Nino, Sophie e la banda delle calze rosa
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Nino, Sophie e la banda delle calze rosa
Nino, Sophie e la banda delle calze rosa La vita di tutti loro stava per cambiare, e Alex sentiva che era arrivato il momento di parlarne alle sue figlie. Per questo aveva ritagliato tre giorni dall’agenda del mese di maggio, fittissima di appuntamenti, fiere e scadenze, per rivolgersi al paio di adulti che lo potevano aiutare: il primo era suo fratello Victor, l’unica persona con la quale avesse condiviso, stagione dopo stagione, i propri segreti e le proprie aspettative. Era insieme a lui, che andavano organizzati i viaggi più importanti. Come quella volta, quasi dieci anni prima, che Alex era riuscito a convincerlo a riempire uno zaino per portarsi insieme a Orbetello, e intraprendere una camminata verso il cuore della Penisola. Avevano marciato insieme una settimana, quella volta, a tappe ridotte per via della tenda e dell’equipaggiamento da cucina, che li aveva oppressi a ogni salita; tuttavia, avevano riso e si erano sentiti nel palmo della stessa mano, come non capitava loro da parecchi anni. Adesso, però, Victor era un giovane professionista, non meno impegnato del fratello maggiore, e Alex si chiedeva se la sua proposta d’un viaggio insieme a tre ragazzine fra i sei e gli otto anni non sarebbe suonata ridicola, o inopportuna. Si fece coraggio, tuttavia, e lanciò l’esca durante una videoconferenza a due, nel corso della quale lui si trovava in un albergo di Milano, e il fratello a Parigi. «In Abruzzo a camminare con la Banda delle Calze Rosa?» replicò Victor, leggermente sfasato nei movimenti parafacciali rispetto all’audio. «Bello! Ma dici che le piccole reggono, tre giorni fuori?» «Ci andiamo con gli asini!» lo informò Alex che, nel mentre, aveva contattato il secondo adulto in grado di aiutarlo. «Gli asini di Luca della Compagnia dei Cammini!» Suo fratello restò congelato in video con un’espressione stupita, che tuttavia preludeva all’assenso. «…Olentieri» ripeteva, metallica, la sua voce, incantata come un disco rotto. Non è qui il caso di ricordare come, preparando un viaggio con gli asini, sia utile accostarsi alla letteratura d’argomento onologico, né di fornire informazioni dettagliate sulla fabbricazione di lunghine – i “guinzagli” dei nostri amici somari – mediante un tratto di corda da montagna e un buon moschettone a vite. Tutto quello che serve sapere, compresa l’arte di spazzolare gli zoccoli delle bestie, può essere imparato sul posto, dalla viva voce di Luca, prima di mettersi in strada per il trekking… Più comodo che ci sia. Anche Alex, Victor e le ragazze arrivarono al Casale le Crete dotati di una semplice infarinatura teorica; dopo la discussione serale del piano di viaggio, una buona notte di sonno e un’ora trascorsa insieme agli asini, però, gli adulti erano prontissimi a concedersi 72 ore di oblìo rispetto al mondo di notule, fatture e verbali; quanto alle ragazze, spazzolati a fondo gli animali e caricate le proprie cose nei borsoni, non stavano nella pelle all’idea di lanciarsi in un’avventura inaudita. I due asini insieme ai quali presero il largo si chiamavano Nino e Sophie; padre e figlia, diedero subito scandalo presso le ragazzine per i calori di lei, che imponevano di tenerli a una certa distanza. Questa attrazione incestuosa fornì ad Alex il destro per far riflettere le piccole sulle differenze fra umani e bestie. Mentre Nino e Sophie salivano diligenti per sentieri, con sessanta e trenta chili sulla groppa, vennero elencate diverse meraviglie del mondo animale. «L’orso bianco maschio, se la madre non li sorveglia, mangia i suoi cuccioli» notò, con orrore, Dafne. «Invece il pinguino cova a turno con la pinguina» fece presente Diana, la più romantica. «E il cavalluccio marino maschio par-to-ri-sce!» scandì Sofia, agitando a ritmo un ramo di nocciolo contro le terga dell’asinella sua omonima. Era una tecnica per indurla a procedere in maniera regolare, ma in realtà quella si basava unicamente sull’andatura paterna. A forza di elencare stranezze, si lasciarono alle spalle l’ultima borgata di case in pietra, e andarono a infilarsi nella boscaglia, dove tornano fanciulli anche gli adulti dal ciglio grave. Milioni di stelle ardevano, benevole, sopra il loro accampamento. Alex fabbricò l’ultima sigaretta della giornata, seduto all’indiana davanti alla sua vecchia tenda a igloo, dove Dafne e Diana già dormivano nei sacchi a pelo. Victor e Sofia, invece, si erano ritirati nella tenda rimediata da suo fratello, una canadese stinta che poteva benissimo avere visto il festival di Re Nudo al Parco Lambro, un remoto campo scout degli anni Ottanta, o forse entrambi: zio Nestore la conservava come una reliquia dei tempi in cui aveva ancora i capelli lunghi e i baffoni da messicano, e la