rodota`: "il reddito di cittadinanza e` un diritto universale"

Transcript

rodota`: "il reddito di cittadinanza e` un diritto universale"
RODOTA': "IL REDDITO DI CITTADINANZA E' UN DIRITTO UNIVERSALE"
«In Europa - sostiene Stefano Rodotà, uno dei giuristi italiani che hanno partecipato
alla scrittura della Carta di Nizza e autore de "Il diritto di avere diritti" - siamo di
fronte ad un mutamento strutturale che spinge qualcuno ad adoperarsi per azzerare
completamente i diritti sociali, espellere progressivamente i cittadini dalla
cittadinanza e far ritornare il lavoro addirittura a prima di Locke. Per accedere ai
beni fondamentali della vita come l'istruzione o la salute, dobbiamo passare per il
mercato e acquistare servizi o prestazioni. Il reddito universale di cittadinanza è il
tentativo di reagire al ritorno a questa idea di cittadinanza censitaria».
Il reddito di cittadinanza, dunque, non il
«salario minimo sociale e legale» chiesto dal
presidente uscente dell'Eurogruppo JeanClaude Juncker. Come spiega questa
dichiarazione?
Juncker ha mostrato più volte
un'attenzione rispetto ad una fase nella
quale debbono essere ripensati una serie
di strumenti anche partendo da una riflessione più profonda sulla dimensione dei
diritti. A parte la sua citazione di Marx, credo che la sua dichiarazione dovrebbe
essere valutata alla luce dell'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali. In una
delle sue carte fondative l'Ue si impegna a riconoscere il diritto all'assistenza sociale
e abitativa e a garantire un'esistenza dignitosa ai cittadini. C'è un'assonanza molto
forte con uno dei più belli articoli della nostra Costituzione, il 36. Considerati insieme,
questi articoli offrono una chiave per considerare il reddito fuori dalla prospettiva
riduzionistica con la quale di solito viene considerata. Diversamente dall'approccio
del salario minimo, il reddito non può essere considerato solo come uno strumento di
lotta contro la marginalità. In Europa non c'è solo la povertà crescente. Io credo che
oggi la lotta all'esclusione sociale passi attraverso l'adozione del reddito di
cittadinanza.
Cosa ne pensa del "reddito di sopravvivenza" proposto da Monti nella sua Agenda?
Monti si ispira all'idea riduzionista del welfare. La sua società è quella del
capitalismo compassionevole di George Bush dove la vita degli esclusi è pari al grado
zero dell'esistenza, un'esistenza che non è quella libera e dignitosa, è pura e semplice
nuda vita. È l'idea che lo Stato deve cercare di non far morire i poveri. È una
prospettiva inaccettabile. Se poi questo reddito di sopravvivenza è considerato non
come la guida da seguire, ma come un passo per andare oltre verso il reddito di
cittadinanza, non nel modo riduttivo in cui se ne sta parlando in questi giorni come il
salario minimo, possiamo aprire una discussione qualitativamente importante nella
cultura politica. Una discussione obbligata dati i tratti che ha la nostra Costituzione e
la prospettiva indicata dalla Carta dei diritti. Esistenza e sopravvivenza sono però
agli antipodi. Certo, dobbiamo considerare anche la sopravvivenza, ma quello cui noi
dobbiamo guardare è l'esistenza libera e dignitosa.
Riesce ancora a mantenere una fiducia ammirevole nelle istituzioni europee e a non
considerarle solo come l'emanazione diretta della Bce o della volontà tedesca di imporre
politiche anti-inflattive e di rigore nei bilanci pubblici. Come mai?
Ma perché l'Europa non è a geometria variabile. Non può essere ridotta solo alle
politiche economiche che assorbono tutte le altre dimensioni. Non è possibile
ricordarsi degli aspetti virtuosi dell'Europa solo quando interviene per sanzionare i
licenziamenti di Pomigliano oppure la legge italiana sul testamento biologico e
dimenticarli quando impone di considerare l'economia come il Vangelo, con questa
idea di mercato naturalizzato. L'Europa è un campo di battaglia. Io stesso ricordo la
fatica di introdurre nella Carta di Nizza i principi di solidarietà e uguaglianza che
prima mancavano.
Susanna Camusso (Cgil) sembra avere tutt'altra idea sulla proposta di Juncker e ha escluso il
«salario minimo» perché danneggerebbe la contrattazione nazionale. Come lo spiega?
