Il reddito di impresa prevale sul reddito di capitale anche in assenza

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Il reddito di impresa prevale sul reddito di capitale anche in assenza
Diritto tributario italiano
Il reddito di impresa prevale sul reddito di capitale
anche in assenza di una stabile organizzazione in Italia?
Un primo commento alla sentenza n. 9197 del 21 aprile 2011 della Corte di Cassazione
che ha avuto effetti importanti sul principio del trattamento isolato del reddito
2.
I principi della tassazione e la sentenza
della Corte di Cassazione
L’ordinamento fiscale italiano in materia di imposte
dirette prevede che la tassazione dei residenti e dei non
residenti sia differenziata secondo un metodo di estrema
semplicità che prevede una tassazione su base mondiale
per i primi (e cioè i residenti) ed una tassazione dei soli
redditi che si sono prodotti nel territorio dello Stato per
i soggetti inclusi nella seconda categoria (e cioè i non
residenti).
1.
Considerazioni introduttive
La sentenza che si commenta in questa sede afferma
un principio, confermando con questo quanto risulta
anche da una sentenza di secondo grado, secondo cui
“gli interessi conseguiti dalla banca sanmarinese sui depositi
bancari accesi presso istituti di credito italiani configurano
reddito di impresa (esente da tributo in mancanza di stabile
organizzazione nel territorio dello Stato per difetto del requisito
della territorialità) e non reddito di capitale imponibile anche in
assenza di stabile organizzazione”.
La sentenza n. 9197 del 21 aprile 2011 della Corte di
Cassazione afferma due principi, ovvero (i) reddito
di impresa e non reddito di capitale, (ii) esenzione da
tassazione in assenza di stabile organizzazione. Vedremo
che, al di là del caso specifico, la sentenza oggetto di un
primo commento presenta profili di interesse generale
che andremo a descrivere nel presente contributo.
L’Agenzia delle Entrate riconosce, forse in modo atecnico,
che le banche non residenti sono “produttori di reddito di
impresa anche in relazione agli interessi attivi” ma contesta che
alla luce della normativa italiana in tema di imposizione
diretta questi redditi, erogati da banche italiane, siano da
considerare come tali (ovvero come reddito di impresa)
in assenza di una stabile organizzazione del soggetto
estero sita in Italia.
La Corte di Cassazione non ritiene che il principio
affermato dalla Agenzia delle Entrate sia condivisibile ed
è proprio questo che rende interessante commentare
la citata sentenza, tenuto conto delle implicazioni che
questo principio può avere per i soggetti non residenti.
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Questa impostazione generale, prevista negli articoli 3
comma 1 e 151 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi
(di seguito TUIR), deve poi essere resa specifica mediante
la determinazione dei redditi che devono considerarsi
prodotti nel territorio dello Stato. Di questa specificazione
viene a farsi carico l’articolo 23 del TUIR, il quale procede
con la specificazione dei redditi che si considerano
prodotti nel territorio dello Stato. Sulla base dell’articolo
23 lettera e del TUIR si considerano prodotti nel territorio
dello Stato “i redditi di impresa derivanti da attività svolte nel
territorio dello Stato mediante stabile organizzazione”[1].
Possiamo affermare che la normativa in tema di
tassazione del reddito di impresa si allinea con quella che
è l’impostazione solitamente prevista nelle convenzioni
contro le doppie imposizioni, in base alla quale viene
esplicitamente previsto che il soggetto non residente,
produttore di reddito di impresa, possa essere soggetto a
tassazione nell’altro Stato contraente solo in presenza di
una stabile organizzazione[2].
Il tema si può riassumere nella seguente domanda: il
soggetto residente fiscale estero che produce reddito di
impresa ove fosse considerato quale soggetto residente
fiscale in Italia (cosa questa che avviene per le società
in genere[3] e senza che sia lecito dubitare di questa
impostazione) deve essere tassato sui redditi che lo
stesso produce in Italia anche quando manca una stabile
organizzazione di questo soggetto nel territorio dello
Stato?
L’insieme delle norme esistenti porta a ritenere che
debba essere compiuto il seguente cammino logico per
giungere alla soluzione del problema:
a) ricerca di una norma che porti alla determinazione
dell’eventuale assoggettamento del soggetto estero
all’imposta Italiana;
b) ricerca di una norma che consenta la determinazione
della base imponibile e del reddito complessivo;
c) ricerca di una norma che conduca alla determinazione
di un’eventuale esclusione per norma interna e (in
assenza di questa) determinazione di un’eventuale
esclusione da tassazione in ragione di una norma di
carattere convenzionale, ovvero di una norma
specifica prevista in un’eventuale convenzione contro
le doppie imposizioni[4].
