De Administrando Imperio

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De Administrando Imperio
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Costantino VII Porfirogenito
De Administrando Imperio
(Amministrazione dell’impero)
Προς τον ίδιον υιόν Ρωμανόν
(Al nostro proprio figlio Romano)
948/9521
1 Traduzione, dalle versioni in inglese e francese, e note: @ associazione culturale Larici.
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Proemio
Un uomo saggio rallegra suo padre1 e un padre affettuoso trova piacere in
un figlio saggio2. Dio dà il potere di parlare, quando necessario, e aggiunge
un orecchio per sentire3. Perché in Lui è il tesoro della sapienza, e ogni dono
perfetto da Lui proviene4. Egli rafforza i re sui loro troni e dà loro un potere
su tutto. Or dunque, ascoltami, figlio mio, perché penetrato il mio
insegnamento, tu sarai saggio tra i prudenti e riconosciuto prudente tra i
saggi; il popolo ti benedirà e tutti i popoli ti proclameranno beato.
Ti dirò che cosa conviene prima di tutto sapere e assumere per dirigere
abilmente un impero. Studia le cose oggi e informati delle cose di domani,
alfine di accumulare un’esperienza e un giudizio sicuro, e tu sarai il più
competente del tuo dominio. Ecco, ho preparato per te un insegnamento
affinché, così dotato di esperienza e conoscenze puntuali per consigli attenti
e di buon senso, tu non possa commettere errori: in primo luogo, [ti
indicherò] come ogni popolo può aiutare o danneggiare i Romani5, come
devastare con la guerra e sottomettere una o più persone, in seguito
[parlerò] del loro temperamento avido e insaziabile e dei doni che essi
esigono senza misura; poi degli altri popoli e delle loro differenze, origini,
abitudini, costumi, dell’ubicazione e del clima del territorio che occupano
con la descrizione geografica e la dimensione; inoltre [racconterò] alcuni
avvenimenti che si sono verificati in tempi diversi tra i Romani e questi
diversi popoli e, continuando ancora, [ti dirò] quali riforme sono state
introdotte in tempi diversi nel nostro stato e in tutto l’impero romano.
Queste cose le ho considerate nella mia saggezza e voglio portarle alla
tua conoscenza, mio amato figlio, affinché impari a conoscere ciascun
popolo per sapere come bisogna trattare con loro e governarli, come
condurre fra loro la guerra o respingere i loro attacchi. E i popoli rimarranno
stupiti davanti alla tua grandezza e ti fuggiranno come il fuoco, la loro bocca
resterà imbavagliata e le tue parole le percepiranno come ordini. Il tuo
aspetto sarà per loro terribile e davanti a te un fremito li coglierà.
1 Proverbi, 10,1.
2 Proverbi 17,21. Costantino VII si rivolge al figlio Romano (939-963), che sarà imperatore
bizantino dal 959.
3 Isaia 50.4.
4 Proverbi 2,6; Lettera di Giacomo 1,17.
5 Qui e in tutto il testo sono detti “Romani” i Bizantini.
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L’Onnipotente ti riparerà con uno scudo, il tuo Creatore ti colmerà di
sapienza, guiderà i tuoi passi e ti renderà invincibile. Il tuo trono davanti a
Lui sarà come il sole, e i suoi occhi saranno fissi su di te, e le avversità non
avranno alcuna presa su di te: Lui stesso ti ha eletto, ti ha scelto fin dal
seno materno, ti ha affidato, ritenendoti il migliore, il suo regno su tutti gli
uomini e ti ha elevato come una torre su una collina o come una statua
d’oro su una altura o come una città su una montagna, in modo che le
popolazioni ti portino dei doni e che gli abitanti della Terra si inchinino
davanti a te.
Ma, Signore, mio Dio, il cui regno è imperituro, eterno, sii la guida di colui
che per te è nato da me, fa’ che il tuo volto sia girato verso di lui, che il tuo
orecchio sia teso verso la sua preghiera, che la tua mano lo protegga, che
egli regni per la verità, che la tua destra gli indichi il cammino, che le sue
vie siano dirette alla tua presenza per mantenere i tuoi comandamenti, che
davanti a lui cadano i suoi avversari e i suoi nemici lecchino la polvere, che
il suo tronco sua ombreggiato dalle foglie di una gran posterità e che
l’ombra dei suoi frutti si diffonda sulle montagne reali, perché è attraverso
Te che regnano i re e che essi ti lodano per l’eternità.
