Occhi chiusi, vedo. Tendìne di pelle riflettenti immagini. Cupi e

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Occhi chiusi, vedo. Tendìne di pelle riflettenti immagini. Cupi e
DARIA
Occhi chiusi, vedo. Tendìne di pelle riflettenti immagini. Cupi e incantati, profondi e infiniti, si
infittiscono in lungo e in largo, i boschi. Quelli della mia anima filtrano i raggi del sole, creando una
nebbiolina fine.
Quando cala l' introspezione tutto si scurisce, e con essa cala il mistero, calmo e freddo. Battiti,
forti e vibranti, fan tremare le membra. Tamburi e violini, sonagli e canti, melodie celtiche
avvolgono l'aria pungente. Le radici, forti e possenti, vengono nutrite dal terreno, i fusti, alti e fini,
creano giochi nella mente.
Il bosco è vuoto, il bosco è pieno, di me, del mio respiro e dei miei battiti. Porgo il volto al cielo,
freddo e così vivo. Il manto stellato lo illumina, e poi chino; il terreno e i piedi nudi, morbido e così
inerte, si anestetizza il tatto. Mi dissolvo e fluttuo, sono insita in ogni dove, fra i funghi e la rugiada,
fra i rami che toccano il blu e le venature delle foglie, fra i petali e i fili d'erba, fra i sassi e gli aghi di
pino, fra la corteccia e il muschio, fra la terra e il cielo. Anima e corpo, sfusi e uniti, eterea l'aria e
denso il corpo.
Verdi e poi rosse, mutano le foglie in un battito di ciglia. A terra, tante, seguono un percorso verso
mondi antichi, fra ponti e ruscelli. Da esse mi lascio condurre, e la musica diventa sempre più
intensa. Ruote avanzano, e i rami caduti si spezzano al loro passare. Risate, canti e ululati, una
taverna all'orizzonte e occhi brillanti tutt'intorno.
Voltando lo sguardo indietro, appare ai miei occhi una quercia. Chiede, di essere raggiunta, e il
richiamo diventa sempre più forte della curiosità di avanzare. Così faccio, regredisco. Passo dopo
passo il terreno cede. Proseguo velocemente per non cadere, e arrivata ai piedi del maestoso
albero, le mie braccia si sentono spinte ad allargarsi, per poi chiudersi in un abbraccio: mi nutro e
nutro, linfa vitale. Energie estranee si mettono in circolo e i possenti rami si protraggono in avanti.
Mi raggiungono, da sotto i piedi mi sollevano. E ancora volo, socchiudo gli occhi e abbandono i
sensi, mi sento nuovamente tutt'uno con la natura.
L'albero mi parla. Mi culla con le sue fronde e con la sua voce, cupa e grave, che ha il potere di
entrarti in profondità, echeggiando come un pensiero nella mente. Il suo invito è quello di
schiudere gli occhi affinché io possa ammirare da vicino il cielo, con la sua grande luna piena e il
suo sconfinato ammasso di stelle. Sempre più su verso l'infinito mi erge, e dall'alto del mondo
contemplo i vasti campi e le enormi scogliere all'orizzonte. "Vola!" e come un'aquila dalle grandi ali
e dalla vista impeccabile, mi libro e osservo gli spazi ampi e aperti sottostanti. Ecco come
dovrebbero essere i pensieri degli uomini: dovrebbero salire in alto come fanno le aquile.
Le ali incominciano a pesare, spostano l'aria a fatica... quelli che sembravano minuti sono diventati
ore, a perlustrare la zona. Viro e poi giù, in picchiata. Le piume brillano sotto la luce della luna,
l'aria incomincia a scaldarsi accarezzando e avvolgendo il mio corpo, brividi lo percorrono. Arrivata
quasi al suolo, l'intensità del volo incomincia a diminuire. Sei, cinque, ruoto il corpo
orizzontalmente, quattro, tre, in posizione eretta, due, uno, i piedi atterrano al suolo, zero,
accovacciata in ginocchio chiudo le ali, sino a coprire la testa. Quelle che prima erano piume, ora
sono veli adagiati sul capo.
Con movimenti lenti mi risollevo, sgranchisco gambe e polsi e mi volto indietro: lì dove c'era la
grande quercia, ora c'è un sentiero. Un arco. Il sentiero è incorniciato da edere e gelsomini, il cui
odore mi inebria a metri e metri di distanza. Quasi come se avessero un' aroma in grado di
influenzare il pensiero di chi ne sente l'odore e attrarlo, mi sento spinta dal desiderio di passarci
attraverso. Più mi avvicino e più i suoni si attutiscono. Uno... due... tre! Attraversato. I suoni si sono
infranti, silenzio totale, nulla. Il cuore, tonfi pesanti, il respiro, sibilo cavernoso. La testa gira,
nausea e svenimento.
