Immobili

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Immobili
 Mensile di aggiornamento e approfondimento
in materia di
immobili, ambiente, edilizia e urbanistica
Numero 14 – ottobre 2014
n. 14 – chiuso in redazione il 3 ottobre 2014
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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APPROFONDIMENTI
Compravendita immobiliare
COMPRAVENDITA IMMOBILIARE. PER CONCLUDERE IL CONTRATTO È NECESSARIA LA
MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ.
Nella compravendita immobiliare, la manifestazione scritta della volontà di uno dei
contraenti non può essere sostituita da una dichiarazione confessoria resa dall’altra
parte, non valendo tale dichiarazione né quale elemento integrante il contratto, né –
quand’anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto – come
prova del medesimo.
Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 19 settembre 2014
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Condominio e amministrazione
LA FORMAZIONE DEGLI AMMINISTRATORI: LE NUOVE REGOLE
Il decreto legge 23 dicembre 2013 n.145 noto come decreto destinazione Italia
convertito in legge n. 9/2013 ha demandato al ministero della Giustizia l'emanazione di
un regolamento attuativo, che è stato pubblicato il 24/9 u.s. e che contiene la concreta
regolamentazione per lungo tempo attesa dei requisiti professionali degli amministratori
di condominio.
Vincenzo Nasini, Il Sole 24 ORE – Tecnci24, 30 settembre 2014
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Immobili ed impianti
IMPIANTI «FUORI NORMA», IL ROGITO RIMANE VALIDO
Gli obblighi sulla certificazione energetica degli edifici hanno guidato, in questi ultimi
anni, a una maggior attenzione verso il tema della conformità degli impianti alle norme
di sicurezza. «Un corollario importante: acquirenti e venditori sono molto più
consapevoli e il discorso dell'impiantistica, prima più spesso sottovalutato, viene ora
tenuto in gran conto – spiega Piercarlo Mattea, del Consiglio Notarile di Milano –. A
differenza dell'Ace (l'Attestato di certificazione energetica che individua la classe di
appartenenza dell'immobile, dalla A alla G a seconda dei consumi, ndr) la cui menzione
è obbligatoria, non c'è legge che imponga di dar atto di tale conformità nel contratto di
compravendita.
Emiliano Sgambato, Dario Aquaro, Il Sole 24 ORE – Norme e tributi, 2 ottobre 2014
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L’ESPERTO RISPONDE
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Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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 Censimento immobiliare

Immobili: in 10 anni +13,1% gli edifici, +64,4% i complessi
«Sul territorio nazionale gli edifici e i complessi censiti nel 2011 ammontano a 14.515.795, il
13,1% in più rispetto al 2001. Più in dettaglio – afferma l’ISTAT in una nota – gli edifici sono
14.452.680 e i complessi 63.115, con un incremento intercensuario rispettivamente pari al
13,1% e al 64,4%.
Rispetto al censimento 2001 è diminuita, dal 5,7 al 5,2%, la quota dello stock immobiliare non
utilizzato perché cadente, in rovina o in costruzione. Nel caso degli edifici, quest’ultima scende
dal 5,6% del 2001 al 5,1% del 2011, per i complessi di edifici dal 13,8% al 13,5%. È di tipo
residenziale – spiega l’Istituto di statistica – l’84,3% degli edifici complessivamente censiti
(pari a 12.187.698), in crescita dell’8,6% nel decennio intercensuario. Tale incremento risulta
sostanzialmente in accordo con quello riscontrato per le famiglie. Gli edifici residenziali sono
costituiti per il 51,8% da abitazioni singole. Tra gli edifici non residenziali
– precisa l’ISTAT – la fetta più ampia è costituita da quelli destinati a un uso produttivo
(18,9%): seguono quelli commerciali (16,2%) e per servizi (11,7%). Più ridotta è la quota di
edifici a uso turistico/ricettivo e direzionale/terziario (4% circa in entrambi i casi). Ammontano
a 31.208.161 le abitazioni censite nel 2011; il 77,3% risulta occupato da almeno una persona
residente, il restante 22,7% è costituito da abitazioni vuote od occupate solo da persone non
residenti. Con il 50,1% di abitazioni non occupate da persone residenti, la Valle d’Aosta è in
testa alla graduatoria, seguita da Calabria (38,8%) e Molise e provincia autonoma di Trento
(37,1%). È servito da acqua potabile il 98,3% delle abitazioni. Nelle Isole si registra la
percentuale più bassa (93,8%) rispetto alla media nazionale – aggiunge l’Istituto – mentre
nell’Italia del nord le quote salgono oltre il 99%. La quota di abitazioni che ricevono acqua
potabile da acquedotto ha raggiunto il 96,8% mentre il 2,8% la riceve da un pozzo e lo 0,6%
da altra fonte. Al nord-est la percentuale più elevata di abitazioni con acqua potabile da
pozzo».
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 3 ottobre 2014)
 Mercato immobiliare
 Le compravendite ritornano in calo
Forse è ancora presto per dirlo ma le previsioni sull'andamento del mercato sembrano
confermate dai dati dell'Osservatorio immobiliare dell'agenzia delle Entrate: la Tasi ha fatto
subito regredire la timidissima ripresa delle compravendite immobiliari. Dopo la catena di tonfi
degli ultimi anni, che hanno ridotto le compravendite residenziali dalle 622.878 del 2010 alle
403.124 del 2013, con un meno 35% in soli tre anni.
I dati pubblicati ieri si riferiscono ai primi due trimestri del 2014: in particolare, nel confronto
con gli analoghi periodi del 2013, mentre il primo trimestre risulta in risalita (da 91.083 a
98.403 compravendite), il secondo trimestre, da aprile a giugno, cioè il periodo in cui si è
consolidata definitivamente la struttura della Tasi, risulta in calo: dalle 108.804 alle 107.595
compravendite residenziali. Un meno 1,2% non particolarmente significativo ma comunque
indicativo: si tratta comunque di 1.200 unità residenziali in meno.
Il trend positivo segnato dal primo trimestre, infatti, dove era stato registrato un incremento
secco (il primo dal 2010) dell'8%, si è bruscamente interrotto. E se non è corretto attribuire
interamente all'effetto Tasi questo fatto, certamente la nuova imposta non vi è estranea.
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Del resto non è solo un problema di redditività: sulle seconde case la Tasi incide di regola con
aliquote più basse, e molto spesso una quota resta a carico dell'inquilino. A venire colpito è
soprattutto il mercato dell'abitazione principale: di fatto si tratta della reintroduzione (neanche
tanto mascherata) dell'Imu, che in termini percentuali sul valore immobiliare di mercato pesa
anche più di due anni fa, perché nel frattempo i prezzi delle case si sono ancora abbassati
mentre le rendite catastali sono rimaste identiche. In particolare, chi vendesse un'abitazione
principale per acquistarne un'altra, di regola più grande, verrebbe automaticamente colpito
dall'aumento di Imu e Tasi conseguente alla maggiore rendita catastale. E ormai sono
centinaia di euro in più all'anno.
(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – 26 settembre 2014)
Immobili
 Decreto
«Sblocca Italia». Immobili destinati alla locazione - Contratto di
godimento e futura alienazione di immobili
Il decreto-legge, in vigore dal 13.9.2014, contiene una serie di disposizioni finalizzate
all’apertura dei cantieri, alla realizzazione delle opere pubbliche, alla digitalizzazione del Paese,
alla semplificazione burocratica, all’emergenza del dissesto idrogeologico e alla ripresa delle
attività produttive (cd. decreto «sblocca Italia»).
Le norme di maggior rilevanza fiscale, riguardanti in particolare gli immobili, sono illustrate di
seguito.
Accordo di riduzione del canone di locazione – Esenzione da registro e bollo (art. 19): è
esente da imposte di registro e bollo la registrazione dell’atto con cui le parti dispongono la
sola riduzione del canone di locazione relativamente ad un contratto ancora in essere.
Immobili destinati alla locazione – Deduzione ai fini dell’acquisto o della costruzione (art.
21): per l’acquisto effettuato dall’1.1.2014 al 31.12.2017 di immobili ad uso abitativo (di
nuova costruzione od oggetto di ristrutturazione) ceduti da imprese di costruzione o
ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie o da quelle che hanno effettuato gli
interventi di ristrutturazione è riconosciuta (nel rispetto di determinate condizioni)
all’acquirente (persona fisica non esercente attività commerciale) una deduzione dal reddito
complessivo nella misura del 20% del prezzo di acquisto dell’immobile risultante dall’atto di
compravendita nel limite massimo di spesa pari a e 300.000. La stessa deduzione spetta anche
per le spese sostenute dall’acquirente per prestazioni di servizi, dipendenti da contratti di
appalto, per la costruzione di immobili ad uso abitativo su aree edificabili già possedute dallo
stesso acquirente prima dell’inizio dei lavori e su cui sono già riconosciuti diritti edificatori. Le
spese di costruzione, su cui si calcola la deduzione del 20%, devono essere attestate
dall’impresa che ha eseguito i lavori. La deduzione va ripartita in 8 quote annuali di pari
importo, a decorrere dal periodo d’imposta in cui avviene la stipula del contratto di locazione, e
non è cumulabile con altre agevolazioni fiscali.
Contratto di godimento e futura alienazione di immobili (art.23): i contratti (non di
leasing) che prevedono l’immediata concessione in godimento di un immobile con diritto per il
conduttore di acquistarlo entro un determinato termine, imputando al corrispettivo del
trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, vanno trascritti ai sensi dell’art. 2645bis c.c. Inoltre, il termine triennale di cui al co. 3 del citato articolo viene esteso a tutta la
durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a 10 anni.
Si ha la risoluzione del contratto in caso di mancato pagamento (anche non consecutivo) di un
numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro
numero complessivo.
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Riqualificazione degli esercizi alberghieri – «Condhotel» (art.31): al fine di riqualificare
gli esercizi alberghieri esistenti, con apposito D.M. saranno definite le condizioni di esercizio dei
cd.«condhotel», ossia degli esercizi alberghieri aperti al pubblico a gestione unitaria, composti
da una o più unità immobiliari site nello stesso Comune o da parti di esse, che forniscono
alloggio, servizi accessori ed eventuale vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma
integrata e complementare, in unità abitative, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui
superficie non può superare il 40% di quella complessiva dei compendi immobiliari.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 25 settembre 2014)
 Il «rent to buy» non è affitto
La formula del «rent to buy» si configura come una fattispecie contrattuale nuova. È infatti
facile osserverare come nel Dl 133/2014 (cosiddetto «Sblocca Italia») il legislatore abbia
prestato particolare attenzione a conferire al contratto di rent to buy (Rtb) un assetto assai
autonomo rispetto al contratto di locazione «ordinario». In altri termini, dal Dl 133/2014
emerge un contratto che non è qualificabile come uno «speciale» contratto di locazione,
caratterizzato dalla sussistenza di una speciale clausola in base alla quale il conduttore ha il
diritto di acquistare la proprietà del bene imputando a prezzo, in tutto o in parte i canoni
pagati; ma uno schema contrattuale a sé stante rispetto alla «normale» locazione, e quindi
caratterizzato da norme assai specifiche (e non da quelle che il Codice civile e la legislazione
speciale rivolgono al «normale» contratto di locazione).
Per il fatto che è un contratto che si distacca dal «normale» contratto di locazione, si tratta
anzitutto di definire il perimetro entro il quale l'Rtb si configura: al riguardo, può osservarsi
che, nello schema del Rtb di cui al Dl 133/2014 rientrano tutti quei contratti dai quali sorga,
per il conduttore, un diritto di godimento dell'immobile unitamente a un suo diritto d'acquisto
del bene oggetto del contratto; e quindi può trattarsi, ad esempio, di un contratto in base al
quale il conduttore beneficia di un'opzione di acquisto (e, pertanto, un diritto che il conduttore
può esercitare o meno) oppure di un contratto che prevede un automatismo d'acquisto (e cioè
viene pattuito che, con il pagamento dell'ultima rata il conduttore diviene ipso iure proprietario
del bene, senza dover o poter esercitare alcuna opzione in tal senso).
L'osservazione che l'Rtb non sia una locazione «qualificata» (ma un contratto diverso dalla
locazione) è assai importante perché all'Rtb non dovrebbero rendersi applicabili, in particolare,
le norme vincolistiche dettate dalla legge 392/1978 in tema di locazione di immobili urbani e
dalla legge 431/1998 in tema di locazione di immobili ad uso abitativo. Ne consegue, ad
esempio, che il contratto di rent to buy è completamente svincolato dalla disciplina della durata
minima dei contratti, del loro automatico rinnovo, della disdetta per impedirne il rinnovo,
eccetera.
Anche i rapporti tra concedente e conduttore non trovano fonte nella legislazione, ordinaria e
speciale, in tema di locazione, ma direttamente dall'articolo 23 del Dl 133/2014 (e cioè la
norma che ha introdotto il rent to buy), il quale li disciplina facendo richiamo alle norme
dell'usufrutto (è evidente che il legislatore stesso, andando a «pescare» la disciplina dell'Rtb
nell'usufrutto e non nel contratto di locazione, vuole espressamente scavare un ampio fossato
tra quest'ultimo e l'Rtb). In particolare, viene dunque disposto che:
a) il conduttore, prima di prendere possesso del bene oggetto dell'Rtb, debba fare l'inventario
e dare una cauzione al concedente (a meno che da questi obblighi il concedente non lo
dispensi);
b) le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione
ordinaria del bene concesso in godimento sono a carico del conduttore;
c) sono pure a carico del conduttore le riparazioni straordinarie rese necessarie
dall'inadempimento dei suoi obblighi di ordinaria manutenzione;
d) le riparazioni straordinarie (e cioè quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri
maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte
notevole, dei tetti, solai, scale, muri di sostegno o di cinta) sono a carico del proprietario;
peraltro, il conduttore deve corrispondere al proprietario l'interesse delle somme spese per le
riparazioni straordinarie;
e) se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l'esecuzione
senza giusto motivo, è in facoltà del conduttore di farle eseguire a proprie spese, che gli
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devono poi essere rimborsate (a garanzia del rimborso il conduttore ha diritto di ritenere
l'immobile riparato).
Resta poi il tema se, non trattandosi di una locazione in senso proprio, il concedente debba o
meno ricorrere al procedimento di sfratto (ai sensi dell'articolo 658 Cpc) in caso di
inadempimento del conduttore; oppure se egli debba procedere con un'azione esecutiva di
rilascio, ai sensi dell'articolo 2930 del Codice civile. Al riguardo, l'articolo 23, comma 5, del Dl
133/2014, dispone che il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile e che, se non è
stato diversamente convenuto nel contratto, egli acquisisce interamente i canoni a titolo di
indennità per la concessione del bene in godimento.
Tra l'altro il rent to buy, al fine della sua trascrizione nei Registri immobiliari, deve
necessariamente essere stipulato per atto notarile; e che, se l'obbligo di rilascio sia contenuto
in un atto pubblico, tale atto potrebbe valere come titolo esecutivo (articolo 474, ultimo
comma, del Codice di procedura civile) e quindi consentire di passare direttamente
all'esecuzione in forma specifica, senza dover transitare attraverso un processo di cognizione
per formare appunto il titolo esecutivo.
Il quadro
CHE COSA È IL RENT TO BUY?
Con il contratto di rent to buy, un immobile viene concesso in godimento a un soggetto al
quale è anche attribuito il diritto di acquistarne la proprietà imputando a prezzo, in tutto o in
parte, i canoni versati
CHE DIFFERENZA C'È CON UNA LOCAZIONE?
Il contratto di locazione attribuisce il godimento del bene locato, ma non ne dà il diritto di
acquisto
SI APPLICANO AL RTB LE REGOLE DELLA LOCAZIONE?
Il rapporto tra concedente e conduttore è regolato dalle norme sull'usufrutto; all'Rtb non si
applica la disciplina vincolistica prevista dalle leggi 392/1978 e 431/1998
TRA CHI PUÒ ESSERE STIPULATO?
Il Rtb può essere stipulato, sia come parte concedente che come parte conduttrice, da un
soggetto "privato", da un professionista, da un imprenditore individuale, da una società o da
un qualunque altro ente diverso dalle società
L'RTB CONCERNE SOLO IMMOBILI ABITATIVI?
La legge parla genericamente di "immobili" e quindi il contratto si presta ad avere come
oggetto sia edifici (indifferentemente abitativi o strumentali) sia appezzamenti di terreno
È UN CONTRATTO A FORMA VINCOLATA?
Si tratta di contratti a forma libera ma, se stipulati per atto pubblico o scrittura privata
autenticata, ne è possibile la trascrizione nei Registri immobiliari, ciò da cui deriva un effetto
protettivo delle ragioni del conduttore
(Angelo Busani, Emanuele Lucchini Guastalla, Il Sole 24 ORE, 24 settembre 2014)
 Rent to buy a doppio binario
Nel mercato immobiliare si sono diffuse forme contrattuali che, pur assumendo configurazioni
diverse, sono comunemente indicate con il termine di rent to buy. Si tratta di negozi che
richiamano la figura della locazione-vendita, caratterizzati dal fatto di trasferire al locatarioacquirente, già al momento della stipula, il pieno godimento dell'immobile a fronte del
pagamento di canoni periodici di locazione, e di posticipare il passaggio della proprietà al
successivo momento del pagamento del saldo del prezzo pattuito, il quale terrà conto - in tutto
od in parte - di quanto già corrisposto per la locazione.
L'accordo può prevedere un patto vincolante per entrambe le parti di trasferire la proprietà del
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bene alla data stabilita, oppure solo una facoltà - normalmente del locatario - di trasferire il
bene nel termine prestabilito. La Commissione norme di comportamento e di comune
interpretazione in materia tributaria dell'Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti
contabili ha chiarito la questione con una massima. Poiché nella prassi con maggior frequenza
si ricorre al contratto con facoltà, il legislatore, nel Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133, "
Sblocca Italia", all'articolo 23 ha introdotto alcune disposizioni, esclusivamente di carattere
civilistico, volte a tutelare il locatario acquirente. Sotto l'aspetto tributario la particolarità di
questo contratto e il fatto che parti contraenti possono essere soggetti aventi regimi fiscali
diversi, pone molti interrogativi riguardo al corretto trattamento dell'operazione. La norma di
comportamento suggerisce un approccio basato su una prima essenziale dicotomia.
Quando il contratto di rent to buy contiene una clausola di trasferimento della proprietà
vincolante per entrambe le parti, tanto da non necessitare più alcun atto di consenso ulteriore
per il suo perfezionamento, ai fini fiscali, sia per le imposte sul reddito che per le imposte
indirette, l'effetto del trasferimento della proprietà viene anticipato già alla stipula del contratto
stesso; l'operazione sarà quindi assoggettata alla fiscalità della cessione assumendo come
imponibile l'intero corrispettivo della cessione, e se il cedente è una impresa il ricavo tratto
dalla cessione concorrerà per intero a formare il risultato imponibile dell'esercizio stesso, ed il
bene sarà espunto dal bilancio d'esercizio entrando nella sfera contabile del locatarioacquirente il quale, se agisce in regime d'impresa, avrà titolo per conteggiare e dedurre gli
ammortamenti.
Quando invece il contratto di rent to buy contiene un patto di futura vendita non vincolante per
entrambe le parti, gli effetti civilistici e fiscali sono ricomposti, nel senso che il trasferimento
della proprietà, sotto ogni profilo, avrà effetto alla data in cui l'opzione di acquisto (o di
vendita) verrà esercitata dal soggetto titolato. In questo caso, la gestione degli adempimenti
fiscali presenta degli aspetti differenti a seconda che la clausola contrattuale preveda che dal
pagamento del corrispettivo stabilito per la vendita del bene siano sottratti i canoni di locazione
nel frattempo corrisposti dal locatario-acquirente, oppure che il corrispettivo stabilito per la
vendita venga diminuito nel suo ammontare dai canoni di locazione già corrisposti. Nel primo
caso, infatti, si pone un tema di riqualificazione dei canoni di locazione in acconti a valere sul
corrispettivo di vendita, il quale comporta interventi volti a rendere nel suo complesso
omogenea la tassazione indiretta della vendita.
Qualora l'accordo di rent to buy fosse regolato da più contratti fra le medesime parti, il corretto
trattamento civilistico e fiscale richiederebbe di valutare l'esistenza di un collegamento
funzionale fra i contratti, la reale volontà delle parti e quindi l'apprezzamento delle risultanze di
fatto. Infine, si può ritenere che questi concetti possano essere estesi, pur con i dovuti
adattamenti, anche a contratti simili che abbiano per oggetto altri beni diversi dagli immobili.
MASSIMA
- Il contratto denominato "rent to buy" produce, ai fini dell'Iva, dell'Imposta di Registro e delle
Imposte Dirette, gli effetti della cessione del bene dal momento della stipula del relativo
contratto, ove sia contestualmente convenuto il trasferimento a favore del locatario/acquirente
del pieno possesso e godimento del bene e l'automatico trasferimento, vincolante per ambedue
le parti del diritto di proprietà al momento del pagamento integrale del prezzo
- Ove la clausola di trasferimento della proprietà al momento dell'integrale pagamento del
prezzo non sia vincolante per entrambe le parti ma solo per una di esse, gli effetti fiscali del
trasferimento del bene si manifestano successivamente alla stipula del contratto "rent to buy",
cioè al momento della formale cessione del bene
(Giulio Boselli, Fabio Landuzzi, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 2 ottobre 2014)

