Desiderio della bellezza femminile del corpo ed il senso di colpa

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Desiderio della bellezza femminile del corpo ed il senso di colpa
Desiderio della bellezza femminile del corpo ed il senso di colpa
L'amore di Petrarca per Laura evidenzia un comportamento caratterizzato da alti e bassi, in cui gli alti sono
dovuti al comportamento da dama di corte, della bella, che frena questi acuti mostrandosi ritrosa quando gli
eccessi del poeta rischiano di influire negativamente sulla sua vita familiare.
PETRARCA:
Il conflitto tra anima e corpo
il contrasto tra anima e corpo si complica in un vero e più moderno conflitto interiore tra il desiderio della
bellezza del corpo femminile e il senso di colpa.
Lo splendore di Laura turba i sensi del poeta e nello stesso tempo il sentimento del peccato e della fragilità è
motivo di tormento. Mentre nella poesia stilnovistica, e soprattutto in Dante, l’amore viene sublimato in una
dimensione spirituale, quasi depurato dalla contaminazione con il corpo a vantaggio delle esigenze
dell’anima, in Petrarca non è più possibile conciliare questi due termini subordinando l’uno all’altro. L’anima
e il corpo hanno forza e diritti uguali e convivono nella coscienza del poeta sia pur con voci contrastanti
(Francesco e Agostino). Da qui l’esperienza del" doppio uomo" che rende contraddittoria la sua vita interiore.
Anche dopo la morte di Laura, Petrarca non arriverà mai al disprezzo per il corpo e quindi ad aderire ad una
visione ascetica: il corpo viene apprezzato sempre nella sua bellezza anche dopo la morte.
La principale ragione di interesse e di modernità di quest’opera sta proprio nel suo carattere aperto e
problematico. Nel Medioevo, il motivo dello smarrimento trova sempre una risoluzione finale che prevede
un ritorno nella logica della virtù e dell’obbedienza alla legge divina. Qui invece permane sino alla fine una
sorta di conflittualità interna che sembra ribadire l’incapacità di operare una scelta decisiva.
Nel Secretum si può individuare l’ambiguità petrarchesca
Il tema è l’ambiguo amore di Francesco per Laura, cioè la sua consapevole attrazione per un corpo,
mascherata da ragioni ideali e spirituali.
Il dialogo tra Franciscus e Augustinus, svolto alla muta presenza della Verità, è la lucida analisi del Petrarca.
CXXXIV, Pace non trovo, et non ò da far guerra
Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.
Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m'ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.
La rappresentazione di Laura
Nelle donne dello Stilnovo predominano le qualità morali su quelle fisiche: il loro carattere è di
essere splendenti come il sole. Il loro saluto è salute dell'anima. Nel Canzoniere è il corpo di
Laura che avvicina il poeta; la sua virtù lo allontana, lo separa irrimediabilmente dalla donna
amata, è fonte di tormento. Ma senza l'onestà di Laura, l'abbandono alla passione avrebbe
significato perdizione. L'amore per Laura vive tutto dentro la contraddizione tra anima e corpo,
tra senso di colpa e bisogno di redenzione. Proprio per questo Laura sottende una concretezza
fisica che manca alle donne dello Stilnovo, pur conservando alcuni tratti della convenzionalità
stilnovistica: la soavità e la grazia leggera della donna-angelo. Un ritratto compiuto di Laura non
si trova nel Canzoniere. Il poeta rappresenta solo i particolari della sua bellezza, la cui
idealizzazione non è mai ridotta ad allegoria, ma tradisce uno sguardo voluttuoso. Anche Laura
risponde al modello estetico della donna medievale: gli occhi sono belli («vago lume»), i capelli
biondi («vago e biondo capel»), il riso dolce («come dolce parla e dolce ride»), il viso bello, gli
«atti soavi»: la bellezza è associata allo splendore, è «vivo sole», è luce che abbaglia, oppure è
«aspra e superba», la «fera che mi strugge», «pastorella alpestra e cruda».
La donna comincia tuttavia a muoversi nella natura e nel tempo, si anima in una varietà di
stati d'animo. Laura ora alza il velo per coprirsi dagli sguardi del poeta, ora invece il suo viso pare
«di pietosi color farsi». Non è sempre la stessa. Passano gli anni e la bellezza non splende più
come in gioventù negli «occhi ch'or ne son sì scarsi». L'invecchiamento introduce una dimensione
nuova, inconciliabile con lo stilnovismo: la bellezza di Laura è fisica, caduca, perciò fonte di
un'attrazione e di una passione puramente terrene. Anche il topos stilnovista dei capelli biondi è
reinventato nel movimento delle chiome sparse al vento, che, mentre recupera l'immagine classica
di Venere, colloca la figura della donna nella natura, conferendole mutevolezza e vitalità e
consegna all'arte rinascimentale un modello femminile destinato a larga fortuna.