1. I Peceneghi: come, in pace, possono essere utili all’imperatore
dei Romani
Ora ascolta, figlio mio, queste cose che a mio avviso tu non devi ignorare,
ma impararle se vuoi accedere al potere. Io sostengo infatti che se
l’istruzione è un bene per tutti, compresi i nostri sudditi, lo è soprattutto per
te, che devi pensare alla sicurezza di tutti, orientare e guidare la nave di
questo mondo. E se per definire il mio argomento, ho seguito il sentiero
battuto dalle parole, per così dire, scrivendo in prosa, chiara e banale, non
stupirti, figlio mio. Perché io non ho cercato di ostentare una bella scrittura
aureolata di stile attico ed enfasi sublime, ho piuttosto voluto insegnarti,
con propositi didattici e familiari, quelle cose che tu non dovrai mai
disconoscere, io credo, e che possono facilmente apportare l’intelligenza e la
prudenza, frutti di una lunga esperienza.
Penso dunque che sia sempre preferibile, per l’imperatore dei Romani,
essere portato a mantenere la pace con il popolo dei Peceneghi 1 e a
concludere accordi e trattati di amicizia con loro e a inviare loro, ogni anno
da parte nostra, un apocrisiario2 con doni degni di questo popolo, e di
prendere in cambio delle precauzioni, ossia degli ostaggi e un
rappresentante, che saranno tenuti sotto la responsabilità del ministro
competente di questa città protetta da Dio; solo allora essi potranno godere
di tutti i benefici e dei doni appropriati che sarà gradito all’imperatore
dispensare loro.
1 Popolo nomade di origine turca che compare alla frontiera sud-est dell’impero cazaro
nell’VIII secolo e si installa nel X secolo a nord del Mar Caspio.
2 Ambasciatore imperiale bizantino.
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I Peceneghi sono i vicini del distretto di Cherson3 e, se essi non sono ben
disposti verso di noi, sono capaci di incursioni e di razzie contro Cherson,
arrivando anche a devastare la città e i suoi dintorni.
2. I Peceneghi e i Rus’2
I Peceneghi sono i vicini dei Rus’ e mercanteggiano anche con loro;
spesso, quando i due popoli non sono in pace, essi saccheggiano la Rus’, e
fanno un male e un danno notevoli.
I Rus’ si prodigano grandemente per mantenere la pace con i Peceneghi,
perché comprano bovini, cavalli e pecore e ciò che rende loro la vita più
facile e piacevole, perché nessuno degli animali menzionati si trova in Rus’.
Inoltre, i Rus’ sono totalmente impediti di andare a fare la guerra oltre i loro
confini, a meno che non siano in pace con i Peceneghi, perché una volta
lontano dalle loro case, questi ultimi possono invadere, distruggere e
devastare i loro beni.
È per questo che i Rus’, sia per evitare le devastazioni che per la forza di
questo popolo, sono i più preoccupati di essere sempre loro alleati e di
averli come sostegno, alfine di poter sbarazzarsi ben bene dei loro nemici
sfruttando il vantaggio del loro aiuto.
I Rus’ non possono ottenere nulla dalla città imperiale dei Romani, sia per
la guerra che per il commercio, se non sono in pace con i Peceneghi, perché
quando i Rus’, nelle loro imbarcazioni, giungono alle rapide del fiume essi
non le possono attraversare, se non tirano fuori le loro barche dall’acqua e
se le caricano sulle spalle, cosicché il popolo dei Peceneghi li attacca, e
poiché essi non possono resistere a due mali insieme, esso li disperde e li
massacra.
3. I Peceneghi e i Turchi
Anche la tribù dei Turchi teme grandemente i Peceneghi perché essi li
hanno spesso vinti e sono stati vicini allo sterminio. E quindi, i Turchi
sempre guardano i Peceneghi con terrore, essendo da loro racchiusi.
4. I Peceneghi, i Rus’ e i Turchi
Finché l’imperatore dei Romani è in pace con i Peceneghi, né i Rus’ né i
Turchi possono venire in armi sui territori romani, né possono più esigere
dai Romani, come prezzo della pace, delle ingenti somme di denaro o di
beni, perché temono il potere e la forza di questo popolo che l’imperatore
può rivoltare contro di loro mentre si battono contro i Romani. Perché i
Peceneghi, una volta fatta amicizia con l’imperatore e guadagnata grazia
con lettere e doni, possono facilmente invadere il paese dei Rus’ e dei
Turchi, ridurre in schiavitù le loro donne e i figli e distruggere il loro paese.
