, perché essi sono il prodotto di
un’interazione, di uno scambio reciproco, di un metissage in continua evoluzione. Essi sono già
due, scegliere equivarrebbe a scindersi, a dividersi a metà (Pons, vedi Beneduce). Essi vivono
dunque in una condizione di indecidibilità perché non appartengono totalmente né alla cultura del
paese ospite né alla propria cultura d’origine, ma al tempo stesso appartengono ad entrambe. A
loro il duro compito di costruirsi un’identità nuova, senza precedenti. Essi si devono pertanto
confrontare con un’ insolita forma di solitudine e diventare demiurghi di se stessi e del loro
destino (Tobie Nathan). Una situazione che può rivelarsi particolarmente critica se essi non
riescono ad incrociare sul loro cammino dei passeurs, dei traghettatori, figure adulte capaci di
accompagnarli e sostenerli in questo lungo percorso di integrazione tra due o anche più mondi.
Abdelmalek Sayad anziché parlare di “doppia appartenenza” ci parla al contrario di doppia
assenza, concetto che noi riteniamo particolarmente adatto per delineare il vissuto dei minori e
delle loro famiglie.
Tale condizione si traduce in una doppia assenza: essere solo parzialmente assenti là dove si è
assenti – assenti dalla famiglia, dal villaggio, dal paese – e, nello stesso tempo, non essere
totalmente presenti là dove si è presenti.
Sayad delinea il migrante come colui che è “fuori luogo”, un soggetto non classificabile e privo di
un proprio spazio all’interno della società di destinazione. Il fenomeno della migrazione si rivela
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dunque nella propria complessità; i protagonisti di questo processo possono subire una doppia
esclusione e un doppio isolamento. Lo spazio sociale e culturale che si sono lasciati alle spalle,
spesso non è più disposto a donare una nuova accoglienza; il nuovo spazio sociale in cui fanno
ingresso è, al limite, disposto ad una “tolleranza”, ma non ad una reale compenetrazione.
I bambini migranti tentano di uscire da questo paradosso, ma spesso, spinti dal desiderio di non
essere diversi dai loro coetanei autoctoni, dai sentimenti di vergogna per la loro diversità e dalla
paura del rifiuto, si rivelano particolarmente inclini ad assimilare piuttosto che ad integrare la
nuova cultura e a rinnegare la cultura delle loro origini. Questo può creare conflittualità nelle
relazioni famigliari e generare intoppi nei processi di identificazione intergenerazionale. Come ci
ricorda Simona Taliani (2002a) “la sottrazione di una diversità (in questo caso, culturale) – che sia
fatta in buona fede o per dei buoni fini – è un atto violento che non può che avere un impatto
altrettanto violento sul bambino, sui genitori e su noi altri”.
Una problematica centrale nei bambini e, ancor di più, negli adolescenti migranti è proprio
l’iscrizione identitaria, un processo che si rivela particolarmente a rischio nel momento in cui si
introduce un evento critico, come può esserlo la migrazione.
[…] si arriva ad una situazione che è spesso descritta dai genitori come ‘esclusione dei propri figli
dalla genealogia’. Infatti questi bambini sono spesso descritti come i bambini del paese
d’accoglienza, i bambini di Francia, i bambini d’Olanda, ma mai i bambini di casa loro. Non sono
identificabili, rispondenti ad esigenze, a modelli legati ad idee ed immagini interiorizzate rispetto
al bambino. Sono bambini stranieri. Così si crea progressivamente il movimento di distanziamento
tra genitori e figli che in adolescenza giunge al suo culmine (Yahyaoui, 2002, p. 114).
Ma la riflessione sui bambini stranieri, se consideriamo anche i rifugiati ed i minori non
accompagnati non si può fermare qui: non si tratta solo di considerare gli effetti della separazione
dalla propria cultura d’origine, dell’esperienza derivante dall’incontro con nuovi valori e principi e
della condizione di pesante incertezza trasmessa dai genitori.
Quando abbiamo a che fare con bambini provenienti da paesi in guerra, portatori di traumi e
violenze, che hanno vissuto la drammatica esperienza della fuga e della clandestinità, ci troviamo
di fronte a forme di sofferenza diverse, singolari, che si fatica a riconoscere e che spesso si
manifestano solo tardivamente.
