Radioterapia a microfascio

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Radioterapia a microfascio
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Scuola Politecnica e delle Scienze di Base
Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Dipartimento di Fisica
Laurea triennale in Fisica
Tesi di laurea
Radioterapia a microfascio
Relatore
Candidato
Prof. Paolo Russo
Roberto Morelli
Matricola N85/296
Anno accademico 2013/2014
Indice
CAPITOLO 1 MRT: GLI ASPETTI TECNICI.
5
1.1 Il Sincrotrone - la struttura e il campo di radiazione generato.
5
1.2 La Beamline - la struttura.
7
1.3 Il collimatore
1.3.1 I primi modelli a singola fessura.
1.3.2 "Archer-type Multislit Collimator (AMSC)".
1.3.3 "Tecomet Multislit Collimator (TMSC)".
8
8
8
9
1.4 I microfasci - le caratteristiche.
11
1.5 Simulazione e microdosimetria.
1.5.1 La simulazione.
1.5.2 Microdosimetria.
12
12
15
1.6 Modalità d'irraggiamento e Piano di trattamento.
1.6.1 Modalità d'irraggiamento.
1.6.2 Piano di trattamento.
18
18
19
CAPITOLO 2 MRT: LO SVILUPPO E LE PROSPETTIVE.
21
2.1 I primi studi sui microfasci e l'effetto di tolleranza del tessuto.
21
2.2 MRT - i trial.
2.2.1 MRT - da Slatkin a Laissue : lo studio della tollerabilità dei tessuti.
2.2.2 Trial condotti sui tessuti malati: Dilmanian e il 9LGliosarcoma.
22
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CAPITOLO 3
29
I NANOTUBI DI CARBONIO (NTC) E IL LORO POSSIBILE IMPIEGO NELLA MRT. 29
3.1 Studio pilota: Mike Hadsell et al.36
29
CONCLUSIONI
34
RINGRAZIAMENTI
35
BIBLIOGRAFIA
36
2
Introduzione
Con il termine neoplasia o tumore si indica, in patologia, una massa anormale di
tessuto che cresce in eccesso ed in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali e che
persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo.
La rilevanza della patologia tumorale è dimostrata dal fatto che solo nel 2008, in
tutto il mondo, si sono registrati 14.1 milioni di nuovi casi, di cui 8.2 milioni conclusisi con
il decesso del paziente1.
Diverse possono essere le ragioni che favoriscono lo sviluppo di una massa
tumorale, ma tra i motivi principali ci sono i "fattori ambientali". Con tale termine si
intendono quelle cause non ereditate geneticamente quali fumo, alimentazione, infezioni,
radiazioni ionizzanti, stress, mancanza di attività fisica e inquinanti ambientali, che sono
riconosciute all'origine di molte patologie fra cui quelle tumorali.
La chirurgia, la chemioterapia, la radioterapia e le cure palliative sono alcune delle
tecniche impiegate per il trattamento delle neoplasie. A seconda del caso e dell'entità del
tumore, si decide il modo più opportuno per intervenire. Esistono, poi, trattamenti che
fanno parte della medicina complementare e vengono pertanto utilizzati in concomitanza
con la medicina convenzionale; altre terapie ancora rientrano nella medicina alternativa,
andando così a sostituire i metodi convenzionali.
In questa tesi si descrive una possibile tecnica di radioterapia dei tumori che utilizza
fasci di raggi X, ampi dalle decine alle centinaia di micron, chiamati per l'appunto
"microfasci". Tale tecnica prende il nome di "radioterapia a microfascio (MRT)" e
differisce dalla radioterapia convenzionale che impiega uno o più fasci non di raggi X di
ampiezza tale da irraggiare tutta la massa tumorale. Anche i ratei di dose di radiazione
risultano sensibilmente diversi: mentre nella MRT si riescono a ottenere fino a 16.000
Gy/s, nella radioterapia convenzionale si arriva a poche decine di Gy/s. Queste
caratteristiche dipendono dalle sorgenti impiegate: un sincrotrone di seconda o terza
generazione nella MRT e un acceleratore lineare per la radioterapia convenzionale.
Ciò che rende la tecnica MRT particolarmente interessante è l'elevata tolleranza
dimostrata dai tessuti sani nei confronti dei microfasci in essa impiegati, nonostante le alte
dosi di radiazione. Pertanto, è stato introdotto un nuovo concetto ("effetto di tolleranza del
tessuto") attualmente sotto studio per comprenderne a fondo tutti i meccanismi, utile per
3
stilare protocolli per l'impiego di microfasci sufficientemente tollerati ed efficaci nel
controllo della crescita delle masse tumorali.
Il seguente lavoro è articolato in tre capitoli: nel primo si descrivono gli strumenti
utilizzati durante una sessione di MRT; nel secondo capitolo si elencano alcuni dei trial
finora eseguiti, mentre, nel terzo si descrive un lavoro pilota incentrato sul possibile
impiego dei nanotubi di carbonio in MRT come sorgente alternativa al sincrotrone.
4
Capitolo 1 MRT: gli aspetti tecnici.
In questo capitolo verrà illustrato come sia possibile ottenere i microfasci a partire
dal sincrotrone. In primo luogo, è necessario soffermarsi proprio su questa sorgente di
raggi X. Si descriveranno poi: (1) la "beamline", ossia il sito sperimentale dove il campo di
radiazione generato viene destinato alla terapia; (2) i collimatori, indispensabili per il
"frazionamento" del fascio in picchi e valli di radiazione; (3) i microfasci, caratterizzati
attraverso i parametri più rilevanti; (4) i codici di simulazione, il cui impiego è mirato alla
previsione delle dosi di radiazione depositate nei bersagli irraggiati; (5) i rilevatori usati
nella misurazione delle dosi di radiazione.
1.1 Il Sincrotrone - la struttura e il campo di radiazione generato.
Il sincrotrone è una struttura utilizzata per accelerare gli elettroni fino ad energie
estremamente alte, per poi deviarli periodicamente dalla propria traiettoria. A seguito di
questo processo, vengono prodotti raggi X sottoforma di sottili fasci.
Riferendoci all’ “European Synchrotron Radiation Facilities” (fig.1) situato a
Grenoble in Francia2, di seguito, si elencano gli elementi che costituiscono questi
acceleratori di particelle:
Anello di accumulazione “Storage ring”: E’ un tubo di forma circolare lungo 844
metri. All'interno di questa struttura, gli elettroni sono forzati a seguire, con velocità
prossime a quella della luce, un percorso che alterna tratti curvi e tratti rettilinei.
Pre-acceleratore “Booster synchrotron”: Questa struttura lunga 300 metri,
anch'essa circolare, è capace di accelerare gli elettroni fino ad un valore appropriato di
energia, dopo di chè, le particelle vengono introdotte nell’anello di accumulazione.
Acceleratore lineare “Linac”: Questo dispositivo accelera lungo una linea di fascio
i “pacchetti” di elettroni fino ad un’energia sufficiente all’immissione nel pre-acceleratore.
Beamline: I raggi X prodotti al termine di questi passaggi sono raccolti lungo
particolari strutture tangenti all’anello di accumulazione; E’ proprio all’interno di questi
siti che la radiazione viene destinata ad un certo tipo di ricerca.
L’anello di accumulazione include 32 tratti rettilinei alternati ad altrettante sezioni
curve. Lungo queste ultime, dei magneti curvanti (bending magnets), forzano gli elettroni a
seguire un orbita circolare. Attraverso i tratti rettilinei invece, dei magneti focalizzatori
5
assicurano agli elettroni di rimanere vicino a questa orbita circolare ideale. Inoltre, sempre
lungo questi tratti lineari, si trovano gli ondulatori, grazie ai quali vengono originati i fasci
di raggi X facendo deviare gli elettroni.
