Bambini - Soldato - Italiano
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MISNA Bambini - Soldato Dagli eserciti alle guerriglie. Dai narcos al terrorismo di Luciano Bertozzi Dossier: 5 Marzo 2011 Bambini–soldato Dagli eserciti alle guerriglie. Dai narcos al terrorismo Dahara ha 15 anni e non aveva mai usato un’arma. Fino a quando non è arrivato in Libia insieme a suo cugino Hagar, di 18 anni. Sono saliti su un aereo in un piccolo aeroporto del Ciad e di lì, insieme ad altri, dopo poche ore di volo sono atterrati a Tripoli. Alla partenza gli avevano detto che sarebbero andati a lavorare in Libia, invece gli è stata data un’arma. Deve seguire gli ordini di ufficiali libici e intorno a lui ci sono mercenari ciadiani, nigeriani e maliani, alcuni della sua stessa età. Base militare di Al Jazeera, alla periferia di Mogadiscio, in Somalia. Alla recluta Idris, 10 anni, piace disegnare. Il suo capo ogni tanto gli dà dei fogli e così lui, felice, disegna. Non ha molto tempo. Gli istruttori hanno fretta che lui e le altre reclute siano pronti in poche settimane. Così Idris è sempre molto occupato e non può dedicarsi al suo hobby. Pensa sempre che quando sarà grande farà il pittore. Quando ha qualche ora libera incontra Yusef, hanno la stessa età. Ma il suo amico è più fortunato, si veste meglio e soprattutto mangia meglio. Yusef fa parte della scorta di un esponente di governo: ecco perché ha sempre qualcosa in più. In un piccolo villaggio del Nord Uganda, Cristiane sta preparando da mangiare, ha tre bambini. Ha ancora il viso da bambina, anche se oggi ha 22 anni. Ne aveva nove quando una notte i ribelli del Lord’s Resistance Army (Lra) attaccarono il suo villaggio e la rapirono. Furono dieci anni d’inferno. Trattata come una schiava. Sempre in cammino. Racconta: “ In tutti questi anni siamo stati sempre in movimento. Non ci si fermava più di tre giorni in un posto. Si mangiava quello che si prendeva nei villaggi saccheggiati o quello che ci offriva la foresta. Sono stata ‘moglie’ di tanti ribelli. Ho visto tante bambine morire di stenti e altre uccise perché avevano tentato di fuggire”. Secondo le stime della Coalizione Internazionale, una ong impegnata da anni contro l’arruolamento dei bambini-soldato, oggi sono più di 250.000, di cui 120.000 in Africa, i minori che combattono negli eserciti governativi o nelle file delle guerriglie. I bambini-soldato combattono in 17 paesi. Meno dei 24 paesi del 2004. Ma la diminuzione, rileva la Coalizione Internazione, “è più la conseguenza della fine di molti conflitti che non l’impatto delle iniziative contro l’arruolamento e l’utilizzo dei bambini-soldato”. In 14 paesi i minori sono stati reclutati anche dalle truppe filogovernative o da milizie di autodifesa per contrastare le incursioni dei guerriglieri, oppure da milizie illegali che fiancheggiano le truppe regolari. In alcuni casi gli eserciti non disdegnano di impiegare i piccoli come spie o informatori. E’ evidente che se le pressioni internazionali hanno avuto qualche effetto su alcuni governi, che hanno smobilitato i bambini o preso impegni per farlo, i movimenti di guerriglia hanno continuato ad arruolarli. Gran parte dei bambini-soldato ha un’età compresa fra 14 e 18 anni, molti sono stati “reclutati” a soli dieci anni. Negli eserciti finiscono soprattutto bambini privi di famiglia (orfani, minori non accompagnati, separati dai genitori durante gli esodi), i figli di genitori poveri e analfabeti, i rifugiati, i bambini di strada e quelli appartenenti ad alcune minoranze etniche. E’ chiaro che i piccoli abbandonati, lasciati in miseria, non hanno molta scelta fra morire di stenti o in battaglia. Molti adolescenti si uniscono alle milizie “volontariamente” in quanto identificano l’esercito con la famiglia distrutta dalla guerra, mentre altri ancora cercano di vendicare l’uccisione dei propri cari. Il fenomeno interessa anche le bambine, anche se in numero nettamente inferiore. L’inferno delle ragazze combattenti è anche peggiore di quello dei maschi, in qualunque gruppo armato e paese. Le ragazze sono particolarmente a rischio, infatti, di violenza e di schiavitù sessuale. La conseguenza è che se non si muore in battaglia si muore di malattie. Le sofferenze dei bambini-soldato I conflitti sempre più sanguinosi e interminabili richiedono sempre nuova manodopera e i bambini non disertano, non chiedono paghe, sono facili da strumentalizzare e sono tanti. I piccoli sono reclutati generalmente nelle scuole, nei campi profughi o nelle periferie delle grandi città. Sono spinti a combattere per vendicare un familiare, per denaro o perché minacciati. In tanti casi non esiste possibilità di scelta, quando l’alternativa è uccidere o essere ucciso. Il terribile rito d’iniziazione effettuato presso il Lord's Resistance Army (Lra), operante in Uganda e più recentemente in altri paesi dell’Africa centrale e orientale, consiste nel far uccidere dalle nuove reclute un ragazzo che aveva tentato la fuga. In Ciad, ha denunciato Amnesty International in un rapporto del febbraio 2011, bambini ben vestiti sono inviati nei campi profughi, dove “vivono” centinaia di migliaia di persone, con soldi e sigarette per attirare nuove reclute, proponendo da 15 a 400 dollari per chi accetta l’offerta. I ragazzini di età fra 13 e 17 anni vengono