volte delle navate

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volte delle navate
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LA CHIESA DI SAN VITTORE A POLLENZO:
PITTURA, DECORAZIONE, ARREDI
Franca Dalmasso
- Paolo Fea, Finestrone dipinto a grisaille nella zona absidale.
Pollenzo, San Vittore.
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- Bifora con parte
inferiore dipinta a grisaille. Pollenzo, San Vittore.
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L’
architetto Ernest Melano ricevette l’incarico di edificare la chiesa di San Vittore nell’autunno
1842. Ne siamo informati da una Relazione a S.M. del conte di Castagneto, segretario privato di
Carlo Alberto e Sovrintendente del Patrimonio particolare e Casa di S.M., del marzo 1843, che riferisce dei progetti « d’ordine gotico » presentati dal Melano nel precedente autunno.1. Si trattava di un
momento cruciale nella carriera del regio architetto che proprio allora stava portando a termine l’impresa ventennale di Altacomba. Il cantiere della ricostruita Abbazia, tenuto aperto dopo la morte di
Carlo Felice per volontà della vedova Maria Cristina di Borbone, chiuderà nel 1843 e fino all’ultimo
Melano seguirà i lavori personalmente, come sappiamo dalle parole di un diretto osservatore, il disegnatore delle tavole illustrative della monumentale opera di Luigi Cibrario sull’Abbazia, Gaetano
Durelli.2.
L’anno 1843 rappresenta l’anello di congiunzione tra due importanti costruzioni del Melano,
entrambe grandi testimonianze del neogotico settentrionale, famosa la prima, meno nota e tuttora in
attesa di un esauriente riesame critico la seconda. I punti di contatto tra i due edifici sono numerosi e
si puntualizzano all’interno della chiesa di San Vittore 3. Sulle volte delle navate e in alto sulle pareti
i trafori e gli ondulati intrecci di gusto troubadour, dipinti a finto rilievo, bianchi su fondo blu, nel 1846
da Paolo Fea 4 arieggiano gli ornati sulle volte dell’Abbazia di Altacomba dipinti « a foggia di stucchi
a fiamma su fondo azzurro » (Cibrario) dai fratelli Borioni pochi anni prima 5.
Ma un secondo modello sembra essere presente nella decorazione delle navate, specialmente nella
zona absidale: gli elegantissimi arabeschi degli stalli del coro di Staffarda sistemati dietro l’altar maggiore. (Nel 1846 gli stalli vennero tolti dalla chiesa abbaziale di Staffarda per essere consegnati per il
« restauro » all’ebanista Gabriele Capello, del resto già impegnato nell’arredo ligneo della chiesa di
Pollenzo. E la coincidenza della data – 1846 – per lo stacco degli stalli da Staffarda e per gli ornati del
Fea forse non è casuale). I progetti del Melano per gli ornati – come peraltro per tutta la chiesa – non
sono purtroppo finora reperibili (però qualcosa dai documenti emerge) ma, data l’eccellenza delle soluzioni, si può avanzare l’ipotesi che spetti al Melano stesso la progettazione dell’apparato decorativo dell’interno, così come era accaduto, a nostra attuale conoscenza almeno parzialmente, nell’Abbazia di
Altacomba 6.
Un esempio convincente in questa direzione – che cioè Melano abbia tenuto conto del gotico flamboyant degli stalli di Staffarda per le decorazioni pittoriche della parte absidale – è costituito ad esempio dal finestrone dipinto a grisaille nella zona parietale a fianco dell’abside. Ugualmente indicativo in
tal senso è il fregio « a imitazione d’un oro bronzato » posto alla base dell’affresco del Bellosio (ed eseguito dallo stesso Bellosio) 7, che riprende un motivo a forma di fascia orizzontale sulle spalliere degli
stalli sottostanti.
Il coro ligneo di Staffarda che ho introdotto nel discorso un po’ in sordina è, senza alcun dubbio,
l’oggetto più prezioso conservato nella parrocchiale di Pollenzo e di esso si occupa Guido Gentile in
questo stesso volume 8. L’argomento ci conduce a un altro personaggio chiave, collaboratore di Palagi
nelle operazioni di rinnovamento promosse da Carlo Alberto nelle sue residenze e che a Pollenzo è
determinante nell’arredo ligneo e nei mobili dei due edifici maggiori, il Castello – in particolare nella
Sala da pranzo – e San Vittore, dove suoi sono i banchi e i confessionali: si tratta, come si sarà capito,
dell’ebanista e minusiere Gabriele Capello detto il Moncalvo.
