Il gioco dell`iniziazione

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Il gioco dell`iniziazione
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Marina de Robert*
dell’iniziazione
Tramandati attraverso i secoli alcuni dei giochi più diffusi
e popolari nascondono un’origine iniziatica e religiosa.
gioco da sempre accompagna l’uomo, come gli animali, come
una delle forme spontanee di apprendimento.
I cuccioli giocano per
imparare a vivere e
sopravvivere. Gli uomini giocano da piccoli
per imparare ad essere
grandi e da grandi per
svago, per vizio, per metafora, per apprendere ancora.
Nelle civiltà passate il gioco serviva a trasmettere regole, valori, etica, organizzazione sociale, modi di evolvere della civiltà. Oggi quegli stessi giochi esistono ancora.
E quelli che un tempo erano giochi iniziatici, oggi sono giochi per bambini.
IL
Alcuni hanno insospettibilmente origini veramente molto nobili. È il caso del gioco
della cordicella. Mi riferisco a quel gioco
* Marina de Robert, psicologa e psicoterapeuta abilitata,
si occupa di psicologia di sostegno, di comunicazione
applicata, di gestione dello stress e dell’ottimizzazione
delle risorse personali per il raggiungimento delle prestazioni d’eccellenza sia nel campo del lavoro che in
quello delle relazioni umane.
fatto con uno spago o un
cordino chiuso ad anello e
tenuto tra le due mani
che il giocatore deve intrecciare componendo
una sequenza di nodi che
cambiano, complicandosi
prima per poi tornare a
semplificarsi, fino a tornare
all’anello iniziale.
Questo gioco rappresenta la
rete archetipica e trova origine, sembra, nell’antico Egitto, dove la trama della rete rappresentava la struttura sulla quale riposavano gli ideogrammi, i geroglifici, cioè le
idee, le parole, che diventavano quindi l’ordito. Ma non è tutto, sembra che presso alcune popolazioni ci sia l’uso di accompagnare la narrazione mitologica intrecciando la cordicella
man mano che si Il gioco della cordicella,
intreccia il rac- che inizia con un anello
conto.
(rappresenta lo zero)
Il gioco della cor- e finisce con l’anello,
dicella inizia con
ricorda anche il
un anello, che
labirinto e partecipa
rappresenta lo zero, e finisce con del mito del filo di
l’anello, a meno Arianna.
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che non si commettano errori con dei falsi
nodi. Parallelamente il racconto inizia dal silenzio, dal vuoto, poi il verbo intreccia avvenimenti che possono sciogliersi o ingarbugliarsi. Ci si può perdere nelle parole come ritrovare. Il gioco della cordicella ricorda anche il labirinto e partecipa del mito del
filo di Arianna.
Il gioco dell’oca si presenta invece come
un percorso più o meno a spirale nel quale si progredisce verso il centro, dovendo
fare i conti con il caso/dado, e con le difficoltà insite nel percorso.
Ad esempio troviamo una curiosa casella
che porta sempre lo stesso numero, il 42.
Questa casella è considerata pericolosissima: è la casa del labirinto.
Quindi abbiamo un labirinto dentro ad un
altro labirinto e curiosamente il numero è
esattamente il doppio dell’ultimo dei Grandi Arcani dei tarocchi, e cioè il Mondo, il Cosmo, la Verità o anche Madre Natura con-
trassegnato dal numero 21.
Il suo significato è di successo nelle imprese, vittoria della ragione sulle passioni,
ma anche peregrinazioni, viaggi, instabilità,
cambiamento.
La carta è complessa presenta una bella
donna nuda velata che porta due mazze
nelle mani, posa un piede sul globo terrestre, è circondata da una mandorla di alloro costellata di frutti, fiori, rose, gigli e piena di stelle. È protetta dai simboli dei quattro evangelisti, il leone, l’aquila, il toro, l’angelo (anche fratelli di Horus, e parti vitali del
corpo umano). L’arcano presenta anche l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico Tau, segno
di vita, ma se si rovescia segno di morte.
Inoltre sempre nei Tarocchi la quarantaduesima carta è il 7 di bastoni con il viandante
sull’orlo di un abisso che distoglie lo sguardo con paura. Davanti a lui, separato dall’a-
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il Gioco dell’Oca deve la sua fama
al fiorentino Ferdinando De Medici.
Egli, durante il suo governo (1574-1587), ne donò
un esemplare al Re di Spagna il quale rimase affascinato dai bruschi cambiamenti di fortuna cui un
giocatore poteva andare incontro. In breve, fu
fatto conoscere a tutti i regni europei e il gioco
ebbe una gran fortuna.
Le prime cartelle di questo gioco si limitavano
ad una base di cartone su cui, con grande quantità di dettagli, era disegnata una strada a
forma di spirale che comprendeva un totale di
63 caselle.
