padre Santino Brembilla Perù

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padre Santino Brembilla Perù
L’esperienza missionaria di un monfortano bergamasco
PERU’
UNA GRANDE VOGLIA DI FUTURO
NEI SUOI VENT’ANNI DI MISSIONE PADRE SANTINO BREMBILLA HA
PERCORSO IN LUNGO E IN LARGO IL PERÙ, IMPEGNATO A FIANCO DI UN
POPOLO CHE, SEBBENE PROVATO DALLE DRAMMATICHE ESPERIENZE DEL
TERRORISMO E DEL NARCOTRAFFICO, NON HA SMARRITO IL SENSO DI
DIO. E LA SPERANZA IN UN FUTURO CHE È GIÀ REALTÀ
“Quando sono arrivato nella missione che da quattro anni mi è
stata affidata, c’erano solo sei o sette vecchiette che
frequentavano la chiesa. Poche davvero, ma fedeli, tenaci e
coraggiose. Nemmeno dei terroristi di Sendero Luminoso
avevano avuto paura ed erano sempre andate loro a pregare
per i tanti morti di quei tempi difficili. Sono state queste donne
a tener viva una fede che anni di paura, di morte e di
abbandono sembravano aver spento. Invece è bastato il mio
arrivo per dare il ‘la’ ad una fase nuova nella vita degli abitanti
di Uchira. Un arrivo che è coinciso con un bisogno ormai
incontenibile di stabilità, di ordine e di pace. La gente stava
cercando qualcosa di diverso dopo le violenze del terrorismo e l’ubriacatura della ricchezza troppo
facile prodotta dal narcotraffico. Aveva perso la bussola della vita, ma la voleva ritrovare”.
Non è stato, comunque, un lavoro facile, racconta padre Santino. Si trattava di dare credibilità ad
una proposta di fede che non era mai stata fatta a molti degli abitanti di quella città cresciuta
troppo in fretta intorno al miraggio della coca. Si trattava di cominciare con coraggio ed
entusiasmo. E a padre Santino non mancavano né l’uno né l’altro.
Occorreva ricostruire un tessuto sociale lacerato da esperienze drammatiche, aiutare uomini e
donne a ritrovare valori perduti e il senso di appartenenza ad una comunità cristiana capace di
camminare, lottare, crescere insieme. Ed è stato subito un fiorire di impegno da parte di tutti
anche per creare un minimo di strutture.
“E’ stata la gente a venire a chiedere un aiuto per costruire nelle varie comunità la propria chiesa”.
Anche una chiesa di mattoni, realizzata con la collaborazione di tutti, può essere segno di una
chiesa di uomini che diventa comunità viva.
ANNI DI MORTE
“La mia gente aveva alle spalle anni di morte. Sono terribili da ascoltare le storie di violenza e di
paura che ti racconta. Ogni famiglia ha contato i suoi morti. Ricordo che un giorno, in un villaggio
in cui periodicamente mi reco, sono stato invitato dai miei ospiti a visitare le tombe di famiglia che,
secondo l’usanza locale, si trovano nelle vicinanze della casa.
«Questa è mia figlia: è stata uccisa dai terroristi. Questo è mio fratello, ucciso dall’esercito». La
gente si è trovata spesso tra i due fuochi, accusata da Sendero Luminoso di collaborare con
l’esercito e dall’esercito di simpatizzare per i terroristi. Vittima senza colpa di rappresaglie e di
vendette”.
Deve essere stato terribile vivere in Perù ai tempi del terrorismo. Col pericolo costante di attentati
ad ogni viaggio che affronti, sapendo comunque di doverlo fare.