Negli anni Quaranta, nel decennio che lo vede impegnato nell’arredo ligneo di San Vittore e nella
sistemazione ivi degli stalli del coro di Staffarda, Capello è ormai alla testa di un laboratorio rinomato,
in grado di soddisfare le richieste di una produzione seriale, pur di altissimo livello. Tra la fine degli
anni Trenta e i Quaranta l’abilissimo ebanista si afferma anche come l’interprete numero uno – nel
campo dell’arredo ligneo e della mobilia – del neogotico albertino.
I banchi e i confessionali di San Vittore, eseguiti tra il 1846-47.9 si distinguono dagli omologhi
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3.07.03 - Uno dei pilastri
che sostengono la volta
della Chiesa, incisione da
un disegno di Gaetano
Durelli, in Luigi Cibrario,
Storia e descrizione della
R. Badia d’Altacomba,
Atlante, tav. XII, Torino,
Tipografia di Alessandro
Fontana, 1844. Torino,
Biblioteca Reale.
3.07.04 - Ornati della volta della Chiesa, incisione
da un disegno di Gaetano
Durelli, in Luigi Cibrario,
Storia e descrizione della
R. Badia d’Altacomba,
Atlante, tav. XIII, Torino,
Tipografia di Alessandro
Fontana, 1844. Torino,
Biblioteca Reale.
3.07.05 - Veduta della navata centrale con gli
ornati della volta dipinti
a finto rilievo da Paolo
Fea, 1846. Pollenzo, San
Vittore.
- Coro ligneo
absidale (da Staffarda),
motivo decorativo a fascia
orizzontale sulla spalliera
degli stalli. Pollenzo, San
Vittore.
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- Carlo Bellosio,
fregio a finto rilievo alla
base dell’affresco absidale, 1847. Pollenzo, San
Vittore.
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- Gabriele Capello, Confessionale, 18461847. Pollenzo, San Vittore.
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- Carlo Bellosio,
affresco absidale tripartito, 1847. Pollenzo, San
Vittore.
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della cappella neogotica della Margheria nel parco di Racconigi (il confronto è d’obbligo) – di poco
precedenti, eseguiti su progetti di Palagi – sempre dal Capello, tra il 1841-43, per un disegno più
sobrio (ma si distinguono, per raffinata ornamentazione neogotica e per la presenza sulle spalliere del
motivo ondulato del coro, i due banchi di più imponente struttura destinati alla coppia regnante).
Una caratteristica di San Vittore è il grande spazio dato alla statuaria. Isolate sui capitelli al di
sopra dei pilastri; sovrastate dalle edicole trilobate; issate sui pinnacoli in facciata e sulle fiancate o,
all’interno, inserite nei sottarchi della navata centrale, 46 sculture a tutto tondo di santi e apostoli in
marmo bianco, in pietra e scagliola, stanno lì a confermare quanto un osservatore attento e informato
come il Des Ambrois scriveva nelle sue Notes et souvenirs inedits: « L’art qui grandit le plus sous le
règne de Charles Albert fut sans nul doute la sculpture »10. E in particolare, si può aggiungere, la scultura monumentale pubblica. Sintomatico a questo proposito è il fatto che la prima importante commissione di Carlo Alberto a pochi mesi dall’ascesa al trono sia stato l’incarico di un monumento a
Emanuele Filiberto in piazza San Carlo a Torino, affidato al Marochetti che con quest’opera stabilì la
sua definitiva fortuna.
Lavorarono alle sculture di San Vittore il genovese Giuseppe Gaggini, da poco nominato da Carlo
Alberto professore di scultura all’Accademia Albertina, operosissimo nelle residenze sabaude da
Palazzo Reale a Racconigi e appunto a Pollenzo; il lombardo Stefano Butti, incaricato tra l’altro dal
sovrano del rilievo del timpano della chiesa di San Carlo a Torino – che l’architetto Ferdinando
Caronesi aveva edificato tra il 1834-36 – con un soggetto molto carloalbertino, Emanuele Filiberto
incontra San Carlo Borromeo in visita a Torino; e ancora sulla facciata Angelo Franciosi, oggi quasi
dimenticato (si sa tuttavia, su basi documentarie, che Carlo Alberto gli commise dei busti per
l’Armeria). Ma della scultura a Pollenzo dirà qui di seguito Monica Tomiato.