3 Cherson (in slavo Korsun’) è l’antico nome di Sebastopoli in Crimea.
2 Rus’, o Ros’, dall’ebraico ros, capo, era il nome che i Cazari davano agli abitanti della Rus’
di Kiev, ovvero ai Varjaghi, tribù scandinava discesa lungo il fiume Dnepr che si insediò a
Kiev, dando origine al principato.
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5. I Peceneghi e i Bulgari
L’imperatore dei Romani appare ancora più formidabile ai Bulgari1, e può
imporre loro il suo bisogno di tranquillità, se è in pace con i Peceneghi.
Infatti, i suddetti Peceneghi sono anche i vicini dei Bulgari, e quando i
Peceneghi lo vogliono, sia per interesse personale che per compiacere
l’imperatore dei Romani, possono facilmente attaccare la Bulgaria e, con la
loro moltitudine e la loro forza preponderante, dominarli e distruggerli.
Così, i Bulgari si sforzano di continuo di mantenere la pace e la concordia
con i Peceneghi. Essendo stati spesso oggetto di una sconfitta schiacciante,
hanno imparato con l’esperienza l’interesse di una pace duratura con loro.
6. I Peceneghi e i Chersonesi
Anche un’altra di queste tribù di Peceneghi vive nei pressi del
Chersoneso2, e questi Peceneghi fanno commercio con i Chersonesi e fanno
ogni tipo di servizio per loro e per l’imperatore, in Rus’, in Cazaria3, in
Zichia4 e presso i popoli più lontani, cioè essi ricevono dai Chersonesi delle
sovvenzioni previste prima per un servizio commisurato al loro lavoro e al
loro sforzo, sotto forma di stoffe tessute di porpora, nastri, tessuti lenti,
broccati d’oro, polvere scarlatta o pelli e altri prodotti di cui hanno bisogno,
secondo un accordo che ogni Chersonese può fare o accettare con un
particolare pecenego. Perché questi Peceneghi sono uomini liberi e, per così
dire, indipendenti, essi non rendono mai un servizio senza compenso.
7. Come inviare delegati imperiali da Cherson in un paese
pecenego
Quando un delegato imperiale deve andare a Cherson in missione, egli ne
informerà immediatamente i Peceneghi ed esigerà da essi degli ostaggi e
una scorta. Arrivato da loro, lascerà gli ostaggi sotto buona guardia nella
cittadella di Cherson, e sotto scorta dei Peceneghi svolgerà la sua missione.
Tuttavia, questi Peceneghi [sono] veramente insaziabili di ciò che è raro
per loro, chiedono sfacciatamente doni costosi, gli ostaggi esigono questo
per loro e quello per le loro donne, le guide qualcosa per i loro propri sforzi
e qualcos’altro per la fatica dei loro animali. Così, quando il delegato
imperiale è entrato nel loro paese, gli chiedono subito i doni dell’imperatore,
e poi di nuovo, quando gli uomini sono sfamati, chiedono dei regali per le
loro mogli e i loro parenti. Inoltre, tutti coloro che li scortano durante il
ritorno da Cherson vogliono un pagamento per la loro fatica e la fatica dei
loro animali.
1 Ossia i Bulgari lungo il bacino del fiume Volga, detti Bulgari Neri o Bulgari della Kama,
ceppo etnografico dei Bulgari danubiani.
2 Si tratta del Chersoneso Taurico, ossia l’odierna Crimea, con capitale Cherson.
3 O Khazaria, regione abitata da nomadi turchi e confinante con l’impero bizantino, la Rus’
di Kiev e i Bulgari del Volga.
4 Regione a est del Mar Nero e del Mar d’Azov, detta poi Cirassia.
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8. La spedizione di delegati imperiali in chelandia1 dalla città
protetta da Dio, in un paese pecenego, lungo i fiumi Danubio, Dnepr
e Dnestr
Una parte dei Peceneghi è ugualmente insediata sul territorio della
Bulgaria, nella regione del Dnepr, del Dnestr e di altri fiumi dei dintorni.
