L`aventure ambigue - Ilaria Guidantoni

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L`aventure ambigue - Ilaria Guidantoni
L’aventure ambigue
de Cheikh Hamidou Kane
Il romanzo di Cheikh Hamidou Kane – nato in
Sénégal nel 1928 – è stato pubblicato a Parigi presso Julliard nel 1961, sebbene scritto nel
1952. «L’aventure ambigue», forse più conosciuta nella sua versione cinematografica, ha un
sapore biografico ma diventa anche una storia universale, quella di un itinerario spirituale.
Colpisce il fatto che, se è un libro iscritto profondamente nella storia di un meticcio dal
punto di vista culturale, tra il Sénégal e la Francia, è anche una riflessione universale di
sapore filosofico. Senza dubbio infatti l’autore oppone il sapere tecnico occidentale al
pensiero dell’Islam ripiegato su se stesso e rivolto a Dio. Questa tematica che attraversa
tutta la storia del protagonista, la sua lacerazione, rende il testo una lettura universale: la
fatica e la difficoltà che comporta l’impegno ad essere uomo con tutte le contraddizioni che
ciascuno di noi vive e che nella storia sono esemplificate tra la spinta contraddittoria e
complementare di due culture.
Ora, se l’uomo è condizionato dal proprio ambiente e l’autore Chiekh Hamidou Kane è in
tutto e per tutto un bambino del Fout, il fiume del Sénégal, la cui lingua materna è la lingua
peule – con il pular che è uno strumento musical – con una forte tradizione orale; è
altrettanto vero che si serve della scrittura araba. Per parte di madre l’autore appartiene al
popolo dei Peul, questa la denominazione francese, più comune, che riunisce circa 6 milioni
di persone che sono gli antichi abitanti dell’estremo occidente del Sudan. Di incerte orgini,
da molti designati come coloro che abitano al di là della Mauritania, sembrano discendere
almeno per una parte dai berberi e sono detti ‘i rossi’ per i riflessi ambrati della loro pelle.
Esiste in ogni caso nel sentire del protagonista l’eco dell’etica behaviorista che si fonda
sulla riserva, sulla vergogna di essere uomini di colore. Nella famiglia di Cheikh Kane lo si
chiama Samba, il nome di rango del secondo figlio; ma Samba porta anche il nome arabo di
Cheikh Kane perché è figlio di un musulmano fervente, un maestro di vita severo, una
specie di santo. Tanto che il piccolo Samba dice che suo padre «non vive, prega»
rendendosi conto nel tempo che non si tratta di un’alternativa ma di una scelta, di uno stile
di vita. Non è un caso che nell’indecisione della scelta del titolo l’autore avesse in un primo
tempo optato per «Dieu n’est pas un parent» (Dio non è un genitore) per evidenziare in
quella che è una trascrizione più che una traduzione dalla lingua peule, dell’inaccessibilità
di Dio. Potrebbe dire insieme al suo presidente Léopold Sédar Senghor, «nous sommes des
métis culturels. Si nous sentons en nègres, nous nous exprimons en français, parce-que le
français est une langue à vocation universelle.» Sénghor, d’altronde, (Joal, 9 ottobre 1906 –
Verson, 20 dicembre 2001) è stato un punto di riferimento quale cerniera tra l’Africa e
l’Europa: politico e poeta senegalese di lingua francese che, tra le due guerre fu, con
l'antilliano Aimé Césaire, il vate e l'ideologo della négritude. Tra il 1960 ed il 1980 è stato il
primo presidente del Senegal. Senghor è stato inoltre il primo africano a sedere come
membro della Académie française. E’ stato anche il fondatore del partito politico chiamato
Blocco Democratico senegalese ed è considerato da molti come uno dei più importanti
intellettuali africani del XX secolo, contribuendo con le sue opere alla riscoperta della
cultura africana: dalla letteratura alla scultura, dalla filosofia alle credenze religiose.
Ma il protagonista sa bene che è difficile scegliere tra due spinte, due lingue e soprattutto
due modi di sentire: l’Africano europeizzato resta scisso in se stesso. Il primo problema è di
ordine scolastico ed è già curioso il gioco di parole che nella lingua materna del
protagonista chiama la scuola ‘legno’ con l’idea dell’apprendere come un costruire solido,
la propria casa – che è per altro il simbolo dell’io – in legno appunto e non in paglia e fango.
La consapevolezza che nelle scuole europee si impari meglio a «legare il legno al legno e
che gli uomini devono apprendere a costruirsi delle dimore che durino nel tempo» è
coestensiva dell’idea che con la lingua e uno studio improntato all’azione si perda anche
qualcosa, la spiritualità originaria.
Il modello africano mette al centro la fede in Dio che è umiltà ma anche umiliazione per
questo il maestro dice a Samba che perfino nella nobiltà c’è sempre un fondo di paganesimo
perché presuppone l’esaltazione dell’uomo. E infatti «gli uomini dell’Occidente conoscono
sempre meno il miracolo e la grazia» ma forse si potrebbe tradurre meglio con
«riconoscono».
Samba Diallo è un bambino che è stato affidato da suo padre, Il Cavaliere, al capo della
tribù dei Diallobé perché segua l’insegnamento di un severo maestro dei scuola coranica,
Thierno. Quest’ultimo intravede ben presto delle qualità eccezionali nel ragazzo. Quando
arriva l’età di recarsi alla scuola europea, i pareri sono divisi: il capo dei Diallobé esita a
mandarcelo, il maestro della scuola lo sconsiglia vivamente e la Grande Royale, sorella del
capo, vi è al contrario favorevole e sarà lei ad avere la meglio.
A Parigi Samba Diallo vive molto presto il suo isolamento e lacerazione tra due culture:
incontra Lucienne, una comunista e Pierre-Louis, un avvocato antillese, militante con i quali
dibatte del confronto e del principio dell’interrelazione tra le culture. Alla richiesta del
padre, torna in Africa. Rincontra un uomo, divenuto folle, dopo un soggiorno in Europa, che
gli propone di prendere la successione del maestro, Thierno, deceduto. Ma Samba Diallo ha
abbandonato la pratica religiosa. Il folle lo pugnala e mette fine all’ambiguità della sua
avventura.