L`ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE Tratto da un corso di LUIGI GUI

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L`ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE Tratto da un corso di LUIGI GUI
L’ACCOMPAGNAMENTO SOCIALE
Tratto da un corso di LUIGI GUI
Prima Definizione della persona senza dimora: persone che hanno vicende personali di rottura di
legami. Questa dimensione si collega a una perdita di senso, di percezione di sé, di identità,
provocando la carenza di risorse materiali.
Questa definizione, però, non dice abbastanza sul motivo per il quale alcune persone permangono in
questa condizione e altre no: infatti questo è ciò che succede ad ognuno di noi. Tutti siamo soggetti
a questi tipi di rotture.
Metafora della tendina canadese: assomiglia alla nostra vicenda di equilibrio nella realtà. Noi
stiamo in equilibrio perché stiamo ancorati al terreno da una serie di picchetti, paragonabili alla
quantità di legami e emozioni della nostra esperienza di vita. Abbiamo molte dimensioni
esistenziali, così come ci sono molti picchetti che sorreggono la tenda. Il nostro equilibrio
esistenziale si compone di una miscela varia di molte dimensioni (affettiva, psicologica, culturale,
economica, fisica…): la multidimensionalità del proprio benessere. Noi giochiamo la nostra vita su
molte dimensioni. Nicola Negri (sociologo): “noi intraprendiamo la nostra vita con una dote
originaria (premesse economiche, culturali, fisiche, etc.), ma questa dotazione si confronta con le
nostre capacità”. Nell’impresa esistenziale ciascuno di noi è esposto alle intemperie: nella vita
nessuno è garantito rispetto ai traumi. Stereotipo: non è vero che esiste chi sta bene e chi sta male,
ma ciascuno sta un po’ bene e un po’ male in fronti diversi della sua impresa esistenziale. Nei nostri
accadimenti quotidiani può capitare una rottura: nella tendina canadese, quando salta un picchetto,
la tenda non precipita. Se salta un secondo picchetto la condizione peggiora, se salta un terzo
picchetto la tenda rischia di incrinarsi. Se si alza il vento saltano tutti i picchetti assieme. Nella
nostra vita quotidiana capitano costantemente intemperie: come nella tendina non cadiamo
immediatamente ma abbiamo il tempo di ripristinare il picchetto saltato (es. della rielaborazione del
lutto). Nella maggior parte dei casi abbiamo altri picchetti (lavoro, figli, etc.): abbiamo molte
risorse. Per il fatto che noi abbiamo molti riferimenti siamo ancorati ad un contesto che ci permette
di far fronte alla molteplicità di eventi traumatici. C’è chi ha una dotazione originaria più ampia e
chi meno: se io ho tanti picchetti piantati faccio fronte meglio alle rotture accidentali, se ne ho pochi
sono più a rischio. Tra i picchetti più importanti c’è il legame affettivo, questo è uno dei tiranti
fondamentali (negli anni 80 il 40% dei senza dimora aveva trascorso l’infanzia in un’istituzione):
le premesse affettive nell’infanzia sono dei fronti altamente significativi per mantenere un equilibrio
per le imprese esistenziali successive. Anche il livello culturale è un aspetto importante.
Se un fronte della nostra tenda è cedevole, noi ci ancoriamo agli altri. Ma se i fronti cedevoli
cominciano ad essere molti, facciamo più fatica a mantenere l’equilibrio. (es. della perdita lavoroalcol-violenza-perdita famiglia…): gli elementi possono concatenarsi, e più si concatenano l’uno
con l’altro, più i legami che ci trattengono dentro il nostro equilibrio cadono: deriva sociale.
Nell’impresa esistenziale cerchiamo di realizzarci: questa impresa di crescita gioca nelle molte
dimensioni. Ciascuno di noi intraprende l’impresa esistenziale attraverso mete esistenziali
auspicabili per sé. Selezioniamo strategie possibili in ragione dei momenti di successo o insuccesso
che intraprendiamo. (es. degli studi: al terzo tentativo sul test di selezione, sul piano psicologico,
cambia la mia vulnerabilità: quanto influiscono le sconfitte precedenti? Il dolore della prossima
sconfitta sarà molto maggiore. Mi espongo ad un rischio più elevato sul piano del mio equilibrio. È
la volta che si determina il mio auspicio di realizzazione. Se non ce la faccio probabilmente
cederò). Noi siamo tenaci nel perseguire mete esistenziali, ma dobbiamo bilanciare gli esiti di
sconfitta con gli esiti di successo. Il piano affettivo è più delicato perché i successi e gli insuccessi
pesano molto sul nostro equilibrio: se io non sono riuscito a costruire una relazione significativa con
una persona, prima di cominciare una nuova impresa significativa starò più attento, e se va male
anche una seconda volta, una terza, una quarta rischio di mollare e cadere in depressione. (es.
dell’invio al colloquio di lavoro): dietro alle giustificazioni per non esserci andato ci sta la
percezione che affrontare quel tipo di sconfitta per me è troppo alto: sentirmi dire per l’ennesima
volta di no mi provocherebbe un dolore talmente forte che è preferibile rinunciarvi in anticipo:
adattamento per rinuncia. Questo processo non è quello di rettificare le strategie per fronteggiare
un percorso, o di ricollocare la rete esistenziale, ma è rinunciare a quell’auspicio di realizzazione:
“per me avere una storia importante è impossibile, per me una realizzazione sul piano lavorativo è
impossibile”. Spesso non è una situazione consapevole, ma è una percezione profonda.
L’adattamento per rinuncia implica la chiusura di un orizzonte. Ho rinunciato perché è
irraggiungibile, è irraggiungibile perché ogni volta che ci ho provato il dolore della sconfitta è stato
superiore all’auspicio di realizzazione.
Noi viviamo in una società che prescrive alcune mete di realizzazione: la nostra cultura è permeata
di alcune rappresentazioni di successo: le mete auspicabili e quali sono i mezzi per raggiungerle
sono codificate (es. dell’abbigliamento che usiamo in relazione al ruolo e al contesto). I
comportamenti umani possono avere diversi gradi di composizione: c’è chi condivide le mete e
adotta i mezzi prestabiliti, chi condivide le mete ma adotta altri mezzi (es. spacciatore), oppure chi
rinuncia alle mete. Quando si parla di persone alla deriva, disaffiliate, si hanno in mente
persone che hanno rinunciato al conseguimento di alcune mete per la percezione di non avere
i mezzi per raggiungerle. I devianti, al contrario, sono persone propositive anche se raggiungono
le mete con mezzi poco legittimi. Le “persone in fuga”, pur auspicando una meta, si ritraggono da
tale prospettiva, abbandonandola, per l’incapacità di conseguirla: sono persone recessive.
