Eni, la svolta rinnovabile che non si è ancora vista

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Eni, la svolta rinnovabile che non si è ancora vista
Energia
Eni, la svolta rinnovabile
che non si è ancora vista
IL “BIODIESEL VEGETALE” PRODOTTO DALL’AZIENDA È PARI SOLO ALLO 0,75% DEL GASOLIO CHE VENDE
Dieci anni fa la multinazionale controllata dallo Stato decide di lanciarsi nella
“chimica verde”, con interventi -tra gli altri- sugli impianti di Porto Marghera,
Gela e Porto Torres. Ecco che cosa è rimasto oggi di quell’impegno
archivio eni
di Duccio Facchini
23
Maggio 2016
www.altreconomia.it
PRIMO TEMPO
Energia
Nella pagina
precedente, la
raffineria di Porto
Marghera, a
Venezia. È stata
fondata nel 1926
e ceduta ad Agip
(Eni) negli anni
Trenta
ono passati quasi dieci anni da
quando Eni, la multinazionale degli
idrocarburi, ha lanciato il progetto
di ricerca della prima “bioraffineria” del mondo. Una sorta di contromisura di fronte al tracollo mondiale della raffinazione del greggio, qualcosa che
solo in Europa, dal 2009 ad oggi, ha comportato la chiusura di 11 impianti. Di fatto, una scelta
che per l’azienda guidata oggi da Claudio Descalzi
avrebbe dovuto segnare la svolta “verde” e sostenibile, attraverso la conversione ecologica degli
impianti fossili di Venezia, a Porto Marghera, e
di Gela, in Sicilia. Dieci anni dopo l’annuncio, e
a pochi mesi dal lancio sul mercato di quello che
una consolidata retorica definisce “il carburante
più pulito del mondo” (La Nuova Venezia, gennaio
2016), è tempo di bilanci. Partendo da un presupposto non secondario: quando si parla del “Nuovo
Eni Diesel +”, che viene prodotto interamente dalla “green refinery” di Venezia, ci si sta riferendo
a un gasolio che contiene derivati vegetali per un
massimo del 15%. Eni è tenuta a portarsi avanti, viste le soglie imposte dalla normativa europea
(“Renewable Energy Directive 20-20-20”), che
impongono che il potere calorifico bio dei carburanti raggiunga il 10% entro il 2020.
S
IN DETTAGLIO
TRA PREVISIONE SBAGLIATE E
DISMISSIONI: È LA CRISI FOSSILE
A metà marzo 2016 i vertici di Eni Spa hanno presentato ai propri
azionisti il Piano strategico 2016-2019. Nel prossimo triennio sono
state annunciate dimissioni per 7 miliardi di euro, e tra le iniziative messe in campo c’è anche la cessione di quote dei maxi giacimenti di idrocarburi scoperti di recente, come quello di Zohr in
Egitto o l’Area 4 in Mozambico. Nel comunicato stampa di sintesi,
la società ha presentato la scelta come una “diluizione [...] in linea
con la nostra strategia di dual exploration”. In realtà, nel 2015 il
colosso di cui l’azionista di riferimento è lo Stato, ha assommato
6.790 milioni di euro di svalutazioni, 4.502 dei quali alla sezione
“Exploration & Production”. È il frutto della crisi e superamento
del paradigma fossile, costretto ad affrontare le azioni di contenimento del cambiamento climatico e il tracollo annunciato del
prezzo del greggio. Annunciato ma ignorato anche da Eni, che nel
Piano precedente -2015/2018- aveva previsto per il 2016 valori
doppi rispetto alla realtà (70 dollari al barile contro i 39 di marzo).
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Altreconomia
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“Abbiamo l’energia per vederlo. Abbiamo l’energia per farlo”, recita lo slogan. Che al consumatore
non ricorda un numero: il “biodiesel” interamente vegetale prodotto alla bioraffineria di Venezia è
pari allo 0,75% dei gasoli commercializzati da Eni
(30mila tonnellate su 4 milioni). E c’è di più: Porto
Marghera, dove l’impianto è operativo e da dove
proviene come detto l’intera quantità di “biodiesel sostenibile” venduto da Eni, lavorerà alla massima potenzialità tra un anno almeno. Quindi, la
soglia produttiva di 1 milione di tonnellate annue
di biodiesel -sommando entrambi i poli, dove “Eni
vuole investire almeno 350 milioni di euro”, come
ha spiegato ad Ae l’ingegner Giacomo Rispoli,
Executive Vice President Portfolio Management &
Supply and Licensing, Eni Refining & Marketing
and Chemicals- non potrà essere raggiunta prima
del 2018.
Gela, dove l’impianto è gestito dalla società
Raffineria di Gela Spa, di cui Eni detiene il 100%
delle azioni, è ancora più indietro. Il provvedimento di “non assoggettabilità a Valutazione di
impatto ambientale” del progetto (tecnicamente,
“G2 Project”) ha ricevuto il parere favorevole della Commissione VIA del ministero dell’Ambiente
alla metà di marzo 2016. Per “non assoggettabilità” s’intende che il “proponente” (Eni) ottiene
il via libera senza ulteriori approfondimenti ma
solo alcune prescrizioni, autocertificando “potenziali incidenze significative” su siti sottoposti a tutela (come quelli della Rete Natura 2000, il
principale strumento dell’Unione europea per la
conservazione della biodiversità).