“Le necessità e i problemi di certe zone erano così grandi che non pensavi più di tanto ai pericoli
che potevi correre. E poi ti dicevi: se sono qui, significa che il Signore mi sta chiamando a questo
servizio. E anche negli anni più ‘caldi’ del terrorismo, sebbene le nostre attività fossero limitate
dalla situazione di precarietà e di insicurezza, in cinque preti e venti suore, divisi in cinque gruppi,
siamo riusciti a realizzare, durante tutta la quaresima, un’importante esperienza di missione nelle
cinque province della diocesi: una presenza significativa, capace di porre un segno di speranza.
Però è vero: non era facile accettare di vedere il terrore negli occhi della gente, respirare il clima di
paura e di diffidenza in cui si svolgevano i nostri viaggi. Per ore nessuno parlava perché nessuno si
fidava di colui che aveva di fronte.
Ricordo che una volta mi recai al Nord del Perù dove il terrorismo di Sendero Luminoso non era
ancora arrivato. La gente parlava, rideva, comunicava: credevo di essere entrato in un altro
mondo. Non mi sembrava normale. La normalità per noi, da troppo tempo, era la paura, la
tensione. Non ricordavamo che potesse esserci un clima diverso, di partecipazione, di tranquillità.
Anche il nostro lavoro di evangelizzazione non era facile. Non si poteva dire più di tanto e anche se
cercavamo di far intuire alla gente che certe scelte e certi percorsi non erano in linea col Vangelo,
non potevamo parlare in modo troppo esplicito…”.
Ora, per fortuna, anche in questa parte del Perù la normalità si chiama fiducia, dialogo, voglia di
un futuro sereno e la missione di padre Santino vive la stagione felice della risposta generosa dei
giovani, della partecipazione attiva e dell’impegno di tutti per costruire una comunità cristiana
matura.
Non mancano i problemi: certe ferite fanno fatica a rimarginarsi. E ci sono questioni difficili da
risolvere: la mancanza di lavoro che spinge i giovani a tentare l’avventura spesso fallimentare della
grande città, la situazione precaria in campo sanitario e l’urgenza di dare impulso ad un settore
importante, com’è quello agricolo, per il futuro della popolazione di Uchiza.
LA STAGIONE DELLA SPERANZA
Se non mancano i problemi, a Uchiza e dintorni non mancano nemmeno i progetti e la gran voglia
di realizzarli al più presto. Qualche iniziativa ha già preso il via e rappresenta una confortante
realtà in una zona in cui, fino a pochi anni fa, la vita sembrava regolata da parole come morte,
paura, violenza.
A Uchiza una coppia di laici bergamaschi ha iniziato una significativa esperienza dando vita ad una
‘aldea infantil’, una casa in cui sono ospitati 14 bambini orfani o abbandonati che hanno bisogno di
ritrovare il calore e la protezione di una famiglia.
Un secondo progetto punta sui giovani. “Una forza”, li definisce padre Santino che parla di loro con
sincera ammirazione per l’entusiasmo con cui hanno accolto la proposta di un serio cammino di
fede e lo slancio con cui si sono impegnati a diventare essi stessi missionari altri giovani nei villaggi
che il padre ancora non ha potuto raggiungere.
“Per i giovani di Uchiza un gruppo di Napoli ha finanziato l’acquisto di una casa che stiamo
trasformando in un oratorio, un centro di incontro e di formazione religiosa. Con una cappellina,
perché la presenza del Signore deve essere motivante per tutta la vita”.
C’è, infine, un progetto socio-sanitario che nell’immediato futuro si realizzerà con il finanziamento
della Croce Rossa Italiana per rispondere alle grandi necessità nel settore della salute: la
preparazione di personale sanitario e l’allestimento di un laboratorio di analisi.
Sono davvero tante le attività a cui padre Santino si sta dedicando, tante le energie da spendere
per molti anni ancora per il suo Perù, la terra in cui già da studente sognava di vivere la sua
missione. Un sogno che anche Dio aveva nel cuore per lui e che è diventato realtà.
Da MISSIONDUEMILA, inserto mensile del settimanale diocesano “La Nostra Domenica”, 16 maggio 1999