Figura 1. Struttura dell'Euorpean Syncrhotron Radiation Facility.1
Figura 2. Anello di accumulazione con i dispositivi presenti al suo interno per direzionare il fascio di
elettroni: magneti curvanti (bending magnets) , ondulatori (undulator) e magneti focalizzatori (focusing
magnets)2.
I fasci prodotti da un sincrotrone sono caratterizzati da un altissimo flusso ed una
divergenza minima che consentono rispettivamente di: (1) accumulare dosi terapeutiche
nei tessuti bersaglio in frazioni di secondo, limitando così i tempi di esposizione alla
radiazione ed evitando gli "effetti di bordo" causati dai movimenti cardiorespiratori; (2)
ottenere microfasci che penetrino a fondo con un profilo ben preciso. Per completezza,
ricordiamo che gli acceleratori lineari usati nella radioterapia convenzionale arrivano a
fornire solamente 6 Gy/s a fronte dei circa 16000 Gy/s ottenibili da un sincrotrone.
Un altro sincrotrone utilizzato per la MRT è Il "National Synchrotron Light
Source"(NSLS) al Brookheaven National Laboratory (BNL), Upton NY, U.S.A.
6
1.2 La Beamline - la struttura.
Una beamline comprende tutti gli elementi che "modellano" la radiazione e la
dirigono sul bersaglio col quale interagirà. Lunghe dai 25 ai 100 metri, esse, si dividono in
tre strutture radioprotette: una ottica, per modellare il fascio, una sperimentale, dove si
prepara il campione e si eseguono le misure, ed una di controllo, dove personale
specializzato verifica la corretta procedura dell'esperimento. Una seduta di MRT potrebbe
svolgersi come in figura 3.
Figura 3. ipotetico settaggio di una beamline predisposta alla radiochirurgia con microfascio. La radiazione,
dopo aver colpito l'area di interesse, viene intercettata da un rilevatore 4.
Gli elementi collocati, in genere, all'interno di una beamline (fig.3) dedicata all'MRT sono:

Finestre - Spesso di berillio, e con uno spessore appropriato tale da far filtrare la
parte desiderata del fascio. Nel caso della MRT possono essere utilizzati diversi
filtri contemporaneamente e di diversi materiali.

Fessure - Sono particolari elementi utilizzati per regolare la larghezza del fascio e
la sua dispersione angolare.

Specchi focalizzatori - A seconda della loro forma aiutano a collimare il fascio.

Piano per il campione da studiare - Per montare e manipolare il campione da
indagare.

Un rilevatore - Per misurare la radiazione che ha interagito col campione.
7
Due delle beamline più impiegate per l’MRT sono: (1) la "ID17” all'ESRF e (2) la
"X17B1" all’NLSL.
Figura 4. Elementi presenti in una beamline dedicata alla MRT 6.
1.3 Il collimatore
Posto a circa 33 metri dalla sorgente di raggi X, il collimatore è in grado di
conferire al fascio la tipica forma a "pettine" con la quale picchi e valli di radiazione si
alternano ad intervalli regolari. In questo paragrafo descriveremo alcuni tra i modelli più
importanti.
1.3.1 I primi modelli a singola fessura.
Durante i primi trial eseguiti negli anni '60 volti a sondare la tollerabilità del tessuto
sano24,25,26 nei confronti dei microfasci, si è reso necessario l'utilizzo di un collimatore a
singola fessura. I fotoni incidenti su questa apertura, ampia decine o centinaia di micron ed
alta qualche millimetro, passano ed assumo le caratteristiche di un cosiddetto microfascio.
Il resto della radiazione impattando sulla struttura costituita da materiale radioassorbente,
come ad esempio il tantalio5, non riesce a penetrare. Traslando lateralmente il campione
nell'intervallo tra due esposizioni, di una lunghezza pari alla spaziatura tra i microfasci che
si vuole determinare, si ottiene una geometria di microfasci multipli funzionale alla terapia.
1.3.2 "Archer-type Multislit Collimator (AMSC)".
Per ridurre i tempi di utilizzo dovuti ad collimatore a singola fessura, la ricerca si
orientò verso la scelta di uno strumento più efficiente. Il progetto di questi nuovi modelli
prese piede nel 1944 e si concluse con la nascita del water-cooled variable-width Archertype multislit collimator (AMSC)8 , in grado di produrre più microfasci simultaneamente.
Esso è costituito da due blocchi simili con fessure di alluminio radiotrasparente
di ~49-51 micron, adiacenti a lamine di oro con uno spessore medio di 157 micron.
8
L'AMSC consente la produzione fino ad 80 microfasci con una distanza picco-picco pari a
210 micron ed ognuno con un ampiezza compresa fra i 5 micron e i 50 micron.
Quest'ultimo parametro viene gestito facendo traslare parallelamente il blocco posto a valle
rispetto all'altro, al fine di occluderne parzialmente le fessure.
Purtroppo, l'imprecisione sull'ampiezza dei microfasci prodotti dall' AMSC,
complica le predizioni microdosimetriche (cap 1.5.2) e tale incertezza si ripercuote sulla
capacità di assicurare un'effettiva sopravvivenza del tessuto sano6.
1.3.3 "Tecomet Multislit Collimator (TMSC)".
Per rendere la pratica della MRT più sicura ed efficace è necessario quindi un
collimatore molto preciso, a tale scopo la Tecomet Inc. sotto l'egida di un gruppo di ricerca
ESRF/MRT, progettò e realizzò un collimatore al tungsteno con fessure riempite da un gas
radiotrasparente (azoto 𝑁2 ) raffreddato. Tale modello è il "Tecomet multislit collimator
(TMSC)" installato nella beamline ID17 all'ESRF. Il TMSC è assemblato con due blocchi
di tungsteno identici profondi circa 8 millimetri posti uno di fronte all'altro che presentano
125 fessure equidistanti alte 5 millimetri e larghe 100 micron. Il modello è mostrato sia
secondo una prospettiva "a valle" che attraverso un ingrandimento della facciata "a monte".
Figura 5. TMSC: Prospettiva del collimatore: a valle (a sinistra), a monte (a destra).6
Un vantaggio immediato si ricava dalla presenza dell'azoto piuttosto che
dell'alluminio. Infatti, data la maggiore radiotrasparenza del gas, è possibile aumentare la
dose nei picchi senza incrementare quella minima compresa fra questi nelle cosiddette
9
valli. Si ottiene così un "rapporto di dose picco-valle" maggiore, la cui importanza sarà
rimarcata in seguito.
Questi due blocchi sono montati adiacenti e paralleli l'un l'altro. Il blocco a valle,
tramite l'utilizzo di un motore di precisione che procede a "step" micrometrici, può
muoversi trasversalmente rispetto quello a monte. La struttura unica di tungsteno formata
dall'insieme di questi due blocchi allineati senza che ci siano traslazioni reciproche,
presenta 125 fessure profonde 16 millimetri con ampiezza variabile tra i 5 e i 100 micron.
Il tutto è contenuto all'interno di una sigillatura di alluminio che consente al gas presente
nelle fessure di non espandersi al di fuori di esse. Lo stesso gas, consentendo il passaggio
del campo di radiazione, rende possibile la creazione di microfasci, mentre, la parte di
tungsteno impedisce l'attraversamento dei fotoni. "L'ampiezza a mezza altezza dei
microfasci (FWHM)" prodotti può essere selezionata fino a 76 micron.
L'azoto, presente ad una certa pressione all'interno delle fessure del TMSC, funge
da sistema di raffreddamento e aumenta quindi il carico di calore sopportato. Questo si
traduce nella possibilità di utilizzare fasci più potenti e, quindi, di ottenere ratei di
radiazioni maggiori. Si limita cosi il tempo di esposizione ai raggi X, riducendo gli effetti
di bordo dovuti ai movimenti cardiorespiratori, pericolosi per il tessuto sano prossimo alla
zona colpita.
