bubble - Amici del Cabiria
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bubble - Amici del Cabiria
BUBBLE Sito: http://www.bubblethefilm.com/ Anno: 2005 Durata: 73 Origine: USA Genere: THRILLER Produzione: GREGORY JACOBS E STEVEN SODERBERGH PER SECTION EIGHT LTD., BUBBLE FILM COMPANY Distribuzione: MEDIAFILM Regia: STEVEN SODERBERGH Attori: DEBBIE DOEBEREINER DUSTIN ASHLEY MISTY WILKINS DECKER MOODY Soggetto: COLEMAN HOUGH Sceneggiatura: COLEMAN HOUGH Fotografia: PETER ANDREWS Musiche: ROBERT POLLARD Montaggio: MARY ANN BERNARD Trama: In una cittadina dell'Ohio, Martha e Kyle lavorano in una fabbrica di bambole. La loro vita è grigia, sempre uguale a se stessa. Lavoro, junk food per pranzo, ancora lavoro, e poi a casa davanti alla televisione. Una linea piatta. Senza ritorno. L'amicizia che li lega, rifugio della rispettiva malinconia, viene improvvisamente minacciata per l'arrivo di una nuova operaia, Rose, che suscita interesse in Kyle. Una mattina Rose viene trovata morta, strangolata. Chi sarà l'assassino? Primo di sei film che Steven Soderbergh dirigerà con la 2929 production, Bubble, non è solamente interessante per la strategia distributiva innovativa (negli Stati Uniti sarà distribuito contemporaneamente nelle sale, in Dvd e in televisione ad alta definizione) ma anche per l'approccio minimalista a una piccola storia di provincia che perde il suo equilibrio al momento del delitto, paradossalmente, momento di luce nell'esistenza dei protagonisti. Lo stile filmico è secco, quello molto british di channel four, condito con l'ironia grottesca del Soderbergh migliore, che nasconde una vena profondamente inquietante dietro l'immobile facciata. Critica: "Produttore sagace, eccellente direttore di fotografia e sceneggiatore oltre che regista, Soderbergh non cessa di stupirci. Finora i suoi film 'antihollywoodiani' erano ispirati a una ricerca di tipo formale. Mentre con 'Bubble', girato in Ohio avvalendosi per il cast di gente del luogo, ha preferito registrare una triste realtà senza interferire in alcun modo per abbellirne la desolante superficie, ma attento a coglierne i palpiti segreti. Cosicché la visione di quest'opera poveristica e austera, che pure non pretende di imbastire un discorso psicologico né di essere assolutoria, ci aiuta a capire quello che nella pagine della cronaca spesso ci appare inspiegabile." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 3 settembre 2005) Pietà per il mostro della porta accanto Figura chiave del cinema Usa dell'ultimo quindicennio il 43enne Steven Soderbergh è cineasta dalla personalità e dai risultati sorprendenti. Capace di alternare prestazioni sofisticate e brillanti, proprie di un artista colto e intellettuale —dall'esordio di Sesso bugie e video tape (1989) fino al raffinato esercizio di stile umoristico nel collettivo Eros — ad altre piene invece di corpo e potenza, e di visceralità. Come il bellissimo Traffic e come quest'ultimo Bubble. Che, per l'impassibile quanto dolente rappresentazione dell'America degli ultimi, dell'America depressa, lontana dalla ricchezza e dal potere, fa tornare in mente quell'eccezione — quel gioiello — nel cammino artistico dì David Lynch che fu Una storia vera. Con un modo narrativo asciuttissimo ed ellittico il film introduce rapidamente lo spettatore in un ambiente di vite faticose vissute tra fabbrica e Caseroulotte in periferiche e anonime tristezze: ma le cose, i volti e i luoghi parlano da sé, senza sottolineature o condiziona-menti di alcun genere. Il giovane operaio Kyle e la più attempata Martha hanno stabilito tra loro una corrente di simpatia. Meglio: la donna, sola con il vecchio padre malato, si sfoga mangiando e dedicando attenzioni apparentemente materne e innocentemente invadenti al ragazzo. Ma compare, in fabbrica e