L`ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE Tratto da un corso di LUIGI GUI
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L`ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE Tratto da un corso di LUIGI GUI
L’ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE Tratto da un corso di LUIGI GUI Prima Definizione della persona senza dimora: persone che hanno vicende personali di rottura di legami. Questa dimensione si collega a una perdita di senso, di percezione di sé, di identità, provocando la carenza di risorse materiali. Questa definizione, però, non dice abbastanza sul motivo per il quale alcune persone permangono in questa condizione e altre no: infatti questo è ciò che succede ad ognuno di noi. Tutti siamo soggetti a questi tipi di rotture. Metafora della tendina canadese: assomiglia alla nostra vicenda di equilibrio nella realtà. Noi stiamo in equilibrio perché stiamo ancorati al terreno da una serie di picchetti, paragonabili alla quantità di legami e emozioni della nostra esperienza di vita. Abbiamo molte dimensioni esistenziali, così come ci sono molti picchetti che sorreggono la tenda. Il nostro equilibrio esistenziale si compone di una miscela varia di molte dimensioni (affettiva, psicologica, culturale, economica, fisica…): la multidimensionalità del proprio benessere. Noi giochiamo la nostra vita su molte dimensioni. Nicola Negri (sociologo): “noi intraprendiamo la nostra vita con una dote originaria (premesse economiche, culturali, fisiche, etc.), ma questa dotazione si confronta con le nostre capacità”. Nell’impresa esistenziale ciascuno di noi è esposto alle intemperie: nella vita nessuno è garantito rispetto ai traumi. Stereotipo: non è vero che esiste chi sta bene e chi sta male, ma ciascuno sta un po’ bene e un po’ male in fronti diversi della sua impresa esistenziale. Nei nostri accadimenti quotidiani può capitare una rottura: nella tendina canadese, quando salta un picchetto, la tenda non precipita. Se salta un secondo picchetto la condizione peggiora, se salta un terzo picchetto la tenda rischia di incrinarsi. Se si alza il vento saltano tutti i picchetti assieme. Nella nostra vita quotidiana capitano costantemente intemperie: come nella tendina non cadiamo immediatamente ma abbiamo il tempo di ripristinare il picchetto saltato (es. della rielaborazione del lutto). Nella maggior parte dei casi abbiamo altri picchetti (lavoro, figli, etc.): abbiamo molte risorse. Per il fatto che noi abbiamo molti riferimenti siamo ancorati ad un contesto che ci permette di far fronte alla molteplicità di eventi traumatici. C’è chi ha una dotazione originaria più ampia e chi meno: se io ho tanti picchetti piantati faccio fronte meglio alle rotture accidentali, se ne ho pochi sono più a rischio. Tra i picchetti più importanti c’è il legame affettivo, questo è uno dei tiranti fondamentali (negli anni 80 il 40% dei senza dimora aveva trascorso l’infanzia in un’istituzione): le premesse affettive nell’infanzia sono dei fronti altamente significativi per mantenere un equilibrio per le imprese esistenziali successive. Anche il livello culturale è un aspetto importante. Se un fronte della nostra tenda è cedevole, noi ci ancoriamo agli altri. Ma se i fronti cedevoli cominciano ad essere molti, facciamo più fatica a mantenere l’equilibrio. (es. della perdita lavoroalcol-violenza-perdita famiglia…): gli elementi possono concatenarsi, e più si concatenano l’uno con l’altro, più i legami che ci trattengono dentro il nostro equilibrio cadono: deriva sociale. Nell’impresa esistenziale cerchiamo di realizzarci: questa impresa di crescita gioca nelle molte dimensioni. Ciascuno di noi intraprende l’impresa esistenziale attraverso mete esistenziali auspicabili per sé. Selezioniamo strategie possibili in ragione dei momenti di successo o insuccesso che intraprendiamo. (es. degli studi: al terzo tentativo sul test di selezione, sul piano psicologico, cambia la mia vulnerabilità: quanto influiscono le sconfitte precedenti? Il dolore della prossima sconfitta sarà molto maggiore. Mi espongo ad un rischio più elevato sul piano del mio equilibrio. È la volta che si determina il mio auspicio di realizzazione. Se non ce la faccio probabilmente cederò). Noi siamo tenaci nel perseguire mete esistenziali, ma dobbiamo bilanciare gli esiti di sconfitta con gli esiti di successo. Il piano affettivo è più delicato perché i successi e gli insuccessi pesano molto sul nostro equilibrio: se io non sono riuscito a costruire una relazione significativa con una persona, prima di cominciare una nuova impresa significativa starò più attento, e se va male anche una seconda volta, una terza, una quarta rischio di mollare e cadere in depressione. (es. dell’invio al colloquio di lavoro): dietro alle giustificazioni per non esserci andato ci sta la percezione che affrontare quel tipo di sconfitta per me è troppo alto: sentirmi dire per l’ennesima volta di no mi provocherebbe un dolore talmente forte che è preferibile rinunciarvi in anticipo: adattamento per rinuncia. Questo processo non è quello di rettificare le strategie per fronteggiare un percorso, o di ricollocare la rete esistenziale, ma è rinunciare a quell’auspicio di realizzazione: “per me avere una storia importante è impossibile, per me una realizzazione sul piano lavorativo è impossibile”. Spesso non è una situazione consapevole, ma è una percezione profonda. L’adattamento per rinuncia implica la chiusura di un orizzonte. Ho rinunciato perché è irraggiungibile, è irraggiungibile perché ogni volta che ci ho provato il dolore della sconfitta è stato superiore all’auspicio di