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SENTENZE CORTE DI CASSAZIONE
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III Civile – Sentenza n. 6945 del 22 marzo 2007
Il rapporto che si instaura tra paziente (nella specie: una partoriente) e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha sempre natura contrattuale, perché ha fonte in un contratto atipico a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo. A fronte del pagamento del corrispettivo insorgono a
carico della casa di cura accanto ad obblighi di tipo “latu sensu” alberghieri, quelli di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le strutture
necessarie. Non rileva dunque che il medico sia di fiducia dell’assistito: la clinica risponde del suo operato per il fatto stesso che esiste un collegamento fra la prestazione effettuata dal medico e
l’organizzazione aziendale.
.....omissis......
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disposta la riunione di tutti i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
Nel merito
Giuseppe S., ricorrente principale denuncia la:
1. violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. in relazione all'art. 116 c.p.c; motivazione incongrua e contraddittoria per travisamento dei fatti di causa ed erronea delibazione
delle risultanze probatorie e peritali ( art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5 cod. proc.civ.);
2. violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 32 Cost., nonché 1223,1226,2043, 2056, 2059,
2697 e 2729 c.c. ; travisamento ed errata interpretazione di sentenze costituzionali e dei principi
ivi enunciati; motivazione incongrua e contraddittoria ( art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5 cod. proc.
civ.);
3. violazione e falsa applicazione degli artt. 752 e 754 c.c. in relazione all'art. 1294 c.c..; motivazione illogica (artt. 360, 1° comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) .
Maria Raffaella S., ricorrente incidentale, denuncia la:
1. violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 n..
3, 5 c.p.c. per travisamento dei fatti che si traduce in vizio e contraddittoria motivazione;
2. violazione di norme di diritto, vizi e carenza di motivazione su punti decisivi della controversia: artt. 61, 62, 116, 194 c.p.c, 1176, 1° cpv, 2697 c.c.. con riferimento agli artt. 360, 3 e S
c.p.c;
3. violazione di norme di diritto e vizi per difetto di motivazione: artt. 2697 c.c., 61, 115,116,
191 c.p.c. in riferimento all'art. 360, 3 e 5 c.p.c;
4. errata, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: artt.
2697, 1176, 2236, 2043, 2049, 2055 c.c., 116 e 194 c.p.c. in riferimento all'art. 360, n. 3 e 5
c.p.c;
5. violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 329 c.p.c, 2909 c.c., per nullità, vizio ed
insufficiente motivazione con riferimento all'art. 360, n. 3, 4, 5 c.p.c.
La Casa di cura Prof. S. s.r.l., ricorrente incidentale, denuncia la:
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SENTENZE CORTE DI CASSAZIONE
1. violazione e falsa applicazione artt. 111 -101 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 5 ccp.c- Omessa, insufficiente ed illogica motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.);
2. violazione a falsa applicazione degli artt. 1218-1223-2043-2056-2697 c.c. con riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alla natura dell'azione proposta ed all'onere della prova.
Omessa, insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360
n. 5 c.p.c.);
3. violazione e falsa applicazione artt. 1218- 1223-2043-2056 c.c.- violazione artt. 112-115116c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente, illogica, e contraddittoria motivazione rispetto alla sentenza non definitiva della stessa corte territoriale n. 649/1997 nonché
su punti decisivi della controversia in ordine alla valutazione delle prove (art. 360 nn. 3 e 5
c.p.c); 4 .violazione art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c per ultrapetizione circa la
liquidazione dei danni ; violazione e falsa applicazione artt. 32 Cost. e degli artt. 2043-12232059-2056-1226-2697 c.c.; violazione delle sentenze della corte costituzionale n. 372/94 e
184/86; omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c);
5. violazione art. 91 c.p.c in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.
Federico e Renato Santoro, ricorrenti incidentali, denunciano la:
1. violazione a falsa applicazione degli artt. 1218-1223-2043-2056-2697 c.c. con riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alla natura dell'azione proposta ed all'onere della prova.