L’immigrato che raggiunge il nostro paese, nella maggioranza dei casi, è una persona aggressiva
(nel senso buono): aggredisce la realtà per conseguire una meta esistenziale. Tra gli anni 90 e gli
anni 2000 in molti dei servizi a bassa soglia c’è stato uno spostamento di utenza: le persone alla
deriva sono andate ancora più fuori rispetto alla presenza considerevole di persone che versavano si
nella medesima condizione di grande deprivazione, ma con un atteggiamento completamente
differente.
La percezione soggettiva di non riuscire a raggiungere nessuna meta porta alla
impermeabilizzazione al richiamo esistenziale. Più chiudo orizzonti di riuscita esistenziali, più
comincio a collocarmi in una posizione difensiva, in cui cerco di mantenere l’equilibrio minimo
sufficiente di benessere che sono riuscito a comporre: il mio orizzonte concettuale va
distruggendosi: meno mete perseguo, più queste si avvicinano (vivere alla giornata). La mia
disponibilità ad aprire nuovi percorsi è ridottissima. La progettazione significa gettarsi oltre, ma
questo comporta uno sguardo lungo, ecco che allora le persone che entrano in questa prospettiva
cominciano ad impermeabilizzarsi dalle relazioni esterne che sono minacciose per il proprio
equilibrio minimo. Paradossalmente, chi vive questa condizione non è una persona che non voglia
stare bene, ma è una persona che presume di non potere stare meglio, e che cerca di difendere la
condizione minima che conosce (es. ho mal di denti e cmq rifiuto di recarmi dal dentista). Questo
atteggiamento di chiusura dell’orizzonte porta l’individuo a diventare una monade galleggiante
nella deriva sociale, un bozzolo autosufficiente. L’esito, anche figurativo, è quello dell’uomo
chiocciola: la persona che costruisce intorno a sé una corazza di presunta autosufficienza, ma in
realtà di deriva e demolizione di sé. Anche a livello somatico si comincia a vedere la persona che,
progressivamente, comincia ad avere un atteggiamento difensivo che diventa di corazza (molto
vestito anche d’estate, cartoni, sacchetti): alla fine si crea un conglomerato difensivo che,
paradossalmente, assomiglia in tutte le parti del mondo. L’esito è il medesimo da Parigi a New
York anche se la causa di partenza è differente.
Questo processo, a livello schematico, può essere visto come una curva che varia in base alle
differenti storie esistenziali. È difficile capire quale sia il momento di svolta: nelle narrazioni di
storie di vita quasi sempre emerge un punto di svolta: la persona riconosce un evento per il quale la
vita ha preso un altro corso. In realtà quello non è che un evento di una nebulosa di eventi. C’è un
principio di multicausalità anche se la persona ha bisogno di identificare un evento scatenante. È un
processo che si sviluppa nel corso di anni: ad un certo momento si inizia un percorso di
metamorfosi (cambio di identità): all’inizio la gran parte delle persone che si trovano in assenza di
alloggio rifiutano di dormire in una struttura dove ci sono altre persone, perché non si identificano
in altro rispetto a quello che hanno cercato di difendere fino a quel momento. Vi è la
consapevolezza che l’ingresso in un certo universo assistenziale significhi cominciare a diventare
altro. Spesso i servizi assistenziali premono nell’accelerare questo processo di metamorfosi perché
hanno bisogno di codificare il soggetto: è il giudizio esterno che etichetta la persona. C’è dunque
una grande resistenza a riconoscersi nel processo di deriva. La persona, mentre compone
consapevolmente il bilancio esistenziale sulle proprie prospettive, mette in atto relazioni strumentali
per difendersi: le utilizza a suo consumo evitando il più possibile che la modifichino. Nel
linguaggio sistemico si definiscono sistemi chiusi: non è chiuso solo nella misura in cui non ha
scambi con la realtà esterna, ma anche nella misura in cui i rapporti con la realtà esterna sono
trattati in modo tale da non modificare se stessi. (es. del copione teatrale x ottenere qlc: vi è una
rappresentazione di sé che, strumentalmente, può esibire se stesso ancora dentro la grande
narrazione condivisa dove ciascuno è orientato a mete di successo): questo tipo di situazione ha un
doppio effetto:
1) effetto strumentale: ottengo quel che mi serve per sopravvivere
2) effetto identitario: mi rappresento ancora con l’identità che proteggo salvaguardando la mia
autostima. (es. mi rappresento ancora come una persona progettuale: se vado dall’assistente
sociale chiedendo soldi ammettendo di avere problemi, questa mi proporrà un progetto: ma se
io ho già esistenzialmente censurato il progetto o mi ritraggo, oppure accetto il progetto
strumentalmente per ottenere il contributo: prefiguro condizioni che non hanno credibilità).
Queste rappresentazioni un po’ alla volta vanno affievolendosi fino ad essere elaborate
progressivamente: in questa fase l’operatore prova un grande disagio, l’interlocutore che si offre
all’aiuto è ancora nell’atteggiamento di entrare in relazione: la sua azione d’aiuto è incentrata sul
cambiamento dell’altro, mentre l’altro è impermeabile: Il suo gioco è quello di non fare aprire
l’impermeabile. In questa rappresentazione della realtà ci si trova in un gioco all’inseguimento:
l’operatore asseconda la progettazione esibita, che però è una recitazione, mentre l’altro fa i salti
mortali per costruire una raffigurazione credibile. (es. mando a un colloquio una persona, non ci va
e si giustifica col mal di pancia, allora mi preoccupo e lo mando dal medico, allora lui dice che sta
già facendo visite da un medico amico suo di un’altra città, e allora io cerco di contattare il
medico….e allora penso che mi prenda in giro perché scopro l’inganno, eccetera). Si crea una forte
disillusione in chi offre l’aiuto. Risultato: diffidenza e rancore. Dunque: “se lui mi prende in giro è
colpa sua, e allora se è colpa sua che si arrangi”. Noi non abbiamo cambiato nulla: lui lo sapeva già
che tu non eri disposto ad aiutarlo e tu ti immaginavi già che lui non sarebbe stato disposto ad
essere aiutato: Posizione di stallo. L’operatore diventa uno di quei tanti strumenti di sopravvivenza
lungo una storia che non sai quando è cominciata e quando finirà. Talvolta il giudizio che
applichiamo è molto severo. (es. del venditore di aspirapolvere: sto al gioco anche se so che finge):
se, invece di applicare un giudizio morale, noi entriamo dentro questa rappresentazione, potremo
addirittura complimentarci con la persona: ha ancora una residua capacità di recitazione e dunque
ha potenzialità. Possiamo cambiare registro interpretativo di queste rappresentazioni. Il problema
non è la rappresentazione, ma il vissuto del soggetto.