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Contemporaneamente alla fornitura degli arredi lignei fu ordinato a Carlo Bellosio il 26 novembre
1846 il grande dipinto da eseguirsi ad affresco al di sopra degli stalli del coro da poco sistemati, come
già detto, dal Capello.
Ne siamo informati da due lettere inviate da Milano dallo stesso pittore al Palagi, del 24 novembre e del 29 dicembre 1846: « Ho ricevuto per ordinazione dell’illustr.mo Sig.r Conte di Castagnetto le
misure ispeditemi dal Sig.r Cav.e Melano dei tre scomparti da dipingersi a fresco nella nuova chiesa
di Polenzo...» e «... sto occupandomi nel fare gli studii dei dipinti a fresco nella nuova chiesa di
Polenzo »11. Da quanto riportato risulta chiaro che, diversamente da ciò che avveniva nella collaborazione col Palagi, in San Vittore Bellosio opera autonomamente, senza il supporto grafico del maestro,
col quale tuttavia corrisponde relazionandolo.
L’affresco fu dunque eseguito non prima della primavera-estate 1847, giusto al termine dei diversi
lavori di decorazione e arredo e a ridosso dell’inaugurazione della chiesa che sappiamo avvenuta l’anno
stesso 12.
Nella lettera del 29 dicembre il pittore si lamenta del male agli occhi che lo tormentava da tempo 13
e che può giustificare certe incertezze nella stesura del dipinto. Di esso esiste una lunga e dettagliata
descrizione di cui si riferirà tra poco. Per ora si può estrapolare la parte conclusiva dove viene indicato come eseguito dal Bellosio stesso il fregio che a guisa di cornice chiude in basso l’intera composizione tripartita e che, come ho precedentemente accennato, riprende un motivo decorativo del coro
sottostante: « La parte decorativa che chiude questi tre quadri è dipinta ad imitazione d’un oro bronzato e dalla sommità del vôlto scende sino al fregio sottoposto ai tre quadri, e quest’ultimo fregio è
dipinto a fresco ». Il brano è, a mio avviso, importante perché sembra presupporre precise indicazioni
del Melano al pittore per “agganciare” il dipinto agli stalli di Staffarda, al fine di creare un tutto omogeneo tra i gotici intagli e l’affresco.
Il dipinto dell’abside di San Vittore fu l’ultima grande commissione realizzata dal Bellosio di cui
si abbia notizia e che ci sia pervenuta poiché la morte lo colse prematuramente a soli 48 anni nel 1849.
Rappresenta al centro la Madonna e il Bambino in gloria con la Trinità, ai lati il Martirio di San Vittore
e l’Educazione della Vergine 14. La vasta composizione, immessa in uno spazio unitario, sfonda al di là
della tripartizione creata dai fasci di colonne e dagli slanciati archi a ogiva. E nell’armonioso inserimento dell’affresco nella trama architettonica consiste, ci sembra, il pregio più rilevante di questo
solenne congedo del Bellosio da Pollenzo. Si può ancora osservare che nei singoli “quadri” l’artista
lombardo si adegua al tono un po’ pietistico della pittura a tema sacro del periodo carloalbertino.
Esemplare a questo proposito è l’episodio con l’Educazione della Vergine, tema allusivo del forte movimento che si sviluppò in Piemonte negli anni Trenta-Quaranta sul fronte assistenziale-educativo 15.
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Note
1
Il documento è riportato da G. CARITÀ, Restauro e rinnovo a Pollenzo. Il castello, il borgo e i “tenimenti” nelle sistemazioni carloalbertine, in Celebranda Pollentia, Atti del convegno tenuto il 14 maggio 1983 in Bra su “Pollenzo: tutela e valorizzazione dei beni culturali e naturalistici”, Bra 1989, p. 58.
2
Cfr. la lettera di Gaetano Durelli, disegnatore delle tavole illustrative della
Storia e descrizione della R. Badia d’Altacomba, 2 voll., Torino, Tipografia di A.