nell'orizzonte di Kyle, una ragazza madre di nome Rosé, la sua è un'esistenza altrettanto triste e precaria ma in più oppressa dal bisogno. Sta di fatto che, pur facendo buon viso a cattiva sorte e lo Capiamo da tanti piccoli segnali, Martha è contrariata. Ma l'escalation che segue non si può raccontare così, in modo asettico. Va "vissuta" nella visione del film e nel suo progredire 1 attraverso una serie di microspostamenti emotivi, assurdamente sproporzionati all'esito tragico. Che sgorga dalla serata in cui Rose chiede a Martha di fare da babysitter alla sua bambina, per consentirle di uscire con Kyle. La tristezza e il grigiore strazianti di panorami umani ed esistenze che sembrano non aver diritto ad alcuna aspettativa, e tanto meno a un briciolo di felicità, sono raccontati e rappresentati (immaginiamo un diverso modo, possibilissimo, di mettere in scena lo stesso materiale) con una sobrietà controllatissima, sorvegliatissima. Che è un grande pregio. Svetta sugli altri interpreti Debbie Doebereiner ché dipinge nella sua Martha un mostro dal volto umano da ricordare. (Paolo D'Agostini, La Repubblica - 23/05/2006) L'America amara di Steven Soderbergh Steven Soderbergh stupisce ancora. Se molti talenti della sua generazione fanno di tutto per costruirsi un'immagine e difenderla, il regista-giocoliere di film come Traffic e Ocean's Eleven pratica da sempre una strategia opposta: cambiare ogni volta tono, genere, linguaggio e standard produttivo. Possibile che Sesso, bugie e videotape, L'inglese, Erin Brockovich, Solaris e ora questo Bubble, siano tutti della stessa persona? Possibile, specie per Soderbergh, autore "totale" che non solo dirige, produce e spesso scrive i suoi film, ma li gira anche fisicamente, da operatore, con lo pseudonimo di Peter Andrews. Realizzato in digitale, a bassissimo costo, con attori non professionisti, Bubble ha fatto rumore ancor prima di essere visto perché in America è uscito in simultanea nelle sale, in pay-tv, in dvd e su Internet. Dietro una scelta che sembra studiata per far imbestialire Hollywood ci sono i quattrini e la faccia tosta dei nuovi tycoon venuti da Internet come Mark Cuban e Todd Wagner, produttori anche di Good Night, and Good Luck , nonché proprietari della maggiore catena di cinema d'essai americani e di svariati canali tv dedicati ai film in digitale. Ma c'è soprattutto il camaleontismo di Soderbergh che qui azzera ogni gusto dell'artificio e della finzione per darci un (finto) docu-horror dedicato alla faccia nascosta degli Usa, la faccia che Hollywood si incarica da sempre di cancellare o viceversa di riscattare a colpi di spettacolo. Tre protagonisti, uno sfondo: una fabbrica di bambole dell'Ohio. Come dire America profonda e lavoro alienato, esasperato dall'effetto macabro di quei corpicini di gomma sezionati, verniciati e assemblati da mani esperte che per otto ore al giorno montano braccia e gambe, incollano ciglia e capelli, incastrano occhi nelle orbite. Su questo sfondo iperrealista da ultimi giorni dell'umanità scorrono piatte e implacabili le giornate di Martha e Kyle, colleghi in fabbrica, legati da una casta amicizia bloccata sul nascere perché il solitario Kyle ha 20 anni, vive con la mamma, si concede al massimo qualche canna ogni tanto; mentre Martha, pure lei inchiodata in casa col padre infermo, ha passato i 40, è decisamente sovrappeso e riveste il vuoto di chiacchiere e piccole cortesie come consumare sempre con Kyle i loro tristi pasti al fast food. A far saltare questo precario equilibrio penserà Rose, ragazza madre sexy e antipatica, finita in quel buco chissà come. Una sbandata che quando può rubacchia, e quando non può si fa almeno un bagno con idromassaggio nella casa di ricchi dove fa la colf a ore, insomma una come tante che però finirà