realizzazione. Noi viviamo in una società che prescrive alcune mete di realizzazione: la nostra cultura è permeata di alcune rappresentazioni di successo: le mete auspicabili e quali sono i mezzi per raggiungerle sono codificate (es. dell’abbigliamento che usiamo in relazione al ruolo e al contesto). I comportamenti umani possono avere diversi gradi di composizione: c’è chi condivide le mete e adotta i mezzi prestabiliti, chi condivide le mete ma adotta altri mezzi (es. spacciatore), oppure chi rinuncia alle mete. Quando si parla di persone alla deriva, disaffiliate, si hanno in mente persone che hanno rinunciato al conseguimento di alcune mete per la percezione di non avere i mezzi per raggiungerle. I devianti, al contrario, sono persone propositive anche se raggiungono le mete con mezzi poco legittimi. Le “persone in fuga”, pur auspicando una meta, si ritraggono da tale prospettiva, abbandonandola, per l’incapacità di conseguirla: sono persone recessive. L’immigrato che raggiunge il nostro paese, nella maggioranza dei casi, è una persona aggressiva (nel senso buono): aggredisce la realtà per conseguire una meta esistenziale. Tra gli anni 90 e gli anni 2000 in molti dei servizi a bassa soglia c’è stato uno spostamento di utenza: le persone alla deriva sono andate ancora più fuori rispetto alla presenza considerevole di persone che versavano si nella medesima condizione di grande deprivazione, ma con un atteggiamento completamente differente. La percezione soggettiva di non riuscire a raggiungere nessuna meta porta alla impermeabilizzazione al richiamo esistenziale. Più chiudo orizzonti di riuscita esistenziali, più comincio a collocarmi in una posizione difensiva, in cui cerco di mantenere l’equilibrio minimo sufficiente di benessere che sono riuscito a comporre: il mio orizzonte concettuale va distruggendosi: meno mete perseguo, più queste si avvicinano (vivere alla giornata). La mia disponibilità ad aprire nuovi percorsi è ridottissima. La progettazione significa gettarsi oltre, ma questo comporta uno sguardo lungo, ecco che allora le persone che entrano in questa prospettiva cominciano ad impermeabilizzarsi dalle relazioni esterne che sono minacciose per il proprio equilibrio minimo. Paradossalmente, chi vive questa condizione non è una persona che non voglia stare bene, ma è una persona che presume di non potere stare meglio, e che cerca di difendere la condizione minima che conosce (es. ho mal di denti e cmq rifiuto di recarmi dal dentista). Questo atteggiamento di chiusura dell’orizzonte porta l’individuo a diventare una monade galleggiante nella deriva sociale, un bozzolo autosufficiente. L’esito, anche figurativo, è quello dell’uomo chiocciola: la persona che costruisce intorno a sé una corazza di presunta autosufficienza, ma in realtà di deriva e demolizione di sé. Anche a livello somatico si comincia a vedere la persona che, progressivamente, comincia ad avere un atteggiamento difensivo che diventa di corazza (molto vestito anche d’estate, cartoni, sacchetti): alla fine si crea un conglomerato difensivo che, paradossalmente, assomiglia in tutte le parti del mondo. L’esito è il medesimo da Parigi a New York anche se la causa di partenza è differente. Questo processo, a livello schematico, può essere visto come una curva che varia in base alle differenti storie esistenziali. È difficile capire quale sia il momento di svolta: nelle narrazioni di storie di vita quasi sempre emerge un punto di svolta: la persona riconosce un evento per il quale la vita ha preso un altro corso. In realtà quello non è che un evento di una nebulosa di eventi. C’è un principio di multicausalità anche se la persona ha bisogno di identificare un evento scatenante. È un processo che si sviluppa nel corso di anni: ad un certo momento si inizia un percorso di metamorfosi (cambio di identità): all’inizio la gran parte delle persone che si trovano in assenza di alloggio rifiutano di dormire in una struttura dove ci sono altre persone, perché non si identificano in altro rispetto a quello che hanno cercato di difendere fino a quel momento. Vi è la consapevolezza che l’ingresso in un certo universo assistenziale significhi cominciare a diventare altro. Spesso i servizi assistenziali premono nell’accelerare questo processo di metamorfosi perché hanno bisogno di codificare il soggetto: è il giudizio esterno che etichetta la persona. C’è dunque una grande resistenza a riconoscersi nel processo di deriva. La persona, mentre compone consapevolmente il bilancio esistenziale sulle proprie prospettive, mette in atto relazioni strumentali per difendersi: le utilizza a suo consumo evitando il più possibile che la modifichino. Nel linguaggio sistemico si definiscono sistemi chiusi: non è chiuso solo nella misura in cui non ha scambi con la realtà esterna, ma anche nella misura in cui i rapporti con la realtà esterna sono trattati in modo tale da non modificare se stessi. (es. del copione teatrale x ottenere qlc: vi è una rappresentazione di sé che, strumentalmente, può esibire se stesso ancora dentro la grande narrazione condivisa dove ciascuno è orientato a mete di successo): questo tipo di situazione ha un doppio effetto: 1) effetto strumentale: ottengo quel che mi serve per sopravvivere 2) effetto identitario: mi rappresento ancora con l’identità che proteggo salvaguardando la mia autostima. (es. mi rappresento ancora come una persona progettuale: se vado dall’assistente sociale chiedendo soldi ammettendo di avere problemi, questa mi proporrà un progetto: ma se io ho già esistenzialmente censurato il progetto o mi ritraggo, oppure accetto il progetto strumentalmente