Se proviamo a svolgere questi passaggi possiamo notare
quanto segue:
a) esiste
una
norma
interna
che
prevede
l’assoggettamento ad imposta dei soggetti esteri
che non hanno in Italia alcuna stabile organizzazione
e questa norma deve ravvisarsi nell’articolo 73 lettera
d del TUIR, la quale afferma che sono soggetti
all’imposta sul reddito delle società (di seguito IRES)
anche “le società e gli enti di ogni tipo compresi i
trust […] non residente nel territorio dello Stato”. Di
conseguenza, in linea con il dettato letterale della
norma, la società estera è un soggetto IRES come lo è
una normale società di capitali residente fiscale in Italia;
b) esiste una norma (articolo 151 del TUIR) che prevede
la formazione della base imponibile delle società ed
enti non residenti stabilendo che la stessa è formata
solo dai redditi che vengono a formarsi (rectius a
prodursi) nel territorio dello Stato. Quindi siamo in
presenza del medesimo concetto utilizzato per
le persone fisiche e possiamo affermare che siamo
all’interno dei principi generali stabiliti dal TUIR;
c) esiste anche una norma specifica (articolo 152 del
TUIR) che stabilisce come viene a formarsi il reddito
complessivo dei soggetti non residenti, siano essi
dotati o meno di stabile organizzazione nel territorio
dello Stato;
d) esiste una norma (che certamente è una norma ancora
più specifica in quanto riferita al reddito di impresa)
che prevede che il reddito di impresa del soggetto non
residente si considera prodotto in Italia quando in Italia
esiste una stabile organizzazione. Dal coordinamento
di questo principio normativo con le norme menzionate
in precedenza nasce, appunto, il tema oggetto della
sentenza.
Di fronte a questo insieme di norme resta da chiarire se la
disposizione in tema di stabile organizzazione consenta
a quella entità non residente, che secondo l’ordinamento
italiano viene a produrre reddito di impresa come se
fosse residente fiscale in Italia, di mantenere fermo il suo
diritto di essere oggetto di imposizione solo in presenza
di questa stabile organizzazione, oppure, se questo diritto
venga comunque meno e gli eventuali redditi percepiti
debbano considerarsi come percepiti da un soggetto non
imprenditore e quindi soggetti alle altre norme del TUIR,
come potrebbe lasciar intendere il secondo comma
dell’articolo 152 del TUIR.
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Per semplificare, occorre determinare se la stabile
organizzazione sia un elemento sostanziale per poter
tassare oppure sia solo un elemento che porta alla
tassazione di quanto percepito nella forma (diversa)
prevista per il reddito di impresa.
Come accennato questa seconda impostazione potrebbe
anche ritenersi ragionevole se teniamo conto del tenore
letterale della legge, più precisamente dell’articolo 152
comma 2 del TUIR, il quale dispone che “in mancanza di
stabili organizzazioni nel territorio dello Stato i redditi che
concorrono a formare il reddito complessivo sono determinati
secondo le disposizioni del Titolo I, relative alle categorie nelle
quali rientrano”.
Si tratta di un’affermazione che lascia intendere che
in nessun caso potrebbe evitarsi la tassazione (in linea
generale) di una attribuzione reddituale solo in ragione
della mancanza di una stabile organizzazione. Questa
impostazione deve però tenere conto del fatto che
la Corte di Cassazione ha stabilito che “del resto l’ormai
risalente e non contraddetta giurisprudenza delle Sezioni
Unite [Cassazione 7184/83] è nel senso che la qualificazione
di reddito quale reddito di impresa dipende dal requisito
soggettivo dell’esercizio di una impresa commerciale da parte
del percipiente a prescindere da qualsiasi altro diverso requisito
(essendo la ricorrenza della stabile organizzazione semplice
condizione di localizzazione del reddito medesimo e di sua
imponibilità in Italia)”.
Il principio della Corte di Cassazione ci pare molto chiaro
e secondo gli scriventi potrebbe essere formulato nel
modo seguente:
a) il giudizio in merito alla produzione o meno di un
reddito da qualificare come reddito d’impresa dipende
sempre e solo dal soggetto estero.