Ma il punto non è la tempistica quanto il merito dei progetti. Lo dimostra il citato parere della Commissione VIA del ministero dell’Ambiente (peraltro già oggetto di un esposto di alcuni
parlamentari per sospetti conflitti di interessi) a
favore dell’impianto siciliano. I “biocarburanti
innovativi e di elevata qualità” saranno prodotti
da biomasse “inizialmente di prima generazione
come olio di palma raffinato ed acidi grassi derivati dall’olio di palma (PFAD)”. Solo successivamente verranno integrate nel ciclo anche “cariche
A Gela i biocarburanti saranno
prodotti in realtà da biomasse
“inizialmente di prima generazione
come olio di palma raffinato ed acidi
grassi derivati dall’olio di palma”
di seconda e terza generazione (grassi animali, oli
esausti, oli derivanti da alghe e scarti di varie tipologie)”. “La nostra tecnologia è in grado di trattare una grande varietà di materie prime -sostiene Rispoli-: qualunque tipo di olio vegetale può
essere trasformato in biocarburante di alta qualità”. Resta il fatto che la materia prima dell’avviamento di Gela -dove gli addetti dell’impianto
sono passati dai 1.132 del 2013 ai 757 del quarto
trimestre del 2015- sarà quindi costituita “da una
carica 100% olio di palma”, motivata da Eni “dalla
grande disponibilità di tale prodotto sul mercato,
la sua convenienza economica e l’attuale scarsa
disponibilità dì approvvigionamento di cariche di
seconda e terza generazione”. E se mai dovessero convenire, le risorse alternative all’olio di palma delle raffinerie Eni di Gela e Venezia non potranno comunque oltrepassare la soglia 10% del
totale. È il motivo per cui “il giudizio sulla conversione Eni in quei siti non può essere che negativo -come spiega ad Ae Beppe Croce, responsabile Agricoltura di Legambiente- proprio perché
punta su un gasolio fondato sull’olio di palma a
scapito di una filiera che personalmente ritengo
più interessante, come quella del bioetanolo di seconda generazione”. Anche se né a Venezia né a
Gela sono state però depositate “osservazioni” da
parte di terzi durante l’iter autorizzativo.
Sulla dipendenza dall’olio di palma la
Commissione VIA si è limitata ad esprimere un
augurio -“auspicabile tendere all’utilizzo sempre
maggiore di biocombustibili di seconda e terza
generazione”- e formulato prescrizioni sulle certificazioni italiane ed europee dell’olio di palma
proveniente soprattutto dai principali Paesi produttori del mondo, Indonesia e Malesia, per i noti
problemi collegati alla deforestazione, ai diritti dei lavoratori delle compagnie e alla perdita di
biodiversità.
A Venezia, in ogni caso, la materia prima più lavorata nel 2014 (ultimo dato disponibile) è stata la Virgin nafta (540mila tonnellate contro le
127mila di olio vegetale), un prodotto della raffinazione petrolio. Sono lontane dunque le materie
più sostenibili dell’olio di palma, come ad esempio le microalghe, che in ogni caso portano con
sé problematiche legate al consumo di suolo per
la loro coltivazione e, in quanto prodotte ad hoc e
non frutto di un recupero, non rispondono pienamente ai principi dell’economia circolare. E lontana è una significativa quota di mercato. “Nel
2015 abbiamo venduto il nostro gasolio premium
prodotto interamente a Venezia nell’ordine di
200mila tonnellate -racconta Rispoli-, pari al 5%
dei gasoli messi in commercio da Eni. I primi dati
Eni ha dichiarato di voler vendere
Versalis, la società che con
Novamont sta riconvertendo il polo
petrolchimico di Porto Torres.
Per l’ad Descalzi “non è strategica”
del 2016, però, hanno registrato un incremento
del 30% delle vendite nel primo trimestre rispetto
allo stesso periodo dello scorso anno”.
Simile alle “bioraffinerie” è la sorte della “chimica
verde” di Eni, che vede in Sardegna, al petrolchimico di Porto Torres (SS), un altro avamposto. A
fine febbraio di quest’anno i sindacati sono scesi in piazza contro l’annunciata cessione al fondo di investimento americano Sk Capital della
branca chimica di Eni rappresentata dalla società
Versalis. Descalzi l’ha definita “non strategica”;
come i posti di lavoro, passati dai 4.707 del 2013 a
4.242 dell’ultimo trimestre 2015.
Ed è proprio nella zona industriale “La Marinella”
di Porto Torres che ha la sede legale Matrìca Spa
(99 dipendenti, 37,5 milioni di euro di capitale sociale e una perdita, nel 2014, di 11 milioni di
euro su 14 milioni di fatturato), posseduta al 50%
ciascuno da Versalis e Novamont. Quest’ultimo
-partecipato al 25% dalla stessa Versalis, dunque Eni- è il colosso chimico di Novara che conta
400 dipendenti ed è attivo nel settore delle bioplastiche e del Mater-Bi®. Nelle intenzioni di Eni,
Matrìca avrebbe dovuto dar vita nel Sito di interesse nazionale (SIN) da bonificare a una “bioraffineria integrata di terza generazione”, un progetto che entro il 2017 “interesserà un’area di circa
27 ettari, con diversi impianti con una capacità
complessiva pari a circa 350mila tonnellate l’anno di bioprodotti”. Al giudizio “molto positivo” di
Croce (Legambiente), si è affiancata a metà dello scorso ottobre la “forte riserva” contenuta in
un “position paper” di Slow Food Italia. Secondo
l’associazione, Matrìca Spa avrebber operato fino
all’ottobre 2015 solo su “aree non soggette a bonifica” di proprietà di Syndial (gruppo Eni), anche
attraverso accordi con agricoltori che rischiavano
-sempre secondo Slow Food Italia- di “indurli a
optare per un cambiamento di destinazione colturale dei loro campi”. In ogni caso, Eni sta vendendo Versalis. La chimica verde è tutta qui.
25
78%
è la perdita della
società Matrìca
spa (11 milioni di
euro su 14 milioni
di fatturato) di
Porto Torres.
È compartecipata da Eni e
Novamont
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