Quando un delegato imperiale è inviato qui in chelandia, può, senza passare
da Cherson, trovare i Peceneghi facilmente e rapidamente, e quando li ha
trovati, egli invia loro un messaggero, restando a bordo dei navigli, per
tenere con sé i beni imperiali e sorvegliarli. Ed essi vengono a vederlo, e, al
loro arrivo, il delegato imperiale dà in ostaggio alcuni dei suoi uomini, si fa
consegnare in cambio altri ostaggi peceneghi, e li accoglie sulle chelandie,
quindi conclude un accordo con loro; e quando i Peceneghi hanno prestato
giuramento al delegato imperiale conformemente al loro zakana2, offre loro i
doni imperiali, sceglie fra loro tanti «amici» quanti desidera, quindi se ne
ritorna. Un accordo deve essere stipulato fra loro a condizione che ovunque
l’imperatore li chiamerà, dovranno servirlo, che sia contro i Rus’, i Bulgari, o
anche i Turchi3. Poiché sono capaci di fare la guerra a tutti questi popoli, e
avendola spesso combattuta, questi popoli li guardano oggi con timore. Ciò
fa chiaramente emergere un problema. Una volta, si inviò per mandato
imperiale il chierico4 Gabriele presso i Turchi; egli disse loro: «L’imperatore
vi fa sapere che dovete cacciare i Peceneghi dai loro luoghi d’abitazione e
insediarvi lì, perché precedentemente avevate l’abitudine di vivere là, così
voi sareste più vicini a noi e quando avrò bisogno di voi, potrò inviare a
cercarvi e trovarvi rapidamente». Tutti i notabili Turchi esclamarono allora
d’una sola voce: «Non vogliamo metterci sulla strada dei Peceneghi, perché
non possiamo combatterli, il loro paese è grande, il loro popolo numeroso
ed essi sono una razza sudicia; non esigete mai più ciò da noi, perché non ci
piace!»
Quando la primavera è finita, i Peceneghi passano sull’altra riva del fiume
Dnepr, e vi restano sempre durante l’estate.
9. L’arrivo a Costantinopoli dei Rus’ della Rus’ con le loro
monoxyla5
Le monoxyla che discendono dalla Rus’ all’esterno di Costantinopoli,
venendo da Nebogardas6 dove regna Sfendosthlavos7 figlio di Igor’, principe
di Rus’, essi vengono anche dal luogo di Miliniska, di Telioutza, di Tzernigoga
e di Vousegrad8. Tutti discendono il fiume Dnepr e si raccolgono nella città di
1 Nave leggera da guerra con un ordine di remi.
2 La legge consuetudinaria (dal protoslavo zakon’).
3 I Turchi Magiari, o Ungari.
4 Giovane di studio.
5 Le monoxyla sono piccole canoe ricavate da un tronco, con fondo piatto e guidate tramite
una pagaia.
6 Novgorod.
7 Svjatoslav.
8 Rispettivamente, Smolensk, forse Ljubeč, Černigov e Višgorod.
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Kioaba1 che hanno chiamata anche Sambatas. Tributari dei Rus’, gli Slavi,
chiamati Kribetaienoi, Lenzanenoi e gli altri Sclavini2, approntano, sulle loro
montagne, durante l’inverno, le monoxyla3 e dopo averle assemblate, alla
fine della stagione, quando il ghiaccio s’è sciolto, le fanno entrare nei laghi
vicini. Poiché questi entrano [con gli emissari] nel fiume Dnieper, essi [gli
Slavi] penetrano da lì nel fiume, arrivando a Kiev, trascinando le
imbarcazioni fino all’arsenale, e le vendono ai Rus’. I Rus’ acquistano
soltanto gli scafi e, smontando le loro vecchie canoe, adattano, su questi
ultimi, i remi, le panche e gli altri strumenti necessari e li equipaggiano.
Nel mese di giugno si mettono in viaggio lungo il fiume Dnepr, scendono
alla città di Vitetzebe4 che è tributaria dei Rus’, si fermano là per due o tre
giorni finché si sono radunate tutte le imbarcazioni, quindi si rimettono in
marcia e discendono il suddetto fiume Dnepr. E prima di tutto arrivano alla
prima barriera, chiamata Essoupi, che vuol dire, in russo ed in slavo, «Non
addormentarti!». Questa rapida non è più larga dello Tzykanisterion5. Nel
suo mezzo si ergono alte rocce che affiorano come isole. L’acqua vi si
precipita, straripa e schizza fino all’altra riva facendo un fragore spaventoso.