Occorre quindi verificare se lo stesso possa qualificarsi
come imprenditore in ragione delle sue caratteristiche
e, questo, immaginiamo che debba avvenire ai sensi
dell’ordinamento fiscale italiano[5];
b) stabilito questo elemento, ovvero che il soggetto,
se giudicato in ragione delle norme fiscali italiane, è
un imprenditore e quindi andrebbe a generare reddito
di impresa, allora possiamo concludere che lo stesso
produce sempre reddito di impresa (anche quando
è non residente) e la conseguenza, secondo la Corte di
Cassazione, è chiara in quanto delineata con precisione
nella norma;
c) la conseguenza consiste nell’affermare che nessuna
tassazione può essere applicata sul reddito che questo
soggetto produce (e percepisce) e questo proprio
perché non esiste in Italia una stabile organizzazione,
condizione, questa, che legittima la tassazione di
quanto lo stesso apprende. La stabile organizzazione
diviene infatti il presupposto per tassare in Italia
coloro che producono reddito di impresa quando sono
non residenti.
3.
La portata della decisione
La portata della decisione potrebbe essere molto
più ampia di quanto si possa pensare e deve essere
attentamente valutata anche dall’Agenzia delle Entrate
e dal legislatore, e, questo, perché l’affermazione del
principio porta ad evidenziare un possibile “buco” nella
tassazione dei soggetti non residenti.
Siamo di fronte al classico tema che ha diviso per molto
tempo la dottrina ovvero quello del ruolo della stabile
organizzazione e possiamo affermare che questa entità
può essere considerata sia come fattore di localizzazione,
come ha stabilito la Corte di Cassazione, ma anche come
fattore di qualificazione. In quest’ultimo caso, la stabile
organizzazione porta a tassare il reddito del non residente
come reddito di impresa invece che come reddito isolato.
Di fatto, se diamo credito all’affermazione in merito alla
localizzazione, possiamo affermare che qualsiasi soggetto
estero, che ai sensi di una valutazione della sua attività
guardando alla norma interna dovrebbe considerarsi
come un produttore di reddito di impresa, non deve
essere tassato guardando a quanto viene a percepire sulla
base del principio di qualificazione “isolata” del reddito,
come avvenuto fino a oggi, ma, di fatto, lo stesso finisce
per beneficiare di una precisa esenzione da tassazione in
ragione del fatto che il reddito di impresa, che lo stesso
produce in ragione della sua qualità soggettiva, potrebbe
essere tassato in Italia solo quando esiste una stabile
organizzazione[6].
Si pensi, per fare un esempio, ad una società holding, il
cui oggetto sia la direzione ed il finanziamento delle
partecipate, la quale ponga in essere un finanziamento
nei confronti di una società italiana; in questa situazione
vi possono essere le due ipotesi seguenti:
a) se assumiamo che la società holding sia produttrice
di reddito di impresa, allora qualsiasi discussione in
tema di ritenute alla fonte, ed aggiungiamo anche in
materia di beneficiario effettivo, potrebbe anche venire
meno in quanto, in assenza di una stabile
organizzazione del soggetto estero, si potrebbe anche
dire che il reddito che lo stesso viene a percepire non
sia tassabile in Italia;
b) se si propende per la tesi classica, e cioè stabile
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organizzazione
come
semplice
fattore
di
qualificazione, allora la società holding produce
in Italia un reddito di capitale e come tale soggiace
all’imposta, salvo deroghe in ragione delle convenzioni
contro le doppie imposizioni[7].
Se dobbiamo dare credito al principio stabilito in questa
sentenza allora viene meno quello che si chiama il
“presupposto della tassazione” e questo esclude a priori
qualsiasi richiesta di esenzione che trovi fondamento
in norme internazionali, come sono quelle delle
convenzioni, con la conseguenza che anche la tematica
del beneficiario effettivo viene a stemperarsi e di fatto
finisce nel nulla.
Se è lecito affermare che il soggetto estero, qualificabile
come imprenditore in Italia, produce sempre reddito
di impresa, e non solo quando in Italia ha una stabile
organizzazione, allora viene a sorgere una conseguenza
certamente importante le cui implicazioni non sono da
sottovalutare in quanto le stesse possono incidere sia
sul futuro che su introiti che l’erario ha incamerato in
precedenti periodi di imposta.