Con l'obbligo d'acquisto il canone è esente da Iva
Ogni ragionamento sulla tassazione del contratto di rent to buy deve necessariamente
prendere atto che, agli effetti dell'Iva (articolo 2, comma 2 del Dpr
633/1972), si devono considerare come "cessioni" le «locazioni con clausola di trasferimento
vincolante per entrambe le parti».
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Pertanto, in tal caso, l'Iva si applica sull'intero prezzo pattuito per la futura vendita, mentre il
pagamento dei canoni, considerati componenti del prezzo della cessione, è escluso
dall'imposta.
Il caso affitto+compromesso
Alla medesima conclusione dovrebbe pervenirsi (in tal senso pare la circolare dell'agenzia delle
Entrate n. 28/E del 21 giugno 2011), oltre che per i contratti nei quali il trasferimento si
produce automaticamente senza necessità di ripetizione del consenso, anche nei casi (ad
esempio, la combinazione di una locazione con un contratto preliminare di compravendita) in
cui è prevista la successiva conclusione di un contratto di trasferimento.
Quest'ultimo, pertanto, dovrebbe essere registrato con applicazione dell'imposta di registro in
misura fissa perché relativo ad un'operazione soggetta a Iva.
L'ipotesi locazione+opzione
Diverso potrebbe essere, invece, il discorso se l'operazione di rent to buy venisse configurata
come locazione combinata con un'opzione, in base alla quale l'inquilino, a una determinata
scadenza e per un dato prezzo, abbia facoltà di acquistare la proprietà.
In questo caso, infatti, dovrebbe ritenersi applicabile dapprima la disciplina Iva relativa al
contratto di locazione e, successivamente, quella relativa al contratto di trasferimento, ma con
le seguenti peculiarità a seconda di quale sia lo schema operativo concretamente adottato.
Le tre «vie»
Infatti, a questo riguardo, si profilano tre diverse vie:
a) se il prezzo di vendita fosse convenuto in un dato ammontare, senza imputare a prezzo i
canoni versati (e quindi - per intendersi - come se fosse un corrispettivo dovuto per l'esercizio
dell'opzione), l'Iva dovrebbe dapprima ordinariamente applicarsi sui canoni di locazione e poi
su questo "prezzo" pattuito quale corrispettivo per l'esercizio dell'opzione;
b) se il prezzo di vendita fosse, invece, concepito come pagato periodicamente mediante la
corresponsione dei canoni di locazione (e quindi imputando i canoni a prezzo, quali acconti del
prezzo d'acquisto complessivamente dovuto dal conduttore/compratore), ogni "canone"
dovrebbe essere trattato ai fini Iva come un acconto (se poi non tutto il canone vada
computato come prezzo, ma in parte sia da considerare come corrispettivo del godimento del
bene, allora questa parte dovrà essere tassata come se fosse il canone di una locazione);
c) qualora, invece, l'intero importo da corrispondere periodicamente fosse inizialmente
qualificato solo come canone di locazione e, al momento della stipula della cessione, fosse
imputato in tutto o in parte a prezzo, si avrebbe un'evidente duplicazione dell'imposizione
rispetto alle somme prima qualificate e tassate come canoni di locazione e successivamente
considerate nell'importo del prezzo della cessione.
Variazione di fatturazione
Inevitabile, in quest'ultimo caso, ricorrere alla variazione della fatturazione di cui all'articolo 26
del Dpr 63/1972, per sottrarre dalla imposizione come canoni di locazione quella parte del
corrispettivo che viene imputata a prezzo; e alla restituzione dal venditore/concedente
all'inquilino dell'Iva addebitata a quest'ultimo per rivalsa sui canoni di locazione.
(Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 2 ottobre 2014)
 Interessi passivi deducibili per tutte le immobiliari
Per la Commissione tributaria provinciale di Brescia (decisione 637/15/14) gli interessi passivi
relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione sono deducibili
non solo per le immobiliari di gestione ma anche per tutte le altre società operanti nel settore
immobiliare. La sentenza tocca un tema molto sentito dalle imprese: l'esatta applicazione
dell'articolo 96 Tuir (e delle norme che a esso fanno riferimento) sulle limitazioni alla
deducibilità degli interessi passivi non capitalizzati nell'attivo dello stato patrimoniale. Dal
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periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, i soggetti Ires (a
esclusione delle banche e degli altri soggetti citati nel comma 5) possono dedurre gli oneri
finanziari e assimilati (se inerenti e non colpiti da altre disposizioni limitative quale, ad
esempio, l'articolo 90) senza problemi fino a decorrenza degli interessi attivi e assimilati,
mentre per l'eccedenza la deduzione avviene solo entro il 30% del cosiddetto " Rol
caratteristico" (differenza tra le voci A e B del conto economico, con esclusione degli
ammortamenti e dei canoni leasing). La quota non dedotta viene riportata a nuovo e può
essere recuperata nei periodi successivi rispettando la "capienza" massima della soglia
annuale.
Tra le (poche) tipologie di oneri che sfuggono a questa disciplina, troviamo (ai sensi
dell'articolo 1, comma 36 della Finanziaria 2008) «gli interessi passivi relativi a finanziamenti
garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione», che quindi si deducono senza
misurare il Rol. Letteralmente, la disposizione non fa distinzioni né soggettive né oggettive
(tipologia di immobili), ma solo riconoscendo la deducibilità alla presenza di due requisiti: la
garanzia ipotecaria e la destinazione (non solo attuale ma anche futura) dell'immobile alla
locazione.
Tuttavia, l'agenzia delle Entrate (circolari 19/E/2009 e 37/E/2009) ha ristretto la cerchia dei
soggetti interessati a questa norma di favore, ritenendola applicabile alle sole "immobiliari di
gestione", vale a dire (richiamando la disciplina « Pex» di cui all'articolo 87 Tuir e in particolare
la risoluzione 323/E/2007) le società in cui il valore del patrimonio (assunto a valori correnti) è
prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui
scambio è effettivamente diretta l'attività ("immobili merce"), nonché da quelli direttamente
utilizzati nell'esercizio dell'impresa. Per cui, le società immobiliari i cui soci non possono fruire
della « Pex» per il difetto del requisito di commercialità sarebbero le sole destinatarie
dell'esclusione dal "test del Rol" degli interessi passivi riferiti a finanziamenti garantiti da
ipoteca (o leasing) per immobili destinati alla locazione, siano essi strumentali per natura o
"immobili patrimonio".
Nel caso trattato dai giudici bresciani si tratta di una società che fa "gestione attiva" degli
immobili concessi in locazione affiancando una serie di servizi (pulizie, vigilanza, pubblicità,
eccetera) tale da poter riconoscere la sussistenza del requisito di commercialità ai fini « Pex»
(circolare 7/E/2013).
(Giorgio Gavelli, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 25 settembre 2014)
 Caduta
sul lastrico solare reso accessibile dall'inquilino senza il consenso del
proprietario
La colf cade sul terrazzo accessibile solo dalla porta-finestra ricavata dall’inquilino ma il
proprietario dell’appartamento aveva vietato la modifica dello stato dei luoghi.
Il caso. Il proprietario concede in locazione un appartamento con un lastrico solare, sempre di
proprietà del locatore, ma non accessibile direttamente dall’appartamento, in quanto non
originariamente incluso nell’appartamento locato. La conduttrice, decide di apporre sul
medesimo lastrico solare, delle piante creando un apposito accesso mediante la realizzazione
di una porta-finestra. La domestica, su richiesta del conduttore, nel recarsi sul lastrico per
innaffiare le piante collocate, scivola su una lastra di vetro opaco che ricopriva il lucernario,
riportando gravi lesioni. L’infortunata cita in giudizio il proprietario dell’immobile ed il
conduttore. Il Tribunale condanna il conduttore ritenendola responsabile dei danni ex. art.
20151 cod.civ. (per aver consegnato le chiavi del terrazzo ed aver esposto l’infortunata ad un
grave pericolo). In secondo grado la Corte di Appello ha ritenuto corresponsabile dell’incidente
in solido sia la parte conduttrice che il proprietario dell’immobile, ravvisando un concorso di
colpa.
I principi esposti dalla Cassazione. Dalla motivazione della sentenza n°19657 pubblicata il
18 settembre 2014, si possono evincere i seguenti principi:
• Il contratto d’affitto non esonera affatto il locatore dal dovere di vigilanza;
•
il proprietario non si spoglia dei poteri-doveri di custodia sul lastrico e in particolare sugli
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elementi strutturali del manufatto;
•
Il proprietario di casa deve impedire l’utilizzazione delle parti pericolose (zona del
lucernario che ceduto sotto il peso della domestica);
•
l’incidente accorso alla domestica costituisce un rischio estraneo all’obbligo di custodia del
proprietario perché tale obbligo grava sull’affittuario in quanto ha modificato i locali esercitando
in modo abusivo il potere di detenzione del bene (il lastrico solare svolge la funzione principale
di copertura dell’edificio e non di transito delle persone);
•
il titolare del bene non ha la possibilità materiale e giuridica di prevenire ed evitare il
rischio di danni;
•
il proprietario dell’appartamento aveva vietato al conduttore di modificare lo stato dei
luoghi ed aveva escluso il lastrico solare dall’oggetto della locazione, precludendo anche
l’accesso al medesimo dall’appartamento.
Conclusione. Dai principi esposti secondo la Cassazione l’evento dannoso costituisce un
rischio estraneo al comportamento del proprietario, in quanto il rischio è ascrivibile
esclusivamente al conduttore che ha utilizzato il manufatto in maniera anomala (apertura
abusiva di un passaggio per l’accesso ed il transito di persone sul lastrico).
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 19 settembre 2014)
 Divieti
di destinazione delle unità immobiliari: non vincolante la clausola del
regolamento non "chiara"
In tema di condominio negli edifici, nel caso in cui divieti e limiti di destinazione delle cose di
proprietà individuale siano formulati nel regolamento condominiale d'origine contrattuale
mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare, allora tali limiti e divieti, al fine di
evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà
normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, devono risultare da
espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a
incertezze.
I divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale
possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate, sia
con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. In quest’ultimo caso, tuttavia, tali limiti e
divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla
compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini,
devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non
suscettibile di dar luogo ad incertezze. Il principio, già enunciato in precedenti arresti dal
giudice di legittimità, è stato ora espressamente ribadito in una recente ordinanza (Cfr., Cass.
civ. Sez. VI, Ord. 11 settembre 2014, n. 19229, Pres. Bianchini, Rel. Manna).
Nel caso di specie, un condomino, proprietario di un locale posto al piano interrato di un
fabbricato condominiale, aveva agito in giudizio nei confronti di altro condomino, al fine di far
accertare che l’appartamento di proprietà di quest’ultimo era stato destinato a studio dentistico
in violazione del regolamento condominiale che vietava destinazioni diverse da quella abitativa.
In entrambi i gradi di giudizio la domanda veniva rigettata. In particolare, la corte territoriale,
la cui pronuncia è stata ora confermata dalla Cassazione, aveva osservato che i regolamenti
condominiali di origine convenzionale potevano stabilire limitazioni alla destinazione delle unità
immobiliari di proprietà singola, sia mediante l’elencazione delle attività vietate, sia attraverso
il riferimento al tipo di pregiudizio da evitare, nel qual caso era comunque necessario accertare
l’idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre tali inconvenienti. Nello
specifico, concludeva il giudice del merito, la previsione di cui al regolamento condominiale in
questione era troppo ampia per giustificare il divieto dell’uso in oggetto.
Il requisito della chiarezza, specifica opportunamente la Suprema Corte, deve essere riferito
non alla clausola del regolamento in sé ed al divieto che contiene – il che costituirebbe una
considerazione affatto ovvia – ma proprio alle attività ed ai correlati pregiudizi che la
previsione regolamentare intende impedire. Infatti, conclude la Cassazione, una clausola chiara
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nell’imporre un divieto di ampia latitudine, ma non altrettanto nel connettersi alle ragioni che
lo giustificano, non soddisfa i requisiti di validità imposti dalla giurisprudenza, poiché non
consente di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario
corrisponda ad un interesse meritevole di tutela.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 18 settembre 2014)
 Immobili e agevolazioni
 Trasferimento della residenza nel nuovo Comune entro 18 mesi
In tema di agevolazioni «prima casa» e in particolare, con riferimento al requisito del
trasferimento entro 18 mesi dall’acquisto della residenza nel Comune in cui è ubicato
l’immobile acquistato fruendo delle agevolazioni stesse (art. 1, co. 1, Nota II-bis), Tariffa,
Parte Prima, D.P.R. 26.4.1986, n. 131), tale adempimento rappresenta un obbligo del
contribuente verso il Fisco.
Tuttavia, secondo la Cassazione n. 18770/2014, non si può non tenere conto di eventuali
ostacoli nell’adempimento di tale obbligazione, che possono essere non imputabili all’obbligato,
oltre che inevitabili ed imprevedibili. In tali casi, poiché il compimento dell’attività
amministrativa relativa al trasferimento esula dal potere di controllo del contribuente, non si
può che considerare - per stabilire la tempestività dell’adempimento dell’obbligo in questione l’unica attività che questi può, e deve, compiere nel termine di 18 mesi, ossia la formale
dichiarazione di trasferimento, presentata presso il Comune della nuova residenza.
Alla luce di tale considerazione, per quanto concerne il caso concreto, l’acquirente
dell’immobile aveva presentato tale dichiarazione ampiamente entro il termine di 18 mesi, di
modo che deve ritenersi che la condizione posta dalla legge sia stata rispettata, essendo da
considerarsi causa di forza maggiore la mancata concessione della residenza dovuta al fatto
che il costruttore–venditore non aveva rilasciato il certificato di abitabilità.
D’altro canto, la circostanza che il contribuente, pur avendolo richiesto tempestivamente, non
abbia ottenuto il trasferimento della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile
acquistato, per fatto del Comune e/o di terzi, non può tradursi nella perdita del beneficio
fiscale «prima casa», per il principio di unicità del procedimento amministrativo inteso al
mutamento dell’iscrizione anagrafica.
Tale principio, infatti, nell’esigere una saldatura temporale tra la cancellazione dall’Anagrafe del
Comune di precedente iscrizione ed l’inserimento in quella del Comune di nuova residenza,
comporta che la decorrenza del trasferimento di residenza vada stabilita con riferimento alla
dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel Comune di nuova residenza, dandosi la
prevalenza al dato fattuale su quello anagrafico, che rimane decisivo solo quando si tratta di
stabilire ad altri fini l’effettiva residenza del soggetto.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 29 settembre 2014)
 Condominio
 Per la costituzione di un supercondominio bastano impianti e servizi comuni
Per la costituzione di un supercondominio non è necessaria né la manifestazione di volontà
dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun
condominio, venendo il medesimo in essere automaticamente, ipso iure et facto, se una
pluralità di edifici sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro
dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni in rapporto di accessorietà con i
fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione.
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Anche l’esistenza dei soli servizi comuni a due edifici, pertanto, è sufficiente a configurare il
supercondominio fra i due distinti fabbricati, che pure non condividono alcun altro bene
materiale.
È questo quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 10799 del 19 settembre
2014, con la quale ha confermato l’annullamento della delibera condominiale che ripartiva i
costi di portierato e pulizia afferenti a entrambi i fabbricati senza la deliberazione
dell’assemblea del supercondominio.
Il caso. Un condomino impugnava la delibera con il quale era stato approvato il conto
consuntivo. L'amministratore, infatti, aveva presentato un proprio rendiconto inserendo, tra le
voci di spesa, anche quelle relative ai servizi di portierato e di pulizie, comuni con un altro
distinto condominio. Il ricorrente, dunque, lamentava la mancanza dei titoli giustificati e
l’inserimento, nel rendiconto, di spese di pertinenza del supercondominio, che avrebbero
dovuto essere oggetto di deliberazione delle assemblee dei supercondomini, mai convocate.
Dopo il giudizio di primo grado, la Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione, qualificando le
spese contestate come “spese supercondominiali”. Tali spese erano state illegittimamente
deliberate dall’assemblea di un solo condominio e, quindi, non correttamente ripartite tra tutti i
partecipanti del supercondominio. Contro la decisione veniva proposto ricorso in cassazione.
La Cassazione ha affrontato il tema del supercondominio sotto diversi aspetti, con particolare
riferimento alla sua costituzione, all’assemblea dei supercondomini, nonché al rendiconto delle
spese e all’obbligo di esibizione dei documenti contabili. Nel rinviare alla lettura della sentenza,
è utile richiamare rapidamente alcuni dei passaggi più interessanti della stessa.
Il supercondominio dopo la legge di riforma. Con la L. 220/2012 l'istituto del
supercondominio, già da tempo riconosciuto in giurisprudenza, è stato recepito dal anche
legislatore. Il nuovo art. 1117-bis c.c., infatti, allarga l’ambito di applicazione delle norme
condominiali “in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di
unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117”. In pratica,
andando oltre il concetto classico dell’ “edificio diviso in piano o porzioni di piano” (condominio
verticale), la disciplina condominiale trova applicazione tutte le volte in cui un complesso
immobiliare sia realizzato in modo tale che, accanto alle unità abitative o edifici costituiti in
singoli condomini, siano presenti delle parti comuni poste a servizio delle unità principali
(condominio orizzontale).
Quando si può parlare di supercondominio? La sentenza in commento ribadisce che l'esistenza
di servizi comuni costituisce, da sola, elemento sufficiente per la costituzione del
supercondominio. Del resto – osserva la suprema Corte – il supercondominio è stato elaborato
in giurisprudenza proprio per risolvere i problemi connessi alla gestione dei servizi comuni tra
più edifici strutturalmente autonomi, ma caratterizzati da una serie di elementi comuni posti a
servizio dei vari fabbricati. Tali servizi possono essere comuni per destinazione (si pensi alla
portineria) o per contratto (un impianto sportivo). Nel caso di specie i servizi di portierato, di
pulizia e illuminazione degli spazi comuni rappresentano elementi sufficienti affinché si possa
parlare di supercondominio, anche in assenza di altre parti comuni.
Il supercondominio non richiede un atto di costituzione formale. Come il condominio, anche il
supercondominio sorge ipso iure et facto quando vi siano dei servizi in comune e/o in rapporto
di accessorietà tra più edifici, salvo che il titolo o il regolamento non dispongano altrimenti.
Non serve, dunque, alcuna particolare manifestazione di volontà da parte del costruttore e/o
dei singoli condomini. Ne consegue che l’eventuale delibera di costituzione del
condominio/supercondominio ha valore solo dichiarativo, di riconoscimento di una situazione
già esistente. Allo stesso modo, l'inserimento, all'interno del rendiconto, di una voce
rappresentante “spese di gestione dei beni comuni tra più edifici” (o simili) produce l'effetto di
un riconoscimento implicito dell'esistenza del supercondominio.
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Diritto di accesso ai documenti contabili. A tale diritto corrisponde l’obbligo dell'amministratore
di esibire la relativa documentazione. Occorre, però, distinguere tra rendiconto preventivo e
consuntivo. Nel secondo caso, ogni condomino ha diritto di visionare la documentazione
contabile ed estrarre copia, anche senza fornire alcuna motivazione, purché ciò non ostacoli
l'attività
dell'amministratore.
Il
rendiconto
preventivo,
invece,
viene
redatto
dall’amministratore in base a previsioni fatte in base alle risultanze dell'esercizio precedente,
salvo conguaglio di fine esercizio. In tale contesto, il condomino non può richiedere la
preventiva visione di documentazione che, di fatto, non esiste perché non fondata su spese già
sostenute. Il singolo condomino, nel caso in cui ritenga che i costi siano stati sovrastimati,
potrà sottoporre le proprie ragioni in assemblea.
Nel caso in cui il singolo condomino contesti il rendiconto denunciando l'impossibilità di
prendere visione dei documenti giustificativi delle spese, sarà onere dell'amministratore fornire
la prova che i singoli documenti non siano reperibili o che la richiesta sia incompatibile con
l'ordine del giorno.
(Giuseppe Donato Nuzzi, Il Sole 24ORE, Tecnci24, 29 settembre 2014)