male. Imprimendo al film una sterzata verso il thriller che presto verrà riassorbita dal nulla di quel posto, di quelle vite strozzate. Di quell'America opaca anzi "invisibile" cui Soderbergh regala non un futuro e tanto meno uno stile, ma un volto, una voce, una fisionomia. (Fabio Ferzetti, Il Messaggero - 12/05/2006) Soderbergh reinventa il thriller Una cittadina dell'Ohio, grigia in un mondo grigio. Una piccola fabbrica di bambole, molto artigianale. Ci lavorano una donna grassa, Martha, e fra gli altri un giovanotto magro, Kyle. La prima, zitella dall'aria paciosa, vive con un padre anziano e paralitico. Il secondo, con una madre ancora giovane. Si aggiunge loro una ragazza madre, Rose, dal passato dubbio, desiderosa di evasione e di soldi. Kyle, però, pur con molta timidezza, se ne sente attratto e un venerdì sera esce con lei. Ci penserà Martha a custodire la bambina di Rose durante la sua assenza. Lo fa di buon grado ma, da alcuni dettagli (certe attenzioni, dei regali) si comincia a intuire che, a sua volta, si interessi a Kyle, sia pure senza svelarsi. Quando Rose torna a casa, Martha, prima di andarsene, assiste all'irruzione dell'ex amante di Rose, padre della bambina, che chiede soldi e le rinfaccia di essere stato derubato da lei. Poi nient'altro. Ma il mattino dopo Rose viene trovata strangolata e un poliziotto si vede costretto a sospettare di tutti quelli che l'avevano conosciuta e frequentata, dall'ex amante, con cui aveva avuto un'alterco, a Kyle, con cui era uscita, a Martha, l'ultima ad averla vista viva. Tutti ovviamente negano, a cominciare da Martha, nonostante certi indizi a suo carico... All'insegna del non detto. Con grandissimo tatto. Il merito è di Steven Soderbergh, autore del testo e della regia, con molte più intuizioni poetiche, pur con toni dimessi, di quanto non avesse dato prova di recente in Ocean's Twelve, nonostante, anche lì, il cinema mostrasse di saperlo egregiamente dominare. In un'altra chiave, però. Qui, appunto, c'è il non detto. Nessun personaggio chiarisce mai le proprie intenzioni né i rapporti che sembra stringere con gli altri. Tutto, in apparenza, è cronaca: nei fatti, nei gesti, nelle indicazioni lievi con cui si suggeriscono i caratteri. Fino al colpo di scena finale che però - altro merito - sembra più scaturire dall'incoscio che non da una rivelazione precisa. Con il commento di una chitarra che, in tutto quel voluto grigiore, echeggia ogni tanto in voluto contrasto, ma senza contraddire niente. In linea con la recitazione di tre attori non professionisti tenuto ciascuno, nei ruoli principali, in equilibrio fra l'allusione e un realismo più che questo addirittura silenzioso. Un piccolo, grande film che si ricorderà anche perché, per iniziativa del suo autore, è il primo, nella storia del cinema, ad essere uscito nelle sale e, contemporaneamente, in Dvd e sulla pay tv. Forse aprendo una strada. (Gian Luigi Rondi, il Tempo - 15/05/2006) Chiamami Bubble, sarò il tuo film 2 La rivoluzione di Soderbergh, Bubble, è arrivata sugli schermi italiani dal festival di Venezia 2005 ma ha già sconvolto lo scenario cinematografico il 27 gennaio 2006 quando il film è uscito contemporaneamente in sala, in televisione, in cassetta e in dvd. La reazione del mercato non si è fatta attendere e ieri la Warner Bros ha annunciato che distribuirà il suo catalogo su Internet, costo variabile. I titoli si potranno scaricare grazie alla tecnologia peer-to-peer. Un modo per rispondere alla pirateria di massa ma anche presa d'atto di un nuovo protagonismo del consumatore che ha costretto le major a cambiare strategia. Il regista di Sesso, bugie e videotape e produttore indipendente con la sua Section Eight insieme a George Clooney di film come Good Night and Good Luck, ha anticipato i tempi e spedito con ogni