Fontana, 1844, di L. CIBRARIO, a Pietro Palmier jr., da Ginevra, del 20 maggio 1842:
«Avendo inteso dal Sig. Cav. Melano che ritarda la solita sua gita ad Altacomba, le
ho prontamente spedito que’ disegni ch’io pensava consegnare in persona, per
essere inviati agl’incisori...». Ancora una volta Palmieri dimostra di trovarsi al centro delle maggiori iniziative legate alla grafica e in ogni caso risulta sempre aggiornato con notizie di prima mano su quanto andava accadendo fuori Torino. La lettera
del Durelli al Palmieri è conservata nella Miscellanea Vico, Lettere di diversi scrittori, Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico
del Piemonte.
3
Un parallelo con Altacomba era già stato avanzato da M.G. VINARDI, Pollenzo.
Castello, in C. ROGGERO BARDELLI, M.G. VINARDI, V. DEFABIANI, Ville Sabaude Piemonte 2, Milano 1990, p. 482.
4
Su Paolo Fea, figlio di Pietro Fea, noto pittore prospettico, e pittore prospettico egli pure, scarseggiano al momento notizie. La datazione, la tecnica e la paternità degli ornati delle volte si ricavano da alcuni documenti firmati dal Melano e
indirizzati al Sovrintendente generale del Patrimonio particolare di S.M., come dal
Certificato a favore del sig. Fea Pittore del 22 marzo 1847, non firmato ma di
Melano, in cui è detto che «il pittore sig. Paolo Fea... ha eseguito il dipinto a comparti di stile gotico sulla volta della Nuova Reale Chiesa parrocchiale di Polenzo ed
a chiaro scuro...» (AST, Casa di S.M., M. 907, fasc. 1).
5
CIBRARIO, Storia e descrizione, vol. I, p. 79.
6
Per Altacomba importanti sono le indicazioni di Enrico Castelnuovo sull’intervento del Melano nella progettazione dell’apparato decorativo e plastico: cfr.
E. CASTELNUOVO, Hautecombe: un paradigma del Gothique troubadour, in Giuseppe
Jappelli e il suo tempo, Atti del convegno (Padova 1977), Padova 1982, pp. 124-125
e nota 16. Ora ripubblicato in E. CASTELNUOVO, La cattedrale tascabile. Scritti di
Storia dell’arte, Livorno, pp. 213-223.
7
Sul fregio alla base dell’affresco del Bellosio si veda più avanti.
8
Di G. Gentile si veda su questo stesso argomento: Il coro dell’Abbazia di
Staffarda, in La fede e i mostri. Cori lignei scolpiti in Piemonte e Valle d’Aosta (secoli
XIV-XVI), a cura di G. Romano, Torino 2002, pp. 250-282.
9
Melano al Sovrintendente in data 9 luglio 1847: «Furono poi ordinati… i confessionali di stile gotico, il Pulpito e 16 Banchi ornati, due altri chiusi più distinti
ancora; un Antifonario, due inginocchiatoj e le carte preparatio ad Missam; la
Bussola alla Porta della Chiesa, un palchetto della Tribuna Reale ed una scala in
legno per accennare da questa alla chiesa; si provvide la Sacrestia di appositi
armadi, e finalmente la decorazione del Fonte Battesimale…» (AST, Casa di S.M.,
M. 907, f. 1). Il pulpito non esiste più.
10
L.F. DES AMBROIS, Notes et souvenis inédits, Bologna 1901, p. 71. Il brano è
riportato da D. PESCARMONA, Sculture della Cappella della SS. Sindone di Torino e
dell’altare del Duomo di Novara, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del
Re di Sardegna / 1773-1861, a cura di E. Castelnuovo e M. Rosci, vol. II, Torino
1980, p. 591.
11
BAB, Fondo Speciale Manoscritti Pelagio Palagi, Cartone 3, Lettere 26-64 di
Carlo Bellosio. Le lettere sono riportate in R.P. MOINE, Il “pittore storico” Carlo
Bellosio interprete del rinnovamento artistico voluto da S.M. Carlo Alberto, tesi di laurea in Storia dell’Arte Moderna, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere
e Filosofia, relatore prof. A. Griseri, a.a. 1994-95. I brani citati sono riportati da F.