per ottenere il contributo: prefiguro condizioni che non hanno credibilità). Queste rappresentazioni un po’ alla volta vanno affievolendosi fino ad essere elaborate progressivamente: in questa fase l’operatore prova un grande disagio, l’interlocutore che si offre all’aiuto è ancora nell’atteggiamento di entrare in relazione: la sua azione d’aiuto è incentrata sul cambiamento dell’altro, mentre l’altro è impermeabile: Il suo gioco è quello di non fare aprire l’impermeabile. In questa rappresentazione della realtà ci si trova in un gioco all’inseguimento: l’operatore asseconda la progettazione esibita, che però è una recitazione, mentre l’altro fa i salti mortali per costruire una raffigurazione credibile. (es. mando a un colloquio una persona, non ci va e si giustifica col mal di pancia, allora mi preoccupo e lo mando dal medico, allora lui dice che sta già facendo visite da un medico amico suo di un’altra città, e allora io cerco di contattare il medico….e allora penso che mi prenda in giro perché scopro l’inganno, eccetera). Si crea una forte disillusione in chi offre l’aiuto. Risultato: diffidenza e rancore. Dunque: “se lui mi prende in giro è colpa sua, e allora se è colpa sua che si arrangi”. Noi non abbiamo cambiato nulla: lui lo sapeva già che tu non eri disposto ad aiutarlo e tu ti immaginavi già che lui non sarebbe stato disposto ad essere aiutato: Posizione di stallo. L’operatore diventa uno di quei tanti strumenti di sopravvivenza lungo una storia che non sai quando è cominciata e quando finirà. Talvolta il giudizio che applichiamo è molto severo. (es. del venditore di aspirapolvere: sto al gioco anche se so che finge): se, invece di applicare un giudizio morale, noi entriamo dentro questa rappresentazione, potremo addirittura complimentarci con la persona: ha ancora una residua capacità di recitazione e dunque ha potenzialità. Possiamo cambiare registro interpretativo di queste rappresentazioni. Il problema non è la rappresentazione, ma il vissuto del soggetto. Ciascuno, quando narra se stesso, si restituisce, ascoltandosi, un’immagine. La narrazione autobiografica non è mai uguale, dipende da chi abbiamo di fronte. Ma questo serve anche a non precipitare in un’altra identità. Spesso le persone raccontano storie irreali, spesso smentite: sono narrazioni di sé che tentano di preservare un’immagine. Talvolta, lasciare che queste rappresentazioni si esprimano, è una delle poche possibilità che offriamo di mantenere un’immagine di sé che non sia la cruda e precipitosa realtà. (es. del sardo che ogni anno diceva di voler andare a trovare la famiglia): questa è una situazione in cui è difficile cogliere qual è l’itinerario esistenziale in cui la persona si trova. Questa scena dura relativamente poco: la persona va sedimentandosi nei livelli di sopravvivenza, condividendo la prossimità con chi vive la medesima condizione. La prossimità quotidiana, la condizione in cui ci si trova, gli sguardi degli altri, comunque, fanno cambiare la nostra identità. (es. del bar: preferisco non entrare: questa applicazione di giudizio da parte degli altri provoca delle valvole di non ritorno: quanto più assumo questa identità, tanto meno ritorno). Noi facciamo resistenza al cambiamento in tutte le direzioni. Più i tempi di permanenza alla deriva sono lunghi, più è difficile il ritorno. La permanenza in una certa condizione cristallizza la condizione medesima rispetto a un mutamento. Accetto di far parte della comunanza del senza dimora con dignità: ormai sono altro, con quella realtà da cui mi sono staccato con fatica posso avere solo uno scambio strumentale. Ora vi è un altro mondo relazionale che non è fatto di legami ma di comunanza di sentimenti. Questa situazione porta o alla demolizione di sé, oppure potrebbe diventare il recupero di qualche elemento di potenzialità. Qui abbiamo uno degli elementi cruciali circa l’accompagnamento: se è buona l’ipotesi che ciascuno, nella sua impresa di vita, tende a raggiungere le mete di realizzazione soddisfacenti per sé, quello che ci interessa non è il raggiungimento di mete socialmente prescritte, ma la percezione soggettiva di essere in una prospettiva di composizione di benessere soddisfacente per sé. Non ci deve interessare la collocazione in cui si trova la persona, ma l’atteggiamento con cui affronta la realtà quale che sia la sua posizione. La possibilità di prefigurarsi in una prospettiva di miglioramento piuttosto che di stabilità o di peggioramento: il potere di aprire l’orizzonte piuttosto che lasciarlo chiuso. (es. perché l’alcolista deve smettere?: se io ho un orizzonte di breve periodo e sto tremando perché sono in astinenza è ragionevole che beva). Il problema è quello di porsi in una situazione di fronteggiamento costruttivo nei confronti della realtà piuttosto che recessivo. Spostamento dell’obiettivo. Stereotipo dell’aiuto: riportare a condizioni di normalità la persona. Ma, con persone che vivono da anni questo itinerario, non è scontato che si torni alla normalità prestabilita dalla società; anzi è poco probabile. Lavorare in questa prospettiva è fallimentare: anche se si ottengono alcuni successi i tempi sono troppo lunghi. È illusorio credere di poter riportare le persone ad un livello di normalità. Se tanto è stato il tempo per scendere tanto sarà il tempo per risalire, ma non sarà mai il livello auspicabile, seguendo le traiettorie esistenziali ordinarie. Quello che succede più frequentemente nei sistemi pubblici, ma anche privati, è ripristinare solo le sembianze della normalità. Si compie un’operazione estetica. (es. tso): ma se la persona ha intrapreso una pista