Omessa, insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360
n. 5 c.p.c.);
2. violazione e falsa applicazione artt. 1218- 1223-2043-2056 c.c.; violazione artt.ll2-115116c.pce in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione rispetto alla sentenza non definitiva della stessa corte territoriale n. 649/1997 nonché
su punti decisivi della controversia in ordine alla valutazione delle prove (art. 360 nn. 3 e 5
c.p.c.)
3. violazione art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. per ultrapetizione circa la liquidazione dei danni; violazione e falsa applicazione artt. 32 Cost. e degli artt. 2043-1223-20592056-1226-2697 c.c.; violazione delle sentenze della corte costituzionale n. 372/94 e 184/86,omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c);
4. violazione art. 91 c.pc in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c..
Maria Teresa Vercillo, ricorrente incidentale, denuncia:
l. La Corte ha violato gli artt. 2697, 2700, 2727, 2729 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. avendo ritenuto provata la responsabilità della casa di cura sulla base di presunzioni, deducendo
il fatto noto (il danno cerebrale) da fatti solamente supposti (la celerità del parto e il peso eccessivo del neonato) e non provati , oltretutto andando contro le risultanze di un documento assistito da pubblica fede,
In ogni caso la sentenza è viziata per motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria (art.
360 n. 5 c.p.c.) per tutte le ragioni sopra esposte;
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2. violazione degli artt. 2236, 2043, 2049 c.c., in relazione all'art. 360 n, 3 per avere ritenuto che
il fatto vada addebitato a colpa (anche lieve) laddove le circostanze imponevano secondo la
stessa ricostruzione della Corte una diligenza e una perizia assolutamente eccezionale; violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. per avere
ritenuto provate la imperizia e/o la negligenza e il nesso causale e al contempo violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione;
3. violazione degli artt. 1226, 2056 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c ;
A. violazione degli artt. 2909 c.c., 99 e 112 c.p.c in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.;
5 .violazione degli artt. 752 e 1295 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c
La Corte d'Appello, prendendo atto delle richieste formulate dagli attori, ha statuito che gli aventi causa da Nicola Santoro sono stati chiamati a rispondere sia per violazione del neminem
laedere, sia per le obbligazioni contrattuali assunte dalla clinica a seguito del ricovero della partoriente.
Ne ha dedotto che sussistono due posizioni soggettive dei coniugi e della piccola Loredana, la
prima su base extracontrattuale e la seconda su base contrattuale.
Va premesso che la responsabilità contrattuale può concorrere con quella extracontrattuale qualora il fatto dannoso sia imputabile all'azione o all'omissione di più persone tutte obbligate al risarcimento del danno correlato al loro comportamento (Cass. 25.5.2001 n. 7127; Cass.
21.6.1999 n. 6233; Cass. 19.1.1996 n. 418).
I problemi centrali che i ricorsi prospettano riguardano :
a) la riconducibilità delle gravissime lesioni riportate dalla piccola Loredana alla gestione medica del parto;
b) la titolarità e quantificazione, previa loro qualificazione, dei danni.
Su tale base esaminiamo i motivi di ricorso.
Per la sua pregiudizialita logica, riguardando la sua posizione processuale, va esaminato per
primo il motivo sub 1) proposto dalla Casa di cura Prof. S. s.r.l., ricorrente incidentale.
Con tale motivo la ricorrente incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione artt. 111 101 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. - Omessa, insufficiente ed illogica motivazione (art.
360 n. 5 c.p. c.).
Rileva che " L'impugnata sentenza non definitiva della Corte d'Appello di Catanzaro n. 649/97
ha ritenuto e dichiarato l'opponibilità all'appellante Casa di Cura G. S. s.r.l. della sentenza di
primo grado in qualità di successore a titolo particolare del diritto controverso nella considerazione che la trasformazione di quest'ultima in società a responsabilità limitata, intervenuta successivamente al decesso del dott. Nicola S. - titolare della ditta individuale "Casa di Cura Prof.
Giuseppe S." mediante atto per Notaio L. da Cosenza del 5/1/1993 rep. 28.428 ha realizzato un'ipotesi di successione a titolo particolare a norma dell'art. ili c.p.c. (cfr Cass. 4779/80) .
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Tale asserita successione a titolo particolare nel diritto controverso è stata ravvisata e pronunciata pure dall'impugnata sentenza definitiva d'appello n. 298/04 del 5/4/2004 depositata il
7/5/2004".