Capisco la sua volontà di salvaguardare la dimensione contrattuale, ma la
trasformazione strutturale che viviamo ci obbliga ad andare oltre questo orizzonte. Il
tema capitale e ineludibile è il reddito universale di cittadinanza. Martedì 15 a Roma
presentiamo il libro Reddito minimo garantito del Basic Income Network dove
discuteremo anche le proposte di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, persone tutt'altro che
ascrivibili ad un orizzonte estremista. Il reddito è uno strumento fondamentale per
razionalizzare un sistema altamente disfunzionale e sgangherato come quello
italiano sulle protezioni sociali. Nei primi giorni di governo l'aveva citato anche Elsa
Fornero, poi ha abbandonato questa prospettiva.
Di solito la sinistra e i sindacati considerano il reddito come un ammortizzatore sociale. Lei
ritiene che sia un approccio corretto?
Assolutamente no. Oggi non è più possibile considerarlo come uno tra i tanti
ammortizzatori sociali perché dobbiamo cominciare a lavorare sulla distribuzione
delle risorse. L'idea degli ammortizzatori sociali riflette un modo di guardare al
precariato come un problema sostanzialmente transitorio che l'intervento dei
governanti farà rientrare in una situazione di normalità. Oggi non è più così e il
reddito è una precondizione della cittadinanza, uno strumento per affermare la
pienezza della vita di una persona. Riguarda anche i lavoratori che si trovano in
difficoltà, ma è un diritto di tutti i cittadini. Questa è la prospettiva. Dopo di che, lo
dico sinceramente, questo è un processo. Come per tutti gli istituti che hanno
innervato, attraverso il diritto del lavoro, il modo in cui la società si organizza, ci
possono essere tappe diverse, momenti di avvicinamento progressivo.
Quali sono le prime tappe di questo processo?
Ripristinare l'agibilità democratica nelle fabbriche; difendere il diritto del lavoro dalla
privatizzazione strisciante che non è una fissazione della Fiom o di Maurizio Landini;
una nuova legge sulla rappresentanza sindacale ma soprattutto ripristinare il diritto
all'esistenza che passa attraverso il reddito di cittadinanza. È una questione di cui
non possiamo liberarci né con un'alzata di spalle come ha fatto Carlo Dell'Aringa, ma
anche dicendo che il contratto funziona bene, il sindacato fa la sua parte, mentre
invece nella società c'è più di qualcosa che non funziona. Dobbiamo pensare a una
trasformazione radicale, proprio come accadde con lo Statuto dei lavoratori. Perché
non dovrebbe accadere oggi?
Perchè forse allora c'era l'autunno caldo, la migliore cultura giuslavoristica con Giugni,
Romagnoli, Mancini sostenne l'avanzata del movimento operaio. Oggi non è così...
C'è una certa sordità del sindacato perché ritiene che gli strumenti acquisiti siano
sufficienti per fronteggiare qualsiasi situazione. Ricordo che Romagnoli gli ha rivolto
critiche molto severe quando abbiamo elaborato e firmato il referendum contro le
modifiche all'articolo 18 e contro l'articolo 8. In generale trovo spaventoso
constatare i guasti della progressiva emarginazione del dialogo con la cultura
politica. E questo non accade solo nel mondo del lavoro.
Tutti sperano che il 2013 sia l'anno del ritorno alla crescita dell'Europa. E' più un auspicio, che la
realtà. Mi sembra di capire che per lei la precondizione fondamentale anche per la crescita
economica sia una trasformazione radicale del modello sociale vigente. Che tipo di modello
sociale è quello fondato sul reddito di cittadinanza?
Non può non essere fondato sulla tutela e la garanzia dei diritti sociali che oggi
vengono espulsi attraverso la naturalizzazione del mercato. Questo deve essere un
punto di riferimento necessario per un nuovo modello sociale. Non voglio
semplificare eccessivamente, ma se guardiamo oggi a quello che accade nel mondo è
certo che esiste la prepotenza e la violenza della logica mercantile. Ma esiste anche
tutta una serie di azioni politiche che cercano di ridurre il danno. Quello che è
avvenuto negli Stati Uniti con gli interventi contro la disoccupazione o la riforma
della Sanità di Obama, da molti considerata come un pannicello caldo, è invece una
vera rivoluzione per gli Usa. Mi ricordo Hillary Clinton quando espose al Congresso la
sua riforma sanitaria che fu spazzata via dalla potenza delle società di assicurazioni.
Questo significa che la dimensione dei diritti sociali e il riferimento a principi
fondativi è quello che noi dobbiamo avere presente.
Roberto Ciccarelli
(versione completa dell'intervista apparsa su "Il Manifesto" 12 gennaio 2013)