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FACOLTÀ DI MEDICINA E PSICOLOGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN NEUROSCIENZE COGNITIVE E RIABILITAZIONE PSICOLOGICA Tesi di Laurea Elettrofisiologia corticale del ricordo dei sogni al risveglio da sonno REM e NREM nell’anziano Relatore Prof. Luigi De Gennaro Laureanda Chiara Bartolacci Correlatore Matr. 1199722 Prof. Gaspare Galati A.A. 2014/2015 A mia nonna, ai miei genitori e ai miei coinquilini 2 INDICE DEI CONTENUTI INTRODUZIONE 4 CAPITOLO 1 L’APPROCCIO PSICOFISIOLOGICO ALLO STUDIO DEI SOGNI 6 1.1 Introduzione 6 1.2 Lo sviluppo dell’approccio psicofisiologico nella ricerca del sogno 6 1.2.1 I meccanismi neurali del sonno 6 1.2.2 Problemi metodologici 10 1.3 L’evoluzione del paradigma dicotomico tra REM e NREM 14 1.4 L’approccio neuropsicologico nella ricerca sul sogno 23 1.5 Correlati elettroencefalografici del richiamo dell’attività mentale nel sonno 37 1.6 Il sogno nell’anziano 44 CAPITOLO 2 LA RICERCA 48 2.1 Introduzione 48 2.2 Metodo 48 2.2.1 Soggetti 48 2.2.2 Procedura 50 2.2.3 Strumenti 51 2.2.4 Analisi dei dati 51 2.3 Risultati 53 2.3.1 Topografia EEG 53 2.3.2 Topografia EEG che precede il risveglio 55 2.3.3 Topografia EEG dell’intera notte 57 2.4 Discussione 60 2.5 Conclusioni generali 61 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 63 3 INTRODUZIONE I sogni potrebbero essere definiti come il prodotto finale di una serie di capacità cognitive che implicano processi attentivi, mnestici, linguistici e immaginativi nel corso della notte. Studiare l‟attività onirica da un punto di vista scientifico è un‟impresa ardua, fortemente limitata dalle stesse caratteristiche intrinseche di ciò che deve essere indagato: i resoconti riportati dai soggetti al momento del risveglio sono gli unici strumenti per mezzo dei quali i ricercatori possono aver accesso all‟esperienza dell‟attività mentale che si verifica nel sonno. Entra, quindi, in gioco un‟ampia serie di variabili culturali, sociali e individuali che sfugge inevitabilmente al controllo dello sperimentatore. Inoltre, spesso, i soggetti manifestano difficoltà nel ricordare i propri sogni, portando i ricercatori a interrogarsi su quali siano le strutture cerebrali implicate nella generazione dell‟attività onirica e quale sia l‟origine dei processi di codifica e di recupero della stessa. Inizialmente, in seguito alla scoperta del sonno REM avvenuta negli anni ‟50, si riteneva che questo specifico stadio del sonno fosse il correlato neurale dei sogni, data la maggiore probabilità di riscontrarne il ricordo al risveglio da tale fase. Da questo momento in poi molte ricerche si sono focalizzate esclusivamente sui risvegli da sonno REM, fino a quando è stata dimostrata, al contrario, la presenza di attività mentale durante l‟intero episodio di sonno, quindi anche nel corso dello stadio di sonno NREM. Dopo diversi anni di ricerca passati ad analizzare le possibili differenze qualitative e quantitative fra i resoconti dei sogni che si ottengono dopo il risveglio da sonno REM e da sonno NREM, attualmente l‟interesse si è rivolto maggiormente alla relazione che sussiste tra attività onirica e processi di memoria associati. In particolare, grazie allo sviluppo di nuove metodologie di ricerca è stato possibile osservare che le attivazioni di specifiche aree corticali sono associate alla successiva presenza del resoconto del sogno. Fino a questo momento, gli studi condotti con le tecniche elettroencefalografiche hanno rilevato che specifici pattern di oscillazione corticale nel sonno siano predittivi del successivo ricordo dell‟attività onirica e che quelle stesse aree siano anche implicate nella formazione delle memorie dichiarative durante la veglia. Una delle ipotesi in merito è che i meccanismi neurofisiologici coinvolti nella formazione delle memorie dichiarative siano, quindi, sempre gli stessi attraverso differenti stati di coscienza. Tuttavia, le frequenti difficoltà che si riscontrano nel rievocare i sogni sono state interpretate in termini di incapacità del cervello nel codificare e consolidare tracce mnestiche durante lo stato di sonno. Alcuni autori hanno, infatti, suggerito che la codifica e il consolidamento delle informazioni nel sonno si possano verificare solo in concomitanza di un episodio di attivazione o di un vero e proprio risveglio. In altre parole, sembrerebbe necessario un certo livello di arousal corticale affinché la traccia mnestica possa consolidarsi nella memoria a lungo termine ed essere rievocata in un secondo momento. 4 Finora, la maggior parte degli studi sull‟attività cognitiva del sonno è stata condotta su soggetti giovani, quindi, attualmente sono molto esigue le conoscenze relative all‟attività onirica dell‟anziano. Pertanto, non è ancora noto se, quanto dimostrato sui rapporti tra sogno e memoria nei giovani adulti, possa essere esteso anche a questa più avanzata fase della vita. Bisogna, infatti, tenere presente che il normale invecchiamento fisiologico produce effetti che si ripercuotono sulla qualità del sonno e indagare se questi coinvolgano anche la produzione dei sogni, considerando, parallelamente, la presenza di possibili alterazioni cognitive. Nei capitoli che seguono, dopo aver trattato i problemi legati allo studio dell‟attività onirica e all‟acceso dibattito circa i meccanismi neurali che ne permettono la formazione, saranno presentati, in primo luogo, le ricerche neuropsicologiche e gli studi condotti per mezzo delle tecniche di neuroimaging ed elettroencefalografiche che hanno permesso di ipotizzare quanto appena accennato riguardo all‟origine dei sogni e ai processi di memoria associati. Nella seconda parte della trattazione verrà presentato lo studio, condotto presso il Laboratorio di Psicofisiologia del Sonno, in merito all‟attività onirica nella terza età. La ricerca in questione rappresenta il primo tentativo di indagare l‟esistenza di una relazione fra specifiche attivazioni corticali nel sonno e successivo ricordo del sogno, in un campione di soggetti anziani chiamati a trascorrere un‟intera notte presso il laboratorio. 5 1. L’APPROCCIO PSICOFISIOLOGICO ALLO STUDIO DEI SOGNI 1.1 Introduzione La seconda metà del XIX secolo ha visto crescere l'interesse per lo studio dei sogni da una prospettiva scientifica, grazie al concomitante progresso avvenuto nel campo della medicina. Tuttavia, fino alla metà del XX secolo, il contributo maggiore proveniva dalle teorie psicoanalitiche di Freud e solamente dagli anni '50 in poi la ricerca sul sogno si è distaccata dal pensiero freudiano, prendendo una direzione nuova: ora lo scopo era diventato quello di indagare sperimentalmente la natura della relazione che sussiste tra il racconto del sogno e le attività fisiologiche che si registravano nei soggetti. La nascita della psicofisiologia del sogno potrebbe convenzionalmente coincidere con il 1953, anno in cui Aserinsky e Kleitman scoprirono la non omogeneità della struttura del sonno da un punto di vista fisiologico, riconoscendo l'esistenza di una particolare fase caratterizzata da movimenti oculari rapidi, che venne chiamata REM. In ricerche successive si osservava che, quando risvegliati in fase REM, i soggetti tendevano a riportare il più delle volte dei resoconti onirici a trama complessa che diventavano, al contrario, sporadici e frammentati se gli stessi soggetti venivano risvegliati in altre fasi del sonno, diverse da quella REM, indicate, appunto, come Non-REM (NREM). Queste osservazioni hanno condotto la ricerca psicofisiologica sul sogno verso l'assunzione di una correlazione tra sogno e sonno REM così marcata, tanto di diventare una sorta di corrispondenza biunivoca. Nel 1962 Foulkes riscontrò la presenza di attività mentale onirica anche nelle fasi NREM del sonno, osservando come le differenze tra i resoconti fossero più di natura qualitativa piuttosto che quantitativa e allargando, in tal modo, la ricerca psicofisiologica sui sogni a tutti gli stadi del sonno. In tal modo venne dimostrato che non esistono delle fasi del sonno in cui si possa aprioristicamente escludere la presenza di qualsiasi forma di attività mentale. 1.2 Lo sviluppo dell’approccio psicofisiologico nella ricerca del sogno 1.2.1 I meccanismi neurali del sonno Per poter esporre in maniera esaustiva i dati provenienti dalla letteratura sulla psicofisiologia del sogno, non ci si può esimere dal presentare, seppur brevemente, la struttura del sonno. Il sonno viene considerato un comportamento durante il quale si verifica quella particolare forma di attività mentale definita dreaming. Le fasi di sonno si susseguono ciclicamente: da un primo stadio di addormentamento si prosegue verso lo stadio 2, riconoscibile dai tracciati elettroencefalografici (EEG) per la presenza di particolari onde dette “complessi K” e “fusi del sonno”, per poi osservare la comparsa degli stadi più profondi del sonno, il 3 e il 4, caratterizzati 6 da attività a lento voltaggio, detta “delta”. L'insieme di questi stadi viene definito sonno NREM, per distinguerlo dal sonno REM che compare dopo circa 90 minuti dall'addormentamento ed è caratterizzato, oltre che dalla presenza di movimenti oculari rapidi, anche da paralisi muscolare, aumento dell'attività genitale, nonché da un'attività EEG desincronizzata, simile a quella osservabile in veglia, tanto da guadagnarsi la denominazione di “sonno paradosso”. L'alternanza ciclica delle fasi, che si presenta entro l'intero periodo del riposo notturno, rientra in un meccanismo superiore che vede il susseguirsi ritmico di periodi di veglia e periodi di sonno, regolato da precise aree cerebrali. Per comprendere meglio come ciò avvenga, si potrebbe immaginare il sistema in questione come un circuito elettronico che attiva e inibisce, periodicamente, l'area preottica ventrolaterale (APVL). Quando tale area è attiva, essa andrebbe a inibire, per mezzo di proiezioni GABAergiche, le regioni che promuovono la veglia, conducendo all'addormentamento (flip/flop off); quando, invece, sono queste regioni ad essere attive, l'APVL subirebbe da parte loro una inibizione, conducendo allo stato di veglia (flip/flop on). Quindi l'APVL riceve impulsi inibitori dalle stesse regioni che inibisce a sua volta: il nucleo tuberomammillare dell'ipotalamo (che contiene neuroni istaminergici), le regioni peripeduncolari del ponte dorsale e il proencefalo basale (contenenti neuroni acetilcolinergici), i nuclei serotoninergici del rafe e i nuclei noradrenergici del locus coeruleus (Chou et al., 2002). Il modello “flip/flop” appena descritto in sintesi (Saper et al., 2000) fornisce una base per teorizzare la presenza di un meccanismo che si occupa di rendere stabili sia lo stato di sonno, sia quello di veglia, sia l'alternanza tra i due; infatti gli studi sui soggetti affetti da narcolessia, una patologia caratterizzata da un ciclo veglia-sonno instabile, mostrano una disregolazione del sistema flip/flop (McGinty e Szymusiak, 2005). Hobson e McCarley (1975), inoltre, hanno proposto un modello cronobiologico per spiegare come avviene la regolazione dell'alternanza degli stati di veglia e di sonno. Tale alternanza è accompagnata da precise manifestazioni psicofisiologiche che sembrano essere orchestrate dall'attività di popolazioni neuronali situate a livello del tronco encefalico. L'andamento ciclico che ne scaturisce è permesso dall'attività di reciproche connessioni tra i neuroni inibitori aminergici (noradrenergici e sorotoninergici) e quelli eccitatori colinergici. L'interazione fra sonno REM e sonno NREM è di natura competitiva: i neuroni REM-off noradrenergici, localizzati nel locus coeruleus, e serotoninergici, localizzati nei nuclei del rafe, interagiscono con i neuroni REM-on colinergici delle regioni peribrachiali del tegmento pontino (McNamara et al., 2010), regolando periodicamente la comparsa, nel sonno REM, di manifestazioni di natura tonica, come l'attività EEG desincronizzata o l'atonia muscolare, e di natura fasica, come i movimenti oculari rapidi (Hobson et al., 1986). I neuroni REM-off si disattivano progressivamente durante il sonno NREM, permettendo ai neuroni REM-on di aumentare la loro 7 attività e favorire la comparsa della fase REM, che sarà inibita, a sua volta, da una successiva riattivazione dei neuroni REM-off, dando il via all'inizio di un nuovo ciclo di sonno (McCarley e Massaquoi, 1986). Durante il sonno REM, si osserva l'attivazione delle regioni del proencefalo, del cervelletto, del tronco dell'encefalo e, in particolar modo, delle aree cortico-talamica e limbica, le quali sono attive anche durante la veglia e sono direttamente correlate alle funzioni cognitive legate all'esperienza cosciente. Il REM è un comportamento recentemente acquisito da un punto di vista evolutivo, regolato dall'attività tronco encefalica che, al contrario, è una struttura filogeneticamente antica: quindi una nuova funzione fisiologica è mediata da antichi meccanismi cerebrali (Hobson, 2009). Hobson ritiene che la fase REM sia quella più frequentemente associata alla presenza di attività mentale onirica e, pertanto, il sogno, se considerato come il prodotto dell'accoppiamento tra attività psicologica e fisiologica, potrebbe essere isomorficamente confrontabile con i processi cerebrali concomitanti (Hobson, 2009). Il contributo di Hobson e McCarley ha permesso alla ricerca sui sogni di uscire dall'ambito psicoanalitico, fornendo una nuova prospettiva teorizzata dal “modello di attivazione-sintesi” (Hobson e McCarley, 1977): gli impulsi provenienti dalle regioni cerebrali più antiche, responsabili dell'inizio del sonno REM, arrivano in corteccia, dove ha luogo la generazione del sogno. La corteccia, investita da una grande quantità di informazioni caotiche, cerca di dare un senso agli input che riceve, liberando i ricordi presenti nel magazzino della memoria a lungo termine e mettendo in atto un'operazione di sintesi che permette la formazione delle immagini oniriche. Quindi, al contrario di quanto sostiene la teoria freudiana, le caratteristiche di bizzarria e vividezza delle immagini visive nel sonno, non sarebbero il risultato della forza di pensieri rimossi che premono dall'inconscio per riaffiorare in superficie, ma piuttosto possono essere spiegate come il tentativo da parte della corteccia cerebrale di dare un senso a tali immagini, generate dall'attivazione casuale delle regioni tronco encefaliche. Inoltre, in queste regioni è stata dimostrata - ma solo nell'animale - la presenza delle onde ponto-genicolo-occipitali (PGO) che si propagano dal ponte alla corteccia occipitale, passando per i nuclei genicolati laterali (Datta et al., 1998). Attraverso l'applicazione di tecniche invasive, che consistono nell'inserire degli elettrodi in profondità nel cervello animale, è stata rilevata nei gatti la presenza di questo particolare tipo di onde, le quali sembrano essere strettamente correlate con la presenza dei movimenti oculari rapidi del sonno REM (REMs). Data la forte associazione tra le onde PGO e la concomitante presenza di REMs (Arnulf, 2011), una delle ipotesi in merito è che si tratti del correlato elettrofisiologico delle allucinazioni visive che si manifestano durante l'attività onirica (Roffwarg, 1975). Tuttavia, la presenza delle PGO non è stata ancora dimostrata nella corteccia visiva dei primati e degli esseri umani e, dopo alcuni decenni di studi, si può ragionevolmente 8 affermare che non dovrebbero esistere. Il “modello di attivazione-sintesi” ha però un limite, poiché si tratta di una teoria che tiene conto solamente delle caratteristiche oniriche rilevate nel sonno REM (come la vividezza e la bizzarria), senza prendere in considerazione l'attività mentale del sonno NREM. Per far fronte alle critiche in questione, Hobson (1992) e McCarley (1994) hanno replicato sostenendo l'ipotesi del doppio generatore di sogni. L'idea di un doppio generatore è nata in seguito alle osservazioni della presenza di differenze qualitative nei resoconti onirici riportati dai soggetti sperimentali risvegliati sia da stadio REM che NREM. Tipicamente, dopo i risvegli effettuati in REM, il sognatore riporta la presenza di contenuti bizzarri, a coloritura emotiva spesso spiacevole, contestualizzati all'interno di scene in cui si trova ad interagire con altre persone, in ambienti familiari e non; al contrario, i resoconti ottenuti dai risvegli da sonno NREM riguardano scene più spesso familiari o banali, con un numero minore di elementi bizzarri ed emozioni sgradevoli. Osservazioni di questo tipo hanno permesso di ipotizzare che il sogno sia il prodotto di due differenti meccanismi cerebrali all'interno dei due stadi di sonno principali e che gli aspetti qualitativamente diversi delle immagini mentali esperite dipendano dalle particolari caratteristiche fisiologiche legate ad ogni stadio (Mamelak e Hobson, 1989a). Le critiche all'ipotesi del doppio generatore provengono sia dalle ricerche svolte da Solms (2000) in ambito neuropsicologico, sia da quanti sostengono l'ipotesi di un unico generatore di sogni. Solms (2000) ha dimostrato che le lesioni del tronco encefalico, area considerata da Hobson e McCarley cruciale per la produzione del sogno in REM, in realtà non compromettono la capacità di generare attività mentale durante il sonno, come invece accade in seguito a lesioni della giunzione temporo-parieto-occipitale, indipendentemente dallo stadio di sonno. A conferma di tali risultati, la teoria del generatore unico (Foulkes, 1962) afferma che i sogni siano prodotti da un singolo generatore, anche in questo caso indipendentemente dallo stadio di sonno: le differenze dell'esperienza mentale nei due stadi riguarderebbero la maggiore o minore disponibilità delle fonti di memoria e il livello di capacità di organizzarle in strutture coerenti. La spiegazione sarebbe di natura elettrofisiologica: poiché il sonno REM è caratterizzato da maggior attivazione corticale, questo aspetto consentirebbe un accesso più agevole ai magazzini mnestici e la generazione di immagini risulterebbe caratterizzata da una maggiore coerenza narrativa. Invece in fase NREM che, al contrario, gode di una minore attivazione corticale, si assisterebbe alla generazione di immagini mentali con contenuti meno organizzati e coerenti. Pertanto, alcuni ricercatori sono più inclini a sostenere l'ipotesi del singolo generatore, identificandolo con il sonno REM, il quale sarebbe in grado di influenzare anche le immagini oniriche nel NREM. In questo caso le differenze qualitative tra i due resoconti non sarebbero ritenute delle vere e proprie differenze, ma piuttosto delle variazioni nel grado e nell'intensità sul 9 continuum delle caratteristiche di bizzarria e tono emotivo. 