Le due decisioni impugnate sono "manifestamente illegittime", poiché il subentro ex art. 111
c.p.c. è assolutamente inconfigurabile con riferimento ad azione "personale" di risarcimento
danni relativamente ad attività illecita, oggetto del presente giudizio".
Ne consegue la già eccepita nullità della sentenza dì primo grado - rilevata con il primo motivo
di appello - per omessa vocatio in ius della società nel giudizio di primo grado, sebbene regolarmente costituita.
Il giudizio de quo, infatti, a seguito del decesso del titolare della ditta individuale, dott. Nicola
Santoro, con atto 9.2.1988 è stato riassunto esclusivamente nei confronti delle persone fisiche coeredi del defunto e non verso la società “Casa di cura G. s. srl” .
Tra quest'ultima e gli attori di primo grado, quindi, non si è mai costituito alcun contraddittorio,
per la distinta soggettività giuridica della società ricorrente - avente veste societaria e come tale
mai convenuta nel giudizio di primo grado - rispetto alle persone fisiche convenute nel giudizio
svoltosi davanti al tribunale di Cosenza.
Il motivo non è fondato.
E' principio pacifico che la trasformazione di una ditta individuale in società di capitali, nel corso del processo, integra un'ipotesi di successione a titolo particolare, secondo la previsione dell'art ili cod.proc.civ, con la conseguenza che il titolare della predetta ditta resta legittimato alla
continuazione del processo medesimo ed all'esercizio del diritto d'impugnazione (Cass.
22.7.1980 n. 4779).
Inoltre, la morte di una parte nel corso del giudizio comporta la trasmissione della sua legittimazione processuale (attiva e passiva) agli eredi, i quali, nel succederle, vengono a trovarsi, per
tutta la durata del procedimento, nella posizione di litisconsorti necessari per ragioni processuali, indipendentemente, cioè, dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass. 25.8.2006
n. 18507).
Ed ancora, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie, ma la sentenza ha effetto anche contro il successore a titolo particolare, il quale può intervenire o essere chiamato nel giudizio, divenendone parte a tutti gli effetti.
Qualora sia rimasto estraneo al processo, il successore ne subisce gli effetti anche in sede esecutiva, ma è legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole al suo dante causa ovvero ad avvalersene se favorevole (Cass. 31.10.2005 n. 21107).Nella specie vanno, quindi, applicati tali
principi.
Deve a tal fine rilevarsi che nel presente giudizio convenuta - a titolo di responsabilità contrattuale - è stata la ditta individuale “Casa di cura Prof. G. S.” in persona del titolare.
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Alla morte del titolare Prof. Nicola S. gli sono succeduti, nella gestione della casa di cura, i suoi
eredi, costituiti dapprima in società di fatto e, successivamente, la s.r.l. Casa di cura Prof. Giuseppe Santoro, i cui soci sono gli stessi soci della società di fatto, eredi del Prof. Santoro.
Ora, come più sopra rilevato, la trasformazione di una ditta individuale in società di capitali, nel
corso del processo, integra un'ipotesi di successione a titolo particolare, secondo la previsione
dell'art ili cod.proc.civ, con la conseguenza che il titolare della predetta ditta resta legittimato
alla continuazione del processo medesimo ed all'esercizio del diritto d'impugnazione.
Nella specie, quindi, alla morte del titolare della ditta individuale, i suoi eredi avevano titolo ad
interloquire nel giudizio in corso - a titolo di responsabilità contrattuale - non quali eredi, ma
come titolari del diritto controverso (essendo succeduti in tale qualità al de cuius).
Inoltre, sotto altro profilo, va rilevato che in ordine alla responsabilità contrattuale della Casa di
Cura, trattasi di responsabilità iure proprio, distinta da quella personale del medico, per cui anche in tal senso, la censura non coglie nel segno.
Quanto al profilo della responsabilità extracontrattuale, personale del dr. Nicola S., - che come
più sotto di dirà può concorrere con quella contrattuale - alla sua morte si è verificata la successione dei suoi eredi.