Ciascuno, quando narra se stesso, si restituisce, ascoltandosi, un’immagine. La narrazione
autobiografica non è mai uguale, dipende da chi abbiamo di fronte. Ma questo serve anche a non
precipitare in un’altra identità. Spesso le persone raccontano storie irreali, spesso smentite: sono
narrazioni di sé che tentano di preservare un’immagine. Talvolta, lasciare che queste
rappresentazioni si esprimano, è una delle poche possibilità che offriamo di mantenere
un’immagine di sé che non sia la cruda e precipitosa realtà. (es. del sardo che ogni anno diceva di
voler andare a trovare la famiglia): questa è una situazione in cui è difficile cogliere qual è
l’itinerario esistenziale in cui la persona si trova.
Questa scena dura relativamente poco: la persona va sedimentandosi nei livelli di sopravvivenza,
condividendo la prossimità con chi vive la medesima condizione. La prossimità quotidiana, la
condizione in cui ci si trova, gli sguardi degli altri, comunque, fanno cambiare la nostra identità. (es.
del bar: preferisco non entrare: questa applicazione di giudizio da parte degli altri provoca delle
valvole di non ritorno: quanto più assumo questa identità, tanto meno ritorno). Noi facciamo
resistenza al cambiamento in tutte le direzioni. Più i tempi di permanenza alla deriva sono lunghi,
più è difficile il ritorno. La permanenza in una certa condizione cristallizza la condizione medesima
rispetto a un mutamento. Accetto di far parte della comunanza del senza dimora con dignità: ormai
sono altro, con quella realtà da cui mi sono staccato con fatica posso avere solo uno scambio
strumentale. Ora vi è un altro mondo relazionale che non è fatto di legami ma di comunanza di
sentimenti. Questa situazione porta o alla demolizione di sé, oppure potrebbe diventare il recupero
di qualche elemento di potenzialità. Qui abbiamo uno degli elementi cruciali circa
l’accompagnamento: se è buona l’ipotesi che ciascuno, nella sua impresa di vita, tende a
raggiungere le mete di realizzazione soddisfacenti per sé, quello che ci interessa non è il
raggiungimento di mete socialmente prescritte, ma la percezione soggettiva di essere in una
prospettiva di composizione di benessere soddisfacente per sé. Non ci deve interessare la
collocazione in cui si trova la persona, ma l’atteggiamento con cui affronta la realtà quale che sia la
sua posizione. La possibilità di prefigurarsi in una prospettiva di miglioramento piuttosto che di
stabilità o di peggioramento: il potere di aprire l’orizzonte piuttosto che lasciarlo chiuso. (es. perché
l’alcolista deve smettere?: se io ho un orizzonte di breve periodo e sto tremando perché sono in
astinenza è ragionevole che beva). Il problema è quello di porsi in una situazione di
fronteggiamento costruttivo nei confronti della realtà piuttosto che recessivo. Spostamento
dell’obiettivo. Stereotipo dell’aiuto: riportare a condizioni di normalità la persona. Ma, con persone
che vivono da anni questo itinerario, non è scontato che si torni alla normalità prestabilita dalla
società; anzi è poco probabile. Lavorare in questa prospettiva è fallimentare: anche se si ottengono
alcuni successi i tempi sono troppo lunghi. È illusorio credere di poter riportare le persone ad un
livello di normalità. Se tanto è stato il tempo per scendere tanto sarà il tempo per risalire, ma non
sarà mai il livello auspicabile, seguendo le traiettorie esistenziali ordinarie. Quello che succede più
frequentemente nei sistemi pubblici, ma anche privati, è ripristinare solo le sembianze della
normalità. Si compie un’operazione estetica. (es. tso): ma se la persona ha intrapreso una pista
difensiva nel rapporto con la realtà, di mantenimento della sua condizione, è un’operazione di
ripristino di un assetto che potrebbe andare bene per un altro standard, ma rispetto alla sua
esistenza peggiora la situazione: “ la tua impermeabilizzazione relazionale non è stata ancora
sufficiente, se non riesci a farlo sul piano fisico, fallo almeno sul piano psichico”. Questi sono
alcuni meccanismi standard che vengono adottati, e se applicati su certe vicende sono assolutamente
devastanti. La cosa più probabile è che la persona torni come prima, se non peggio, in breve tempo.
L’obiettivo dunque non deve essere ripristinare la normalità ma recuperare un atteggiamento
nei confronti della realtà, che faccia nuovamente scommettere sulla propria possibilità di
conseguire delle mete auspicabili per sé. La differenza non è estetica ma esistenziale, può avere
un itinerario lungo o breve: di solito è un itinerario breve perché si muore, ma comunque è questo
l’elemento di qualità dell’aiuto che possiamo fornire. Le persone che hanno sperimentato una
condizione di sentimento di distanza dalla normalità che hanno abbandonato, difficilmente
ritorneranno alla comunanza di sentimento di quell’universo di vita. Pretendere che la persona
cancelli questa sua dimensione identitaria è inutile e infruttuosa, ma addirittura dannosa: le persone
nn tornano indietro, ma vanno avanti. Il nostro scopo nn deve essere quello che si dimentichino la
vita sulla strada o che neghino la comunanza di sentimento con altri, il problema è se permangono
in questa condizione psicologica o intraprendono nuovamente percorsi esistenziali soddisfacenti per
sé, che li portino a un miglioramento delle condizioni di vita. Quindi non il ripristino delle proprie
condizioni ma un atteggiamento differente della realtà.