I collimatori sono in grado di produrre microfasci di differenti geometrie; a seconda
della sua forma un microfascio può risultate più o meno efficace nei confronti di uno
specifico bersaglio (fig. 6, 7).
1
Figura 6. due modelli di collimatori che differiscono per le geometrie dei microfasci generati .
10
Figura 7. Creazione dei microfasci attraverso l'uso di un collimatore e visualizzazione delle dosi relative
nei vari punti del fascio frazionato10 .
1.4 I microfasci - le caratteristiche.
A partire dalla sorgente di raggi X, un fascio viene lavorato attraverso una serie di
elementi e assume particolari caratteristiche che vengono qui elencate:
 "Lo spettro di energia" - I fotoni irraggiati assumono un energia che va dai 50 keV ai 650
keV, ottenuta grazie all'utilizzo di filtri in rame o gadolinio.
 " Dose del picco"- E' la dose trasportate nella parte centrale di un singolo microfascio.
 "Dose della valle"- E' la dose minima presente nel punto più lontano nel mezzo di due
microfasci
 "Frazione di dose picco-valle (PVDRs)" - Riguarda il rapporto fra la dose depositata dai
picchi e quella depositata lungo le valli. Più è alto questo rapporto più la terapia può
risultare efficace : picchi più radiotossici e valli con dosi maggiormente tollerabili.
 "Distanza picco-picco" - Misura la distanza fra i centri dei picchi di microfasci contigui.
 "Ampiezza delle valli" - Si definisce così l'ampiezza delle aree all'interno delle quali le
dosi di radiazione sono più basse rispetto quelle dei picchi e dove le cellule hanno una
buona probabilità di sopravvivere.
 "L'ampiezza a mezza altezza (FWHM)" - Con tale termine si definisce la larghezza dei
microfasci quando questi trasportano una dose pari alla metà di quella massima.
Microfasci con valori precisi di questi parametri rientrano in una specifica
configurazione.
11
1.5 Simulazione e microdosimetria.
1.5.1 La simulazione.
La simulazione consiste nel prevedere, nel modo più realistico possibile, quali siano
le dosi di radiazione depositata all'interno del bersaglio. Tali calcoli vengono effettuati
attraverso opportuni "codici di simulazione".
Per trattare questo tema si esamina un codice in particolare: la versione "PSI" del
"GEANT Monte Carlo (MC)" presentando nel seguente ordine: (1) alcuni dati che
costituiscono le informazioni e i modelli fisici su cui il codice si basa durante la
computazione (2) simulazioni sull'accumulo di energia dovuto a microfasci variabili, per
forma ed energia, all'interno di un bersaglio di forma cilindrica riempito con acqua e con
un diametro e una lunghezza di 16 cm. (3) Alcuni codici più datati della versione PSIGEANT ed altri tra i più recenti.
La versione PSI del codice MC GEANT comprende librerie come "EPDL, EEDL,
EADL" contenenti sezioni d'urto e misure sperimentali riguardanti elettroni e fotoni, (fig.
8) rese pubbliche tra il 1989 ed il 1997. Si osserva che nel range di energia tipicamente
utilizzato in MRT, ovvero, 50-200 keV, per i fotoni domina il processo di scattering
Compton. Sotto i 100 keV , invece, la fotoionizzazione diventa sempre più importante. Per
gli elettroni i processi più ricorrenti riguardano la ionizzazione, la quale porta ad una
considerevole perdita di energia. Anche l'eccitazione è importante ma porta solo ad una
piccola perdita di energia per collisione, mentre lo scattering elastico non ne causa alcuna.
Il Bremmstrahlung, per la sua ridotta sezione d'urto non gioca alcun ruolo significativo.
Figura 8. Sezione d'urto per i fotoni (a sinistra) ed elettroni (a destra) nell'acqua11.
12
Nelle seguenti figure, invece, si mostra la distribuzione di dose assorbita
perpendicolarmente ad un singolo microfascio planare con un diametro di 25 micron (fig.
9). Estendendo il calcolo fino a 40 millimetri (fig. 10) è possibile ricavare le dosi delle valli
(fig. 11) generate proprio dalla sovrapposizione di queste "code".
Figura 9. Distribuzione di dose per un singolo microfascio planare. La linea piena corrisponde ad un fascio di
50 keV, quella tratteggiata a 100 keV, quella punteggiata a 150 keV e quella punteggiata e tratteggiata a
200 keV 11.
Figura 10. La figura mostra la distribuzione di dose estesa fino a 40 millimetri. La linea piena corrisponde
ad un fascio di 50 keV, quella tratteggiata a 100 keV, quella punteggiata a 150 keV e quella punteggiata
e tratteggiata a 200 keV11.
13
Figura 11. Dose assorbita fra due microfasci planari adiacenti con un ampiezza di 25 micron ed appartenentii
ad un fascio di 100 keV. Le spaziature tra i microfasci sono di 50, 100 o 200 micron11.
Mostriamo ora un esempio di simulazione 3-D utilizzato per prevedere le dosi di
radiazione depositata all'interno del capo di un topo. Si nota: (1) come il profilo della dose
rimanga definito, anche a profondità di diversi centimetri (2) che le valli sono meno affette
da variazioni lungo il tragitto (3) un incremento della dose depositata in corrispondenza
dell'entrata nella testa del topo e dell'uscita, ovvero laddove è presente il tessuto osseo.
Figura 12. Simulazione Monte Carlo (MC) delle dosi entranti nella testa di un topo 3.
La versione PSI-GEANT, in generale, conferma i risultati precedenti ma, in più,
riduce di circa il 10-20%, il valore della frazione picco-dose rispetto alle simulazioni
ottenute da codici meno recenti. Tra questi vi sono il Dilmamian-CPE, il Persliden-CPE e
14
l'INHOM, che fanno riferimento a dati reperibili dal 1980 e presentano alcuni limiti come,
in particolare: (1) non considerano gli elettroni secondari (2) si basano solo sulle sezioni
d'urto totali per la ionizzazione. Inoltre, il PSI, a differenza della versione originale del
GEANT, usa un metodo chiamato trasporto a "singola collisione" per particelle cariche
come opzione alternativa alla "storia condensata". Il primo di questi viene utilizzato nelle
simulazioni che prevedono un cammino di dimensioni micrometriche all'interno del
mezzo, risultando in questo caso più accurato del secondo che invece è da preferirsi
quando il calcolo include percorsi più lunghi. Questo nuovo strumento, però, rallenta la
simulazione che può durare anche un ora a dispetto dei 40 secondi necessari all'INHOM .
In una pubblicazione recentissima datata 2014 ad opera di Siegbahn et al.12 si
confrontano gli ultimi codici messi a disposizione, ognuno dei quali implementa modifiche
ed eventuali migliorie inerenti al trasposto energetico dei fotoni e alla loro polarizzazione. I
codici in questione sono l'EGS4 e il PSI-GEANT3 sperimentati rispettivamente da
Slatkin13 e Stepanek14. I risultati di queste simulazioni sono state confrontate con quelli
ottenuti dal codice PENELOPE e da una versione più recente dell'EGS4 adoperata da
Orion et al.15. Alla fine si è riscontrato un buon accordo fra il PENELOPE, il PSIGEANT3 ed alcuni valori della frazione di dose picco-valle ottenuti con la versione più
recente dell' EGS4.
Per ottenere codici sempre più affidabili, i modelli fisici su cui si basano vengono
continuamente aggiornati. Altri limiti, invece, sono più difficili da oltrepassare: per rendere
le computazioni più rapide si immettono microfasci identici, questa situazione, però, è
poco realistica.