A) Il primo e secondo motivo del ricorso principale, unitamente - per ciò che concerne i ricorsi
incidentali - al primo, secondo, terzo e quarto motivo di quello proposto da Maria Raffaella S.,
al secondo e terzo motivo della Casa di Cura Prof. G. S. s.r.l., al primo e secondo motivo ed, in
parte, al terzo di Federico e Renato S., ed al primo, secondo e terzo motivo di Maria Teresa V.,
trattando censure identiche o intimamente connesse, possono essere trattati congiuntamente.
Rilevano, a tal fine, i ricorrenti la mancata prova nel nesso eziologico, la mancata prova della
colpa lieve o grave e, comunque il difetto di motivazione sul punto.
In particolare, denunciano come erronea la sentenza di merito che ha ritenuto provato " che la
lesione fu il risultato di una sofferenza fetale, determinata dal concorso di due fattori coesistenti
e ben documentati, costituiti da irregolarità del travaglio (parto precipitoso) e macrosomia del
corpo mobile (cfr. relazioni Sciaudone e Cardone e osservazioni Dalla Piccola) e fu aggravata,
nel decorso, dalla mancanza di assistenza nei primi due giorni di vita.... .
I giudici hanno ritenuto - erroneamente secondo i ricorrenti - sussistere il nesso di causalità e la
patologia sofferta dalla neonata da due elementi indiziari: il parto precipitoso e la macrosomia
del corpo mobile. Erroneamente, perché per la sussistenza del nesso di causalità, in questo caso,
è necessario che la probabilità scientifica collegata ai due indizi sia ragionevole: ciò che nella
specie non ricorre, ed anzi viene smentito dai consulenti d'ufficio nominati " in seconda battuta".
In ogni caso, non è emerso, nel corso del giudizio di merito "alcun inadempimento imputabile ai
sanitari e, quindi, alla struttura". "Al riguardo, sarebbe stato necessario accertare che prima o
durante il travaglio si erano presentati fattori di rischio (o eventi ipossici) tali da consigliare nell'immediatezza il ricorso al parto cesareo in luogo di quello naturale. Ma per far ciò i sanitari avrebbero dovuto avere a disposizione elementi da cui desumere la eventuale situazione di ri-
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schio e provvedere in via di tutta urgenza alla scelta del taglio cesareo. In particolare, va considerato che la madre non era stata precedentemente in cura o in osservazione presso i sanitari
della clinica e che si era presentata nella clinica stessa di notte e nell'imminenza del parto; che
tale parto si presentava del tutto naturale; che non vi erano sintomi che facessero nascere sospetti o preoccupazioni; che, in particolare, non vi fu fuoriuscita di meconio; che il battito cardiaco,
quale sia stata la tecnica di ascolto, non dava segnali di alterazioni. In tale situazione, pretendere
che i sanitari, nella previsione di una asfissia del neonato, procedano al taglio cesareo non costituisce condotta che possa essere da loro pretesa come adempimento della prestazione dovuta e,
comunque, nella situazione data, nessuno potrebbe ragionevolmente sostenere che una decisione
del genere sia una decisione da prendere a rotta di collo e a cuor leggero", e che non sia una decisione particolarmente difficoltosa." Ciò comprova la violazione delle norme sopra citate ed, in
linea subordinata, comunque, la corte di merito non ha fornito sul punto una decisione sufficiente, " essendosi i giudici di merito limitati a raccogliere le indicazioni, assolutamente superficiali,
dei primi consulenti di ufficio, senza tener conto delle osservazioni dei consulenti di ufficio nominati successivamente e che avevano una ben maggiore ragionevolezza sul piano scientifico".
I motivi non sono fondati.
Va, a tal fine, premesso che il disposto dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. non
conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma
solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e
la valutazione data dal giudice del merito al quale, soltanto, spetta individuare le fonti del proprio convincimento, ed, in proposito, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare
ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata ( Cass. 20.4.2006 n. 9234).
Il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi
dell'art. 360 n.5 cod. proc. civ., inoltre, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di
merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico
che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria
motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire 1'individuazione della ratio
decidendi, e cioè l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata.
Questi vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo - come già detto - a
tale giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'at-
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tendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 20.1.2006 n.