mezzo possibile il suo Bubble, low-budget girato in digitale, nel mondo parallelo. Un buon inizio. Steven Soderbergh ci racconta la vita dei poveri americani, quelli della provincia che solo quando arrivano le catastrofi spuntano fuori dal fango di Katrina. Eppure dentro i confini della grande potenza, la forza gioiosa dell'America produce quotidianamente cittadini persi in località fantasma, case di legno come roulotte, e per pranzo un hamburger. Confini rurali dell'Ohio, si chiamano Martha, Kyle e Rose i protagonisti di Bubble, gente perbene che per sopravvivere fa il doppio lavoro, e per divertirsi ha un tavolo di plastica nel retrobottega di un drugstore. Soderbergh - nato a Baton-Rouge, Louisiana - conosce bene la parte bassa dell'America e ha messo i suoi attori non professionisti davanti alla telecamera per interpretare la parte di Martha, una over-size quarantenne dai capelli rossi, Kyle, un bel ragazzo che soffre di panico in mezzo alla folla e di Rose, 23enne bellina con figlio di due anni e padre «artista» assente. I primi due sono colleghi da anni in una piccola fabbrica di bambole di gomma. Assemblano teste, braccia, gambe e manine che escono da antichi macchinari, un lavoro semi-artigianale. I bambolotti sezionati come cadaveri, spruzzati di vernice, incollati, sono rifiniti con piccole ciglia, parrucche e vestitini che Martha confeziona la sera a casa. I due fanno coppia, sono amici, si scambiano confidenze, mangiano lo stesso happy-meal (il micidiale menù di hamburger dei fast food) lei gli dà un passaggio a casa, Kyle vive con la madre, e poi il mattino dopo si ricomincia. Il ragazzo salta la cena e si fa di canne, non ha una fidanzata per mancanza di tempo. Poi arriva Rose, nuova attrazione, bambola tra le bambole, anche lei «precaria». Ex infermiera in un ospizio, provata dal degrado ambientale e dalla turpe assistenza dei vecchietti, paga misera e straordinari non pagati... eccola qui a cavare gli occhi alle pupe di plastica. Per mantenere la sua bambina, è sola, rubacchia a casa dei corteggiatori. Lo fa anche con Kyle, affascinato dalla nuova arrivata sotto gli occhi gelosi dell'amica di happy-meal Martha. Soderbergh costruisce il film come un documentario - la fabbrica è in primo piano - e fa muovere i personaggi in un set realistico, eppure ogni fotogramma è flagrante di suspense e paura... gli occhi celesti di Martha inquadrati nel buio, lucenti di niente, vuoti occhi di madonna, martire, sacrificata. Una cicciona del mid-west che ingoia porzioni di «torciglioni» pannosi, panini, secchi pieni di bevande gassose... e che ha un solo amico al mondo, Kyle, il collega giovane, angelico, ma pronto a farsi irretire dall'intrusa Rose, la sfacciata che chiede favori a tutti, sbafa l'idromassaggio in una casa di ricchi dove fa la domestica (il secondo lavoro), una ragazza qualsiasi, una mamma ladra. La troveranno strangolata. Chi è stato? Bubble è epicamente minimalista, una piccola storia senza artifici ed effetti speciali che rende perfettamente l'orrore ma anche la sorpresa di un'America invisibile e piena di risorse, capace di ricominciare daccapo, dove si scoprono persone meravigliose di un sotto-mondo condiviso a nord e a sud, che mangiano lo stesso junk-food sullo stesso tavolo di plastica. E che sognano di uscire dal retrobottega. Un film perfetto come un virus globale che gira adesso in tutte le arterie mediatiche. (Mariuccia Ciotta, Il Manifesto - 15/05/2006) Tragedia americana ispirata a Hopper Squarcio di vita americana impressionante, la provincia da piccola depressione, uno dei rari film Usa in cui ci sono operai e quasi quasi si pensa a Marx. Soderbegh, autore del serial Oceans eleven, si riscatta con la storia di un delitto senza causa nel Midwest popolato di gente infelice con e senza perché. Montato