1.5.2 Microdosimetria.
La microdosimetria si occupa della misura delle radiazioni impartite a strutture
microscopiche. I sistemi finora evoluti sono molteplici e differiscono per le proprie
caratteristiche. Di seguito ne elenchiamo alcuni modelli:
Gafchromic film. E' un sistema costituito da pellicole che impressionano la reale
intensità del fascio con una risoluzione spaziale molto elevata. La lettura dei risultati è un
operazione che richiede il passaggio di almeno due giorni dopo l'irraggiamento, necessari
affinchè il segnale della misura della densità ottica si stabilizzi. Quest'ultimo difetto lo
rende inadatto per un uso clinico dove è richiesto un controllo dell'intensità dei fasci
15
appena prima dell'irraggiamento del paziente. Un altro limite dei film radiocromici è il loro
ristretto intervallo dinamico che non consente di risolvere simultaneamente i picchi e le
valli di dosi. Due sono le possibili scelte per venire incontro a questo problema: (1)
l'utilizzo di due pellicole radiocromiche con diversa sensibilità, una destinata alla misura
delle valli e l'altra quella dei picchi. (2) Applicare delle stime calcolate con il metodo
Monte Carlo per le frazioni di dose picco valle a due esposizione separate, una per i picchi
e una per le valli.
Figura 13. Due pellicole gafcrhomiche sovrapposte tra loro dopo aver
differente intensità e spaziatura. 36
impressionato
microfasci di
Mosfet a memoria veloce. Il suo funzionamento si basa sulla variazione che il
voltaggio di soglia del mosfet subisce quando intercetta la radiazione.
La risoluzione al di sotto del micron rende possibile un analisi estremamente
accurata della dose del profilo laterale dei microfasci, spesso molto ripido e difficile da
visualizzare con sufficiente cura. Questa precisione è dipendente dal posizionamento del
MOSFET e raggiunge il suo massimo quando l'interfaccia fra il volume sensibile alla
radiazione e il substrato di silicio è parallelo al fascio incidente: si predispone cioè nella
modalità "edge-on"17. Oltre un certa dose la risposta non è più lineare, questo è il suo
limite più grande ed è attualmente sotto investigazione per migliorarlo.
Dosimetro a gel MRI. Il meccanismo su cui si basa è legato ai processi di
polimerizzazione dovuti ai gruppi radicalici prodotti dalla radiolisi delle molecole di acqua.
Presenta precisi intervalli di funzionamento, dipendenti dal gel, oltre i quali viene
pregiudicata la sua sensibilità. Ad oggi, i risultati ottenuti da questo dispositivo lo rendono
insoddisfacente dal punto di vista della risoluzione spaziale.
Rilevatore fluorescente di tracce nucleari. E' un nuovo modello di rivelatore
luminescente. Questi strumenti sono composti da un cristallo di ossido di alluminio dopato
con carbone e magnesio (Al2O3:C,Mg) e sono prodotti con differenti dimensioni e forme a
16
seconda dell'uso a cui destinarli. Le tracce dei fotoelettroni e degli elettroni secondari
generati nel cristallo di ossido di alluminio sono visualizzate attraverso un sistema video ad
alta risoluzione e grazie alla tecnica della microscopia fluorescente che fa uso di un laser
confocale.
L'alta risoluzione, che può arrivare fino a 0.6 micron, e l'ampio intervallo dinamico,
fanno di questi rivelatori una tecnologia molto attraente per la MRT, soprattutto quando
deve essere misurata una grande dose picco-valle con alta precisione.
Dosimetro TDL ad alta risoluzione. Costituito da un sistema dosimetrico
bidimensionale termoluminiscente (TL) di lamine di LiF:Mg,Cu,P e da un lettore TLD
equipaggiato con una camera CC.
Risulta abbastanza lento nell'elaborazione ma è caratterizzato da un'alta sensibilità e
da una debole dipendenza energetica, soprattutto per basse energie, rispetto al MOSFET.
Tomografia ottica calcolata con PRESAGE radiochromic plastic. Consiste in un
campione di plastica radiocromica denominata PRESAGE che agisce come una pellicola
tri-dimensionale. Il colore di questa plastica cambia subito dopo l'irraggiamento e i gradi di
cambiamento del colore sono proporzionali alla dose assorbita.
Il suo utilizzo è pensato per una dosimetria all'interno di un intervallo che va dalle
decine alle centinaia di Gy. Una risoluzione spaziale di circa 20 micron è stata già
verificata e i microfasci di 50 micron sono facilmente visualizzabili.
Silicon strip detector dosimetry. Strisce di silicio assieme ad un sistema di lettura
elettronico sono state recentemente testate all'ESRF risultando tra gli strumenti più
promettenti.
Le caratteristiche principali sono l'altissima risoluzione spaziale, 10 micron, e la
misura istantanea dei ratei di dose. L'intervallo dinamico ricopre oltre 5 ordini di grandezza
e lo rende cosi particolarmente idoneo per la MRT. Benchè la dipendenza dall'energia sia
stata enormemente migliorata, ulteriori progressi sono richiesti, in quanto il silicio ha una
forte dipendenza energetica per fotoni al di sotto dei 100 keV12,15. Questi nuovi dispositivi
garantiscono un controllo in tempo reale e di qualità dei microfasci appena prima del
trattamento ad un paziente.
Ad oggi sono richiesti calcoli teorici addizionali per misurare la dose assoluta
e una soluzione per minimizzare il rafforzamento della dose dovuta ai materiali
circostanti il rivelatore al silicio18.
17
In conclusione: le pellicole Gafcrhomiche hanno una buona risoluzione spaziale ma le
fluttuazioni intrinseche nella risposta non le rendono strumenti abbastanza accurati; i
dosimetri TDL, i rilevatori fluorescenti di Al2O3 e la pellicola PRESAGE sono strumenti in
grado di leggere con alta precisione le dosi assolute nei picchi e nelle valli ma altre
caratteristiche fondamentali per un dosimetro devono ancora essere investigate con cura; i
rilevatori al silicio sono ottimi per una lettura in tempo reale e di qualità ma la risposta ha
una forte dipendenza energetica. Per stilare dei protocolli dosimetrici, ai quali attenersi
durante la pianificazione di un trattamento, occorrono strumenti in grado di eseguire
misure con un elevato livello di confidenza. Attualmente non esiste un dispositivo del
genere; è dunque necessario continuare ad esaminare i dosimetri finora disponibili per
raggiungere un buon accordo tra simulazioni Monte Carlo e le misure ottenute da questi
dispositivi
1.6 Modalità d'irraggiamento e Piano di trattamento.
1.6.1 Modalità d'irraggiamento.
La dose di radiazione può essere sprigionata: in un unico irraggiamento che duri
qualche millesimo di secondo, oppure, in diverse frazioni temporali ripetute a distanza di
giorni. Quest'ultima modalità è , in genere, adoperata nella radioterapia convenzionale per
consentire al tessuto sano di limitare i danni da radiazione19. Nella MRT grazie all'enorme
flusso di fotoni generato dal sincrotrone, è possibile raggiungere la dose necessaria da
depositare in un unica sessione che duri qualche frazione di secondo. Questo tempo
talmente breve permette di limitare gli effetti di bordo dovuto ai movimenti
cardiorespiratori che potrebbero compromettere l'effetto di tolleranza del tessuto.
Oltre all'esposizione unilaterale, i microfasci possono essere sprigionati simultaneamente
da punti diversi fino ad incontrarsi in un isocentro. Attraverso l'uso di fasci incrociati, la
dose delle valli può essere innalzata a livelli sufficientemente radiotossici per un tumore20.
In questo modo, le stesse valli potrebbero sortire un effetto terapeutico più simile a quello
ottenuto dalla radioterapia convenzionale che non è necessariamente correlato ad un
danneggiamento vascolare14. In figura 14, viene mostrato l'utilizzo dei sopraccitati metodi.