1107; Cass. 3.3.2006 n. 4660).
Nella specie, i ricorrenti censurano proprio la valutazione in punto di fatto e la valutazione delle
prove, come operata dalla corte di merito, fornendo una diversa ricostruzione e valutazione dei
fatti posti a base della decisione impugnata; di qui la supposta violazione delle norme citate, che
non si presenta come un prius, ma piuttosto come un posterius delle censure esposte.
Tali valutazioni non presentano alcun vizio che questa Corte di legittimità possa censurare per
una non corretta motivazione.
La Corte di merito, infatti, ha ricondotto le gravissime lesioni riportate dalla piccola Loredana
alla gestione medica del parto sulla base di un serie di elementi :
1) le cartella dei ricoveri; all'Annunziata di Cosenza, redatta 48 ore dopo la nascita e completata
il 22 luglio 1981 che evidenzia un esito decisamente patologico dell'esame neurologico; quella
della clinica pediatrica de La Sapienza di Roma che stila una diagnosi di "sindrome comiziale
con idrocefalo comunicante e segnala una sindrome post asfittica ipotonica neonatale.... nessun
accrescimento e grave difficoltà nell'alimentazione; quella del ricovero al Gaslini di Genova che
conferma la diagnosi cosentina, sottolineando che trattasi di genesi verosimilmente perinatale
(tetraparesi distonica): tutte cartelle non contestate per cui sono state ritenute irrilevanti le cartelle -di cui una in fotocopia non firmata e non timbrata il cui valore processuale probatorio delle relative dichiarazioni non è in questa sede in discussione "rassicuranti" della casa di cura, che
tali non si sono poi rivelate alla prova dei fatti, considerato che - anche su questo punto non vi è
contestazione - i genitori, preoccupati dello stato di salute della neonata, chiamarono il pediatra
dr. Maiuri, non essendo in organico nella clinica un pediatra, che consigliò l'immediato trasferimento della piccola all'Annunziata di Cosenza.
2) le testimonianze provenienti da soggetti indifferenti e dal dr. Maiuri, che danno un quadro allarmante;
3) la ctu Sciaudone e Cardone del 5.3.1986 che attribuisce le lesioni totalmente invalidanti ad
una "sofferenza fetale neonatale secondaria e diminuito apporto di ossigeno" sofferenza insorta
durante il travaglio;
4) gli stessi consulenti d'ufficio, a distanza di sei anni, nel loro supplemento del 6.5.1992, in risposta alle sollecitazioni del tribunale ed alle controdeduzioni dei periti di parte, sono categorici
nell'escludere che le gravi lesioni subite dalla piccola fossero riconducibili a fattori genetici od a
malattia infettiva materna, esclusione confortata da indagini virologiche effettuate sia presso la
Clinica Pediatrica di Roma, sia presso l'Istituto di Neuropsichiatria infantile di Napoli.
In tale sede essi evidenziarono che la causa dell'encefalopatia perinatale è rappresentata - e ciò
vale ad escludere qualsiasi rilevanza allo studio del Prof. C., uno dei due ctu d'ufficio, apparso
nel 2003- " da prodotta ipossia - ischemia dell'enccefalo al cui determinismo hanno concorso
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due fattori coesistenti e ben documentati costituiti da: irregolarità del travaglio (parto precipitoso); macrosomia del corpo mobile" .
Queste affermazioni perentorie non sembrano smentite dallo stesso Prof. C. nel suo "ripensamento scientifico" quale riportato a p. 17 del ricorso di Maria Raffaella S..
A prescindere, infatti, che in quel saggio si parla di probabilità, non si tiene conto che vi fu, da
parte dei consulenti tecnici d'ufficio, un'osservazione diretta della piccola; che sono incontestati
la macrosomia del corpo mobile; i dati riportati nelle cartelle cliniche; la esclusione di cause genetiche e/o infettive; e vi è il parere - definito "illuminante" dai giudici di merito - del prof. Della Piccola, che contesta con puntualità, le deduzioni del prof. Dal Porto, consulente di parte.
Questi elementi, nel loro valutazione complessiva, sono stati ritenuti determinanti dalla corte di
merito per accertare che parto precipitoso e macrosomia causarono le lesioni subite da Loredana, aggravatesi, nel decorso, dalla mancata assistenza nei primi due giorni di vita (testimonianze
e cartella clinica dell'Annunziata).