1.2.2 Problemi metodologici L'indagine scientifica sui sogni è un'impresa complessa, che si scontra inevitabilmente con dei limiti e dei problemi insiti già nella definizione stessa dell'oggetto di studio. Infatti, il sogno viene considerato come quella particolare forma di attività mentale, a carattere esclusivamente involontario, che si verifica durante il sonno e che è possibile, pertanto, misurare solo per mezzo di tecniche indirette, attraverso i resoconti dei soggetti in stato di veglia (Nir e Tononi, 2010). I problemi metodologici, che costellano questo ambito di ricerca, spingono a chiedersi se il ricordo del sogno sia effettivamente un resoconto appropriato dell'attività mentale che si vuole misurare; se esso rifletta l'attività mentale del sonno o se sia contaminato dai processi di veglia e, soprattutto, quali elementi del materiale raccolto debbano essere analizzati e in base a quale criterio (Schredl, 2010). Come riportato da Fagioli (2002), l'attuale obiettivo della ricerca sui sogni è quello di rilevare la presenza sia dell'attività mentale (Mental Sleep Activity, MSA) che dell'esperienza della stessa (Mental Sleep Experience, MSE) durante il sonno. Gli approcci sviluppati per conseguire tale fine sono classificabili nel seguente modo: approccio fenomenologico (o naturalistico), approccio psicofisiologico e approccio neuropsicologico. Del primo fanno parte, da un lato, le tecniche psicoanalitiche che utilizzano il setting terapeutico (come luogo di raccolta e analisi dei sogni) e il metodo delle libere associazioni; dall'altro, troviamo le tecniche di indagine dell'attività onirica per mezzo di questionari e le interviste telefoniche. L'approccio psicofisiologico si fonda sull'analisi dei resoconti relativi alla MSA ottenuti dopo il risveglio provocato sperimentalmente da una particolare fase del sonno, o dopo il risveglio spontaneo al mattino, in associazione con la registrazione poligrafica. Lo scopo è quello di mettere in relazione il ricordo del sogno con le specifiche modificazioni fisiologiche che si accompagnano ai vari stadi del sonno (Salzarulo, 2004). In tal modo è possibile studiare gli effetti delle variabili indipendenti, di tipo fisiologico, su quelle dipendenti di natura psicologica, considerando la MSA come funzione dell'attività fisiologica. I dati vengono raccolti per mezzo di registrazioni che seguono il corso naturale e indisturbato del sonno (sia in soggetti normali che in soggetti che soffrono di patologie neurologiche o psichiatriche), oppure manipolando sperimentalmente le esperienze dell'attività mentale (MSE). Tale manipolazione è una tecnica utile per osservare l'eventuale presenza di incorporazioni nell'attività mentale (MSA) del soggetto esposto a stimoli specifici. Gli stimoli possono essere somministrati nelle fasi che precedono l'addormentamento - come dimostrano gli studi in cui al soggetto era richiesto di guardare un film contenente elementi emozionanti (Foulkes e Rechtschaffen, 1964) - oppure 10 durante i differenti stadi del sonno utilizzando, in tal caso, stimoli di natura sensoriale. I celebri studi di Dement e Wolpert (1958), in cui si somministravano vari stimoli sensoriali ai soggetti in fase REM, avevano dimostrato come lo stimolo più incorporato (pari a un 42%) fosse quello della spruzzata d'acqua. Quando esso veniva incorporato in modo diretto, i soggetti al risveglio raccontavano - ad esempio - di immagini relative a qualcuno che li stesse schizzando; quando, invece, veniva incorporato in modo indiretto, potevano riportare - ad esempio - la presenza di un tetto che perdesse acqua (Eiser, 2005). L'approccio neuropsicologico si basa, infine, sull'analisi dei resoconti della MSA ottenuti dopo i risvegli provocati da particolari stadi del sonno. Le variazioni fisiologiche del sonno sono monitorate sia per mezzo delle tecniche poligrafiche sia di neuroimaging e, laddove possibile, ci si avvale anche delle variabili patologiche di tipo neurologico o psichiatrico. Lo scopo è quello di osservare le relazioni che intercorrono fra le misure fisiologiche dell'attività cerebrale (o le lesioni cerebrali) e le caratteristiche relative alla MSA (Fagioli, 2002). Prendendo in considerazione nello specifico l'approccio psicofisiologico, la raccolta dei dati, il più spesso delle volte, si effettua su soggetti cui è richiesto di trascorrere una o più notti in laboratorio, collegati alle apparecchiature che consentono di effettuare la registrazione poligrafica del sonno. L'ambiente artificiale, inospitale e non familiare del laboratorio di ricerca può alterare il naturale decorso del riposo notturno (Hobson et al., 2000) e avere effetti anche sulle caratteristiche dell'attività mentale associata, come dimostrato dalle registrazioni di resoconti onirici che contenevano alcuni elementi incorporati, relativi all'esperienza vissuta in laboratorio dal soggetto (Cicogna et al., 1998). Il metodo indiretto basato sulla raccolta dei resoconti è, tra l'altro, fortemente influenzato dalle variabili individuali di tipo cognitivo e socioculturali, nonché da quelle legate agli aspetti della personalità dei soggetti esaminati (Hobson et al., 2000; Balgrove e Pace-Schott, 2010). A questi viene richiesto di trasmettere, per mezzo di narrazioni linguistiche, i contenuti di un'esperienza privata e intima che deve essere, per prima cosa, recuperata dalla memoria. La difficoltà che si riscontra frequentemente nell'effettuare un'operazione simile al momento del risveglio è nota: alcuni soggetti sono consapevoli di aver sognato, sebbene non riescano a ricordare nulla al riguardo e, anche nei casi in cui il sogno sia recuperato, i soggetti possono talvolta riportare la presenza di elementi ulteriori che, tuttavia, non riescono a individuare (Hobson et al., 2000). Nonostante sia stato dimostrato che la produzione dell'attività mentale sia continua durante tutto il corso del sonno, il ricordo che viene prodotto al mattino è generalmente non elevato (Horne, 1993). Fagioli e i suoi collaboratori (1989) hanno ipotizzato che il mancato ricordo dell'attività onirica al risveglio, possa essere il risultato di interferenze intra-seriali, che si verificano fra i contenuti 11 di una stessa attività mentale, escludendo le cause di tipo inter-seriali che, invece, sarebbero dovute all'interferenza fra contenuti mentali che si susseguono nel corso dello stato di sonno (Horne, 1993). Inoltre, ricerche ulteriori hanno dimostrato che un certo grado di consolidazione mnestica dovrebbe verificarsi durante la notte: i soggetti che non ricordavano al mattino i resoconti che avevano riportato dopo i risvegli sperimentali notturni, erano, tuttavia, in grado di recuperare interamente le informazioni, quando gli venivano fornite delle facilitazioni, cioè degli indizi chiamati probes (Salzarulo, 2004). Questi risultati sono coerenti con quelli che sostengono l‟idea di un‟inferiorità dei processi di consolidazione mnestica durante il sonno rispetto a quelli che avvengono in veglia (Pace-Schott et al. 1997a; Stickgold et al., 1997a) e con i risultati relativi alla difficoltà, riscontrata al momento del risveglio, nell'accedere al magazzino di memoria relativo ai sogni (Stickgold, 1998). Inoltre si tratta di risultati che possono render conto dei fenomeni di riduzione di autoconsapevolezza, perdita dell'attenzione e dei pensieri diretti a uno scopo, tipici dello stato di coscienza del sonno (Hobson et al., 2000). Il resoconto onirico, dopo esser stato recuperato dalla memoria, viene trasmesso al ricercatore per mezzo del linguaggio: anche questo aspetto rappresenta uno spunto per riflettere sui fattori che sfuggono al rigoroso controllo sperimentale. L'esposizione narrativa risente almeno dell'influenza di tre variabili: la capacità di recuperare informazioni mnestiche relative all'esperienza dell'attività mentale, il modo in cui queste vengono trattate a livello cognitivo (ossia come vengono rappresentate) e le abilità linguistiche grammaticali, lessicali e morfosintattiche che ne permettono il racconto. Poiché non si dispone al momento di tecnologie che permettano di rilevare la presenza del sogno utilizzando metodi non verbali, le tecniche di analisi dei contenuti onirici tengono conto degli aspetti menzionati (Hobson et al., 2000). Oltre al ricordo del sogno (dream recall), le altre variabili dipendenti che vengono prese in considerazione sono il contenuto onirico (dream content) e la frequenza con cui i soggetti ricordano i propri sogni (dream recall frequency, DRF). Per quanto riguarda il dream content, le analisi si focalizzano principalmente sul numero di parole prodotte dal soggetto, che determinano la lunghezza dei resoconti (Antrobus, 1983); sulla presenza o meno di emozioni e dell'eventuale coloritura positiva o negativa delle stesse e sui possibili elementi che conferiscono caratteristiche di bizzarria e vividezza alle immagini oniriche (Hall e Van de Castle, 1966; Schredl e Doll, 1998), ma anche sulla presenza di eventuali incorporazioni provenienti dalle situazioni di veglia, quando viene adottato l'approccio che manipola le situazioni precedenti all'addormentamento (Foulkes e Rechtschaffen, 1964). Grazie a queste procedure è possibile tener conto sia della presenza di attività mentale oniro-simile (dream-like) che di quella pensiero-simile (thought-like) (Foulkes, 1962). La variabile relativa alla frequenza con cui i soggetti ricordano i sogni è quella che 12 maggiormente risente delle differenze interindividuali dovute a ciò che Pylyshyn (1989) ha definito “penetrabilità cognitiva” (Hobson et al., 2000). I comportamenti, fra cui anche quelli che permetto il ricordo e la narrazione dei sogni, sono determinati dal background di componenti motivazionali, credenze e obiettivi dell'individuo: in questo senso, la frequenza del ricordo dei sogni è correlata ad alcune caratteristiche proprie della personalità, come ad esempio la tendenza soggettiva a prestare più attenzione agli aspetti della propria vita interiore e a interessarsi maggiormente al ricordo dei propri sogni. Alla luce di ciò, i soggetti sperimentali possono essere classificati in coloro che hanno una maggiore propensione a prestare attenzione alla presenza dei sogni (high recallers) e in coloro che, al contrario, sono meno propensi (low recallers). Chiaramente, si tratta di un aspetto che conduce verso questioni secondarie, come ad esempio l'esigenza di individuare i criteri opportuni al fine di rilevare quelle specifiche caratteristiche di personalità che effettivamente avrebbero un impatto sulla DRF (per un approfondimento si consulti Blagrove e Pace-Scott, 2010). Il metodo che sembra godere di maggior validità per le misure della DRF è quello delle registrazioni quotidiane del sogno, che possono essere effettuate per mezzo di appositi diari. Nonostante ciò, si tratta di una tecnica tendenzialmente poco usata nelle ricerche sperimentali, in favore, invece, delle cosiddette misure retrospettive, le quali sono ottenute ponendo una singola domanda al soggetto sperimentale, con un notevole risparmio di tempo e maggior agevolezza nella somministrazione. Tuttavia, è doveroso notare che le misure retrospettive si basano strettamente sulle capacità relative al recupero dei contenuti dalla memoria a lungo termine e i risultati possono essere contaminati dai bias e dagli atteggiamenti individuali (Beaulieu-Prévost e Zadra, 2005a; Schredl, 2002), nonché dalle distorsioni mnestiche (Beaulieu-Prévost, 2005). Nello specifico, il rischio potrebbe essere quello di incorrere in sovrastime della DRF, nel caso di soggetti definiti high recallers. Al contrario, l'uso delle tecniche di registrazione quotidiana potrebbe ovviare questo problema, ma d'altra parte potrebbe indurre un incremento del ricordo del sogno nei soggetti definiti low recallers (Beaulieu-Prévost e Zadra, 2007). Tuttavia, le ragioni delle notevoli differenze interindividuali e delle fluttuazioni intraindividuali che producono effetti sul richiamo del sogno, sono, in realtà, ancora scarsamente comprese. Inoltre, il materiale onirico raccolto viene analizzato da due giudici diversi che si servono delle medesime scale di valutazione, le quali permettono, da un lato, di quantificare i parametri precedentemente esposti e, dall'altro, di rilevare possibili distorsioni dovute al giudizio del giudice. Considerazioni di questo tipo introducono un'ulteriore questione metodologica, che riguarda i problemi statistici di affidabilità e validità relativi agli strumenti utilizzati per l'analisi dei resoconti: tale questione necessita, tuttavia, di specifiche trattazioni che, per la loro complessa natura, non verranno affrontate in questa sede (per un approfondimento, si veda 13 Schredl et al., 2001). Per il momento basti considerare che il ricordo della MSA è un fattore esclusivamente soggettivo che richiede l'osservazione indiretta da parte dello sperimentatore e la capacità di organizzare le informazioni in un racconto coerente. È probabile che entrambe queste variabili siano influenzate da fattori casuali che sfuggono al controllo sperimentale, come l'impatto degli eventi fisiologici e la presenza di fenomeni psicologici relativi alle attività mentali, i quali possono verificarsi nell'arco di tempo che intercorre fra il richiamo della MSA e la sua verbalizzazione. Anche le procedure utilizzate per analizzare i contenuti onirici riflettono le controversie legate all'esigenza di definire in modo chiaro le differenze (e le somiglianze) tra le attività mentali ottenute dai risvegli in REM e quelle ottenute dai risvegli in NREM, nonché le fluttuazioni interne alle stesse. La ricerca in questo ambito ha inevitabilmente portato i neuroscienziati a focalizzarsi soprattutto sulle differenze tra i resoconti onirici in questione, con un particolare focus sull'individuazione di specifiche caratteristiche che si possano riscontrare unicamente nei resoconti da REM. Come fanno notare Hobson e i suoi collaboratori (2000), è vero che l'attività mentale si verifica per l'intero corso del sonno ed è vero anche che l'attività oniro-simile possa, talvolta, dominare le caratteristiche dei resoconti da NREM. Quindi, sebbene in alcuni casi si possano riscontrare delle somiglianze fra resoconti da NREM e quelli da REM relativamente ai parametri di lunghezza (numero di parole utilizzato nel racconto), vividezza e bizzarria, tuttavia è molto più probabile raccogliere resoconti da NREM che risultino corti, banali e pensiero-simili (Nielsen 1999; Rechtschaffen et al. 1963a; 1963b). I problemi metodologici discussi rendono evidente la necessità di comprendere più a fondo le differenze e le similitudini tra le attività mentali riscontrabili in corrispondenza degli stadi REM e NREM; inoltre sollevano delle considerazioni sulla natura dei meccanismi di consolidazione della memoria nel sonno e del suo (frequente) decadimento al momento del risveglio. Quali aree si attivano maggiormente in corrispondenza dell'attività onirica e quali sono predittive della sua esperienza da parte del soggetto? 1.3 L’evoluzione del paradigma dicotomico tra REM e NREM In seguito alla scoperta del sonno REM da parte di Aserinsky e Kleitman (1953), si è osservato che nel 74% dei risvegli da questa fase era possibile ottenere un resoconto onirico caratterizzato da componenti visuo-allucinatorie ed elementi bizzarri, mentre la stessa cosa avveniva solo nel 9% dei risvegli effettuati in NREM (Eiser, 2005). L‟entusiasmo per la nuova scoperta portò molti ricercatori a ritenere che il sonno REM fosse il correlato neurale del sogno (Dement e Kleitman 1957b). Sono stati due studi (Antrobus 1983; Foulkes e Schmidt 1983) a interrompere il flusso di ricerche volte a dimostrare la corrispondenza biunivoca tra REM e dreaming, avanzando le 14 ipotesi per cui l‟attività mentale sia sempre la stessa per tutto il corso del sonno (Moffitt, 1995) e che quella del NREM non differisca qualitativamente da quella del REM (Foulkes, 1995). Il cambio di rotta è iniziato quando Foulkes (1962), modificando i termini della consegna, ha collocato l‟oggetto di studio in un contesto meno influenzato dalle limitazioni dovute alle interpretazioni soggettive del sogno. Al contrario di quanto accaduto fino a quel momento, egli non chiedeva ai partecipanti cosa stessero sognando immediatamente prima di essere svegliati, ma chiedeva, più genericamente, cosa stesse passando loro per la mente (Horne, 1993). Così, utilizzando criteri più liberi (Nielsen, 2000), era possibile rilevare la presenza di un certo tipo di attività mentale anche dopo i risvegli dal sonno NREM. In un primo momento, si è creduto che il sonno REM producesse un tipo di attività più simile a ciò che si intende tradizionalmente per sogno (dream-like) e che, al contrario, il sonno NREM producesse un‟attività mentale più simile ai pensieri che si possono riscontrare in veglia, priva di componenti visuo-allucinatorie (thoughtlike). Dopo vari approfondimenti, Foulkes (1985) ha dimostrato la presenza dei sogni per tutto il corso del NREM: essi compaiono durante la tipica attività delta del sonno a onde lente, all‟inizio del sonno durante le fasi di addormentamento e anche durante la veglia rilassata, come nel caso delle immagini ipnagogiche e ipnopompiche (Cavallero, 2000). Attualmente l‟equazione “sonno REM = dreaming” non è ancora scomparsa del tutto, ma è stata eclissata da un acceso dibattito sulle differenze tra sogni in REM e sogni in NREM, volto a individuare i meccanismi che li generano e le modalità con cui essi operano (Nielsen, 2000). Poiché talvolta era possibile ottenere resoconti onirici dai risvegli in sonno NREM altrettanto, o persino più lunghi, di quelli in sonno REM (Foulkes e Schmidt, 1983; Cavallero et al., 1990), i ricercatori hanno indagato molto dettagliatamente le differenze qualitative e quantitative presenti nelle narrazioni dei soggetti. Per approfondire l‟argomento, alcuni studi hanno utilizzato dei metodi per rimuovere le differenze quantitative fra i resoconti registrati, con lo scopo di condurre degli esperimenti che indagassero esclusivamente le differenze qualitative (Antrobus, 1983; Foulkes e Schmidt, 1983). È emerso che, controllando statisticamente la lunghezza dei resoconti, le differenze qualitative tendevano a diminuire, se non addirittura a scomparire (Salzarulo, 2004). Antrobus (1983) ha dimostrato che quando la lunghezza dei resoconti viene tenuta fuori dalle analisi statistiche, le differenze qualitative del dream recall dopo gli episodi REM e NREM sono esigue, se non addirittura assenti. Infatti, controllando sperimentalmente la lunghezza dei resoconti, le apparenti differenze qualitative tra REM e NREM tendono a diminuire, se non a scomparire, suggerendo che gli stessi meccanismi di produzione onirica operino attraverso ogni stadio del sonno (Cavallero, 2000). Inoltre, ulteriori ricerche hanno dimostrato che quando sono tenuti sotto controllo gli effetti temporali dell‟intero arco della notte, la lunghezza dei resoconti (misurata in base al numero di parole utilizzate) non è proporzionale al totale del tempo passato 15 in REM prima del risveglio; invece, la durata dello specifico stadio di sonno che precede il risveglio sembra influire molto di più sulla lunghezza narrativa (Rosenlicht et al., 1994). Alcuni studi, tuttavia, riportano che le differenze esistono (Cavallero et al., 1992), ma che non sarebbero così grandi come quelle riscontrate nelle prime ricerche. Al contrario, altri dati sperimentali dimostrerebbero l‟esistenza di evidenti differenze qualitative tra i resoconti in questione e ipotizzano anche la probabile presenza di differenze quantitative, le quali, però, per motivi di inadeguatezza metodologica, non possono essere indagate a dovere (Hobson et al., 2000). In questo paragrafo verranno esposti più nel dettaglio gli aspetti appena presi in considerazione, illustrando come si è evoluto il dibattito scientifico relativo alla generazione dei sogni, dalla scoperta del sonno REM fino al momento attuale. Foulkes (1962; 1966), rifiutando la corrispondenza biunivoca “sonno REM = dreaming”, ha condotto una serie di studi che hanno permesso di teorizzare il cosiddetto “modello del generatore singolo” (1-gen). Si tratta di un modello cognitivo che postula l‟esistenza di un singolo meccanismo responsabile dell‟attività onirica in toto. Il singolo generatore in questione opera entro tre fasi: dapprima si verifica un‟attivazione mnestica, cui segue un processo di organizzazione delle informazioni e, infine, l‟interpretazione cosciente di quanto accaduto. Tralasciando le considerazioni relative all‟influenza delle caratteristiche neurofisiologiche sul tipo di attività mentale, la teoria propone che le differenze riscontrate tra i resoconti onirici dopo il risveglio da REM e da NREM, siano dovute alle fluttuazioni del grado di attivazione mnestica. Si assume, infatti, che questa possa essere in alcuni momenti diffusa ed elevata, mentre in altri più bassa e, quindi, meno elevata. Nel primo caso - come, ad esempio, avverrebbe nella maggior parte del REM e in quelle fasi del NREM caratterizzate da maggior attivazione corticale l‟organizzazione delle informazioni sarebbe stimolata più intensamente, aumentando le probabilità che si verifichi, di conseguenza, l‟interpretazione cognitiva e che essa sia più coerente da un punto di vista narrativo. Al contrario, in quelle fasi del sonno in cui l‟attivazione mnestica sarebbe inferiore e meno diffusa - cioè, durante la maggior parte del NREM, ma anche in alcuni periodi di REM - l‟organizzazione delle informazioni sarebbe stimolata con minore intensità e la successiva interpretazione cosciente risulterebbe meno coerente o, in alcuni casi, assente. In sintesi, la presenza o meno di attività mentale resocontata al risveglio, nonché le caratteristiche qualitative che la contraddistinguono, dipenderebbero dal grado di diffusione e di disponibilità delle capacità mnestiche e non, al contrario, dallo specifico stadio fisiologico di sonno (Nielsen, 2000). Quindi, il “modello del singolo generatore” sostiene che la presenza del ricordo del sogno sia il prodotto risultante dall‟attività eccitatoria e inibitoria di unità mnestiche (Foulkes, 1982a; 1985; 1990; 1993b; 1997; Foulkes e Cavallero, 1993), comparando i processi che generano l‟attività onirica a quelli delle funzioni cognitive superiori dello stato di veglia, che 16 guidano e organizzano l‟esperienza cosciente (Hobson et al., 2000). Antrobus, in accordo con Foulkes (1962; 1966), ritiene che, spesso, i resoconti da NREM possano risultare più brevi (Antrobus, 1983): il fenomeno in questione è attribuito alla ridotta abilità nel richiamare e descrivere gli eventi in seguito al risveglio dalle fasi del sonno NREM. Le discrepanze osservate vengono, così, spiegate in termini di processi di memoria influenzati dalle differenti attivazioni fisiologiche in REM e in NREM (Nielsen, 2000). In uno studio condotto con il suo team di ricerca, venivano mostrati dei filmati ai soggetti prima dell‟addormentamento e al mattino seguente veniva chiesto loro di raccontare il filmato che avevano visto la sera precedente. I risultati dimostrano che le descrizioni riportate erano più lunghe e contenevano più informazioni visive quando i soggetti venivano svegliati dallo stadio REM, piuttosto che quando venivano svegliati dal NREM. I ricercatori hanno, quindi, concluso che lo specifico stato fisiologico del sonno dovesse esercitare un effetto sulle attività cognitive osservabili al risveglio e, di conseguenza, anche su quelle che permettono di ricordare e narrare il sogno (Rosenblatt et al., 1992). Pertanto, almeno una porzione di differenze osservabili tra i resoconti REM e NREM può essere spiegata in questi termini (Antrobus, 2000). Per rendere conto dell‟attività onirica, Antrobus propone un modello di attivazione corticale (DREAMIT2 model) che opera attraverso tutti gli stati mentali (Antrobus, 1986; 1990; 1991; 2000; Fookson e Antrobus, 1992; Reinsel et al., 1992). Nello specifico, si tratta di un processo di reti neurali che opera in parallelo, determinando le caratteristiche qualitative dell‟attività mentale (Hobson, 2000). L‟interazione tra moduli corticali gestisce le varie informazioni sensoriali, motorie e associative, che creano la struttura narrativa del sogno, integrando qualsiasi input