In ogni caso, date le dimensioni ridotte della matrice di microfasci, per colpire tutte le aree
del tumore, il bersaglio viene traslato attraverso il campo di radiazione.
Il posizionamento del bersaglio da irradiare avviene attraverso un goniometro che
18
può ruotare su tre assi e muoversi in diversi modi. Questa procedura è eseguita da appositi
software che consentono spostamenti programmabili e precisi. L'irraggiamento, poi, viene
eseguito in sincrono con la chiusura di un sistema di sicurezza, "fast shutter", che limita
temporalmente l'azione del fascio per evitare eccessive esposizioni del bersaglio.
Figura14. Diverse modalità d'irraggiamento: unilaterale, con microfasci incrociati e con un fascio am pio
non frazionato (radioterapia convenzionale)28.
1.6.2 Piano di trattamento.
La prescrizione della dose di radiazione al tumore e di quella agli organi a rischio
viene effettuata dal radioterapista; è compito del fisico medico ospedaliero tradurre quelle
prescrizioni in un insieme di procedure e specifiche dei fasci di radiazione da utilizzare
nella terapia. Tali indicazioni costituiscono il cosiddetto piano di trattamento, ed i sistemi
software che vengono utilizzati per il calcolo di distribuzione di dose di radiazione negli
organi, è detto "sistema per la pianificazione del trattamento (TPS)". Per quanto riguarda
la MRT l'obbiettivo attuale nella realizzazione di un TPS è quello di simulare diversi
assetti possibili della Beamline con i codici attualmente disponibili, attenendosi, però, ai
protocolli dosimetrici attualmente vigenti e riferiti a convenzioni internazionali. I modelli
ottenuti, poi, si confrontano fra loro al fine di valutarne un possibile accordo, che li
renderebbe più attendibili.
Un modello della ID17 all'ESRF è stato realizzato attraverso il codice GEANT4
interfacciato con lo SHADOW22. Questi due codici permettono la simulazione
rispettivamente: della dose depositata nel campione e delle caratteristiche del fascio di
raggi X prodotto dal sincrotrone. I risultati ottenuti sono stati confrontati col modello
designato usando il PENELOPE, codice meno recente, e hanno evidenziato un buon
accordo fra i due. In più però, GEANT4 e SHADOW riportano simulazioni più vicine alla
realtà per quanto riguarda le dosi diffuse al di fuori del campo di radiazione, rischiose per
gli organi sani e da tenere quindi sotto controllo.
19
Altri sistemi di controllo garantiscano la qualità ("Quality Assurance", QA) dei microfasci,
in tempo reale. Il più recente è l' X-TREAM18, introdotto al Centro Per Radiazioni di Fisica
Medica (CMRP). Questo sistema si rifà di due moduli:
(1) Unità on-line di controllo del microfascio: questo sensore è un rivelatore multicanale
con un alta risoluzione spaziale che controlla il flusso istantaneo di raggi X rilasciato
durante il trattamento. Se il profilo di un microfascio dovesse cambiare intensità in modo
anomalo, verrebbe generato un segnale di sicurezza per interrompere il trattamento.
(2) Unità dosimetrica X-Tream: Questo sensore è costituito da un rivelatore al silicio che si
può muovere con velocità costante attraverso la radiazione. Durante lo "scan", i ratei di
dose vengono registrati e analizzati da un sistema di acquisizione che misura i parametri
più importanti dei microfasci.
L'architettura del sistema consiste: in una sonda di silicio, un preamplificatore che
garantisce la linearità della risposta e mantiene un intervallo dinamico maggiore di 104 , un
sistema centrale di acquisizione che consente la verifica dei segnali generati.
Questo sistema è stato testato con buoni risultati all' ID17 riuscendo a misurare in
tempo reale la variazione del profilo laterale in un campione di PMMA.
20
Capitolo 2 MRT: lo sviluppo e le prospettive.
In questo capitolo si riportano gli eventi salienti che hanno suggerito ai primi gruppi
di ricerca un possibile impiego di più microfasci, nelle modalità della MRT, a fini
terapeutici.
2.1 I primi studi sui microfasci e l'effetto di tolleranza del tessuto.
Nel 1963 un lavoro eseguito dal gruppo di ricerca di Ordy et al. Brookheaven
National Laboratory (BNL)22 descriveva gli effetti sul cervello di topi causati da deutoni
accelerati con un energia di 22 meV. La geometria del singolo microfascio utilizzato
poteva essere sia circolare e con un diametro di 25 micron o rettangolare con un ampiezza
di 25 micron. I risultati mostrarono che per indurre una necrosi nel tessuto irraggiato dal
microfascio fosse necessario innalzare la dose di radiazione assorbita a livelli alti anche
10.000 Gy, superando di gran lunga le dosi di poche decine o al massimo centinaia di Gy
sprigionate durante una seduta di radioterapia convenzionale. In quest'ultimo caso, infatti,
il flusso di fotoni è limitato sia dal carico di calore del catodo dell'acceleratore lineare, che,
soprattutto, dall'aumento della gravità delle sequele. Se ne dedusse quindi un'alta tolleranza
del tessuto sano nei confronti della radiazione depositata da un microfascio.
Negli stessi anni furono replicati esperimenti di questo tipo, come ad esempio,
quello condotto ad opera di Straile e Chase intitolato "The use of elongate Microbeams of
X-Rays for simulating the Effects of Cosmic Rays On Tissues23". In questa occasione, gli
autori, riportarono gli effetti causati sulla cute dei topi da un fascio non frazionato largo 5
millimetri e con una dose assorbita di 60 Gy confrontandoli con quelli indotti da un
microfascio largo 150 micron che trasportasse più o meno la stessa dose. In questo secondo
caso i danni furono considerevolmente meno gravi.
Curtis e collaboratori, nei laboratori del BNL, si concentrarono invece sulla
tollerabilità del sistema nervoso centrale (SNC) aprendo le strade alle attuali prospettive
della MRT nella cura dei tumori celebrali infantili. Questo gruppo, infatti, per primo
avanzò l'ipotesi secondo cui, oltre alla struttura, anche le funzionalità neurologiche
rimanessero intatte24,25,26, perfino dopo esposizioni a radiazioni molto intense (fino a 4000
Gy sprigionati da un microfascio cilindrico largo 25 micron)4.
Ulteriori lavori condotti negli anni '90 sia al NSLS del BNL che all'ESRF
21
impiegarono più microfasci simultaneamente e dosi da 10 a 100 volte più alte di quelle
utilizzate nella radioterapia convenzionale portando all'introduzione di un nuovo concetto
noto col nome di "tolleranza del tessuto". Questo effetto può essere spiegato in tale modo:
alcune cellule del tessuto sano comprese all'interno delle valli di radiazione non ricevono
dosi sufficienti alla loro distruzione e possono quindi attraversare zone ampie al massimo
centinaia di micron per raggiungere e riparare le aree colpite dalle alti dosi di radiazione
dei picchi. In più, le zone di tessuto contigue che cooperano fra loro si estendono lungo
tutto il cammino del fascio e sono quindi abbastanza ampie da consentire un efficiente e
rapido risanamento3.
Il tessuto tumorale, però, essendo più fragile a causa di un sistema vascolare meno
differenziato e maturo, risulta più soggetto ai danni da radiazione è viene pertanto
irrimediabilmente compromesso. Complessivamente si osserva un "effetto tumoricida
preferenziale"10,27 che fa dell'MRT un'arma in grado di danneggiare le strutture del tumore
selettivamente e con alta precisione.
Dagli stessi studi emersero alcune relazioni fra i possibili esiti della terapia e i
parametri dei microfasci. Ad esempio si osservò come un alto valore della frazione di dose
picco-valle garantisse una certa efficacia: alti picchi di radiazione hanno un potere
radiotossico sufficiente a garantire la distruzione dei tessuti colpiti, mentre valli con valori
bassi di dose consentono ad un numero più alto di cellule di andare a rimediare i danni
inflitti ai tessuti sani.
