my walk into Music

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my walk into Music
December 8, 2009
Thoughts about influences music
had (and actually has) in my life.
ProgressiveRock.
Dai Pink Floyd ai
Porcupine Tree,
passando per Marillion, King Crimson,
Camel, ed altri.
DreamPop/DarkWave/ShoeGaze/
PostRock.
Cocteau Twins,
Cure, My Bloody
Valentine, Slowdive,
Mogwai, e ancora.
AlternativeRock.
Tutto il gusto degli
anni ’90 in un percorso non convenzionale.
diego caponera
my walk into Music
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2009 Diego Caponera - [email protected]
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aWalkThroughNineties/alternativeRock
dreamPop/darkWave/shoeGaze/postRock
late60iesToNowadays/progressiveRock
I protagonisti del viaggio
2009 Diego Caponera - [email protected]
MUSICFORLIFE
“Music's the reason why I know
time still exists...” - Elisa
Il ruolo di critico musicale è
ingrato per definizione: che si
predichi distacco in favore di
commento tecnico, o che si
sostenga una partecipazione
emotiva, parte sostanziosa
della platea resterà comunque
insoddisfatta. Pur non essendo
nelle intenzioni quella di presentare una visione vasta ed
enciclopedica dei panorami
presi in considerazione, si è
cercato di minimizzare la componente personale, sia perché
di scarso interesse, sia perché
poco consona alla dimensione
del lavoro prodotto: è lasciato
alla sola Musica l’onere di parlare, e al lettore quello di intendere gli infiniti messaggi in
essa celati. Tre percorsi per tre
anime differenti, tre vie da seguire senza mai smarrire se
stessi né perdere di vista le altre, ognuna con i propri luoghi
comuni da sfatare e con i propri pregi nascosti da scoprire.
Il viaggio inizia con la corrente regina, troppo spesso
accusata, forse da orecchie un
po’ pigre, di eccessivo manierismo e di approccio cervel-
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lotico ed intellettuale - il progressive rock. Ma siete sicuri
che saremmo qui a parlare
senza i signori in copertina?
[Pink Floyd, ndr]. I suoi esecutori sono dotati di tecnica sopraffina, inventiva fuori dal
comune, e visione del mondo
spesso ancora da comprendere a fondo. A dispetto
dell’opinione comune, il genere
ha saputo regalare alcune tra le
pagine più dolci ed intense
della musica contemporanea,
con buona pace del cantautorato internazionale. Il recupero
della suite come forma espressiva, la sperimentazione
sonora, l’avanguardia; certo, la
deriva del tecnicismo si è fatta
strada in più occasioni, ma del
resto è molto difficile pretendere che proprio un artista
rinunci al proprio narcisismo,
specie se suffragato da doti fuori dal comune.
La produzione di tutti i
gruppi che hanno solcato la
scena dalla fine degli anni ’60
ai giorni nostri è talmente vasta
che risulterebbe inopportuno
parlarne anche in questa sede:
rimando alla sezione di competenza per approfondire.
Ad anni luce dal prog
troviamo quella macroarea i cui
confini ideali vanno dal post
punk/dark wave dei Joy Division e dei Cure al post rock dei
Mogwai, passando per le
eteree voci del dream pop di
Cocteau Twins e Dead Can
Dance fino allo shoegaze di
Slowdive e My Bloody Valentine. Strumenti utilizzati in
maniera non convenzionale per
l’epoca, negazione del protagonismo artistico [agli albori
dell’era di Mtv], e tanta malinconia: noir noise.
Per chiudere, un breve excursus nel rock meno scontato,
per quanto abbia saputo ritagliarsi spazio nel mainstream
grazie agli oggettivi meriti artistici - un decennio all’insegna
dei Pumpkins, anima vera degli
anni ’90 senza dover passare
per Cobain o Curtis, sacrifici
più che illustri in nome del motivo per cui, purtroppo o per
fortuna, siamo ancora tutti qui:
signori, sua maestà La Musica.
2009 Diego Caponera - [email protected]
chapter #1
progressiveRock
late ‘60ies to nowadays
01.Pink Floyd
1975
Welcome To The Machine
Impossibile non partire da qui. Possibilmente il gruppo più influente della propria epoca [e di quelle successive, e di quelle che verranno ancora], il viaggio inizia con uno dei loro brani più intensi e solenni,
tratto da “Wish you were here”. Buon cammino..
