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«Benvenuti nel paese più anonimo e tranquillo e per questo più spaventoso del mondo.» Maurizio de Giovanni UN ESTRATTO IN ANTEMPRIMA www.guanda.it facebook.com/Guanda @GuandaEditore www.illibraio.it Disegno e grafica di copertina di Guido Scarabottolo ISBN 978-88-235-1063-0 © 2014 Ugo Guanda Editore S.r.l., Via Gherardini 10, Milano Per accordo di Thésis Contents S.r.l., Firenze-Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione 2014 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. STEFANO PIEDIMONTE L’ASSASSINO NON SA SCRIVERE ESTRATTO SCELTO PER VOI DALLA REDAZIONE UGO GUANDA EDITORE IN PARMA Dopo Nel nome dello Zio e Voglio solo ammazzarti, torna Stefano Piedimonte con una storia nerissima, in un luogo improbabile che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo conosciuto. Nel paesino di Fancuno, tremila anime e una gran voglia di farsi i fatti altrui, da un giorno all’altro cominciano a fioccare cadaveri. La gente viene ammazzata nei modi più atroci e sui corpi delle vittime compaiono messaggi assurdamente sgrammaticati. Chi è questo lazzarone, questo assassino analfabeta che infierisce sui corpi dei disgraziati col primo oggetto che si trova davanti? Perché uccide? E soprattutto: quanti morti ancora si lascerà dietro prima che riescano a catturarlo? Sulle sue tracce, assieme ai carabinieri guidati da un maresciallo scacchista, lucido e razionale, si muove un vecchio cronista di nera sulla via della pensione, oltre a un manipolo di personaggi bizzarri, vere e proprie star di una periferia sonnacchiosa sempre in cerca di nuove storie, leggende e suggestioni. Ma stavolta Fancuno deve fare i conti con una storia vera, molto più grande, violenta e pesante di quanto le sue piccole stradine non possano sopportare. I Fancuno è un paesino di tremila soggetti – definirli « anime » sarebbe un’esagerazione – che sorge fra i comuni di Castelcapro, Sicignavia e Valle del Seme. Ci sono tanti modi per andare a Fancuno. Se ci si arriva da sud, la strada è migliore, e poi è alberata. C’è da passare sui colli di Valle del Seme, che a parte il nome è proprio un bel posto, e prendere per Santo Stefano Martire. Arrivati a metà percorso, quando a sinistra il paesaggio degrada in una serie di cose verdi (alberi, piante, boschetti) e azzurre (fiumiciattoli, qualche laghetto) e fiori di ogni tipo, bisogna girare a destra. Non ci sono molte raccomandazioni per chi vuole andare a Fancuno, solo bisogna stare attenti alle vacche, perché sulla strada che viene da sud comandano loro. Le trovi a camminare ai lati della carreggiata, ma la strada non è abbastanza grande, e quindi ti si parano davanti. Se non riesci a frenare in tempo vai a sbatterci contro. Ragion per cui è meglio andare piano. Ecco, questa potrebbe essere l’unica raccomandazione. Guidare piano, godersi il paesaggio, respirare l’aria buona. Noi fancunesi abbiamo tanti problemi – ed è proprio di questi problemi che sto per raccontarvi –, ma abbiamo l’aria buona, una delle migliori arie d’Italia: respirare per credere. Il sottoscritto non è nativo di Fancuno. Sono nato a Frat1 taglie, a pochi chilometri da Valle del Seme, poi i miei genitori hanno deciso di emigrare trasferendosi a Fancuno, che dista circa quindici chilometri. Mio padre faceva il calzolaio, solo che a Frattaglie doveva vedersela con altri due concorrenti, e almeno uno era più bravo di lui, a onor del vero. Quando seppe che il suo omologo fancunese aveva abbandonato le spoglie mortali non se lo fece ripetere due volte: raccolse i pochi risparmi che aveva messo da parte costringendoci a mangiare pane e qualcosa per una decina d’anni, e rilevò l’attività . Unico calzolaio in un’intera cittadina. Aveva coronato il suo sogno, con quell’attività . Insisto tanto col termine « attività » perché secondo me rende bene l’idea di come andassero le cose dentro il negozio: mio padre era sempre in movimento, in attività , martellava tacchi, appiccicava solette, ricuciva fibbie e rimodellava tomaie. Le uniche pause che si concedeva erano quei pochi secondi durante i quali, ritenendo che