L’identità
Banalmente noi ci riconosciamo attraverso il nostro nome. Noi veniamo chiamati parecchie volte
nell’arco della giornata e, a volte, il nome cambia in base al contesto (famiglia, amici, etc.). Ci sono
contesti di anonimato: questo contesto comporta una deprivazione della propria identità (diventare
un numero). Quando si va alla deriva si finisce in un fluido in cui si perde il riconoscimento altrui.
Se noi non abbiamo una quantità di riconoscimenti continui ci manca un elemento di identità:
questo attiene alla dimensione affettiva. Rogers: riconoscimento condizionato: non ti riconosco solo
a condizione del fatto che tu sia come io mi aspetto (riconoscimento condizionato), ma ti riconosco
quale tu sia. Questo è un tassello importante nella costruzione identitaria: il riconoscimento deve
anticipare qualsiasi intervento sociale. Il nome può cambiare anche in base al ruolo che assumiamo
(mamma, dottore, etc.). Sociologicamente il ruolo è un insieme codificato di attesa, quello che gli
altri si possono aspettare da te per il ruolo che hai. Quando si perde il ruolo si perde parte
dell’identità. Il ruolo è una mappa della nostra identità. Le persone che vivono in situazioni
marginali hanno una relativa povertà di attese di ruolo. Il processo di etichettamento deriva dalle
aspettative degli altri: siccome gli altri si aspettano che io sia in un certo modo, allora io sarò così.
Questi elementi sono preliminari al processo d’aiuto. Non è possibile che una persona cambi ruolo
se non ne assume un altro, altrimenti perde qualcosa (es. del tossicodipendente e il suo giro: se lo si
toglie da quel ambiente senza offrirgli un’alternativa non è più nessuno).
La dimensione economica è un altro elemento di forte condizione identitaria. Noi abbiamo bisogno
di una identità significativa: significativo vuol dire lasciare il segno. La mia identità ha valore se
conto per qualcuno. Sul piano affettivo questo aspetto implica la dimensione del legame: la sorte di
un altro è legata alla mia sorte. Noi abbiamo fame di legami (es. della moglie maltrattata che
comunque resta).
Il ruolo cambia la realtà in base al modo in cui viene esercitato (es. della borsa lavoro). La
concezione di influenza cambia la nostra percezione interna: ci fa stare bene o male (es.
dell’elemosina in cambio della pulizia del piazzale della chiesa: se il parroco che ha
commissionato il lavoro non controlla l’esito equivale a un lavoro inutile che fa star male la
persona).
Sul piano economico questo riguarda il livello di produzione e consumo: quanto produci e quanto
consumi? Si è qualcuno anche quando si consuma. E quanto influenzi la realtà in base all’esercizio
di questo ruolo (es. del servizio distribuzione vestiario rispetto al negozio).
La ricerca di una significatività apprezzabile è una questione molto importante: la discesa permane
fin quando la scommessa è perdente. Il rischio di cambiare la propria posizione è troppo elevato
rispetto alla speranza di uscirne vincenti. Cioè che vi sia un apprezzamento possibile di sé.
Riconoscimento- legame- reciprocità
La reciprocità non è solo legame ma è l’aspetto in cui io ci tengo a te tanto quanto tu ci tieni a me.
Sul piano sociale l’uomo è influente e apprezzabile nel riconoscimento di competenza e valore: la
persona ha bisogno di ricevere segnali di apprezzamento positivo. In assenza di questo si può stare
molto male: una parte delle sofferenze nel mondo del lavoro non sono legate al reddito, ma al
mancato riconoscimento dell’operato svolto. Quando un utente dice che gli va bene qualsiasi
lavoro, probabilmente questo ha già rinunciato a un riconoscimento di competenza.
Ci sono significati simbolici molto potenti su cui talvolta sorvoliamo: (es. borsa lavoro) se io sono
culturalmente ben piazzato ed ho una famiglia solida alle spalle, e per un certo tempo prendo un
lavoretto da 400 € al mese, andrà bene perché quello non sarà l’elemento che connota la mia
identità. Ragionando su un’identità significativa apprezzabile costruttiva, l’atteggiamento
costruttivo è quello di chi affronta la realtà.
La partecipazione dell’utente nel processo d’aiuto è determinante: se io sono un operatore
competente e tu sei quello che non ha competenze, io ti faccio la proposta di un progetto e tu mi dici
di sì. Questa non è una partecipazione: come posso pensare che la persona sia partecipe al processo
d’aiuto quando di suo non ci ha messo niente. E che cosa deve aver messo di suo perché influenzi la
realtà? Quando, grazie al suo intervento, avviene qualcosa di inedito nella realtà, che non era
prevedibile senza tale intervento: chi propone il progetto deve essere disposto ad includere
qualcosa che lui non poteva aver previsto. Questo è talmente importante che influenza il progetto:
se l’attesa dell’operatore viene sconvolta dalla competenza dell’utente. Allora forse il progetto potrà
implicare la partecipazione dell’utente, altrimenti il progetto sarà ben recitato (se va bene) ma non
seguito.
AFFETTIVA
SOCIALE
ECONOMICA
IDENTITA’
RICONOSCIMENTO
RUOLO
IDENTITA’
LEGAME
INFLUENZA
RECIPROCITA’
COMPETENZA
VALORE
PARTECIPAZIONE
FUNZIONE
ECONOMICA
PRODUZIONE
CONSUMO
PREZZO
GENERAZIONE
VALORE
AGGIUNTO
IDENTITA’
SIGNIFICATIVA
IDENTITA’
APPREZZABILE
IDENTITA’
COSTRUTTIVA
L’accompagnamento
La situazione dei Servizi, pubblici o privati che siano, è quella in cui l’utente si trova ad un livello
inferiore rispetto ad essi.
I Codici Affettivi
Il codice paterno è quella relazione in cui vi è qualcuno che sa quali sono le regole e gli strumenti
per diventare grandi, e le mette a disposizione del figlio. È una relazione asimmetrica: la ragione di
scambio è l’imposizione di stare alle regole. È una relazione educativa di emancipazione. È
condizionale. Lo scopo è l’autonomia.