02.Caravan
Winter Wine
1971
03.Marillion
Kayleigh
1985
04.Alan Parsons Project
Sirius+Eye in the Sky
1982
05.Porcupine Tree
Waiting (Phase One)
1996
Ancora in Inghilterra, per uno gruppi più rappresentativi della scena di Canterbury, corrente del rock
progressivo che si distingue per l’estrema dolcezza dei temi e degli arrangiamenti. Il tema appartiene a
uno degli album più riusciti nel genere, “In the land of grey and pink” dei Caravan. E’ la dimensione più
umana del progressive, che riununcia ad un minimo di psichedelia in favore di un’eleganza rara e nobile.
Sarà difficile abbandonare il Regno Unito, specie con un brano che ha raggiunto vastissimo consenso
popolare come questo. Con Fish alla voce, la prima era dei Marillion scrive vede nascere quel manifesto
della corrente neoprog [e forse di tutta la musica del decennio] che è “Misplaced Childhood”: Kayleigh è
una delle testimonianze più sincere e dolorose di rimpianto, caratterizzata da liriche intense ed arrangiamenti che che si commentano da sé. Dato curioso, il nome proprio eponimo del brano ha subito un
vertiginoso picco di popolarità dopo l’uscita della canzone nell’arcipelago britannico, come accadde in
misura minore per Phaedra dei Tangerine Dream, del resto.
Dall’ingegnere del suono di “Dark side of the moon”, “Abbey Road”, “Atom Heart Mother” nasce un
progetto musicale che segnerà profondamente il modo di fare progressive negli anni ’80. Viene qui presentata la title track di “Eye in the sky”, accompagnata dall’introduzione strumentale troppo spesso tagliata per esigenze video o radiofoniche. Riferimento orwelliani ad un mondo controllato da telecamere,
sebbene il cantante si riferisca alle telecamere a circuito chiuso delle sale da gioco, per un brano che ha
fatto storia grazie al suo suono placido ma deciso, rigoroso nel suo incedere e totalmente onirico però
nella trama ordita dalle chitarre ipnotiche.
Se esiste una figura che ha saputo reinventarsi in maniera [quasi] sempre nuova e coerente con la sua
visione musicale, questa trova forma in Steven Wilson, fulcro creativo dei Porcupine Tree. I detrattori li
confinano a cloni di Wright e soci, privandosi così di uno dei gruppi più eclettici degli ultimi vent’anni.
Waiting, tratta dal manifesto di neo-psichedelica che è “Signify”, vede convivere liriche minimali, arrangiamenti visionari a sostegno di un tema semplice sia per melodia che per essenza. Porcospini che a
tratti sono in grado di pungere, ma che vanno custoditi gelosamente.
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06.Marillion
Easter
1989
07.Porcupine Tree
Dark Matter
1996
08.Marillion
Go!
1999
09.King Crimson
Epitaph
1969
Già incontrati con Fish alla voce, ora tale ruolo è ricoperto da Steve Hogarth. Un brano dalla dolcezza
così pura che non sembra scritto in tempo dispari. “Season’s end” è un disco semplicemente bello.
Ancora porcospini, ancora da Signify - questo è l’atto conclusivo del disco, un crescendo sonoro che
esplode nel tripudio dei tappeti saggiamente tessuti dall’esperto Barbieri, già tastierita dei Japan.
Ancora tema visionario, ancora arrangiamenti di portata superiore, la gelosia non può che aumentare.
Ultima citazione per il gruppo che deve all’epopea tolkeniana il proprio nome - dall’album
“marillion.com”, a testimonianza della lungimiranza comune agli stessi porcospini [che due anni prima
cantavano Every home is wired..], Go! è semplicemente una canzone bellissima. Delicata e virtuosa,
senza mai trascendere nel narcisismo tecnico, qui presentata in una studio-take superiore addirittura
alla versione dell’album. A quasi quindici anni da Kayleigh, il percorso è stato davvero eccezionale.
E’ davvero difficile riferirsi in maniera distaccata al brano più solenne del disco di maggior richiamo di
uno di gruppi più talentuosi di ogni epoca. Epitaph, da “In the Court of the Crimson King”, compie 40
anni, e conseva integro l’estro sublime che ne ha caratterizzato la stesura e l’esecuzione. Robert Fripp
pone in essere la musica sulla quale la voce di Greg Lake [che avrà poi somma fortuna in trio assieme
ad Emerson e Palmer] immortalerà le liriche distopiche e visionarie di Peter Sinfield.
