La rivoluzione a venire

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La rivoluzione a venire
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RECENSIONE LA LEGGE DEGLI AFFARI
La rivoluzione a venire
Un’indagine di Luca Testoni sul ruolo storico e sociale
della «categoria più riverita della Repubblica» propone una nuova
prospettiva storico-salvifica per superare il declassamento
di Marco Michael Di Palma
G
li avvocati d’affari hanno oggi
«una duplice storica opportunità.
La prima è quella
di affrontare un riassetto profondo del proprio settore per
risolvere quelle inefficienze
che, nei 10-15 anni precedenti
[…] non erano state risolte. La
seconda è quella di contribuire, con questo riassetto, alla ricerca e alla affermazione di un
nuovo modello di business e di
relazioni sociali [per] ritornare
a essere riconosciuti […] come
quel punto di riferimento che
sono per il Paese». È questa la
via del riscatto con cui culmina l’analisi acuta e moderata
proposta dal recente volume
di Luca Testoni, Elena Bonanni e Felice Meoli, La legge degli
affari (La nascita, le battaglie,
il futuro dell’avvocati d’affari),
Sperling & Kupfer, Ed. 2013.
Il libro di Testoni, già direttore di TopLegal ora responsabile del sito Etica News, ispira
paragoni con un lavoro precedente, Il codice del potere
(Storie, segreti e bugie della più

tTopLegal Marzo 2014
influente élite professionale) di
Franco Stefanoni pubblicato
nel 2007. E proprio come Stefanoni, il quale giocava sul doppio senso di ‘codice’, anche qui
si fa leva nel titolo su un equivoco: il senso de facto e de jure
di ‘legge’, ovvero, l’insieme di
principi giuridici ed economici
che hanno finora guidato l’evoluzione del sistema Paese e del
mercato legale da una parte, e
le nuove norme che ne dovranno educare i comportamenti
futuri dall’altra.
Inevitabilmente, si ripercorrono nei due libri tappe storiche
simili. Entrambi concordano
che la più significativa trasformazione dell’élite coincide con
la «rivoluzione» scaturita dalle
privatizzazioni degli anni novanta quando il diritto diventava un servizio erogato da schiere
di consulenti. Ma La legge degli
affari ha una visione più ampia
e sostanzialmente diversa. La
storia aggiornata è sfociata in
una «seconda rivoluzione» che
per gli avvocati d’affari significa
trovarsi di fronte a una doppia
crisi d’immagine e di business.
La categoria sconta sia la vicinanza a una classe dirigente e
imprenditoriale screditata, sia il
ridimensionamento degli affari
grazie a mandati e parcelle ridotte, la diffusione della tecnologia, il sopravvento dei clienti e
la fungibilità del servizio legale. In particolare, La legge degli affari sviscera lucidamente
le conseguenze del fenomeno
commodity, che svaluta non
solo il servizio legale, aprendo
una crisi economica-valoriale,
ma anche la figura dell’avvocato
come unico depositario del diritto, provocando così un’ulteriore crisi sociale-valoriale.
Mentre Stefanoni rimaneva
in definitiva critico, denunciando gli avvocati del potere diventati a loro volta un potere (Il
codice si conclude con le tristi
vicende delle inchieste giudiziarie), Testoni prova a ragionare in chiave ricostruttiva. La seconda rivoluzione ha innescato
un processo di normalizzazione
che rimescola gli equilibri interni degli studi, ponendo fine
alla crescita ininterrotta. Ma la
normalizzazione, a sua volta,
potrà servire alla rifondazione
della categoria a condizione che
sia in grado di perseguire un’attività sostenibile per il bene di
tutti gli stakeholder.
Se il fulcro degli eventi raccontati da La legge degli affari
è proprio questa normalizzazione – dopo di cui nulla sarà
mai più uguale – il protagonista dell’indagine si rivela
essere il prolungamento della
«seconda rivoluzione» in una
terza ancora da venire e che
sorge come possibilità dalla
normalizzazione: la rivoluzione etica, o della governance.