inviati a combattere, mentre bambini di dieci anni sono utilizzati come messaggeri o portatori. Un altro elemento importante è l’uso elle armi. La presenza di armi leggere come il Kalashnikov, prodotto in milioni di esemplari, l’orgoglio di tutte le guerriglie, il mitra israeliano Uzi, realizzato in più di dieci milioni di pezzi e presente in 50 Stati, il fucile statunitense M 16, la pistola Beretta, sono armi leggere, facilmente trasportabili anche in luoghi impervi e possono essere usate agevolmente da un bambino. Un altro fattore è la mancanza dell’anagrafe. In tanti paesi l’inesistenza del “pezzo di carta”, in sostanza, l’impossibilità di esigere i diritti dei più piccoli. Questa circostanza è utilizzata dagli eserciti, regolari e non, che inquadrano nelle proprie file minorenni calpestando le leggi sull’età minima dell’arruolamento falsificando i dati anagrafici o sfruttando il fatto che le nascite non vengano registrate. Una volta reclutati i bambini-soldato vengono sottoposti a una durissima disciplina, con gravi punizioni fisiche e vengono addirittura uccisi in caso di diserzione; sono addestrati all’obbedienza assoluta, ogni minima mancanza può essere punita con la pena capitale. Molti gruppi di ribelli usano droghe per ridurre le resistenze e facilitare il compimento di ogni tipo di atrocità. Altre sofferenze sono rappresentate dai maltrattamenti o dalle torture cui i bambini sono sottoposti per aver fatto parte delle milizie. In Sudan, per esempio, di recente la Corte speciale ha condannato a morte alcuni bambini di età compresa fra 11 e 16 anni per aver partecipato a un’offensiva armata nella capitale sudanese guidata nel 2008 dalla guerriglia Justice and Equality Movement (JEM), particolarmente attiva in Darfur. In Africa: tra eserciti e ribelli I paesi africani maggiormente coinvolti nel fenomeno dei bambini-soldato sono: Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Repubblica Centrafricana, Sudan, Uganda e Somalia. In Uganda, i ribelli dell’Lra hanno strappato migliaia di adolescenti alle loro famiglie per portarli nella foresta o anche nei campi di addestramento in Sudan. Si calcola in 25.000 il numero dei bambini sequestrati dai ribelli nel corso di 20 anni. Joseph Kony, il capo dell’Lra, continua una campagna di arruolamento in maniera sistematica e spietata: arriva in un villaggio, lo saccheggia, lo rade al suolo, rapisce i bambini e le bambine. Attualmente i ribelli dell’Lra stanno operando in Sudan, Repubblica Centrafricana e in particolare nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Il 24 maggio scorso Barack Obama ha firmato lo Lra Disarmament and Northen Uganda Recovery Act, una legge che darebbe mandato al presidente americano - in accordo con i governi regionali - di fermare i crimini dell’Lra e di ricostruire la società civile nel nord dell'Uganda. Fino oggi, però, nessun passo è stato fatto in questa direzione. Nella Repubblica Democratica del Congo, combattono migliaia di bambini. Nel 2009, la missione dell’Onu ha registrato circa 850 nuovi casi di reclutamento di bambini, quasi la metà attribuibile all’esercito di Kinshasa. Particolarmente attivi i vari movimenti di ribelli nel Nord e Sud del Kivu. Testimoni oculari hanno confermato la presenza di bambini-soldato tra le file dei ribelli. In Ciad - secondo il rapporto del Segretario Generale dell’Onu - l’esercito regolare e diversi gruppi armati hanno continuato nel 2009 a reclutare e utilizzare adolescenti di età compresa fra 14 e 17 anni, in particolare nella parte orientale del paese. Il governo ha cercato di minimizzare, affermando che non si trattava di una politica ufficiale, ma in diverse occasioni le autorità locali hanno ammesso la presenza dei piccoli nelle file dell’esercito. La guerriglia del Mouvement pour la Justice et l’Egalité (Mje) ha reclutato e utilizzato bambini sudanesi presenti nei campi dei rifugiati. Alcuni hanno preso parte agli scontri fra Mje e l’esercito di Khartoum nel Darfur. Altri bambini sono stati rastrellati per essere utilizzati nei combattimenti a difesa della capitale N’Djadema. Molti ragazzi sono stati reclutati e utilizzati da forze di autodifesa dei villaggi, costituite a livello locale per contrastare i movimenti di opposizione armata. In Sudan i minori sono stati impiegati in Darfur dall’esercito regolare sudanese, dalle famigerate milizie Janjaweed che appoggiano il Governo di Khartoum e nella parte meridionale del paese, dal Sudan People's Liberation Army (Spla). E’ particolarmente preoccupante che anche se il numero dei bambini utilizzati è diminuito rispetto al 2008, ne permane però l’utilizzo da parte delle Forze armate sudanesi, di quelle filogovernative e delle milizie che appoggiano il governo. Nel paese si registrano anche le incursioni dei ribelli dell’Lra, che hanno rapito centinaia di bambini. Quasi duecento di loro sono stati liberati dai militari governativi. In Somalia, tutte le parti in causa nel conflitto in atto hanno utilizzato un gran numero di bambini-soldato. Il reclutamento è divenuto - sostiene l’Onu – “generalizzato e sistematico”. I guerriglieri del movimento Hizbul Islam avrebbero almeno 500 piccoli combattenti, quelli di Al-Shabaab ne avrebbero reclutato 600 e nella base di Galduuma ce ne sarebbero almeno 1800, di cui alcuni di appena nove