e fotografato magistralmente dal regista che si ispira all'iperrealismo di Hopper, il film in digitale promette che tra vita reale e psicologia esiste un contatto. Elettrico e micidiale. Con attori non professionisti, uscito in patria in simultanea sala e home video, questo giallo è un miracolo espressivo di misura, inquadra senza parlare l'apatia morale di una società. Una tragedia americana, a suo modo romantica, in una fabbrica di bambole dove la malinconia confina con la nevrosi. Come jazz freddo, senza retorica: ma è tutto vero, tutto chiaro. (Maurizio Porro, Il Corriere della Sera - 22/05/2006) Vista da Soderbergh la provincia americana non è mai banale Presentato a Venezia nei 2005, Bubble può essere a stento definito un film: dura 73 minuti, è girato in digitale e ha inaugurato negli Usa un metodo di distribuzione «integrata» (uscita contemporanea in tv via cavo, dvd e sale cinematografiche) che non gli ha comunque regalato un grande successo. Sarebbe passato, da noi, del tutto inosservato se non fosse firmato da Steven Soderbergh, regista 43enne capace di vincere una Palma d'oro a Cannes con il film d'esordio (il famoso Sesso bugie e videotape) e di alternare successivamente opere sperimentali a lavori di largo consumo (come i due thriller «rosa» Ocean's Eleven e Ocean's Twelve). Anche nei suoi film meno riusciti, Soderbergh non è mai banale, e infatti Bubble è un «oggetto» bizzarro, inquietante, che merita un'occhiata. Ambientato nella profonda provincia americana (tra West Virginia e Ohio), racconta la squallida vita quotidiana di alcuni personaggi che condividono uno stranissimo lavoro: sono tutti operai in una fabbrica di bambole, e assistere all'assemblaggio di questi giocattoli (teste, arti, parrucche, occhi tinti...) è uno spettacolo lievemente sinistro. Non c'è quindi da meravigliarsi che anche nella vita dei nostri sfigatissimi eroi succeda qualcosa di sinistro: una ragazza da poco venuta a lavorare nella suddetta fabbrichetta viene uccisa, e il colpevole è come sempre la persona meno sospettabile (anche se i più attenti di voi lo scopriranno subito). Bubble potrebbe essere trasportato, con minime 3 modifiche, nel nostro Nord-Est: racconta un paesaggio industriale in cui le comunicazioni sono ridotte al minimo, l'umanità è azzerata, e nelle pieghe di una società ex opulenta, ma a rischio di neo-povertà, allignano i mostri. È un piccolo film minimalista, scritto da Coleman Hough (già collaboratore di Soderbergh per lo scombinato Full Frontal) e interpretato esclusivamente da attori non professionisti, che hanno prestato le loro stesse, povere case come set: una sorta di riciclaggio elettronico dei dettami del neorealismo. Va da sé che Soderbergh sta lavorando a progetti ben più impegnativi (il film su Che Guevara, il terzo capitolo della saga-Ocean), ma Bubble lo conferma come uno dei pochi registi americani capaci di sorprendere. (Alberto Crespi, L'Unità - 12/05/2006) I film di grande richiamo ormai escono anche in piena estate, e tuttavia il pubblico nei cinema diminuisce. Una tendenza negativa che non interessa solo l'Italia, ma anche il mercato americano. Negli USA, infatti, sembra ormai assodato che la movie summer 2005 segnerà un calo di affluenza nelle sale rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, confermando le difficoltà dell'ultimo biennio. Le case di produzione e i registi corrono ai ripari, con un prossimo autunno di sperimentazioni e nuove strategie per invertire il trend di mercato. Tra i primi a scendere in campo contro la crisi il regista e produttore indipendente Steven Soderbegh. L'autore di grandi successi come Erin Brockovich e Ocean's Eleven ha infatti intenzione di proporre un'inedita formula di lancio per il suo nuovo film, con una programmazione allargata oltre i confini