Ascensori con meno limiti
Nella disciplina condominiale l'installazione degli ascensori negli edifici privati che ne sono
ancora sprovvisti è stata oggetto di interventi contraddittori, ma l'applicazione più recente delle
norme si mostra sempre favorevole anche per gli impianti realizzati all'esterno dei fabbricati.
Le sentenze, nei periodi più risalenti, rivelavano posizioni assai restrittive che però negli ultimi
anni si sono capovolte. Adesso le decisioni sono quasi sempre a favore dei condomini che
intendono realizzare l'opera.
La normativa, invece, ha subìto un processo inverso: dopo una fase iniziale di mancanza di
disposizioni specifiche in cui si applicavano le norme codicistiche, è stato emanato un
complesso di previsioni (contenute nella legge 13/89) dirette a favorire, mediante varie
misure, la realizzazione delle opere necessarie per eliminare le barriere architettoniche, fra cui
si pongono innanzitutto gli ascensori. Ma l'articolo 27 della legge di riforma 220/2012, dal 18
giugno 2013, ha aumentato la maggioranza prevista dal testo originario dell'articolo 2, comma
1, della legge 13/1989, secondo cui era possibile approvare le delibere relative ad innovazioni
dirette ad eliminare le barriere architettoniche, adottate in assemblea di seconda
convocazione, anche con un numero di voti che rappresentasse un terzo dei partecipanti al
condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio; invece, dopo la riforma, l'assemblea
condominiale delibera con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e
almeno la metà del valore dell'edificio, rendendo così più difficile, rispetto a prima,
l'approvazione di queste delibere.
Va ricordato, però, che il diritto va applicato non solo sulla base delle specifiche disposizioni di
ciascun settore, ma anche del coordinamento con le altre disposizioni legislative e coi principi
dall'ordinamento. La disciplina giuridica sugli ascensori si dimostra allora meno penalizzante di
quella che risulterebbe dalla applicazione della sola legge speciale (che pure era stata emanata
proprio per ampliare le tutele). Infatti, le stesse norme del Codice civile consentono
l'installazione di un ascensore anche da parte di un solo gruppo di condomini o di un unico
condomino senza passare attraverso l'assemblea, grazie all'articolo 1102 del Codice civile, che
consente a ciascun condomino di utilizzare e modificare le parti comuni per installare – però a
sue esclusive spese – ascensori, servoscala e altri apparecchi simili nella tromba delle scale
(Cassazione, sentenza 1781/1993).
E riguardo ai limiti all'installazione dell'ascensore, il pregiudizio lamentato da alcuni condomini
della originaria possibilità di utilizzare le scale e l'andito occupati dall'impianto non viola il
divieto posto dall'articolo 1120, comma 2, del Codice civile, quando risulta un godimento
migliore della cosa comune, seppure diverso da quello originario (Cassazione, sentenza
4152/1994), anche perché è legittima ogni innovazione che, nel comportare utilità per tutti i
condomini tranne qualcuno, determini per quest'ultimo un pregiudizio solo limitato e non
intollerabile (Cassazione sentenza 20902/2010).
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D'altra parte, in generale, i rapporti fra i condomini sono regolati dal principio di solidarietà
condominiale, secondo cui la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica il
contemperamento dei vari interessi (Cassazione, sentenza 18334/2012) e, nella valutazione
comparativa delle opposte esigenze (quella dei portatori di handicap a installare l'ascensore e
quella degli altri condomini a continuare a fruire nella sua interezza della scala, che viene
ristretta senza tuttavia diventare inservibile), prevale la prima in conformità ai principi
costituzionali della tutela della salute (articolo 32) e della funzione sociale della proprietà
(articolo 42) (Cassazione sentenza 2156/2012).
Neppure la disciplina sulle distanze determina limiti all'installazione dell'ascensore, dato che
non opera per gli impianti indispensabili per una reale abitabilità dell'appartamento, salvi gli
accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cassazione, sentenza
14096/2012), mentre gli ascensori esterni non ricadono sotto l'applicazione dell'articolo 3,
comma 2, della legge13/1989, che dispone sì l'obbligo di rispettare le distanze imposte dagli
articoli 873 e 907 del Codice civile, ma solo fra edifici distinti, restando così escluso l'ambito
condominiale (Cassazione, sentenza 10852/2014).
(Giuseppe Donato Nuzzi, Il Sole 24ORE, Tecnici24, 11 settembre 2014)
 Locazioni
 Niente
lite temeraria se il conduttore si oppone allo sfratto consapevole del
proprio inadempimento
Non può considerarsi lite temeraria, tale da dare luogo al risarcimento dei danni ex articolo 96
del codice di procedura civile, l'opposizione alla convalida dello sfratto per morosità nell'ipotesi
in cui il conduttore sia consapevole della esistenza, della entità e della gravità del proprio
inadempimento, qualora il locatore non si sia avvalso della clausola risolutiva espressa prevista
nel contratto e ci sia la possibilità di continuare il rapporto di locazione con il pagamento
regolare dei canoni successivamente dovuti. Lo ha affermato il Tribunale di Vicenza con la
sentenza 1015/2014.
La vicenda
Il caso prende le mosse da due procedimenti riuniti per convalida di sfratto per morosità nei
confronti del conduttore di un locale commerciale relativamente al mancato pagamento dei
canoni di locazione riferiti a due diversi periodi di tempo, intervallati tra loro, per un totale di
nove mensilità. Il conduttore aveva in entrambi i casi provveduto a pagare i canoni durante i
giudizi, mentre il locatore chiedeva il pronunciarsi della risoluzione del contratto in virtù della
clausola risolutiva espressa inserita nel contratto, nonché la condanna al risarcimento dei danni
subiti ex articolo 96 del Cpc, «per il fatto che la convenuta avrebbe resistito in giudizio in
maniera temeraria e cioè pur conoscendo l'esistenza, l'entità e la gravità dei propri
inadempimenti».
Le motivazioni
Il Tribunale accoglie la domanda di risoluzione del contratto in virtù dell'operatività della
clausola risolutiva espressa, munita di approvazione specifica in calce al contratto, la quale di
per sé rende risolto il contratto senza necessità di valutazione dell'inadempimento della
controparte.
Il giudice tuttavia rigetta la domanda volta al risarcimento dei danni per lite temeraria
ritenendo il comportamento del conduttore non sorretto da colpa grave, non configurandosi nel
caso di specie alcuna ipotesi di responsabilità aggravata pur se il conduttore conosceva la
gravità dei propri inadempimenti e «non aveva alcun argomento giuridico ulteriore per
determinare il prolungamento della causa anche alla fase di merito».
E ciò perché dopo il pagamento del primo periodo di morosità il rapporto avrebbe potuto
continuare con reciproca soddisfazione delle parti, non essendo ipotizzabile in quel momento
una nuova morosità del conduttore, il quale non si è astenuto dall'opporsi alla convalida anche
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per via del fatto che lo stesso locatore ha deciso di non avvalersi sin da subito del meccanismo
della clausola risolutiva espressa.
(Andrea Alberto Moramarco, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 1 ottobre 2014)
 Vizi dell'immobile note all'inquilino.
alla salute del conduttore
Il proprietario risarcisce comunque i danni
Il locatore è sempre responsabile dei danni alla salute subiti dal conduttore a causa delle
cattive condizioni abitative dell’immobile locato.
In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19744 del 19
settembre 2014, con la quale i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso proposto dai
genitori per il risarcimento dei danni conseguenti alla decesso del figlio, morto per
avvelenamento da ossido di carbonio mentre si trovava nel bagno senza finestra
dell’appartamento preso in locazione.
Secondo la suprema Corte, la responsabilità del proprietario non può essere esclusa dalla
circostanza che i conduttori fossero a conoscenza dei vizi dell’immobile al momento della
conclusione del contratto: la tutela della salute, costituzionalmente garantita, prevale su
qualsiasi patto tra privati di esclusione o limitazione della responsabilità.
Il caso. La coppia di coniugi aveva citato in giudizio il proprietario/locatore dell’immobile
esponendo che la tragica morte del figlio era avvenuta a causa dello scaldabagno che non era
stato installato a regola d’arte, per insufficienza tanto della capienza del locale adibito a bagno
quanto del sistema di areazione e scarico dei fumi. Il condotto di esalazione, in particolare, pur
essendo stato interrotto a causa dell’intervento di chiusura effettuato da soggetti terzi
nell’ambito di alcuni lavori di ristrutturazione dei piani superiori dello stabile, risultava
irregolare fin dall’origine, in quanto collegato, in modo del tutto anomalo, alla canna di deflusso
dei fumi delle cucine e privo dello sfiato di riserva.
Il proprietario si era opposto alla domanda risarcitoria, riportandosi alle risultanze della perizia
espletata nel precedente giudizio penale, secondo la quale la causa preminente dell’evento era
stata l’interruzione del condotto di esalazione effettuata da soggetti terzi nel corso dei lavori di
manutenzione. Secondo la perizia, il mancato rispetto di alcune delle distanze di sicurezza e
delle prescrizioni normative avrebbe solo diminuito il grado di sicurezza dell’impianto, ma non
sarebbe stato la causa determinante del decesso.
Dopo il giudizio negativo di primo grado, la Corte d’Appello aveva riconosciuto la responsabilità
del proprietario, ma solo nella misura di un terzo, in concorso, tra l’altro, con quella degli stessi
ricorrenti, poiché gli stessi erano a conoscenza dei vizi al momento della firma del contratto.
I coniugi proponevano quindi ricorso in cassazione per ottenere il riconoscimento della piena
responsabilità del locatore. Sostenevano, in particolare, che il decesso del figlio era
riconducibile esclusivamente alla cattiva installazione dello scaldabagno ad opera del
proprietario. In tale ottica, i giudici del merito avrebbero dovuto ritenere il proprietario
responsabile esclusivo ai sensi dell’art. 2051 c.c., escludendo il concorso di colpa.
La responsabilità del locatore. La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ha
affermato che la responsabilità del locatore per i danni derivanti dall’esistenza dei vizi sussiste
anche in relazione ai quelli preesistenti la consegna del bene, ma manifestatisi
successivamente a essa, nel caso in cui il locatore poteva conoscere la loro esistenza usando
l’ordinaria diligenza, secondo la quanto stabilito dall’art. 1578 c.c. (Cass. civ. n. 18854/08 e n.
8729/91).
La tutela del diritto alla salute deve essere sempre garantita. In ogni caso, precisa la
suprema Corte, il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in
conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero
note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto
alla salute prevale su qualsiasi patto tra privati di esclusione o limitazione di responsabilità
(Cass. civ., n. 915/1999).
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Alla luce di tali principi di diritto, consolidati in giurisprudenza, gli Ermellini hanno accolto il
ricorso e cassato la sentenza, rinviando la causa ad altra sezione della Corte territoriale, che
dovrà rideterminare il grado di colpa del locatore e, conseguentemente, l’entità del danno
risarcibile.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 26 settembre 2014)
 Edilizia e Urbanistica