Si è sempre assunto[8] che la tassazione degli enti non
residenti fosse da applicare come segue:
a) in presenza di una stabile organizzazione, questa veniva
ad esercitare una forza di attrazione e la tassazione era
uguale a quella di un normale imprenditore italiano
(cosa questa affermata anche da altra norma del
TUIR che richiede la stesura di uno specifico conto
economico della stabile organizzazione) e quindi la
stabile organizzazione conduceva a qualificare il
reddito;
b) in assenza di stabile organizzazione i vari redditi
andavano trattati in modo isolato (quindi mantenevano
la categoria stabilita dal TUIR per la loro singola
natura[9]) e dovevano essere oggetto di tassazione
guardando proprio alla categoria specifica in cui
potevano essere inquadrati.
Con questa sentenza della Corte di Cassazione ci pare
che venga “posto in discussione” questo principio con la
conseguenza che possono aprirsi dei varchi, anche ampi
a prima vista, nell’ambito della tassazione dei soggetti
non residenti, come del resto ammette la dottrina, e la
posizione che devono assumere i sostituti di imposta
diviene molto incerta. Si pensi solo alla decisione se gli
stessi debbano applicare delle ritenute o possano evitare
di farlo in ragione della sentenza.
In linea teorica la sentenza apre la strada anche alla
presentazione di istanze di rimborso da parte dei
soggetti non residenti ove questi avessero subìto delle
ritenute che, alla luce di quanto affermato dalla Corte
di Cassazione, potrebbero essere considerate come
ritenute non dovute.
4.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://lnx.papaseparati.org/psitalia/images/stories/
cassazione.jpg
[28.11.2011]
http://firenze.italiadeivalori.it/wp-content/uploads/2011/02/banca.jpg
[28.11.2011]
http://rivista.ssef.it/file/public/immagini/2010/01-03/
tuir600.jpg
[28.11.2011]
Considerazioni conclusive
La portata della sentenza potrebbe essere molto ampia
e deve essere oggetto di attenta valutazione e potrebbe
anche richiedere un intervento legislativo che venga a
determinare con certezza il principio circa la tassazione
dei soggetti non residenti.
Paolo Comuzzi
Nicola Cameli
PwC Tax & Legal, Milano
PwC Tax & Legal, Milano
Note: 1) Tema questo della nozione di stabile
organizzazione di cui non ci occupiamo in questa
sede. 2) Per esempio l’articolo 7 paragrafo 1 della
Convenzione tra Italia e Svizzera afferma che
“gli utili di una impresa di uno Stato contraente sono
imponibili solo in detto Stato a meno che l’impresa
non svolga la sua attività nell’altro Stato […] mediante
una stabile organizzazione ivi situata”. 3) In questa
situazione la società non produce reddito di
diverse categorie ma produce reddito di impresa,
categoria questa nella quale confluiscono i diversi
tipi di reddito che la stessa viene a produrre
(e cioè gli interessi sui depositi bancari non
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sono reddito di capitale ma parte del reddito di
impresa) come afferma in modo netto l’articolo
6 comma 3 del TUIR (che viene richiamato dalla
dottrina) e per le società di capitali l’articolo 73 del
TUIR (in questo senso per tutti Falsitta Gaspare;
Manuale di diritto tributario, Padova 2010).
4) Di questa ultima esclusione non ci occupiamo
in questa sede. 5) Se questa qualificazione di
imprenditore e quindi di generatore di reddito
di
impresa
dovesse
avvenire
guardando
all’ordinamento fiscale in cui il soggetto è residente
fiscale, la tematica diverrebbe molto complicata e
certamente foriera di un contenzioso molto ampio
in quanto ben potrebbe essere considerato come
imprenditore nell’ordinamento estero, un soggetto
che in Italia non ha alcun collegamento con questa
nozione (si pensi al lavoratore autonomo). 6) Una
precisa esenzione che gli viene garantita dalla
norma interna. 7) Convenzioni delle quali la società
deve comunque dimostrare di poter beneficiare. 8)
Per tutti Dragonetti Alessandro/Piacentini Valerio/
Sfondrini Anna; Manuale di fiscalità internazionale,
Milano 2004. 9) Ad esempio gli interessi sui
finanziamenti mantengono la loro caratteristica di
reddito di capitale e quindi sono tassabili in Italia
quando erogati da soggetti residenti.