2.2 MRT - i trial.
I trial che si analizzano nel seguito si dividono in due categorie: la prima è volta
all'analisi della tollerabilità dei tessuti nei confronti dei microfasci, la seconda studia
invece le potenzialità terapeutiche utilizzando cavie a cui è stato impiantato un certo tipo di
tumore. Per la seconda categoria verrà considerata la patologia finora più esaminata, il
"9LGliosarcoma (9GLS)". Il Gliosarcoma è una neoplasia che costituisce circa il 2% di
tutti i glioblastomi, che, a sua volta è il tumore più maligno e più diffuso tra quelli che
colpiscono le cellule gliali. Con la sigla "9L" si intende una particolare linea cellulare
impiantate nelle cavie, usata per simulare il glioblastoma. A seguito di vari studi si è
ipotizzato di poter adoperare la MRT nel trattamento del Gliosarcoma, in particolare nei
pazienti in età pediatrica.
22
La radioterapia a microfascio però, si potrebbe dimostrare efficace anche nella cura
di altri tumori come l'EMT6-carcinoma27 o perfino la tipologia particolarmente
radioresistente quale il carcinoma murino delle cellule squamose28.
2.2.1 MRT - da Slatkin a Laissue : lo studio della tollerabilità dei tessuti.
Dal 1993 al 1995, Slatkin et al.30, nei laboratori del National Syncrhotron Light
Source (NSLS) a brookheaven, realizzarono studi sulla tollerabilità del tessuto celebrale
dei ratti nei confronti di microfasci larghi 20, 37, 42 micron e con spaziature di 75 o 200
micron. In tale occasione si osservò una mancanza di necrosi per dosi di radiazione entranti
fino a 5000 Gy per tutti i gruppi di cavie sottoposti ad irraggiamento. Inoltre, si constatò
che all'aumentare della spaziatura fra i microfasci, fosse necessario aumentare la dose di
radiazione per osservare effetti collaterali. Anche la dimensione dei microfasci si dimostrò
in grado di influenzare i risultati: danni maggiori furono correlati a microfasci più ampi. In
ogni caso, tutti i ratti costretti ad un irraggiamento con microfasci di energia compresa in
un range che va dai 312 ai 625 Gy non presentarono alcun effetto collaterale
indipendentemente dalla configurazione adottata, confermando la possibilità di ottenere un
effetto di tolleranza impensabile per la radioterapia convenzionale. A seguito dello stesso
lavoro si avanzò anche l'ipotesi che con opportuni settaggi che stabilissero la forma e la
dimensione dei microfasci e la dose da essi trasportati fosse possibile trattare alcuni tumori
celebrali, più superficiali, in pazienti con età pediatrica.
Altri esempi di esperimenti mirati alla verifica della tollerabilità di alcuni tessuti
simili al sistema nervoso centrale dei bambini di pochi mesi, sono riportati di seguito:

Nel 2001 al NLSL Dilmanian31 irraggiò alcuni embrioni di anatra 3-4 giorni prima
della loro schiusa, sia con microfasci larghi 27 micron, spaziati da 100 micron che
con un fascio ampio non frazionato. Nel primo caso con dosi entranti di 160 Gy si
osservò una sopravvivenza a lungo termine mentre, nel secondo caso, con una dose
di 18 Gy tutte le cavie sono decedute entro 90 giorni.

Nel 2006 Serduc e co.32 , all'European syncrhotron radiation facility, irraggiarono la
corteccia parietale del cervello di topi adulti usando dosi entranti di 312 o 1000 Gy
e osservando solo lievi danni alla barriera ematoencefalica nell'ultimo caso e
nessun effetto collaterale nel primo.
Uno degli studi più recenti è quello eseguito da Laissue et al. nel 200733:
23
I soggetti irradiati sono: 100 ratti non svezzati "Sprague- Dawley" tra gli 11 e i 13 giorni di
vita, con un peso variabile fra i 20 e i 38 grammi e con tessuti cerebrali ancora immaturi;
13 maialini "Yorkshire" con 42 o 48 giorni di vita ed un peso fra i 5 e i 12 kg, con tessuti
cosniderati maturi.
L'esposizione dei maialini ai microfasci multipli larghi approssimativamente 28
micron (20-36 micron) è avvenuta lateralmente. I picchi di dose entrante comprendono
valori di 150, 300, 425 o 600 Gy ed una spaziatura di 210 micron. Per i topi non svezzati,
si sono utilizzate picchi con dosi di 50 o 150 Gy spaziati da distanza di 210 o 105 micron,
diretti nella parte posteriore dei lobi occipitali e del rombencefalo.
A seguito dell'irraggiamento, i maialini sono cresciuti tutti normalmente, sotto
l'osservazione di specialisti che ne hanno valutato comportamento e funzionalità
neurologiche fino al compimento del loro primo anno di vita. Le immagini del cervello di
ognuno, ottenute tramite risonanza magnetica, 6, 8, 20 settimane dopo l'irraggiamento, non
erano distinguibili da quelle di un cervello sano, l'unica evidenza istologica (fig. 15)
riguarda delle striature nei tessuti dovute al passaggio dei microfasci.
Figura 15. Cervello di un maialino 15 mesi dopo l'irraggiamento (dose entrante di 300 Gy): si osservano delle
striature, segno del passaggio dei microfasci, larghe circa 27 micron, con spaziature di 200 micron.32
Le necropsie sui ratti "Sprague-Dawley" non svezzati hanno evidenziato danni di
diversa entità a seconda dei microfasci impiegati: il gruppo appartenente alla
configurazione 150Gy/50 micron è risultato il più soggetto ai danni da radiazione, mentre,
quello compreso nella modalità 50Gy/210 ha mostrato meno effetti collaterali.
Da questo lavoro si sono ricavate informazioni utili per lo sviluppo di un protocollo
24
adatto al caso dei bambini rendendo meno difficile una stima della profondità all'interno
della testa alla quale è possibile indurre un'inibizione tumorale. Osservando, infatti,
l'andamento delle striature nel cervello dei maialini, si nota come esse rimangano ben
definite anche dopo una penetrazione di circa 7.2 centimetri, indice di una funzionalità
costante dei microfasci (figura 15). La configurazione più idonea è quella che prevede una
dose entrante di 150 Gy, con microfasci ampi 27 micron e spaziati da 200 micron. Per gli
infanti, la cui struttura cerebrale è simile a quella dei topi non svezzati, la situazione è più
delicata ed incerta.
Nel caso in cui il tumore fosse più profondo si potrebbe provvedere tramite un
esposizione multilaterale, ma si è ancora lontani dallo stilare un protocollo efficace in
merito. Per quanto riguarda l'immobilizzazione dei pazienti, i giudizi sono ancora sospesi,
ma i sincrotroni promettono possibili rimedi grazie alle elevati dosi sprigionate in frazioni
di secondo.
2.2.2 Trial condotti sui tessuti malati: Dilmanian e il 9LGliosarcoma.
I primi trial volti a sondare le potenzialità terapeutiche hanno inizio nel 1995 per
merito di Slatkin9 e, successivamente di Laissue, nel 199834. Nel seguito, però, si descrive
il trial condotto da Dilmanian nel 2002 su ratti affetti da 9LGliosarcoma7, i cui risultati
sono confrontati con quelli ottenuti dal lavoro di Joel et al.35 nel 1990 al BNL. In
quest'ultimo caso è stato impiegato un fascio ampio e non frazionato secondo le norme
della radioterapia convenzionale. Lo stesso ceppo tumorale di cellule 9LGS è stato usato in
entrambi i trial.