L’emblema è l’intervento economico finalizzato: facciamo un progetto in modo tale che l’utente
riceva una risorsa al fine di restituire capacità di cittadinanza, autonomia, etc. Bergamaschi la
definiva logica del rientro. È un rapporto contrattuale: l’esito è imputabile alla buona o cattiva
volontà del soggetto.
Il codice materno non è condizionale: buono o cattivo che sia, l’utente viene sempre riconosciuto. È
incondizionato e tipico delle associazioni di volontariato. I sistemi assistenziali prescindono dalla
competenza dell’utente. Non sono volti all’emancipazione. La ragione di scambio è inversa alla
precedente: la relazione permane finché vi è l’asimmetria. Se questa viene a mancare non c’è più
bisogno della mamma.
Queste due posizioni possono portare ad alcuni problemi:
1) il problema del codice paterno nei Servizi è che per persone che abbiano tratto un bilancio
esistenziale di impossibilità a far fronte ai compiti sociali normalmente previsti, porsi in
relazione con un sistema che è performativo è impossibile: se l’utente ha già rinunciato in
partenza o rifiuta l’aiuto o strumentalizza la relazione.
2) Il problema del codice materno assomiglia alla condizione di chi, avendo ormai digerito lo
scotto della sua metamorfosi, si rassegna a collocarsi nello strato di assistenza e passività.
Il codice fraterno è una posizione differente. I codici materni e paterni si basano su una dialettica
up-down e frontale: qualcuno che chiede e qualcuno che da. La posizione frontale è molto
impegnativa perché bisogna reggere un impatto emotivo non facile. La posizione dei fratelli non è
legata al up-down, non vi è un’esplicita domanda e una necessaria risposta. In questa modalità non
vi è una posizione frontale: in una quotidianità di relazione non ci si mette di fronte ma di fianco.
Questa posizione permette il riconoscimento dell’altro e di guardare insieme nella medesima
direzione. Questa modalità consente il riconoscimento dell’altro, entrando in relazione, facendo sì
che lo sguardo non si esaurisca nella reciprocità ma venga orientato in un’altra direzione. È una
posizione laterale che non è fondata su una domanda. Nella posizione laterale i due si riconoscono:
apparentemente non si danno nulla, ma di fatto si rendono co-costruttori di identità: ponendomi
accanto ti riconosco come soggetto interessante, non come soggetto che deve cambiare. La
questione è cruciale: se abbiamo a che fare con persone che hanno posizioni difensive e recessive,
ogni intervento volto al cambiamento è motivo di allontanamento. Non sono io che posso
prefigurare l’orizzonte altrui, ma posso interessarmi e guardare assieme all’altro tale orizzonte.
Questa posizione di affiancamento non prevede che si sappia a priori dove bisogna andare, ma la
scoperta avverrà strada facendo.
Nel codice paterno e materno si deve “promettere” di assolvere al compito contrattato.
Ci si accosta al soggetto in quanto soggetto.
Sono dei codici di aiuto centrati sulla domanda e comporta Servizi in grado di dare una
risposta.
La posizione LATERALE (codice fraterno) non presuppone una domanda.
Non è necessariamente di risposta a qualcosa ma di AFFIANCAMENTO.
Parte da un atteggiamento di RICONOSCIMENTO = io ti riconosco per quello che sei (sto
cominciando un percorso di IDENTITA’, non solo RICONOSCO ma provoco
RICONOSCIMENTO.
Cerco di guardare dove stai guardando tu (utente) in una prospettiva comune di ben-essere.
1. E’ importante la dimensione dell’ ASCOLTO (anche non verbale):
Che è più di ascoltare quello che uno dice.
L’ascolto richiede tempo per permettere di cogliere i codice comunicativi dell’altro.
2. dimensione della COMPRENSIONE:
per il quale non solo ho capito, ma sono entrato nel tuo universo di comunicati che ho
interiorizzato.
1. ne consegue la dimensione dell’ ACCOGLIERE:
Accolgo avendo ascoltato, compreso e riconosciuto.
L’accogliere evoca la modalità del RICONOSCIMENTO.
Inclusione dentro le reti di relazioni/rapporti a cui io appartengo e in cui io sto.
2. nella dimensione della CONDIVISIONE:
Dividere insieme (dividiamo ad esempio lo spazio: psicologico, fisico, ecc.).Sedersi accanto.
3. nella dimensione dell’ ACCOMPAGNARE (es. Legge 328 - accompagnamento sociale):
Io cammino affianco a TE.
Io ti sono accanto per sostenere / rinforzare / coinvolgere / remotivare.
4. nella dimensione del CODETERMINARE:
E’ caratterizzata dal prendere una decisione, modificare le cose.
La maggior parte delle decisioni sono CODETERMINATE in modo più o meno
consapevole. Se io ho fatto un percorso di accompagnamento alla fine si sceglie insieme
e modifichiamo la realtà (in tanti – insieme).
La CODETERMINAZIONE è l’esito di un percorso condiviso e accompagnato.
5. la dimensione della CORRESPONSABILITA’:
La persona riconosciuta comporta responsabilità per molti.
L’esito che va dal RICONOSCIMENTO alla CORRESPONSABILITA’ non dà sempre un
esito di “normalizzazione”.
Bisogna percepire l’aiuto in modo “diverso”, quanto meno devo capire come tutte le
diverse realtà coinvolte intendono l’aiuto e trovare punti di condivisione.
Questo richiede pertanto un ASSETTO dei SERVIZI = competenze e ruoli diversi in un
quadro condiviso. Gli aspetti parziali devono essere resi complementari.
UNO fa molto bene per sé; bisogna pertanto guardare ad un sistema di competenze e
ruoli diversi ma CONDIVISI.
Nella METAFORA DEI SERVIZI ( = la MOTO) bisogna mettere insieme:
AFFIANCAMENTO - ACCOMPAGNAMENTO (affiancatore = CANDELA)
La candela fa scoccare la scintilli. E’ una parte piccola della moto ma importante.
Se deleghiamo all’ affiancatore tutto il lavoro, lo portiamo a “bruciarsi.