corticale, sottocorticale o periferico per mezzo di un processo top-down diretto dalla corteccia (Antrobus e Bertini, 1992). Subito dopo il risveglio si azionano i moduli verbali e di attribuzione del significato che dipendono dall‟attività della corteccia frontale e della corteccia temporale sinistra. Questo comporta, pertanto, un‟accelerazione dei processi interpretativi: durante la transizione dal sonno alla veglia si identificano oggetti e personaggi e si attribuisce significato alle scene. Alcuni aspetti del sogno diventano più ragionevoli, mentre altre relazioni che erano “prese seriamente, per come venivano viste” nel sogno, vengono giudicate bizzarre al risveglio (Antrobus, 2000). Alla luce di ciò, la presenza degli elementi di bizzarria viene attribuita all‟attività delle reti corticali che integrano tutte le varie rappresentazioni generate durante il sonno. Le stesse reti corticali che ricostruiscono in maniera logico-sequenziale la realtà, a partire dalle informazioni acquisite in stato di veglia, durante il sonno falliscono nello stesso obiettivo (Antrobus e Bertini, 1992; Fookson e Antrobus, 1992). A sostegno del “modello del generatore singolo”, poiché la storia del sogno viene elaborata durante la veglia, è molto probabile che le differenze (qualitative e quantitative) tra i rispettivi 17 resoconti in questione dipendano dal grado di attivazione fisiologica al momento del risveglio (Feinberg e Evarts, 1969): in tal modo, l‟attività mentale sarebbe il prodotto di una singola fonte di immaginazione e verrebbe modulata - e influenzata - dai vari livelli di capacità del recupero mnestico (Feinberg, 2000). Numerose ricerche dopo la scoperta del sonno REM hanno dimostrato che la probabilità di rilevare la presenza di resoconti onirici è più elevata dai risvegli effettuati in tale stadio, piuttosto che in NREM (Aserinsky e Kleitman, 1953 e 1955; Dement, 1955; Dement e Kleitman, 1957b; Kales et al., 1967; Wolpert e Trosman, 1958). Inoltre, hanno fornito dati per cui la frequenza del dream recall si mostra maggiore per i risvegli da fase REM (Dement e Kleitman, 1957b; Goodenough et al., 1965b; Wolpert e Trosman, 1958; Stickgold et al., 1994a); mentre altri risultati indicherebbero l‟esistenza di una relazione positiva tra la lunghezza dei resoconti (misurata in numero di parole), la stima soggettiva sulla durata del sogno e la durata del precedente episodio REM (Dement e Kleitman, 1957b). Ulteriori studi hanno dimostrato che i resoconti che si registrano dai risvegli da REM sono più lunghi (Antrobus, 1983; Casagrande et al., 1990), più vividi, più animati da un punto di vista motorio, più carichi emotivamente e meno collegati con gli aspetti della vita quotidiana (Antrobus et al., 1987; Cavallero et al., 1992; Foulkes, 1962; Nielsen, 1999), rispetto ai resoconti da NREM che, invece, sono più spesso pensiero-simili e più legati alle rappresentazioni correnti (Foulkes, 1962; Rechtschaffen et al., 1963a). Hobson e i suoi collaboratori (2000), a partire da queste evidenze sperimentali, rifiutano il “modello del generatore singolo”, poiché ritengono che esso si basi su un costrutto psicologico che non tenta di collegare i fenomeni cognitivi a quelli fisiologici. Secondo gli autori esistono prove consistenti in favore dell‟esistenza di differenze fenomenologiche tra sogno del REM e sogno del NREM. In particolar modo, all‟attività onirica riscontrabile in REM andrebbero attribuite precise caratteristiche: ad esempio, questi sogni contengono percezioni allucinatorie, soprattutto visive e motorie, ma anche in altre modalità sensoriali (Hobson, 1988b; Zadra et al., 1998). Gli scenari in cui si svolgono le azioni possono cambiare rapidamente e le immagini sono spesso bizzarre (Hobson, 1988b e 1997b; Hobson e Stickgold, 1994a; Mamelak e Hobson, 1989a); i personaggi presenti, i tempi e i posti sono tra loro fusi, dinamici, incongrui e discontinui (Hobson, 1988b e 1997b; Stickgold et al., 1994b e 1997b) e tutti gli elementi presi in considerazione vengono organizzati in una trama a carattere confabulatorio (Blagrove, 1992a; Hobson, 1988b; Foulkes, 1985). Le emozioni, in particolar modo quelle spiacevoli di ansia e paura, laddove presenti, si manifestano intensamente (Nielsen et al., 1991; Domhoff, 1996; Merritt, et al. 1994). Essi non negano che, talvolta, si possano riscontrare dei resoconti dai risvegli NREM contraddistinti dai medesimi aspetti fenomenologici - come nel caso, per citare 18 un esempio, dei terrori notturni che si verificano negli stadi 3 e 4 del sonno (Nielsen, 2000; Fisher et al., 1970a; 1970b; 1973; Kahn et al., 1991) - ma ritengono che sia molto più probabile osservare le suddette caratteristiche nell‟attività mentale del REM (Hobson et al., 2000). A conferma di quanto detto, i ricercatori riportano alcuni studi di analisi della covarianza, in cui sono state osservate differenze qualitative tra i resoconti onirici, tenendo fermi i parametri quantitativi relativi alla lunghezza delle narrazioni. Dai risultati emerge che i resoconti da REM erano giudicati significativamente più visivi e bizzarri rispetto a quelli registrati all‟inizio del sonno o dallo stadio 2 (Casagrande et al., 1996b) e più visivi rispetto ai resoconti NREM (Waterman et al., 1993). Hobson e i suoi collaboratori (2000) ipotizzano che l‟apparato cervello-mente sia un sistema unificato in cui complesse componenti interagiscono in modo dinamico per produrre continui cambiamenti di stato. Per spiegare come avvengano tali cambiamenti, è stato sviluppato il modello AIM (Activation - Information flow - Mode of information processing), a partire dal precedente “modello di attivazione-sintesi” (Hobson e McCarley, 1977). Il modello si dispiega entro tre dimensioni spaziali: in un primo momento avverrebbe l‟attivazione del sistema (A), intesa come la capacità di processare le informazioni; l‟attivazione del sistema permetterebbe, poi, di elaborare il flusso delle informazioni (I), proveniente dal mondo esterno, secondo specifiche modalità (M). Gli autori ritengono che gli stati di veglia, sonno e sogno possano essere definiti, analizzati e misurati, in quanto l‟uno diverso dall‟altro e che vi siano delle differenze significative fra gli aspetti formali degli stati di coscienza associati ad ogni stadio del sonno (Hobson et al., 2000). Inoltre non credono che per sogno vero e proprio si debba intendere una qualsiasi forma attività mentale che si verifichi durante il sonno, ma, al contrario di Foulkes (1962), ritengono che si dovrebbero restringere i criteri di definizione. Pertanto, sarebbe preferibile studiare il sogno inteso come quella particolare attività mentale che si verifica nel sonno, caratterizzata da immagini sensoriali vivide ed esperite come se fossero reali, nonostante la presenza di alcuni elementi bizzarri (improbabilità di tempo, luogo, persone e azioni); le emozioni predominanti sono quelle relative a paura, gioia e rabbia, mentre più rara è la presenza di tristezza, vergogna e colpa (Nielsen, 2000). I sogni, per giunta, risulterebbero da attivazioni cerebrali random innescate dal tronco encefalico e sarebbero privi di significato e di valore adattivo per l‟organismo: per tale motivo non è necessario che siano ricordati (Hobson, 1988b; Hobson e McCarley, 1977). Tuttavia il ricordo del sogno si può riscontrare maggiormente nel risveglio da sonno REM, il quale, a causa delle specifiche attivazioni fisiologiche che gli sono proprie, permetterebbe un certo grado di consolidazione mnestica (Stickgold et al., 2000b). Antrobus (2000) e Foulkes (1962; 1966) hanno spiegato la presenza di tali differenze tra i resoconti ottenuti dal risveglio da NREM e da REM in termini di fluttuazioni delle capacità 19 cognitive nel recupero mnestico al momento del risveglio, abbracciando l‟ipotesi per cui la produzione di attività onirica sia la stessa per tutto il corso della notte. Al contrario, Hobson e i suoi colleghi (Mamelak e Hobson, 1989a) ipotizzano che la produzione dell‟attività onirica dipenda da distinti meccanismi di generatori di immagini (Nielsen, 2000). Il modello da essi proposto, quello del “doppio generatore” (2-gen), si fonda sull‟assunzione dell‟isomorfismo psicofisiologico, per cui le specifiche variabili fisiologiche, legate ai vari stadi del sonno, sarebbero correlate a specifiche variabili psicologiche relative alle caratteristiche delle attività mentali prodotte (Nielsen, 2000). Nonostante alcuni resoconti registrati in seguito ai risvegli da NREM mostrino dei tratti dream-like tipicamente osservabili in REM, in media, i rispettivi resoconti appaiono più frequentemente diversi l‟uno dall‟altro. Questo farebbe dedurre, di conseguenza, che i sogni più intensi siano una prerogativa del sonno REM (Hobson et al., 2000). Di recente, McNamara e i suoi collaboratori (2010) hanno condotto due studi a supporto dell‟ipotesi del “doppio generatore”. I ricercatori hanno analizzato il contenuto di un centinaio di resoconti ottenuti da REM e da NREM, alla luce di precedenti ricerche che avevano rilevato una maggior presenza di emozioni spiacevoli ed elementi bizzarri dai risvegli da REM, rispetto ai resoconti da NREM che contenevano un minor numero di queste caratteristiche, ma una maggiore presenza di scene ambientate in contesti familiari (Domhoff, 2003; Foulkes, 1962; Hobson e Pace-Schott, 2002; Nielsen et al., 2001; Rechtschaffen et al., 1963a; Snyder et al., 1968; Strauch e Meier, 1996). Focalizzandosi sul parametro della presenza di interazioni sociali nei resoconti onirici, i risultati hanno dimostrato che esse possono comparire sia nei sogni del REM che nei sogni NREM ma, nello specifico, il REM sembra essere specializzato nella generazione di interazioni sociali aggressive, mentre il NREM nella generazione di interazioni amichevoli. Secondo gli autori la presenza di differenti aspetti emotivi nei due tipi di resoconti rifletterebbe l‟influenza di specifiche attività cerebrali associate ai rispettivi stadi del sonno. Infatti in REM, in cui i livelli di attivazione dell‟amigdala sono elevati (Hobson et al., 2000), si riscontrava la presenza di interazioni sociali aggressive, mentre in NREM, durante il quale il sistema limbico è pressoché silente, non si registravano interazioni aggressive. I dati, pertanto, farebbero pensare che vi sia un generatore specializzato per i sogni prodotti in REM e uno specializzato per i sogni del NREM, concludendo che il contenuto onirico sia fisiologicamente influenzato dal tono dello stadio del sonno prevalente. Nielsen (2000), nel tentativo di fare chiarezza all‟interno del complesso dibattito sulla genesi dei sogni, propone che, per comprendere a fondo le differenze tra il “modello del generatore singolo” e il “modello del generatore doppio”, sia necessario distinguere il dreaming (lo specifico oggetto di studio di quanti sostengono il modello 2-gen) dalle attività mentali meno strutturate. Questi, in accordo con quanto sostenuto da Hobson e coll. (2000), definisce il 20 dreaming in termini di immagini visive caratterizzate da allucinazioni sensoriali, presenza di emozioni, trame complesse e bizzarre. Fra queste troviamo anche gli “apex dreaming”, ossia quella categoria di sogni estremamente vividi, intensi e complessi (incubi, sogni lucidi, sogni erotici) che si verificano più frequentemente in REM (Nielsen, 2000), nonostante si possano riscontrare, come nel caso dei terrori notturni, anche negli stadi più profondi del NREM (Fisher et al., 1970a; 1970b; Kahn et al., 1991). Al contrario, la più generica attività onirica, definita come una qualsiasi forma di attività cognitiva rilevabile durante il sonno, è solitamente caratterizzata dalla presenza di immagini visive statiche e impressioni vaghe, come pensieri, riflessioni e sensazioni corporee (Nielsen, 2000). Le considerazioni appena esposte evidenziano che, probabilmente, le differenze tra dreaming e attività cognitiva possano determinare la variabilità del dream recall al risveglio. Entrambi i modelli sulla generazione dei sogni non forniscono, tuttavia, spiegazioni esaustive: infatti ognuno, preso singolarmente, non può individuare quegli specifici meccanismi che si occupano di produrre l‟attività onirica. Nielsen (2000) solleva il problema della generalizzabilità dei due modelli, affermando che l‟uno o l‟altro possono essere validi solo per alcuni tipi di soggetti e solo in alcune circostanze. Il limite del “modello del generatore singolo” consiste nell‟aver escluso i processi delle attivazioni fisiologiche; mentre il “modello del doppio generatore” non prende in considerazione il ruolo della corteccia frontale e della corteccia temporale sinistra (Antrobus, 2000), che permettono di effettuare le operazione cognitive al risveglio, come la sintesi narrativa del contenuto onirico (Nielsen, 2000). Le teorie finora esposte riflettono un lapalissiano paradosso concettuale: da una parte troviamo che l‟attività cognitiva (tra cui anche il dreaming) si verifica per tutto il corso del sonno (modello 1-gen), dall‟altra, tuttavia, esistono delle evidenze sperimentali per cui le rispettive attività mentali di REM e NREM sembrano differire qualitativamente e, con esse, anche le attivazioni fisiologiche che le accompagnano (modello 2-gen). Nel tentativo di risolvere il paradosso in questione, Nielsen (2000) cerca di riconciliare i due modelli, proponendone un terzo, detto “modello del REM mascherato” (covert REM): l‟attività mentale presente nel sonno sembra essere saldamente associata ai processi REM, ma alcuni di questi, talvolta, possono dissociare dal sonno REM e andare a stimolare l‟attività mentale del NREM, in modo, appunto, mascherato. Vari risultati sperimentali confermano l‟ipotesi avanzata da Nielsen (2000): infatti il richiamo del sogno sembra essere più frequente, abbondante e saliente in quegli stati del NREM che sono in prossimità degli episodi REM (Stickgold et al., 1994a). Anche le serie di risultati relativi agli studi di deprivazione del sonno - che induce il fenomeno del REM-rebound, cioè la “pressione” ad entrare precocemente in fase REM e a trascorrervi più tempo del normale (Endo et al., 1998; Ellman et al., 1991; Eiser, 2005) -, quelli relativi ai fenomeni onirici che compaiono 21 all‟inizio del sonno (Nielsen et al., 1995; Porte, 1997) e quelli che riguardano i fenomeni di arousal durante l‟addormentamento (Nielsen, 2000), sono tutti stati interpretati in termini di REM mascherato, che agirebbe sugli eventi NREM elencati (Nielsen, 2000). Inoltre, sembrerebbe che le caratteristiche neurofisiologiche del NREM in cui si ottiene il dream recall siano differenti da quelle del NREM privo di dream recall (Germain e Nielsen, 1999) e che le caratteristiche neurofisiologiche del NREM in cui si ottengono i resoconti onirici più vividi siano, invece, più simili a quelle del REM (Nielsen et al., 1995). I dati in questione farebbero supporre che il covert REM sia implicato nella generazione del dreaming nelle fasi di sonno NREM che presentano delle caratteristiche simili a quelle del sonno REM, le quali, però, non soddisfano appieno i criteri elettrofisiologici proposti dagli standard internazionali di siglatura del sonno (Rechtschaffen e Kales, 1968), per l‟attribuzione dello stadio REM vero e proprio (Nielsen, 2000). Lo scopo del modello proposto da Nielsen (2000) è quello di mantenere le assunzioni generali del “modello del singolo generatore” (che in questo caso viene identificato con il sonno REM), estendendole anche all‟ipotesi dell‟isomorfismo psicofisiologico proposta dal “modello del doppio generatore”. Le differenze qualitative fra i resoconti REM/NREM vengono spiegate in termini di attivazione mascherata del REM che agirebbe andando a “colorare” le attività cognitive che si verificano in NREM. Vari autori hanno, tuttavia, messo in discussione le argomentazioni del modello del “doppio generatore” e del “REM mascherato”. Hobson e i suoi collaboratori (Stickgold et al., 2000b), avevano ipotizzato che le caratteristiche fisiologiche del REM permettessero la consolidazione mnestica, spiegando, in tal modo, perché sia più probabile riscontrare dai risvegli in REM la presenza dei resoconti onirici più ricchi di dettagli. Varie evidenze, tuttavia, supportano le teorie per cui il sistema mnestico si ristorerebbe quando è in stato off-line (Feinberg, 2000). Pertanto, sembrerebbe più logico affermare, al contrario, che il consolidamento mnestico subisca un arresto durante il sonno e che tale grado di arresto sia proporzionale all‟attività EEG. Esso risulterebbe massimo nello stadio 4 di sonno profondo a onde lente e minimo in REM, quando l‟attività cerebrale si fa desincronizzata (Feinberg, 2000). L‟ipotesi avanzata a tal riguardo propone che la funzione del REM potrebbe essere, più semplicemente, quella di garantire e promuovere la riattivazione cerebrale (Ephron e Carrington, 1966). Il cervello, infatti, fortemente depresso durante il sonno a onde lente (SWS), sarebbe incapace di tollerare lunghi periodi di soppressione prolungata e avrebbe bisogno di riattivarsi periodicamente, evitando, tuttavia, di risvegliare l‟intero organismo, ma preparandolo a tornare attivo dopo il risveglio (Feinberg 2000). Nonostante Hobson e i suoi collaboratori (2000) abbiano portato delle prove in favore delle 22 differenze qualitative tra i resoconti ottenuti dopo i risvegli da REM e da NREM (supportando la teoria per la quale l‟attività mentale sia più verbale in NREM e più visiva in REM), Antrobus (2000) fa notare che in entrambi i casi, quando viene chiesto ai soggetti se stessero sognando, la risposta è affermativa. Alla luce di quanto detto sinora bisogna considerare che, in un primo momento, la tendenza di quanti sostengono l‟ipotesi del “doppio generatore” dei sogni era quella di considerare i meccanismi REM/NREM che producono attività mentale in termini di modalità on/off. Attualmente, invece, grazie alle numerose ricerche di Foulkes (1982a; 1985; 1990; 1993b; 1997) e ai dati neuropsicologici presentati da Solms (2000) - che verranno esposti più avanti essi considerano che i meccanismi in questione operino attraverso vari livelli di attività (Antrobus, 2000). Inoltre, il modello di “attivazione-sintesi” (da cui poi si sono successivamente sviluppati il modello AIM e l‟ipotesi del “doppio generatore”), a detta di Antrobus (2000), è troppo speculativo e non supportato da dati empirici. Infatti, ricordiamo che il modello in questione suppone che il correlato neurale del dreaming andrebbe ricercato a livello dei nuclei pontini, responsabili della generazione del sonno REM. Per di più, esso assume che la relazione tra onde PGO (la cui esistenza non è mai stata dimostrata sugli esseri umani) e i processi corticali di sintesi cognitiva nel sonno (che si occupano di organizzare le informazioni caotiche degli input provenienti dai nuclei pontini) possano spiegare la relazione tra i processi neurobiologici e quelli psicologici che determinano le attività oniriche. In aggiunta, il tentativo di Nielsen (2000) di riconciliare i due modelli divergenti e superare il paradosso, in realtà, non sembra conseguire effettivamente il suo scopo, in quanto non differisce molto dalle ipotesi avanzate da Hobson e i suoi collaboratori (Hobson et al., 1986). Anche in questo caso, infatti, si assume l‟isomorfismo tra il background fisiologico e l‟attività mentale, laddove il “regista” dei sogni viene identificato, ancora una volta, con il sonno REM che andrebbe persino a influenzare i processi cognitivi del NREM in maniera mascherata (Bosinelli e Cicogna, 2000). Come verrà spiegato a breve, le ricerche di Solms (2000) confutano le ipotesi del doppio generatore e affermano che il sonno REM e i sogni siano fenomeni indipendenti. 