difensiva nel rapporto con la realtà, di mantenimento della sua condizione, è un’operazione di ripristino di un assetto che potrebbe andare bene per un altro standard, ma rispetto alla sua esistenza peggiora la situazione: “ la tua impermeabilizzazione relazionale non è stata ancora sufficiente, se non riesci a farlo sul piano fisico, fallo almeno sul piano psichico”. Questi sono alcuni meccanismi standard che vengono adottati, e se applicati su certe vicende sono assolutamente devastanti. La cosa più probabile è che la persona torni come prima, se non peggio, in breve tempo. L’obiettivo dunque non deve essere ripristinare la normalità ma recuperare un atteggiamento nei confronti della realtà, che faccia nuovamente scommettere sulla propria possibilità di conseguire delle mete auspicabili per sé. La differenza non è estetica ma esistenziale, può avere un itinerario lungo o breve: di solito è un itinerario breve perché si muore, ma comunque è questo l’elemento di qualità dell’aiuto che possiamo fornire. Le persone che hanno sperimentato una condizione di sentimento di distanza dalla normalità che hanno abbandonato, difficilmente ritorneranno alla comunanza di sentimento di quell’universo di vita. Pretendere che la persona cancelli questa sua dimensione identitaria è inutile e infruttuosa, ma addirittura dannosa: le persone nn tornano indietro, ma vanno avanti. Il nostro scopo nn deve essere quello che si dimentichino la vita sulla strada o che neghino la comunanza di sentimento con altri, il problema è se permangono in questa condizione psicologica o intraprendono nuovamente percorsi esistenziali soddisfacenti per sé, che li portino a un miglioramento delle condizioni di vita. Quindi non il ripristino delle proprie condizioni ma un atteggiamento differente della realtà. L’identità Banalmente noi ci riconosciamo attraverso il nostro nome. Noi veniamo chiamati parecchie volte nell’arco della giornata e, a volte, il nome cambia in base al contesto (famiglia, amici, etc.). Ci sono contesti di anonimato: questo contesto comporta una deprivazione della propria identità (diventare un numero). Quando si va alla deriva si finisce in un fluido in cui si perde il riconoscimento altrui. Se noi non abbiamo una quantità di riconoscimenti continui ci manca un elemento di identità: questo attiene alla dimensione affettiva. Rogers: riconoscimento condizionato: non ti riconosco solo a condizione del fatto che tu sia come io mi aspetto (riconoscimento condizionato), ma ti riconosco quale tu sia. Questo è un tassello importante nella costruzione identitaria: il riconoscimento deve anticipare qualsiasi intervento sociale. Il nome può cambiare anche in base al ruolo che assumiamo (mamma, dottore, etc.). Sociologicamente il ruolo è un insieme codificato di attesa, quello che gli altri si possono aspettare da te per il ruolo che hai. Quando si perde il ruolo si perde parte dell’identità. Il ruolo è una mappa della nostra identità. Le persone che vivono in situazioni marginali hanno una relativa povertà di attese di ruolo. Il processo di etichettamento deriva dalle aspettative degli altri: siccome gli altri si aspettano che io sia in un certo modo, allora io sarò così. Questi elementi sono preliminari al processo d’aiuto. Non è possibile che una persona cambi ruolo se non ne assume un altro, altrimenti perde qualcosa (es. del tossicodipendente e il suo giro: se lo si toglie da quel ambiente senza offrirgli un’alternativa non è più nessuno). La dimensione economica è un altro elemento di forte condizione identitaria. Noi abbiamo bisogno di una identità significativa: significativo vuol dire lasciare il segno. La mia identità ha valore se conto per qualcuno. Sul piano affettivo questo aspetto implica la dimensione del legame: la sorte di un altro è legata alla mia sorte. Noi abbiamo fame di legami (es. della moglie maltrattata che comunque resta). Il ruolo cambia la realtà in base al modo in cui viene esercitato (es. della borsa lavoro). La concezione di influenza cambia la nostra percezione interna: ci fa stare bene o male (es. dell’elemosina in cambio della pulizia del piazzale della chiesa: se il parroco che ha commissionato il lavoro non controlla l’esito equivale a un lavoro inutile che fa star male la persona). Sul piano economico questo riguarda il livello di produzione e consumo: quanto produci e quanto consumi? Si è qualcuno anche quando si consuma. E quanto influenzi la realtà in base all’esercizio di questo ruolo (es. del servizio distribuzione vestiario rispetto al negozio). La ricerca di una significatività apprezzabile è una questione molto importante: la discesa permane fin quando la scommessa è perdente. Il rischio di cambiare la propria posizione è troppo elevato rispetto alla speranza di uscirne vincenti. Cioè che vi sia un apprezzamento possibile di sé. Riconoscimento- legame- reciprocità La reciprocità non è solo legame ma è l’aspetto in cui io ci tengo a te tanto quanto tu ci tieni a me. Sul piano sociale l’uomo è influente e apprezzabile nel riconoscimento di competenza e valore: la persona ha bisogno di ricevere segnali di apprezzamento positivo. In assenza di questo si può stare molto male: una parte delle sofferenze nel mondo del lavoro non sono legate al reddito, ma al mancato riconoscimento dell’operato svolto. Quando un utente dice che gli va bene qualsiasi lavoro, probabilmente questo ha già rinunciato a un riconoscimento di competenza. Ci sono significati simbolici molto potenti su cui talvolta sorvoliamo: (es. borsa lavoro) se io sono culturalmente ben piazzato ed ho una famiglia solida alle spalle, e per un certo tempo