anni. L’arruolamento delle bambine è invece raro, ma anche se considerato inaccettabile, alcune sono impiegate in cucina, per trasportare detonatori, nella logistica e per raccogliere informazioni. Anche il governo federale di transizione impiega i più piccoli, sia pure meno sistematicamente. Nel marzo 2009 l’esecutivo di Mogadiscio avrebbe formato circa 1500 combattenti con meno di 18 anni. In Somalia secondo l’Onu sono stati registrati casi di reclutamento di bambini fra i pirati che operano al largo delle coste dell’Oceano Indiano. L’anno scorso alcuni minori sono scappati dalla guerriglia di Al-Shabaab per unirsi ai pirati, che oggi rappresentano un ulteriore sviluppo del fenomeno bambini-soldato. America Latina: tra guerriglia e narcos Mary Isabel esibisce il suo kalashnikov con orgoglio. Vuole mostrare i disegni che ha fatto sul calcio dell’Ak.47. Sono disegnati dei fiori, dei cerchi e un grande arcobaleno con il nome del suo Francisco, anche lui nella guerriglia della Farc. Vivevano nello stesso villaggio. Sono già passati cinque anni quando quella mattina arrivarono a scuola i soldati delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia- Ejército del Pueblo (Farc) e li portarono via. In Colombia, il reclutamento e l’utilizzo dei bambini da parte dei ribelli è stato denunciato dalle Nazioni Unite. Secondo il Rapporto 2010 del Segretario generale dell’Onu, il reclutamento è “una pratica comune e metodica”. I ragazzi sono stati utilizzati nel conflitto in corso da decenni per reclutare altri minorenni, come spie, nella raccolta di informazioni, per garantire l’appoggio logistico e le ragazzine come schiave sessuali. Chi cerca di scappare è punito con la morte o è sottoposto a torture. I luoghi privilegiati per il reclutamento sono le scuole. Ad utilizzare i piccoli non sono soltanto i movimenti guerriglieri delle Farc e dell’Ejército de Liberacion Nacional (Eln), ma anche unità smobilitate dai gruppi paramilitari Autodefensas Unidas de Colombia (Auc). Secondo uno studio della Defensoria del Pueblo,un’istituzione pubblica colombiana, l’età media di reclutamento è 12 anni e i piccoli rimangono fra i combattenti per un periodo compreso tra due e cinque anni. I gruppi guerriglieri delle Farc e dell’Eln sono composti, secondo alcune stime, per il 40% dei propri effettivi da minorenni, mentre per le milizie paramilitari Auc tale percentuale è del 30%. In Colombia, nel 2010, il numero degli eccidi attributi ai gruppi armati illegali è aumentato del 40 per cento. Il dato è stato fornito dall’Ufficio colombiano dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. In un nuovo rapporto presentato lo scorso febbraio a Bogotá, il responsabile locale dell’Onu ha dipinto un quadro preoccupante dello stato del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani al livello nazionale. Il diplomatico ha ricordato che sono in aumento le stragi tra bande armate e fazioni interne agli stessi gruppi. L’esperto dell’Onu ha coniato il termine post-paramilitari per i movimenti armati distribuiti oggi sul territorio colombiano, in cui sono confluiti combattenti di estrema destra provenienti dalla dissoluzione delle principali reti paramilitari, su tutte le Auc. Questi gruppi potrebbero peraltro contare sull’acquiescenza, la tolleranza e anche la connivenza, sia per corruzione o dietro minaccia, di alcuni membri delle forze dell’ordine. Rispetto alle azioni dei paramilitari negli anni Novanta, in cui erano frequenti gli eccidi di massa di civili, i gruppi armati sono passati a omicidi selettivi, concentrando le loro azioni contro attivisti per i diritti umani, esponenti della società civile e dirigenti sindacali. In Messico corruzione, ricatto e sequestro sono i metodi abituali utilizzati dai cartelli dei narcos per reclutare i bambini. Secondo la “Red por los derecho de la infancia” i bambini-narcos sono circa 30.000. Non tutti usano le armi, la maggior parte fa l’informatore o lo spacciatore. Nelle zone agricole della Sierra di Durango o del Michoacan sono impiegati nella coltivazione della droga. Gli adolescenti svolgono spesso ruoli di primo piano nella tratta di esseri umani e nel sequestro di migranti. Tra aprile e settembre 2010 oltre 11.300 migranti, per la maggior parte centroamericani, sono stati vittime di sequestri: a documentarlo è un nuovo rapporto della Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh), che conferma come la criminalità organizzata ricorra ormai alla pratica del rapimento non solo per estorsioni nei confronti dei migranti ma anche per reclutarli e utilizzarli in attività illegali; secondo le testimonianze raccolte, i sequestratori pretendono in media tra i 1000 e i 5000 dollari, ma anche fino a 10.000, per rilasciare gli ostaggi. “I più piccoli fanno gli informatori – dice Xavier Reis, della Red por los derecho de la Infancia -. A 12 anni diventano guardiani dei rapiti, a 16 già coordinano le operazioni”. La Procura generale messicana ha confermato che tra il 2006 e il 2010 ben 3.664 minori sono stati arrestati per reati legati alla criminalità organizzata, in modo particolare al narco-traffico. Nel 2010 le vittime della violenza legata al narcotraffico sono state 15.273, il 63% in più rispetto al 2009 dei quali più di mille sono bambini. Secondo le organizzazioni non governative che