extravagantes - Ordine Avvocati Roma
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EXTRAVAGANTES LA SOLITUDINE Tutti, in un qualsiasi momento della vita, possiamo essere presi da un estremo senso della solitudine. È questione di coerenza: il senso della responsabilità cosciente. C’è un bel dire: ma sono cinquant’anni che biascichi per i Tribunali e ogni caso è diverso. Tu lo studi, lo giri e lo rigiri, ti sei impadronito di ogni parola del processo e, finalmente, viene il gran giorno: spetta a te difendere quel soggetto che ti guarda implorante. Ed è il momento della solitudine. Non c’è che la tua voce, riecheggiante nell’aula, a darti il senso della compiutezza. Hai di fronte il Giudice. Arbitro del domani del tuo difeso. Insieme a quest’ultimo giudicherà, nell’animo suo, anche te stesso. Ma tu non avrai difensore. Dipende tutto da quel che dirai, da come lo dirai. In solitudine: non c’è nessuno a correggerti o suggerirti. Ed è qui il punto in cui un Avvocato da la misura di se stesso. Se riuscirai a captare e conservare lo sguardo del Giudice. Se penetrerai, piano piano, nel cammino mentale del Giudice, Ti impadronirai dell’aula e sarai il sacerdote celebrante. Non sei più solo: gli occhi dell’imputato rispondono al Tuo preciso martellare argomentativi, il minimo segno di assenso del Giudice riscalda il cuore. Non è più solo il Difensore, domina l’aula. Non con più o meno deboli argomentazioni ma in serenità: come si conviene al Difensore. Non sei più solo ma un tacito consenso ti riscalda il cuore. Avv. Bruzio Pirrongelli 142 07_extravagantes.pmd FORO ROMANO 1-2/2004 142 08/06/2004, 11.37 EXTRAVAGANTES “PROCESSO A NAIROBI” Alice Thompson e Raffaele Cupiello, i due imputati, e ano seduti l’uno di fronte all’altro, quando “Vostro Onore”, Presidente del Tribunale di Nairobi, in una luminosa mattinata di giugno del 43, dichiarò aperta l’udienza. Alice era un’infermiera di Dover, dai fluenti capelli rossi e dal viso punteggiato di efelidi, altra, robusta, dall’aspetto deciso, gli occhi grigi dai riflessi verdi. Veniva accusata non solo di aver familiarizzato con un prigioniero di guerra italiano, cosa inammissibile per il regolamento inglese, ma addirittura di aver fatto l’amore con lui, cosa del tutto scandalosa, in un periodo di guerra che aveva bandito l’amore dal cuore degli uomini. Della stessa accusa, naturalmente, se non di accusa più grave, avrebbe dovuto rispondere l’uomo, dovendo l’amore farsi irrimediabilmente in due. E in realtà, molto teso appariva il Cupiello, un napoletano bruno e dall’aspetto vivace, sottolineato da due baffi sottilissimi, molto curati per l’occasione processuale. “Vostro Onore”, gli avevano fatto presente le guardie che lo tenevano in detenzione, non tollerava il disordine fisico, specchio esteriore di un interiore disordine; e loro stessi si erano preoccupati di fornirgli l’occorrente, per una diligente toilette. Il Cupiello era teso, sia perché della lingua inglese conosceva solo la parola “tomorrow” (domani), la più usata dai soldati inglesi, ad ogni richiesta grande o piccola dei prigionieri; sia perché, da buon napoletano, sapeva che la legge, non sempre è uguale per tutti e in quel momento non riusciva a ricordare chi e in quale occasione avesse detto che la legge, con i nemici si applica mentre con gli amici si interpreta. E Raffaele Cupiello già prigioniero, sperava che anche per lui la severa legge di guerra inglese venisse interpretata nel migliore dei modi o almeno secondo giustizia. La Thompson venne interrogata per prima. Alle precise domande del presidente risposte che nessun tipo di violenza aveva subito dal prigioniero e che tutto era avvento spontaneamente, aggiungendo che nel Cupiello o almeno nel suo sorriso, le era sembrato di scoprire un sogno napoletano. “Un sogno napoletano”, ripeteva a sé stesso il presidente, fissando con i suoi occhi azzurri un punto imprecisato dell’aula. Forse, pensava a quella città misteriosa, sospesa tra mito e realtà. Ma fu solo per un attimo. Subito fece chiedere al Cupiello come fosse giunto ad avere rapporti così intimi con la Thompson, non parlando ciascuno dei due la lingua dell’altro. Con fare disarmante il Cupiello rispose che di nessuna complicità si era servito, perché l’amore parla tutte le lingue. Il caso per “Vostro Onore” era nuovo, non aveva analogie e non volendo apparire un demolitore di rari sogni, decise di assolvere i due imputati, richiamandoli semplicemente ad un maggior rispetto dei regolamenti. Avv. Evaristo Lebani FORO ROMANO 1-2/2004 07_extravagantes.pmd 143 143 08/06/2004, 11.37 EXTRAVAGANTES PHILOGELOS Duplice insegnamento per chi aspira a divenire un grande oratore Un cittadino, noto per la facilità con cui interveniva anche a sproposito nelle dispute tra altre persone, esternò il desiderio di iscriversi alla scuola d’eloquenza diretta da Isocrate, grande oratore ateniese. Isocrate gli chiese una doppia retta per partecipare al corso oratorio, suscitando quindi le sue rimostranze. “Non devi lamentarti” lo apostrofò Isocrate. “Una retta è per insegnarti a parlare e l’altra per insegnarti a tacere”. La virtù non teme nudità Livia, diletta sposa dell’imperatore Augusto, un giorno passeggiando sulla riva del Tevere, s’imbatté in un gruppo di uomini che in procinto di fare un bagno, si erano denudati. Il senato romano ritenne che i colpevoli di tale oltraggio meritassero la pena di morte ma salvata loro la vita per intercessione della stessa Livia la quale osservò: “Per una donna onesta gli uomini nudi non sono altro che delle statue”. Il menù non è mai fisso Cicerone e Pompeo un giorno incontrarono per strada Lucullo il quale, dopo amabile conversazione, li invitò a pranzo. Cicerone e Pompeo accettarono l’invito a patto che non avvertisse preventivamente i suoi cuochi poiché erano curiosi di constatare cosa si mangiasse quotidianamente a casa sua quando non erano presenti degli invitati. “Permettetemi però” osservò Lucullo “di mandare ad avvertire che si prepari il pranzo nella sala d’Apollo” e così fece. Quando Cicerone e Pompeo furono nella casa di Lucullo, ebbero grande meraviglia nel constatare che si trattava di un costoso pranzo, ineguagliabile per sfarzo di suppellettili e per la bontà delle pietanze. Forse non seppero mai che quando Lucullo ordinava di preparare il pranzo nella sala d’Apollo, ciò significasse che trattatasi di convitati di grande prestigio. Abbandono estremo Dopo che il Senato romano proclamò nemico dello Stato il perfido Nerone, quest’ultimo si nascose nella casa di un liberto. Non avendo il coraggio di uccidersi, supplicava che qualcuno dei suoi amici fidati o qualcuno tra gli schiavi gli desse la morte. Non trovò nessuno disposto a rendergli questo servizio per cui urlando esclamò: “Possibile che io non abbia amici per difendere la mia vita, né nemici per togliermela?”. 144 07_extravagantes.pmd FORO ROMANO 1-2/2004 144 08/06/2004, 11.37