NUCLEO DI AFFIANCAMENTO
L’affiancatore deve riuscire a corresponsabilizzare altri soggetti, in un tempo relativamente breve, altrimenti può
fallire.
Almeno sei persone, non necessariamente tutti operatori (es. vicino di casa, il barista, ecc.).
SISTEMA D’AIUTO ( = MOTORE)
Insieme di soggetti coimplicati e coordinati tra loro rispetto la vicenda - il caso. Ogni caso e/o
ogni vicenda ha il suo Sistema d’ Aiuto.
SISTEMA DI SERVIZI ( = TELAIO, se non c’è un buon telaio la moto non tiene)
RISORSE ( = LE RUOTE, toccano terra – mi permettono di viaggiare)
MOTIVAZIONE ( = CARBURANTE)
Se cade la motivazione e tutto il resto è ok il risultato non ci sarà.
LA PERSONA AFFIANCATA ( = IL PILOTA)
E’ lui che dovrà percorrere la via. Il Sistema di Servizi diviene uno strumento – un mezzo (non
posso sostituirmi al pilota) affinché l’utente prenda una strada e parta.
FORMAZIONE e SUPERVISIONE ( = LUBRIFICANTE)
RETE = METTERE INSIEME COMPETENZE DIVERSE IN UNA LINEA CONDIVISA
ADULTI-PERSONE
SENZA (casa, alloggio, dimora, rifugio)
con MANCANZA di (lavoro, contenitore affettivo – culturale – fisico, riferimenti)
che PORTA a non essere in grado:
- di INTEGRARSI con la REGOLARITA’
- con DIFFICOLTA’ di RELAZIONI – LEGAMI (affettivi, ecc.)
con un CONTESTO / CAUSA che produce:
- star bene / star male
- integrazione / non integrazione
- disagio / non disagio
E’ consuetudine credere che provocando il cambiamento della persona, questo determini il
“BENESSERE”.
La matrice di “BENESSERE” nasce:
1. dall’idea di BUON FUNZIONAMENTO (equilibrio funzionale) SEDONDO LA NORMA
(normalità) - (buon funzionamento DEI SINGOLI NELLE PARTI SOCIALI e IN NOI IN OGNI
PARTE DELL’ORGANISMO).
Se io ho una parte che sta male come faccio a dire/sapere se ho una patologia?:
se il sintomo dura nel tempo per cui la parte dolente non torna a funzionare normalmente
il dolore compromette altre parti del corpo …..
DISFUNZIONE: mal funzionamento PERSONALE e/o SOCIALE.
Se c’è qualcuno che non FUNZIONA secondo la “NORMALITA’” riteniamo che vada
REINTEGRATO (per farlo star bene affinché non si senta male) questo pensare produce la
CULTURA DEL DEFICIT secondo cui UNA PERSONA STA’ MALE PERCHE’ GLI MANCA
QUALCOSA.
Alcune definizioni:
REINSERIRE: reinsegnare a fare le cose che non si sanno più fare
REINTEGRARE: “complementare” – “al suo posto” – “interdipendente” – “si inserisce bene” –
“adattamento”
RIFORMATORIO: luogo dove si ridà la forma.
RIABILITAZIONE: noi riabilitiamo, cerchiamo di ridare abilità
2. o secondo un’altra lettura che non guarda alla disfunzione del singolo ma alla
DISFUNZIONE DELLA SOCIETA’ (secondo cui alcuni non godono come altri di diritti, privilegi,
ecc…). LE PERSONE DEVONO POTER GODERE DI UNA SERIE DI BENI, BEN
DISTRIBUITI. La DISFUNZIONE deriva dal NON POTER ACCEDERE AI BENI / SERVIZI.
3. oggi non vale l’idea del non equilibrio dovuto al disequilibrio del singolo o della società
perché non abbiamo e/o non valgono più i parametri della “normalità” e perché il mondo non è
in grado di distribuire equamente i beni. Inoltre il bene materiale non gratifica uniformemente il
benessere soggettivo (ciò che soddisfa te non è detto che soddisfi me).
(la percezione soggettiva non è uniformabile, non è standardizzabile)
BENESSERE ECOLOGICO (non parte dalla presunzione che via sia una condizione
“universale” di benessere, parte dal contrario): CONTINUO PROCESSO DI TENSIONE
VERSO METE AUSPICABILI.
Soggetti in tensione che si avvicinano a mete auspicabili:
Schema delle varie dimensione coinvolte nel benessere ecologico secondo Folgheraiter e
non solo:
Dimensione
affettiva emotiva
Dimensione
organica
fisica
Dimensione
istituzionale
Dimensione
cognitivacomportamentale
Dimensione
relazionale
(le relazioni)
Dimensione
fisica-o
(ambientale,
es. dist.km)
Dimensione
culturale
La mia (intesa come soggettiva) “condizione di equilibrio” non è scontata in quanto è
prescindibile/si deve rapportare con altre DIMENSIONI / CONTESTI.
PROBLEMA: è dato dalla difficoltà a comporre gli elementi PER RAGGIUNGERE METE
AUSPICABILI.
RISOLUZIONE DEL PROBLEMA: non pensiamo più in un ottica di “risoluzione” del problema
ma in un ottica di FORNTEGGIAMENTO DEL PROBLEMA.
(fronteggiamento: quale è la composizione che il soggetto ha adottato, fino ad ora, nella
prospettiva di benessere).
Ancora oggi stiamo pagando una categorizzazione imperfetta.
L’elemento che accomuna le varie etichettature è IL CONTESTO SOCIALE.
Ciascuno di noi:
1. NASCE nel mondo (da Nicola Negri) con delle caratteristiche personali e in un contesto
ambientale specifico/particolare
2. HA / NON HA capacità di conversione delle risorse
3. COMBINATI i punti 1 - 2 possono dare esiti diversi con risultati diversi a seconda delle
capacità di CONVERSIONE
Ognuno di noi affronta l’esperienza per prova ed errori (es. bambino piccolo) ed ogni
volta “bilanciamo” i tentativi di successo (le strategie) con la meta auspicata e la
possibilità di raggiungerla.
Questo percorso è mosso su una moltitudine di DIMENSIONI.
Come la tenda che sta in equilibrio con tiranti/picchetti, noi stiamo in equilibrio perché
abbiamo vari tiranti (relazioni / contesti).