lavorano per i recupero dei bambini-narcos i ragazzini sono manodopera “a buon mercato” e facilmente sostituibile. In Messico oltre un milione e mezzo di adolescenti non studia né lavora e, anche per questo, diventano una preda facile per i narcos. I traffici illeciti permettono denaro immediato e uno status privilegiato. D’altra parte l’esercito messicano ha ammesso recentemente di aver usato più di 300 militari di leva di 16 anni in operazioni anti-narcos. Asia: terrorismo e guerriglia In Pakistan un adolescente con la divisa di scuola si è fatto esplodere lo scorso febbraio, in un’affollata caserma nel nord-ovest del paese causando la morte di almeno 31 reclute e il ferimento di altri 20 militari. Si tratta di uno dei più sanguinosi attentati degli ultimi mesi nel paese. Era da qualche tempo che le agenzie di intelligence notavano come i vari gruppi terroristici stavano addottrinando e addestrando un numero crescente di minori per attacchi terroristici. Documenti ritrovati e interrogatori di terroristi hanno confermato la nuova strategia dei gruppi terroristi di coinvolgere i bambini nella “Jihad” (“guerra santa”). Nella lista predisposta nel 2010 dal Segretario Generale dell’Onu sugli eserciti e le milizie che utilizzano i bambini come soldati in Afghanistan, assieme ai gruppi armati talebani, Jamat Sunat al-Dawa Salafia, il partito Hezbi-i-Islami e la Rete Haqqani, è presente anche la Polizia nazionale. All’inizio del 2011 il governo di Kabul e l’Onu hanno firmato un accordo per prevenire il reclutamento e l’utilizzo dei minori nelle forze di sicurezza afgane. Nel frattempo, un centinaio di piccoli sono stati arrestati dalla forze di sicurezza afgane e dalle forze militari internazionali per il presunto coinvolgimento o per associazione con la guerriglia. L’accesso alle carceri continua a essere difficile e pertanto le informazioni sui bambini detenuti sono limitate. L’Onu ha criticato la polizia afgana per aver utilizzato sui bambini tecniche di interrogatorio violente ed esser ricorsa all’elettroshock o altre brutalità per ottenere confessioni. Il Myanmar è uno dei paesi in Asia con il maggior numero di bambini-soldato. A migliaia combattono nell’esercito e nella guerriglia. L’esercito li utilizza in operazioni contro gruppi armati reclutati su base etnica. In Nepal, al termine del conflitto, avvenuto 2006, il piano d’azione dell’Onu ha comportato la smobilitazione di oltre un migliaio di minori che hanno avuto accesso a programmi di reinserimento forniti dal governo e dalle stesse Nazioni Unite. Nel frattempo l’Onu ha denunciato Partito comunista unificato del Nepal per il reclutamento e l’impiego di bambini-soldato. Medio Oriente L’Onu ha confermato l’utilizzo da parte di Israele di sette minori palestinesi come scudi umani nel corso dell’operazione “Piombo Fuso”(2008). A oggi sono circa 340 i bambini palestinesi nelle carceri israeliane. Non solo, l’Onu ha censito più di 87 casi di sevizie e torture nei confronti di minori palestinesi detenuti per ottenere la loro collaborazione. Il Gruppo di lavoro dell’Onu ha registrato i casi di almeno cinque giovanissimi a cui, dopo pesanti interrogatori, è stato chiesto di fare la spia. In Iraq i gruppi armati continuano a reclutare i minorenni, di entrambi i sessi, da utilizzare in atti terroristici, anche come baby-kamikaze. Non è solo Al Qaeda ad utilizzare i più piccoli, perché anche altri movimenti armati sfruttano i bambini nel conflitto. Almeno 110 ragazzi sospettati di essere coinvolti in attività terroristiche sono stati arrestati o condannati. In 25 avevano un’età compresa fra i 15 e i 18 anni. Gran Bretagna/Stati Uniti E’ drammatico notare che il fenomeno non ha interessato solo i paesi del Terzo Mondo ma anche alcuni paesi occidentali. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti è consentito l’arruolamento di volontari dall’età di 16 e 17 anni rispettivamente. Secondo la Coalizione Internazionale, al 1° aprile del 2010 erano nei ranghi delle Forze armate britanniche 3.150 minori di 18 anni. L’età di reclutamento è la più bassa d’Europa, solo 16 anni: un ragazzo inglese non può bere alcolici al pub, non può votare, ma può entrare nell’esercito. Dal 2005 il Comitato Onu sui diritti del fanciullo e vari gruppi della società civile avevano chiesto al Parlamento inglese, fino a ora inutilmente, di alzare l’età minima di arruolamento a 18 anni. Alcuni ragazzi sono stati inviati in situazioni di conflitto. Dall’inizio dell’intervento armato in Afghanistan quasi un caduto su quattro (il 24% del totale) aveva 21 anni o meno. Altri dati preoccupanti sulla condizione dei soldati inglesi più giovani riguarda l’elevato grado di disagio: il tasso di suicidi dei militari minori di 20 anni è il 50% in più rispetto a quello dei coetanei civili. Nel periodo aprile 2005 - 2010 sono stati reclutati quasi 5000 ragazzini, circa un quinto del totale delle nuove reclute. Negli Stati Uniti è consentito l’arruolamento di volontari all’età di 17 anni. Nel 2005 nei ranghi delle Forze armate statunitensi vi erano 7000 diciassettenni ed altrettanti nella riserva. Dal punto di vista legislativo, il Congresso americano aveva introdotto il Child Soldiers Prevention Act con l’obiettivo di limitare gli aiuti militari ai paesi coinvolti nel fenomeno dei bambini-soldato. Tuttavia, secondo