Queste erano decorate con una serie di emblemi:
due dadi, una testa di morto, una coda, un
ponte, un labirinto e, a intervalli regolari, un’oca.
Questi simboli stavano ad indicare le regole del
gioco, secondo cui il giocatore doveva tornare
indietro o andare avanti fino alla casella terminale,
che offriva la vittoria a chiunque la raggiungesse.
bisso, c’è un castello e la carta ci ricorda le
difficoltà della vita e ci ricorda di non cedere alle paure e ai dubbi.
In modo analogo il gioco di campana sembra rappresentare un percorso dalla terra al
cielo, o l’asse del mondo, nelle sue innumerevoli varianti ci troviamo davanti a otto caselle distribuite in modo molto diverso, a seconda delle regioni, dei paesi. Queste caselle sono quadrate e numerate. In fondo al
percorso, nel nono spazio, la figura cambia, diventa un semicerchio e non è numerato. Il giocatore solitamente
deve lanciare un sassolino
dentro la casella 1, en-
Dalla collezione
dei tarocchi di Mauro Capitani
trare saltando su un piede solo e senza
toccare le righe della casella né con il piede né con il sasso, recuperare il sasso e
uscire. Quindi deve proseguire sulla seconda casella nello stesso modo fino alla
casella 8. L’unico punto in cui può riposare, posando i due piedi a terra è il “cielo”,
il semicerchio finale.
Questo gioco partecipa della simbologia
delle forma che fa corrispondere all’umano misurabile il quadrato e al divino incommensurabile il cerchio.
Partecipa anche dell’idea dell’iniziazione
perché se si fallisce bisogna cedere il posto
ad un altro giocatore e ricominciare.
La simbologia dei numeri vuole che 9, il
numero totale degli spazi
del gioco, sia anche un numero di cambiamento, è
l’ultimo della prima serie dopo
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di lui cambia l’ordine di riferi- I giochi che pescano
indietro nel tempo e
mento, siamo nella decina.
nella saggezza degli
Ma i giochi che pescano indietro archetipi, sono molti:
nel tempo e nella saggezza degli gli scacchi, la dama, disordine devono essere riordiarchetipi, sono molti: i quadrati i giochi di carte
nati spostandoli lungo un permagici, o i labirinti in cui una o e molti altri.
corso che consente solo una
più perline devono arrivare in
mossa alla volta.
fondo ad un percorso senza perdersi in un Per non parlare degli scacchi, della dama,
punto morto, in un vicolo cieco del labi- dei giochi di carte, tutti direttamente colrinto. A volte le scatoline sono chiuse e legati alla divinazione e al collegamento
trasparenti e bisogna inclinarle per fare con il soprannaturale, il backgamon o tascorrere le palline, altre volte si portano vola reale, che combina abilità e fortuna
avanti con una calamita. Poi ci sono gli come nella vita e che contrappone due
!
enigmi matematici in cui dei numeri in giocatori.
Sono i giochi dell’infanzia:
carte da colorare, tasselli da riempire, lettere da riconoscere, numeri che cominciano ad essere meno ignoti.
Sono i compiti dell’infanzia: le tabelline da
memorizzare, le prime frasi da comporre,
la grammatica ostica e inevitabile insieme.
Allievi e maestri alternano cure a lezioni,
visite a ricreazioni didattiche.
A Roma, una scuola speciale presso il centro ematologico di Franco Mandelli cura
anche così i bambini affetti da leucemie e
linfomi. “La scuola in ospedale è un’occasione importante – dice il professore – per
offrire a questi pazienti, questi giovanissimi pazienti, la possibilità di una vita normale. Continuare le attività che a scuola,
in ognuna delle fasce d’età, avrebbero fatto se non malati, aiuta veramente nella terapia”.
Allievi speciali. Molti di loro vengono dall’estero, soprattutto paesi dell’est, sud
America. La lingua italiana è spesso sco-
nosciuta e il gioco serve anche a questo:
avvicinarsi con i colori, i disegni, il computer ad un mondo visto per la prima volta. Bernardetta è una vita che insegna qui;
ha scelto un mestiere particolare, perché?
Risponde: “Non è poi dissimile da altri insegnamenti. I bambini, in fondo, sono tutti uguali”. E la sua è una lezione di umiltà,
perché le storie di questi allievi non sono
sempre facili da sostenere anche per un
insegnante abituato a sorreggere volti, parole, sguardi sofferenti. Iole, anche lei qui
da diversi anni, non si stanca di ripetere:
“Una volta guariti – e sono sempre più numerosi i bambini che escono dal tunnel
della malattia – tornate a trovarci! La gioia
di vedervi cresciuti e grandi ci dà la spinta ad andare avanti”.
E sono quei disegni pieni di affetto, affissi alle pareti di questa scuola particolare, il
segno tangibile del ricordo e della riconoscenza.
Loretta Cavaricci
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