Il corpo di Laura è al centro della canzone «Chiare, fresche et dolci acque». Il poeta ne
rappresenta solo i particolari fisici - le «belle membra», il «bel fianco», I'«angelico seno», il
«grembo», le trecce bionde - e li mette in rapporto con i particolari della natura: le acque, il
tronco, l'erba e i fiori, l'aria serena. È stabilita così una corrispondenza, quasi uno scambio di vita,
tra le cose e le parti del corpo, tanto che alla fine della canzone il poeta trova nel paesaggio quasi
un oggetto sostitutivo della donna: «Da indi in qua mi piace / quest'herba sì, ch'altrove non ò
pace». Il corpo vivo e splendente di Laura è messo in rapporto con il corpo morto del poeta, che
immagina, almeno dopo la morte, di divenire oggetto d'amore per la donna: «volga la vista disiosa
e lieta, / cercandomi» e «già terra infra le pietre / vedendo, Amor l'ispiri / in guisa che sospiri / sì
dolcemente». Anche nella forma così sublimata di questa canzone il rapporto d'amore si configura
come rapporto tra corpi.
L'amore per Laura è passione, desiderio sensuale della bellezza fisica e terrena. Laura riempie
il poeta di «desire», essa è «sommo piacer vivo»; perciò la lontananza è così angosciosa. Nella
canzone «Di pensier in pensier, di monte in monte» né il ricordo, né la natura possono confortare
il poeta per l'assenza del «bel viso», «che sempre m'è sì presso et sì lontano». La figura di Laura
assente non trova qui oggetti sostitutivi, è una presenza mentale ossessiva che si manifesta nella
disseminazione delle parvenze della donna nella natura: «et pur nel primo sasso / disegno con la
mente il suo bel viso», «l' I'ò più volte [...] nell'acqua chiara et sopra l'erba verde /veduta viva, et
nel troncon d'un faggio». Pure parvenze che «quando il vero sgombra / quel dolce error» lasciano
il poeta nella disperazione.
Dopo la morte di Laura il fantasma del suo corpo continua ad attrarre il poeta. Anche se ha
lasciato sulla terra la terrena scorza ed è ora anima felice, la donna deve continuamente consolare
il poeta per la perdita del proprio corpo, «quel che tanto amasti / e là giuso è rimaso, il mio bel
velo» (cfr. CCCII, Levommi il mio penser in parte ov''era). AI poeta che piange per «i capei biondi,
l'aureo nodo... ch'ancor lo distringe» Laura invano ricorda la vanità della sua veste terrena: «Quel
che tu cerchi è terra, già molt'anni». Laura, pur «ignudo spirito», assume in sogno i gesti concreti
della madre, si siede sulla sponda del letto, asciuga le lacrime; il poeta ne riconosce la presenza
«a l'andar, a la voce, al volto, a' panni».
Gli attributi di Laura restano tuttavia sempre indeterminati: «bel viso», «bella», «viva». Così
come nella canzone «Chiare, fresche et dolci acque» la sua figura è disarticolata in particolari
fisici generici sublimati in un paesaggio idillico e stilizzato. Quanto più l'allusione alla natura
terrena e sensuale dell'amore si fa diretta e stringente, tanto più il corpo di Laura viene rimosso e
negato nella sua realtà materiale. Il poeta rappresenta gli effetti del desiderio, della voluttà, della
passione che la presenza corporea della donna provoca nel proprio animo. Laura è anch'essa
trasformata in immagine simbolica, in archetipo: non è una donna, ma la donna. Un archetipo
tuttavia diverso da Beatrice. Essa richiama continuamente la bellezza e il fascino della creatura
terrena, è un termine della scissione interiore che travaglia il poeta. Bellezza terrena che
nemmeno la rappresentazione della morte mette in discussione. L'incontro di Laura con la Morte
nel Trionfo della morte è improntato al senso classico e umanistico di rispetto della dignità del
corpo: la morte è indolore, non scompone la serenità e la bellezza del corpo di Laura, tanto che
perfino la morte «bella parea nel suo bel viso». La contemplazione estetica prevale sulla
meditazione mistico-religiosa. È questo il segno più evidente della ribellione di Francesco a
un'immaginazione macabra della morte, e quindi il segno del distacco, sia pure contrastato, dalla
concezione medievale della vita e della morte.