Di qui, la Corte di merito - dopo avere ritenuto la responsabilità ex artt. 2043 e 2049 c.c., anche
per colpa lieve ex art. 1172, secondo comma, cod. civ. per avere cagionato alla piccola dette lesioni - riconosce la responsabilità contrattuale della casa di cura.
Essa viene configurata da una prestazione professionale incompleta ed inadeguata, carente sotto
il profilo dell'assistenza al parto e delle cure che la neonata avrebbe dovuto ricevere, in ordine
alla quale la Corte di merito ha puntualmente motivato il proprio convincimento.
Infatti, il rapporto che si instaura tra paziente (nella specie: una partoriente) e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo
(che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o
da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "lato
sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218
cod. civ., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell'art. 1228 cod. civ., all'inadempimento della prestazione medico - professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua
organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario
risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto ( Cass.
26.1.2006 n. 1698).
B) Il terzo motivo del ricorso principale ed il quinto motivo del ricorso incidentale di Maria Teresa V., riguardando identiche censure, vanno esaminati congiuntamente.
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Lamentano i ricorrenti che la Corte di merito abbia ritenuto inapplicabile nella specie il disposto
dell'art. 752 c.c., in tema di riparto pro quota dei debiti ereditari, in quanto la disposizione riguarda la ripartizione di tali debiti, ma non esclude che i successori debbano rispondere solidalmente dei debiti del loro dante causa nei confronti dei terzi.
Viceversa, ai sensi degli artt. 752 e 754 c.c., il principio è quello della responsabilità parziaria, a
meno di diversa disposizione del de cuius, non essendo applicabile in materia successoria l'art.
1294 c.c.
I motivi non sono fondati.
Va premesso che convenuta nel presente giudizio - a titolo di responsabilità contrattuale - è stata
la ditta individuale “Casa di cura Prof. G. S.” in persona del titolare.
Alla morte del titolare Prof. Nicola S. gli sono succeduti, nella gestione della casa di cura, i suoi
eredi, costituiti dapprima in società di fatto e, successivamente, la s.r.l. Casa di cura Prof. Giuseppe S., i cui soci sono gli stessi soci della società di fatto, eredi del Prof. S.
Ne consegue che la solidarietà riguarda i soci di fatto della casa di cura Prof. S., ed in tale qualità, dei debiti facenti capo al precedente titolare, essi rispondono solidalmente.
Nella specie, pertanto, sotto tale profilo non si tratta di successione nel diritto controverso, a titolo di eredi della persona fisica Prof. Nicola Santoro, ma di successione nella gestione dell'impresa, prima ditta individuale e successivamente società di fatto.
Quali gestori della società di fatto Casa di cura Prof. S., i soci di fatto rispondono in via solidale,
secondo i principi societari e non a titolo successorio.
E', infatti, principio pacifico in subiecta materia che il fatto illecito colposo, anche di uno dei soci di una società di fatto, commesso nell'ambito dell'attività della stessa e per il raggiungimento
dei suoi scopi, costituisce illecito della società, ed impegna tutti i soci solidalmente ed illimitatamente, salvo che la responsabilità del socio operatore sia personale, in quanto correlata ad un
atto diretto alla lesione dell'altrui diritto, e non coinvolga, quindi, gli altri soci (Cass. 14.5.1999
n. 4768).
A maggior ragione quando si tratta di responsabilità contrattuale della società di fatto.
C) Il quinto motivo del ricorso incidentale di Maria Raffaella S., il quarto motivo prospettato
dalla Casa di Cura Prof. G. S., il terzo motivo -in relazione alla ultrapetizione circa la liquidazione dei danni - proposto da Federico e Renato S., ed il terzo e quarto motivo proposto da Maria Teresa V., riguardando censure dello stesso tenore, vanno trattati congiuntamente. Rilevano
a tal fine i ricorrenti che la corte di merito, nel procedere in via autonoma alla determinazione
del danno - "scavalcando inammissibilmente la pronuncia dei primi giudici" ha criticato la distinzione operata dal tribunale tra danno biologico da invalidità permanente e danno preterintenzionale da lucro cessante per totale privazione della capacità lavorativa, inglobando la pretesa
risarcitoria nell'onnicomprensivo danno biologico (che include la privazione della capacità lavorativa, la ridotta vita di relazione, il compromesso stato di salute), cui ha aggiunto il danno mo-
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SENTENZE CORTE DI CASSAZIONE
rale soggettivo. Ha ritenuto, poi, che il diritto al risarcimento si è trasmesso agli eredi, essendo
un "bene" ormai entrato a far parte del soggetto leso prima del decesso.