La governance emerge come
«risposta» alla duplice crisi degli avvocati d’affari. In quanto
soluzione «statica», favorirebbe
una maggiore efficienza dello
«studio-azienda». Come soluzione «dinamica» per instaurare
un nuovo modello di business e
di relazioni sociali, invece, implicherebbe l’evoluzione verso
lo «studio-pensante» o lo studio-istituzione. Tra le soluzioni
dinamiche, la ricostituzione del
plusvalore del servizio legale at-
traverso un «diverso capitale»: la
deontologia; l’innovazione; e il
corporate social responsability.
Le direttive dello studio-istituzionale passano, inoltre, attraverso tre nuove figure professionali: l’avvocato «attivista», con
un ruolo nelle occasioni di vita
pubblica; l’avvocato «trasparente» che emerge dal paravento del
«riserbo» per divulgare regole di
governance e bilanci dello studio
– perché si parla della legge degli
affari ma quasi mai degli affari
della legge – e, infine, l’avvocato
«sociale» il quale si dedica a cause di valenza pubblica.
Abituato ad una storiografia
costruita sulla negazione e sul
superamento di vari stadi precedenti – le tre età dell’avvocato
(consigliore / rainmaker / consulente) come anche le tre fasi
dell’attività legale (professione
intellettuale / appalto di servizio
/ commodity) – il lettore meno
attento potrebbe rappresentarsi
la terza (auspicata) rivoluzione
come quasi destinata a compiersi per la sola forza della storia.
Ma ciò che si impara dalle trame
economiche e legali raccontate
dal libro è la sopravvivenza di
logiche vetuste che le trasformazioni non riescono a cancellare.
Il caso del rainmaker ne è un
esempio. Se è vero che vi sia stata
una maggiore «consapevolezza»
dei disastri provocati ad alcuni
studi dall’uscita dei fuoriclasse,
capaci di contrassegnare i loro
passaggi «con il proprio marchio
di fabbrica», siamo tuttavia ben
lontani dal tramonto della figura del rainmaker. Dopo Roberto
Cappelli, altri soci come Mario
Ortu, Luca Perfetti e Antonio
Segni hanno costretto al rebranding dell’insegna. E rimane so-
prattutto un modello a cui ambiscono i giovani per cui il rainmaker lascia un’eredità culturale
pensante. Inoltre, se il concetto
di «squadra legale» ha guadagnato terreno perché «assai più
consono ai nuovi scenari», tuttavia si potrebbe argomentare
che la crisi economica non abbia fatto altro che intensificare
le tendenze personalistiche per
colmare il vuoto di certezze.
Il progetto di ricostruzione e
di riscatto sarebbe troppo consolante se non fosse per la disillusione degli autori che abbracciano un ragionamento aprioristico sulla «storica opportunità» che si presenta. E in merito
al futuro degli avvocati d’affari,
non si tratta più di una «legge»
bensì di una contingenza, frutto
del concorso di circostanze che
favoriscono il riassetto senza
esserne la causa vera e necessaria né sufficiente a determinarlo. In questo passaggio risiede
tutta l’importanza della rottura
radicale e salvifica descritta.
La normalizzazione ha comportato un ridimensionamento
immediato e forzato e, come è
accaduto nel passato, i fattori
esterni hanno plasmato un’élite professionale essenzialmente
ricettiva e passiva, pronta a impadronirsi della ricchezza, del
potere e del prestigio offertole
ma troppo spesso indifferente
alle sue responsabilità e incapace di gestire i venti della modernità. Ora, per la prima volta, un
passo decisivo può essere compiuto come volontà di cambiamento. Per rilanciare la figura e
l’attività dell’avvocato d’affari,
la «risposta» è stata tracciata.
Rimane solo il dubbio su quanti
la stiano cercando. TL
TopLegal Marzo 2014
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