1.4 L’approccio neuropsicologico nella ricerca sul sogno Prima di discutere i risultati degli studi neuropsicologici, è opportuno sintetizzare brevemente il “modello di attivazione-sintesi” (Hobson e McCarley, 1977) e il “modello AIM” (Hobson et al., 2000), considerandoli da un ulteriore punto di vista. Il primo modello propone che i sogni siano generati a partire dall‟attività tronco-encefalica e sintetizzati a livello corticale. Alla corteccia è attribuita, quindi, la funzione di ordinare i numerosi input in arrivo dai nuclei pontini, nel tentativo di dare un senso al caotico susseguirsi di tali informazioni. In base a ciò il proencefalo 23 avrebbe, quindi, un ruolo passivo nella generazione dei sogni. Nel “modello AIM”, e nelle sue revisioni successive, gli aspetti fenomenologici dell‟attività onirica (allucinazioni visive, illusioni, disorientamento, presenza di contenuti emotivi, oblio del sogno al risveglio) continuano ad essere attribuiti ai meccanismi tronco encefalici e, in particolare, all‟arresto dell‟attività di modulazione aminergica (noraderenergica e serotoninergica) che permette, di conseguenza, al sistema colinergico di entrare in azione, generando la comparsa del sonno REM (Hobson 1992b; 1994; Hobson et al., 1998b). Secondo tali premesse, i sogni prodotti durante il REM e quelli prodotti durante il NREM sarebbero il risultato delle reciproche interazioni tra i neuroni aminergici e colinergici del tronco dell‟encefalo (Hobson 1992b; 1994), ipotizzando l‟esistenza di un doppio generatore dell‟attività onirica. Quindi, conservando l‟ipotesi del controllo pontino sul dreaming, Hobson e i suoi collaboratori, attraverso le varie revisioni dei loro modelli, avrebbero semplicemente spostato il collegamento fenomenologico tra sonno REM e dreaming al collegamento anatomico tra i nuclei pontini del tronco dell‟encefalo e produzione onirica (Solms, 2000). Le loro ipotesi rimangono fermamente ancorate all‟idea dell‟isomorfismo mentecervello, ma l‟aspetto più opinabile risiede, secondo Solms (2000), nel fatto che essi abbiano proposto un modello di natura meramente speculativa che non considera gli studi di lesioni neurologiche, fondamentali per verificare la correlazione tra l‟attività cerebrale e le manifestazioni psichiche. Il contributo di Solms (1997a) è stato di fondamentale importanza per lo studio del dreaming, in quanto ha permesso di collegare i dati che provengono dal cervello direttamente alla generazione dei sogni, senza fare affidamento sulle inferenze di presunte relazioni tra gli aspetti fisiologici e psicologici. Così facendo è stato tenuto sotto controllo tutto quell‟insieme di problemi metodologici che consente, altresì, di studiare i sogni solamente attraverso approcci indiretti che inevitabilmente vengono influenzati dallo specifico stadio del sonno in cui si genera l‟attività mentale. Il suo lavoro è il prodotto dell‟integrazione di dati raccolti su 332 pazienti con lesioni cerebrali con quelli provenienti dalla letteratura precedente, allo scopo di creare una neuropsicologia dei sogni (Eiser, 2010). La revisione dei dati in questione ha portato Solms (2000) a ritenere fondamentalmente errata la corrispondenza biunivoca “REM = dreaming” e a individuare nel proencefalo il generatore dell‟attività onirica. Le sue osservazioni partono da quanto è stato già ampiamente discusso nel paragrafo precedente: non tutto il dreaming è correlato al sonno REM. Più precisamente, potrebbe sembrare che ci sia una qualche correlazione, ma tuttavia risulterebbe incompleta, poiché tra il 5 e il 30% dei risvegli da stadio REM non si registra la presenza di resoconti onirici e almeno nel 5-10% dei casi di risvegli da stadio NREM si ottengono dei resoconti onirici del tutto identici per complessità e numero di dettagli a quelli ottenibili in REM (Hobson, 1988b). Solms (2000) invita a riflettere su una serie 24 di considerazioni che confutano i modelli proposti da Hobson e i suoi collaboratori e a rifiutare le ipotesi secondo cui vi siano distinti generatori per i sogni del REM e per i sogni del NREM. Infatti, già Jouvet (1962) aveva dimostrato la dissociazione tra i meccanismi proencefalici e i meccanismi implicati nella generazione del sonno REM e Jones (1979) aveva dimostrato che le ampie lesioni a carico dei nuclei pontini nel tronco encefalico eliminavano ogni manifestazione di sonno REM nei gatti. Quest‟ultimo risultato è stato successivamente confermato per mezzo di 26 casi di studi di lesione condotti su esseri umani (Adey et al., 1968; Chase et al., 1968; Cummings e Greenberg, 1977; Feldman, 1971; Lavie et al., 1984; Markand e Dyken, 1976; Osorio e Daroff, 1980). Di questi 26 casi, ben 25 non hanno mostrato alcuna correlazione tra perdita del dreaming e perdita del sonno REM (Adey et al., 1968; Chase et al., 1968; Cummings e Greenberg, 1977; Lavie et al., 1984; Markand e Dyken, 1976), quindi, anche in assenza di REM il dreaming continuava a verificarsi, tranne che in un singolo caso riportato da Fedelman (1971), in cui vi era correlazione tra perdita di REM e perdita di dreaming. Solms (2000), inoltre, ha riportato 108 casi di lesioni focali del proencefalo che causavano la cessazione totale, o parziale, del dreaming (Basso et al., 1980; Boyle e Nielsen, 1954; Epstein, 1979; Epstein e Simmons, 1983; Ettlinger et al., 1957; Farah et al., 1988; Farrell, 1969; Gloning e Sternbach, 1953; Grunstein, 1924; Habib e Sirigu, 1987; Humphrey e Zangwill, 1951; Lyman, et al., 1938; Michel e Sieroff, 1981; Moss, 1972; Neal, 1988; Nielsen, 1955; Peña-Casanova et al., 1985; Piehler, 1950; Ritchie, 1959; Solms, 1997a; Wapner et al., 1978). I dati relativi alla correlazione tra la perdita del dreaming e le lesioni a carico del proencefalo sono stati confermati da ulteriori ricerche in cui i soggetti venivano risvegliati dal sonno REM (Benson e Greenberg, 1969; Brown, 1972; Cathala et al., 1983; Efron, 1968; Jus et al., 1973; Kerr et al., 1978; Michel e Sieroff, 1981; Murri et al., 1985) e da ricerche che si sono servite di questionari sulla presenza o meno del ricordo del sogno al risveglio del mattino (Arena et al., 1984; Murri et al., 1984; 1985). Globalmente, Solms ha riportato in tutto 111 casi di lesioni del proencefalo in cui i nuclei pontini del tronco dell‟encefalo non avevano subìto alcun danno neurologico, eccetto che in uno soltanto fra questi (Fedelman, 1971). Tra l‟altro, quando venivano anche monitorati i cicli di sonno, si poteva osservare come lo stadio REM fosse totalmente risparmiato (Benson e Greenberg, 1969; Efron, 1968; Jus et al., 1973; Kerr et al., 1978; Michel e Sieroff, 1981). L‟insieme dei dati appena citati ha permesso a Solms (2000) di concludere che “il dreaming può verificarsi anche in assenza del sonno REM e il sonno REM può verificarsi anche in assenza del dreaming”. Solms (2000) ha, poi, suddiviso i 110 casi di lesioni proencefaliche in questione in due gruppi anatomici, osservando che 94 lesioni sono localizzate nella convessità posteriore degli emisferi, nelle aree di Brodmann 39 e 40, a livello della giunzione temporo-parieto-occipitale (TPO). Di questi 94 casi, 83 soggetti mostravano lesioni unilaterali (nello specifico 48 a sinistra e 35 a 25 destra), mentre 11 soggetti mostravano lesioni bilaterali (Arena et al., 1984; Cathala et al., 1983; Murri et al., 1984; 1985; Solms, 1997a). L‟altro gruppo anatomico di lesioni è costituito da 16 casi in cui il danno, sempre bilaterale, riguarda la sostanza bianca adiacente ai corni frontali dei ventricoli laterali, il quandrante ventromesiale dei lobi frontali, che coincide con le regioni della corteccia prefrontale orbitofrontale (ventromediale) e mediale (Solms, 2000). Entrambe le lesioni appena menzionate causano la sindrome definita “anoneria globale”, rispettivamente nelle varianti posteriore e anteriore, in cui si osserva la totale cessazione del dreaming nei pazienti che, al contrario, mostrano capacità visive e immaginative nella norma durante la veglia (Hobson et al., 2000). Doricchi e Violani (1992) hanno individuato un altro possibile quadro sintomatologico che colpisce, invece, il grado della generazione delle immagini oniriche: in seguito a lesioni bilaterali mediali occipito-temporali si assiste a perdita totale o parziale delle immagini che vengono prodotte nei sogni. Al contrario, le capacità visive risultano essere nella norma durante lo stato di veglia. Tale decremento di vivacità delle immagini oniriche è stato osservato, nello specifico, in due pazienti che mostravano lesioni alle aree visive corticali extrastriate V3, V3a e V4 (Doricchi e Violani, 1992). Questo quadro patologico - successivamente definito da Solms (1997a) “anoneria visiva” - si accompagna, di solito, ai sintomi dell‟irriminescenza visiva, ossia l‟incapacità di produrre immagini mentali durante la veglia (Hobson et al., 2000). La cessazione del dreaming che segue dopo lesioni della giunzione TPO sembra essere logicamente spiegata dal fatto che tale regione è implicata anche nella generazione delle immagini visive durante la veglia (Kosslyn, 1994). Si tratta di un‟area associativa che si occupa di assemblare tra loro, in un‟unica rappresentazione cui viene in seguito attribuito significato, le informazioni provenienti dai canali uditivi, visivi e somatosensoriali, servendosi dei processi attentivi e di riconoscimento dello stimolo (Rhawn, 2000; Von Stein et al., 1999). Invece, il ruolo del quadrante ventromesiale nella generazione dei sogni ha bisogno di una spiegazione più esaustiva per comprendere in che modo possa essere implicato nella generazione dei sogni. La regione in questione è provvista di numerose proiezioni dopaminergiche che mettono in connessione le strutture prefrontali con il sistema limbico (Solms, 2000). Prima di rendere conto del ruolo di tale area nella produzione onirica, consideriamo brevemente i meccanismi dei sistemi mesolimbico e mesocorticale. Questi sono implicati nella programmazione dei comportamenti diretti a un obiettivo, che permettono di interagire con il mondo esterno, coerentemente con lo specifico quadro motivazionale dell‟individuo (Panksepp, 1985; 1998a). I neuroni dopaminergici che inviano proiezioni verso il sistema mesolimbico e verso il sistema mesocorticale originano nell‟area tegmentale ventrale (VTA). Le proiezioni che raggiungono il sistema limbico si connettono a varie strutture, tra cui il nucleo accumbens, l‟amigdala e 26 l‟ippocampo. In particolare, il nucleo accumbens è l‟area implicata nei processi di gratificazione e ricerca del piacere e viene attivata da specifici stimoli appetitivi, fra cui anche le sostanze xenobiotiche che inducono il comportamento d‟abuso. Tali sostanze aumentano, infatti, il rilascio di dopamina all‟interno del nucleo accumbens, andando a rinforzare i meccanismi implicati nella ricerca della sostanza gratificante. Invece, le proiezioni dopaminergiche che raggiungono la corteccia frontale controllano le funzioni relative alla memoria a breve termine e alla pianificazione dei movimenti diretti a uno scopo. L‟interazione fra i due sistemi per mezzo della modulazione dopaminergica permette il controllo di funzioni estremamente importanti per la sopravvivenza dell‟organismo, come l‟attenzione, l‟apprendimento, la pianificazione e l‟esecuzione dei movimenti volontari, il comportamento emozionale, la motivazione, il raggiungimento degli obiettivi e la gratificazione. In sintesi, come dimostrato da Panksepp (1998a), il circuito appena descritto è implicato nel comportamento di ricerca, volto al raggiungimento gratificante di un obiettivo, originato a partire dalle spinte motivazionali (sistema seeking). Quindi, in base a quanto descritto, sarebbe più corretto parlare di sistema mesocorticolimbico, i cui neuroni dopaminergici che originano nella VTA, nello specifico, inviano proiezioni all‟ipotalamo laterale, facendo numerose sinapsi lungo il tragitto con molte strutture localizzate nel proencefalo basale (come ad esempio, per citarne alcune, la stria terminale, i gangli della base e il nucleo accumbens). Dall‟ipotalamo laterale, tali proiezioni raggiungono, poi, l‟amigdala, il giro cingolato anteriore e terminano nella corteccia frontale (Solms, 2000). Inoltre, la letteratura riporta che gli stati psicotici (dalle manifestazioni di depressione agitata fino a quelle maniacali e schizofreniche) sono causati dall‟iperattività patologica dei sistemi dopaminergici. Varie ricerche hanno, infatti, dimostrato che tale sistema rappresenta anche il principale sito d‟azione di farmaci (come l-dopa) e droghe (amfetamina e cocaina) ad azione stimolante (Role e Kelly, 1991), le quali, aumentando il rilascio di dopamina, possono indurre artificialmente i sintomi positivi della schizofrenia (Bird, 1990; Kandel, 1991; Panksepp, 1998a). La sintomatologia positiva schizofrenica viene trattata per mezzo dei cosiddetti farmaci antipsicotici (Role e Kelly, 1991), che agiscono, per l‟appunto, su tale sistema, andando a bloccare l‟iperattività dopaminergica a livello mesocorticale e mesolimbico. Uno degli effetti collaterali indotti dalle terapie antipsicotiche consiste nella perdita di interesse per il mondo (Lehmann e Hanrahan, 1954; Panksepp, 1985); inoltre è stato dimostrato che le lesioni a carico di tali regioni producono una riduzione di interesse per gli eventi del mondo esterno, riduzione dell‟iniziativa, perdita di forza e vigore (adinamia), riduzione delle capacità di immaginazione e di pianificare eventi futuri (Panksepp, 1985; Brown, 1985). Solms (2000) ritiene che il sistema proencefalico mesocorticolimbico abbia un ruolo cruciale nella generazione dei sogni, e che tale fenomeno si manifesti in maniera del tutto indipendente 27 dall‟azione fisiologica che caratterizza lo stadio REM. A conferma di ciò, egli riporta dei casi in cui è stato dimostrato che il dreaming scompare completamente in seguito alle lesioni proencefaliche che colpiscono i sistemi dopaminergici, mentre le stesse lesioni non hanno effetti sulla comparsa del REM (Frank, 1946; 1950; Gloning e Sternbach, 1953; Jus et al., 1973; Partridge, 1950; Piehler, 1950; Schindler, 1953; Solms, 1997a). Inoltre sia le interruzioni chirurgiche di tale circuito che la sua inattivazione per mezzo di terapie farmacologiche riducono i sintomi positivi della schizofrenia (Breggin, 1980; Panksepp, 1985). Questi dati sono stati presi in considerazione da quanti ritengono che le caratteristiche formali della sintomatologia positiva schizofrenica (come le allucinazioni visive) abbiano dei tratti in comune con le caratteristiche formali delle immagini oniriche (Freud, 1899; Hobson, 1992; 1988b; Hobson e McCarley, 1977). Solms (2000) ha anche riportato che, in seguito all‟interruzione chirurgica del sistema dopaminergico, si assiste, oltre alla cessazione del dreaming, alla comparsa dell‟adinamia, concludendo che essa sia un tipico correlato della perdita della capacità di sognare. Infatti, le lesioni frontali bilaterali profonde causano cessazione del dreaming solo nei casi in cui compare anche l‟adinamia; al contrario, i soggetti che non presentano tale sintomo, mostrano una preservata capacità di generare immagini oniriche (Solms, 1997a). D‟altra parte, la stimolazione farmacologica del circuito mesocorticolimbico - somministrando l-dopa - è in grado di indurre non solo la comparsa della sintomatologia positiva psicotica, ma anche la manifestazione di un numero considerevolmente maggiore di sogni e incubi, caratterizzati da eccessiva vividezza (Nausieda et al., 1982; Scharf et al., 1978). È stato osservato, di conseguenza, che i farmaci bloccanti l‟attività dopaminergica (come nel caso dell‟aloperidolo) sono in grado di inibire, oltre ai sintomi psicotici, anche l‟eccessiva vividezza e l‟eccessiva frequenza di sogni in questione (Sacks, 1985; 1990; 1991). Per giunta, le lesioni bilaterali profonde del quadrante ventromesiale danneggiano le aree della corteccia prefrontale orbitofrontale e mediale (Bradeley et al., 1958): gli studi di lobotomia prefrontale a carico di tali regioni mostrano una perdita totale o quasi totale dell‟attività onirica nel 70-90% dei casi (Frank, 1946; 1950; Jus et al., 1973; Partridge, 1950; Piehler, 1950; Schindler, 1953). Infine, le lesioni a carico della corteccia prefrontale dorsolaterale, area cruciale per le funzioni esecutive, comportamenti diretti a uno scopo e automonitoraggio, non hanno effetti sul dreaming, indicando che tali funzioni non sono significativamente coinvolte nei processi onirici (Eiser, 2010). Tutto quanto appena descritto si manifesta in assenza di qualsiasi effetto concomitante che vada ad alterare l‟intensità, la frequenza o la durata delle fasi REM (Hartmann et al., 1980). Per dimostrare ulteriormente la dissociazione tra sonno REM e dreaming, Solms (2000) cita i casi relativi alla comparsa di crisi epilettiche nel sonno NREM (Janz, 1974; Kellaway e Frost, 1983) che, tipicamente, si accompagnano a incubi e terrori notturni (Boller et al., 1975; Clarke, 28 1915; De Sanctis, 1896; Epstein, 1964; 1967; 1979; Epstein e Ervin, 1956; Epstein e Freeman, 1981; Epstein e Hill, 1966; Kardiner, 1932; Naville e Brantmay, 1935; Ostow, 1954; Penfield, 1938; Penfield e Erickson, 1941; Penfield e Rasmussen, 1955; Rodin et al., 1955; Snyder, 1958; Solms, 1997a; Thomayer, 1897). La letteratura al riguardo riporta 24 casi di presenza di incubi in pazienti che mostravano attività epilettiforme a livello del lobo temporale (22 casi) e a livello del lobo parietale (2 casi), ambedue strutture proencefaliche. La correlazione causale che sussiste tra l‟attività epilettica e i ricorrenti incubi era stata già precedentemente dimostrata dagli studi di Penfield e i suoi collaboratori (Penfield, 1938; Penfield e Erikson, 1941; Penfield e Rasmussen, 1955). Essi, allo scopo di simulare in maniera artificiale le manifestazioni epilettiche, hanno stimolato il lobo temporale di soggetti che venivano indotti sperimentalmente in uno stato di non completa vigilanza (detto “dreamy”), riproducendo, così, durante la veglia, la generazione di immagini mentali angoscianti, simili a quelle degli incubi. Solms (2000), inoltre, riporta che il collegamento tra attività epilettica del lobo temporale e generazione di incubi è corroborato anche dal fatto che tanto la sintomatologia che si accompagna alle manifestazione epilettiche, quanto la frequenza degli incubi associati rispondono positivamente alla terapia anticonvulsivante o agli interventi chirurgici di lobotomia temporale anteriore (Boller et al., 1975; Epstein, 1964; 1967; 1979; Epstein e Ervin, 1956; Epstein e Freeman, 1981; Epstein e Hill, 1966; Solms, 1997a). Le considerazioni di Solms (2000) partono da un approccio di natura neuropsicologica e finiscono con l‟integrarsi ai dati neurobiologici: si ritiene che i meccanismi colinergici troncoencefalici, responsabili dell‟attivazione del meccanismo “REM-on”, siano in qualche modo implicati nella generazione degli aspetti psicologici dell‟attività onirica, la quale, tuttavia, è innescata da meccanismi proencefalici, probabilmente dopaminergici. Lo stesso “meccanismo onirico” proencefalico agirebbe, infatti, andando a modulare anche le attivazioni cerebrali che si verificano durante il NREM. Il modello proposto da Solms (2000) è supportato dai dati precedentemente discussi che dimostrano come il dreaming possa essere manipolato dall‟azione di agonisti e antagonisti dopaminergici, senza sortire alcun cambiamento concomitante nella frequenza, durata e intensità del REM. Inoltre l‟attività onirica può anche essere indotta per mezzo di stimolazioni focali del proencefalo, come dimostrato dagli studi che indagano la presenza di crisi epilettiche parziali del lobo temporale durante il NREM. D‟altra parte il dreaming può essere eliminato da lesioni focali che interessano, molto probabilmente, le connessioni dopaminergiche del proencefalo, senza avere effetti apprezzabili su frequenza, durata e intensità del sonno REM. Solms (2000), pertanto, conclude che il generatore del dreaming sia rintracciabile nel proencefalo e che il meccanismi tronco encefalici che controllano la comparsa dei cicli di sonno REM, aumentando l‟arousal del cervello addormentato, siano più 29 che altro implicati nella modulazione delle caratteristiche psicologiche dei sogni. Al fine di rendere più chiari i dati appena esposti, andremo ora a schematizzarli, seguendo la suddivisione riportata da Aquino (2014) e discutendo, nello specifico, le manifestazioni cliniche cui si accompagnano. Solms (1997a) presenta, sommariamente, 6 condizioni che possono provocare cessazione (o alterazione) dell‟attività onirica insieme ad altre precise sintomatologie neuropsicologiche. - Lesioni parietali inferiori sinistre. I pazienti mostrano i sintomi del disorientamento spaziale, come l‟incapacità di distinguere la destra dalla sinistra, e i sintomi dell‟agnosia digitale. Clinicamente si osserva anche la perdita delle capacità di astrarre le informazioni sensoriali multimodali in una configurazione rappresentazionale superiore. Il fatto che lesioni di questo tipo siano fra le cause di cessazione del dreaming, fa dedurre che le capacità di astrazione, concettualizzazione e simbolizzazione siano delle funzioni fondamentali nella generazione onirica. - Lesioni parietali inferiori destre. Il danneggiamento di tali aree provoca deficit della memoria visuo-spaziale. Pertanto, il fatto che esso causi anche l‟arresto dei sogni rende conto del contributo che la memoria di lavoro visuo-spaziale fornisce alla produzione di immagini oniriche, permettendone una rappresentazione concreta nella mente. - Lesioni temporo-occipitali. In seguito a lesioni di questo tipo l‟attività onirica rimane preservata, ma risulta impoverita, poiché i pazienti mostrano difficoltà nella rappresentazione concreta di informazioni percettive visive. È la sindrome neuropsicologica che è stata definita “anoneria visiva”, in cui non si perde l‟esperienza onirica che risulta, al contrario, nella norma sotto ogni punto di vista, eccetto che per gli aspetti immaginativi. Si assiste a una riduzione significativa delle capacità di visualizzare, ad esempio, facce, colori e/o movimenti. I deficit immaginativi sono presenti anche nello stato di veglia, in cui si osserva un‟incapacità di generare immagini mentali, detta irriminescenza visiva. - Lesioni frontali bilaterali profonde. I deficit a questo livello, già ampiamente discussi, si accompagnano a una moltitudine di sintomi psichici, fra cui l‟adinamia, cioè la perdita della spinta motivazionale spontanea. Valutare la presenza di adinamia è di fondamentale importanza, poiché si tratta di un sintomo che correla strettamente con la cessazione del dreaming. - Lesioni frontali limbiche. Questa tipologia di lesioni induce un senso di confusione nella discriminazione tra esperienze reali ed esperienze oniriche, senza causare, tuttavia, la perdita del dreaming. I pazienti, inoltre, mostrano deficit delle funzioni che permettono il giudizio e l‟analisi della realtà, dovuti all‟incapacità di distinguere tra loro i vari eventi 30 psicologici legati alla percezione, al pensiero, alla memoria, all‟immaginazione e ai sogni. I danni a questi livelli generalmente comportano anche un incremento nella frequenza e nella vivacità dei sogni, cui si accompagnano ulteriori quadri