Nel ventre del dinosauro

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Nel ventre del dinosauro
Grandi opere
Nel ventre del dinosauro
Compie un anno il Museo
delle Confluenze di Lione.
L’ultimo dei colossi urbani.
E, a sorpresa, il successo
è superiore alle polemiche
D
di Enrico Arosio da Lione
lato, girandoci
intorno: che animale è? Iguana?
Dinosauro?
Creatura mutante? Per questo mostro metallico proteso a bordo
d’acqua come un rettile in agguato, i
lionesi non hanno ancora trovato un
nome pop. Strano. Perché quello ufficiale, Musée des Confluences, Museo delle
Confluenze, nell’era di Twitter è quasi
macchinoso. Confluenze, peraltro, in
senso doppio. Il colosso che il 20 dicembre compie un anno di vita si situa, infatti, all’incrocio esatto tra i due fiumi
Rodano e Saona, su una penisola aguzza. Ma segnala anche la confluenza tra
i saperi: scienze dell’uomo e naturali.
Mentre esplosivi, più che confluenti,
sono stati i costi di realizzazione: in
quattordici anni sono quintuplicati, fino alla bellezza di 330 milioni di euro,
creando polemiche infinite.
È la più costosa opera pubblica per la
cultura realizzata fuori Parigi in questi
anni. Una prova di “federalismo culturale” per addolcire le politiche centraliste. O forse la risposta d’orgoglio di
Lione alla prepotenza con cui Parigi
drena risorse ai territori. Perché la ex
capitale della Gallia, ricca di storia, di
denari, di savoir vivre, è stufa di stare
all’ombra, e nel 2015 ha conquistato lo
statuto di Métropole de Lyon. Ad ogni
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modo, c’era chi sosteneva che, a tanti
anni dall’effetto shock del Guggenheim
Bilbao, l’era dei musei monstre, in Europa, stesse volgendo al tramonto. Sotto lo
schiaffo del terrorismo, poi. E invece...
Camminarci intorno e avventurarsi
dentro, al MdC, sono due esperienze
diverse. All’esterno il colosso zoomorfo
ha un che di disarmonico (il suo creatore,
Wolf D. Prix dello studio viennese Coop
Himmelblau, è un partigiano della
de-costruzione). La forma è inafferrabile, i volumi confliggono; acciaio, vetro e
cemento non dialogano né in purezza né
in purismo. Ma all’interno ci si orienta
facilmente, su tre livelli bene organizzati,
con tanta luce naturale, una Brasserie di
alto profilo, e una magnifica terrazza
sommitale. All’ingresso, dopo i terribili
fatti di Parigi, il visitatore è sottoposto
ad accurati controlli personali.
Il secondo piano offre (fino al 24 gennaio) la mostra “L’arte e la macchina”.
Cominci sotto il proto aeroplano di
Otto Lilienthal e finisci davanti allo
sferragliante macchinario“Méta-Maxi”
di Jean Tinguely, e alla scultura di biciclette del dissidente cinese Ai Wei Wei,
due gesti di commiato dalla Civiltà della
Meccanica. In mezzo, è un bel divertimento: la Citroën in cura dimagrante del
messicano Orozco, Duchamp e gli scherzi Dada, Léger e i futuristi, le foto industriali di Alfred Stieglitz, il film “Metropolis” di Fritz Lang, e l’Alfa Romeo
Giulietta incidentata di Bertrand Lavier
per ricordarci che la velocità può essere
fatale. Il tutto ci fa riflettere su quante
formidabili energie analogiche l’Era del
Digitale sta per lasciarsi alle spalle.
Al primo piano, invece, c’è la collezione permanente. È appena un frammento
della quantità mostruosa (2 milioni) di
pezzi che scienziati, viaggiatori, collezionisti lionesi hanno raccolto nel campo
delle scienze dell’uomo. Enormi sale
Foto: Q. Lafont
AL DAVANTI, di
espongono una scelta di questi oggetti
con enfasi scenografica, divisa per temi:
Specie, Origini, Società, Eternità. Approccio molto francese, illuminista in
radice, strutturalista nella narrazione,
radicalmente laico. Il contrario di un
impianto storicista. Qui, si ha la sensazione, l’Uomo non è che la scimmia più
evoluta, la scimmia che ride, ha una
morale, si emoziona in maniera comples-
sa. Sia che contempliamo una spaventevole mummia di donna peruviana del
XIV secolo, sia che ci venga incontro la
ricostruzione di un’allegra ventenne di
Neanderthal, dall’occhio glauco, nuda e
pelosa come non usa più.