il Center for Defense Information, vari governi dei paesi interessati continuano a ottenere assistenza militare dagli Usa. (Sudan, Iraq, Pakistan, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo e altri). Bambini sospettati di aver partecipato ad azioni militari sono detenuti in carceri statunitensi in Afghanistan, Iraq e a Guantanamo (Cuba). Nel 2006 la Croce Rossa Internazionale ha registrato i casi di 59 detenuti minori rinchiusi in carceri controllate da Washington e da Londra in Iraq. Nel 2007, secondo fonti militari oltre 800 ragazzini, anche di 11 anni di età, erano detenuti a Camp Cropper, in Iraq. Nell’estate del 2007 gli americani hanno aperto una struttura per fornire servizi educativi a 600 detenuti di età compresa fra 11 e 17 anni, prima del rilascio o del trasferimento alle autorità irachene. A dimostrazione dell’elevato coinvolgimento dei ragazzini nel paese arabo, i soldati di Washington, nel 2007, hanno arrestato una media di cento ragazzi al mese, contro i 25 del 2006. I militari americani detengono bambini anche in Afghanistan sospettati di essere “fiancheggiatori” dei talebani. La protezione giuridica internazionale A livello internazionale i primi strumenti di tutela sono state le Convenzioni di Ginevra del 1949 e in particolare la quarta, relativa al trattamento dei civili in tempo di guerra. Tali Convenzioni sono state aggiornate dai Protocolli aggiuntivi sulla protezione delle vittime dei conflitti armati, stipulati nel 1977, in cui per la prima volta è affrontato il problema dei bambini-soldato. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989 ha costituito una svolta nella cultura dei diritti dei bambini. In particolare la Convenzione fissa in forma non vincolante l’età minima per il reclutamento a 15 anni, mediante quello che Amnesty International ha descritto come un “debole compromesso”. Inoltre è previsto che gli stati agevolino il recupero psico-fisico e il reinserimento sociale di ogni bambino vittima di un conflitto. Gli Stati Uniti e la Somalia sono i due paesi che non hanno ancora ratificato la Convenzione Onu. Nel 1996 è stato redatto un documento delle Nazioni Unite intitolato “L’impatto dei conflitti armati sui bambini”. Sull’onda dell’interesse suscitato, l’Onu creò la figura del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per i bambini nei conflitti armati, che visita i paesi in guerra, svolgendo un delicato lavoro diplomatico. Il Rappresentante ogni anno presenta un rapporto sulla situazione. Nel luglio 1998 è stato adottato lo “Statuto della Corte Penale Internazionale” che ha competenze sui crimini di guerra, sui genocidi e sui crimini contro l’umanità. Tra i crimini di guerra sono compresi anche l’arruolamento e l’utilizzo in guerra dei minori di 15 anni. Tuttavia fra gli Stati che non hanno ratificato o firmato lo Statuto vi sono alcuni paesi fra i più importanti: Cina, Russia, Turchia, Indonesia, India, Israele e Stati Uniti. Al riguardo è da evidenziare che l’allora presidente statunitense George W. Bush ritirò la firma dall’approvazione dello Statuto, in precedenza apposta dal suo predecessore Bill Clinton. Ha preso posizione anche l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con la Convenzione n° 182 sulla “Proibizione delle peggiori forme di lavoro minorile” stipulata nel 1999. La Convenzione classifica l’arruolamento di minorenni, allo scopo di partecipare a conflitti armati, fra le forme di schiavitù che gli Stati stipulanti si impegnano a rimuovere senza compromessi o dilazioni. Inoltre, con la risoluzione n. 1261 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, è stata istituita la figura dei Child Protection Advisers, che si occupano di controllare che gli interessi e le esigenze dei bambini non siano calpestati, come spesso è avvenuto, durante le operazioni di peacekeeping. Nel 2002 è entrato in vigore il “Protocollo opzionale sui diritti dell’infanzia” che proibisce il reclutamento e l’impiego in guerra dei minori di 18 anni e impone agli Stati e alle forze di guerriglia il rispetto di tale disposizione, prevedendo anche finanziamenti ai paesi più bisognosi per la smobilitazione e il reinserimento dei minori sotto le armi. Il Protocollo, che è stato ratificato da oltre 130 paesi non vieta, però, l’arruolamento dei minori su base volontaria. Ciò rende evidente la scarsa sensibilità politica dei governi che consentono, nei fatti, tante sofferenze. Dal gennaio 2005 il Comitato Onu sui diritti del bambino esamina i rapporti che gli Stati presentano sulle misure adottate in osservanza del Protocollo stesso. Ciò costituisce uno stimolo per garantire maggiori livelli di tutela dei bambini. Anche il Consiglio di Sicurezza sta lavorando sul problema e ha adottato già alcune risoluzioni che hanno istituito un sistema di monitoraggio, per individuare alcune categorie di gravi reati commessi nei confronti dei bambini, ivi compreso l’arruolamento e l’utilizzo di bambini-soldato. Da alcuni anni il Segretario generale dell’Onu, in attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza n.1379, redige un rapporto annuale, in cui oltre a fare il punto sulla questione individua gli eserciti governativi e le guerriglie responsabili di violazioni. E’ evidente che l’essere presente nella lista dei “cattivi” crea i presupposti