DALMASSO, La chiesa di San Vittore a Pollenzo, in P. DRAGONE, Pittori dell’Ottocento
in Piemonte. Arte e cultura figurativa 1830-1865, Torino 2001, pp. 59, 61.
12
Sulla datazione del dipinto abbiamo un’altra lettera del Bellosio al conte di
Castagnetto del 23 novembre 1846 nella quale il pittore scrive: «Quest’inverno
m’occuperò a fare i disegni, ed ai primi del venturo mese di maggio glieli presenterò a Torino» (AST, Casa di S.M., M. 907, f. 1).
13
«La malattia dei miei occhi si è tornata a farsi sentire alquanto lo scorso mese
di ottobre a ragione dell’eccessivo piovere che ha fatto, ma ora sto veramente meglio
e posso lavorare, quattro ed anche cinque ore al giorno».
14
Si riporta qui di seguito la descrizione dell’affresco, recante in calce la firma
del Bellosio, tralasciando la stesura del contratto di pagamento controfirmata dal
conte di Castagneto in data 20 ottobre 1847:
«Nota di opere in Pittura fatte dal sottoscritto per ordine dell’Azienda Generale
della Real Casa ed eseguiti a fresco nel coro della nuova Chiesa di S. Vittore eretta
a Polenzo.
«Questi dipinti sono tre quadrilunghi della dimensione di metri 9 in altezza,
per metri 4 cent 8 in larghezza caduno, e rappresentano tre soggetti cioè la Madonna
del Rosario, il Martirio di S. Vittore, e l’educazione della B.V., più la visione di una
gloria Celeste la quale occupa tutta la porzione superiore dei detti tre quadri.
«Descrizione della Gloria. La Trinità è posta nel centro assisa sul trono secondo
la visione di Ezechiello, cioè colle quattro figure simboliche dell’Uomo, del Leone,
del Torro e dell’Aquila. Essa è circondata da un triplice coro di Angioli in atti di
venerazione e di adorazione, dalla Trinità parte la luce che il tutto illumina e scendono dall’istessa tre grandi raggi che irradiano di luce anche i tre sottoposti soggetti.
«La madonna del Rosario col Bambino è il quadro di mezzo. Essi sono attorniati d’Angioletti, un gruppo dei quali portano una pergamena in cui vi sono scritte
le litanie ed i medesimi le stanno cantando; nell’alto di questo quadro vi è dipinta
la Trinità sopradescritta, ed una cinquantina di Angioli appartenenti alla Gloria. La
Madonna è dell’altezza di M.4 cent. 80, il Bambino ed i dodici Angioletti che lo circondano sono grandi una volta e mezzo il vero.
Importo L. 8000
«Secondo quadro. San Vittore in atto di essere decollato; veggonsi gualche
figure (sic) di popolo tra i quali primeggia un soldato che rivolto al popolo mostra un
cartello alzato su d’un asta e sul quale vi è scritto Victor a Pollentia, Christianus. Al
di sopra del Santo sonvi sei Angioli portanti corone e palme, più una cinquantina di
figure d’angioli addetti alla descritta gloria.
– importo 6500
«Terzo quadro. San Gioachino e Sant’Anna che stanno istruendo la Beata
Vergine ancor giovinetta, al di sopra sonvi otto Angioli, cantanti inni a Dio, ed un’altra cinquantina d’Angioli pure delle suddetta Gloria
– importo 6500
«La parte decorativa che chiude questi tre quadri è dipinta ad imitazione d’un
oro bronzato e dalla sommità del vôlto scende sino al fregio sottoposto ai tre quadri,
e quest’ultimo fregio è dipinto a fresco
– importo 1500
Somma totale L. 22500
Carlo Bellosio
(AST, Casa di S.M., M. 128, fasc. 1)».
15
Il tema è assai trattato negli anni Trenta-Quaranta non solo in Piemonte. Qui
basterà ricordare, nel non lontano santuario della Beata Vergine del Pilone a Moretta presso Saluzzo, la notevole pala di egual soggetto di Pietro Ayres del 1840.
Sulle tre pale d’altare esistenti in San Vittore, rispettivamente con una Visione
di Santa Margherita, un Cristo che appare a Pietro e un San Francesco in gloria,
tutte eseguite appositamente per la chiesa, non ci sono al momento elementi sufficienti per una anche sommaria ricostruzione storico-critica e pertanto si lascia il
problema aperto.