In edilizia «sicurezza» standard
È finalmente operativa la semplificazione dei modelli obbligatori previsti in materia di sicurezza
sul lavoro nel settore dell'edilizia.
L'operazione è stata regolamentata dal decreto del 9 settembre scorso (pubblicato sulla
«Gazzetta ufficiale» 212 del 12 settembre) dei ministri del Lavoro, delle Infrastrutture e della
Sanità, in attuazione dell'articolo 104-bis del Dlgs 81/08 (Testo unico sulla sicurezza sui luoghi
di lavoro), introdotto dall'articolo 32 del Dl 69/13, convertito dalla legge 98/13 (cosiddetto
Decreto del fare).
Il decreto ministeriale contiene quattro allegati i quali riguardano, rispettivamente, il modello
semplificato del piano operativo di sicurezza (Pos) di cui agli articoli 89, comma 1, lettera h) e
96, comma 1, lettera g); del Tu (all. I), del piano di sicurezza e coordinamento (Psc), di cui
agli articoli 91 e 100 del Testo unico (all. II); del piano di sicurezza sostitutivo (Pss), di cui
all'articolo 131, comma 2, lettera b), del Dlgs 163/06 (Codice dei contratti pubblici) (all. III) e
del fascicolo dell'opera di cui all'articolo 91, comma 1, lettera b) del Testo unico (all. IV).
I modelli semplificati, il cui utilizzo non è obbligatorio, fornisce ai committenti e ai datori di
lavoro delle imprese esecutrici di opere pubbliche e private un valido indirizzo standardizzato ai
fini della redazione dei documenti. L'alternativa, per gli interessati, è di seguire un proprio
criterio che affronta il rischio, nel qual caso il modello potrebbe essere considerato incompleto
o non rispondente alle previsioni della legge da parte dell'organo di vigilanza, con l'applicazione
dei conseguenti provvedimenti sanzionatori.
Nel merito dei singoli modelli si evidenzia che non sempre, obiettivamente, questi possono
ritenersi semplificati. In particolare questa osservazione vale per il Pos e il Pss, dove vengono
richieste notizie sulle mansioni di alcuni soggetti con posizioni di responsabilità, già previste
dalla legge, e sui nominativi di lavoratori impegnati in determinate funzioni o circostanze, non
previsto dalla legge.
Questi modelli prevedono, tra l'altro, una tabella riepilogativa dei livelli di esposizione al
rumore e, per ciascun lavoratore, l'indicazione della erogata informazione, dell'avvenuta
formazione riguardante i rischi specifici e di mansioni, nonché l'eventuale addestramento
previsto per particolari dispositivi di protezione individuale.
È evidente che con tali registrazioni ed altre similari viene a costituirsi un documento il quale
deve essere di volta in volta completato con le variazioni che intervengono nel tempo. Poiché
dovranno essere conservate le precedenti registrazioni, si avranno, pertanto, più documenti
per lo stesso cantiere.
L'annotazione vale ovviamente anche per il Pss, che va redatto quando – per la natura
dell'opera pubblica e per la sua durata – non sia previsto il Psc. Il Pos, come il Pss, vanno
redatti dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice.
Il modello relativo al Psc, redatto dalla coordinatore per la progettazione, prevede, tra l'altro,
l'elaborazione dell'organigramma per l'appalto dell'opera che, partendo dal committente,
individua i vari soggetti i quali sono chiamati alla sua realizzazione, dall'impresa affidataria, a
quella esecutrice, fino ai lavoratori autonomi. Il modello del Psc si interessa della valutazione
dei rischi non solo dell'istituendo cantiere, ma anche dell'area esterna alla quale è interessato il
cantiere stesso, nonché dei rischi da interferenza tra le lavorazioni.
Il modello riguardante il fascicolo dell'opera (redatto dal coordinatore per la progettazione), il
quale accompagna nel tempo la vita dell'opera stessa, sintetizza quanto già prescritto
dall'allegato XVI del Testo unico e pone in particolare rilievo le misure preventive e protettive
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che andranno in dotazione all'opera e ausiliarie, prevedendo, nel tempo, sia il tipo di probabile
intervento manutentivo, sia l'individuazione degli eventuali rischi.
(Luigi Caiazza, Il Sole 24 ORE, 16 settembre 2014)
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Legge e prassi

(G.U. n. 230 del 3 ottobre 2014)
 Economia e fisco
COMITATO
INTERMINISTERIALE
PER
LA
PROGRAMMAZIONE
ECONOMICA
DELIBERA 18 aprile 2014
Programmazione dei Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020: approvazione della
proposta di accordo di partenariato. (Delibera n. 18/2014).
(G.U. 9 settembre 2014, n. 209)
DECRETO LEGISLATIVO 11 agosto 2014, n. 129
Norme di attuazione concernenti l'articolo 51, comma 4, dello Statuto speciale della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di tributi erariali.
(G.U. 10 settembre 2014, n. 210)
DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 133
Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive.
(G.U. 12 settembre 2014, n. 212)
 NOTA
Per l'edilizia meno vincoli e disciplina più semplice
Con il Dl 133/2014, entrato in vigore il 12 settembre, si allarga il novero degli interventi di
manutenzione straordinaria: ne fanno da ora ugualmente parte il frazionamento e
l'accorpamento delle unità immobiliari, anche mediante la variazione delle relative superfici e
del carico urbanistico purché non muti la volumetria complessiva e l'originaria destinazione. Si
noti che il carattere gratuito delle opere di manutenzione viene posto in dubbio dal nuovo
articolo 17, comma 4, del Testo unico edilizia dove, al pari delle opere sul patrimonio statale,
anche la manutenzione straordinaria sconterebbe il contribuito commisurato agli oneri di
urbanizzazione restando esentata dalla quota relativa al costo di costruzione. In sede di
conversione il punto merita di essere chiarito.
Riqualificazione urbana
I regolamenti locali potranno individuare gli edifici da espropriare, mediante il riconoscimento
di forme compensative, per procedere alla riqualificazione urbana.
Deroga alle regole urbanistiche
Nuova fattispecie per i permessi di costruire in deroga agli strumenti urbanistici territoriali:
finora ammessi in caso di edifici pubblici, oggi possibili anche per gli interventi di
ristrutturazione edilizia e urbanistica anche in aree industriali dismesse. In tali casi, l'interesse
pubblico dovrà essere attestato con delibera del consiglio comunale.
Il permesso di costruire convenzionato, strumento finora noto solo alle esperienze regionali e
locali, potrà far luogo degli strumenti di pianificazione attuativa, che hanno procedimenti di
approvazione notevolmente più lunghi. Il permesso convenzionato varrà quando le esigenze di
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urbanizzazione di una determinata area potranno essere soddisfatte mediante modalità
semplificate.
Quanto ai termini per il rilascio, ora tutti i comuni devono rispettare i termini «ordinari» (60
giorni per l'istruttoria, l'acquisizione dei pareri e la formulazione del provvedimento con
possibilità di interruzione nei primi 30 giorni per richiesta di integrazioni). La possibilità di
raddoppio sussiste solo per i progetti particolarmente complessi.
Proroga dei termini edilizi
Quando l'inizio o la fine dei lavori sono impediti da iniziative della Pa o dell'autorità giudiziaria
che si rivelano poi infondate, la relativa proroga è un atto dovuto.
Contributo di costruzione
Gli strumenti di trasformazione urbana complessi scontano un regime agevolato del costo di
costruzione: i relativi atti di pianificazione attuativa (piani di recupero, piani particolareggiati)
potranno infatti prevedere che il contributo di costruzione sia commisurato unicamente al costo
di costruzione e non anche all'incidenza degli oneri di urbanizzazione. Dovrà in ogni caso
essere garantita la corretta urbanizzazione, l'infrastrutturazione e l'insediabilità degli
interventi.
Inoltre, i Comuni possono deliberare i contributi di costruzione per gli interventi di
ristrutturazione in misura inferiore ai valori determinati per le nuove costruzioni. Per gli
immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione per gli interventi di
ristrutturazione, recupero e riuso potrà essere ridotto in misura superiore al 20 per cento.
Addio Dia
Dopo più di quattro anni dalla sua introduzione nell'ordinamento giuridico, la Scia sostituisce a
tutti gli effetti la Dia edilizia, che sopravvive solo ove prevista in sostituzione del permesso di
costruire (ex Super Dia). Scia anche per le varianti minori a permessi di costruire, a condizione
che gli interventi siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuati dopo
l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli.
Cambio d'uso
Si amplia la maglia del mutamento di destinazione d'uso: è rilevante solo la modifica che
comporta l'assegnazione dell'immobile o dell'unità a una differente categoria funzionale tra (a)
residenziale e turistico-recettiva (b) produttiva e direzionale, (c) commerciale, (d) rurale. È
fatta salva la possibilità per le Regioni di disciplinare differentemente la materia.
Lottizzazione per stralci funzionali
Modifiche anche alla legge Urbanistica (1150/1942) il cui articolo 28 oggi concede la possibilità
di procedere per stralci funzionali, per fasi e tempi distinti. Per ogni stralcio funzionale
dovranno essere quantificati gli oneri di urbanizzazione o le opere di urbanizzazione da
realizzare e le relative garanzie; l'attuazione parziale dovrà risultare coerente con l'intera area
oggetto d'intervento.
Permessi in conferenza di servizi
Si allinea la validità dei termini dei permessi endoprocedimentali che si formano in seno ad una
conferenza di servizi: tutti decorreranno a far data dall'adozione del provvedimento finale.
Autorizzazione paesaggista
Scompare di nuovo il ricorso alla conferenza di servizi nell'ambito del procedimento di rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica: prima abolita dal Dl 84/2014, poi reintrodotta con la legge di
conversione, oggi scompare di nuovo con il Dl 133. Di conseguenza, decorsi 60 giorni dalla
ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere,
l'amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione.
IN SINTESI
Manutenzione straordinaria
Sono ora ricompresi anche i lavori volti al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari.
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Interventi di conservazione
Il Comune può favorire, in alternativa all'espropriazione, la riqualificazione, con forme di
compensazione, degli edifici non più compatibili con la pianificazione.
Permesso di costruire in deroga per la ristrutturazione edilizia e urbanistica, anche in
aree industriali dismesse
È ora ammessa la richiesta di permesso di costruire, anche in deroga alle destinazioni d'uso,
previa deliberazione del Consiglio comunale.
Proroga dei termini dei termini di inizio e fine lavori
La proroga è accordata se i lavori non possano essere iniziati/conclusi per iniziative
dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi infondate.
Contributo di costruzione e interventi di trasformazione complessi
Per gli interventi di trasformazione urbana complessi, è dovuto solo il costo di costruzione.
Contributo di costruzione e ristrutturazione edilizia
I comuni possono disporre riduzioni del contributo (non meno del 20% per il recupero di
immobili dismessi).
Procedimento per il rilascio del permesso di costruire
I termini per il rilascio del permesso di costruire possono essere raddoppiati solo per i progetti
particolarmente complessi.
Varianti non essenziali
Le varianti non essenziali ai permessi di costruire sono realizzabili mediante Scia e possono
essere comunicate a fine lavori.
Mutamente d'uso rilevante
È rappresentato dal passaggio da una all'altra delle seguenti categorie funzionali: a)
residenziale e turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale.
Permesso di costruire convenzionato
È ora disciplinato, anche a livello nazionale, il permesso di costruire convenzionato.
Lottizzazione per stralci
L'attuazione può avvenire per stralci funzionali e per fasi e tempi distinti.
Conferenza di servizi
I termini di validità degli atti di assenso acquisiti nella Conferenza decorrono dall'adozione del
provvedimento finale.
Autorizzazione paesaggistica
Scompare la Conferenza di servizi.
(Guido Alberto Inzaghi, Il Sole24 ORE – Norme e Tributi, 16 settembre 2014)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 23 settembre 2014
Proroga del termine di presentazione della dichiarazione dell'IMU e della TASI per gli enti non
commerciali.
(G.U. 29 settembre 2014, n. 226)
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22
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 30 settembre 2014
Tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull'usura (legge 7 marzo 1996 n. 108). Periodi
di rilevazione 1º aprile - 30 giugno 2014. Applicazione dal 1º ottobre al 31 dicembre 2014.
(G.U. 1 ottobre 2014, n. 228)
 Ambiente
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE
CIVILE
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 12 settembre
2014
Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione Liguria nelle
iniziative finalizzate a consentire il superamento della situazione di criticita' determinatasi in
relazione al naufragio della nave da crociera Costa Concordia, trasferita presso il Porto di
Genova-Voltri. (Ordinanza n. 190).
(G.U. 17 settembre 2014, n. 216)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE
CIVILE
ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 12 settembre
2014
Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione Toscana nelle
iniziative finalizzate a consentire il superamento della situazione di criticita' determinatasi in
relazione al naufragio della nave da crociera Costa Concordia nel territorio del comune
dell'Isola del Giglio. (Ordinanza n. 189).
(G.U. 17 settembre 2014, n. 216)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
DECRETO 8 agosto 2014
Abrogazione del decreto 19 giugno 2009 e contestuale pubblicazione dell'Elenco delle Zone di
Protezione Speciale (ZPS) nel sito internet del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare.
(GU 18 settembre 2014, n. 217)