Sulla indicazione delle specie di danno risarcibili, i ricorrenti sostanzialmente riconoscono che
la corte di merito si è attenuta agli orientamenti della Corte di cassazione.
Ciò che contestano, invece, è il metodo seguito per la determinazione del danno ritenendo che
"quale che sia il criterio da seguire per la determinazione del danno concretatosi in favore di Loredana Fioretto, così da costituire un "bene da trasferire iure hereditatis, va da sé che il criterio
seguito dalla Corte è assolutamente arbitrario e si traduce in una motivazione del tutto incongrua
e insufficiente, approdando a risultati iniqui e inaccettabili".
Inoltre, ai fini della liquidazione del danno, la corte di merito è incorsa nel vizio dì ultrapetizione, pronunciando una condanna di ammontare superiore a quella determinata dal tribunale.
I motivi sono fondati nei termini che si espongono."confermando la impugnata sentenza", ma
non proponevano appello incidentale, né formulavano nuove domande.
La Corte di merito condannava gli originari convenuti al pagamento di € 1.035.348,62 a favore
degli eredi di Loredana Fioretto e di € 317.103,68 in favore dei coniugi.
La corte di merito ha affermato "l'inesistenza di un eventuale giudicato interno sulla determinazione dei danni in £ 378.000.000 ed in £. 232.750.000, altrimenti formatosi per effetto della
mancata proposizione di appello incidentale", ritenendo di potere procedere in via autonoma alla
determinazione del danno.
Ora, va sottolineato che alla corte di merito era sicuramente consentito di determinare autonomamente il danno, ma non era certo consentito oltrepassare la richiesta effettuata dai creditori
nel giudizio di primo grado, superando l'entità del danno liquidata dal primo giudice ed accettata
dalle parti interessate che sul punto non avevano neppure proposto appello incidentale chiedendo " la conferma della sentenza impugnata".
Principi consolidati sono che il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art.
112 cod. proc. civ.), la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione, implica unicamente il
divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto.
La domanda di risarcimento dei danni proposta quando la piccola Loredana era ancora in vita è
del seguente tenore: "condannare i convenuti, in solido, al pagamento in favore degli attori, in
proprio e nella qualità, al pagamento delle somme di £ 289.800.000 per danno biologico , £
231.714.000 per inabilità temporanea assoluta; £ 244.203.600 per danno conseguente; £
300.000.000 per danno morale. Complessivamente, dunque, condannare i convenuti al pagamento della somma di £ 1.287.531.600 in favore della minore. In favore dei genitori, per danno
emergente la somma di £ 120.000.000 ex art. 1226 c.c.; £ 50.000.000 per mancato guadagno;
3.400.000.000 per danno morale, e così complessivamente la somma di £ 570.000.000.
La morte di Loredana F. era successiva, ed era dichiarata all'udienza collegiale in data 9.1.1995,
nella quale si costituivano in prosecuzione, unitamente ai fratelli della piccola, Oscar e Tiziana
F., i genitori, quali eredi della stessa.
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SENTENZE CORTE DI CASSAZIONE
Il tribunale condannava i convenuti al pagamento di £ 810.750.000 all'attualità in favore degli
eredi di Loredana F. e di £ 675.000.000 all'attualità in favore dei genitori in proprio.
A seguito dell'appello proposto, i coniugi F. si costituivano chiedendo il rigetto dell'appello
chiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda,
ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di
causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti (Cass. 4.3.2002 n. 3059; Cass. 28.1.2000
n. 961; Cass.23.2.1998 n. 1940 . Tale principio deve quindi ritenersi violato ogni qual volta il
giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di
identificazione dell'azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell'ambito del petitum, rilevi d'ufficio un'eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio
dall'attore, può essere sollevata soltanto dall'interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo
(causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass.
