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16 APRILE 2012 9 PRIMO PIANO [ IL CASO ] In mezzo agli scandali le giocate regolari sono scese del 15% schio (per il nostro calcio) è che le aste del futuro possano essere al ribasso. Con una sorta di monopolista - le tv satellitari di Rupert Murdoch - a dettare le regole del gioco. Un’azienda normale, davanti a una fotografia di questo tipo, sa cosa deve fare per far quadrare i conti: se le entrate non salgono, l’unica soluzione è tagliare i costi. Ridimensionando in particolare gli stipendi per i giocatori, di gran lunga la spesa più importante per una squadra di serie A. Anche qui da anni fioccano i buoni propositi. Ma risultati zero: lo scorso anno su ogni 100 euro incassati dai nostri club, ben 69 sono stati utilizzati per le buste paga della rosa. Più o meno lo stesso livello degli ultimi cinque anni. In Europa (dove il 10% dei team paga più stipendi del suo fatturato) non va molto meglio, ma almeno siamo a quota 64. Non serve una laurea alla Bocconi per capire che con questo sbilancio dei conti non si va troppo lontano. E infatti oltre a 300 milioni di perdite, il massimo campionato tricolore è riuscito nel bel risultato di mettere assieme anche 2,6 miliardi di debiti. Una zavorra che prima o poi rischia di mandarlo definitivamente a fondo. I nodi, come vaticina da tempo Platini, verranno al pettine nella stagione 2013-2014. Tra due anni i numeri di bilancio non saranno più un’opinione ma il biglietto da visita necessario per poter accedere all’Europa che conta. Quella dei tornei continentali che, oltre che a tanto prestigio, portano pure molti soldi. Allo stato l’Italia, al di là del declassamento subìto nel ranking, rischia di rimanere fuori da ogni torneo. Ed è in buona compagnia. Barca e Real Madrid dominano la scena continentale sul campo. Ma quanto a stato di salute finanziario non sono poi messe molto meglio dei nostri club. I debiti della Liga, secondo uno studio dell’Università di Barcellona, viaggiano alla quota stratosferica di 3,5 miliardi. Troppi per sperare di riportare la barca a livello di galleggiamento entro il 2014. Tanto che il Governo di Madrid, impegnato in questi giorni nella terza manovra che chiederà sacrifici ai suoi cittadini, sta studiando un condono fiscale da 680 milioni di euro in favore delle squadre di calcio per non rompere uno dei pochi giocattoli rimasti agli spagnoli. Il calcio italiano invece potrà contare solo sulle sue forze. E il problema è che anche i Paperoni di una volta, quei presidente pronti a spendere decine di milioni per la passione del pallone, ormai non esistono più. Moratti deve fare i conti con i guai della Saras, Silvio Berlusconi ha già le sue belle gatte da pelare con Mediaset, la Juve - che pure con lo stadio di proprietà è anni luce davanti agli altri - non può permettersi colpi di testa come Lazio, Napoli e Roma. E il futuro prossimo venturo allora ha le carte segnate. O un percorso di decrescita del calcio tricolore (magari finalmente farà emergere qualcuno dai vivai) o l’arrivo nella penisola di quei nuovi ricchi, russi, cinesi e arabi in testa, che già hanno cambiato il volto proprietario del soccer nel resto del continente. © RIPRODUZIONE RISERVATA Mentre il business delle scommesse clandestine fiorisce, a quanto si legge nelle cronache giudiziarie, scende quello delle scommesse regolari sul calcio. È lo stesso rapporto 2012 della Figc a confermarlo: il gettito erariale delle giocate sul calcio è passato dai 177 milioni del 2008 ai 142 del 2011. Sempre nell’ultimo anno la raccolta complessiva è scesa del 14,9% sul 2010 fermandosi a 3,4 miliardi. È diminuita anche l’incidenza sul totale delle scommesse regolari sullo sport in generale, anche se il calcio resta predominante: dal 91,7 all’89,2%. Sugli altri sport sono stati scommessi “solo” 417 milioni. Nei grafici tratti dal Rapporto 2012 della Figc, la ripartizione delle voci finanziarie nel mondo del calcio buna d’onore?» Quanto conta la politica nel calcio? «Moltissimo, e non c’è distinzione fra governi di sinistra e di destra. Io ne ho visti di tutti i tipi: i primi per esempio limitarono i poteri del Covisoc, ai secondi si deve quel capolavoro di machiavellismo che furono i decreti salvacalcio con la diluizione venticinquennale dei debiti in deroga alle leggi commerciali e fiscali, roba che non si è vista neanche nel salvataggio della Grecia. E infatti l’Europa ce l’ha censurato». La Borsa non potrebbe essere una soluzione? «Potrebbe esserlo perché le società sono finalmente costrette a redigere un prospetto corretto. Ma ci sono troppe incognite e troppi ri- schi per i risparmiatori. Oltre all’andamento finanziario bisogna anche stare attenti ai risultati sportivi. Mi ricordo quando con Carraro fui convocato dalla Consob per esporre la nostra opinione sulla quotazione delle società. Lui era entusiasta, io ammonivo: “purché sul prospetto, a lettere cubitali sia scritto: non sono adatti a vedove e orfani”. Ne venne fuori un putiferio». Debiti, perdite, grane: ma perché i capitani d’industria continuano a investire nel calcio? «Diciamo che qualcuno lo fa per genuino spirito campanilistico. Ma chi ha un gruppo diversificato lo fa spesso per avere una società che perde, e nel calcio come abbiamo visto si perde sicuro, per scaricarsi le perdite nella holding. È una vecchia storia, e non c’è modo di scardinarla, così come tante altre cattive abitudini come la factorizzazione dei proventi televisivi solitamente triennali: una televisione firma un contratto e l’amministratore della società si precipita in banca a scontare l’intero importo di tutti e tre gli anni. Ci sono infine dei presidenti che lo fanno per il prestigio personale che dà l’essere il patron di una società. Una volta un industriale di medio livello mi disse: per me sarebbe stato impossibile diversamente sedermi a tavola con Agnelli. Costi quel che costi». © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Affari & Finanza