Condominio
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
DECRETO 13 agosto 2014, n. 140
Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalita' per la formazione degli
amministratori di condominio nonche' dei corsi di formazione per gli amministratori
condominiali.
(G.U. 24 settembre 2014, n. 222)

Immobili
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 31 luglio 2014
Differimento dei termini di presentazione in via telematica delle dichiarazioni dei sostituti
d'imposta-modelli 770/2014.
(G.U. 8 settembre 2014, n. 208)
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
FIAIP News24, numero 14 – ottobre 2014
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DECRETO 4 agosto 2014, n. 139
Regolamento recante modifica al decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180,
sulla determinazione dei criteri e delle modalita' di iscrizione e tenuta del registro degli
organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione nonche'
sull'approvazione delle indennita' spettanti agli organismi, ai sensi dell'articolo 16 del decreto
legislativo n. 28 del 2010.
(G.U. 23 settembre 2014, n. 221)
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERA 30 giugno 2014
Misure di riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici pubblici, sedi di istituzioni
scolastiche statali. (Delibera n. 22/2014).
(G.U. 24 settembre 2014, n. 222)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 31 luglio 2014
Disciplina del Fondo di garanzia «prima casa» di cui all'articolo 1, comma 48, lett. c) della
legge 27 dicembre 2013, n. 147.
(G.U. 29 settembre 2014, n. 226)

NOTA
Fondo di garanzia per la "prima casa": le istruzioni del Ministero
ll Ministero dell'Economia e delle Finanze il 31 Luglio 2014 ha emanato un decreto volto a
disciplinare il Fondo di garanzia «prima casa» istituito da legge 27 dicembre 2013, n° 147, art.
1, comma 48. Il Fondo è volto a supportare l'acquisto della prima casa, in special modo da
parte di giovani coppie o nuclei genitoriali monofamiliari, tramite la concessione di una
garanzia fino al 50% su mutui non superiori a € 250.000. La garanzia è applicabile anche in
caso di erogazione di mutui per ristrutturazioni che accrescano l'efficienza energetica
dell'immobile. Il Fondo è gestito dal Ministero dell'Economia e delle Finanze tramite il CONSAP
S.p.A. e gode di risorse pari a € 200.000.000 per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016.
Il processo di ammissione alla garanzia avviene per via telematica tra il Soggetto Finanziatore
(le banche registrate nell'albo all'art. 13 decreto legislativo 385 del 1993 e gli intermediari
finanziari registrati all'art. 106 del medesimo decreto) e il Gestore del Fondo, in seguito alla
presentazione da parte del Mutuario dei moduli attestanti il possesso dei requisiti ed eventuali
priorità formulati nell'articolo 3, comma 3 e 4. Pervenuta la richiesta dal Finanziatore, il
Gestore approva e comunica l'ammissione alla garanzia entro 20 giorni, vincolandolo a erogare
il mutuo entro i successivi 90 giorni.
(Il Sole 24 ORE – Tecncii24, 2 ottobre 2014)
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24
Giurisprudenza

Compravendita immobiliare
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile
Sentenza 12 settembre 2014, n. 19346
Condominio negli edifici - Regolamento di condominio - Efficacia - Contratto di compravendita Acquirente di una unità immobiliare facente parte di un fabbricato - Impegno contrattuale a
rispettare un regolamento condominiale da predisporsi da parte del costruttore - Vincolatività Esclusione
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile
Sentenza 20 agosto 2014, n. 18090
Immobili - Contratto preliminare di compravendita - Contratto definitivo carenza - Richiesta di
sentenza costitutiva - Concessione in sanatoria - Carenza - Risoluzione del contratto Inadempimento dell'obbligo di pagamento - Immissione nel possesso dei promissari acquirenti
- Mancato pagamento delle utenze - Gravità dell'inadempimento - Rilevanza delle questioni Obbligatorietà di un nuovo esame in sede di rinvio
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile
Sentenza 31 luglio 2014, n. 17489
Compravendita immobiliare - Estensione del cespite - Ricorso incidentale qualificato come
condizionato - Soccombenza - Inammissibilità - Parte completamente vittoriosa in appello Risollevamento di questioni non decise dal giudice di merito - Limiti - Riproposizione delle
questioni al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza
 Condominio

CORTE DI CASSAZIONE – Sezione Terza - Sentenza n. 20557 del 30 settembre
2014
Appalti in condominio: il condomino danneggiato che invoca una "culpa in vigilando"
non può rivolgersi contro l'amministratore
Il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da una omessa vigilanza da parte del
Condominio nell’esecuzione di lavori sulle parti comuni non può considerare l’amministratore
condominiale come terzo estraneo, ma dovrà comunque rivolgere la propria pretesa risarcitoria
nei confronti del Condominio medesimo il quale, a sua volta, valuterà se esistono gli estremi di
una rivalsa nei confronti dell’amministratore. Ciò in quanto l’amministratore non costituisce
una entità diversa dal Condominio del quale è rappresentante, perchè il Condominio è un ente
di gestione privo di personalità giuridica diversa da quella dei singoli condomini. Né a diverse
conclusioni può pervenirsi in considerazione del ruolo di direttore dei lavori affidato al
medesimo amministratore condominiale. Tali principi sono stati enucleati dal giudice di
legittimità in una recente decisione. (Cfr., Cass. civ. Sez. III., Sent. 30 settembre 2014, n.
20557, Pres. Segreto, Rel. Cirillo, P.M. Giacalone).
FIAIP News24, numero 14 – ottobre 2014
25
Nella particolare controversia, avente ad oggetto una domanda di risarcimento avanzata da un
condomino nei confronti del Condominio, dell’amministratore e delle imprese appaltatrici, per
danni patiti nell’unità immobiliare di sua proprietà e dovuti alla cattiva esecuzione delle opere
di bonifica e impermeabilizzazione del tetto di un palazzo di particolare valore storico e
culturale, la Cassazione, pur confermando la condanna inflitta dalla corte di merito a carico di
una delle imprese, ha escluso la responsabilità tanto del Condominio quanto dello stesso
amministratore anche nella sua veste di direttore dei lavori.
In conformità ad un indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la decisione
ribadisce che in tema di appalto, è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a
terzi ed eventualmente anche dell’inosservanza della legge penale durante l’esecuzione del
contratto, attesa l’autonomia con cui egli svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera o del
servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a
fornire alla controparte l’opera o il servizio cui si era obbligato. Il controllo e la sorveglianza del
committente, invece, si limitano all’accertamento ed alla verifica della corrispondenza
dell’opera o del servizio affidato all’appaltatore con quanto costituisca l’oggetto del contratto.
In tale contesto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile
solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in
esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del
committente stesso, tanto che l’appaltatore finisca per agire quale “nudus minister” privo
dell’autonomia che normalmente gli compete. È stata poi riconosciuta una responsabilità del
committente quando sia configurabile in capo al medesimo una “culpa in eligendo”, per aver
affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche,
ovvero in base al generale principio del “neminem laedere” di cui all’art. 2043 cod. civ.
(Federico Ciaccafava, Il Sole24 ORE - Tecnici24, 2 ottobre 2014)

CORTE DI CASSAZIONE – Sezioni Unite - Sentenza 18 settembre 2014, n. 19663
Durata irragionevole del processo ed equa riparazione: il diritto spetta al Condominio
In una recente sentenza, resa a Sezioni Unite, la Suprema Corte ha composto il contrasto
giurisprudenziale insorto in merito alla questione relativa alla legittimazione dei singoli
condomini ad agire in giudizio per far valere il diritto alla equa riparazione per la durata
irragionevole
del
processo
presupposto
intentato
dal
Condominio,
in
persona
dell’amministratore, del quale i condomini stessi non siano stati parti.
Nel caso di giudizio intentato dal Condominio e del quale, pur trattandosi di diritti connessi alla
partecipazione di singoli condomini al Condominio, costoro non siano stati parti, spetta
esclusivamente al Condominio, in persona del suo amministratore, a ciò autorizzato da delibera
assembleare, far valere il diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole di detto
giudizio. Tale principio è stato espressamente enunciato dalle Sezioni Unite del Supremo
Collegio in una pronuncia che ha così affrontato e risolto la dibattuta questione relativa alla
legittimazione dei singoli condomini ad agire in giudizio per far valere il diritto all’equa
riparazione per la durata irragionevole del processo presupposto intentato dal Condominio, in
persona dell’amministratore, del quale i condomini stessi non siano stati parti (Cfr., Cass. civ.
Sez. Un., Sent. 18 settembre 2014, n. 19663, Pres. Rovelli, Rel. San Giorgio. P.M. Ciccolo).
Nel caso in esame, la Suprema Corte – attraverso una articolata motivazione che ha
puntualmente registrato il mai sopito dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito alla
esatta qualificazione della natura dell’ente condominiale e della connessa questione della sua
personalità giuridica, dibattito rianimato anche alla luce della recente riforma della materia –
ha confermato la sentenza impugnata con la quale la corte di appello aveva accolto solo in
parte la domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta da due condomini i quali
lamentavano di aver sofferto una durata processuale eccedente quella ragionevole
rispettivamente di cinque anni e mesi due e di anni tre e mesi cinque. In particolare, la corte
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distrettuale aveva evidenziato che il ristoro richiesto spettava ai condomini solo dal momento
in cui essi avevano assunto la qualità di parte del processo presupposto, mentre per il periodo
precedente, essendo stato il processo – avente ad oggetto una azione di danno temuto per il
pericolo incombente sull’edificio condominiale – intentato dal Condominio in persona del suo
amministratore, soltanto costui avrebbe potuto richiedere il danno non patrimoniale per la
durata irragionevole del processo, previa autorizzazione dell’assemblea dei condomini, come
riconosciuto anche da precedenti pronunce di legittimità.
(Federico Ciaccafava, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 23 settembre 2014)
 Dismissioni immobili pubblici

Tribunale di Roma - Sezione II civile - Sentenza 23 gennaio 2014 n. 1644
Compravendita obbligata se il conduttore ha esercitato la prelazione
In tema di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, in virtù della procedura delineata
dalla legge 662/1996, una volta che l'ente pubblico abbia individuato il bene immobile che
intenda dismettere e che, conseguentemente, il conduttore dell'immobile ad uso abitativo
condotto in locazione abbia esercitato il diritto di prelazione, l'ente pubblico è tenuto a
stipulare il contratto di compravendita, non potendo addurre alcun valido motivo contrario. Lo
ha affermato il Tribunale di Roma con la sentenza 1644/2014.
La vicenda
L'Agenzia del Demanio, in applicazione della procedura indicata nell'articolo 3 commi 109-114,
della legge n. 662/1996 in tema di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, aveva
invitato il conduttore di un immobile di sua proprietà ad esercitare il diritto di prelazione
all'acquisto del bene, determinando già il prezzo e, dopo l'esercizio della prelazione, fissando
un termine di soli cinque giorni per la stipula del contratto, nonostante l'esplicita richiesta da
parte del conduttore della concessione del tempo necessario per poter accedere ad un mutuo
ipotecario.
In seguito al rifiuto dell'Agenzia di concludere il contratto, giustificato dalla scadenza del
termine e dal mutamento degli interessi pubblicistici, dovuto alla nuova esigenza di destinare
l'immobile alle proprie finalità istituzionali, il conduttore chiedeva al Tribunale di pronunciare,
ex articolo 2932 c.c., una sentenza costitutiva degli effetti del contratto di compravendita non
concluso.
Le motivazioni
Il Tribunale accoglie la domanda del conduttore dell'immobile e dispone ai sensi dell'articolo
2932 c.c. il trasferimento della proprietà dell'immobile sulla scorta della procedura della
dismissione del patrimonio immobiliare applicabile alla fattispecie. Tale disciplina prevede che
qualora in seguito alla manifestazione della volontà dell'ente pubblico di vendere (denuntiatio
prelationis) consegua l'esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore, «si determina
l'insorgenza dell'obbligo a carico dei entrambe le parti di pervenire alla conclusione del
contratto, con conseguente possibilità di tutela ex art. 2932 c.c.», non essendo più possibile
una "retrocessione della procedura".
E nel caso di specie, poi, la richiesta del conduttore del tempo necessario per la concessione
del mutuo ipotecario non condiziona il buon esito della procedura, mentre l'imposizione di un
termine risicato di soli cinque giorni per la stipula del contratto appare irragionevole, nonché
contraria ai principi di correttezza e buona fede che presiedono al comportamento delle parti
anche nella fase antecedente la conclusione del contratto. Infine, alla luce della procedura
specifica, del tutto priva di fondamento viene giudicata la tesi che prevede il venir meno
dell'obbligo di concludere il contratto per via delle nuove esigenze istituzionali.
(Andrea Alberto Moramarco, Il Sole 24 ORE – Guida al diritto, 9 settembre 2014)
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Antincendio
Compravendita
immobiliare