nessuno stesse a guardarlo, sfilava dal cassetto del banco da lavoro pezzi di cuoio avanzato, striscioline e rimasugli vari, e ne aspirava l’odore schiacciandoseli contro le narici. Credo che per lui fosse una specie di droga, ma non mi sono mai azzardato a domandarglielo. Avrebbe reagito male scoprendo che in realtà , quando faceva questa cosa con la stessa intimità con cui alcuni si scaccolano, c’ero io lì a guardarlo con la coda dell’occhio. Solo una volta mi disse: «Ai tempi della guerra, la gente lo mangiava », mentre osservava – bramava, più che altro – questo pezzo di cuoio steso nel palmo della mano. In quell’occasione ebbi un po’ paura. Mi venne il sospetto che ci fosse un’intimità di serie B, quando il babbo sniffava il cuoio, e un’intimità di serie A, quando se lo mangiava. Questo non potrò mai saperlo con certezza, dato che mio padre è morto quindici anni fa e fortunatamente non abbiamo mai approfondito il discorso. Quello che so è che il nonno, sì, lui era uno di quelli che 2 avevano mangiato il cuoio durante la guerra. E so che mio padre non l’aveva mai conosciuto bene (il nonno morì in un bombardamento quando lui aveva solo dieci anni), almeno, non l’aveva mai conosciuto come un giovane maturo può conoscere suo padre. Non s’era mai fatto un’idea precisa del suo carattere, ecco. E così, su due piedi, mi viene da pensare che forse quei pezzi di cuoio rappresentavano un tramite, che saggiandone l’odore – e magari il sapore – mio padre tentasse vanamente di esplorare, portandola a maturazione, l’immagine acerba di un genitore andato via quando semplicemente era troppo presto. A ogni modo, non sono qui per parlarvi delle afflizioni del mio amato genitore, ma di alcuni accadimenti che in questa cittadina e in tutto il circondario godono di una certa popolarità . Anzi, direi che sarebbe piuttosto strano se non ne aveste già sentito parlare alla tivù , letto sui giornali o ascoltato alla radio. La differenza è che oggi sono io a raccontare, io che queste strade le conosco come le mie tasche, io che qui ci sono cresciuto e marcito, io che posso abbinare a ogni faccia un nome, e a ogni nome un soprannome. Mi vedete spavaldo? Probabile. È che mi sento libero, finalmente. Vorrei vedere uno di voi a scrivere per trent’anni roba come « L’uomo, un cinquantaquattrenne originario di Santo Stefano Martire, è caduto dalla scala su cui stava lavorando per ridipingere le pareti di casa, morendo sul colpo ». La cronaca nera mi ha reso un uomo peggiore. A un certo punto ti vien voglia di smadonnare, di prendere a calci le parole facendole ruzzolare sul pavimento, di sbatterle l’una contro l’altra fino a formarne di nuove, folli, amorfe, insensate. Dunque, se ci riuscite, tolleratemi. La storia, d’altronde, i fatti puri e semplici, faranno da soli la gran parte del lavoro. Questa è una storia che avrebbe destato scalpore anche se fosse accaduta a Milano, a Roma, a Napoli, o perfino a New 3 York, a Boston, a Chicago, o in un’altra di quelle cavolo di città enormi. Solo che è successo qui, in mezzo ai sempliciotti (che poi tanto sempliciotti non sono). È successo che da un giorno all’altro, quando sembrava che le cose andassero com’erano sempre andate, e nessuno si aspettava niente di più di un povero disgraziato caduto da una scala mentre ritinteggiava casa, un pazzo furioso con qualche difficoltà a scrivere in italiano si è messo a uccidere gente seguendo un metodo che il comandante dei carabinieri di Frattaglie, che sovrintende alla tenenza di Fancuno, riassunse magnificamente quando ormai si era già al quarto omicidio. « Questo qui » disse il comandante « uccide a cazzo di cane. » 4 II Il Bastardo si guardò intorno. Non era mai stato in una casa come quella. La « magione » – così l’aveva definita il signorino in un’intervista al quotidiano locale – trasudava ricchezza da ogni stucco, da ogni singola mattonella, da ogni dipinto appeso alle pareti. Si soffermò su una grossa tela. Come si fa a dipingere il logo della Coca-Cola e a venderlo a centomila euro? Se ci avesse pensato prima, l’avrebbe dipinti lui i loghi della Coca-Cola per centomila euro. Ma anche per