sintomatologici, come le amnesie confabulatorie, le paramnesie reduplicative, l‟eminegligenza spaziale unilaterale e l‟anosognosia. Probabilmente queste regioni sono preposte all‟esecuzione di funzioni inibitorie che modulano il verificarsi e l‟intensità del dreaming (Eiser, 2010). - Epilessia del lobo temporale. L‟attività epilettiforme a carico delle regioni temporali è in grado di indurre, nel sonno NREM, attività onirica stereotipata e ricorrente, caratterizzata da emozioni angoscianti, tipica degli incubi. La visione di immagini simili può manifestarsi anche in veglia, mentre il paziente è soggetto ad attacchi epilettici o durante le auree. La stimolazione del lobo temporale va ad attivare le adiacenti regioni limbiche, responsabili della generazione degli incubi, come dimostrato da studi precedentemente citati, in cui veniva indotta la produzione di immagini mentali spiacevoli per mezzo di tecniche artificiali. Tutto quanto appena descritto suggerisce che le immagini oniriche siano “attivamente costruite attraverso complessi processi cognitivi” (Solms, 2000) e che, pertanto, il sogno sia un processo dinamico. Questo è l‟aspetto per cui Solms più si avvicina a Freud (Aquino, 2014) e per cui, allo stesso tempo, più si allontana dai modelli proposti da Hobson e i suoi collaboratori. Freud, infatti, riteneva che le strutture psichiche non debbano essere localizzate all‟interno di elementi organici, ma debbano, piuttosto, essere pensate come il prodotto del rapporto tra le varie strutture del sistema nervoso (Solms, 2000). Allo stesso modo, Solms ritiene che i processi mentali siano certamente il risultato di concomitanti processi fisiologici che coinvolgono delle specifiche strutture cerebrali, ma, tuttavia, si tratta di entità dinamiche che, proprio in virtù di ciò, non possono essere isomorficamente localizzate entro precise aree anatomiche (Kaplan e Solms, 2000; Solms e Sailing, 1986). I suoi lavori hanno sostanzialmente dimostrato la dissociazione tra sonno REM e produzione dell‟attività onirica, la quale dipenderebbe dalle attività delle aree proencefaliche, filogeneticamente più recenti rispetto a quelle tronco encefaliche che regolano la comparsa e i cicli del sonno REM (Solms, 2000). Il limite degli studi di lesione consiste nel fatto che non riescano a rendere totalmente conto del ruolo delle strutture tronco-encefaliche nella generazione dei sogni, poiché i danni a carico di tali aree molto raramente lasciano la coscienza preservata. Si tratta di un ostacolo, questo, di enorme impatto al fine di verificare l‟effettiva assenza del dreaming che potrebbe, ipoteticamente, manifestarsi anche in seguito a lesioni del tronco dell‟encefalo (Hobson et al., 2000). Tra l‟altro, il metodo clinico-anatomico, da solo, non permette di discriminare gli effetti della distruzione da 31 quelli della disconnessione e, pertanto, non è possibile determinare in maniera selettiva le conseguenze causate dal danneggiamento di specifici gruppi neuronali, all‟interno di regioni eterogenee come il tronco encefalico (Hobson et al., 2000). Grazie agli studi di neuroimaging è stato possibile individuare correlazioni significative tra la presenza del sonno REM e l‟attivazione di specifiche aree cerebrali che, al contrario, sono inattive durante il NREM. Inoltre queste tecniche hanno permesso di indagare il ruolo delle aree cerebrali posteriori e frontolimbiche nella generazione dei sogni. Fra la moltitudine di studi in questione, citiamo innanzitutto quelli condotti dal gruppo di Maquet (Maquet et al., 1996) che, per mezzo della tomografia a emissione di positroni (PET) con H215O, ha indagato il ruolo del sonno REM nella fenomenologia dei sogni. I soggetti che prendevano parte all‟esperimento venivano risvegliati dallo stadio REM, al fine di ottenere un resoconto onirico (nei fatti, un solo soggetto presentò un‟esperienza onirica). Le ricerche hanno dimostrato attivazioni significative del tegmento pontino, dei nuclei talamici, delle aree limbiche e paralimbiche (complesso amigdaloideo, formazione ippocampale e corteccia cingolata anteriore) e delle aree corticali posteriori temporooccipitali. Inoltre hanno evidenziato attivazioni del giro frontale superiore, delle aree prefrontali mediali, del solco intraparietale e della corteccia parietale superiore simili tra lo stato REM e la veglia. Tali attivazioni, invece, non sono state osservate nel sonno NREM (Maquet, 2000). Le aree che, al contrario, sembrano essere meno attivate durante il sonno REM rispetto alla veglia sono la corteccia prefrontale dorsolaterale, alcune regioni della corteccia parietale, la corteccia cingolata posteriore e il precuneo (Maquet et al., 1996; Braun et al., 1997). Più nel dettaglio, le aree che risultano essere significativamente inattive durante il REM, rispetto alla veglia, sono la regione temporo-parietale insieme con il lobulo parietale inferiore, da una parte, e la regione del giro frontale mediale e inferiore, dall‟altra. Tale inattivazione non coinvolge né il giro frontale superiore, né le regioni mediali del lobo frontale, le quali sono consistentemente attive durante il sonno REM e quiescenti durante il sonno a onde lente (Maquet et al., 2005). Questi risultati sono stati interpretati in termini di redistribuzione dell‟attività delle cortecce frontale e parietale che, probabilmente, limita le funzioni dei processi cognitivi durante l‟attività mentale del sonno REM (Maquet et al., 2005). La corteccia prefrontale laterale in veglia è implicata nel controllo delle funzioni esecutive e della memoria episodica. Le funzioni esecutive coordinano le informazioni esterne, i pensieri e le emozioni e organizzano le azioni in relazione agli obiettivi interni. L‟elaborazione di informazioni relative alle associazioni stimolo-risposta è una funzione che viene svolta dalla corteccia premotoria dorsale; la corteccia caudale prefrontale, invece, si occupa del controllo delle azioni in riferimento a un preciso contesto; mentre il controllo episodico (cioè, quel sistema che seleziona le informazioni salienti secondo gli eventi che si sono verificati in passato) è deputato all‟azione della corteccia prefrontale rostrale e ventrale (Maquet 32 et al., 2005). Gli studi di neuroimaging hanno dimostrato che, durante il sonno REM, le aree prefrontali che risultano meno attivate sono le stesse regioni che, durante la veglia, si occupano di modulare l‟attività dei sistemi di controllo contestuale ed episodico, cioè le aree della corteccia prefrontale caudale, rostrale e ventrale. Quindi, durante il sonno REM, le funzioni di controllo contestuale ed episodico sono meno efficienti rispetto alle performance osservabili in veglia e ciò potrebbe rendere conto della mancanza di “stabilità orientativa” rilevabile nei resoconti onirici, laddove verrebbe a mancare la capacità di coordinare le informazioni in un intero episodio. Non sarebbe possibile, pertanto, dirigere le rappresentazioni mentali verso un obiettivo interno ben definito, per cui i personaggi, i tempi e i luoghi del sogno risulterebbero incongrui, discontinui e fusi tra loro (Hobson et al., 2003). Un‟altra funzione cognitiva sensibilmente ridotta durante il sonno REM è quella relativa alla memoria episodica, ossia la capacità di codificare e ricordare episodi passati caratterizzati da dettagli, luoghi e tempi specifici, fra loro coerentemente integrati (Tulving, 2004). Alcune ricerche neuropsicologiche hanno dimostrato la presenza di amnesia retrograda in seguito a lesioni della corteccia prefrontale ventrale destra (Levine et al., 1998); mentre degli studi di neuroimaging funzionale hanno riportato la presenza di significative attivazioni della aree prefrontali anteriori bilaterali e della corteccia prefrontale dorso-laterale destra durante il recupero di memorie episodiche (Rugg et al., 2002). Le aree in questione non sono direttamente responsabili del controllo dei meccanismi mnestici di natura episodica, ma sembra, piuttosto, che abbiano un ruolo nel controllo di accuratezza e completezza delle informazioni richiamate (Maquet et al., 2005). Le regioni sopracitate risultano significativamente inattive durante il sonno REM e questo dato potrebbe rendere conto del fatto che nei resoconti onirici gli episodi della vita quotidiana, caratterizzati da luoghi, personaggi, oggetti e azioni specifici sono raramente riportati (1.7%), mentre, al contrario, si osserva di frequente (65%) la presenza di frammenti relativi all‟attività di veglia recente (Fosse et al., 2003). Quindi il soggetto avrebbe, in qualche misura, accesso alle informazioni che riguardano le esperienze effettuate in veglia, ma, allo stesso tempo, sembrerebbe che i relativi dettagli non possano essere tra loro legati in eventi coerenti, a causa della ridotta attività della corteccia prefrontale anteriore durante il sonno REM (Maquet et al., 2005). Oltre alle aree del giro frontale inferiore e mediale, le altre regioni sensibilmente inattive durante il sonno REM sono il locus coeruleus (Steriade e McCarley, 1990) e l‟area che si estende dalla parte posteriore del lobulo parietale inferiore verso le regioni temporali posteriori della scissura di Silvio (corteccia temporo-parietale) (Maquet et al., 2005). L‟insieme di tutte queste aree costituisce il sistema attentivo ventrale parieto-frontale, maggiormente lateralizzato nell‟emisfero destro (Corbetta e Shulman, 2002). Si tratta di un meccanismo di allerta, innescato dall‟attività 33 del locus coeruleus (Aston-Jones et al., 2000) che permette di spostare l‟attenzione dal compito che si sta eseguendo verso uno stimolo saliente inaspettato, pertanto è implicato nell‟elaborazione di informazioni di tipo bottom-up. Osservazioni simili permettono di ipotizzare che il focus attentivo durante il REM dovrebbe essere meno sensibile agli stimoli esterni salienti, rispetto alla veglia. Una spiegazione simile potrebbe, di conseguenza, render conto del fatto che quando si somministrano stimoli esterni ai soggetti addormentati non si andrebbe a interrompere il flusso del dreaming (provocando lo spostamento dell‟attenzione da quanto sta avvenendo in quel preciso momento, verso il nuovo stimolo saliente), ma, piuttosto, sembrerebbe che tali stimoli vengano incorporati nelle trame oniriche (Burton et al., 1988; Foulkes, 1966). Le aree prefrontali mediali, come accennato, risultano attive durante il sonno REM parimenti alle attivazioni della veglia. D‟altra parte, esse si mostrano quiescenti durante il NREM. Alcune ricerche hanno dimostrato che le aree della corteccia prefrontale mediale, della giunzione temporo-parietale (specialmente dell‟emisfero destro) e dei poli temporali (Fletcher et al., 1995; Brunet et al., 2000; Frith, 2001) assolvano le funzioni relative all‟abilità di attribuire intenzioni, pensieri e sentimenti a se stessi e agli altri, descritte dalla teoria della mente (Carruthers and Smith, 1996). La rappresentazione della mente è una caratteristica chiave del dreaming: il sognatore stesso attribuisce ai personaggi che compaiono nelle trame pensieri, intenzioni ed emozioni. In relazione a ciò, la questione su cui si focalizza il gruppo di Maquet (2005) riguarda il fatto che, in concomitanza dell‟attivazione delle aree prefrontali mediali in REM, si assista all‟inattivazione delle regioni parietali inferiori. L‟attivazione della corteccia prefrontale mediale, insieme con l‟attivazione dell‟amigdala, renderebbe conto della presenza di emozioni sociali nei resoconti onirici, discusse anche nel paragrafo precedente (Adolphs, 1999; McNamara et al., 2010; Phan et al., 2002; Ruby e Decety, 2004). D‟altra parte, la causa dell‟inattivazione delle regioni parietali inferiori potrebbe essere ricercata negli studi che hanno dimostrato il coinvolgimento di tali aree nell‟elaborazione delle differenze tra le prospettive in prima e in terza persona (Ruby and Decety, 2001; 2003; 2004; Chaminade e Decety, 2002; Farrer et al., 2003). Questo dato renderebbe conto del fatto che, nei sogni, si perda la capacità di distinguere fra tali prospettive, cosicché il sognatore partecipa alle azioni sia in prima che in terza persona, vedendosi agire (Maquet et al., 2005). Anche il gruppo di Braun (1997), per mezzo di studi PET con (H2O)-O-15, ha replicato i risultati del gruppo di Maquet (1996), riscontrando attivazioni consistenti del tronco encefalico, delle strutture limbiche e paralimbiche, in concomitanza con la comparsa del sonno REM. In particolare, le aree attivate erano a livello del ponte, del mesencefalo, dell‟ipotalamo anteriore, dell‟ippocampo, del nucleo caudato, della corteccia cingolata anteriore, delle cortecce paraippocampale e temporale inferiore e delle aree prefrontali mediali e orbitali caudali. Braun e 34 i suoi collaboratori (1997) hanno riportato, oltre a ciò, una correlazione tra l‟attivazione del REM e quella dei gangli della base, suggerendo che questi possano far parte del sistema cerebrale che dal tronco encefalico proietta verso le regioni talamocorticali. Essi, infatti, ipotizzano l‟esistenza di un circuito che si estende dal tronco dell‟encefalo ai nuclei talamici intralaminari, fino ai gangli della base, da cui partirebbero delle proiezioni verso i nuclei talamici ventrali anteriori e ventromediali, per raggiungere, infine, la corteccia. Sembrerebbe che questo circuito sia provvisto anche di numerose connessioni tra le aree del tegmento peduncolopontino e le aree della corteccia striata, suggerendo, in linea del tutto ipotetica, il possibile ruolo dei gangli della base nella trasmissione rostrale delle onde PGO e la modulazione dei fenomeni del REM (Hobson et al., 2000). Altri risultati degni di nota riguardano l‟incremento in REM dell‟attività della corteccia visiva extrastriata (area di Brodmann 19), della corteccia occipito-temporale (area di Brodmann 37) e delle regioni temporali uditive (area di Brodmann 22), rispetto alla concomitante inattivazione delle aree associative frontali e parietali (Braun et al., 1998). Questi dati farebbero supporre che, durante il sonno REM, le informazioni interne siano processate dalle cortecce extrastriata e limbica, escludendo, quindi, l‟elaborazione degli input provenienti dall‟esterno che vengono processati, in primis, a livello dello striato e connessi secondariamente in un unico percetto, grazie all‟attività delle aree extrastriate (Braun et al., 1998; Doricchi e Violani, 1992). Dal momento che le informazioni interne elaborate durante il sonno REM non devono essere proiettate verso il mondo esterno, un dato simile renderebbe conto della consistente inattivazione delle aree frontali deputate al controllo delle funzioni esecutive (Hobson et al., 2000; Maquet et al., 2005). Le aree prefrontali mediali attive in REM, invece, presentano numerose connessioni con le aree limbiche, la cui interruzione provoca la comparsa delle sindromi confabulatorie, formalmente simili agli elementi di bizzarria riscontrabili nei contenuti onirici (Braun et al., 1997; Hobson et al., 2000; Solms, 1997a). Il gruppo di Nofzinger (Nofzinger et al., 1997) ha confermato ulteriormente la presenza di attivazioni limbiche durante il sonno REM, servendosi della tecnica PET con 18Ffluorodesossiglucosio (FDG). I ricercatori hanno riportato, in particolare, considerevoli incrementi di glucosio nelle aree ipotalamiche laterali e nel complesso amigdaloideo. Nello specifico, tutte le aree che risultavano attivate durante lo stadio REM erano l‟area ipotalamica laterale, l‟area del setto, la sostanza innominata, la corteccia infralimbica, la corteccia prelimbica e orbitofrontale e la corteccia cingolata anteriore, molte delle quali bilateralmente. A partire da questi risultati gli autori hanno ipotizzato che una delle funzioni del sonno REM sia quella di integrare i meccanismi ipotalamici e del proencefalo basale che regolano la motivazione e la ricerca di ricompensa con le funzioni della neocorteccia (Hobson et al., 2000). In tutti questi studi, comunque, non vi era alcun controllo della presenza di attività onirica. 35 Anche le ricerche del gruppo di Madsen (Madsen et al., 1991a), condotte per mezzo di studi di tomografia a emissione di fotone singolo (SPECT), e del gruppo di Lovblad (Lovblad et al., 1999) che hanno utilizzato la tecnica della risonanza magnetica funzionale (fMRI), replicano i risultati relativi all‟inattivazione di vaste regioni della corteccia prefrontale durante il sonno REM (Braun et al., 1997; Maquet et al., 1996). Sorprendentemente, il risultato relativo all‟inattivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale durante il sonno REM non è stato replicato, invece, dal gruppo di Nofzinger (1997), ma probabilmente si tratta di una discrepanza dovuta alle differenti tecniche utilizzate nei rispettivi esperimenti (Hobson et al., 2000). Riassumendo i dati riportati sinora, i vari studi di neuroimaging dimostrano quanto segue: 1) gli aspetti percettivi dei sogni sono correlati con l‟attivazione delle cortecce posteriori: infatti, i pazienti con lesioni occipito-temporali mostrano cessazione (totale o parziale) delle immagini visive oniriche (Doricchi e Violani, 1992; Solms, 1997a). 2) La presenza degli elementi emotivi nei sogni potrebbe essere correlata all‟attivazione del complesso amigdaloideo, della corteccia orbitofrontale e della corteccia cingolata anteriore (Maquet et al., 1996; Maquet e Franck, 1997; Hobson et al., 1998a; 2003; Maquet, 2000). 3) L‟attivazione delle aree temporali mesiali potrebbe render conto dei contenuti mnestici comunemente riscontrati nei sogni (Maquet et al., 2005). 4) La diffusa ipoattivazione di gran parte della corteccia prefrontale durante il sonno REM spiegherebbe l‟alterazione del pensiero logico, della working memory, della memoria episodica e delle funzioni esecutive, riscontrabile nei resoconti onirici ottenuti al risveglio (Maquet et al., 1996; Hobson et al., 1998a; 2003; Maquet, 2000). L‟insieme dei risultati presentati, secondo alcuni autori, suggerirebbe un ruolo del sonno REM (coadiuvato dalle interconnessioni limbico-corticali) nell‟elaborazione delle emozioni nei sogni. La neuromodulazione del REM, infatti, sembra associata ad attivazioni selettive delle strutture limbiche corticali e sottocorticali (deputate all‟elaborazione delle emozioni) e alla concomitante inattivazione delle aree della corteccia prefrontale volte all‟elaborazione di pensieri diretti a uno scopo (Braun et al., 1997; Maquet e Franck, 1997). Tutto ciò è coerente con le teorie che spiegano il dreaming come quel processo mentale, caratterizzato dalla presenza di aspetti cognitivi guidati emotivamente, che si accompagna a una concomitante riduzione delle funzioni mnestiche, delle funzioni di orientamento, di controllo volitivo e di pensiero analitico (Hobson et al., 2000). La consistente attivazione limbica durante il sonno REM potrebbe spiegare il motivo per cui i resoconti onirici registrati al risveglio da tale stadio siano più frequentemente ricchi di elementi emotivi, rispetto ai resoconti ottenibili dai risvegli in NREM (Hobson et al., 2000). Tenendo in considerazione il modello neuropsicologico di Solms e i dati di neuroimaging, sembrerebbe plausibile ipotizzare che le differenze fisiologiche tra gli stati del sonno REM e del 36 sonno NREM debbano in qualche modo riflettersi nelle rispettive attività mentali riscontrabili al risveglio dai due stadi (Hobson et al., 2000). 