prendo un lavoretto da 400 € al mese, andrà bene perché quello non sarà l’elemento che connota la mia identità. Ragionando su un’identità significativa apprezzabile costruttiva, l’atteggiamento costruttivo è quello di chi affronta la realtà. La partecipazione dell’utente nel processo d’aiuto è determinante: se io sono un operatore competente e tu sei quello che non ha competenze, io ti faccio la proposta di un progetto e tu mi dici di sì. Questa non è una partecipazione: come posso pensare che la persona sia partecipe al processo d’aiuto quando di suo non ci ha messo niente. E che cosa deve aver messo di suo perché influenzi la realtà? Quando, grazie al suo intervento, avviene qualcosa di inedito nella realtà, che non era prevedibile senza tale intervento: chi propone il progetto deve essere disposto ad includere qualcosa che lui non poteva aver previsto. Questo è talmente importante che influenza il progetto: se l’attesa dell’operatore viene sconvolta dalla competenza dell’utente. Allora forse il progetto potrà implicare la partecipazione dell’utente, altrimenti il progetto sarà ben recitato (se va bene) ma non seguito. AFFETTIVA SOCIALE ECONOMICA IDENTITA’ RICONOSCIMENTO RUOLO IDENTITA’ LEGAME INFLUENZA RECIPROCITA’ COMPETENZA VALORE PARTECIPAZIONE FUNZIONE ECONOMICA PRODUZIONE CONSUMO PREZZO GENERAZIONE VALORE AGGIUNTO IDENTITA’ SIGNIFICATIVA IDENTITA’ APPREZZABILE IDENTITA’ COSTRUTTIVA L’accompagnamento La situazione dei Servizi, pubblici o privati che siano, è quella in cui l’utente si trova ad un livello inferiore rispetto ad essi. I Codici Affettivi Il codice paterno è quella relazione in cui vi è qualcuno che sa quali sono le regole e gli strumenti per diventare grandi, e le mette a disposizione del figlio. È una relazione asimmetrica: la ragione di scambio è l’imposizione di stare alle regole. È una relazione educativa di emancipazione. È condizionale. Lo scopo è l’autonomia. L’emblema è l’intervento economico finalizzato: facciamo un progetto in modo tale che l’utente riceva una risorsa al fine di restituire capacità di cittadinanza, autonomia, etc. Bergamaschi la definiva logica del rientro. È un rapporto contrattuale: l’esito è imputabile alla buona o cattiva volontà del soggetto. Il codice materno non è condizionale: buono o cattivo che sia, l’utente viene sempre riconosciuto. È incondizionato e tipico delle associazioni di volontariato. I sistemi assistenziali prescindono dalla competenza dell’utente. Non sono volti all’emancipazione. La ragione di scambio è inversa alla precedente: la relazione permane finché vi è l’asimmetria. Se questa viene a mancare non c’è più bisogno della mamma. Queste due posizioni possono portare ad alcuni problemi: 1) il problema del codice paterno nei Servizi è che per persone che abbiano tratto un bilancio esistenziale di impossibilità a far fronte ai compiti sociali normalmente previsti, porsi in relazione con un sistema che è performativo è impossibile: se l’utente ha già rinunciato in partenza o rifiuta l’aiuto o strumentalizza la relazione. 2) Il problema del codice materno assomiglia alla condizione di chi, avendo ormai digerito lo scotto della sua metamorfosi, si rassegna a collocarsi nello strato di assistenza e passività. Il codice fraterno è una posizione differente. I codici materni e paterni si basano su una dialettica up-down e frontale: qualcuno che chiede e qualcuno che da. La posizione frontale è molto impegnativa perché bisogna reggere un impatto emotivo non facile. La posizione dei fratelli non è legata al up-down, non vi è un’esplicita domanda e una necessaria risposta. In questa modalità non vi è una posizione frontale: in una quotidianità di relazione non ci si mette di fronte ma di fianco. Questa posizione permette il riconoscimento dell’altro e di guardare insieme nella medesima direzione. Questa modalità consente il riconoscimento dell’altro, entrando in relazione, facendo sì che lo sguardo non si esaurisca nella reciprocità ma venga orientato in un’altra direzione. È una posizione laterale che non è fondata su una domanda. Nella posizione laterale i due si riconoscono: apparentemente non si danno nulla, ma di fatto si rendono co-costruttori di identità: ponendomi accanto ti riconosco come soggetto interessante, non come soggetto che deve cambiare. La questione è cruciale: se abbiamo a che fare con persone che hanno posizioni difensive e recessive, ogni intervento volto al cambiamento è motivo di allontanamento. Non sono io che posso prefigurare l’orizzonte altrui, ma posso interessarmi e guardare assieme all’altro tale orizzonte. Questa posizione di affiancamento non prevede che si sappia a priori dove bisogna andare, ma la scoperta avverrà strada facendo. Nel codice paterno e materno si deve “promettere” di assolvere al compito contrattato. Ci si accosta al soggetto in quanto soggetto. Sono dei codici di aiuto centrati sulla domanda e comporta Servizi in grado di dare una risposta. La posizione LATERALE (codice fraterno) non presuppone una domanda. Non è necessariamente di risposta a qualcosa ma di AFFIANCAMENTO. Parte da un atteggiamento di RICONOSCIMENTO = io ti riconosco per quello che sei (sto cominciando un percorso di IDENTITA’, non solo RICONOSCO ma provoco RICONOSCIMENTO. Cerco di guardare dove stai guardando tu (utente) in una prospettiva comune di ben-essere. 1. E’ importante la dimensione dell’ ASCOLTO (anche non verbale): Che è più di ascoltare quello che uno dice. L’ascolto richiede tempo per permettere di cogliere i codice comunicativi dell’altro. 2. dimensione della COMPRENSIONE: per il quale non solo ho capito, ma sono entrato nel tuo universo di comunicati che ho interiorizzato. 