I vari tiranti e picchetti sono messi a dura prova dal fatto che subiamo molti traumi / sconfitte /
lutti. E’ in queste situazioni che il nostro equilibrio è messo a dura prova.
Capita che alcuni soggetti “partano male inizialmente” (pochi picchetti e messi male):
- legame affettivo primario latente
- bassa scolarizzazione (molto spesso)
- le persone tra mete auspicabili / risorse disponibili / difficoltà sommano una catena di
TRAUMI / fallimenti (sommatoria di diverse dimensioni di eventi traumatici.
Nella maggior parte dei casi c’è un evento traumatico che scatena il disequilibrio, ma può
essere che questo si sommi alla presenza di un disequilibrio primario.
Per raggiungere le “mete auspicabili” utilizziamo una serie di strategie REITERATE però se
questi tentativi non portano a vittorie ma a fallimenti si verifica un aumento di vulnerabilità
(sommatoria di dolore che mi provoca la sconfitta = è molto pericolosa).
LA SCELTA di non affrontare un percorso doloroso per RINUNCIA di una meta auspicabile
(recedendo / sottraendosi da un fronte non raggiungibile).
SCELTA RECISSIVA = PER RINUNCIA
DI ADATTAMENTO PER RINUNCIA
NON ESPONGO IL MIO “IO” AD UNA ENNESIMA SCONFITTA
Rinunciare internamente ad una meta non vuol dire rinunciare ad UN RUOLO SOCIALE (che
diventa strumentalizzante) = rappresentazione esterna del sé diversa da quello che siamo
internamente.
Persone “senza dimora” si diventa in tanti anni / con tanti tentativi falliti / in molte dimensioni
(lo si vede dalla postura che rappresenta la chiusura, persona insensibile a tutti i rapporti
esterni: tanti cappotti sia in estate che in inverno, non sentono gli odori …….., ecc.).
La RECESSIONE diventa TALMENTE POTENTE e permette la scelta di un equilibrio interno
per SMETTERE DI SOFFRIRE. = PROGRESSIVA MORTE = FUGA DALLA SOFFERENZA.
VISSUTO RECESSIVO = non volutamente deciso ma sentito come unica
alternativa “PER NON SOFFRIRE”.
“io non sono capace” (aspetto soggettivo)
“non è possibile” (aspetto reale)
suggerimento: Libro: Gente di Sentimento – Tosi, Combini
IO, EMARGINATO sono convinto di cambiare solo se il “gioco” vale la candela!
A
Noi dobbiamo essere
convinti che il
soggetto possa
invertire rotta. Se
non lo siamo,
possiamo solo
ottenere un
miglioramento
“estetico” => lavoro
per qualcuno e non
con qualcuno
A
68
65
45
35
25
B
A 65 stato
“normale” di
equilibrio/benessere.
Per riportarlo al
punto A bisogna
“reinserire” la
persona
Es. in tre anni riusciamo a portare in equilibrio la persona? MOLTO DIFFICILE
IL CAMBIAMENTO E’ SOCIALMENTE IMPERCETTIBILE
In realtà è impensabile un cambiamento in un periodo così breve perché ho alle spalle uno
stato di emarginazione di 40 anni. E’ già molto se invertiamo la rotta = DA UN PERCORSO
MORTIFERO portarlo ad UNA VOGLIA DI VIVERE.
Una relazione si definisce di AIUTO quando consente al soggetto “di raggiungere / di
avvicinarsi” alle mete “raggiungibili / perseguibili”.
IL BENESSERE NELLA COSTRUZIONE DEL SE’
(benessere = persona che va cercando di star meglio in alcune condizioni – non in senso
assoluto / sé = percezione a livello di raggiungimento della meta).
IDENTITA’
FUNZIONE
ECONOMICA
consumo / produzione
IO SONO SOGGETTO
ECONOMICO QUANDO
HO CAPACITA’ DI
CONSUMO E DI
PRODUZIONE
SIGNIFICATIVA
AUTONOMIA
NELLE
DECISIONI
non
solo
consumo
e
produzione ma
CONTA anche
COME
CONSUMOPRODUCO
(es. scelta del vestiario:
Caritas e negozio)
Io posso scegliere
perché ad es. sono
cliente …partecipando
così attivamente / non
attivamente alla
costruzione della
autonomia
APPREZZABILE
COSTRUTTIVA
PREZZO
(es. il prezzo della parcella
da un valore alla
professionalità)
VALORE
meglio “delirare” sullo
stipendio che prendevo
(es. 2.000, 00 € mese)
che accettare la realtà
che mi offre un lavoro
da 500,00€ al mese
AGGIUNTO
metto la mia parte
introducendo
delle novità. Non
arrivo a ciò se i
passi precedenti
non
li
ho
raggiunti
Che cosa sono?
Che cosa gli altri si
aspettano che io sia /
faccia?
noi diamo una risposta
di RUOLO
SOCIALE
- la perdita di ruolo è
motivo di grande sofferenza
(es. il pensionato)
- e’ importante una
aspettativa di ruolo ma
attenzione perché questa
da una parte edifica e
dell’altra fossilizza
- essere un assistito è
sempre meglio che essere
NESSUNO
INFLUENTE
Il modo in cui tu
eserciti il tuo
RUOLO non è
indifferente
“CAMBIA LE
COSE”
COMPETENZA
E VALORE
PARTECIPAZIONE
Riconosco ciò che hai
fatto, ma non a priori.
Realmente APPREZZO
ciò che hai fatto
Il teppista (che rompe una
panchina) lascia un segno
(es. l'affermazione che
in ambito sociale dove non ci viene data "qualsiasi
ha potuto partecipare alla
lavoro" parte dall’idea
realizzazione di qualche
che l’altro non gli
cosa. Lascia “un impronta”
riconosca competenza e
visibile. Al contrario cosa
valore
non è da fare: es. spazzino
improvvisato che pulisce
per soldi = il suo ruolo di
spazzino è marginale
perché non importa come
pulisco, con cosa pulisco,
ecc. tanto i soldi me li
danno ugualmente
METTERE
FARE
PROPRIA
PARTE.