Quindi i Rus’ non osano passare fra queste rocce, ma accostano nelle
vicinanze, scaricano gli uomini sulla terraferma lasciando le loro mercanzie
nelle barche, quindi tastano il fondo con i piedi nudi [mancanza] per non
urtare qualche roccia. Procedono così, alcuni a prua e altri in mezzo, mentre
altri, da riva, manovrano con le pertiche e con questa accurata procedura,
essi passano la prima rapida seguendo la curva e la riva del fiume. Quando
hanno passato questa barriera ripartono, dopo aver reimbarcato quelli sulla
terraferma, e scendono fino alla rapida seguente, chiamata in russo
Oulvorsi6, e in slavo, Ostrovouniprach, che significa « l’isola delle rapide»7.
Quest’ultima, quanto la prima, è pericolosa e difficile da superare.
Scaricando nuovamente la loro gente, essi fanno passare le loro barche
come in precedenza. Superano allo stesso modo la terza rapida, chiamata
Gelandri, cosa che vuole dire in slavo ’il rumore della rapida’ ; quindi la
quarta, la più grande, nominata in russo Aeifor ed in slavo Neasit, perché i
pellicani nidificano tra le sue grandi rocce. Là tutte le monoxila accostano,
prua davanti, e gli uomini designati per vegliare ne escono e vanno a
montare la guardia per vigilare sui Peceneghi. Gli altri si caricano delle
merci che si trovavano nelle canoe, mentre gli schiavi tirano queste con
catene sulla terraferma per sei miglia, fino a quando hanno passato la
rapida. Quindi, gli uni trascinandole, gli altri portandole sulle loro spalle,
trasbordano le canoe dall’altro lato della rapida. In seguito, avendole messe
in acqua ed avendo effettuato il loro carico, essi si reimbarcano e navigano
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O Kiyaba, nome bizantino di Kiev.
Rispettivamente Kriviči, Lenzeninoi o Lenzaneni, Sclaveni.
Ossia tagliano il legname.
Vitičev.
Terreno di gioco del polo che era nel Gran Palazzo di Costantinopoli.
In norreno (scandinavo).
Oppure isola della barriera o dello sbarramento.
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nuovamente. Essi arrivano allora alla quinta rapida chiamata Varouforos in
russo e Voulniprach in slavo, perché forma un grande lago, e di nuovo essi
dirigono le loro canoe lungo le curve del fiume, come per la prima e la
seconda rapida, e raggiungono la sesta, chiamata Leanti in russo, e Veroutzi
in slavo, che significa: ’ribollire dell’acqua’ , e la passano ancora allo stesso
modo. Navigano in seguito fino alla settima rapida, nominata in russo
Stroukon ed in slavo Naprezi, che significa: ’piccola barriera’. Quindi
superano il passaggio detto di Krarion1, che traversano i Chersonesi
venendo dalla Rus’ e i Peceneghi da Cherson; questo passaggio della
larghezza dell’Ippodromo [di Costantinopoli], la sua lunghezza dal limite fin
dove le rocce affiorano, è lungo quanto il tiro di freccia di un arciere. È per
questo che i Peceneghi scendono di là per attaccare i Rus’. Avendo superato
questo luogo, [i Rus’] arrivano ad un’isola che porta il nome di San
Gregorio; su quest’isola compiono i loro sacrifici, poiché una quercia enorme
si erge là; essi sacrificano galli vivi. Piantano delle frecce in cerchio: altri
[offrono] pezzi di pane e di carne, ed una parte di ciò che ciascuno
possiede, come vuole il loro costume. Traggono anche a sorte a proposito
dei galli per sapere se devono sgozzarli, mangiarli, o lasciarli in vita. A
partire da quest’isola, i Rus’ temono i Peceneghi, fino a quando hanno
raggiunto il fiume Selinas. Avendo lasciato l’isola navigano per quattro
giorni fino a quando arrivano al lago che forma la foce del fiume, e nel quale
si trova l’isola di Sant’Aitherios2. Avendo raggiunto quest’isola, vi si riposano
per due o tre giorni. Poi equipaggiano le loro canoe delle cose che
necessitano, vele, alberi, timoni, che avevano portato con loro. Poiché la
foce del fiume è costituita da questo lago di cui abbiamo parlato più su,
essa raggiunge il mare, e l’isola di Sant’Aitherios si trova vicino al mare, di
là, si dirigono verso il fiume Dnestr e quando vi sono giunti sani e sicuri, si
riposano nuovamente. Quando il tempo è favorevole, si reimbarcano e
arrivano fino al fiume chiamato Aspros, e dopo essersi ancora riposati,
salpano nuovamente e raggiungono il fiume Selinas che è uno dei bracci del
Danubio. E fino a quando non hanno superato il Selinas, i Peceneghi li
seguono. Quando succede che il mare sospinge una canoa sulla costa, tutti
gli altri scendono a terra per opporre ai Peceneghi una difesa comune. Dopo
il Selinas, non temono più nessuno, poiché è la terra bulgara che li circonda,
e si dirigono verso la foce del Danubio. Dopo il Danubio raggiungono
Konopas, dopo Konopas, Constantia e il fiume di Varna; da Varna vanno
verso il fiume Ditzina, essendo tutte queste regioni territorio della Bulgaria.