10.Porcupine Tree
2005
Arriving Somewhere, but not Here
Molti esternerebbero disappunto per questa inclusione, specie per la deriva quasi metal del robusto apparato centrale. Tratta da uno dei loro sicuramente di spicco minore [“Deadwing”], il brano è una delle
loro opere meglio riuscite: tripartito, alterna un arpeggio ipnotico con un inciso progressive-metal, per
poi ripartire con l’essenziale tema principale, aiutato da chitarre su più livelli - ospite d’eccezione, Mikael
Åkerfeldt degli svedesi Opeth, non proprio gli ultimi arrivati. Capolavoro.
11.Pink Floyd
Marooned
1994
Si parte con loro, si termina con loro, semplice. Dal loro ultimo atto [“The Division Bell”], l’estasi sonora
raggiunge livelli d’atmosfera ineguagliati.
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chapter #2
dreamPop/darkWave
shoeGaze/postRock
01.Joy Division
Disorder
1979
02.Cocteau Twins
Pandora
1984
03.Dead Can Dance
Avatar
1985
04.The Cure
Homesick
1989
05.My Bloody Valentine
When you sleep
1991
Il testamento di Ian Curtis è stata la pietra miliare di gran parte della musica scritta nei decenni successivi alla sua prematura morte. PostPunk, DarkWave, e mille altre etichette sono state giustapposte al
talento poetico del leader dei Joy Division, ma tutte sono sembrate andargli strette.
Da “Unknown Pleasures”, definirlo manifesto è riduttivo.
Ogni volta che ci si arroga il diritto di attribuire ad un singolo artista o gruppo la nascita di un genere, si
pecca di presunzione. Stavolta con tutta umiltà bisogna riconoscere la paternità del dream pop al
gruppo che ha potuto beneficiare della voce soave ed eterea di Elizabeth Fraser [che ottenne rinnovata
celebrità interpretando alcuni brani di “Mezzanine” dei Massive Attack durante gli anni ’90].
Le liriche del disco trascendono qualsiasi semantica per esporsi come pura eufonia, piacere d’ascolto
massimo per arie delicate e senza tempo, un ‘euforia latente e pervasta a tratti di malinconia.
Mai titolo per un album fu più azzeccato - “Treasure”.
Sarebbe banale affermare che il duo composto da Brendan Perry e Lisa Gerrard rappresenta il lato
oscuro del dream pop; la loro produzione è vasta, le loro influenze [ricevute ed infuse] innumerevoli.
“Spleen and Ideal” è però davvero un icona di decadentismo moderno, con riferimenti chiari sin dal titolo ad esponenti illustri di tale concezione. Il paragone di Lisa con la Fraser è tanto inevitabile quanto
simbolo di stima per la cantante australiana, anch’essa spesso interprete di brani scritti in una lingua
immaginaria, inventata da lei stessa.
Scegliere all’interno del catalogo di Robert Smith è un’opera ingrata, specie alla luce dei vari e differenti
periodo attraversati dal gruppo in 30 anni di carriera. Homesick, da “Disintegration”, raggiunge punte di
malinconia ineguagliate, e chiude la trilogia gotica del gruppo nella maniera più intensa possibile. Brano
cristalllino per suono e cupo per messaggio, è all’apice di quanto prodotto nel decennio.
La musica è spesso caratterizzata da termini buffi, ed il genere cui la band irlandese appartiene ne è
esempio pertinente. La critica li definì “shoegazers” [“che guardano le proprie scarpe”], ad indicare una
voluta segregazione emotiva nei confronti del pubblico, o forse una maggiore necessità di controllo
nell’utilizzo delle fornite pedaliere, così fondamentali nel tessere le masse sonore distorte caratteristica
principale del genere. Il loro disco più celebre, “Loveless”, è a dispetto di ogni considerazione il vero
paradigma per tutti i gruppi che hanno voluto scrivere musica con lo sguardo rivolto ai piedi.
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2009 Diego Caponera - [email protected]
06.Slowdive
Celia’s Dream
1991
07.Mogwai
Tracy
1997
08.Sigur Rós
Svefn-g-englar
1999
Possibilmente, il punto d’incontro assoluto tra shoegaze e dreampop. Trame vocali eteree a cospetto di
chitarre distorte, la loro produzione è sopraffina e trova l’apice in “Just for a day”, cornice preziosa in cui
ritrarre le liriche di Rachel Goswell, anch’essa erede di una certa Elizabeth, guarda caso.