della sala cinematografica. Per Bubble, un thriller interpretato da attori non professionisti che Sodernberg ha girato in un villaggio dell'Ohio in sole tre settimane e con un budget di appena tre milioni di dollari, è prevista infatti un uscita in contemporanea nei cinema, sulla televisione satellitare e via cavo e su dvd nell'autunno 2005. Un tipo di operazione che ribalta il 'canone' del modello distributivo tuttora egemone, in cui il film è soggetto a un percorso in rigida progressione: dopo l'esordio nei cinema la pellicola prosegue la sua vita commerciale in altri circuiti, dapprima su dvd e cassette e poi in televisione, prima a pagamento e per ultimo in chiaro. L'uscita in simultanea decisa per Bubble su tre diverse piattaforme ha il vantaggio di aumentare l'offerta al pubblico, che potrà scegliere la modalità di fruizione che preferisce, e di abbracciare la nuova realtà del cinema, diventato sempre più home entertainment grazie ai tempi ristetti tra uscita nelle sale e uscita in home video, in media quattro mesi e anche meno. Una rivoluzione che affrancando il film dalla visione in sala può consentire ai produttori di raggiungere più facilmente l'agognato break-even dell'investimento affrontato. Con la compagnia 2029, dopo Bubble Soderbergh ha in mente di produrre altri cinque film in digitale, con un ampio taglio ai costi e ai tempi di lavorazione, e progetta di farli uscire in concomitanza sui tre scenari commerciali, eliminando anche i costi delle distinte promozioni commerciali richieste dal marketing per ciascun segmento di mercato. Una spinta a ridurre i costi e a guardare a nuovi canali di mercato, quella che viene dal cinema USA, che segue le novità tecnologiche. Tra le più interessanti gli Umd, Universal Media Disc, che renderanno il cinema davvero tascabile, un 'personal entertainment' libero non solo dai vincoli di sala ma anche di casa. I film si potranno infatti vedere su minischermi grandi più o meno sei centimetri, da portare ovunque, sempre più lontano dallo spazio grande e buio della vecchia sala cinematografica. (Cesare Balbo, L'Espresso - 18/08/2005) Una donna obesa dall’età indecifrabile. Un ventenne carino ma ottuso dagli psicofarmaci. Una cittadina del Midwest depresso. Una piccolissima fabbrica di bambole. Una ragazza-madre opportunista. Due piccoli furti. Un omicidio. Con questo ritmo infranto Soderbergh ritrae una società americana che agghiaccia per la sua apatia (non si registrano reazioni nemmeno in seguito all’assassinio), e lo fa come se in lui si fosse reincarnato un Edward Hopper che, posato il pennello, abbia preso in mano una telecamera. La composizione di ogni inquadratura, il montaggio, la fotografia (tutte mansioni che Soderbergh si accolla sotto pseudonimo) sono di un livello artistico mai toccato prima dal regista. A fare da contrappunto alla desolante solitudine della storia, giocosi accordi di chitarra che amplificano il senso di straniamento. Un film duro da metabolizzare, impossibile da dimenticare, Bubble e fa parte di un disegno promettente: sei film girati in digitale, con una troupe ridotta ai minimi termini, con attori non professionisti reclutati on location. Ma l’idea più interessante di Soderbergh è quella di fare uscire questi film contemporaneamente in sala, in Dvd e sulla pay tv. Negli Usa Bubble, boicottato dagli esercenti, è passato su appena 32 schermi (19 dei quali del produttore Mark Cuban; in Italia circola in 30/40 copie e il Dvd uscirà tra due mesi) guadagnando appena 72.000 dollari, ma sulle altre due piattaforme ha venduto molto bene: cinque milioni di dollari nel primo weekend; era costato un milione e mezzo. C’è di che riflettere. (Sasha Carnevali, Ciak - 30/05/2006) Steven Soderbergh ha una dote particolare nel riuscire a far parlare di sé. Il suo