Silenzio nero, e poi ovatta bianca, l'udito si sta risvegliando. Ogni piccola parte del mio corpo
sembra essersi intorpidita. Mi sento come se mi fossi appena svegliata da un letargo infinito e
quasi non ricordo dove mi trovo o chi sono. Il puzzle delle rimembranze si riassembla, e l'ultimo
ricordo dall'inconscio viene pescato.
Per un istante la nausea sembra ancora essere presente. Apro gli occhi, e dal cielo una pioggia di
petali, dai mille colori, mi dà il benvenuto. Il sole alto nel firmamento acceca e riflette nei miei occhi
giochi di luce: dischi dal colore di un arcobaleno e filamenti trasparenti che come dragoni, fluttuano
e sfuggono al mio sguardo. Prima su e poi giù fino a sparire, e infine a riapparire in un altro
punto. Una nuvola gioca a rincorrere il sole e a coprirne la sua bellezza.
La visione ora è nitida e pulita. Mi volto in cerca del punto d'entrata e aldilà dell'arco il bosco è
ancora come l'ho lasciato. Notte fonda.
Riacquisito l'udito totalmente, percepisco in lontananza lo scrosciare dell'acqua.
Proseguo nel sentiero che si nasconde dietro grandi rocce ricoperte di muschio, più avanzo, più
scopro che cosa si cela fra queste montagne.
Arrivata nelle vicinanze delle rocce riesco finalmente a scorgere il paradiso che si nascondeva
dietro di esse: un'ampia radura ricca di vegetazione, incorniciata da rovi rigogliosi di rose, e rocce,
che riflettono i colori del tramonto, attraversate da una rete di specchi d'acqua. Con fatica percorro
la strada in discesa, provando a dirigere il peso del mio corpo sui talloni e a indietreggiare
leggermente con la schiena. Con meraviglia scopro, arrivata alla fine del dirupo, che nascosta
dietro alcune boscaglie, sgorga e imperversa dall'alto di una rupe, un'ampia e larga cascata.
Precipitando confluisce in un lago dalle acque limpide, creando una nube di goccioline per la forte
pressione che esercita sul pelo dell'acqua. Si crea in questo modo una sorgente naturale, un
diamante incastonato nella montagna, pietra grezza. Mi immergo nelle acque dense che mi
solleticano il corpo, e lo ricoprono. La sensazione che provo è di una seconda pelle, una
membrana inconsistente. Indossato il manto d'acqua, mi ci tuffo completamente. Mi inabisso e
apro gli occhi, nel fondale pietre e gemme preziose. Il lago, uno scrigno.
L'ossigeno sta per terminare. Un bagliore diffuso si sprigiona. Emergo con un lungo balzo fuori
dalle acque, spinta da una forza sovrumana. Dentro, un manto d'acqua, fuori, una pelliccia
nera. Ora mi ritrovo ricoperta di peli, i denti affilati forgiati come spade. Gli occhi hanno mutato il
loro colore, dal marrone all' arancio.
Con gli artigli affondo nel terreno, faccio leva sulle zampe posteriori, spingo e corro.
Sfreccio, ripercorro la stessa strada da dove sono venuta, non so cosa mi stia guidando. L'istinto.
Galoppo sfrenata verso la libertà. Creatura della notte, a lei appartengo e da lei ritorno. Varco
l'arco e precipito. Un salto nel vuoto, giù nel burrone. Trascinata dalla forza gravitazionale,
percepisco le vertigini e l'adrenalina sale.
Carponi al suolo, il viaggio è quasi terminato. Ululati alla luna rossa, i loro occhi mi salutano, non
ne ho più le sembianze ma sono ancora una di loro, il branco della notte. Sgattaiolo fra le chiome,
mi faccio spazio fra i fusti e saluto il bosco.
Mi manca un’ ultima cosa da fare per sentirmi completamente viva. Li muovo, gli arti e i fianchi.
Danzo, giro e mi contorco, sposto l'aria e calpesto la terra, i capelli si scuotono, ballano anche loro.
Tutto gira, e come un vortice si richiude nel suo punto di origine, così il bosco si richiude e piomba
su di me, caduta al suolo, sfinita, inerme, stesa. Il petto si solleva e si riabbassa, il fiato corto e le
membra stanche. Apro gli occhi, nella mia mente vivo la magia che la realtà mi priva. Vivo.