Durante il sensibile salto temporale, si ha testimonianza della nascita di un nuovo genere - il post rock è
la negazione del rock tradizionale, e vede il ruolo di ogni strumento totalmente stravolto: chitarre che
tessono lunghi tappeti, percussioni non più gregarie ma euforiche, interventi vocali spesso assenti o
relegati al minimo necessario. Di tale espressione musicale sono alfieri indiscussi gli irlandesi Mogwai,
che con il loro “Young Team” scaldano unanimemente la critica. Intimo e crepuscolare.
Ogni parola si cerchi di attribuire al prodigioso gruppo islandese è buona candidata a considerarsi fuori
luogo. La terra del ghiaccio e del fuoco regala un tepore vivido ma cosciente, sia alla mente che al
cuore. Il loro “Ágætis Byrjun” è una raccolta di idilli senza tempo, ora sinfonici, ora postrock, ma sempre
lontani da qualsiasi etichetta. Lasciatevi rapire.
09.Godspeed
2000
YouBlackEmperor! - Static
You can’t spell post rock without GybE!. Uno dei gruppi più influenti della scena spinge la forma compositiva oltre la semplice canzone, e scrive suite di profondità e struttura uniche. Dal loro doppio album
“Lift your skinny fists like antennas to heaven” uno dei cinque [llunghissimi] brani inclusi, tra incisi noise,
velleità orchestrali, distorsioni tonali, euforie percussive in crescendo. God[speed] bless Canada.
10.Explosions in the Sky
Yasmin in the Light
2001
11.God is an Astronaut
Zodiac
2008
Dopo un decennio abbondante di postrock, è facile cadere nel manierismo e nell’interpretazione
sistematica dei dettami del movimento. La formazione americana invece riesce a trovare una dimensione propria, tenendo fede al proprio nome e ponendo in essere vere e proprie esplosioni sonore dopo
momenti di quiete. La dicotomia tra istanti di pura distorsione e ritmiche euforiche contrapposti ad altri
di dolcezza e torpore sono l’elemento caratterizzante di “Those Who Tell The Truth Shall Die, Those Who
Tell The Truth Shall Live Forever”, disco davvero di rilievo.
La terra di San Patrizio sembra essere fonte di massima ispirazione per la corrente. Il trio irlandese, le
cui esibizioni sono sempre corredate da proiezioni autoprodotte e giochi di luce molto curati, interpretano il genere d’appartenenza con diligenza ma concedendosi talvolta derive proprie degli artisti elettronici più sostenuti. Dall’eponimo “God is an Astronaut” un brano eclettico e frizzante, a contrastare
l’opinione comune per cui questa corrente sia solo malinconia e tedio.
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chapter #3
alternativeRock
a walk through nineties
01.Smashing Pumpkins
Mayonaise
1993
02.Catherine Wheel
Strange Fruit
1993
03.Garbage
Milk
1995
04.Smashing Pumpkins
1979
1995
05.K’s Choice
Not an Addict
1996
Il vento di Chicago spira deciso su tutta la decade, e ne pervade la produzione in maniera inconsapevole. Alla seconda uscita, Billy Corgan e soci [James Iha, D’Arcy Wretzky, e Jimmy Chamberlin]
hanno già scritto quel manifesto che è “Siamese Dream”, in equilibrio tra shoegaze, noise e rock più ordinario. La traccia proposta è eco del passato in un presente troppo stretto per la bellezza che emana.
Ancora in bilico tra le proprie scarpe ed il rock propriamente detto, un gruppo che ha raccolto dalla
critica meno di quanto non abbia sapientemente seminato. Lavori di carattere ed atmosfera, nei confronti dei quali gruppi sufficientemente influenti della scena indie del decennio successivo [Interpol,
Death Cab for Cutie] si sono dichiarati debitori. Da “Chrome”, secondo episodio della band britannica
che seppe portare l’etereo nel rock.
Ci sono gruppi che indicano chiaramente nella loro dichiarazione di intenti la volontà di fare musica non
troppo impegnata. Il progetto di Butch Vig, nelle sue trame di plastica, si concede momenti raffinati
come nel brano suggerito, dal disco di esordio “Garbage”. Il gruppo ha sempre puntato su temi energici
ed arrangiamenti affabili, affidando il compito vocale a quel sex-symbol inarrivato che è Shirley Manson:
i suoi 43 anni sono un beffardo scherzo anagrafico, ineguagliata per presenza scenica, bellezza, impatto
vocale, sensualità, e infinite altre doti fino a trascendere nell’apologetico. Culto.