Compravendita immobiliare. Per concludere il contratto è necessaria la
manifestazione di volontà.
Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 19 settembre 2014
Nella compravendita immobiliare, la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti
non può essere sostituita da una dichiarazione confessoria resa dall’altra parte, non valendo
tale dichiarazione né quale elemento integrante il contratto, né – quand’anche contenga il
preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto – come prova del medesimo.
Lo ha stabilito la sentenza n. 19488/14 della seconda sezione civile della Corte di Cassazione,
pubblicata il 16 settembre 2014.
I giudici di legittimità ricordano che in tema di compravendita, ai fini della configurabilità
dell’atto scritto richiesto “ad substantiam” ex art. 1350 c.c., occorre che in esso risulti
inequivocabile la manifestazione specifica della volontà delle parti di concludere il contratto. Ne
consegue che non è possibile ricorrere ad elementi esterni all’atto scritto per accertare tale
volontà quali, appunto, la dichiarazione confessoria di una delle parti in ordine all’avvenuta
stipulazione della compravendita.
La particolare fattispecie oggetto della sentenza in commento può essere così riassunta.
Un’anziana donna cita in giudizio l’occupante di un immobile al fine di ottenere il
riconoscimento della proprietà sull’immobile stesso e la condanna della convenuta alla
riconsegna delle chiavi. Quest’ultima però si oppone sostenendo di essere legittimata a stare in
quella casa per averla ereditata dal proprietario. L’intera vicenda ruota intorno alla difficile
interpretazione di una vecchia scrittura privata dal contenuto poco chiaro, risalente al 1978,
con la quale – secondo la convenuta - l’anziana donna avrebbe venduto l’immobile in questione
al de cuis.
La Corte d’Appello aveva ritenuto che, mancando in tale scrittura la dizione “vende”,
l’espressione “ricevo … la somma … per la vendita” si prestava ad essere interpretata sia come
“ricevo per l’avvenuta vendita”, sia come “ricevo quale corrispettivo per la vendita che
effettuo”. Aveva quindi affermato che, nel dubbio, la volontà delle parti doveva essere
individuata secondo i criteri ermeneutici di cui agli art. 1362 e seguenti c.c., alla luce del
comportamento complessivo tenuto dalle parti stesse, anche posteriore alla conclusione del
contratto, nonché alla stregua dei principi di interpretazione di buona fede (art. 1366 c.c.) e di
conservazione del contratto (art. 1367 c.c.).
In base a tali criteri, la Corte territoriale – contrariamente a quanto deciso dal Tribunale in
primo grado – aveva ritenuto di poter accertare l’effettiva volontà negoziale delle parti,
valorizzando elementi esterni alla scrittura e, in particolare, considerando decisive le
dichiarazione rese dall’anziana donna in sede interrogatorio: “nel 1978 ho venduto il suddetto
FIAIP News24, numero 14 – ottobre 2014
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immobile con scrittura privata a … che mi aveva dato un acconto rimanendo debitore della
somma di …”. Tale dichiarazione costituiva – secondo i giudici d’appello - interpretazione
autentica dell’intento negoziale perseguito dalle parti con la scrittura privata in questione. Da
qui la decisione di riconoscere valore di compravendita alla scrittura privata, con conseguente
riconoscimento della proprietà dell’immobile all’erede del defunto acquirente.
La Corte di Cassazione ha sconfessato tale ricostruzione. Gli Ermellini muovono dalla premessa
che, vertendosi in tema di compravendita immobiliare, l’atto deve essere stipulato in forma
scritta richiesta ad sustantiam; tale esigenza comporta che l’atto scritto suddetto deve essere
rappresentato non da un qualsiasi documento da cui risulti la precedente stipulazione, ma da
uno scritto che contenga la manifestazione della volontà di concludere il contratto e che sia
posto in essere al fine specifico di manifestare tale volontà (Cass. civ. 12.11.2013, n. 25424).
Pertanto, per stabilire se sia intervenuta una compravendita occorre accertare che nella
scrittura privata (e non altrove) le parti abbiamo affettivamente posto in essere tale contratto.
La sentenza d’appello – osserva la Corte – non è giunta ad una conclusione in tal senso,
avendo affermato che le espressioni utilizzate nell’atto si prestano a significati opposti ed
interpretando la scrittura sulla base di elementi esterni ad essa e, nello specifico, delle
dichiarazioni confessorie rese dalla parte in sede di interrogatorio.
Tale impostazione è contraria al principio secondo il quale, ai fini della configurabilità dell’atto
scritto a pena di nullità per la compravendita immobiliare, occorre che in esso risulti
inequivocabilmente la manifestazione specifica della volontà di concludere il contratto, con la
conseguenza che non è possibile ricorrere ad elementi esterni all’atto scritto per accertare
l’esistenza di tale volontà.
Con riferimento specifico alle dichiarazioni confessorie – osserva ancora la Corte – è stato
ripetutamente affermato in giurisprudenza che, essendo l’atto scritto lo strumento necessario e
insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva del negozio, la
manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti non può essere sostituita da una
dichiarazione confessoria dell’altra parte, non valendo tale dichiarazione né quale elemento
integrante il contratto, né come prova del medesimo (Cass. civ. 7.4.2005, n. 7274).
La Cassazione ha dunque cassato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della
Corte d’Appello per un nuovo esame della controversia che accerti, all’esito unicamente della
interpretazione del contenuto della scrittura privata, se le parti abbiano voluto o meno
stipulare la compravendita dell’immobile conteso.
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29
Condominio e
amministrazione


La formazione degli amministratori: le nuove regole
Vincenzo Nasini, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 30 settembre 2014
Il decreto legge 23 dicembre 2013 n.145 noto come decreto destinazione Italia convertito in
legge n. 9/2013 ha demandato al ministero della Giustizia l'emanazione di un regolamento
attuativo, che è stato pubblicato il 24/9 u.s. e che contiene la concreta regolamentazione per
lungo tempo attesa dei requisiti professionali degli amministratori di condominio.
Il provvedimento, che entrerà in vigore il nove ottobre pv, reca il titolo : “Regolamento recante
la determinazione dei criteri e delle modalità per la formazione degli amministratori di
condominio, nonché dei corsi di formazione per gli amministratori condominiali ai sensi
dell'articolo 71 bis primo comma lettera g) delle disposizioni per l'attuazione del codice civile,
per come modificato ed integrato dalla legge 11 dicembre 2012 n.220 e dall'articolo 1 comma
9 lettera a) del decreto legge 23 dicembre 2013 n.145 convertito con modificazioni dalla legge
21 febbraio 2014 n.9. La normativa può essere sostanzialmente distinta in tre parti:
a) norme concernenti i requisiti che devono possedere i soggetti preposti allo svolgimento
dell'attività di formazione degli amministratori di condominio;
b) norme afferenti i contenuti della formazione, cioè le materie che devono formare oggetto
dei “corsi”, la durata di questi ultimi le modalità con cui la formazione può essere svolta.
c) norme che individuano le diverse tipologie dei corsi e le loro caratteristiche.
Le finalità che il regolamento si propone sono espressamente enunciate all'art 2:
a) migliorare e perfezionare la competenza tecnica scientifica e giuridica in materia di
amministrazione condominiale e sicurezza degli edifici
b) promuovere il più possibile l'aggiornamento delle competenze in ragione dell'evoluzione
normativa giurisprudenziale scientifica e dell'innovazione tecnologica
c) accrescere lo studio e l'approfondimento individuale quali presupposti per un esercizio
professionale di qualità
Va preliminarmente osservato che il regolamento ministeriale ha optato per una soluzione tra
diverse possibili.
Si sarebbero potuti individuare enti o organismi, quali, ad esempio, le associazioni professionali
individuate dalla legge n.4/2013, a cui demandare il compito di organizzare le attività di
formazione e di curarne lo svolgimento. Si è deciso invece di non stabilire paletti o preclusioni
sotto questo profilo, ed è stata privilegiata la soluzione di conferire questi compiti a persone
fisiche particolarmente qualificate sotto il profilo delle competenze specifiche.
La premessa è stata perciò quella di configurare un sistema formativo informato a criteri di
competitività e non di monopolio o di oligopolio dell'attività formativa. E infatti nella sezione 6
della relazione illustrativa del provvedimento si legge “l'intervento regolatorio, stabilendo
criteri lineari ed applicabili in maniera uniforme, agevola l'espletamento e la gestione dei corsi
di formazione dei soggetti interessati all'amministrazione condominiale, incrementando il
sistema di competitività del Paese”.
In buona sostanza il sistema formativo previsto dal regolamento è imperniato sulla figura del
“responsabile scientifico”, soggetto che assume un ruolo centrale e particolarmente rilevante,
anche sotto il profilo delle responsabilità. Dall'opera di questa figura dipenderanno infatti in
larga misura non solo la formazione e l'innalzamento del livello della professionalità e quindi in
FIAIP News24, numero 14 – ottobre 2014
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buona sostanza l'attività e la carriera degli amministratori di condominio, ma anche, di
conseguenza, la qualità della gestione di decine di migliaia di edifici condominiali per i prossimi
decenni con rilevanti risvolti sotto il profilo economico e sociale.
Un ruolo quindi estremamente delicato, come del resto quello dei formatori dei corsi, la cui
scelta peraltro dipenderà sempre e soltanto dallo stesso responsabile scientifico. Questi avrà
infatti prima di tutto il compito, non di lieve momento, di verificare il possesso dei requisiti, sia
di onorabilità che di professionalità in capo ai formatori, tramite un accurato e diligente
riscontro documentale.
Egli dovrà poi stabilire i contenuti didattici del corso di formazione le modalità di partecipazione
degli iscritti e di rilevamento delle presenze e alla fine dovrà attestare il superamento con
profitto di un esame finale sui contenuti del corso di formazione e di aggiornamento seguito dai
partecipanti. Per questa particolare delicatezza dei compiti il ruolo di responsabile scientifico
potrà essere affidato solo:
a) a un docente in materie giuridiche tecniche o economiche
b) a un avvocato o un magistrato
c) ad un professionista dell'area tecnica.
Questi soggetti potranno essere anche in trattamento di quiescenza e devono essere in
possesso degli stessi requisiti di onorabilità e professionalità previsti per i formatori dall'art 3
del decreto di cui si dirà al paragrafo successivo.
A loro volta i formatori, dovranno provare al responsabile scientifico con apposita
documentazione il possesso dei seguenti requisiti di onorabilità e professionalità dei quali,
come si è detto, anche e prima ancora, il responsabile scientifico dev'essere in possesso.
a) Sono requisiti di onorabilità:
- il godimento dei diritti civili
- l'assenza di interdizione e inabilitazione
- l'assenza di condanne per delitti conto la pubblica amministrazione, l'amministrazione della
giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e ogni altro delitto non colposo
- l'assenza di misure di prevenzione divenute definitive.
b) Sono requisiti professionali:
a) aver maturato una specifica competenza in materia di amministrazione condominiale o di
sicurezza degli edifici e (si tratta quindi di requisito ulteriore che deve concorrere con quello
della specifica competenza) di aver conseguito alternativamente uno dei seguenti titoli:
- laurea anche triennale
- abilitazione alla libera professione
- docenza in materie giuridiche tecniche ed economiche presso università, istituti o scuole
pubbliche o private riconosciute.
b) Possono svolgere attività sia di formazione che di aggiornamento anche:
- i docenti che abbiano elaborato almeno due pubblicazioni in materia di diritto condominiale o
di sicurezza degli edifici dotate di codice ISBN ex art 1 lettera t) del DM 7 giugno 2012 n.76
- coloro che hanno già svolto attività di formazione in materia di diritto condominiale o di
sicurezza degli edifici in corsi della durata di almeno 40 ore ciascuno per almeno sei anni
consecutivi prima della data di entrata in vigore del presente regolamento.
Il regolamento ministeriale disciplina in concreto all'art.5) (“svolgimento e contenuti
dell'attività di formazione e di aggiornamento”) le due tipologie di corsi genericamente
contemplate dall'art. 71 disp att cc..
Il corso di formazione iniziale, destinato, come si evince dalla stessa definizione, a chi inizi ex
novo l'attività
di amministratore condominiale, deve svolgersi secondo un programma
didattico predisposto dal responsabile scientifico in base a quanto specificato al comma 3) dello
stesso articolo cinque in commento, fermo restando che esso deve avere una durata di almeno
settantadue ore e deve articolarsi , nella misura di un terzo della sua durata complessiva,
secondo “moduli” che prevedano esercitazioni pratiche. Proprio per tale motivo il Consiglio di
Stato pur licenziando il suo parere favorevole al provvedimento, ha suggerito che la durata
minima inizialmente prevista in settanta ore venisse elevata a settantadue, per consentire una
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facile divisibilità, in funzione della necessità di prevedere un terzo di programma a contenuto
pratico.
Per contro, gli “obblighi formativi di aggiornamento” devono:
a) avere cadenza annuale,
b) avere durata di almeno quindici ore
c) riguardare “elementi in materia di amministrazione condominiale in relazione all'evoluzione
normativa, giurisprudenziale e alla risoluzione di casi teorico-pratici”.
Il n.3 dell'art 5 in commento individua poi i cosiddetti “moduli didattici” attinenti le materie di
interesse dell'amministratore.
Deve ritenersi, anche se non viene espressamente detto, che le materie ivi elencate debbano
essere obbligatoriamente incluse nei programmi dei corsi, anche se ovviamente nulla osta a
che vengano previsti materie o argomenti ulteriori rispetto a quelli espressamente elencati
dalla norma, così come, del resto, anche il numero di ore può essere superiore a quello minimo
previsto dalla stessa norma.
Orbene queste materie che possiamo definire “obbligatorie”, riguardano moduli didattici
attinenti le materie di interesse dell'amministratore quali:
a) l'amministratore condominiale con particolare riguardo ai suoi compiti e ai suoi poteri;
b) la sicurezza degli edifici con particolare riguardo ai requisiti di staticità e di risparmio
energetico ai sistemi di riscaldamento e di condizionamento agli impianti idrici agli impianti
elettrici agli ascensori e ai montacarichi alla verifica della manutenzione delle parti comuni e
alla prevenzione incendi
c) le problematiche in tema di: spazi comuni regolamenti condominiali, ripartizione dei costi in
relazione alla tabelle millesimali
d) I diritti reali con particolare riguardo al condominio negli edifici e alla proprietà edilizia
e) la normativa urbanistica con particolare riguardo ai regolamenti edilizi, alla legislazione
speciale delle zone territoriali di interesse per l'esercizio della professione alle disposizioni sulle
barriere architettoniche
f) i contratti e in particolare quello d'appalto quello di lavoro subordinato
g) le tecniche di risoluzione dei conflitti
h) l'utilizzo degli strumenti informatici
i) la contabilità
L'ultima parte del punto 2) dell'art 4) del decreto prevede che il responsabile scientifico debba
attestare il superamento con profitto di un esame finale sui contenuti del corso di formazione e
di aggiornamento seguito dai partecipanti.
Il regolamento lascia ampia discrezionalità in ordine alle modalità con cui deve essere
sostenuta tale prova, anche se sembra opportuno suggerire la previsione di un test teorico
scritto e di un esame orale/pratico.
Non viene invece previsto alcunché in ordine ai minimi di presenza ai corsi.
Lo stesso art 4 al punto 2) precisa che il responsabile scientifico stabilisce le modalità di
“rilevamento delle presenze”, ma appare evidente che, se il corso deve essere ex lege
articolato in un numero minimo di settantadue ore, il responsabile scientifico non abbia il
potere di stabilire un minimo di frequenza inferiore al minimo di settantadue ore e quindi sia
richiesta la presenza a tutti i moduli, sia teorici che pratici, a meno che l'organizzatore non
abbia programmato un numero di moduli superiore al minimo.
Il punto 5) del comma cinque precisa che i corsi di formazione e di aggiornamento possano
essere svolti anche in via telematica ma in questo caso l'esame finale deve svolgersi nella sede
individuata dal responsabile scientifico. Da tale previsione si evince che, anche in questo caso,
l'esame non potrà essere comunque svolto on line.
Il punto 4 dell'articolo cinque del decreto in commento prevede che debbano essere comunicati
al ministero della giustizia non oltre la data di inizio del corso tramite posta certificata a un
indirizzo di posta elettronica che verrà tempestivamente indicato sul sito del ministero della
giustizia l'inizio di ciascun corso, le modalità di svolgimento, i nominativi dei formatori e i
nominativi dei responsabili scientifici Va rammentato che la norma in questione riguarda tanto i
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corsi di formazione iniziale quanto le attività di aggiornamento annuale. Sulla scorta di tale
considerazione si porrà anche il problema di quale valore giuridico possa essere attribuito a
corsi frequentati dopo l'emanazione del decreto destinazione Italia, che prevedeva la necessita
dl possesso di requisiti al momento non determinati ma prima della entrata in vigore del
regolamento ministeriale ai fini del possesso del requisito della formazione per la validità della
delibera di nomina.
E' infatti quasi certo che i corsi frequentati non siano in tutto o in parte conformi sotto i, profilo
del monte ore e delle materie “obbligatorie” al dettato regolamentare per quanto concerne le
materie studiate e per la validità della prova finale (ammesso e non concesso che sia stata
sostenuta) ed è assolutamente certo che non lo siano per quanto attiene la esistenza del
responsabile scientifico e di formatori in possesso dei requisiti di legge. Sarebbe logico ritenere
che coloro i quali abbiano frequentato corsi siffatti, organizzati senza attendere l'emanazione
del regolamento attuativo, debbano, al fine di munirsi dei requisiti di legge, necessariamente
frequentare altro corso conforme ai dettati normativi.
Rimane aperta una questione: chi nomina il responsabile scientifico? Chi verifica la presenza
dei requisiti in capo ad esso e ai formatori da lui designati? E ancora: chi vigila sul rispetto
delle norme stabilite dal regolamento e sulla conformità dei corsi a tali norme? E infine: il
responsabile scientifico può anche rivestire la qualità di formatore?
Si legge nella relazione illustrativa del provvedimento a pagina 4) che la normativa primaria di
riferimento (l'art 71 bi disp att.cc) non introduce alcuna previsione in merito a registri albi o
controlli, che comunque comporterebbero per lo Stato ulteriori oneri per l'espletamento delle
relative incombenze e dall'altro lato che comunque lo stesso il codice civile prevede un sistema
di sanzioni poiché i requisiti di professionalità e onorabilità di cui alle lettere a) b) c) e d) non
possono essere in alcun modo derogati e rendono invalida la nomina di un amministratore che
si trovi una delle situazioni vietate “comportandone l'immediata cessazione dell'incarico”.
Quest'ultimo rilievo non sembra però giuridicamente corretto perché la cessazione automatica
dall'incarico è prevista solo per i requisiti di cui alle lettere a) b) c) e d) e non per i requisiti di
cui alle lettera e), quelli cioè afferenti la professionalità. Per completare questa disamina, va
rammentato che l'ultimo comma dell’art. 71 bis disp. att. c.c. precisa che coloro i quali abbiano
svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno nell'arco dei tre anni
precedenti alla data di entrata in vigore della “presente disposizione” possano svolgere
l'attività di amministratore anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo
comma, Si tratta di una previsione ragionevole posto che non sarebbe logico precludere ad
amministratori non provvisti di diploma di scuola secondaria superiore che svolgono l'attività
da molti anni la possibilità di continuare a svolgerla o costringerli a tornare sui banchi di scuola
per munirsi del necessario titolo di studio.
Quindi questi soggetti possono anche essere sprovvisti del titolo di studio e non avere
frequentato un corso di formazione iniziale. Va sottolineato peraltro che anche per questa
categoria piuttosto diffusa di amministratori professionisti non diplomati, ma ”veterani”, è
previsto l'obbligo di formazione periodica e anche questa previsione appare condivisibile,
proprio perché si tratta di soggetti talvolta dotati di una preparazione di base inadeguata ai
sempre più numerosi e delicati compiti e nel contempo refrattari a frequentare corsi di
formazione necessari per la loro professionalità.
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Immobili
ed impianti


