Untitled - Rizzoli Libri

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CONCITA DE GREGORIO
Non chiedermi quando
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Rizzoli Libri S.p.A. / Rizzoli
ISBN 978-88-17-08997-5
Prima edizione: novembre 2016
Non chiedermi quando
A mia madre, Concha Maria
Troppe persone deliziose
Un giorno a casa di Dacia nell’urtare alcuni libri impilati sul tavolo è scivolata a terra una foto in bianco e nero. Maria Callas guarda l’obiettivo con un sorriso timido, infantile. Indossa un
grande cappello da cowboy, il cordino ben stretto sotto il mento. Pier Paolo Pasolini guarda lei,
Maria: con amore, non saprei come altro dirlo, e
– pur toccandole la spalla con la spalla – con distanza. La osserva con delicata apprensione.
Ho chiesto: chi ha scattato questa foto? Dacia
ha detto: io. Dove eravate? Nel Mali, mi sembra.
Vedi, quello è il gomito di Alberto. Non l’avevo
visto. A destra, proprio lungo il margine della fo-
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to, compare un triangolo di stoffa a quadri. Un
dettaglio offuscato dall’intensità dei due volti in
primo piano, dalla traiettoria dei loro sguardi. Il
gomito di Alberto.
Ho chiesto: che anno era? Dacia ha risposto:
non lo so, eravamo in viaggio insieme, noi quattro. Mi ricordo tutto, ma non chiedermi le date.
Nei due mesi in cui ci siamo viste, da aprile a
giugno del 2016, allo stesso modo – senza chiedere le date – sono comparsi e sono stati con noi
i volti e le parole delle persone che hanno abitato gli ottant’anni di Dacia: suo padre Fosco, sua
madre Topazia, Elsa Morante e Luchino Visconti, Fellini e Mastroianni, Moravia e Pasolini, i
prigionieri del Campo in Giappone, le compagne
di scuola del collegio a Firenze, i figli dei contadini in Sicilia, il suo primo marito e il suo ultimo compagno, una nonna cilena di origine basca, cantante lirica, una nonna inglese bella come
un giglio, i vicini di casa di Pescasseroli che colti-
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vano l’orto, Natalia Ginzburg, l’architetto Nervi,
Maria Callas, Laura Betti e Luisa Spagnoli, Ettore Scola, Montale, Guttuso, Teresa la ladra, sorelle e nipoti, Calvino e Sciascia che andavano e
tornavano da Parigi, Ninetto sul set.
Una folla, un mondo straordinario, irripetibile. Tutti lì allo stesso momento: arrivavano con
una frase, il dondolare di una gamba, il rumore
di un cucchiaio in una tazza. Tutti insieme, come
se non se ne fossero mai andati. Tutti sempre ora.
Nella casa all’ultimo piano di una vorticosa
scala a chiocciola, nella stanza zeppa dei libri e
delle opere di tutti – i quadri di Schifano, le foto di Fosco, gli scritti di Alberto e di Pier Paolo,
i suoi – siamo state per due mesi in un presente perpetuo in cui ottant’anni di storie e di vite
si siedono affianco, si parlano gentili, bevono un
sorso, se ne vanno e ritornano.
Per noi che viviamo oggi questo tempo di solitudine estrema, seduti davanti agli schermi do-
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mestici in compagnia di tutto quello che manca
– un tutorial al posto della nonna per imparare a
fare la torta di mele, il like di un follower ignoto
al posto di un amico a cui mostrare una foto, uno
youtuber in cuffia la sera invece di qualcuno accanto al letto che ti racconta una storia – entrare
e passeggiare con Dacia nel suo mondo è un’avventura stupefacente. Un ragazzo di vent’anni,
uno dei nostri figli, non ha termini di paragone
possibili per immaginare un luogo nel tempo in
cui se scendi a fare due passi incontri l’autore
del libro che stai leggendo, se ti fermi a bere un
caffè scambi due parole con l’attore del film che
hai appena visto al cinema, sul pianerottolo incroci l’architetto che sta costruendo il Palazzetto dello Sport e ti chiede di accompagnarlo fino al cantiere, se hai voglia. In vacanza giochi a
carte con la stilista di cui indossi la maglia e dividi la stanza, mettiamo, con Shakira. Certo, era
una élite. Il mondo di Dacia – scrittrice – è stato,
nel secolo scorso, un perimetro abitato da artisti:
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non a tutti, anche allora, era dato di condividere i giorni con Pasolini, Mastroianni, Fellini. Era
possibile, però. Fermarsi da Rosati, al bar, e avvicinarli, ascoltarli. Domandare un consiglio, parlarci. Andare in treno a Sabaudia e trovarli sulla
spiaggia, fare un bagno e stendersi al sole, giocare una partita a calcetto con loro. Una élite accessibile. «Era tutto molto semplice, era in fondo
uno spazio piccolo, sempre gli stessi luoghi. Non
ci si dava appuntamento, ci si incontrava. Tutti
facevano più o meno la stessa vita, imprevedibile
dentro un ordine naturale delle cose. Ogni tanto qualcuno partiva, qualcuno tornava. In caso di
assenza, si attendeva il ritorno. Era una comunità che sapeva di esserlo ma non aveva bisogno di
dirlo. Chiunque poteva entrare, fermarsi, andare
via. Non c’era statuto, non c’erano insegne. Eravamo lì, semplicemente.»
Dacia, quando racconta, lo fa con cura garbo
precisione e con una specie di distanza. Distol-
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