1.5 Correlati elettroencefalografici del richiamo dell’attività mentale nel sonno Recentemente, è stato ipotizzato che la capacità di ricordare un sogno (dream recall) al momento del risveglio possa essere considerata una forma specifica di memoria dichiarativa (Marzano et al., 2011) che permette di organizzare gli elementi dell‟attività onirica in una trama narrativa (dream content). La memoria dichiarativa è una forma di memoria esplicita, accessibile alla consapevolezza, che si distingue in episodica e semantica. La memoria semantica consiste nell‟insieme di fatti e conoscenze generali, consolidato nel magazzino mnestico, non necessariamente collegato a un dove e a un quando. La memoria episodica, invece, è una funzione complessa che permette di codificare e immagazzinare informazioni contestuali, spaziali e temporali, relative ad eventi individuali che possono essere richiamati in un secondo momento. Sebbene le due forme di memoria appena descritte siano fra loro distinte, quelle semantiche possono essere originalmente codificate a partire da processi episodici e, viceversa, la codifica di memorie episodiche può dipendere dall‟elaborazione semantica (Nyhus e Curran, 2010). L‟acquisizione, la conservazione e il recupero di tracce di memoria dichiarativa a lungo termine dipendono dalle attività dell‟ippocampo, delle strutture del lobo temporale mediale e delle aree neocorticali. La rievocazione di un‟informazione dal magazzino di memoria si può effettuare solo se sia avvenuto in precedenza il consolidamento mnestico, quel meccanismo tempo-dipendente che consente a una traccia di informazione labile di consolidarsi in maniera stabile. Alcuni autori hanno ipotizzato che il dreaming sia il riflesso dell‟attività mentale relativa all‟elaborazione e all‟immagazzinamento delle esperienze individuali che si verifica nel sonno (Wamsley, 2014). A sostegno di questa ipotesi, alcuni studi indicherebbero, infatti, che gli episodi che avvengono in veglia possono essere consolidati durante il riposo notturno. I soggetti sottoposti a sessioni di apprendimento prima dell‟addormentamento, mostrano, al risveglio, miglioramenti nelle performance, suggerendo che le recenti esperienze della veglia possono essere incorporate nei sogni successivi (Wamsley, 2014). La presenza di evidenti incorporazioni nel dreaming di contenuti della veglia recente è stata dimostrata tramite esperimenti che impegnavano i soggetti in videogiochi (Stickgold et al., 2000a; Kusse et al. 2012; Wamsley et al., 2010a) e compiti di navigazione in ambiente virtuale (Wamsley et al., 2010b; Solomonova et al., 2011) prima dell‟addormentamento. Tali studi hanno dimostrato la presenza di caratteristiche dei compiti svolti nei resoconti ottenuti dopo i risvegli da sonno NREM nella prima parte della notte. In seguito, gli stessi risultati sono stati replicati anche per i risvegli da periodi più inoltrati di 37 sonno NREM e per i risvegli da stadio REM (Wamsley et al., 2012), indicando che le esperienze di apprendimento interessanti e coinvolgenti possono avere un‟influenza particolarmente incisiva sul successivo contenuto onirico (Wamsley, 2014). Wamsley e collaboratori hanno, inoltre, dimostrato che il dream content relativo a compiti di navigazione spaziale eseguiti prima dell‟addormentamento è correlato con il miglioramento della performance sia al risveglio da nap pomeridiani (Wamsley et al., 2010b) che al risveglio da un intero episodio di sonno notturno (Wamsley et al., 2012). L‟insieme di questi risultati indicano l‟implicazione del sonno nei processi di apprendimento (Wamsley, 2014). Gli studi di neuroimaging sugli esseri umani dimostrano che le stesse regioni cerebrali che si attivano durante le sessioni di apprendimento, siano attive anche durante il sonno e che tale indice predica il miglioramento della performance del soggetto al risveglio (Peigneux et al., 2004; Laureys et al., 2001). Va, comunque, chiarito che i risultati appena esposti non forniscono evidenze dirette del fatto che il dreaming sia il riflesso dell‟attività mentale relativa all‟elaborazione e all‟immagazzinamento delle esperienze individuali durante il sonno (Wamsley, 2014). Piuttosto sembrano indicativi della presenza di una relazione tra attività mnestica e sonno, suggerendo che i processi di apprendimento traggano beneficio dallo stato fisiologico del sonno. Le ipotesi in merito, pertanto, indicano che la riattivazione di tracce mnestiche durante il riposo notturno possa migliorare il consolidamento e la qualità delle performance valutate al risveglio (O‟Neill et al., 2010). Come accennato all‟inizio del paragrafo, il dreaming, in quanto espressione dell‟attività cognitiva che si verifica nel sonno, e i processi di memoria presentano comunque una sorta di relazione, seppur di difficile comprensione. L‟unica via per avere accesso allo studio dell‟attività onirica è quella relativa al metodo indiretto, che consiste nel registrare i resoconti onirici riportati dai soggetti al momento del risveglio. Com‟è noto, però, spesso i soggetti manifestano difficoltà nella rievocazione dei propri sogni al momento del risveglio. L‟origine dei processi di codifica e di recupero dell‟attività onirica è ancora, in parte, largamente sconosciuta. Koulack e Goodenough (1976) hanno ipotizzato che il cervello durante il sonno non sia capace di codificare l‟attività mentale in corso, suggerendo che, in tale stato, non possa verificarsi il passaggio della traccia mnestica labile verso la memoria a lungo termine. In altre parole, gli autori postulano che la codifica e il consolidamento delle informazioni relative all‟attività onirica si verifichino solamente in concomitanza di un episodio di attivazione o di un vero e proprio risveglio durante il sonno (modello di arousal-retrieval). Pertanto, sembrerebbe necessario un certo livello di arousal corticale affinché l‟informazione relativa al dream content possa consolidarsi nella memoria a lungo termine ed essere rievocata in un secondo momento. Alcune ricerche - a supporto di quanto appena descritto - hanno rilevato che i soggetti che mostravano un‟alta frequenza di dream recall (DRF) fossero gli stessi che riportavano anche un numero maggiore di 38 risvegli durante la notte, rispetto ai soggetti che mostravano una bassa DRF (Cory e Ormiston, 1975; Schredl et al., 2003). Inoltre, uno studio di Eichenlaub e collaboratori (2013), ha rilevato, per mezzo dei potenziali evocati, la presenza di differenze nel livello di attivazione corticale sia in veglia che durante il sonno, fra i soggetti che ricordavano più frequentemente i propri sogni (high recallers) e quelli che li ricordavano con minor frequenza (low recallers), suggerendo che la capacità di codificare il sogno possa essere associata a particolari organizzazioni funzionali cerebrali. Attualmente, uno degli obiettivi della ricerca sul dreaming è quello di individuare se particolari ritmi di attività elettroencefalografica registrati in specifiche aree corticali possano predire la presenza (o l‟assenza) del successivo resoconto onirico. Per mezzo delle registrazioni EEG dello scalpo è stato dimostrato che specifici pattern di oscillazione corticale nel sonno, associati al successivo ricordo onirico, siano coinvolti anche nella codifica e nel richiamo di memorie episodiche durante la veglia. Questi dati farebbero dedurre che i meccanismi neurofisiologici implicati nella formazione di memorie dichiarative siano sempre gli stessi attraverso differenti stati di coscienza (De Gennaro et al., 2011). Il segnale EEG corrisponde alla rappresentazione grafica delle variazioni spaziali e temporali dei campi elettrici registrati sulla superficie del cranio, pertanto viene generato dall‟attività dei neuroni corticali e, in particolare, riflette le fluttuazioni spontanee dei potenziali di membrana a livello delle sinapsi cerebrali. Nel dettaglio, gli spostamenti delle cariche ioniche indotti dai potenziali post-sinaptici eccitatori e inibitori andrebbero a generare dei potenziali extracellulari, i cosiddetti “potenziali di campo locale” (Local Field Potentials, LFP). Le componenti oscillatorie sono definite dalla presenza di un certo tipo di attività ritmica rilevabile nel tracciato EEG che si manifesta come un “picco” nelle analisi spettrali (Klimesch, 1999). L‟analisi spettrale permette di rappresentare le componenti in frequenza di un segnale, fornendo maggiori dettagli rispetto alla sola analisi temporale. Infatti qualunque segnale periodico può essere scomposto nella somma di un termine costante e di componenti sinusoidali delle quali la prima, avente lo stesso periodo (e quindi la stessa frequenza) del segnale considerato, è detta “prima armonica” e le altre, aventi periodi sottomultipli (e quindi frequenze multiple), sono dette “armoniche superiori”. Attraverso specifiche analisi è possibile sommare le onde semplici per ricostruire quella originale. La “trasformata di Fourier” consente di approssimare funzioni complesse con altre più semplici: l‟algoritmo Fast Fourier Transform (FFT) scompone un segnale nelle sue componenti sinusoidali di diversa frequenza, permettendo, così, di passare dal “dominio dei tempi” al “dominio delle frequenze”. Grazie a questa tecnica si ottiene uno spettrogramma, ossia un grafico tempo/frequenza dell‟intensità del segnale. Il limite delle analisi spettrali consiste nel fatto che rilevano quali frequenze sono presenti nel segnale registrato, ma non sono in grado di 39 indicare il momento in cui si sono verificate. Come già accennato in precedenza, i processi di recupero di informazioni della memoria dichiarativa molto probabilmente condividono i medesimi meccanismi neurofisiologici attraverso ogni stato di coscienza (De Gennaro et al., 2011) e, in tal senso, il dreaming potrebbe essere il riflesso dell‟attività mentale relativa all‟elaborazione e all‟immagazzinamento delle memorie che si verificano nel sonno (Wamsley, 2014). Esposito e collaboratori (2004), per mezzo di registrazioni EEG, hanno dimostrato che il decremento dell‟attività alpha (7.5-13 Hz) durante gli ultimi 15 minuti di sonno è associato al successivo ricordo del sogno, dopo i risvegli sia da sonno REM che da sonno NREM. Le analisi spettrali condotte utilizzando la FFT hanno, infatti, indicato che per entrambi gli stadi di sonno considerati, il decremento dell‟attività alpha era associato al ricordo del sogno, dimostrando l‟esistenza di una correlazione tra tale attività oscillatoria e quella mentale nel sonno. Gli autori concludono che l‟effetto dell‟attività alpha osservato rifletterebbe l‟elaborazione cognitiva in corso nei minuti che precedono il risveglio. In seguito, Chellappa e collaboratori (2011) hanno indagato la presenza di specifici pattern di attivazione corticale associati al ricordo onirico. Nel dettaglio, le analisi hanno permesso di rilevare, nel sonno NREM precedente al successivo ricordo onirico, una minore attività delta nelle regioni frontali e una minore presenza di attività sigma (fusi del sonno) nelle regioni centro-parietali. Questo risultato è coerente con le ricerche che hanno dimostrato che maggiori attività delta e sigma in prossimità dei risvegli andrebbero a ridurre la responsività sinaptica (Timofeev et al., 2001), traducendosi nell‟incapacità di ricordare il sogno da parte del soggetto. D‟altra parte, nei risvegli da sonno REM la quantità di sogni ricordati era maggiore rispetto ai risvegli da sonno NREM. In particolare, i ricercatori hanno dimostrato che una minore attività alpha durante il sonno REM può essere associata alla successiva presenza del resoconto onirico. I decrementi dell‟attività alpha erano localizzati maggiormente a livello frontale e occipitale. Gli autori hanno ipotizzato che questi risultati rendano conto della maggiore probabilità di riscontrare la presenza di un sogno dopo i risvegli da sonno REM, piuttosto che in seguito ai risvegli da sonno NREM. Infatti le attivazioni delle strutture corticali, specialmente a livello occipito-parietale, nello stadio REM si accompagnano alla presenza di maggior vividezza dei sogni. Marzano e i suoi collaboratori (2011) hanno condotto uno studio allo scopo di verificare se le caratteristiche elettrofisiologiche intrinseche allo stadio 2 di sonno NREM e allo stadio REM siano predittive della successiva rievocazione del sogno e se siano maggiormente localizzate in specifici siti corticali. L‟esperimento è stato condotto su un campione di 65 studenti universitari, tra i 20 e i 25 anni di età, che non presentavano disturbi del sonno e che mostravano abitudini 40 stabili per quanto riguarda gli orari dell‟addormentamento, del risveglio e della durata del sonno. I soggetti hanno trascorso due notti consecutive in laboratorio (la prima necessaria per l‟adattamento al nuovo ambiente e la seconda per la vera e propria raccolta dei dati sperimentali), collegati ad un poligrafo e, dopo il risveglio mattutino dalla seconda notte, dovevano compilare un “diario del sonno e dei sogni”. Dei 65 soggetti, 35 sono stati risvegliati dallo stadio 2 del sonno NREM e 30 dal sonno REM, e in entrambi i casi veniva chiesto loro di riportare l‟eventuale resoconto onirico, secondo le istruzioni fornite la sera precedente. Nello specifico era richiesto di prestare attenzione alla presenza di qualsiasi forma di attività mentale che si fosse verificata prima del risveglio e di specificare il numero di sogni effettuati, qualora fossero stati più di uno. In base ai risultati ottenuti, i soggetti sono stati suddivisi in 2 gruppi: quelli che erano in grado di ricordare il sogno (REC) e quelli che non lo ricordavano (NREC). I gruppi sono stati poi confrontati, per ognuna delle seguenti condizioni: soggetti che ricordavano il sogno (REC) dopo il risveglio da REM e dopo il risveglio da NREM e soggetti che non erano in grado di ricordare il sogno (NREC) dal risveglio in REM e in NREM. I risultati hanno rilevato l‟assenza di sostanziali differenze nella struttura del sonno fra i soggetti REC e i soggetti NREC risvegliati dalla fase REM e dallo stadio 2. Le analisi hanno permesso di creare delle mappe topografiche della potenza EEG nella fase REM e nello stadio 2 di sonno NREM per entrambi i gruppi di soggetti (REC e NREC). È stata dimostrata la presenza statisticamente significativa di attività theta (4-7.5 Hz) durante i 5 minuti di sonno che precedono il risveglio dalla fase REM e la presenza di attività alpha (7.5-13 Hz) durante i 5 minuti che precedono il risveglio da sonno NREM. Inoltre è stata rilevata una correlazione tra il tipo di attività EEG nello specifico stadio di sonno REM e NREM e la frequenza dei sogni ricordati al risveglio. In particolare, al risveglio da sonno REM, i soggetti che riportavano un resoconto onirico (REC) mostravano un aumento di attività theta, rispetto al gruppo NREC, sulle aree frontali (in corrispondenza della locazione corticale Fz). Invece, al risveglio da sonno NREM, i soggetti che non erano in grado di ricordare il sogno (gruppo NREC) mostravano una maggiore attività alpha, rispetto al gruppo REC, sulle regioni temporali destre (in corrispondenza della locazione corticale T4). Poiché l‟analisi spettrale - poc‟anzi descritta - non permette di differenziare l‟attività prettamente ritmica dalla proporzione non ritmica del segnale EEG, è stato applicato il metodo dell‟analisi BOSC (Better OSCillation detection). Tale metodo permette di estrapolare la specifica attività oscillatoria dei segnali EEG tenendo conto sia dell‟attività di fondo, sia della porzione non ritmica del segnale e sia dei segmenti che si discostano dalle caratteristiche spettrali dell‟attività di fondo. Effettuando questo tipo di analisi, è stato possibile ottenere una misura (Pepisode) della percentuale di tempo, relativa ai 5 minuti che precedono il risveglio del soggetto, in cui sono presenti delle specifiche oscillazioni elettrofisiologiche. Nel dettaglio, è stato, così, dimostrato 41 che l‟attività EEG del sonno REM che precede il successivo dream recall è caratterizzata dall‟aumento di oscillazioni theta nella locazione corticale Fz e che l‟attività del sonno NREM cui non segue il dream recall è caratterizzata dall‟aumento di oscillazioni alpha. Quindi, l‟applicazione del metodo BOSC ha confermato, in maniera univoca, i risultati ottenuti per mezzo delle precedenti analisi spettrali. Il complesso dei risultati è a favore dell‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Hall e Nordby, 1972; Schredl, 2003), secondo cui la codifica dell‟attività onirica utilizza i medesimi meccanismi neurofisiologici che permettono anche la codifica delle memorie episodiche durante la veglia. Gli studi relativi alla codifica mnestica in veglia hanno sostanzialmente dimostrato che l‟incremento di oscillazioni theta frontali durante la fase di apprendimento predice il successivo ricordo dell‟informazione (Sederberg et al., 2003) e media le interazioni tra la corteccia prefrontale e il lobo temporale mediale nella codifica mnestica (Anderson et al., 2010). Invece, quando i soggetti sono impegnati in compiti di rievocazione di materiale precedentemente appreso, si osserva un aumento dell‟attività theta sulle regioni frontali circa 200 ms prima della rievocazione (Burgess and Gruzelier, 1997; Klimesch et al., 1997c). I dati della letteratura riportano che i meccanismi della corteccia prefrontale dorsolaterale, implicati nell‟organizzazione temporale delle memorie episodiche, forniscono un controllo di tipo topdown all‟ippocampo e alle aree corticali posteriori, allo scopo di valutare il contenuto e la coerenza delle informazioni recuperate (Polyn and Kahana, 2008; Blumenfeld and Ranganath, 2007; Nyhus e Curran, 2010). Per quanto riguarda il ruolo delle oscillazioni alpha durante la veglia, è stata rilevata la presenza di una correlazione tra la soppressione dell‟attività alpha e l‟aumento concomitante del carico di lavoro mentale che si richiede in compiti attentivi o di codifica di memorie semantiche (Klimesch, 1999). Uno studio di Mӧlle e collaboratori (2000) ha dimostrato che le oscillazioni alpha e theta rispondono in modi opposti e complementari. Quando l‟attività EEG registrata in condizioni di elaborazione cognitiva viene confrontata con una condizione di riposo, si può osservare che l‟attività alpha alle frequenze superiori decresce (cioè desincronizza) mentre, al contrario, l‟attività theta aumenta (cioè sincronizza). Le ricerche in merito indicherebbero, da una parte, che la desincronizzazione delle frequenze alpha rifletta l‟attivazione selettiva di specifiche memorie a lungo termine che risiedono nei circuiti talamo-corticali (Klimesch et al., 1997a), mentre, dall‟altra, che la sincronizzazione delle oscillazioni theta rifletta l‟attività del circuito cortico-ippocampale impegnato nei compiti di codifica mnestica (Buzsaki, 1996; Klimesch et al., 1997a; Kahana et al., 1999; Burgess e Gruzelier, 2000; Gevins e Smith, 2000). Più in particolare, è stata dimostrata anche una dissociazione nei processi di codifica, per cui la sincronizzazione delle oscillazioni theta cortico-ippocampali permetterebbe la codifica delle 42 memorie episodiche, mentre la desincronizzazione delle alte frequenze alpha talamo-corticali permetterebbe la codifica delle memorie semantiche (Klimesch, 1999). Nello studio di Marzano e collaboratori (2011) l‟aumento delle oscillazioni frontali in REM che predice il dream recall appare sovrapponibile all‟aumento, in veglia, dell‟attività theta frontale legato alla capacità di ricordare informazioni della memoria episodica. D‟altra parte, l‟oblio del sogno che si riscontra in corrispondenza di una maggiore attività oscillatoria alpha nell‟area temporale destra in NREM è coerente con i risultati dello studio condotto da Esposito e i suoi collaboratori (2004) che dimostrava come una minore potenza di attività alpha sia, al contrario, associata al successivo ricordo onirico. I risultati sono coerenti anche con quelli che attribuiscono alle oscillazioni theta il controllo top-down (dalla corteccia frontale all‟ippocampo) della codifica e del recupero di memorie episodiche (Klimesch et al., 2001a) e con quelli che dimostrano che l‟attività alpha è correlata con il recupero delle informazioni immagazzinate (Khader e Rӧsler, 2010), coinvolgendo il circuito talamo-corticale (Klimesch, 1999; Nyhus e Curran, 2010). Pertanto, si può concludere che l‟aumento di oscillazioni theta frontali durante il REM e la diminuzione di oscillazioni alpha temporali destre durante il NREM predirebbero la presenza del dream recall dopo il risveglio. Sostanzialmente, i ricercatori dimostrano l‟esistenza di una regolazione interdipendente fra due specifici circuiti neurali coinvolti nel richiamo dell‟attività onirica: quello cortico-ippocampale, caratterizzato da una maggiore attività theta frontale durante il sonno REM e quello talamo-corticale, caratterizzato da una maggiore attività alpha temporale durante il sonno NREM (Marzano et al., 2011). I risultati appena discussi sono anche coerenti con i riscontri neuropsicologici relativi al dreaming, i quali indicano che i pazienti con lesioni più spesso unilaterali a livello della giunzione temporo-parieto-occipitale e con lesioni bilaterali profonde a livello della sostanza bianca adiacente ai corni frontali dei ventricoli laterali, sono incapaci di riportare un resoconto onirico al risveglio (Solms, 1997a; 2000). D‟altra parte, gli studi di neuroimaging in soggetti sani (Maquet, 2000) hanno rilevato che le aree implicate nella generazione dei sogni siano le stesse che, durante la veglia, si occupano anche della generazione di immagini mentali e dell‟elaborazione di informazioni visuo-spaziali (giunzione temporo-parieto-occipitale) e che sono implicate nella codifica e nel recupero di memorie episodiche (aree ventromesiali della corteccia prefrontale). Si potrebbe, quindi, concludere che esista un parallelismo psicofisiologico pressoché univoco tra l‟attività mentale e determinate attività oscillatorie di specifiche aree della corteccia cerebrale e che i meccanismi coinvolti nella formazione di memorie dichiarative siano gli stessi attraverso i differenti stati di coscienza, cosicché il loro funzionamento può essere studiato anche durante il sonno (De Gennaro et al., 2011). 