Dal culto femminile a quello maschile: Corgan, pienamente cosciente delle proprie doti, segna la metà
degli anni ’90 col manifesto crepuscolare del decennio, quell’album doppio che risponde al nome di
“Mellon Collie and the Infinite Sadness”; prima il viaggio dall’alba al tramonto con Dawn to Dusk, poi dal
crepuscolo al cielo stellato con Twilight to Starlight, gli Smashing di metà decennio sono protagonisti di
un lavoro eccellente per ambizione e risultato finale. Scegliere un brano rappresentativo del disco fornisce una visione parziale, impossibile non perdersi nell’opera intera di Corgan e soci.
Intima e decisa, la band belga fondata dai fratelli Sarah e Gert Bettens vede nella voce della propria
cantante la caratteristica più pecualiare: un timbro arioso ma soffuso, un tono meno sostenuto cui bisogna prestare maggiore attenzione, quindi. “Paradise in me” è il disco della maturità - a dispetto del
successo moderato, non ha nulla da invidiare a produzioni assai più celebri; canzoni d’autore, ora quasi
folk, ora più rock, entra di diritto nei lavori di spicco della sua epoca.
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06.Foo Fighters
Everlong
1997
07.Silverchair
Satin Sheets
1999
08.Smashing Pumpkins
Stand inside your Love
2000
09.Interpol
PDA
2002
10.Placebo
The Bittter End
2003
11.A Perfect Circle
Passive
2004
L’eredità di Dave Grohl, ex batterista dei Nirvana, è oggettivamente pesante. Il suo talento di polistrumentista emerge però, e lo porta a fondare uno dei gruppi di maggior impatto nel panorama rock di fine
secolo. “The Color and the Shape” brilla di luce propria ed offre un rock genuino, intenso, dagli spunti
compositivi mai banali. Astenersi femminucce.
Curioso come un progetto relativamente lontano dalla scena musicale di rilievo, almeno geograficamente, riesca a regalare un’istantanea così fedele di quanto accaduto nel decennio ormai al termine;
“Neon Ballroom” annovera elementi post grunge, ballate al limite del manierismo e sfuriate inattese
come il brano proposto. Disco omogeneo ed intenso, ha il merito di regalare arrangiamenti curati
all’anima altresì raschiante del gruppo.
Non era proprio possibile prescindere dal citare per l’ultima volta un lavoro delle zucche: un concept
partorito dalla mente di Corgan che risulta essere il testamento artistico degli Smashing, la cui formazione poi si smembra ulteriormente e non trova più i fasti di un tempo, sebbene provi una parziale reunion. Il vigore in “Machina” è quello di un tempo, dopo aver ritrovato il caro Chamberlin alla batteria, assente nel precedente Adore; grazie di tutto, zucche, davvero.
Una formula non scritta nella musica è quella per cui bisogna attendere almeno 20 anni prima di riattingere copiosamente da influenze passate. C’è invece chi si ispira sapientemente, e scrive musica eccellente pur palesando il proprio debito: la band indie newyorkese, come va di moda dire ora, non nasconde il proprio tributo al genio di Curtis e dei suoi Joy Division, e con “Turn on the bright lights” scrive
una di quelle che a posteriori sarà considerata una pietra miliare del primo decennio del secolo.
La figura androgina di Brian Molko guida una delle band più influenti del panorama rock a cavallo della
fine del secolo; la produzione alterna ballate romantiche a brani assolutamente energici come quello
presentato, da “Sleeping with ghosts”, per un opera di grande impatto e successo.
Noti nel contesto nazionale per la performance live a Sanremo, che ha visto il cantante terminare l’esibizione fracassando la propria chitarra - velleità da divo o sintomo di inadeguatezza al contesto?
La spirale ostinata ed infinita ordita con il progetto principale di Maynard Keenan, quello dei Tool, trova
chiusura e compimento nel cerchio perfetto, supergruppo che ha saputo produrre dischi sopraffini e
soprattutto nuovi - ritmiche e timbriche miscelate con maestria consacrano gli APC come interpreti tra i
migliori del nuovo decennio, ed “eMOTIVe!” è uno degli esempi migliori da loro offerti. Un rock che
strizza l’occhio al nu metal, senza ereditarne l’intrinseca aridità. Eccellenti.
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