1. ne consegue la dimensione dell’ ACCOGLIERE: Accolgo avendo ascoltato, compreso e riconosciuto. L’accogliere evoca la modalità del RICONOSCIMENTO. Inclusione dentro le reti di relazioni/rapporti a cui io appartengo e in cui io sto. 2. nella dimensione della CONDIVISIONE: Dividere insieme (dividiamo ad esempio lo spazio: psicologico, fisico, ecc.).Sedersi accanto. 3. nella dimensione dell’ ACCOMPAGNARE (es. Legge 328 - accompagnamento sociale): Io cammino affianco a TE. Io ti sono accanto per sostenere / rinforzare / coinvolgere / remotivare. 4. nella dimensione del CODETERMINARE: E’ caratterizzata dal prendere una decisione, modificare le cose. La maggior parte delle decisioni sono CODETERMINATE in modo più o meno consapevole. Se io ho fatto un percorso di accompagnamento alla fine si sceglie insieme e modifichiamo la realtà (in tanti – insieme). La CODETERMINAZIONE è l’esito di un percorso condiviso e accompagnato. 5. la dimensione della CORRESPONSABILITA’: La persona riconosciuta comporta responsabilità per molti. L’esito che va dal RICONOSCIMENTO alla CORRESPONSABILITA’ non dà sempre un esito di “normalizzazione”. Bisogna percepire l’aiuto in modo “diverso”, quanto meno devo capire come tutte le diverse realtà coinvolte intendono l’aiuto e trovare punti di condivisione. Questo richiede pertanto un ASSETTO dei SERVIZI = competenze e ruoli diversi in un quadro condiviso. Gli aspetti parziali devono essere resi complementari. UNO fa molto bene per sé; bisogna pertanto guardare ad un sistema di competenze e ruoli diversi ma CONDIVISI. Nella METAFORA DEI SERVIZI ( = la MOTO) bisogna mettere insieme: AFFIANCAMENTO - ACCOMPAGNAMENTO (affiancatore = CANDELA) La candela fa scoccare la scintilli. E’ una parte piccola della moto ma importante. Se deleghiamo all’ affiancatore tutto il lavoro, lo portiamo a “bruciarsi. NUCLEO DI AFFIANCAMENTO L’affiancatore deve riuscire a corresponsabilizzare altri soggetti, in un tempo relativamente breve, altrimenti può fallire. Almeno sei persone, non necessariamente tutti operatori (es. vicino di casa, il barista, ecc.). SISTEMA D’AIUTO ( = MOTORE) Insieme di soggetti coimplicati e coordinati tra loro rispetto la vicenda - il caso. Ogni caso e/o ogni vicenda ha il suo Sistema d’ Aiuto. SISTEMA DI SERVIZI ( = TELAIO, se non c’è un buon telaio la moto non tiene) RISORSE ( = LE RUOTE, toccano terra – mi permettono di viaggiare) MOTIVAZIONE ( = CARBURANTE) Se cade la motivazione e tutto il resto è ok il risultato non ci sarà. LA PERSONA AFFIANCATA ( = IL PILOTA) E’ lui che dovrà percorrere la via. Il Sistema di Servizi diviene uno strumento – un mezzo (non posso sostituirmi al pilota) affinché l’utente prenda una strada e parta. FORMAZIONE e SUPERVISIONE ( = LUBRIFICANTE) RETE = METTERE INSIEME COMPETENZE DIVERSE IN UNA LINEA CONDIVISA ADULTI-PERSONE SENZA (casa, alloggio, dimora, rifugio) con MANCANZA di (lavoro, contenitore affettivo – culturale – fisico, riferimenti) che PORTA a non essere in grado: - di INTEGRARSI con la REGOLARITA’ - con DIFFICOLTA’ di RELAZIONI – LEGAMI (affettivi, ecc.) con un CONTESTO / CAUSA che produce: - star bene / star male - integrazione / non integrazione - disagio / non disagio E’ consuetudine credere che provocando il cambiamento della persona, questo determini il “BENESSERE”. La matrice di “BENESSERE” nasce: 1. dall’idea di BUON FUNZIONAMENTO (equilibrio funzionale) SEDONDO LA NORMA (normalità) - (buon funzionamento DEI SINGOLI NELLE PARTI SOCIALI e IN NOI IN OGNI PARTE DELL’ORGANISMO). Se io ho una parte che sta male come faccio a dire/sapere se ho una patologia?: se il sintomo dura nel tempo per cui la parte dolente non torna a funzionare normalmente il dolore compromette altre parti del corpo ….. DISFUNZIONE: mal funzionamento PERSONALE e/o SOCIALE. Se c’è qualcuno che non FUNZIONA secondo la “NORMALITA’” riteniamo che vada REINTEGRATO (per farlo star bene affinché non si senta male) questo pensare produce la CULTURA DEL DEFICIT secondo cui UNA PERSONA STA’ MALE PERCHE’ GLI MANCA QUALCOSA. Alcune definizioni: REINSERIRE: reinsegnare a fare le cose che non si sanno più fare REINTEGRARE: “complementare” – “al suo posto” – “interdipendente” – “si inserisce bene” – “adattamento” RIFORMATORIO: luogo dove si ridà la forma. RIABILITAZIONE: noi riabilitiamo, cerchiamo di ridare abilità 2. o secondo un’altra lettura che non guarda alla disfunzione del singolo ma alla DISFUNZIONE DELLA SOCIETA’ (secondo cui alcuni non godono come altri di diritti, privilegi, ecc…). LE PERSONE DEVONO POTER GODERE DI UNA SERIE DI BENI, BEN DISTRIBUITI. La DISFUNZIONE deriva dal NON POTER ACCEDERE AI BENI / SERVIZI. 3. oggi non vale l’idea del non equilibrio dovuto al disequilibrio del singolo o della società perché non abbiamo e/o non valgono più i parametri della “normalità” e perché il mondo non è in grado di distribuire equamente i beni. Inoltre il bene materiale non gratifica uniformemente il benessere soggettivo (ciò che soddisfa te non è detto che soddisfi me). (la percezione soggettiva non è uniformabile, non è standardizzabile) BENESSERE ECOLOGICO (non parte dalla presunzione che via sia una condizione “universale” di benessere, parte dal contrario): CONTINUO PROCESSO DI TENSIONE VERSO METE AUSPICABILI. Soggetti in tensione che si avvicinano a mete auspicabili: Schema delle varie dimensione coinvolte nel benessere ecologico secondo Folgheraiter e non solo: Dimensione affettiva emotiva Dimensione organica fisica Dimensione istituzionale Dimensione cognitivacomportamentale Dimensione relazionale (le relazioni) Dimensione fisica-o (ambientale, es. dist.km) Dimensione culturale La mia (intesa come soggettiva) “condizione di equilibrio” non è scontata in quanto è prescindibile/si deve rapportare con altre DIMENSIONI / CONTESTI. PROBLEMA: è dato dalla difficoltà a comporre gli elementi PER RAGGIUNGERE METE AUSPICABILI. RISOLUZIONE DEL PROBLEMA: non pensiamo più in un ottica di “risoluzione” del problema ma in un ottica di FORNTEGGIAMENTO DEL PROBLEMA. (fronteggiamento: quale è la composizione che il soggetto ha adottato, fino ad ora, nella prospettiva di benessere). Ancora oggi stiamo pagando una categorizzazione imperfetta. L’elemento che accomuna le varie etichettature è IL CONTESTO SOCIALE. Ciascuno di noi: 1. NASCE nel mondo (da Nicola Negri) con delle caratteristiche personali e in un contesto ambientale specifico/particolare 2. HA / NON HA capacità di conversione delle risorse 3. COMBINATI i punti 1 - 2 possono dare esiti diversi con risultati diversi a seconda delle capacità di CONVERSIONE Ognuno di noi affronta l’esperienza per prova ed errori (es. bambino piccolo) ed ogni volta “bilanciamo” i tentativi di successo (le strategie) con la meta auspicata e la possibilità di raggiungerla. Questo percorso è mosso su una moltitudine di DIMENSIONI. Come la tenda che sta in equilibrio con tiranti/picchetti, noi stiamo in equilibrio perché abbiamo vari tiranti (relazioni / contesti). I vari tiranti e picchetti sono messi a dura prova dal fatto che subiamo molti traumi / sconfitte / lutti. E’ in queste situazioni che il nostro equilibrio è messo a dura prova. Capita che alcuni soggetti “partano male inizialmente” (pochi picchetti e messi male): - legame affettivo primario latente - bassa scolarizzazione (molto spesso) - le persone tra mete auspicabili / risorse disponibili / difficoltà sommano una catena di TRAUMI / fallimenti (sommatoria di diverse dimensioni di eventi traumatici. Nella maggior parte dei casi c’è un evento traumatico che scatena il disequilibrio, ma può essere che questo si sommi alla presenza di un disequilibrio primario. Per raggiungere le “mete auspicabili” utilizziamo una serie di strategie REITERATE però se questi tentativi non portano a vittorie ma a fallimenti si verifica un aumento di vulnerabilità (sommatoria di dolore che mi provoca la sconfitta = è molto pericolosa). LA SCELTA di non affrontare un percorso doloroso per RINUNCIA di una meta auspicabile (recedendo / sottraendosi da un fronte non raggiungibile). SCELTA RECISSIVA = PER RINUNCIA DI ADATTAMENTO PER RINUNCIA NON ESPONGO IL MIO “IO” AD UNA ENNESIMA SCONFITTA Rinunciare internamente ad una meta non vuol dire rinunciare ad UN RUOLO SOCIALE (che diventa strumentalizzante) = rappresentazione esterna del sé diversa da quello che siamo internamente. Persone “senza dimora” si diventa in tanti anni / con tanti tentativi falliti / in molte dimensioni (lo si vede dalla postura che rappresenta la chiusura, persona insensibile a tutti i rapporti esterni: tanti cappotti sia in estate che in inverno, non sentono gli odori …….., ecc.). La RECESSIONE diventa TALMENTE POTENTE e permette la scelta di un equilibrio interno per SMETTERE DI SOFFRIRE. = PROGRESSIVA MORTE = FUGA DALLA SOFFERENZA. VISSUTO RECESSIVO = non volutamente deciso ma sentito come unica alternativa “PER NON SOFFRIRE”. “io non sono capace” (aspetto soggettivo) “non è possibile” (aspetto reale) suggerimento: Libro: Gente di Sentimento – Tosi, Combini IO, EMARGINATO sono convinto di cambiare solo se il “gioco” vale la candela! A Noi dobbiamo essere convinti che il soggetto possa invertire rotta. Se non lo siamo, possiamo solo ottenere un miglioramento “estetico” => lavoro per qualcuno e non con qualcuno A 68 65 45 35 25 B A 65 stato “normale” di equilibrio/benessere. Per riportarlo al punto A bisogna “reinserire” la persona Es. in tre anni riusciamo a portare in equilibrio la persona? MOLTO DIFFICILE IL CAMBIAMENTO E’ SOCIALMENTE IMPERCETTIBILE In realtà è impensabile un cambiamento in un periodo così breve perché ho alle spalle uno stato di emarginazione di 40 anni. E’ già molto se invertiamo la rotta = DA UN PERCORSO MORTIFERO portarlo ad UNA VOGLIA DI VIVERE. Una relazione si definisce di AIUTO quando consente al soggetto “di raggiungere / di avvicinarsi” alle mete “raggiungibili / perseguibili”. IL BENESSERE NELLA COSTRUZIONE DEL SE’ (benessere = persona che va cercando di star meglio in alcune condizioni – non in senso assoluto / sé = percezione a livello di raggiungimento della meta). IDENTITA’ FUNZIONE ECONOMICA consumo / produzione IO SONO SOGGETTO ECONOMICO QUANDO HO CAPACITA’ DI CONSUMO E DI PRODUZIONE SIGNIFICATIVA AUTONOMIA NELLE DECISIONI non solo consumo e produzione ma CONTA anche COME CONSUMOPRODUCO (es. scelta del vestiario: Caritas e negozio) Io posso scegliere perché ad es. sono cliente …partecipando così attivamente / non attivamente alla costruzione della autonomia APPREZZABILE COSTRUTTIVA PREZZO (es. il prezzo della parcella da un valore alla professionalità) VALORE meglio “delirare” sullo stipendio che prendevo (es. 2.000, 00 € mese) che accettare la realtà che mi offre un lavoro da 500,00€ al mese AGGIUNTO metto la mia parte introducendo delle novità. Non arrivo a ciò se i passi precedenti non li ho raggiunti Che cosa sono? Che cosa gli altri si aspettano che io sia / faccia? noi diamo una risposta di RUOLO SOCIALE - la perdita di ruolo è motivo di grande sofferenza (es. il pensionato) - e’ importante una aspettativa di ruolo ma attenzione perché questa da una parte edifica e dell’altra fossilizza - essere un assistito è sempre meglio che essere NESSUNO INFLUENTE Il modo in cui tu eserciti il tuo RUOLO non è