per eventuali sanzioni ed è, quindi, un importante strumento di deterrenza. Il Consiglio di Sicurezza, si è anche espresso, con apposite risoluzioni, su singoli episodi: per esempio, nel 2006 ha imposto il divieto di circolazione a un leader di un movimento guerrigliero della Costa d’Avorio e il divieto di circolazione e la confisca dei beni a dirigenti della Repubblica Democratica del Congo che reclutavano ed utilizzavano i bambini-soldato (risoluzione 1698). Organizzazioni Regionali Ulteriori sforzi sono stati intrapresi anche da organizzazioni regionali. L’Unione Africana ha invitato i paesi a essa aderenti a ratificare la Carta africana dei diritti e del benessere dei bambini (entrata in vigore nel 1999). Questo documento prevede la non partecipazione alle ostilità di bambini ed adolescenti nonché l’impossibilità di reclutare i più piccoli. L’Unione Europea ha adottato le “Linee Guida sui bambini e i conflitti armati”, che sono state rese operative mediante il varo, nel 2006, di un’apposita strategia. Nel medesimo anno l’UE si è dotata di una Check List per far sì che i diritti dei bambini siano considerati nelle operazioni della Politica europea per la sicurezza e la difesa. Come conseguenza delle molteplici pressioni internazionale, soprattutto della società civile, oltre la metà degli stati membri dell’Onu ha stabilito a 18 anni l’età minima di arruolamento negli eserciti regolari. Questo lento e continuo processo ha coinvolto anche le guerriglie. Alcune di esse d’intesa con le Nazioni Unite hanno elaborato o stanno elaborando appositi piani d’azione, finalizzati a definire un calendario di smobilitazione dei bambini. L’azione intrapresa dall’Onu nei confronti delle guerriglie e dei movimenti di liberazione, in alcuni casi, ha avuto successo. Il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha evidenziato che alcuni piani di azione che dovrebbero portare alla fine del reclutamento e dell’uso dei bambini nei conflitti sono stati adottati da parte del Moro Islamic Liberation Front (Milf) delle Filippine, dal Sudan People's Liberation Army/Movement (Spla) e dal Partito Comunista Maoista Nepalese. Il Segretario generale ha chiesto anche di considerare questo problema nei processi ed accordi di pace, anche nella prospettiva del dopoguerra e della ricostruzione. Secondo il rapporto del Segretario Generale relativo all’anno scorso, nel 2009 nella Repubblica Democratica del Congo sono stati smobilitati circa 2.770 bambini, di cui un centinaio di bambine: tutti hanno avuto un aiuto temporaneo in attesa di ritornare presso le famiglie. Sempre nel 2009 in Sudan sono stati liberati 700 bambini-soldato, che militavano nello SPLA e in altri gruppi di guerriglieri. Da due anni nel Darfur opera sotto coordinamento Unicef un programma di disarmo, smobilitazione e reinserimento (Ddr nell’acronimo in inglese Demobilization, Disarmament and Reintegration) basato su un piano d’azione con alcuni movimenti armati, che ha portato al disarmo ed alla smobilitazione di oltre 400 ragazzi. In Repubblica Centrafricana un piano d’urgenza dell’Onu ha consentito la smobilitazione di centinaia di minorenni che hanno avuto accesso a cure immediate e si sono riuniti alle famiglie. Inoltre, è stato realizzato un sistema di verifica che ha comportato il censimento di 240 bambini-soldato liberati da diverse guerriglie. Nello Sri Lanka, dalla fine del conflitto, nel novembre 2009, quasi 600 ragazzi del movimento ribelle delle Tigri Tamil sono stati inviati in centri di riadattamento, dove frequentano corsi di formazione professionale. In Colombia, nel 2009, secondo l’Istituto colombiano di protezione della famiglia, 218 bambini-soldato sono stati liberati dalle Farc e 74 dall’Eln. Anche alcune leggi nazionali stanno cercando di cambiare la situazione. Ad esempio nella Repubblica Democratica del Congo nuove norme prevedono pene tra i 10 e i 20 anni di reclusione per chi recluti e utilizzi minorenni nell’esercito, nella polizia e nei gruppi armati. Anche in Sudan, l’Spla ha vietato il reclutamento dei giovani con meno di 18 anni. Il recupero dei bambini-soldato Il recupero dei bambini-soldato rappresenta l’aspetto più difficile per consentire un futuro diverso a ragazzi e ragazze segnati da terribili esperienze. A seguito della fine di vari conflitti nell’Africa sub-sahariana decine di migliaia di bambini-soldato sono stati mandati a casa. Ma molto spesso questi bambini che furono reclutati nei campi profughi non hanno famiglia, l’hanno persa oppure hanno ucciso membri della propria comunità e per questo è impossibile per loro tornare al villaggio di origine. L’Unicef e varie organizzazione non governative aiutano i bambini ad inserirsi in strutture transitorie per un primo “adattamento alla pace”, dove frequentano corsi di formazione professionale per avere nuove opportunità occupazionali. Non vanno sottovalutati i problemi psicologici: i ragazzi che hanno compiuto atroci delitti rimangono segnati da queste esperienze per tutta la vita; il loro recupero psicologico è quindi essenziale per una nuova vita. In molti paesi fra i più poveri, in cui i professionisti sono pochissimi, sembra un obiettivo irraggiungibile. Per affrontare il problema, è stato superato l’approccio occidentale, che privilegia terapie individuali, ma che a causa