Anche qui, si passeggia tra confluenze
audaci. Ci s’imbatte in spiriti e sciamani,
in statue arcaiche di divinità animali. Poi,
di colpo, il cammello battriano, o il mammut escavato dalla collina di Lione nel
1859, gloria cittadina. Molto spazio è
dato all’evoluzione, su come dai primati
si è giunti al Sapiens sapiens (ma quanto
sapiens, dopo l’eccidio al Bataclan?).
S’incoccia nel tosto Camarasaurus, 14
metri di bestiaccia rinvenuta in un
canyon dello Wyoming. E poco oltre rifulge una stupefacente collezione di meteoriti piovuti da chissà quali stelle moribonde; e alcune le puoi toccare, perché
certi reperti sono
“liberi al tatto”
Il Musée des
(senza nuocere,
Confluences,
s’intende). La senuovo simbolo
zione delle Società
di Lione,
riguarda la vicencostato 330
da umana come
milioni di euro
teatro comune di
azioni e di scambi,
dalle mappe degli aborigeni d’Australia
alle varianti asiatiche del Buddha agli
ornamenti rituali africani. Il capitolo finale è sull’arte di venerare gli antenati,
gli dei, i morti. Diciamo che chiunque, il
ragazzino in quinta elementare, l’impiegata di banca o il direttore d’orchestra,
troverà pane adatto ai denti suoi.
Il Musée des Confluences è un’opera
pubblica dibattuta, che ha scosso la po-
litica. Per l’architettura azzardata, “non
francese”, per i costi eccessivi. L’opposizione ha attaccato per anni il sindaco
socialista Gérard Collomb, che resiste (al
precedente, Raymond Barre, è dedicato
il nuovo bel ponte bianco sul Rodano).
E però, malgrado tutto, il MdC registra,
nel primo anno, oltre 760 mila visitatori.
Tanti davvero. Ed è diventato l’icona
della Lione che cambia, investe, attrae.
L’agenzia Only Lyon promuove nel
mondo la novella Métropole dal nucleo
storico rinascimentale sotto tutela Unesco, che è oggi la città più cablata di
Francia, vanta 4 mila ristoranti e importanti poli di ricerca scientifica.
Lyon Confluence è il nome dell’intero
nuovo quartiere tra i due fiumi. È una
penisola di 150 ettari (l’Expo di Milano
è di 110) di cui il MdC è la punta sud.
Finora ne è stato sviluppato un terzo. È
rinata la sponda della Saona, sono sorti, sulle ceneri della zona industriale
decaduta, un vivace centro commerciale, una grande Piazza Nautica dove ormeggiano i battelli fluviali, una zona di
residenze progettata da ottimi studi,
dall’olandese Winy Maas al nostro
Massimiliano Fuksas. Il lungofiume
esibisce edifici di rilievo, tra cui spiccano
la nuova sede di Euronews (architetti
Jakob + MacFarlane), la Sucrière della
Biennale d’arte contemporanea, il Padiglione Dogane (Jean-Michel Wilmotte),
gli uffici Dark Point (Odile Decq e Benoît Cornette). La Confluence si svilupperà fino al 2025, creando altri 11 mila
posti di lavoro. Quando si dice: programmazione alla francese. Ma questa
è un’altra storia. n
I numeri dei musei monstre
Ecco alcuni esempi europei
di grandi investimenti
in edifici per la cultura.
Musée du Quai Branly,
Parigi: 232 milioni. Museo
etno-antropologico, progetto
Jean Nouvel. Aperto dal 2006.
Maxxi, Roma: 130 milioni.
Arti contemporanee, architetto
Zaha Hadid. Dal 2010.
Louvre Lens: 150 milioni.
Seconda sede del Louvre, nel
nord della Francia. Progetto
Sanaa, Tokyo. Dal 2012.
Mucem, Marsiglia: 191
milioni. Culture mediterranee.
Sul nuovo lungomare, architetto
Rudy Ricciotti. Dal 2013.
New Tate Modern, Londra:
370 milioni. Estensione
dell’edificio esistente
per l’arte contemporanea,
progetto Herzog & de Meuron.
Aprirà nel 2016.
Elbphilharmonie, Amburgo:
790 milioni. Enorme edificio
per la musica sul fiume
Elba, progetto Herzog &
de Meuron. Costi decuplicati,
scandalo nazionale in
Germania. L’apertura
è slittata al 2017.
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