cinquantamila, anche per diecimila. Schifano, si chiamava questo genio della truffa. E cazzo, doveva essere uno importante, visto che il re della « magione » aveva incollato una targhetta al muro col suo nome e la data in cui aveva partorito quella fenomenale presa per il culo. Il Bastardo sentì che il padrone di casa stava scendendo le scale. Doveva essere bello calpestare pregiati marmi di chissà dove per scendere da un piano all’altro della « magione ». Ascoltò i passi delicati, ben distanziati l’uno dall’altro. Non aveva fretta, il signorino. Perché mai avrebbe dovuto averne, con tutta quella roba appesa alle pareti? Il Bastardo avvertì la sua presenza. L’avrebbe avvertita anche senza il rumore – suono, più che altro – dei passi. Ormai ci aveva fatto la mano, a uccidere la gente. E ci aveva fatto anche l’orecchio. 5 Aveva sviluppato una specie di « senso della prossimità ». Strano, per uno come lui. Non sapeva scrivere. A stento, molto lentamente, riusciva a leggiucchiare qualcosa. Ma percepiva le presenze. Uno si sviluppa a seconda delle proprie inclinazioni, pensò . Decise di ammazzarlo con la tela. In verità non decise proprio niente, non era uno che ragionava molto, lui. Non più . Solo che il quadro era grosso, era pesante, ed era a mezzo metro di distanza. Lo sollevò tastando il ferro freddo della cornice, lasciò che si adagiasse sul pavimento tenendone un lato con le mani, poi lo trasportò dietro la colonna di marmo (quanto marmo, in quella « magione »!) alla destra della scala. Spostò il quadro sul suo fianco sinistro, caricò il colpo concentrando tutta l’energia che aveva in corpo, e quando il signorino sbucò nel salotto la tela guizzò in un movimento diagonale, dal basso verso l’alto, schiantandosi sulla faccia del re della « magione » che volò all’indietro finendo col sedere sul marmo freddo. Starnutiva. Uno a cui hanno appena fracassato il volto si siede sulle scale e starnutisce? Poco male: almeno starnutiva sangue. Con le mani intonse di chi non aveva mai lavorato sul serio, si copriva la faccia e diceva qualcosa. Ma che diceva? Boh. Quelle cose eleganti che aveva detto al quotidiano il giorno prima, o qualche stronzata tipica di uno a cui hanno appena sfasciato il volto e sta per morire. In entrambi i casi, non è che fosse così importante starlo ad ascoltare. Il Bastardo prese la tela, la sollevò in alto e la calò sul cranio del signorino. Canestro! Ma quello lì non era morto ancora. Allora il Bastardo prese un pezzo di vetro dalla cornice rotta e completò il lavoro accanendosi sulla gola del re della « magione ». Che palle. Non era mica come in quei film, dove centrano la carotide con un colpo secco e ammazzano la gente in due secondi. Col cavolo. Quello lì non voleva morire 6 Dovette ridurgli la gola a brandelli, sfilacciarla come un pezzo di carne da ragù , e quando finì si accorse che il signorino aveva smesso di respirare già da tre o quattro minuti. E vabbe’, era uno che si impegnava, il Bastardo. Si lavò nel bagno della «magione ». Poi, prima di uscire, strappò un pezzo della tela e scrisse qualcosa sul retro. Lo poggiò sul petto del signorino e uscì dal suo castello. Il sole era forte, bello, maestoso, e lo costrinse a socchiudere gli occhi. Oh, ma quel quadro, la Coca-Cola da centomila euro. Non è che forse aveva fatto una cazzata a fracassarlo in testa al re? Ma no, via. Lui mica era un criminale. Vuoi vedere che con tutti i morti che s’era lasciato dietro, si faceva arrestare per furto o per ricettazione. Che fine miserabile. Meglio godersi il sole, la strada, le donne e via dicendo. La vita è bella. La morte pure, se non è la tua. Di tutto il resto, chi se ne fotte. CONTINUA IN LIBRERIA E IN eBOOK 7 Stefano Piedimonte è nato a Napoli nel 1980 e si è laureato all’università “L’Orientale”. Ha lavorato per giornali e trasmissioni televisive occupandosi principalmente di cronaca nera. I suoi racconti e articoli sono pubblicati nelle pagine culturali di Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Satisfiction, Corriere del Ticino, L’Unità. Per Guanda ha pubblicato Nel nome dello Zio (2012) e Voglio solo ammazzarti (2013).