43 1.6 Il sogno nell’anziano L‟avanzamento dell‟età produce effetti che si ripercuotono sugli aspetti quantitativi e qualitativi del riposo notturno, specialmente per quanto riguarda la continuità dell‟episodio di sonno. Le ricerche che hanno preso in considerazione il normale invecchiamento fisiologico di soggetti sani hanno dimostrato un aumento nel numero di risvegli notturni, nonché un aumento nella durata di veglia intra-sonno durante la notte (Garma et al., 1981). Questi dati indicano che i soggetti anziani mostrano una maggior difficoltà a consolidare il sonno, suggerendo che verrebbero meno i meccanismi di stabilizzazione della sua durata, in particolare, e dei fenomeni fisiologici in generale (Salzarulo e Giganti, 2011). È stato dimostrato che i soggetti anziani mostrano, tendenzialmente, una diminuzione della durata globale di sonno. Tuttavia tale diminuzione non sembrerebbe riguardare tutti gli anziani presi in considerazione. Infatti, con l‟invecchiamento aumenterebbe il numero di soggetti che dormono meno di 6 ore ma, allo stesso tempo, aumenterebbe anche il numero di soggetti che superano le 9 ore di sonno. Quindi, si potrebbe concludere che, con l‟età, la tendenza sia quella di diventare o brevi o lunghi dormitori (Salzarulo e Giganti, 2011). Oltre alle variazioni nella durata dell‟episodio di sonno, con l‟invecchiamento si assiste anche alle modificazioni della sua architettura. Infatti negli anziani diminuisce la quantità di sonno REM, insieme alla proporzione di movimenti oculari rapidi associati. Ficca e collaboratori (2004) hanno dimostrato che la percentuale di sonno REM e di movimenti oculari rapidi negli over 60 diminuisce di circa il 6% rispetto ai soggetti giovani. Anche la composizione del sonno NREM cambia: diminuiscono, infatti, il numero di fusi e l‟ampiezza delle onde delta e aumenta la presenza degli stadi 1 e 2, in proporzione alla quantità di sonno più profondo. Quindi, nell‟anziano, il sonno diventa più leggero e frammentato (Salzarulo e Giganti, 2011). I frequenti risvegli non si limiterebbero ad interrompere semplicemente il corso del sonno, ma andrebbero a impedire anche il normale susseguirsi dei cicli NREM-REM. Infatti la maggiore incidenza di risvegli durante gli stadi NREM, impedirebbe la comparsa dei successivi episodi REM, andando, pertanto, a interrompere la normale sequenza ciclica (Salzarulo et al., 1999). Questo fattore riflette una disorganizzazione a carico dei meccanismi che permettono di mantenere stabile la comparsa di un determinato stato fisiologico. È stato dimostrato, al riguardo, che la classica conformazione dell‟episodio di sonno formato da 4-5 cicli per notte si disgrega con l‟avanzare dell‟età, quindi di norma, invecchiando si perde l‟aspetto temporale della sua organizzazione. Infatti si osserva, tipicamente, una maggiore distribuzione di sonno a onde lente durante la prima parte della notte e una maggior distribuzione di sonno REM nelle ore mattutine (Salzarulo e Giganti, 2011). A tal proposito, il gruppo di ricerca di Mazzoni (1999) ha indagato l‟esistenza di una possibile relazione tra l‟interruzione spontanea dei cicli di sonno e le prestazioni in compiti di memoria, 44 valutate al risveglio. Ai soggetti anziani che prendevano parte all‟esperimento era richiesto di apprendere una lista di coppie di parole prima di coricarsi e di rievocare, al mattino, quante più parole riuscissero. Per mezzo delle tecniche polisonnografiche venivano monitorati i parametri fisiologici relativi al numero di cicli e alla proporzione di sonno trascorso in uno specifico ciclo, rispetto al totale dell‟episodio di sonno. I risultati hanno dimostrato che l‟organizzazione del sonno influisce sulla prestazione. Infatti, il ricordo del materiale appreso prima di coricarsi era correlato sia con la durata dei cicli NREM-REM che con la proporzione di tempo trascorso in ogni ciclo, rispetto al tempo totale del sonno. Questi dati confermano che anche nell‟anziano si verifichi, durante il riposo notturno, il consolidamento mnestico di materiale appreso nello stato di veglia e che le prestazioni dipendano dalle caratteristiche strutturali e organizzative del sonno. Coerentemente, vi sono anche gli studi relativi alla registrazione del contenuto onirico, in favore dell‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Cartwright, 1978). Infatti, sembrerebbe che le trame narrative dei sogni siano legate, anche nei soggetti anziani, agli aspetti della quotidianità (Blick e Howe, 1984), confutando, parallelamente, le ipotesi che con l‟avanzare dell‟età vi sia la tendenza a sognare maggiormente gli aspetti legati al passato (Salzarulo e Giganti, 2011). Infatti, alcuni studi confermano che i contenuti onirici sono legati alle vicende della veglia recente, nella stessa misura riscontrata nei giovani (Weisz, 1969; Achté et al., 1985; Greiner et al., 1996). D‟altra parte un solo studio ha finora riportato un risultato di segno opposto e, cioè, che gli anziani, specialmente di sesso maschile, sognino più frequentemente gli aspetti legati al loro passato, rispetto ai giovani (Funkhouser et al., 1999). Inoltre, le ricerche condotte sembrano indicare che, con l‟invecchiamento, diminuisca la lunghezza dei resoconti onirici, misurata in numero di parole prodotte. Tuttavia, gli approfondimenti al riguardo hanno dimostrato scarsi effetti dell‟età sul numero di parole dei resoconti (Waterman, 1991) e che questi effetti, qualora presenti, siano attribuibili a fenomeni secondari, legati piuttosto alle risorse cognitive. Infatti, Waterman (1991) ha dimostrato nei soggetti anziani una correlazione significativa fra la lunghezza dei resoconti e le performance di memoria visuo-spaziale, suggerendo che questo tipo di capacità mnestica sia implicata nella costruzione delle trame oniriche. Altre ricerche hanno dimostrato che il numero di parole utilizzate nella narrazione onirica aumentava se venivano forniti suggerimenti (probe) ai soggetti (De Padova et al., 2005). Questo dato suggerisce che non vi siano sostanziali differenze, rispetto ai giovani, nei sistemi di produzione del sogno, ma che piuttosto, con l‟avanzare dell‟età, si indeboliscano i processi di consolidamento e di recupero delle informazioni mnestiche (Salzarulo e Giganti, 2011). Infatti, tendenzialmente, somministrando diari e questionari sui sogni, è emerso che l‟invecchiamento incide sulla frequenza del dream recall (Zepelin, 1973; Giambra, 1974; Waterman, 1991). Tuttavia, una ricerca di Schredl e Low (1994) ha dimostrato che il ricordo del 45 sogno diminuiva solo nel 40 % dei soggetti anziani, indicando che gli effetti dell‟età non siano necessariamente legati alla diminuzione del ricordo del sogno (Salzarulo e Giganti, 2011). Non bisogna, infatti, escludere che potrebbe trattarsi di un fenomeno legato alle caratteristiche individuali di personalità che riguardano la propensione dell‟individuo a prestare attenzione alla propria attività onirica (Hartmann, 1991). Infatti, la letteratura non riporta l‟esistenza di studi longitudinali che abbiano controllato le caratteristiche di personalità legate alla capacità di rievocare i sogni nello stesso individuo nel corso del tempo (Salzarulo e Giganti, 2011). Tuttavia è stato dimostrato che l‟interesse per i sogni diminuisce in relazione all‟età: la percentuale dei soggetti anziani che presta attenzione ai propri sogni è inferiore rispetto alla percentuale di giovani (Strunz, 1993), ma questa differenza tende a scomparire se si chiede ai soggetti anziani di focalizzarsi sulla presenza di attività onirica (Strunz, 1988). Questi dati renderebbero, piuttosto, conto del fatto che, con l‟invecchiamento, si modifichi il campo degli interessi e delle motivazioni dell‟individuo (Salzarulo e Giganti, 2011). Le ricerche condotte per mezzo dei risvegli programmati da sonno REM e da sonno NREM hanno indicato che vi siano delle differenze significative nel numero di sogni ricordato fra i soggetti giovani e i soggetti anziani (Kahn et al., 1969; Fein et al., 1985). In un campione di donne fra i 65 e i 78 anni è stato osservato che la frequenza del dream recall era ridotta del 26% rispetto ai soggetti giovani e, in particolare, l‟oblio del sogno era maggiore in seguito ai risvegli da sonno REM, rispetto ai risvegli da NREM (De Padova et al., 2005). Chellappa e collaboratori (2012) hanno confrontato l‟attività EEG relativa al sonno REM e al sonno NREM che precede il dream recall fra un campione di soggetti giovani (tra i 20 e i 31 anni di età) e un campione di soggetti anziani (tra i 57 e i 74 anni di età), servendosi di risvegli multipli programmati in un arco di tempo di 40 ore. I risultati di questo studio hanno dimostrato che vi è un effetto dell‟età sulle differenze riscontrate fra i due gruppi, relativamente al dream recall, specialmente dopo i risvegli da sonno NREM. Nello specifico, i soggetti anziani mostravano maggiore attività delta a livello delle regioni frontali e maggiore attività sigma (fusi del sonno) a livello delle regioni centro-parietali dello scalpo durante gli ultimi 15 minuti di sonno NREM precedente al successivo ricordo del sogno. Questo dato non è stato confermato per i soggetti giovani. D‟altra parte, gli anziani mostravano minore attività delta e minore attività sigma nelle rispettive regioni durante i 15 minuti di sonno NREM che precedeva il fallimento del richiamo onirico. Nessuna differenza significativa è stata, invece, riscontrata tra gli episodi di sonno REM e il ricordo o l‟oblio del sogno: in particolare, i soggetti anziani mostrano minore attività alpha e beta nelle regioni frontali rispetto ai soggetti giovani, indipendentemente dal ricordo, o meno, del sogno. Questo dato indica che il sonno REM subisce delle modificazioni elettrofisiologiche nel corso dell‟età, ma tali modificazioni non sembrerebbero legate alla 46 capacità di rievocare il materiale onirico. Gli autori concludono che le differenze legate all‟età per quanto riguarda il dream recall sembrano essere direttamente associate a specifici pattern di attività EEG, soprattutto nel sonno NREM. Inoltre, la diminuzione fisiologica del sonno REM che compare con l‟invecchiamento non sembrerebbe associata alle ridotte capacità di rievocare il sogno, come era stato ipotizzato in ricerche precedenti (Chellappa et al., 2009; Salzarulo e Giganti, 2011). Le variazioni della frequenza del dream reacall negli anziani potrebbero, ipoteticamente, riflettere l‟indebolimento dei processi cognitivi sottostanti. Le ragioni andrebbero, pertanto, ricercate nei possibili deficit di consolidamento mnestico, nella disorganizzazione e nella diminuzione dei cicli del sonno e nelle difficoltà di accesso alle informazioni nel magazzino di memoria. Bisogna, infatti, tenere presente che il sogno è il prodotto finale di una serie di capacità cognitive che implicano i processi attentivi, mnestici, linguistici e immaginativi. Quindi si potrebbe ipotizzare che le modificazioni della frequenza del dream recall legate all‟età riflettano l‟accesso alle risorse cognitive disponibili piuttosto che un deterioramento dell‟attività onirica vera e propria (Salzarulo et al., 1997). Tuttavia, la quantità di ricerche in merito è ancora scarsa e sarebbe necessario condurre un numero maggiore di studi che indaghino ulteriormente il ruolo dell‟organizzazione del sonno e dei processi di recupero mnestico, al fine di confermare le ipotesi considerate per il dreaming nell‟anziano. 47 2. LA RICERCA 2.1 Introduzione La capacità di rievocare i sogni al momento del risveglio può essere considerata una specifica funzione della memoria dichiarativa e, in particolare, della memoria episodica, la quale permetterebbe di organizzare gli elementi dell‟attività onirica in una trama narrativa strutturata. Gli studi condotti sui giovani adulti, fino a questo momento, hanno riscontrato la presenza di dati in supporto dell‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Schredl, 2003), per cui la codifica dell‟attività onirica sembrerebbe utilizzare i medesimi meccanismi neurofisiologici che permettono anche la codifica delle memorie episodiche durante la veglia. In particolare, Marzano e i suoi collaboratori (2011) hanno verificato che specifiche caratteristiche elettrofisiologiche intrinseche allo stadio 2 di sonno NREM e allo stadio REM, localizzate in specifici siti corticali, possano predire la successiva rievocazione del sogno. I risultati della ricerca avevano, pertanto, individuato che l‟aumento di oscillazioni theta frontali durante il REM e la diminuzione di oscillazioni alpha temporali destre durante il NREM predirebbero la presenza del dream recall dopo il risveglio. In tal modo è stata dimostrata, nel giovano adulto, l‟esistenza di una regolazione interdipendente fra due specifici circuiti neurali che sembrano coinvolti anche nel richiamo dell‟attività mentale nello stato di veglia: quello caratterizzato da una maggiore attività theta frontale durante il sonno REM, riconducibile al sistema cortico-ippocampale, e quello caratterizzato da una maggiore attività alpha temporale durante il sonno NREM, riconducibile al sistema talamo-corticale. L‟obiettivo del presente studio, per quanto ancora in fase preliminare, è quello di verificare se la relazione fra specifiche caratteristiche topografiche dell‟attività EEG del sonno REM e del sonno NREM e la successiva presenza/assenza di contenuto dei sogni, precedentemente riscontrata in soggetti giovani, sia rilevabile anche nei soggetti anziani. Lo studio, pertanto, da una parte ha l‟intento di replicare i risultati rilevati dal precedente lavoro di Marzano et al. (2011) e, d‟altra parte, affronta un argomento del tutto originale, poiché al momento attuale non esistono ricerche che abbiano valutato gli aspetti topografici dell‟attività EEG associati al ricordo del sogno nell‟anziano, con la sola eccezione di uno studio condotto da Chellappa et al. (2012). 2.2 Metodo 2.2.1 Soggetti Lo studio ha coinvolto un gruppo di 33 soggetti (18 M, 15 F), tra i 60 e 80 anni (età media = 67.4 anni, d.s. = 6.5, e.s.=1.12), contraddistinti da una durata ed orari del sonno regolari (durata media 48 del sonno 7±1 h e orari abituali tra le 24:00 e le 7:00±1), da assenza di disturbi del sonno ed eccessiva sonnolenza durante il giorno. Tali caratteristiche sono state valutate obiettivamente attraverso il “Pittsburgh Sleep Quality Index” 1 (PSQI; Curcio et al., 2013) e l‟ “Epworth Sleepiness Scale” (ESS2; Vignatelli et al., 2003). Inoltre sono stati preliminarmente somministrati lo “State-Trait Anxiety Inventory – Y” (STAI-Y3; Spielberger et al., 1983), l‟ “Hamilton Depression Rating Scale” (HDRS4; Hamilton, 1960) al fine di escludere secondarietà psichiatriche ed il “Mini-Mental State Examination” (MMSE5 ; Folstein et al., 1975) per verificare l‟assenza di deterioramento cognitivo. Il reclutamento dei soggetti è avvenuto prevalentemente presso i Centri Sociali Anziani delle 1 Il Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI) è un questionario utilizzato allo scopo di valutare la qualità del sonno del soggetto relativa all‟ultimo mese ed è impiegata per identificare i “buoni” e “cattivi” dormitori. Il questionario è costituito da 19 item che generano 7 variabili (qualità soggettiva del sonno, latenza del sonno, durata del sonno, efficienza abituale del sonno, disturbi del sonno, uso di cure per il sonno, presenza di disfunzioni diurne). La somma dei punteggi di queste 7 componenti produce un punteggio globale che va da 0 a 21. 2 La scala di Epworth della sonnolenza (ESS) è una misura della sonnolenza diurna. Si riferisce allo stile di vita abituale in tempi recenti. E‟ un test utile per aiutare nella diagnosi dei disturbi del sonno. Il soggetto attribuisce un punteggio da 0 (non mi addormento mai) a 3 (ho alta probabilità di addormentarmi) relativo alla probabilità di addormentarsi in 8 situazioni di vita quotidiana. La somma dei punteggi di queste 8 componenti produce un punteggio globale che va da 0 a 24. 3 Lo State-Trait Anxiety Inventory – Y (STAI-Y) è un questionario per rilevare e misurare l'ansia. Gli item sono raggruppati in due scale focalizzate su come i soggetti si sentono generalmente o su quello che invece provano in momenti particolari. Il questionario è formato da 40 item (20 misurano l‟ansia di stato e 20 misurano l‟ansia di tratto), ai quali il soggetto deve rispondere in termini di intensità, su una scala Lickert a 4 punti (dove 1 corrisponde a "quasi mai" e 4 a "quasi sempre"). 4 L‟ Hamilton Depression Rating Scale (HDRS) è un questionario che indaga 21 aree relative allo stato depressivo del soggetto. Ciascuna delle 21 aree rappresenta un singolo item della scala ad ognuno dei quali l‟esaminatore attribuisce un punteggio che va da 1 (assente) a 5 (grave) o che va da 1 (assente) a 3 (chiaramente presente). Successivamente si attribuisce un punteggio a ogni area indagata che va da 0 (assente) a 4 (molto grave) e il punteggio totale che si ottiene varia da 0 a 28 punti. 5 Il Mini-Mental State Examination (MMSE) è un test per la valutazione dei disturbi dell'efficienza intellettiva e della presenza di deterioramento cognitivo. Il test è costituito da 30 item (domande), che fanno riferimento a 7 aree cognitive differenti (orientamento nel tempo, orientamento nello spazio, registrazione di parole, attenzione e calcolo, rievocazione, linguaggio, prassia costruttiva). La somma dei punteggi varia da 0 a 30 e viene tarata per età e scolarità del soggetto. 49 zone limitrofe alla Facoltà di Medicina e Psicologia. Il protocollo del presente studio è stato approvato dal Comitato Etico del Dipartimento di Psicologia ed è stato condotto in accordo con la Dichiarazione di Helsinki. Ogni soggetto è stato preliminarmente informato riguardo agli obiettivi e alle procedure utilizzate, firmando un consenso informato per la raccolta e il trattamento dei dati. 2.2.2 Procedura Per ciascun partecipante è stata programmata una singola sessione sperimentale notturna. Il protocollo utilizzato prevedeva che ciascuna sessione contenesse le seguenti fasi: - una fase preparatoria per il montaggio degli elettrodi EEG e per l‟applicazione di elettrodi per la registrazione EOG ed EMG; - una fase di registrazione EEG del sonno (sonno notturno 6-7 ore); - una fase di audio-registrazione dell‟eventuale esperienza onirica e di compilazione di un breve questionario relativo alle caratteristiche del sonno. Per la fase NREM il risveglio è programmato dopo almeno 10 minuti consecutivi di stadio 2 consolidato; per quanto riguarda il REM il risveglio è previsto dopo almeno 10 minuti di sonno REM continuativo. Al risveglio è stato richiesto ai partecipanti di descrivere oralmente, servendosi di un audioregistratore, l‟eventuale esperienza onirica ricordata. I soggetti sono stati preliminarmente istruiti a considerare al pari di un sogno qualsiasi tipologia di attività mentale avvenuta durante il periodo di sonno, a tal fine è stato richiesto a ciascun partecipante di raccontare e descrivere dettagliatamente “tutto ciò che gli è passato per la mente nel periodo di sonno” (Foulkes, 1962). Successivamente, i partecipanti sono stati chiamati alla compilazione di un diario al fine di raccogliere le caratteristiche del sonno valutate soggettivamente (latenza del sonno, numero di risvegli, tempo totale e qualità del sonno), la sensazione di aver sognato o meno, il numero di sogni ricordati al momento del risveglio e le caratteristiche qualitative dell‟eventuale attività onirica ricordata (bizzarria, connotato emotivo, vividezza e lunghezza) mediante scala visuo-analogica (Figura 1). 50 DIARIO DEL SONNO MONTAGGIO (19 EEG, EOG, EMG) PSG Figura 1. Procedura sperimentale. 2.2.3 Strumenti Registrazioni polisonnografiche I dati relativi all‟attività corticale dei soggetti (EEG) sono stati acquisiti sullo scalpo attraverso 19 derivazioni corticali (C3, C4, Cz, Fp1, Fp2, F3, F4, F7, F8, Fz, O1, O2, P3, P4, Pz, T3, T4, T5, T6) del sistema internazionale 10-20, esteso con riferimento medio sui mastoidi giuntati (A1, A2). Il segnale sarà acquisito ad una frequenza di campionamento di 256 Hz e un filtro passabanda da 0.3 a 30 Hz. Inoltre, per quanto riguarda l'attività oculare e muscolare, i dati sono stati acquisiti attraverso elettrodi bipolari per la registrazione EMG ed EOG. Per quanto concerne le rilevazioni EOG, è stato posizionato un elettrodo a circa un centimetro sopra e lateralmente al canto esterno dell'occhio destro e uno a circa un centimetro sotto e lateralmente al canto interno dello stesso occhio. Il segnale EMG è stato rilevato attraverso due elettrodi sottomentonieri, predisposti uno sul lato destro e uno su quello sinistro del muscolo. L'impedenza degli elettrodi è stata fissata al di sotto dei 5 kOhms. Il sistema Micromed ha permesso di acquisire i segnali polisonnografici, mentre per la loro visualizzazione è stato utilizzato il software dedicato System Plus. 2.2.4 Analisi dei dati Sono stati analizzati i dati relativi ai 33 soggetti, così suddivisi in base alle condizioni ottenute: 16 soggetti sono stati risvegliati da uno stadio 2 NREM (7 REC, 9 NREC), mentre 17 soggetti sono stati risvegliati dalla fase REM (9 REC, 8 NREC). I tracciati polisonnografici sono stati siglati secondo i criteri standard (Rechtschaffen e Kales, 1968) per epoche di 20 secondi reiettando gli artefatti dovuti ad attivazioni muscolari e movimenti oculari. A partire dai dati così ottenuti, sono stati poi ricavati i parametri del sonno: latenza dello stadio 1, latenza dello stadio 2, latenza dello stadio REM, tempo totale di sonno 51 (somma della durata di tutti gli stadi del sonno), indice di efficienza del sonno (tempo totale di sonno/tempo totale di letto x 100), numero dei risvegli, numero di arousal e veglia intra-sonno (Casagrande e De Gennaro, 1998). E' opportuno sottolineare che tali dati macrostrutturali relativi alle registrazioni PSG delle notti vengono mostrati nella Tabella 1 a scopo descrittivo. Si osserva una sostanziale sovrapponibilità della macrostruttura del sonno del gruppo dei soggetti REC e dei NREC, sia per i risvegli da sonno NREM che da sonno REM. Variabili Gruppo Gruppo Gruppo Gruppo NREM SI NREM NO REM SI REM NO Media E.S. Media E.S. Media E.S. Media E.S. Latenza stadio 1 (min) 42.00 11.51 27.44 11.00 10.70 2.35 23.33 7.05 Latenza stadio 2 (min) 24.52 8.83 13.89 3.23 10.22 1.68 16.71 4.72 Latenza stadio 3 (min) 38.13 14.15 41.81 11.68 57.56 16.19 38.75 14.18 Latenza REM (min) 131.86 29.95 89.78 14.12 82.56 9.26 84.67 7.90 Stadio 1 (min) 13.62 4.06 12.41 2.21 13.26 1.73 15.33 3.38 Stadio 2 (min) 209.31 34.47 251.70 11.31 232.07 12.50 207.79 18.36 Stadio 3 (min) 1.19 0.69 3.96 1.98 3.08 1.08 1.00 0.60 REM (min) 49.09 8.07 53.00 5.32 52.15 6.09 50.71 7.98 WASO (min) 59.95 16.45 37.59 7.48 79.40 12.56 93.25 15.95 Risvegli (#) 17.86 2.77 12.00 1.78 23.67 2.19 19.63 2.79 Arousals (#) 26.43 3.43 16.44 3.58 21.89 3.17 22.50 4.57 TTS (min) 311.48 