indifferente “CAMBIA LE COSE” COMPETENZA E VALORE PARTECIPAZIONE Riconosco ciò che hai fatto, ma non a priori. Realmente APPREZZO ciò che hai fatto Il teppista (che rompe una panchina) lascia un segno (es. l'affermazione che in ambito sociale dove non ci viene data "qualsiasi ha potuto partecipare alla lavoro" parte dall’idea realizzazione di qualche che l’altro non gli cosa. Lascia “un impronta” riconosca competenza e visibile. Al contrario cosa valore non è da fare: es. spazzino improvvisato che pulisce per soldi = il suo ruolo di spazzino è marginale perché non importa come pulisco, con cosa pulisco, ecc. tanto i soldi me li danno ugualmente METTERE FARE PROPRIA PARTE. / LA Ma come faccio se non mi è riconosciuto un valore. Non si può partecipare per obbligo AFFETTIVA LEGAMI Non solo tu, lei, l’altro RICONOSCIMENTO mi riconosce ma anche qualcuno a cui dire la FONDAMENTALE e mia “sorte” è legata alla INCONDIZIONATO tua. La questione dei (il nome è affidato agli legami è importante, c’è altri). E’ importante restituire la stessa identità chi ne ha di più e chi di meno e chi in un dato - riconosce momento è privo di “legami”. Nel non riconoscere RICONOSCIMENTO - chi riconosce chi DEI LEGAMI “SONO” in che termini sta a significare SONO PER QUALCUNO RECIPROCITA’ GENERATIVITA’ Cerchiamo quei legami in cui TU TIENI A ME QUANTO IO TENGO A TE vivendola come una esperienza rara anche per noi “operatori” es. una famiglia equilibrata e accogliente generare un clima generazionale costruttivo è difficile Nella costruzione del sé è importante la relazione con gli altri tanto che non dobbiamo lavorare solo sul soggetto ma anche sulle RELAZIONI. Nel chiedere di CAMBIARE chiediamo la cosa più difficile che lui possa fare. E’ importante dire che questo cambiamento avviene coinvolgendo una pluralità di figure, cose, modalità. Non più IO ma NOI. E’ importante prima di tutto RICONOSCERE la persona (conoscere più volte, riconoscere dopo aver conosciuto). E’ difficile che un Servizio “aventi funzioni pubbliche” riconosca il soggetto in tutte le sue dimensioni (vedi tabella). Non è giusto neanche che una persona che aiuta ricopra tutte le dimensioni coinvolte nell’aiuto. E’ più funzionale una pluralità di figure che intervengono. Tanto più sono SOLO nella relazione d’aiuto, tanto più sono in disequilibrio. L’intervento è destinato al fallimento perché non porto la persona all’autonomia. Seguono lavori in gruppo (da 5 persone) che, partendo dai dati della tabella, ha analizzato vari casi. Da pensieri di Lucio Demetrio. Egli scompone il termine DIMORA in quattro dimensioni: 1. KEPOS 2. OIKIA 3. AGORA’ 4. AGAPE 1. KEPOS DIMORA INTERNA, ORIGINARIA Ci si chiede IO quale dimora ho? (il giardino della propria infanzia, più o meno consapevole, il nostro grembo, il nostro nido. Riporta alle nostre origini) 2. OIKIA La casa che costruisco, la mia vita adulta. Dalla realtà giovanile a quella adulta (mettere su casa). Edificare da sé. E’ un processo che comincia già dall’ adolescenza (la mia camera, il mio poster, ecc.). E’ lo spazio di riconoscimento della propria libertà (a casa mia sono “il padrone”). E’ lo spazio della RIPRODUZIONE DI SE’, dove mi rigenero (non ho bisogno di esibirmi: in pantofole, sdraiarmi, girare nudo, ecc.) = NON RECITO. 3. AGORA’ Spazio delle relazioni non subite, come lo voglio IO (la mia casa mia più ampia). LEGAMI SOCIALI DI IDENTIFICAZIONE DEI RUOLI. Agorà rappresenta la PIAZZA, è il luogo delle relazioni sociali, è molto di più della propria casa. E’ il luogo dove io ritrovo gli amici, rivedo la mia scuola, ………ecc. E’ il luogo della CONDIVISIONE DELLO SPAZIO SOCIALE. AGAPE Luogo di incontro, di riconoscimento reciproco, di solidarietà, di sentimento, di fraternità. Ne deriva: Definire le persone senza dimora o con poca dimora, senza casa, senza tetto! Che cosa manca? Quale dimora manca? Ognuno di noi è sottoposto ad acquisti e perdite di dimora. Discussione sulle quattro dimensioni: 1. KEPOS dipende dalla generazione, rientra il senso di famiglia più o meno allargato, ricordi, sensazioni, sentimenti di sicurezza e/o protezione, pensieri sia all’interno della casa, sia che coinvolgo l’ambiente circostante (gli odori, il susseguirsi delle stagioni, ecc.). presenza di figure di riferimento 2. OIKIA bisogno forte di sgancio per costruire qualcosa di proprio, di diverso, in autonomia. 3. AGORA’ rappresenta in particolare il lavoro, lo studio, il tempo libero, le attività sportive. 4. AGAPE è rappresentato dal gruppo delle amicizie datate e non con forti legami, riunione saltuaria della famiglia “allargata” (ricorrenze, ecc.) Il gruppo generale si ricompone e analizza i vari punti. Ogni gruppo presenta il suo lavoro per arrivare a un concetto comune: 1. KEPOS ANCORA PRODUCE SENSO ORA E’ PIU’ PICCOLO (la famiglia era più allargata) ANCHE L’AMBIENTE GIOCO, GRATUITA’ INTIMO (delicato) ANCHE COME SOGNO (mito del ritorno) DATO SPESSO PER “SCONTATO” (non come matrice) 2. OIKIA: spazio di relazioni costruito e dove posso costruirmi COSTRUIRE I PROPRI SIGNIFICATI MUTA NEL TEMPO PER CULTURA SGANCIO IN AUTONOMIA CASA FATTA DI RELAZIONI E DI RUOLI “SONO DISORDINE” (trascuratezza, estraneità) 3. AGORA’ CONFRONTO, AMICIZIE, ATTIVITA’ E AMBIENTI DI VITA, TEMPO LIBERO, DISCONTINUITA’, DIMENSIONE PUBBLICA CAMBIA NEL TEMPO, FLUIDO (comprende la convivenza culturale) NOI ABBIAMO TANTE PIAZZE (totalizzanti o spezzettanti), date dai diversi ambienti di vita 4. AGAPE: relazioni senza le quali la vita perde di significato AFFETTIVITA’ di valori e idee COMUNITA’ (kepos allargato) FAMIGLIA ALLARGATA, PARENTI AMICIZIA, AFFETTO LEGAME CON L’ESPERIENZA FAMIGLIARE