esordio, uno dei più clamorosi degli ultimi vent´annì, a Cannes, con Sesso, bugie e videotapes, non è stato che il primo dei momenti in cui il frenetico filmaker oggi socio di George Clooney si è messo in luce. Con la Section Eight, società che sviluppa progetti indipendenti per poi venderli alle grandi, dopo aver prodotto pellicole lucenti e spettacolari si presenta dal 12 maggio nelle sale con una produzione assolutamente atipica rispetto agli standard cui ci hanno abituato i due. Non pago della pioggia di nomination e di Oscar per Erin Brokovich e Traffic (o forse proprio perché si è tolto anche quella soddisfazione), onorato anche il mondo della produzione televisiva (cui era dedicato Confessioni di una mente pericolosa di Clooney) con Unscripted Soderbergh si è buttato a capofitto in una serie di sei film da realizzarsi in tempi stretti. Storie dalla forte connotazione geografica - la provincia americana - e che si occupino dell'America che appare meno, diciamo pure mai, a Hollywood. La notizia che per l´ennesima volta fa rimbalzare il suo nome in tutto il mondo, è che, stravolgendo il sistema d´intervalli rigorosi tra uscita in 4 sala e in dvd, il primo di questi film, Bubble è uscito negli Usa quasi contemporaneamente al cinema. nel mercato home video e nei palinsesti della Tv via cavo. Coproduttori infatti sono Todd Wagner e Mark Cuban della 2929 Entertainment, una delle maggiori compagnie televisive, e che con la HDNet Films finanziano prodotti ad alta definizione. E questa è la seconda notizia: Soderbergh, dopo le immagini patinate e sature di Traffic; e come un esordiente, "torna" all´immagine digitale e sperimenta il montaggio in tempo reale con questa storia minimale e debitrice delle atmosfere di Twin Peaks. Il set è situato tra l´Ohio e la Virginia occidentale, nella provincia più silenziosa e anonima. I protagonisti sono quanto di più lontano dalle stelle che accettarono compensi sindacali per i due golden boys nel precedente esperimento, Full Frontal. Non solo sono attori non professionisti, quindi, ma che vengono proprio da quei luoghi, li respirano e li fanno rivivere in sala. Martha (Debbie Doebereiner), sovrappeso e un po´ goffa, operaia come il più giovane Kyle (Dustin James Ashley) in una fabbrica di bambole. Si scambiano qualche parola durante le pause di lavoro, ai tavoli della mensa aziendale. La routine è interrotta da Rose (Misty Dawn Wilkins), ragazza anticonformista e da poco trasferita con figlia a carico. Con l´inizio dell´amicizia tra Kyle e Rose, tutti gli equilibri saltano e sulla piccola comunità incombe un pericolo angosciante che si fa realtà. Un´immersione sorda e poco eclatante rispetto alle pellicole di tutte stelle e dal ritmo seducente e ipercinetico che è cifra del regista Presentato all´ultima mostra di Venezia nel Fuori concorso, anche se da noi seguirà il classico percorso dalla sala al salotto, la provocazione di Bubble rimane forte. Da Raffaella Giancristofaro, Film Tv, 9 maggio 2006 In questo angolo di Ohio il sogno americano si è già infranto da un pezzo. Bubble è un film semplice, semplicissimo, eppure quasi ipnotico nella linearità della trama, nella regia piana, nel suo sorprendente realismo. È il primo di sei esperimenti, sei film a bassissimo budget che Soderbergh ha intenzione di girare in giro per il paese, interpretati da non-attori, per raccontare l’America più vera, lontano da ogni pretesa autoriale. Istantanea di provincia con delitto, uno spaccato di vita fatta di case prefabbricate, junk food e ore passate davanti alla tv, di una working class sconfitta, disillusa, che parla per luoghi comuni e non osa nemmeno sognare più. Vite normali, povere, monotone, un triangolo che sfocia in un omicidio. Ma non è l’omicidio il punto, è lo svelamento di quel che sta dietro a