I bambini stranieri vengono spesso indicati come stranieri di seconda generazione, intendendo
generalmente con tale definizione i figli degli immigrati, siano essi nati in terra straniera oppure
nel paese d’accoglienza. Tale terminologia appare tuttavia riduttiva e ambigua e nasconde l’insidia
di accentuare il divario tra bambini stranieri e autoctoni. Una nuova terminologia, più adatta alla
complessità della migrazione, è quella introdotta da Sayad che preferisce parlare di “generazione
alla seconda”. Essa richiama la funzione aritmetica della potenza ed esprime meglio la condizione
di una generazione che è elevata alla duplicità. Sayad ci parla di émigrée au second degré. Siamo
di fronte ad una doppia migrazione, quella dei genitori dai loro luoghi d’origine prima e quella dei
bambini dai loro genitori dopo. Ancora Sayad ci parla di enfants qui ne continuent pas les parents,
bambini che non continuano i loro genitori e che generano una frattura spesso incolmabile.
PARTE METODOLOGICA
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I percorsi formativi
Le tabelle sottostanti contengono i programmi differenziati per fasce di età. Per ciascun tema da
sviluppare sono descritti gli obiettivi didattici da raggiungere e l’elenco delle varie attività proposte
in modo che l’insegnante possa scegliere cosa realizzare:
Tema
Identità
Diversità
Incontro
Programma per i bambini di 3 – 5 anni
Obiettivi
Attività - Materiale
Acquisire il concetto Scheda N° Racconto: Il brutto anatroccolo
di identità
Scheda N° Libro Casa Casina
Maturare
atteggiamenti di
accettazione di sé
Acquisire il concetto
di Alterità
Maturare
atteggiamenti di
accettazione
dell’Altro
Acquisire
comportamenti e
atteggiamenti di
collaborazione e
solidarietà, di
mutuo rispetto e di
accettazione delle
differenze.
Acquisire
consapevolezza
della ricchezza
dell’incontro con
l’Altro
Scheda N° Gioco : Ho perso una cavallina
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Libro Sig.re Orizzontale e la Sig.ra verticale
Libro : I tre mostri
Gioco disegno : Gli Altri (Amnesty)
Gioco dell’integrazione: Mischiare i colori
Conflittualità: Libro Il draghetto nel mare (Luz)
6 – 8 anni
Tema
Obiettivi
Materiale
Identità
Acquisire il concetto
di identità
Maturare
atteggiamenti di
accettazione di sé
Scheda N°
ecc.)
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Presentazione di sé
Albero del sé
Palloncini
Racconto “Giraffa cerca se stessa”
Il gioco dei nomi e dei gesti
Gioco “Descrizione”
Acquisire il concetto
d’Alterità
Maturare
atteggiamenti di
accettazione
dell’Altro
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Gioco : Ho perso una cavallina
Canzone: “Il triangolo Paiu”
Storia : Le teste a punta
Video (Rodari) Il paese senza punte
Diversità
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Busta del come sono (statura, corporatura,
Incontro
Tema
Identità
Diversità
Incontro
Acquisire
comportamenti e
atteggiamenti di
collaborazione e
solidarietà, di
mutuo rispetto e di
accettazione delle
differenze.
Acquisire
consapevolezza
della ricchezza
dell’incontro con
l’Altro
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Scheda N°
Passaporto (Fanon)
Scheda carta d’imbarco (Fanon)
Poesia (Rodari) Il pelle rossa nel presepe
Libro I Tre mostri
Libro Puntino
Gioco di fiducia e di cooperazione :
Il cerchio seduto
Camminare sulla luna
Gioco della fiducia con occhi bendati
Autolavaggio
Il letto d’acqua e la doccia
Giochi di conflittualità
Come iniziare una lite
Nessuno me la fa
Spinge tu che spingo anch’io
9 – 11
Obiettivi
Materiale
Acquisire il concetto Scheda N° Questionario chi sono io
di identità
Scheda N° Racconto d’Alice
Maturare
Scheda N° La busta del come sono (costruire indicazioni)
atteggiamenti di
Scheda N° Gioco di identità “Io sono”
accettazione di sé
Scheda N° Gioco “Autobiografia)
Scheda N° Gioco “Descrizione”
Scheda N° Gioco “Se fosse…”
Acquisire il concetto
di Alterità
Maturare
atteggiamenti di
accettazione
dell’Altro
Acquisire
comportamenti e
atteggiamenti di
collaborazione e
solidarietà, di
mutuo rispetto e di
accettazione delle
differenze.