dei costi elevati ha scarsa efficacia; inoltre il personale straniero non conosceva la cultura locale e la terapia adottata non poteva essere mirata adeguatamente. Si è passati, pertanto, alla formazione del personale in loco, sviluppando metodi di tipo comunitario. Tali strategie hanno avuto buoni risultati in Ruanda, dove decine di migliaia di persone sono state coinvolte in attività espressive (canti, balli, disegni) per alleviare le sofferenze provocate dai tragici ricordi. Durante i conflitti le strutture scolastiche sono state quelle più colpite, per cui ricostruire è di vitale importanza. Il ritorno sui banchi è di notevole rilevanza nel processo di recupero. Durante le lezioni è possibile, oltretutto, informare i bambini sui pericoli rappresentati dalle mine antipersona, sulle malattie più pericolose, eccetera. Spesso i bambini-soldato sono circondati da diffidenza e odio, visto che come battesimo del fuoco sono stati costretti spesso a uccidere nel loro stesso villaggio. Difficoltà ulteriori riguardano il recupero delle ragazze rapite e violentate dai soldati o dai ribelli. Secondo l’Unicef il tasso di partecipazione delle giovani ai programmi di recupero è dell’8-15% e molte migliaia di bambine restano escluse da ogni forma di assistenza. A volta i programmi prevedono interventi solo per gli ex combattenti, escludendo chi è stata costretta con la forza a seguire militari e ribelli. In Liberia, per esempio, dove i programmi disarmo e recupero si sono conclusi nel 2004. Solo 3.000 delle 11.000 bambine-soldato sono state registrate negli appositi programmi, per cui molte ragazze, vittime incolpevoli, hanno dovuto superare i grandi problemi sanitari, psicologici ed economici - talvolta con figli a carico - senza l’aiuto di nessuno ed anzi dovendo affrontare pregiudizi ed ostilità. Uno dei principali problemi per la corretta applicazione e realizzazione dei processi di disarmo e recupero è la mancanza di fondi. A differenza degli interventi a breve termine che danno notevole visibilità, quelli a più lunga scadenza non hanno gli stanziamenti necessari perché finita un’emergenza ne subentra un’altra. Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, la scarsa pianificazione, i ritardi nella destinazione dei soldi e la cattiva gestione hanno comportato l’esclusione di ben 14.000 bambini-soldato dai programmi. Inoltre solo la fine del conflitto è garanzia che i piccoli una volta smobilitati non siano nuovamente arruolati. Secondo Amnesty International, in Congo circa la metà degli ex bambini-soldato che nella regione del Nord Kivu si erano riuniti alle famiglie sarebbero stati nuovamente utilizzati dalle guerriglie. Del resto, sottolinea Amnesty, “proprio la precedente esperienza nei gruppi armati rende questi bambini reclute di grande valore e li espone a maggiori rischi”. La lotta all’impunità La lotta all’impunità assume un carattere prioritario nell’azione di tutela dell’infanzia. Nonostante alcune iniziative di contrasto “l’impunità resta la regola”, ha affermato il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon. A suo avviso i fattori che compromettono questa lotta sono “la mancanza di volontà politica, la fragilità del quadro giuridico e dell’apparato giudiziario e l’assenza di mezzi e di professionalità per condurre inchieste e processi”. E’ difficile garantire la sicurezza dei testimoni, esposti a ritorsioni o vendette. Negli anni sono stati fatti vari passi significativi. Per esempio, la violenza contro i bambini rientra nelle competenza della Corte Penale Internazionale. Nell’ottobre 2005 la Corte emise mandati di arresto nei confronti di Joseph Kony e di altri capi dell’Lra. Il primo processo della Corte Penale Internazionale, iniziato nel 2009, ha visto sul banco degli accusati Tomas Lubanga, il capo di una formazione guerrigliera operante in Congo, arrestato nel 2006. Lubanga deve rispondere di reclutamento e utilizzo di bambini con meno di 15 anni. Anche altri tribunali internazionali stanno svolgendo un ruolo significativo nel portare davanti alla giustizia chi commette questi crimini, perseguibili in base al diritto internazionale. Un’altra pietra miliare in questo lento ma fondamentale processo è rappresentato dal procedimento avviato dal Tribunale Speciale per la Sierra Leone contro Charles Taylor, ex presidente della Liberia considerato uno dei massimi responsabili del conflitto che ha insanguinato per anni il suo paese e la confinante Sierra Leone. Per la prima volta un capo di Stato deve rispondere alla giustizia per aver arruolato bambini per la guerra. Secondo i pubblici ministeri, i crimini contro l’umanità commessi in Sierra Leone durante il conflitto, che fece almeno 200.000 vittime, non sarebbero stati possibili senza le responsabilità diretta di Taylor. L’allora presidente liberiano si rese colpevole di stragi ed abusi dei diritti umani armando e finanziando i ribelli del Fronte unito rivoluzionario (Ruf). Sempre nella Sierra Leone, la Camera d’Appello del predetto Tribunale Speciale ha confermato nel 2009 le condanne per crimini contro l’umanità dei capi ribelli del Ruf: Issa Sesay, Morris Kallon e Augustine Gbao. Inoltre, il Tribunale Speciale ha condannato nel 2007 tre responsabili del Consiglio Rivoluzionario delle Forze Armate. Per la prima volta chi si è macchiato