Le mie crisi furibonde

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Le mie crisi furibonde
5 Tracce di sé – L’autobiografia
Simone de Beauvoir
Le mie crisi furibonde
In questa pagina autobiografica la scrittrice francese Simone de
Beauvoir rievoca alcuni momenti della sua infanzia cercando, a
distanza di anni. di dare una spiegazione a certe sue «crisi furibonde» che improvvisamente la assalivano gettandola a terra
«convulsa e violacea».
1. vezzeggiata: cocco-
lata.
2. convulsa: sconvol-
ta, fortemente agitata.
3. boulevard: termi-
ne francese che significa «grande viale alberato».
4. Louise: signorina incaricata della cura e della educazione della piccola Simone.
5. non mi raggiungevano: non mi facevano
effetto, non avevano efficacia su di me.
6. Lussemburgo: grande parco di Parigi.
7. bonbon: termine
francese che significa
«caramella, zuccherino
a pasta morbida».
8. obesa: molto grassa.
9. che maneggiava la
penna: che sapeva scri-
vere con scioltezza.
10. estremismo: desiderio di comportarsi in
modo eccessivo, esasperato.
11. negligentemente:
in modo trascurato, disattento.
Protetta, vezzeggiata1, divertita dall’incessante novità delle cose, ero
una bambina molto allegra. Pure, c’era qualcosa che non andava,
poiché a volte ero assalita da crisi furibonde che mi gettavano a terra, convulsa2 e violacea. Ho tre anni e mezzo, pranziamo nella terrazza assolata d’un grande albergo (fu a Divonne-les-Bains); mi danno una prugna rossa, e comincio a pelarla. «No», dice la mamma, e
io mi getto sul pavimento, urlando. Urlo per tutto il boulevard3 Raspail perché Louise4 mi ha trascinato via dal giardinetto Boucicaut,
dove facevo le formine. In quei momenti non mi raggiungevano5 né
gli occhiacci della mamma, né la voce severa di Louise, né gli interventi straordinari di papà. Urlavo così forte e così a lungo che al
Lussemburgo6, a volte, mi presero per una bambina maltrattata.
«Povera piccola!», disse una signora porgendomi un bonbon7. La
ringraziai con un calcio. Quest’episodio fece un gran chiasso; una
zia obesa8 e baffuta, che maneggiava la penna9, lo raccontò nella
«Poupée modèle». Io condividevo la reverenza che ispirava ai miei
genitori la carta stampata: attraverso il racconto che mi lesse Louise
mi sentii un personaggio; a poco a poco, tuttavia, fui presa dall’imbarazzo. «La povera Louise spesso piangeva amaramente, rimpiangendo le sue pecorelle», aveva scritto mia zia. Louise non piangeva
mai; non aveva mai posseduto pecore; mi voleva bene: e poi come si
può fare il confronto tra una bambina e le pecore? Quel giorno sospettai che tra la letteratura e la verità il rapporto doveva essere piuttosto incerto.
Mi sono spesso domandata quale fosse la ragione e il senso di queste mie rabbie. Credo ch’esse si spieghino in parte con una profonda vitalità, e con un estremismo10 cui non ho mai rinunciato del tutto. Il fatto che una frase buttata là negligentemente11: «bisogna…
non si deve», rovinasse in un attimo le mie imprese, le mie gioie, mi
rivoltava. Ieri ho pelato una pesca: perché oggi non posso pelare la
prugna? perché interrompere i miei giochi proprio in questo momento? dovunque incontravo costrizioni.
Gli adulti, non soltanto schernivano la mia volontà, ma mi sentivo in
balia del loro capriccio. A volte mi trattavano benignamente, come
loro pari; ma avevano anche il potere di operare incantesimi; mi
cambiavano in bestia, in oggetto. «Che bei polpacci ha questa bam-
Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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5 Tracce di sé – L’autobiografia
12. goloso: interessa-
to, ingordo.
13. ringhiando: emet-
tendo suoni, brontolii
rabbiosi.
14. bebè: neonata.
bina!», disse una signora chinandosi per palparmi. Se avessi potuto
dire: «Quanto è stupida, questa signora; mi prende per un cagnolino», sarei stata salva. Ma a tre anni non avevo difesa contro quella
voce benigna, quel sorriso goloso12, altro che gettandomi a terra ringhiando13. Più tardi imparai qualche parata; ma diventai più esigente; per ferirmi bastava che mi trattassero da bebè14; confinata nelle
mie conoscenze e nelle mie possibilità mi ritenevo ciò non di meno
una vera persona. In piazza Saint-Sulpice, tenuta per mano dalla zia
Marguerite, che non sapeva gran che come parlarmi, mi domandai
d’un tratto: «Come mi vede, lei?» e provai un acuto sentimento di
superiorità, poiché io mi conoscevo nell’intimo, e lei m’ignorava; ingannata dalle apparenze, era ben lontana dall’immaginare, vedendo
il mio corpo incompiuto, che dentro di me non mancava proprio
niente; mi ripromisi che quando sarei stata grande non avrei dimenticato che a cinque anni si è una persona completa.
(da Memorie di una ragazza perbene, Einaudi, Torino, rid.)
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Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education