Le cavie sottoposte allo studio sono 344 esemplari maschi di ratti "Fischer" nei
quali sono stati inoculati, nella parte sinistra lobo frontale del cervello, un certo
quantitativo di cellule tumorali. I ratti impiegati nello studio sono 52 ( 35 irradiati e 17 non
irradiati costituenti il gruppo di controllo).
Dal fascio generato dal sincrotrone, sito al BNL nella beamline X17B1, si sono
ricavati microfasci singoli, larghi 25 micron e alti 3.8 mm, grazie ad un collimatore al
tantalio spesso 6 mm a singola fessura. Le cavie, sono state poi irraggiate lateralmente da
destra a sinistra durante una procedura ripetuta in più fasi. Dopo una prima esposizione,
infatti, gli animali sono stati traslati lateralmente rispetto al fascio di una lunghezza pari
alla spaziatura prescritta (50, 75, o 100 micron) usando una piattaforma mobile controllata
25
da un computer che ne limitasse gli spostamenti a passi di un micron alla volta.
L'irraggiamento è stato eseguito 15 giorni dopo l'inoculazione con 7 configurazioni diverse
(A-F) a seconda delle distanze picco-picco (50, 75, e 100 micron) e del rateo di dose media
incidente (500 o 830 Gy/s).
I parametri che caratterizzano queste configurazioni sono riportati in tabella 1
assieme alle distribuzioni di dose risultanti dalle simulazioni Monte Carlo. In figura 16,
invece, sono illustrate le curve di sopravvivenza dei topi a seconda del tipo di esposizione.
Tabella 1. Parametri dell'irraggiamento e stime qualitative dei gradi di epilazione per le particolari
configurazioni della MRT, assieme alle distribuzioni di dose ottenute dalla simulazione Monte Carlo.
+++, forte e permanente; ++, media; + lieve,
abbreviazione NA, not applicable.7
Figura 16. Curve di sopravvivenza per le 7 configurazioni MRT e per il gruppo di controllo. 7
26
Queste curve stimano la sopravvivenza dei topi a seconda dell'esposizione subita
(A-F). I gruppi che riportano valori più bassi di sopravvivenza sono quelli in cui la
spaziatura è di 50 micron, sia con una dose entrante di 250 Gy che con una di 300 Gy. Da
questi dati si comprende che una maggiore tossicità è indotta da fasci con spaziature
minore e/o dosi maggiori.
Lo studio suggerisce, in base ai risultati, di decretare due gruppi distinti : (1) "alta
dose" (A, B, C, E, F), se la dose delle valli supera il valore di soglia di 19 Gy e (2) "dose
tollerabile" (D, G), in caso contrario. Alla luce di questo si propone un ulteriore confronto
tra le curve di sopravvivenza delle categorie alta dose e dose tollerabile, ottenute mediando
i valori di sopravvivenza delle rispettive configurazioni, e quelle del gruppo di controllo e
dell' ampio fascio associato ad una dose di 22,5 Gy35 (fig. 17).
Figura 17. curve di sopravvivenza dei vari gruppi. Per la radioterapia convenzionale i dati sono disponibili
solo fino al giorno 1007
Le conclusioni di questo lavoro indicano la possibilità di controllare tumori come il
9LGS di dimensioni paragonabili e quelli impiantati nel cervello di un ratto, con la
possibilità di ottenere risultati migliori rispetto alla radioterapia convenzionale. Inoltre, gli
esami istologici operati su due ratti compresi in questo studio37, sono stati comparati con
quelli eseguiti da Joel35: possiamo riassumere come sorprendenti i risultati della MRT che
si distinguono sia per una maggiore efficacia nella regressione del tumore che per un'alta
tolleranza della rete vascolare dei tessuti sani. Nella prossima tabella si elencano trial simili
27
a quello appena descritto; modalità d'irraggiamento e cavie utilizzate sono riportate
assieme ai risultati ottenuti dallo studio.
Tabella 2. Panoramica di alcuni degli studi neurochirurgici effettuati con i microfasci 4.
28
Capitolo 3
I nanotubi di carbonio (NTC) e il loro
possibile impiego nella MRT.
3.1 Studio pilota: Mike Hadsell et al.36
Nell'aprile del 2014, M. Hadsell et al. hanno condotto uno studio con l'obiettivo di
descrivere i microfasci ottenuti da una sorgente raggi X molto compatta costituita da
"nanotubi di carbonio (NTC)".
Il concetto a cui il lavoro fa riferimento, per dimostrare le potenzialità dei nanotubi,
è quello di "sovrapposizione" o " overlap" di decine di microfasci, prodotti ciascuno da una
sorgente radiogena in cui al filamento del catodo caldo si sostituisce una struttura a
nanotubi di carbonio che emettono elettroni per emissione di campo. Per chiarirlo ci
avvaliamo di due immagini, risultato di simulazioni Monte Carlo, che mostrano il risultato
ipotetico della sovrapposizione di microfasci provenienti da direzioni diverse.
Figura 18. Illustrazione del concetto di overlap. (a) Microfasci proveniente da diversi tubi a raggi X che
si sovrappongono al centro della figura cilindrica. (b) Viene mostrato come la debole penetrazione tipica
dei raggi X prodotti da sorgenti a ortovoltaggio possa essere mitigata attraverso la sovrapposizione.
Dimostrando la possibilità di una sovrapposizione fra molti microfasci, si potrebbe
sperare di mitigare quell'abbattimento della dose riscontrato all'aumentare della profondità
raggiunta, che rende i tubi a raggi X una sorgente poco idonea all'impiego nella MRT.
Durante lo studio, come sorgente di raggi X è stato usato un nanotubo microfocalizzatore,
strutturalmente del tutto simile ai micro-CT scanner38, montato su un cavalletto rotante. Il
bersaglio (fig. 19, sinistra) è una forma di resina acrilica con un volume cilindrico avente
un diametro di 25 millimetri e una lunghezza di 127 mm, al cui interno sono poste due
29
pellicole gafchromiche intersecate tra loro. La struttura dedicata alla collimazione del
fascio conico ottenuto dal tubo è mostrato in figura 19. Questo apparato strumentale
comprende due blocchi di acciaio inossidabile incollati assieme contro due spaziatori di
vetro larghi 220 micron. Se ne ricava un collimatore spesso 25 millimetri e lungo sempre
25 millimetri con delle fessure spesse 220 micron (fig. 19, destra). Il sistema di
allineamento annesso può traslare perpendicolarmente al piano di rotazione del cavalletto
piazzandosi sopra o sotto questo stesso piano.
Allineando Il nanotubo col collimatore si trova il posizionamento tale da ottenere la
massima brillantezza del punto focale, dopo di ciò la pellicola viene irradiata da questa
posizione e dalla sua opposta, designate rispettivamente come angolo "0" e "180". La
procedura si ripete finchè non si constata l'esatto allineamento dei fasci. Un filtro di 5 mm
spesso 1.5 mm con un apertura di 5mm viene quindi affisso sul lato d'uscita del collimatore
in modo che il microfascio creato diverga per diventare alto 6.5 millimetri e ampio 300
micron nell'isocentro. Un ulteriore filtro di alluminio posto dietro il collimatore fa in modo
che l'energia media dei raggi X emergenti sia di 30 keV.
Figura 19. Il bersaglio con le pellicole intersecate poste al suo interno (a sinistra), il collimatore ed in sistema
di allineamento all'interno del quale viene integrato (a destra).
Una prima fase della procedura sperimentale prevede la designazione degli angoli
di entrata dai quali è possibile inviare microfasci verso il bersaglio. Essi sono raccolti in
quattro sezioni di 60 gradi ciascuna (fig. 20) centrate sui quattro assi principali. Ogni
30
sezioni poi, è divisa in undici ingressi spaziati di circa 6 gradi ciascuno. Da ognuna di
queste porte vengono sprigionati 10 impulsi di una certa corrente, per accumulare sulla
pellicola una dose sufficiente alla lettura. Dopo l'irraggiamento, le pellicole intersecate
sono state rimosse ed analizzate al fine di dimostrare un eventuale sovrapposizione dei
fasci.