prestava solo in occasioni eccezionali. Il viaggio di Victor col fratello e le nipotine era sembrato meritevole, e così ne aveva concesso l’impiego; avevano impiegato mezz’ora per tirarla su, contro i dieci minuti netti dell’igloo, ma adesso tutte le ragazze riposavano al coperto, e loro padre cercava di ricordare l’ultima volta in cui si era sentito così felice. Aveva pensato a tutto, prima di rilassarsi: le piccole indossavano le maglie termiche e le tute in pile; gli asini erano legati saldamente a un tronco poco distante, e il sacchetto con gli avanzi della cena pendeva a tre metri da terra, appeso a un ramo flessibile che gli si era offerto nella macchia, cento passi più in là. La brace della sua sigaretta ardeva, consumando senza rimedio carta e tabacco che si facevano fumo, e salivano veloci nell’aria fresca della notte; Alex pensò che anche la sua vita, e la vita di tutti, si facevano sempre più brevi. Eppure, gli uomini non erano destinati a diventare fumo: per loro ci sono i figli, che mandiamo per il mondo come l’arciere scaglia le frecce, destinate a cadere dove lui non arriverà mai. Lui ne aveva tre, che riposavano teneramente a pochi passi, e per loro avrebbe fatto di tutto. Tutto, tranne vivere una vita di menzogna. Doveva trovare le parole per spiegare loro cosa stava per succedere. Si svegliò nel cuore della notte: trapestio, versi soffocati, scuotere di moschettoni. Nel cuore della radura, a pochi passi dalla tenda, le bestie erano inquiete. Che qualcuno fosse scivolato fin lì, a chilometri dal casale più vicino, per rubare gli asini? La semplice ipotesi lo portò a cercare tentoni prima la torcia da testa, e poi il coltello. Dafne dormiva al suo fianco, Diana appena più in là, e non voleva svegliarle; tuttavia, là fuori, c’era qualcosa che non andava. Per vedere gli asini, avrebbe dovuto uscire sulla veranda della tenda, ma intanto gli venne l’idea di svegliare suo fratello. «Victor!» prese a chiamare, non appena ebbe aperto lo zip della casetta. «Vicky!» Ragliavano, adesso. Era chiaro che li stavano portando via. Alex sgusciò fuori dalla tenda col cuore in gola, proiettò il cono di luce verso l’angolo di radura dov’erano legate le bestie, e si trovò di fronte due paio d’occhi verde fosforescente che lo fissavano interdetti: Nino e Sophie erano al loro posto, e nessuno ronzava loro intorno. Eppure si sentiva ancora ragliare, a intervalli regolari, vicinissimo. Che ci fosse un altro asino in giro? Alex fece silenzio, sforzandosi di localizzare i suoni, e risolse che provenivano dalla canadese di zio Nestore: scoppiò a ridere da solo, quando si rese conto che l’unica musica rimasta ad animare la valletta era il russare di suo fratello. L’indomani, mentre erano in marcia per i prati della Marsica, brillanti d’erba nuova, Alex trovò il coraggio che fin lì gli era mancato. Raccontò alle bambine la favola del Re che non ama più la sua Regina, e di come gli sia complicato spiegarlo alla moglie e ai principini. Quando si attenta a confessarlo alla Regina, il poveretto riceve in testa lo scettro, seguito da piatti e stoviglie, ma alfine lei accetta la situazione. Per qualche tempo vivono separati, attenti entrambi a non far mancar nulla ai principi; il Re profitta della nuova libertà per vedere gli amici Duchi e Marchesi giù al pub, altre volte se la svignano insieme, zaini in spalla, e partono per le loro spedizioni psicoatletiche. Poi, una sera, a un ballo del Conte di Carabàs, il Re conosce una principessa che balla benissimo: gli piace da subito, e lei sembra ricambiare. In breve, si fidanzano, e lui non sa tanto bene come spiegarlo ai figlioli. «Così, un bel giorno, la principessa disse al Re: “C’è una novità! Aspetto una bambina!”» Alex arrivò al punto. «Quindi avevano fatto l’amore» dedusse Dafne. «Lui le aveva messo il seme dentro» tradusse Sofia. «Insomma, avevano fatto l’amore, e lei aspettava una bimba» riassunse Diana. «E poi?» «E poi la bimba nacque» tagliò corto Victor, che camminava in testa al gruppo, avvinto alla stessa lunghina di Nino. «Aspetta!» lo invitò alla calma Alex. «Prima deve dirlo ai figlioli!» «Perché ci stai raccontando questa storia?» indagò Dafne. Ormai aveva capito. «Arriverà una sorellina» sorrise suo padre. «Lo sapete che io e Cecilia, da qualche tempo, siamo fidanzati. E ora lei aspetta una bimba. Sarete le sue sorelle, e siete le prime persone a impararlo». «Lo zio no. Lui non sarà sua sorella» notò, con buonsenso, Sofia. «Giusto» ammise Victor. «Io resto zio». «Che ficata!» esclamò Dafne, liberata dal dubbio. «Adesso, se fa un altro figlio anche mamma, è la festa totale!» «Quando nasce?» s’informò Diana. «Come si chiamerà?» le fece eco Sofia, e loro padre fu sicuro, come si può essere sicuri lungo la strada, che la Banda delle calze rosa avrebbe accolto la piccola socia in arrivo. © Enrico Brizzi 2013