Quella sera che arrivò la tempesta sullo scoglio senza

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Quella sera che arrivò la tempesta sullo scoglio senza
Quella sera che arrivò la tempesta sullo
scoglio senza approdi
Il guardiano del faro/23. Verso le 18, da ovest era spuntata una muraglia negra e
gonfia che mi aveva colto di sorpresa. Uno spettacolo tremendo: era come un
temporale in montagna solo che lì non c'era riparo. Le saette cadevano in mare
di PAOLO RUMIZ
Annunciato da odore di ozono, il temporale scaricò la prima bordata in orizzontale, più o meno a
cinquanta metri sul livello del mare. Ma subito il serpente di fuoco cambiò strada, si alzò come una
testa di dragone e ricadde sul tridente piantato in cima alla lanterna. Saranno state le 18. Da Ovest
era arrivata a velocità impressionante una muraglia negra e gonfia, che mi aveva colto di sorpresa
mentre ero a caccia di capperi sul promontorio orientale.
Uno spettacolo tremendo. Stava arrivando Giove in persona, su una quadriga indemoniata. Mi ero
messo a correre a perdifiato per non farmi prendere dal diluvio. Poi c'era stato un momento di
pausa. Mentre ansavo verso il faro, all'ultima curva del sentiero, nel punto in cui è possibile vedere
entrambi i mari, mi ero accorto che i gabbiani non volavano più. Erano tutti nei nidi, butteravano di
bianco la brughiera. Era la prima volta che accadeva.
La zampata arrivò in quell'attimo, in perfetto silenzio. Artigliò la cuspide della torre, poi si ramificò
all'esterno della gabbia metallica attorno alla lampada, fece un crepitio simile a quello di un rogo di
legna resinosa, infine sparò il tuono, mentre lingue di fuoco azzurro scendevano lungo i
parafulmini, giù per i muraglioni, fino alle rocce basali. I peli delle braccia mi si erano alzati, e se
avessi avuto i capelli probabilmente li avrei avuti dritti. Era come un temporale in montagna, solo
che lì non c'era riparo, la folgore mi circondava da ogni lato.
Non riuscivo a muovermi, ipnotizzato dallo spettacolo. Alcune saette cadevano in mare formando
aloni verdastri, altre si accanivano contro lo scoglio solitario, con strana lentezza, come se
cercassero un buco dove nascondersi. Una serpeggiò a lungo nel precipizio a Sud della stazione
meteo. La roccia calcarea e la dolomia era piena di caverne e anfratti che impedivano alla tensione
elettrostatica di esaurirsi in fretta. Per questo i temporali erano così devastanti.
Quanti misteri. Su quell'altare di pietra era già apparso, una notte, il diadema dello Scorpione. Poi,
nascosta in un nome antico, si era svelata la Salamandra. Ora spadroneggiava il Serpente. In
mezzo a tutto questo, il faro diventava cattedrale, luogo di scongiuro e contemplazione; e la folgore
ostinata tentava e tentava di penetrarlo, come se volesse distruggerne la fonte di luce. L'aveva già
fatto più volte da quando la torre era stata costruita, e alcuni oggetti portavano ancora le cicatrici di
quel passaggio incendiario. Crepe nella roccia viva, ringhiere bruciacchiate, una piastra di
alluminio fusa ad alta temperatura.
"Am 17 April zog sich ober der Insel ein schweres Gewitter zusammen...". In un librone con la
storia del faro trovai un rapporto meteorologico in lingua tedesca, forse del progettista. Gli diedi
un'occhiata alla luce della torcia, perché col temporale la corrente era stata staccata. Il 17 aprile!
Erano gli stessi giorni del mio soggiorno lassù. Lessi avidamente, mentre le lampada rotante
iniziava il suo lavoro in cima alla torre di pietra, col solito cigolio metallico. "Verso l'ora del
meriggio, si scaricò sopra l'isola un temporale burrascoso e il faro marittimo venne colpito da un
fulmine". Ma il meglio veniva dopo, elencato con precisione tedesca.
"La folgore danneggiò la prima gradinata della scala a chiocciola, presso la balaustra di ferro,
attraversò il locale del pianoterra presso l'angolo del muro maestro, carbonizzò due cassoni di cui
uno pieno di stoppa (senza tuttavia infiammarla). Un martello e un'accetta quivi riposti si fusero
nella parte metallica formando una specie di pisello. Il fulmine si fece poi strada in un magazzino
pieno di cassoni contenenti taniche di petrolio, attraversò diagonalmente i recipienti senza
incendiare il combustibile, poi si scaricò sulla roccia delle fondamenta, lasciando una fessura
profonda mezzo metro e totalmente annerita. Qualcosa di simile all'effetto di una mina".
Tornò la luce. Sentii in cucina la radio riaccendersi e miagolare un rebetiko. La voce rauca di un
greco aleggiò per pochi secondi, poi fu inghiottita da brontolii e interferenze. Mi accorsi di non aver
cenato. Ero tutto preso da quella sfida tra il fulmine e il Ciclope. Pensai al faro di Capo Horn, il più
famoso del mondo, in fondo alla Terra del Fuoco. Quante volte lo avevo sognato! Ora vi
attraccavano navi da crociera, e il guardiano posava per le foto davanti al chiosco con gli infradito
e le magliette made in China. Quanta più leggenda nel mio scoglio mediterraneo senza approdi in
mezzo alla burrasca!
Lessi avanti nel librone: "Le rive che costeggiano l'isola da ponente a meriggio sono senza posa
flagellate, corrose e sforacchiate dalle onde del mare, che i venti di ostro e di levante vi
scaraventano contro con impeto violentissimo". E ancora: "Negli scavi intrapresi si trovarono...
delle caverne abbastanza spaziose, ripiene di scheletri umani, ed altre ossa, alcune delle quali al
solo toccarle andavano in polvere... ". E ancora, poco oltre: "Trovaronsi inoltre molte armi di selce,
urne, vasi, un pendente d'oro e una moneta di rame dei tempi di Ferdinando primo re di Napoli".
Tuonò tutto il giorno, poi a sera ci fu tregua e la temperatura calò di dieci gradi. Bevvi un goccio di
whisky, salii le scale fino alla lampada e la solita ombra mi seguì lungo i muri. In cima, oltre i
finestroni c'era un'unghia di luna nuova, mentre la spada di fuoco vagava libera nell'aria pulita. Ero
solo, al centro della notte. "I sit within a blaze of light / held high above the dusky sea". Ripetei
l'attacco de "Il guardiano del faro", di Robert Louis Stevenson, l'autore de "Lo strano caso del dott.
Jekyll e mister Hyde". Suo padre, ingegnere specializzato nella costruzione di fari, gli aveva
regalato il gusto della luce nelle tenebre.
"Lontano l'onda s'infrange e ruggisce / lungo desolate miglia di spiaggia illuminata dalla luna". La
battaglia navale era finita. Solo qualche lampo verso Oriente.
(23 - continua)