36.67 311.76 9.46 300.56 15.89 274.83 22.19 TTL (min) 396.05 46.63 371.78 11.97 388.44 15.21 383.54 18.40 SEI % (TTS/TTL) 79.00 0.09 84.00 0.02 77.00 0.02 71.00 0.05 Tabella 1. Medie ed errori standard delle variabili polisonnografiche del periodo di sonno. A partire da sinistra sono riportati i dati relativi al gruppo NREM SI, NREM NO e accanto i corrispondenti dati relativi al gruppo REM SI e REM NO: SWS (Slow Wave Sleep) = sonno ad onde lente; REM (Rapid Eyes Movement) = sonno REM; WASO (Wake After Sleep Onset) = veglia intra-sonno; TTS = tempo totale di sonno; TTL = tempo totale di letto; SEI (Sleep Efficiency Index) = indice di efficienza del sonno . I segnali polisonnografici relativi agli ultimi 5 minuti di sonno precedenti il risveglio sono stati ulteriormente sottoposti a siglatura secondo i criteri standard (Rechtschaffen e Kales, 1968) per epoche di 8 secondi, in modo da eliminare eventuali artefatti. Successivamente, i dati così trattati per le 19 derivazioni sono stati sottoposti ad analisi spettrale attraverso il calcolo della FFT-Fast Fourier Transform6 con risoluzione di frequenza a 0.25 Hz. 6 Fast Fourier Transform (FFT): Analisi quantitativa che consente di trasferire i dati EEG dal dominio del tempo al dominio della frequenza, trasformando il segnale in spettri di potenza. Il sistema utilizzato per effettuare l‟analisi spettrale è un algoritmo noto come “trasformata di Fourier”. Dalla trasformata di Fourier del segnale si può 52 I dati acquisiti sono stati mediati e suddivisi secondo le bande EEG canoniche (non tenendo in considerazione frequenze superiori a 25 Hz): delta (0.5-4.75 Hz), theta (5.00-7.75 Hz), alpha (8.00-11.75 Hz), sigma (12.00-15.75 Hz) e beta (16.00-24.75 Hz). Infine è stata applicata una trasformazione in logaritmo, in modo da rendere i dati statisticamente confrontabili. Per effettuare i confronti statistici tra le due condizioni REC e NREC, separatamente per REM e NREM, sia per l‟intera notte che relativamente agli ultimi 5 minuti prima del risveglio, sono stati realizzati test t di Student per campioni non appaiati a 2 code, per ciascuna derivazione e per ogni banda di frequenza. E‟ stata applicata, inoltre, la correzione di Bonferroni al fine di aggiustare il valore di α critico per l‟elevato numero di confronti multipli eseguiti. E‟ stato calcolato un indice di intercorrelazione tra le variabili dipendenti (Perneger, 1998; Sankoh, Huque, Dubey, 1997) separatamente per le singole condizioni: intera notte NREM (r = 0.772) e REM (r = 0.743), ultimi 5 minuti di sonno NREM (r = 0.616) e REM (r = 0.734). Tenendo conto di queste correlazioni e del numero di confronti statistici effettuati, il valore di alpha critico è stato ponderato in tal modo: α ≤ 0.018 (t ≥ 2.687) per l‟intera notte NREM, α ≤ 0.015 (t ≥ 2.729) per l‟intera notte REM, α ≤ 0.008 (t ≥ 3.047) per gli ultimi 5 minuti di sonno NREM e α ≤ 0.015 (t ≥ 2.750) per gli ultimi 5 minuti di sonno REM. 2.3 Risultati 2.3.1 Topografia EEG Sonno NREM Nella Figura 2 è riportata la topografia EEG del sonno NREM relativa sia all‟intera notte di sonno sia agli ultimi 5 minuti che hanno preceduto il risveglio. Nello specifico, sono raffigurate le topografie EEG per ciascuno dei gruppi individuati dalla presenza e assenza di ricordo dei sogni (REC e NREC) nel sonno NREM. Le mappe in questione rappresentano l‟andamento dell‟attività EEG, limitatamente alla condizione NREM, indicando, nello specifico, un andamento preferenziale anteriore per tutte le attività a onde lente (Slow Wave Activity, SWA). Si può osservare principalmente una SWA che ottenere una stima dello spettro di potenza, che è una misura statistica della potenza media contenuta nel segnale in corrispondenza di ciascuna delle frequenze contenute nel segnale stesso (Casagrande e De Gennaro, 1998). Ad ogni frequenza viene assegnata una definita quantità chiamata “potenza”: si ottiene così lo spettro di potenza di ogni derivazione. In modo più specifico, l‟FFT (Fast Fourier Transform), è un algoritmo veloce; è un metodo di calcolo della DFT (Trasformata Discreta di Fourier), una funzione che approssima la trasformata di Fourier con un numero finito di operazioni, consentendo di eseguire l‟analisi spettrale in maniera semplice e veloce. 53 segue un gradiente antero-posteriore, con dei massimi frontali (attività delta) e centro-parietali (attività sigma). Sostanzialmente, le prime due righe della Figura 2 rappresentano la tipica distribuzione topografica dell‟EEG di sonno NREM che si riscontra nell‟intero episodio. Le ultime due righe della Figura 2 mostrano l‟andamento dell‟attività EEG, limitatamente alla condizione NREM, relativo agli ultimi 5 minuti di sonno che precedono il risveglio, caratterizzati dalla presenza/assenza del ricordo del sogno. L‟andamento dell‟attività EEG in questo caso è del tutto paragonabile a quello descritto poc‟anzi per l‟intera notte, con l‟unica differenza che l‟ammontare complessivo dell‟attività è minore, come si può evincere dall‟osservazione della relativa gamma cromatica, rispetto a quella delle topografie EEG della notte intera. Tale dato è coerente con la letteratura che riporta il decremento esponenziale della SWA in corso della notte di sonno (Borbély, 1982). Figura 2. Mappe della distribuzione topografica delle potenze spettrali nel sonno NREM, per ciascuna banda di frequenza. Le prime due righe si riferiscono all‟intera notte, mentre le ultime due righe si riferiscono agli ultimi 5 minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica di colori caldi corrisponde a valori di potenza spettrale più elevata; la gamma cromatica di colori freddi rappresenta valori di potenza spettrale più bassi. Sonno REM Nella Figura 3 sono riportate, con la stessa logica descritta per il sonno NREM, le mappe topografiche del sonno REM relative sia all‟intera notte di sonno sia agli ultimi 5 minuti che hanno preceduto il risveglio prima della presenza/assenza del resoconto onirico. Anche in questo caso le rappresentazioni topografiche risultano essere conformi agli standard della distribuzione 54 topografica dell‟EEG tipica del sonno REM. Le mappe riportate presentano un massimo di attività a onde lente a livello centrale e centro-frontale e un medesimo andamento centro-frontale per l‟attività theta. Anche l‟andamento dell‟attività EEG - relativo agli ultimi 5 minuti di sonno che precedono il risveglio dalla fase REM - presenta, nel complesso, le medesime caratteristiche appena descritte per l‟intera notte di sonno. Figura 3. Mappe della distribuzione topografica delle potenze spettrali nel sonno REM, per ciascuna banda di frequenza. Le prime due righe si riferiscono all‟intera notte, mentre le ultime due righe si riferiscono agli ultimi 5 minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica di colori caldi corrisponde a valori di potenza spettrale più elevati; la gamma cromatica di colori freddi rappresenta valori di potenza spettrale più bassi. 2.3.2 Topografia EEG che precede il risveglio Risvegli da sonno NREM Nella Figura 4 sono riportate le topografie EEG relative agli ultimi 5 minuti di sonno NREM che hanno preceduto il risveglio. I confronti statistici effettuati con t di Student per campioni indipendenti hanno confrontato, separatamente, per ciascuna banda elettroencefalografica e per ciascun elettrodo, il gruppo di soggetti che hanno ricordato almeno un sogno (REC) con il gruppo di soggetti che non hanno riportato alcun resoconto onirico (NREC). La mappa è rappresentata in maniera tale che le differenze delle t di ordine positivo corrispondono alla gamma cromatica dei colori caldi e indicano una prevalenza di attività EEG associata alla condizione “ricordo”, rispetto alla condizione “non ricordo”. D‟altra parte, le 55 differenze delle t di ordine negativo corrispondono alla gamma cromatica dei colori freddi e indicano una relativa prevalenza di attività EEG associata alla condizione “non ricordo”, rispetto alla condizione “ricordo”. In accordo con il livello di rigetto dell‟ipotesi nulla (espresso dal valore α dopo la correzione di Bonferroni), si osserva che nessuna differenza raggiunge la soglia della significatività statistica, ad eccezione della sola differenza relativa all‟attività beta sull‟emisfero di sinistra. Nello specifico, per la locazione corticale temporale sinistra T3 si osserva una prevalenza di attività beta associata al ricordo, piuttosto che all‟assenza del ricordo. Per quanto non statisticamente significativo, un simile fenomeno si riscontra controlateralmente sulla locazione temporale destra T4. Figura 4. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno NREM per ciascuna banda di frequenza relative agli ultimi 5 minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica dei colori caldi corrisponde a potenze spettrali maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta potenze spettrali maggiori nella condizione NREC. Risvegli da sonno REM Con la stessa logica descritta per i risvegli da NREM, nella Figura 5 sono riportati i confronti statistici delle t di Student per campioni indipendenti, relativi ai confronti tra la condizione dei soggetti che ricordano il sogno e la condizione dei soggetti che non ricordano, per gli ultimi 5 minuti di sonno REM che hanno preceduto il risveglio. Dalle mappe si osserva una prevalenza di attività alpha associata al ricordo, piuttosto che all‟assenza del ricordo, ma la prevalenza in questione non raggiunge, tuttavia, la soglia statistica della significatività. 56 Figura5. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno REM per ciascuna banda di frequenza relative agli ultimi 5 minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica dei colori caldi corrisponde a potenze spettrali maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta potenze spettrali maggiori nella condizione NREC. 2.3.3 Topografia EEG dell’intera notte Intera notte del sonno NREM Nella Figura 6, con la stessa logica descritta per le topografie EEG relative ai 5 minuti di sonno che precedono il risveglio, sono riportati i confronti con t di Student per campioni indipendenti associati alla presenza/assenza del ricordo dei sogni, relativi al sonno NREM dell‟intera notte. Dalle mappe si riscontra il medesimo incremento di attività beta associato alla condizione “ricordo” sulle due derivazioni temporali riportato anche nelle mappe degli ultimi 5 minuti di sonno NREM che precedono il risveglio. Tuttavia, a differenza del precedente, in questo caso l‟incremento riscontrato non raggiunge la significatività statistica, nemmeno sulla locazione corticale T3. 57 Figura 6. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno NREM per ciascuna banda di frequenza relative all‟intera notte. La gamma cromatica dei colori caldi corrisponde a potenze spettrali maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta potenze spettrali maggiori nella condizione NREC. Intera notte del sonno REM Infine, nella Figura 7 si osservano, con la stessa logica delle precedenti, le mappe statistiche dei confronti con t di Student per campioni indipendenti che indicano, in primo luogo, una generale prevalenza di attività lenta associata alla condizione “ricordo” piuttosto che alla condizione “non ricordo”. Tuttavia, in seguito alla correzione di Bonferroni, nessuna differenza risulta essere statisticamente significativa, anche se per piccoli valori, molto prossimi alla soglia della significatività (i valori sono riportati nella Tabella 2). In generale, dalle mappe riportate in Figura 7 si osserva che le derivazioni temporali e le derivazioni parietali destre sono associate a una maggiore attività delta nella condizione di ricordo presente. Al contrario, le derivazioni frontali, prevalentemente sinistre, e le derivazioni temporo-parietali destre sono associate a una maggiore attività theta, sempre per la condizione di ricordo presente. Infine, un complesso network di aree corticali è associato alla banda di attività alpha. In particolare, le aree occipitali e le aree prefrontali bilateralmente risultano associate all‟incremento dell‟attività alpha, in relazione al ricordo del sogno. Il medesimo incremento è riscontrabile anche a livello delle regioni fronto-temporali sinistre e parieto-temporali destre, similmente alla tendenza statistica riscontrata anche per l‟attività theta. 58 ATTIVITA’ DELTA ATTIVITA’ THETA ATTIVITA’ ALPHA P4: t= 2.254 p= 0.040 Fp1: t= 2.264 p= 0.039 C4: t= 2.143 p= 0.049 T3: t= 2.321 p= 0.035 F7: t= 2.542 p= 0.023 Fp1: t= 2.354 p= 0.033 T6: t= 2.130 p= 0.050 P4: t= 2.568 p= 0.021 Fp2: t= 2.157 p= 0.048 T6: t= 2.470 p= 0.026 F7: t= 2.487 p= 0.025 F8: t= 2.160 p= 0.047 O1: t= 2.227 p= 0.042 O2: t= 2.130 p= 0.050 P4: t= 2.303 p= 0.036 T3: t= 2.613 p= 0.020 T6: t= 2.413 p= 0.029 Tabella 2. Valori associati alle derivazioni corticali che si avvicinano alla soglia della significatività statistica, dopo la correzione di Bonferroni, relative all‟intera notte di sonno REM. Figura 7. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno REM per ciascuna banda di frequenza relative all‟intera notte. La gamma cromatica dei colori caldi corrisponde a potenze spettrali maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta potenze spettrali maggiori nella condizione NREC. 59 2.4 Discussione I risultati dello studio presentati in questa sede sono relativi a una fase ancora preliminare della ricerca. Nonostante sia stato registrato un numero elevato di soggetti anziani (33), la natura del disegno sperimentale fa sì che il numero di soggetti confrontati per ogni condizione sia, tuttavia, relativamente limitato (sono stati confrontati 7 REC e 9 NREC per il sonno NREM e 9 REC e 8 REC per il sonno REM). Questo aspetto, in primo luogo, declina la natura preliminare dello studio e, in secondo luogo, induce a una cautela per quanto riguarda l‟interpretazione dei risultati che sono caratterizzati da una relativamente bassa potenza statistica. Infatti, per una dimensione campionaria così limitata, le tradizionali procedure di correzione del livello α per il rigetto dell‟ipotesi nulla risultano particolarmente conservative, in quanto nessuna differenza di quelle precedentemente commentate - tranne l‟incremento di attività beta associato agli ultimi 5 minuti di sonno NREM - risulta statisticamente significativa in seguito alla correzione di Bonferroni. In ogni caso, tuttavia, si consideri che le differenze descritte nella sessione dei risultati sono inferiori alla tradizionale zona di rigetto dell‟ipotesi nulla e molto prossime, invece, al livello α dopo la correzione di Bonferroni. In sostanza, quindi, il primo fenomeno generale che si osserva è che il pattern dei risultati evidenziato per i giovani adulti nello studio di Marzano et al. (2011), il quale mostrava una prevalenza di attività theta frontale associata al sonno REM e una prevalenza di attività alpha temporale destra associata al sonno NREM, non viene confermato nel presente studio. Tale aspetto, tuttavia, non deve essere interpretato come una disconferma dei risultati riportati da Marzano et al. (2011), poiché lo scopo del presente studio è una verifica indipendente della relazione predittiva tra topografia EEG di sonno e ricordo dei sogni in soggetti con diverse caratteristiche del sonno e della sua topografia EEG. Oltre al fatto di non aver confermato i risultati precedentemente riscontrati sui giovani adulti, il pattern di differenze presentato mostra una relativa sovrapponibilità fra gli ultimi 5 minuti di sonno e il sonno REM dell‟intera notte, da una parte, e gli ultimi 5 minuti e il sonno NREM dell‟intera notte, dall‟altra. Questo dato, al contrario, mostra una sostanziale corrispondenza con i risultati dello studio di Marzano et al. (2011) che avevano dimostrato una generale corrispondenza tra l‟attività topografica EEG degli ultimi 5 minuti di sonno e quella relativa all‟intera notte di sonno. Tenendo in considerazione sia la cautela data dalla preliminarità delle osservazioni, sia quanto riportato in merito alla procedura di correzione dell‟ipotesi nulla, i due fenomeni generali indicano quanto segue: in primo luogo, si osserva un incremento di attività rapida dell‟EEG durante il sonno NREM, associato alla presenza del ricordo del sogno e, in secondo luogo, si osserva la presenza di un più elevato ammontare di attività theta, ma in parte anche alpha e delta durante il sonno REM, associato alla presenza del ricordo del sogno. Il primo fenomeno, relativo al sonno NREM, appare spiegabile nei termini dell‟ipotesi di 60 arousal-retrieval (Koulack e Goodenough, 1976), in quanto il ricordo dei sogni sembra favorito da uno stato di attivazione corticale maggiore, coerentemente con le caratteristiche intrinseche dell‟attività beta, tipicamente associate agli stati di arousal e di attivazione. Pertanto, la maggiore attività beta riscontrata a livello delle aree temporali sarebbe associata a un maggior livello di attivazione corticale e al ricordo dei sogni. Più complesso è, d‟altra parte, il tentativo di spiegare le differenze riscontrate nella fase REM, poiché la relativa prevalenza di attività theta associata al ricordo dei sogni, precedentemente descritta, viene ritrovata, seppur in maniera limitata, all‟interno dell‟intero episodio di sonno. Tuttavia, più che uno specifico correlato di banda, come era stato invece riportato nel lavoro di Marzano et al. (2011), tale dato sembra evidenziare una generale presenza di ritmi lenti nell‟attività EEG associati al successivo ricordo del sogno. Quanto appena descritto, allo stato attuale, da una parte non è compatibile con l‟interpretazione di arousal-retrieval descritta in relazione al sonno NREM, mentre è solo parzialmente compatibile, d‟altra parte, con i risultati di Marzano et al. (2011) secondo l‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Hall e Nordby, 1972; Schredl et al., 2003). Le interpretazioni dei risultati discusse nello studio di Marzano et al. (2011) riconducevano la prevalenza dell‟attività theta associata al successivo ricordo onirico, al simile correlato riscontrato fra i compiti di memoria episodica e l‟incremento di attività theta durante la veglia. In tale contesto si può aggiungere che una parte di questi riscontri ha mostrato correlazione con l‟attività alpha. Tuttavia, una simile spiegazione non sembra completamente soddisfacente, poiché un certo grado di evidenza, seppur minore, si può osservare anche per l‟attività delta. Anche lo studio di Chellappa et al. (2012) aveva riportato un incremento di attività delta associato al ricordo del sogno, ma la correlazione era stata riscontrata per il sonno NREM, piuttosto che per il sonno REM. Si tratta, quindi, di risultati diversi e ottenuti da protocolli sperimentali impostati in maniera differente. Pertanto, solo la prosecuzione dello studio permetterà, probabilmente, di comprendere se il fenomeno legato all‟attività delta sarà confermato e indicherà, nel complesso, se l‟intrusione delle frequenze più lente nel sonno REM possa predire maggiormente il ricordo dei sogni nell‟anziano o se, al contrario, il fenomeno sia limitato all‟attività theta e all‟attività alpha. In questo caso sarebbe preferibile l‟interpretazione in termini di meccanismi simili a quelli riscontrati per la codifica delle memorie episodiche nello stato di veglia. 2.5 Conclusioni generali Lo studio presentato in questa sede è completamente originale, ad eccezione della ricerca condotta da Chellappa et al. (2012) che, per la prima volta, ha descritto la topografia dell‟EEG del sonno associato al ricordo dei sogni nell‟anziano. Allo stato attuale, si tratta di uno studio 61 contrassegnato da una non elevata potenza statistica e i riscontri fin qui disponibili non forniscono un quadro univoco. Per quanto riguarda il sonno NREM, infatti, forniscono un debole e indiretto supporto all‟ipotesi dell‟arousal-retrieval; invece, per quanto riguarda il sonno REM aprono piuttosto delle questioni. Da una parte suggeriscono la presenza di un eventuale meccanismo che interessa tutte le attività lente del sonno REM, ma, attualmente, si tratta di una completa novità per quanto riguarda il sonno dell‟anziano. D‟altra parte, qualora la prosecuzione dello studio dovesse ribadire il dato solo per l‟attività theta o per le attività theta e alpha, ritroverebbe una sua spiegazione coerentemente con quanto dimostrato sul giovane adulto da Marzano et al. (2011), in relazione ai corrispondenti meccanismi neurali della codifica delle memorie episodiche durante la veglia. Va, comunque, rilevato, che - a nostra conoscenza - non esistono ancora studi indipendenti che documentino che la relazione tra attività theta e memoria episodica valga anche per la popolazione anziana. 62 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Achté K, Malassu PL e Saarenhelmo M, (1985). Sleeping and dreams of 75-year old people living in Helsinki. Psychiatria finnica (Suppl.), pp. 50-55. Adey W, Bors E e Porter R, (1968). EEG sleep patterns after high cervical lesions in man. Archives of Neurology, 24:377–383. Adolphs R, (1999). Social cognition and the human brain. Trends in Cognitive Sciences, 3:460–479. Anderson KL, Rajagovindan R, Ghacibeh GA, Meador KJ e Ding M, (2010). Theta oscillations mediate interaction between prefrontal cortex and medial temporal lobe in human memory. Cereb Cortex, 20:1604 –1612. Antrobus J, (1983). REM and NREM sleep reports: comparison of word frequencies by cognitive classes. Psychophysiology, 20:562-568. Antrobus J, (1986). 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