tanta misera monotonia, e alle tante solitudini americane. Martha, una donna senza nessun fascino che vive con l’anziano padre, e Kyle, un ragazzo senza pretese, lavorano in una fabbrica di bambole (di per sé la fabbrica di bambole ha svariati significati nell’ottica del film), accomunati dalla noia, dalla mancanza di soldi e dalla solitudine, inevitabilmente amici. L’equilibrio del loro rapporto viene però disturbato dall’arrivo in fabbrica di Rose. La normalità viene sconvolta dal ritrovamento del corpo senza vita di Rose. Ma, come abbiamo detto, non è la soluzione del giallo il punto; il punto sono quelle vite che il regista vuole raccontare, che gli straordinari interpreti riescono magistralmente a raccontare. Soderbergh non concede niente all’intellettualismo ma nemmeno alla crudezza del realismo, tentazioni in cui molti prima di lui sono caduti. L’innovazione del film, il quindicesimo di Soderbergh presentato a Venezia 2005, sta nell’insolita forma di distribuzione (l’uscita in contemporanea nelle sale, in dvd e sul satellite, che gli ha provocato il boicottaggio della maggior parte dei circuiti di sale statunitensi, convinti che ciò svilisca la magia del cinema) e nella scelta del cast. Gli attori sono tutti non professionisti: la responsabile di un Kentucky Fried Chicken, uno studente informatico e una parrucchiera, mentre un vero detective del posto è il detective che conduce le indagini. Persone che vivono in quello spazio dimenticato tra Ohio e West Virginia dove il film è stato girato in tre settimane. Come location, Soderbergh utilizza le case stesse degli attori, e gira in una delle tre sole fabbriche di bambole rimaste aperte in tutta l’America, dopo il trasferimento di massa in Cina. Soderbergh non insegna, non sottolinea, non giudica, non giustifica. Racconta una storia piccola ma potente, suggerisce un’America che non ha più niente da dire, lontana dallo scintillio di Hollywood che lui stesso frequenta e ha frequentato, pur sempre con provocatorio e intelligente distacco.(www.fice.it) Ohio, white trash americano: collocazione geografica e antropologica dei protagonisti del quindicesimo film di Steven Soderbergh, Bubble. La quarantenne Martha e il giovane Kyle (interpretati da attori non professionisti) lavorano in una fabbrica di bambole da molti anni: normale diventare amici in quella solitudine globale. Il loro rapporto traballa quando viene assunta una nuova operaia, la ragazza-madre Rose: il reciproco interesse tra i due giovani apre le porte alla tragedia. Servono pochi minuti ('73) al regista per affondare la camera nel degrado sociale e morale della profonda periferia americana, ma sono più che sufficienti. Con una volontà di realismo che rende livide le immagini digitali, Soderbergh inquadra il junk food consumato tristemente dagli operai e contrappunta l'assemblaggio dei bambolotti con il dissezionamento del tessuto umano. Esistenze drammaticamente subordinarie che cadono a pezzi, dopo che il sogno americano è già in frantumi da decenni. Spazio dunque alla violenza, una violenza mediocre e acefala, gretta e disutile. Ma stabilire chi è colpevole e chi no è fatica sprecata: il noir - dice Soderbergh - è sepolto da un pezzo, il colore di moda in Ohio è un grigio indistinto dato dalla giustapposizione di volti sconfitti dalla vita. Mostrati senza remore né accanimento terapeutico: mostrati e basta. (www.cinematografo.it) Note: - FUORI CONCORSO ALLA 62MA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2005). 5 - IL FILM E' STATO REALIZZATO IN SOLE 3 SETTIMANE, IN DIGITALE E CON UN BUDGET RIDOTTO. GLI ATTORI SONO TUTTI NON PROTAGONISTI. SODERBERGH LI HA SCELTI TRA GLI ABITANTI DELLE CITTADINE DI PARKERSBURG E BELPRE, IN OHIO. TRA LE LOCATION ANCHE CASE VERE, L'OSPEDALE E LA PRIGIONE DELLE DUE CITTA'. 6