/
LA
Ma come faccio se non
mi è riconosciuto un
valore. Non si può
partecipare per obbligo
AFFETTIVA
LEGAMI
Non solo tu, lei, l’altro
RICONOSCIMENTO mi riconosce ma anche
qualcuno a cui dire la
FONDAMENTALE e
mia
“sorte” è legata alla
INCONDIZIONATO
tua. La questione dei
(il nome è affidato agli
legami è importante, c’è
altri). E’ importante
restituire la stessa identità chi ne ha di più e chi di
meno e chi in un dato
- riconosce
momento è privo di
“legami”. Nel
non riconoscere
RICONOSCIMENTO
- chi riconosce chi
DEI LEGAMI “SONO”
in che termini
sta a significare SONO
PER QUALCUNO
RECIPROCITA’
GENERATIVITA’
Cerchiamo quei
legami in cui TU
TIENI A ME
QUANTO
IO
TENGO A TE
vivendola come
una
esperienza
rara anche per noi
“operatori”
es. una famiglia
equilibrata e accogliente
generare un clima
generazionale
costruttivo è difficile
Nella costruzione del sé è importante la relazione con gli altri tanto che non dobbiamo
lavorare solo sul soggetto ma anche sulle RELAZIONI.
Nel chiedere di CAMBIARE chiediamo la cosa più difficile che lui possa fare.
E’ importante dire che questo cambiamento avviene coinvolgendo una pluralità di figure,
cose, modalità. Non più IO ma NOI.
E’ importante prima di tutto RICONOSCERE la persona (conoscere più volte, riconoscere
dopo aver conosciuto).
E’ difficile che un Servizio “aventi funzioni pubbliche” riconosca il soggetto in tutte le sue
dimensioni (vedi tabella).
Non è giusto neanche che una persona che aiuta ricopra tutte le dimensioni coinvolte
nell’aiuto. E’ più funzionale una pluralità di figure che intervengono. Tanto più sono SOLO nella
relazione d’aiuto, tanto più sono in disequilibrio.
L’intervento è destinato al fallimento perché non porto la persona all’autonomia.
Seguono lavori in gruppo (da 5 persone) che, partendo dai dati della tabella, ha analizzato
vari casi.
Da pensieri di Lucio Demetrio.
Egli scompone il termine DIMORA in quattro dimensioni:
1. KEPOS
2. OIKIA
3. AGORA’
4. AGAPE
1. KEPOS
DIMORA INTERNA, ORIGINARIA
Ci si chiede IO quale dimora ho?
(il giardino della propria infanzia, più o meno consapevole, il nostro grembo, il nostro nido.
Riporta alle nostre origini)
2. OIKIA
La casa che costruisco, la mia vita adulta.
Dalla realtà giovanile a quella adulta (mettere su casa).
Edificare da sé.
E’ un processo che comincia già dall’ adolescenza (la mia camera, il mio poster, ecc.).
E’ lo spazio di riconoscimento della propria libertà (a casa mia sono “il padrone”).
E’ lo spazio della RIPRODUZIONE DI SE’, dove mi rigenero (non ho bisogno di esibirmi: in
pantofole, sdraiarmi, girare nudo, ecc.) = NON RECITO.
3. AGORA’
Spazio delle relazioni non subite, come lo voglio IO (la mia casa mia più ampia).
LEGAMI SOCIALI DI IDENTIFICAZIONE DEI RUOLI.
Agorà rappresenta la PIAZZA, è il luogo delle relazioni sociali, è molto di più della propria
casa. E’ il luogo dove io ritrovo gli amici, rivedo la mia scuola, ………ecc.
E’ il luogo della CONDIVISIONE DELLO SPAZIO SOCIALE.
AGAPE
Luogo di incontro, di riconoscimento reciproco, di solidarietà, di sentimento, di fraternità.
Ne deriva:
Definire le persone senza dimora o con poca dimora, senza casa, senza tetto!
Che cosa manca? Quale dimora manca?
Ognuno di noi è sottoposto ad acquisti e perdite di dimora.
Discussione sulle quattro dimensioni:
1. KEPOS
dipende dalla generazione, rientra il senso di famiglia più o meno allargato, ricordi,
sensazioni, sentimenti di sicurezza e/o protezione, pensieri sia all’interno della casa, sia che
coinvolgo l’ambiente circostante (gli odori, il susseguirsi delle stagioni, ecc.).
presenza di figure di riferimento
2. OIKIA
bisogno forte di sgancio per costruire qualcosa di proprio, di diverso, in autonomia.
3. AGORA’
rappresenta in particolare il lavoro, lo studio, il tempo libero, le attività sportive.
4. AGAPE
è rappresentato dal gruppo delle amicizie datate e non con forti legami, riunione saltuaria
della famiglia “allargata” (ricorrenze, ecc.)
Il gruppo generale si ricompone e analizza i vari punti.
Ogni gruppo presenta il suo lavoro per arrivare a un concetto comune:
1. KEPOS
ANCORA PRODUCE SENSO
ORA E’ PIU’ PICCOLO (la famiglia era più allargata)
ANCHE L’AMBIENTE
GIOCO, GRATUITA’
INTIMO (delicato)
ANCHE COME SOGNO (mito del ritorno)
DATO SPESSO PER “SCONTATO” (non come matrice)
2. OIKIA: spazio di relazioni costruito e dove posso costruirmi
COSTRUIRE I PROPRI SIGNIFICATI
MUTA NEL TEMPO PER CULTURA
SGANCIO IN AUTONOMIA
CASA FATTA DI RELAZIONI E DI RUOLI
“SONO DISORDINE” (trascuratezza, estraneità)
3. AGORA’
CONFRONTO, AMICIZIE, ATTIVITA’ E AMBIENTI DI VITA, TEMPO LIBERO,
DISCONTINUITA’, DIMENSIONE PUBBLICA
CAMBIA NEL TEMPO, FLUIDO (comprende la convivenza culturale)
NOI ABBIAMO TANTE PIAZZE (totalizzanti o spezzettanti), date dai diversi ambienti di vita
4. AGAPE: relazioni senza le quali la vita perde di significato
AFFETTIVITA’ di valori e idee
COMUNITA’ (kepos allargato)
FAMIGLIA ALLARGATA, PARENTI
AMICIZIA, AFFETTO
LEGAME CON L’ESPERIENZA FAMIGLIARE