dell’arruolamento e dell’utilizzo dei minori tra le file di un esercito governativo è stato imprigionato. In Congo nel 2009 il governo di Kinshasa ha annunciato una politica di “tolleranza zero” nei confronti dei responsabili di violazioni dei diritti umani. A seguito di tale politica alcuni soldati ed ufficiali sono stati perseguiti dai tribunali militari. Il capo dei ribelli Mai-Mai Gédéon Kyungu Mutanga è stato condannato da un tribunale militare per crimini contro l’umanità. La collaborazione del governo di Kinshasa con la Corte Penale Internazionale ha consentito l’arresto di Germain Katanga, capo del Fronte di resistenza patriottica dell'Ituri, e di Mathieu Ngudjolo Chui, ex capo del Fronte dei nazionalisti, che addirittura è divenuto in seguito, a causa dell’assorbimento delle milizie nell’esercito regolare, colonnello delle Forze armate. Entrambi i capi guerriglieri saranno processati dalla Corte Penale Internazionale per l’utilizzo di bambini-soldato, per stupro e per riduzione in schiavitù sessuale. Ma la Corte non limita i suoi lavori a presunti responsabili materiali: è sotto processo anche un importante esponente politico, l’ex vice presidente della Repubblica Democratica del Congo Jean Pierre Bemba Gombo, attualmente detenuto. Di grande rilievo, l’arresto in Germania di un esponente e di un responsabile di primo piano dei tanti crimini commessi nella zona del Kivu, nell’est del Congo: Ignace Murwanashyaka e Straton Musoni, rispettivamente presidente e vicepresidente del Fronte di liberazione democratico del Ruanda (Fdlr). Un notevole contributo alla lotta all’impunità è dato dalla legge tedesca, australiana e belga che consentono l’arresto di coloro che reclutano o impiegano minori di 15 anni, anche se i reati sono commessi all’estero. Negli Stati Uniti il Child Soldiers Accountability Act definisce crimine federale il reclutamento e l’utilizzo di soldati minori di 15 anni. Questi crimini sono puniti severamente ed i responsabili di questi reati che si recano negli Usa rischiano il carcere. E’ importante rilevare anche che i responsabili di crimini così gravi non possono essere sottratti a un regolare processo e, quindi, amnistie e intese che accordino l’impunità non dovrebbero essere possibili. Talvolta, per avviare un processo di pacificazione e di fuoriuscita da sanguinosi conflitti il primo passo è, invece, proprio l’eliminazione di ogni responsabilità da parte di dirigenti politici e militari. Ad esempio, gli accordi che comportano la confluenza dei guerriglieri nell’esercito regolare devono escludere chi si è macchiato di gravi reati, in quanto non può esserci pace senza giustizia. Nell’ambito delle responsabilità penali i bambini-soldato si trovano nel duplice ruolo di vittime e carnefici. Il diritto internazionale ha posto l’accento sulla tutela dei bambini, per cui la Corte Penale Internazionale considera non punibili i minori di 18 anni, al contrario di alcune leggi nazionali. La priorità è, comunque, quella di perseguire i responsabili del loro reclutamento e il loro utilizzo nel conflitto. La lotta all’impunità, nonostante alcuni esempi positivi, rimane una strada tutta in salita. Nella Repubblica Democratica del Congo militari responsabili di arruolamento di minori sono stati nominati ai vertici dell’esercito di Kinshasa. E’ il caso di Bosco Ntaganda, nominato generale nel 2009, nonostante sul suo capo pendesse un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale per arruolamento e utilizzo di bambini-soldato. Un altro caso è rappresentato, sempre in Congo, da Jean Pierre Biyoyo, nominato colonnello nonostante sia stato condannato nel 2006 da un tribunale militare per il rapimento di bambini finalizzato al reclutamento. Nello Sri Lanka persone sospettate di aver commesso violazioni dei diritti umani non sono state perseguite e hanno mantenuto incarichi governativi. Il Rapporto 2010 di Amnesty International ha evidenziato i casi del Ministro dell’integrazione nazionale, Vinayagamoorthy Muralitharan, e del Capo dei ministri della provincia orientale ,Sivanesathurai Chandrakanthan, che avrebbero rapito adolescenti per reclutarli, preso ostaggi, torturato ed ucciso illegalmente civili sospettati di essere collegati alla ribellione Tamil. In tutti e due i casi non sono state avviate indagini ufficiali. In Ciad all’inizio di quest’anno il presidente Idriss Deby ha decretato un’amnistia per tutti i crimini commessi dalla guerriglia. Il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’Onu per i bambini nei conflitti armati, Radhika Coomaraswamy, ha auspicato che il Consiglio di Sicurezza congeli i fondi, adotti l’embargo sulle armi nei confronti delle organizzazioni responsabili e preveda la restrizione dei movimenti degli individui sospettati di reclutare i bambini per le guerre. Queste elementari misure sono rimaste, fino ad oggi, lettera morta. Intanto Dahara, dopo pochi giorni, viene fatto prigioniero e si trova nella prigione di Shahat, nell’est della Libia, insieme a tanti altri. Di suo cugino Hagar non sa più niente. Vuole solo tornare a casa. A Idris, invece, hanno dato un’uniforme nuova e un fucile pesante. Ha un nuovo comandante che non gli dà fogli per disegnare. Invece Christiane non riesce a dormire, gli anni passati nella foresta tornano nel silenzio della notte…