Acquisire
consapevolezza
della ricchezza
dell’incontro con
l’Altro
Scheda N° Poesia : Questa è Jenny
Scheda N° Scheda Passaporto (Fanon)
Scheda N° Scheda carta d’imbarco (Fanon)
Scheda N° Racconto Papalagi
Scheda N° Storia di Yayagigha (Fanon)
Scheda N° Lettera ad un bambino in un paese straniero
Scheda N° Giochi di ruolo:
Scheda N° Se fosse al posto di …
Scheda N° Gioco di riflessione sulle differenze: Scheda N°
Uguali / Diversi
Si propongo inoltre (in allegato) altri strumenti indispensabili per lo svolgimento dei laboratori:
La scheda di Auto-riflessione per l’insegnante che contiene una serie di stimoli per riflettere sulle
proprie rappresentazioni rispetto alle tematiche in questione.
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La griglia Intervista – Osservazione della classe con una serie di domande e stimoli da condividere
con i bambini rispetto alle loro appartenenze, abitudini, comportamenti, ecc.
La griglia di Osservazione del laboratorio
(DA DEFINIRE)
Accorgimenti per lo svolgimento dei laboratori
Prima di proporre le varie attività, si richiede all’insegnante di esplicitare i contenuti e gli obiettivi
dell’esperienza che andranno a sperimentare e chiarisce le regole del gioco.
Ogni laboratorio avrà inizio quindi con un momento di introduzione in cui l’insegnante illustrerà
brevemente il tema previsto.
In seguito si continuerà con il momento in cui l’insegnante presenterà le attività e darà il via alla
realizzazione delle stesse scegliendo tra le vaie proposte incluse nel kit didattico.
Ogni incontro si chiuderà con un momento di rielaborazione dei vissuti personali.
Le attività potranno essere svolte con il metodo del circle time che è un metodo di lavoro, pensato
per facilitare la comunicazione e la conoscenza reciproca nei gruppi poiché:
-
consente agli alunni di esprimersi e conoscersi meglio, valorizzando le differenze;
facilita l’inclusione;
permette agli insegnanti di conoscere meglio i propri alunni e le dinamiche della classe o della
sezione;
facilita l’attenzione e la concentrazione su ciò che si sta svolgendo
può essere uno strumento di prevenzione e gestione della conflittualità.
L’attuazione di questa tecnica prevede che gli alunni si posizionino seduti per terra o su sedie
disposte in cerchio, cosicché ciascuno possa vedere ed essere visto da tutti, lasciando libero lo
spazio al centro, sotto la guida dell’ adulto. La comunicazione avviene secondo regole condivise
all’inizio e finalizzate a promuovere l’ascolto attivo e la partecipazione di tutti.
Le regole previste sono:
- ognuno deve essere libero di partecipare rispettando però le regole condivise
- bisogna ascoltare e dare attenzione a chi sta comunicando (insegnanti e compagni)
- bisogna evitare di disturbare
- bisogna guardare chi parla.
- bisogna rispettare tutti, evitando risate o commenti inopportuni
Questa tecnica offre agli allievi spazi e tempi per esprimere e socializzare scoperte, sentimenti,
emozioni, vissuti. È bene ricordare che la sicurezza nell’esprimere qualcosa di sé davanti agli altri,
si impara poco alla volta e ognuno secondo i propri tempi, pertanto l’ insegnante dovrà saper
accettare anche i silenzi degli allievi che scelgono di non comunicare verbalmente nel gruppo i
propri vissuti o stati d’animo.
Stile di conduzione dei laboratori
L’aspetto più significativo relativo alla gestione del percorso laboratoriale proposto risiede nella
consapevolezza del ruolo che l’insegnante dovrà avere nel momento in cui propone l’attività.