11.12.2003 n. 18991; Cass. 20.8.2003 n, 12265; Cass. 3.2.1999 n. 919).
Deve, nuovamente sottolinearsi che il punto della sentenza di primo grado, relativo alla determinazione e conseguente liquidazione del danno, è stato investito dall'appello dei soli odierni
ricorrenti chiedendone la riduzione, ovvero la liquidazione con criterio equitativo, mentre gli
attuali resistenti avevano esclusivamente chiesto il rigetto della proposta impugnazione con la
conferma della sentenza appellata.
La corte di merito ha ritenuto che " non è revocabile in dubbio che la quantificazione dei predetti danni, nel risultato emendato dagli errori materiali, sia viziato ma, tale aspetto ....riguarda il
procedimento logico-giuridico o i parametri di valutazione utilizzati e attiene al merito della
controversia mentre, ciò che qui interessa, ai fini della decisione definitiva, è affermare l'inesistenza di un eventuale giudicato interno sulla determinazione dei danni in lire 378.000.000 ed in
lire 232.750.000, altrimenti formatosi per effetto della mancata proposizione di appello incidentale, e rilevare la conseguente "elevazione" a oltre 38 miliardi dei limiti di intervento del giudice
del gravame, anche se appare già importante il limite di 7.758.450.000 indicato dalle stesse parti
appellanti.
E questo, senza che si possa introdurre alcuna questione sul superamento delle indicazioni formulate dagli attori in primo grado in sede di precisazione delle conclusioni, posto che le parti
soccombenti, pur nella consapevolezza dell'errore, hanno espressamente riferito il vizio di ultrapetizione alla pronuncia sul danno biologico da invalidità permanente, limitatamente all'omessa
valutazione dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa, ed alla pronuncia sui danni futuri da diminuzione di contributi patrimoniali ed utilità economiche".
Ed ha proseguito, in ordine alla risarcimento del danno biologico riconoscendo e precisando le
sue componenti essenziali.
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SENTENZE CORTE DI CASSAZIONE
Ma, - ed in questo la corte di merito è incorsa nel vizio di extrapetizione -, piuttosto che emendare errori di calcolo -, ha corretto il metodo equitativo, utilizzato dal primo giudice per la quantificazione del danno biologico, rideterminato sulla base dei parametri indicati nelle tabelle elaborate dal tribunale di Cosenza dall' 1.10.1999, "personalizzate" in relazione al caso concreto.
E' quindi, pervenuta a liquidare una somma di gran lunga superiore e diversa rispetto a quella
liquidata dal primo giudice.
In tal modo agli appellati è stata riconosciuta una liquidazione qualitativamente e quantitativamente diversa da quella richiesta con la conferma della sentenza di primo grado, senza la proposizione di appello incidentale.
Ne consegue la sussistenza del vizio di ultrapetizione.
D) Il quinto motivo del ricorso incidentale proposto dalla Casa di cura Prof. S. s.r.l. ed il quarto
motivo del ricorso incidentale proposto da Federico e Renato S., riferiti entrambi alla violazione
dell'art. 91 c.p.c in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c, vanno trattati congiuntamente.
Rilevano i ricorrenti che le risultanze probatorie avrebbero dovuto condurre i giudici di merito
al rigetto della domanda e non al suo accoglimento, con la conseguenza che nessuna condanna
alle spese processuali poteva essere adottata dalla Corte di merito, difettando la soccombenza.
I motivi non sono fondati.
E' di tutta evidenza che la Corte di merito non è incorsa in alcuna violazione dell'art. 91 c.p.c,
ponendo correttamente le spese a carico degli appellanti, soccombenti nel merito.
Conclusivamente, i ricorsi vanno accolti in ordine al vizio di ultrapetizione, e rigettati nel resto;
la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata, anche per le
spese, ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie in ordine al vizio di ultrapetizione di cui al capo e) della
motivazione; rigetta nel resto. Cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese,
ad altra sezione della Corte d'Appello di Catanzaro.
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