Impianti «fuori norma», il rogito rimane valido
Emiliano Sgambato, Dario Aquaro, Il Sole 24 ORE – Norme e tributi, 2 ottobre 2014
Gli obblighi sulla certificazione energetica degli edifici hanno guidato, in questi ultimi anni, a
una maggior attenzione verso il tema della conformità degli impianti alle norme di sicurezza. «
Un corollario importante: acquirenti e venditori sono molto più consapevoli e il discorso
dell'impiantistica, prima più spesso sottovalutato, viene ora tenuto in gran conto – spiega
Piercarlo Mattea, del Consiglio Notarile di Milano –. A differenza dell'Ace (l'Attestato di
certificazione energetica che individua la classe di appartenenza dell'immobile, dalla A alla G a
seconda dei consumi, ndr) la cui menzione è obbligatoria, non c'è legge che imponga di dar
atto di tale conformità nel contratto di compravendita. D'altra parte lo stato degli impianti non
influisce sulla commerciabilità di un immobile. Ma per evitare future contestazioni relative ai
vizi della casa e alla responsabilità di provvedere alla messa a norma, è opportuno che sia nel
preliminare di compravendita sia nel definitivo venga esplicitato che le parti sono a conoscenza
della conformità o meno».
Ma di quale conformità parliamo? Gli impianti esistenti (elettrici, termici, idrici, eccetera)
dovrebbero essere tutti a norma. I requisiti sono però variati nel tempo e di conseguenza
possono essere diverse le prescrizioni da osservare. Il principio generale prevede che gli
impianti siano conformi alla normativa vigente all'epoca in cui sono stati realizzati, rifatti o
adeguati. Se precedenti al 13 marzo 1990 (entrata in vigore della legge 46/90) devono
rispettare alcuni criteri minimi come il "salvavita" e la "messa a terra" nel caso di impianti
elettrici. Se successivi a quella data, devono – anche dopo l'entrata in vigore del Dm 37/08 che
ha sostituito la legge 46/90 – essere adeguati alle norme Uni e Cei in vigore al momento dei
lavori. «Per gli edifici di nuova costruzione si deve tener presente che, se gli impianti non sono
conformi alle norme di sicurezza, non viene rilasciata l'agibilità e l'edificio non può essere
utilizzato. Le eventuali certificazioni – prosegue Mattea – non devono comunque essere
allegate al rogito, ma consegnate (insieme all'eventuale libretto di uso e manutenzione) alla
parte acquirente in occasione della stipula dell'atto di compravendita».
La legge consente però che siano oggetto di compravendita immobili con impianti non a norma
o in ogni caso "non garantiti conformi". La conformità non influisce infatti sulla commerciabilità
giuridica ma, così come il certificato di agibilità, incide sulla parte economica. Un aspetto che,
unito allo necessità di far subito chiarezza sul soggetto responsabile dei necessari
adeguamenti, impone che lo "stato di cose" risulti dal rogito o ancor prima dal compromesso.
Se gli impianti sono conformi, il venditore lo dichiara in atto e presta la relativa garanzia: ogni
responsabilità per eventuali incidenti causati dall'impianto ricade sull'impresa che ha eseguito i
lavori di realizzazione o adeguamento e che deve essere dotata di copertura assicurativa. «
Quando invece gli impianti non sono conformi – spiega il notaio Mattea – bisogna verificare la
volontà delle parti. L'acquirente può chiedere la messa a norma e quindi il rinvio della stipula
del definitivo al momento in cui saranno completati i lavori di adeguamento. O può accettare
un immobile con impianto non in regola, perché ad esempio intende comunque ristrutturarlo e
così facendo ottiene uno sconto sul prezzo».
FIAIP News24, numero 14 – ottobre 2014
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Allo stesso modo, se il venditore non conosce lo stato degli impianti e non è in grado di definire
la conformità, l'acquirente può accettare l'acquisto assumendo l'onere della verifica e di un
eventuale adeguamento (anche qui "ridiscutendo" il prezzo) oppure pretendere la verifica dello
stato degli impianti, la loro messa a norma o – in caso di conformità – la dichiarazione di
rispondenza. Quest'ultima, resa sempre da un professionista abilitato, è possibile solo per gli
impianti eseguiti prima del 27 marzo 2008 (entrata in vigore del Dm 37/08).
Regole «variabili» secondo l'età dell'impianto
1
I paletti della legge 46/90
I requisiti di conformità sono variati nel tempo e quindi diverse erano le prescrizioni da
osservare, a seconda che si trattasse di impianti realizzati prima o dopo il 13 marzo 1990 (data
di entrata in vigore della legge 46/1990, Norme di sicurezza per gli impianti)
2
Gli impianti obsoleti
Per gli impianti realizzati prima del 13 marzo 1990 non vi era l'obbligo di totale rifacimento
dell'impianto ma più semplicemente l'obbligo di adottare alcuni accorgimenti minimi di
sicurezza: ad esempio per gli impianti elettrici venivano richiesti la messa a terra e
l'installazione del "salvavita"; questi impianti dovevano essere adeguati entro il 31 dicembre
1998)
3
Dopo il 1990
Gli impianti successivi al 13 marzo 1990 dovevano (anche dopo l'entrata in vigore del decreto
37/2008 che ha sostituito la legge 46/1990) essere integralmente realizzati secondo le norme
UNI e CEI in vigore al momento dell'esecuzione dei lavori. Le stesse norme devono, inoltre,
essere applicate anche per gli impianti da realizzare in futuro.
4
Il principio base
Dal sistema normativo vigente emerge un principio: per l'utilizzo di un impianto è necessario
che lo stesso sia conforme alle norme di sicurezza vigenti all'epoca di realizzazione o
adeguamento (o ai criteri minimi posti per gli impianti ante 13 marzo 1990)
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Casi pratici
 Immobili
 LA CESSIONE DEL CONTRATTO SI INDICA NEL MODELLO RLI
D. A, B e C sono comproprietari di alcuni immobili locati con regolare contratto registrato. Al
termine di una serie di atti di trasferimenti immobiliare, detti immobili risulteranno parte in
comproprietà tra A e B e parte in esclusiva proprietà di C.È necessario presentare all’agenzia
delle Entrate il modello RLI per comunicare le relative variazioni di titolarità dei contratti di
locazione, oppure non è necessario in quanto le modifiche sono relative a trasferimenti
immobiliari già oggetto di registrazione all’agenzia delle Entrate?In caso sia necessario
presentare il modello RLI, va fatto anche il pagamento di 67 euro a titolo di imposta di
registro?
----R. La compravendita dell’immobile locato comporta automaticamente il subentro
dell’acquirente sia negli obblighi che nei diritti derivanti dal contratto di locazione: pertanto,
tale soggetto si trova esattamente nella stessa posizione assunta dal contraente originario,
senza che sia necessario stipulare un apposito atto di cessione del contratto. In buona
sostanza, il subentro è previsto dalla legge. Il subentro dell’acquirente (automatico) nel
contratto di locazione si realizza anche nell’ipotesi di morte del proprietario (articolo 6 della
legge 392/1978) o di cessione di azienda ai sensi dell’articolo 2558 del Codice civile. I locali
uffici dell’agenzia delle Entrate assumono comportamenti spesso differenti (non omogenei).
Tutti richiedono la comunicazione della cessione del contratto (nel caso di specie con la
presentazione del modello RLI), ma non sempre viene richiesto il pagamento dell’imposta di
registro nella misura fissa di 67 euro.
(Nicola Forte, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014).
 L'«APE» È NECESSARIO ANCHE PER NEGOZI E UFFICI
D. Originariamente l'Ace si rendeva obbligatorio per le sole abitazioni in caso di affitto e di
vendita, con indicazioni sugli annunci pubblicitari, mentre per le attività commerciali, quali
negozi e uffici, l'obbligo non sussisteva. A oggi è cambiato qualcosa? Per le attività
commerciali, sussiste l'obbligo di informare l'inquilino e, quindi, di munirsi, preventivamente
rispetto al contratto di locazione, dell'attestato?
----R. Anche per gli affitti e le vendite (e relativi annunci) di immobili commerciali o a uso ufficio,
in generale, è necessaria l’acquisizione dell’Ape, attestato di prestazione energetica
(precedentemente Ace, attestato di certificazione energetica). Sono esclusi dall’obbligo di
dotarsi dell’ Ape – a norma dell’articolo 3, comma 3, del Dlgs 192/2005 – non gli immobili
commerciali e ad uso ufficio ma, esemplificativamente, le seguenti categorie di edifici: «gli
edifici industriali e artigianali quando gli ambienti sono riscaldati per esigenze del processo
produttivo o utilizzando reflui energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili... gli
edifici che risultano non compresi nelle categorie di edifici classificati sulla base della
FIAIP News24, numero 14 – ottobre 2014
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destinazione d'uso di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto
1993, n. 412, il cui utilizzo standard non prevede l'installazione e l'impiego di sistemi tecnici di
climatizzazione, quali box, cantine, autorimesse, parcheggi multipiano, depositi, strutture
stagionali a protezione degli impianti sportivi...». Circa l’obbligo di dotarsi dell’ Ape, l’articolo 6,
comma 3, del citato Dlgs 192/2005 stabilisce poi che «nei contratti di compravendita
immobiliare, negli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso e nei nuovi contratti di
locazione di edifici o di singole unità immobiliari soggetti a registrazione è inserita apposita
clausola con la quale l'acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la
documentazione, comprensiva dell'attestato, in ordine alla attestazione della prestazione
energetica degli edifici; copia dell'attestato di prestazione energetica deve essere altresì
allegata al contratto, tranne che nei casi di locazione di singole unità immobiliari»..
(Rezzonico Matteo, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014).
 L'ASSENZA DI RISCALDAMENTO NON ESIME DALL'«APE»
D. Dal 1980, da quando possiedo una piccola abitazione al mare, non ho mai utilizzato
l'impianto di riscaldamento in quanto la stessa è stata utilizzata esclusivamente per il periodo
estivo. La caldaia, oltre a non essere stata mai utilizzata in quanto per l'acqua calda c'è uno
scaldabagno elettrico mentre la cucina è alimentata con le bombole a Gpl, è stata tolta e allo
stato attuale non esiste impianto di riscaldamento. In caso di vendita o affitto dell'abitazione è
richiesto l'attestato di prestazione energetica? In caso affermativo, l'obbligo sussiste anche per
la sola locazione nel periodo estivo?
----R. In caso di vendita o di locazione - quest’ultima però se soggetta a registrazione a norma del
Decreto del Presidente della Repubblica 131/1986, cioè se di durata superiore a trenta giorni di un appartamento al mare, anche se non dotato di impianto di riscaldamento, è necessario
predisporre l’Ape (attestato di prestazione energetica). In particolare, per l’articolo 6, comma
3, del Decreto legislativo 192/2005, «nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di
trasferimento di immobili a titolo oneroso e nei nuovi contratti di locazione di edifici o di
singole unità immobiliari soggetti a registrazione è inserita apposita clausola con la quale
l'acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione,
comprensiva dell'attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici;
copia dell'attestato di prestazione energetica deve essere altresì allegata al contratto, tranne
che nei casi di locazione di singole unità immobiliari. In caso di omessa dichiarazione o
allegazione, se dovuta, le parti sono soggette al pagamento, in solido e in parti uguali, della
sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 18.000; la sanzione è da 1.000 euro 4.000
per i contratti di locazione di singole unità immobiliari e, se la durata della locazione non
eccede i tre anni, essa è ridotta alla metà…». L’obbligo di dotarsi dell’Ape, sussiste anche per i
relativi annunci (di vendita o locazione) e per le trattative. Senonchè ove l’immobile – come
sembrerebbe nel caso del lettore – sia utilizzato per meno di quattro mesi all’anno, in caso di
locazione, non è necessario inserire negli annunci gli indici di prestazione energetica
dell’involucro e globale dell’edificio o dell’unità immobiliare e la classe energetica
corrispondente. Per l’articolo 6, comma 8, del Dlgs 192/2005 infatti, «nel caso di offerta di
vendita o di locazione, ad eccezione delle locazioni degli edifici residenziali utilizzati meno di
quattro mesi all'anno, i corrispondenti annunci tramite tutti i mezzi di comunicazione
commerciali riportano gli indici di prestazione energetica dell'involucro e globale dell'edificio o
dell'unità immobiliare e la classe energetica corrispondente».
(Rezzonico Matteo, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014).
 Immobili e agevolazioni
 LA «SCRITTURA» NON BLOCCA IL TRASFERIMENTO DEL BONUS
FIAIP News24, numero 14 – ottobre 2014
37
D. In merito al trasferimento della detrazione fiscale per lavori di ristrutturazione sostenuti
sugli immobili venduti, la legge stabilisce che il beneficio viene trasferito al nuovo proprietario
"salvo diverso accordo tra le parti". Come si realizza un accordo tra le parti? Con una clausola
all'interno dell'atto di vendita dell'immobile? In mancanza di tale clausola, una "scrittura
privata" si può considerare un accordo tra le parti?
----R. È nello stesso atto notarile di trasferimento, o in un atto pubblico integrativo e rettificativo
di quello con cui si è venduto il bene, che dev'essere inserita la clausola di mantenimento del
diritto alla detrazione in capo al venditore. Una successiva scrittura privata tra le parti, invece,
non può rivedere il diritto in capo al venditore. Dal 1° gennaio 2012, l’articolo 16-bis del Tuir,
Dpr 917/1986, prevede che, in caso di vendita dell'unità immobiliare sulla quale sono stati
realizzati gli interventi che fruiscono del 36-50 per cento, la detrazione non utilizzata in tutto o
in parte sia trasferita, per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle parti,
all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare. L’opzione per il diritto al mantenimento dei
benefici fiscali in capo al venditore va effettuata direttamente nel rogito di trasferimento del
bene. In caso contrario, il diritto si trasferisce all’acquirente, cui il venditore deve fornire tutta
la documentazione. Una successiva scrittura privata tra le parti non può rivedere il diritto in
capo al venditore, salvo che il diverso accordo tra le parti non venga esplicato in un atto
pubblico integrativo e rettificativo di quello con cui si è venduto il bene.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014).