Per la frazione di dose picco-valle sono state analizzate varie distanze picco-picco
(600, 900, 1200 micron) per determinare con quale di queste si ottengono valori simili a
quelli richiesti nella MRT. Per eseguire la verifica sono state utilizzate solo le entrate
comprese nelle sezioni centrate sui 0 e 180 gradi. Più precisamente: il primo microfascio è
stato sprigionato dall'entrata posta sull'angolo 0, dopodichè il bersaglio è stato traslato di
una spaziatura pari a 600, 900, 1200, a seconda del caso. Ottenuti cinque microfasci in
questo modo, la sorgente è stata ruotata di 180 gradi ed impiegata nello stesso modo per
ottenere altri cinque microfasci dalle porte opposte alle prime. Un immagine simulata che
illustra il processo è la figura 20, a destra.
Figura 20. Le quattro sezioni centrate altretanti assi e comprendenti ciascuna 11 ingressi da cui
sprigionare i microfasci (a sinistra). Cinque microfasci incidenti sul bersaglio cilindrico da direzioni
opposte (a destra).
E' stata verificata anche la possibilità di incrociare i fasci in un area d''interesse. Per
farlo, cinque microfasci spaziati da 900 micron sono sprigionati sia dalle direzioni di 0 che
di 180 gradi, in modo da incrociarsi con 4 microfasci, spaziati da una distanza pari alla
metà, provenienti dagli angoli 90 e 270. Di nuovo, le pellicole sono raccolte ed analizzata
per comprendere la capacità di incrociamento.
Per ottenere la verifica dell'overlap, si sono confrontate l'ampiezza misurata con
una pellicola gafcrhomica del fascio ricavato dalla sovrapposizione dei due incidenti da
direzioni opposte (290  30 micron) con quella calcolata di un singolo microfascio (300 
20 micron): questi valori sono risultati compatibili all'interno degli errori di misurazione.
31
In più, la larghezza dei microfasci generati dalle sovrapposizioni sui margini del bersaglio
non mostra effetti di bordo, segno del fatto che i microfasci non si sovrappongono solo
nell'isocentro ma lungo tutto il loro percorso. Questo risultato, valido anche quando
vengono sprigionati microfasci da tutte e 44 le angolazioni, viene mostrato in figura 21 b.
In aggiunta, misurando la dose lungo il cammino dei microfasci nella direzione verticale
nel centro del bersaglio, si trovano valori doppi rispetto alle aree circostanti (fig. 21 c).
Figura 21. (b) Profilo dei microfasci sovrapposti: l'ampiezza a mezza altezza risultante è di 300 micron,
solo il 3,4 % maggiore rispetto i microfasci sovrapposti da due sole direzioni (c) un immagine della
dose misurata verticalmente lungo il cammino del fascio: nel centro del bersaglio è circa doppia
rispetto quella depositata nelle aree circostanti.
Durante le analisi per la frazione di dose picco-valle si sono stimate, con calcoli che
tenessero conto del rumore di fondo, le ampiezze delle valli, esse sono : 190, 450, 620
rispettivamente per le configurazione di 600, 900, 1200. Tra i risultati riportati in tabella 3
ed illustrati in figura 22, risalta quello relativo alla spaziatura di 1200, pari a 9,6 e molto
prossimo al minimo richiesto per un efficace terapia. Anche l'incrociamento è stato
verificato con successo assieme ad una buona trasmissione del collimatore.
Tabella 3. Valori delle frazioni di dose picco-valle ottenuti.
32
Figura 22. Profili delle dosi di microfasci spaziati da distanze pari a 600, 900, 1200 micron. I valori
delle frazioni picco dose sono rispettivamente 5.1, 8.6 e 9.6.
Dai risultati di questo lavoro si può concludere che: (1) è possibile, utilizzando una
sorgente flessibile e compatta, creare microfasci con profili di dosi sufficientemente alti
per i requisiti richiesti dalla MRT (2) si è verificato che i microfasci sono sovrapponibili.
In oltre è stata approfonditala relazione che lega la frazione di dose picco-valle in funzione
della spaziatura ed è stata valutata la capacità d'incrociamento dei fasci all'interno del
bersaglio.
33
Conclusioni
Con questo lavoro si è inteso illustrare la tecnica della radioterapia a microfascio
descrivendo gli strumenti adoperati e alcuni dei trial finora eseguiti.
I risultati ottenuti dai test inducono a ritenere che l'impiego della tecnica MRT nel
trattamento della patologia 9LGliosarcoma nei pazienti in età pediatrica, possa ridurre la
massa della neoplasia senza causare effetti collaterali rilevanti.
L'impiego di tale tecnica, inoltre, risulta importante anche con riguardo al
trattamento di alcuni disordini mentali. Infatti, si ipotizza che i microfasci in MRT siano
capaci di raggiungere le aree focali dell'epilessia, inaccessibili per le tradizionali tecniche
chirurgiche, e di modulare l'attività corticale preservandone le strutture. Si prevedono
riscontri positivi anche nella cura ai disordini comportamentali come la depressione,
associati ad iperattività dell'area "Brodmann 25a"4.
Oltre questi aspetti, di per sé già molto importanti, si consideri che l'utilizzo della
tecnica della MRT combinata con farmaci antiangiogenetici potrebbe rafforzare l'effetto
tumoricida preferenziale27, portando ad un ulteriore progresso nella riduzione delle masse
tumorali. E' stato ipotizzato inoltre, l'utilizzo di mezzi contenenti elementi ad alto numero
atomico (ad esempio il gadolinio) che, iniettati per via endovenosa si localizzano nelle
masse tumorali e determinano un aumento del coefficiente di attenuazione del tessuto alle
energie del fascio di raggi X: tali sostanze agiscono in modo da rafforzare l'effetto
radiotossico nei confronti del tessuto tumorale; altre sostanze iniettate, invece, fornirebbero
radioprotezione ai tessuti sani.
Gli studi sulla MRT sono, in definitiva, ancora allo stato sperimentale e necessitano
di ulteriori validazioni su cavie e su pazienti. Poichè tale tecnica richiede l'uso di grandi
facilities come le sorgenti di luce sincrotrone, la MRT non potrà sostituire la radioterapia
convenzionale e sarà comunque dedicata a patologie selezionate, per le quali appare una
tecnica molto promettente e vantaggiosa rispetto alle altre tecniche radioterapiche.
Tuttavia, gli studi preliminari sull'impiego di tubi radiogeni con catodi a nanotubi di
carbonio ad elevata brillanza, danno indicazioni sul futuro utilizzo di sorgenti compatte da
utilizzare nella clinica: tali studi sono molto recenti e ragionevolmente richiederanno molti
anni di sperimentazione.
34
Ringraziamenti
Innanzitutto, ringrazio il mio Relatore, Prof. Paolo Russo per la disponibilità e la
pazienza dimostratami. Spero che questo sia solo l'inizio di un lungo e soddisfacente
percorso di maturazione.
Ringrazio anche tutti i ragazzi del laboratorio che sono stati sempre cordiali nei
miei confronti.
Grazie a tutti i compagni di università che hanno arricchito questo percorso con la
loro simpatia.
Un riconoscimento particolare lo devo a Giusy e Dario insostituibili compagni di
studio.
Grazie al gruppo " alle 9 sotto da Leo", agli amici che condividono con me la
passione del calcetto e della Bandabardò.
Se in questo momento mi trovo a scrivere questa pagina è sicuramente merito di
mia sorella, che motivandomi ha sempre rinnovato la mia determinazione.
Ringrazio mia madre, che mi ha sempre spinto a credere in me.
Ringrazio mio padre per le interminabili nuotate ed immersioni.
35
Bibliografia
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