La prima qualità che l’insegnante deve mostrare di possedere è una sorta di comprensione di alto
livello: la capacità, cioè, di ‘far sentire’ all’allievo che è pienamente accolto, ascoltato e capito
all’interno del gruppo.
L’insegnante deve poter tendere verso l’alunno attraverso il continuo sforzo di intuizione. Intuire
che i significati, le parole, i gesti, le immagini, i ricordi che emergono sono importanti per il
bambino e devono essere, in qualche modo, valorizzati. Non si tratta però di accompagnare il
bambino nelle varie attività con frasi come ‘Hai fatto bene’ , ‘Sei stato bravo!’ perché ciò potrebbe
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generare un senso di giudizio implicito, a cui poi gli altri bambini cercheranno di tendere. Si tratta
piuttosto di evocare nel gruppo che quanto detto dal bambino è importante e che non si deve aver
paura delle parole che si usano per esprimere un pensiero o un affetto. Ad esempio si potrebbe
dire: ‘Penso che sia importante ciò che hai detto; ‘Credo che le tue parole siano molto belle’; ‘Vedo
che il tuo disegno è pieno di ricordi’; ‘Sento che i tuoi pensieri sono intensi’, ecc.. Non un giudizio
sul bambino, dunque, ma un valore che viene dato a quanto si è riusciti a dire.
L’insegnante deve essere disposto ad accogliere le manifestazione dei bisogni dei partecipanti e le
proiezioni delle emozioni che essi non riescono ad esprimere verbalmente. Deve saper facilitare la
comunicazione del vissuto emotivo tra i bambini, senza esprimere considerazioni di carattere
personale, valutazioni o giudizi di valore sul bambino in sé. Ciascun partecipante deve sentirsi
oggetto d’attenzione e avere la possibilità di essere ascoltato senza interruzioni, mentre
l’insegnante, se è necessario, ‘riflette’ al gruppo il messaggio dell’alunno, riformulando la frase in
modo da mettere in luce i sentimenti che le parole dell’alunno veicolano. In questo modo, ciascun
bambino ha la possibilità di esprimersi, condividere esperienze e liberarsi da eventuali vissuti
opprimenti.
Un altro atteggiamento che riveste un ruolo fondamentale nella relazione allievo-insegnante è
l’incoraggiamento: sentirsi incoraggiato vuol dire percepirsi capace, ma soprattutto significa
sentirsi considerato e apprezzato come persona che sa affrontare diverse situazioni della vita.
L’allievo che vive o ha vissuto esperienze particolarmente violente o dolorose, in questo modo,
potrà prendere coscienza della “vicinanza” dell’insegnante, sentirsi riconosciuto e sostenuto ed
avviarsi attivamente verso la rielaborazione della propria esperienza e il superamento di eventuali
criticità. È importante sottolineare che i partecipanti dovranno inviare i propri messaggi con
chiarezza usando pronomi quali “io” e “mio”: questa modalità comunicativa evidenzia il
riconoscimento e l’assunzione di responsabilità rispetto alle idee e ai sentimenti espressi e pone le
premesse per promuovere relazioni autentiche e genuine.
Inoltre, è essenziale che chi conduce le attività ponga attenzione e cura all’utilizzo delle principali
componenti della comunicazione verbale, sia per quanto riguarda l’aspetto linguistico e fonatorio,
il contenuto e il linguaggio del corpo.
Dal punto di vista linguistico e fonatorio, si dovrebbe prestare attenzione al volume della voce, alla
velocità dell’eloquio, alle pause, alla dizione, alla chiarezza. Per quanto riguarda i contenuti del
discorso si dovrebbe prestare attenzione ad argomentazioni alla portata dei bambini evitando
forme troppo astratte, utilizzando parole con chiari significati, fornendo dei feeb – back, ecc.
Dal punto di vista della comunicazione non verbale si dovrebbe fare attenzione all’ espressione del
volto e al linguaggio del corpo tenendo presente che solo la coerenza tra le diverse componenti
della comunicazione potrà assicurare l’efficacia nella comprensione del messaggio che si vuole
trasmettere.
In riferimento a queste considerazioni sarebbe auspicabile, laddove la necessità lo richieda, la
presenza di un mediatore culturale che faciliti la comprensione dei contenuti proposti.
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