FOTOVOLTAICO, SÌ AL BONUS PER IL CONIUGE CONVIVENTE
D. In merito al trasferimento della detrazione fiscale per lavori di ristrutturazione sostenuti
sugli immobili donati, le istruzioni stabiliscono che il beneficio viene trasferito al nuovo
proprietario «salvo diversi accordi tra le parti». Come si realizza un accordo tra le parti?
Ritengo con una clausola all'interno dell'atto della donazione. In mancanza di tale clausola, una
"scrittura privata" si può considerare un accordo tra le parti?
---R. Anche le spese inerenti all’installazione dell’impianto fotovoltaico su abitazioni sono
ammesse alla detrazione del 50 per cento. Infatti, l’agenzia delle Entrate, con la risoluzione 22
aprile 2013, n. 2/E, ha ammesso le spese per gli impianti fotovoltaici tra quelle cui si applica la
detrazione del 50 per cento, quali impianti basati sull’impiego di fonti rinnovabili di energia
(lettera H, articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, articolo 1, comma 139, della legge
147/2013, guida al 50% su www.agenziaentrate.it), anche in assenza di opere edilizie, senza
necessità di acquisire una specifica certificazione (qualsiasi certificazione non potrebbe che
attestare il conseguimento di un risparmio energetico dell’edificio). La detrazione si applica
anche in favore del coniuge convivente con il proprietario dell’immobile, che ha pagato fatture
a lui intestate con bonifico bancario o postale.
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE –Esperto Risponde, 29 settembre 2014)  Condominio
 LETTERA DI CONTESTAZIONE PER GLI STERPI NON RIMOSSI
D. Un supercondominio confina con un istituto scolastico privato (costituito da asilo e scuola
elementare), il cui terreno adiacente è incolto e, specie nel periodo estivo, presenta un
notevole quantitativo di vegetazione essiccata e rami d’albero raccolti ed ammassati in punti
diversi, con pericolo d’incendio e rischi per la scolaresca e le abitazioni limitrofe. Quali attività
l’amministratore può promuovere per ottenere la prevenzione incendi?
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R. Sul piano del diritto civile, il proprietario di un terreno, così come il proprietario in genere, è
gravato di un’obbligazione di custodia e manutenzione del bene, per cui si presume
responsabile, ai sensi dell'articolo 2051 del Codice civile, delle situazioni di pericolo, quali ad
esempio, la mancata rimozione di stoppie che possano provocare incendi (per un caso simile si
veda Cassazione civile, sezione III del 12 aprile 2013, n. 8935).Sul piano del diritto pubblico,
per quanto concerne la prevenzione incendi, si ha solitamente un intervento degli enti
comunali che provvedono a richiedere ai proprietari dei lotti la pulizia degli stessi da sterpaglie
e da tutto ciò che è infiammabile al fine di evitare incendi che possano rappresentare un serio
pericolo per la salute dei cittadini. Nel caso di specie, si suggerisce l’invio di una lettera
raccomandata da parte dell’amministratore del supercondominio, che contesti la situazione di
possibile pericolo e chieda la rimozione delle stoppie e dei rami d’albero ammassati. In caso di
mancato riscontro, oltre al ricorso anche in via d’urgenza al giudice ordinario, sarà possibile
segnalare la situazione per un intervento del comune.
(Cesarina Vegni Vittoria, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014)

CHI PAGA IL CONTO NEL CASO DI CONDOMINI MOROSI
D. In un condominio di tre scale (a, b, c) indipendenti sono stati effettuati, nelle scale a e c,
lavori riguardanti ascensori e installazione di "conta calorie". Sono risultate morosità di 2-3
condomini. Se l'eventuale ingiunzione non producesse esito, e la relativa escussione verso i
morosi fallisse, i condomini della scala b sarebbero coinvolti nel ripianamento debitorio per
spese specifiche riguardanti esclusivamente le scale a e c? Dalla risposta al quesito 2473 (« Chi
si deve sostituire al condomino moroso»), pubblicata sull'Esperto risponde 28/2014,
sembrerebbe di no. Chiedo conferma.
---R. Nel confermare il parere espresso nel quesito numero 2473/2014 si sottolinea che così si
concludeva: « Nel caso di specie, bisognerà, altresì, verificare quali delle spese non pagate
spettino a tutti i condomini e quali soltanto a quelli appartenenti alla scala ove si trova la
proprietà esclusiva del condomino in debito».Posto ciò, per stabilire se i condomini della scala
b siano o meno coinvolti nella responsabilità solidale del debito dei condomini morosi delle
scale a e c, sarà necessario verificare se le delibere e i contratti con le ditte per le opere
riguardanti gli ascensori e la contabilizzazione del calore riguardassero ed impegnassero solo i
condomini delle scale a e c. Non essendo sufficiente, a parere di chi scrive, per esentare i
condomini della scala b nei confronti dei creditori, il mero fatto che questi lavori riguardassero
di fatto due gruppi di condomini e non l’intero condominio.
(Cesarina Vegni Vittoria, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014)
 VENDITORE E ACQUIRENTE: L'ONERE DELLE SPESE LEGALI
D. Nel 2002, il condominio che amministro, deliberò di resistere contro la citazione di un
condomino. Nel 2011, il tribunale ha condannato il condomino-attore anche al pagamento delle
spese processuali. L'avvocato difensore del condominio ha chiesto una somma maggiore di
quella liquidata dal Tribunale. Tra il ricorso e la decisione del tribunale ci sono stati due atti
giudiziari e due tra privati, di trasferimento della proprietà. I nuovi proprietari non intendono
partecipare al pagamento delle spese legali perchè la delibera di resistere in giudizio è stata
adottata ben oltre due anni prima dell'acquisto della proprietà. La maggioranza dei condomini
è di parere contrario. Devono partecipare al pagamento delle spese legali così come chieste
dall'avvocato anche i nuovi proprietari? I nuovi proprietari, nella delibera di approvazione della
ripartizione delle spese si sono astenuti.
----R. Dalla formulazione del quesito sembrerebbe che i nuovi condomini abbiano acquistato da
condomini che avevano resistito ad una causa promossa da un altro condomino. Ora si discute
chi fra gli acquirenti (attuali condomini) e i venditori (precedenti condomini) debba partecipare
al pagamento delle spese legali dell’avvocato del condominio. Vi è da premettere che l’articolo
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63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, in parte modificato dalla riforma del
condominio del giugno 2013, ai commi quattro e cinque, così recita: «Chi subentra nei diritti di
un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno
in corso e a quello precedente. Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente
con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa
all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto». Quindi,
quest’ultimo adempimento è importante per liberare il cedente (vecchio condomino) dagli oneri
condominiali. Venendo più specificatamente al caso del lettore, se l’adempimento di
trasmissione della copia autentica del titolo di trasferimento del diritto è stato eseguito e si è
oltre il biennio di solidarietà, si deve ricorrere al principio generale ribadito anche da una
recente sentenza della Corte di Cassazione civile del 2 maggio 2013, n. 10235 per la quale è
«operante il principio generale della personalità delle obbligazioni, con la conseguenza che
l'acquirente dell'unità immobiliare risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte in
epoca successiva al momento in cui, acquistandola, è divenuto condomino e se, in virtù del
principio dell'ambulatorietà passiva di tali obbligazioni sia stato chiamato a rispondere delle
obbligazioni condominiali sorte in epoca anteriore, ha diritto a rivalersi nei confronti del suo
dante causa». Si ritiene, in particolare, sempre seguendo i principi espressi dalla suindicata
sentenza, che la delibera con cui il condominio aveva deciso di resistere alla causa e di
nominare l’avvocato sia costitutiva dell’obbligazione relativa al mandato alle liti da cui discende
l’obbligazione di pagare le spese legali che saranno pro quota a carico del venditore,
condomino al tempo della predetta delibera.
(Cesarina Vegni Vittoria, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014).
 Catasto

LA CABINA ARMADIO NON RICHIEDE VARIAZIONI
D. Alcuni anni fa sono andato ad abitare in un complesso di villette a schiera e ho effettuato,
nella camera da letto, una cabina armadio, con una parete a "elle" e relativa porta. Sono in
regola o devo fare una comunicazione al catasto? Inoltre, nella taverna, dove esiste il locale
caldaia (di 190 per 140 centimetri), oltre alla lavatrice ho inserito un water con motore di
scarico (lavoro effettuato da un idraulico). Anche questo lavoro è da denunciare?
----R. Le modifiche interne segnalate sono marginali e non influenti ai fini catastali, in quanto,
dalla descrizione, non sembrano incidere sulla consistenza catastale né comportare mutamento
di destinazione dell’immobile, per cui non è dovuta una dichiarazione di variazione in catasto.
In particolare, la superficie dell’armadio a muro è attualmente dichiarata in catasto unitamente
a quella della camera da letto. Nel caso l’armadio a muro fosse rappresentato nella planimetria
catastale, salvo riportare una rappresentazione più dettagliata, nulla cambierebbe ai fini della
consistenza. Anche per quanto riguarda l’inserimento di un water in un locale caldaia, nel quale
è già ubicata anche una lavatrice, si tratta di un locale normalmente censito in catasto come
ripostiglio e computato, ai fini della consistenza catastale, un terzo di vano (indipendentemente
dalla superficie), peraltro al pari di un wc. Qualora, invece, il locale caldaia fosse trasformato in
un bagno ordinario, la variazione catastale sarebbe dovuta per far constare che ora si tratta di
un wc, e non più di ripostiglio. La presenza di un secondo o terzo bagno potrebbe incidere sul
classamento catastale. Sicuramente, la variazione catastale può essere presentata in via
facoltativa, qualora, ad esempio, in caso di vendita dell’alloggio, l’acquirente ne manifestasse
l’opportunità.
(Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE –Esperto Risponde, 29 settembre 2014)

NIENTE VOLTURA SE SI CEDONO DIRITTI SUL SOTTOSUOLO
D. Sussiste l'obbligo di procedere alla voltura catastale della cessione del diritto reale di
proprietà sul sottosuolo di un terreno, per fini di sfruttamento minerario, oppure i diritti reali
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sul sottosuolo dei terreni non sono oggetto d’interesse e censimento catastale, in quanto i
relativi atti registrano esclusivamente i diritti reali sul soprassuolo?
----R. Ai fini catastali sono censiti l'uso agricolo del suolo al catasto dei terreni e le costruzioni, sia
interrate che fuori terra, al catasto dei fabbricati. Il censimento è finalizzato a registrare nelle
banche dati catastali il bene, con l’indicazione del reddito dominicale e agrario (in caso di
terreni) e della rendita delle unità immobiliari (in caso di fabbricati), nonché, per entrambe le
tipologie di beni, i soggetti che vantano diritti reali sugli stessi ai fini dell’applicazione delle
imposte immobiliari. Per quanto riguarda i diritti censiti, l’istruzione ministeriale XIV per la
conservazione del nuovo catasto (approvata con il Dm 1° marzo 1949), prevede proprietà,
enfiteusi, superficie, usufrutto e uso, oneri reali (censi, livelli, colonie perpetue eccetera).
Pertanto, la cessione dei diritti di sfruttamento del sottosuolo, pur comportando vari
adempimenti fiscali (registro, trascrizione eccetera) e di altra natura, non è volturabile in
catasto. Diversa è la situazione per la quale, in seguito al conferimento di tali diritti, siano
realizzate sui terreni interessati opere quali aree per depositi di materiali, fabbricati, impianti,
vasche eccetera. In tale evenienza, le opere sono oggetto di censimento al catasto dei
fabbricati. Sorge il problema a chi accatastare gli immobili. Il principio dell’accessione, in
mancanza di un altro titolo valido, farebbe ritenere che il proprietario del suolo sia proprietario
anche delle opere che vi insistono. Nella fattispecie, i fabbricati realizzati potrebbero essere
catastalmente intestati a chi li ha costruiti e li utilizza di fatto (superficiario) e l’area sulla quale
insistono al proprietario (concedente). In carenza di un titolo idoneo per convalidare tale
situazione (che dovrebbe essere la cessione del diritto di superficie), l’iscrizione catastale sarà
integrata con annotazione di riserva (inesistenza di atti legali giustificanti uno o più passaggi
intermedi"), come previsto dalla circolare 1/2009 dell’agenzia del Territorio.
(Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 29 settembre 2014)
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