LETTERA DI UN GARIBALDINO “Cara Melissa”, ti scrivo questa

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LETTERA DI UN GARIBALDINO “Cara Melissa”, ti scrivo questa
LETTERA DI UN GARIBALDINO
“Cara Melissa”,
ti scrivo questa lettera perché mi manchi. Sono mesi che non ci vediamo e l’unica cosa che mi
manca del posto sei tu! In questi giorni non ho fatto altro che pensarti. Quando sono partito, per
affrontare questa guerra, credevo che mi sarei sentito orgoglioso nel lottare per la mia patria, per
lottare insieme a mille volontari che vogliono realizzare qualcosa di migliore per tutti noi; ora però,
dopo aver affrontato la prima battaglia, mi sento sporco, cattivo, ma soprattutto in colpa. In colpa
per aver ucciso più di venti persone, aver affrontato una sanguinosa guerra, e pensare che non è
ancora finita. La notte ho gli incubi, risento le voci di tutti i miei compagni di battaglia urlare a
squarciagola grida di vittoria, sento i nemici morire ai miei piedi, vedo sangue dappertutto e
giovani, anche più piccoli di me, per terra morenti che avevano ancora tutta una vita davanti e forse
dovevano ancora trovare l’amore, quello vero, quello che tu sei per me!
Ti chiederai se mi sono pentito di essere venuto qui a combattere. Sì, lo sono! Mi sono pentito
perché potevo rimanere lì con te e lasciare questo sporco lavoro a qualcun altro, potevo non
rischiare di morire, perché so che in questa flotta non ci rimarrò per molto, di sicuro non arriverò
alla fine e per me non ci sarà ritorno.
Ho visto uomini disposti a lasciare tutto per continuare a lottare. Uomini che, anche senza un
braccio o una gamba, riuscivano ad uccidere senza mai fermarsi, orgogliosi sempre di più della loro
impresa. Io non sono così.
Penso alle famiglie dei nemici che sperano in un loro ritorno, senza pensare o immaginare che il
loro marito o padre non ritornerà mai più. Aspettano un miracolo da Dio e se arriverà possono
soltanto ritenersi molto fortunati.
I nemici sono accaniti anche più di noi ed io posso soltanto fare il mio dovere: UCCIDERE.
Melissa, in queste ultime righe che mi rimangono posso e voglio dirti quanto ti amo, che tu per me
sei tutto: la mia vita, il mio cuore! Ricordo ancora i primi giorni che stavamo insieme, due cuori
inesperti che si esploravano nel profondo, senza tralasciare alcun dettaglio.
Il giorno della mia partenza piangevamo e ti sussurravo promesse che ora, sono certo di non poter
mantenere.
Ricordo come era la nave appena salito: immensa, tutte le porte in legno, il pavimento color
nocciola dove non era appoggiato un bel niente. Le scale esterne portavano al timone color oro,
grande, forse la cosa che mi piaceva di più di tutta la nave. Si alzarono le vele bianche con una “G”
disegnata di rosso come le nostre camicie che ci avevano detto di indossare assolutamente. Non so
perché il rosso, forse perché è il colore del sangue.
Saliti, ad aspettarci c’era il capo di quella massa di ragazzi, tra i quali io mi sentivo a disagio:
Garibaldi! Anch’egli con una camicia rossa, alto, con la barba bianca e un po’ di baffi; sul capo
portava un cappello che gli dava molto un’aria da capitano! Insieme al suo caro e fidato amico
camminava lungo il ponte spiegandoci la nostra missione, il motivo del “perché” fossimo lì, ma
soprattutto ci incitava e faceva sentire ognuno di noi la parte più importante “dell’Esercito”!
Sistemammo i nostri zaini dove capitava e poi tutti lungo il bordo della nave per dare gli ultimi
saluti ai parenti e amici. Tu eri lì, ferma, con gli occhi gonfi, rossi e pieni di lagrime: mi urlasti “ti
amo” ed io, come era mio solito fare, ti risposi: “idem”.
Furono quelle le ultime parole che ci scambiammo e che mi hanno accompagnato in questa guerra
che non è ancora finita!
Lasciato Quarto ci spostammo a Talomone dove rimpiansi di essere partito.
La nostra prossima battaglia si terrà a Marsala e non so se riuscirò a tornare vivo!
Quell’11 maggio del 1860, per me i nemici hanno segnato l’inizio della mia morte! Saluto te amore
mio come se fosse la prima volta, saluta i miei cari dicendogli di pregare per me e dai un forte
abbraccio alla mia sorellina di 7 anni, dicendole che aveva ragione: forse nostro nonno ci sta
proteggendo da lassù!
Riesco a capirlo solo adesso: un aldilà esiste!! Ti amo,
tuo Simone.
Ripiego la lettera, la bacio e la metto nel cassetto.
Mi fa troppo male sapere che lui non ci sarà più, per questo sto piangendo!
Le pareti sembrano schiacciarmi e i mobili farmi male; mi accascio ai piedi del letto e sento il
dolore trafiggermi il cuore che lui aveva accuratamente conservato nelle sue mani per tutto questo
tempo, senza mai lasciarlo! Non ho il coraggio di rispondergli, pensando che questa forse sarà la
mia ultima lettera. Mi alzo, ma poi mi risiedo subito sulla sedia, la testa mi gira e quindi faccio un
po’ di fatica a scrivere, però mi dico che devo farcela: prendo la penna, un foglio e inizio:
“Caro Simone,
sento le tue mani accarezzarmi ed è solo questo che mi fa sentire viva! Ti amo e aspetto il miracolo
del tuo ritorno,………….
Imbusto la lettera che ho scritto con tutta me stessa, ci metto una lagrima e mi avvicino il foglio al
petto così che lui mi possa sentire ancora sua!
Passano mesi dall’ultima lettera e tutti i giorni vado a vedere se mi è arrivata la sua risposta ma
…….. niente. Un giorno di metà settembre una lettera arrivò, ma purtroppo non fu lui a scriverla:
l’Esercito. La aprii con mani tremanti e lessi così velocemente che riuscii a capire poco e niente:
“Signorina Melissa Giannuzzi, comunichiamo che purtroppo il Soldato Simone Sant’Andrè è
venuto a mancare ieri; ferito, venne portato in cura da vari dottori, ma non si poté fare niente per
salvarlo.
Esplicite condoglianze: L’Esercito di Garibaldi!”.
Fu così che caddi per terra urlando disperatamente, quando mio padre venne a prendermi
portandomi in casa.
Sei o sette anni dopo, molti scrittori raccontarono la riuscita dei Mille per unificare l’Italia ed io non
feci altro che pensare a lui, volontario, che voleva tornare a casa da me e da sua sorella. Penso a lui,
morente vicino ai suoi compagni e alleati, stesi sul terreno freddo del campo di battaglia. Ma lui non
era come gli altri, lui era il custode del mio cuore che ora è perso e senza calore, freddo come la
neve.
SILVIA PETROZZI classe 3^ H