Dal Ditzina arrivano nella regione di Mesembria, ed è là che ha fine la loro
dura, terrificante, impossibile e dura migrazione.
Durante l’inverno, la dura esistenza di questi stessi Rus’ è la seguente:
quando arriva il mese di novembre, immediatamente i loro principi con tutti
i Rus’ lasciano Kiev e partono per i poludia, che significa “circondari”, cioè
1 Identificabile con il guado di Kichkas.
2 O Sant’Aiterio, attuale isola di Berezan’ nel grande estuario comune del Dnepr e del Bug
Orientale.
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dagli Sclavini, [e nei territori] dei Vervianoi, Drougouvitai, Kribitzoi,
Severioi1 e degli altri Slavi che sono tributari dei Rus’. Durante tutto
l’inverno si fanno trattenere là, poi di nuovo, dopo il mese d’aprile, poiché il
ghiaccio del Dnepr s’è sciolto, ritornano a Kiev. Dopo ciò, prendono le loro
canoe, come detto sopra, le equipaggiano e scendono verso la Romania.
Gli Uzi2 possono attaccare i Peceneghi.
10. Come e da chi la guerra dovrebbe essere fatta contro i Cazari.
Proprio come gli Uzi possono combattere i Cazari, essendo loro vicini, lo
stesso [può fare] il sovrano degli Alani3, perché le Nove Regioni di Cazaria4
sono vicine alle sue terre, e l’alano, se vuole, potrebbe piombare su di loro e
causare gravi danni e la rovina dei Cazari: da queste Nove Regioni
provengono la sussistenza e l’abbondanza della Cazaria.
11. Le città di Cherson e del Bosforo
Se il re degli Alani non resta in pace con i Cazari e considera l’amicizia
dell’imperatore dei Romani come preziosa per lui, e se i Cazari non si
decidono di vivere in pace e amicizia con l’imperatore, l’alano può recare
grande danno. Può preparare delle imboscate e attaccarli quando marciano
ignari verso Sarkel5, verso le Nove Regioni e verso Cherson. E se questo
sovrano volesse agire con zelo per poterli controllare, Cherson e le Regioni
potrebbero allora beneficiare di una pace duratura e profonda, perché i
Cazari, temendo l’attacco degli Alani, e non essendo liberi in realtà di
attaccare Cherson e le Regioni con un’armata, in quanto non sono
abbastanza forti per combattere sui due fronti contemporaneamente,
saranno costretti a rimanere in pace.
12. I Bulgari Neri e la Cazaria
Allo stesso modo, coloro che si chiamano Bulgari Neri possono ancora
fare la guerra ai Cazari.
13. I popoli vicini dei Turchi6
Questi popoli sono vicini ai Turchi delimitati a ovest dalla Francia
occidentalis7; a nord dai Peceneghi, e a sud dalla Grande Moravia, il paese
di Sphendoplokos8, che è stato ora completamente devastato da questi
Turchi e occupato da loro. Dalla parte delle montagne, i Croati sono vicini
dei Turchi.
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Rispettivamente, Derviani, Dregoviči, Kriviči e Severiani.
Tribù turca delle steppe.
Popolazione nomade di etnia iranica.
Una per ogni tribù cazara.
O Sarkil, fortezza cazara sulla riva sinistra Don, conquistata dal Gran principe di Kiev
Svatoslav I nel 965 e forse oggi identificata presso Cimljansk (Tsimlyansk).
Turchi Magiari o Ungari.
La Francia occidentalis era il regno iniziato da Carlo il Calvo un secolo prima.
Svatopluk o Sventopolk I, re della Grande Moravia dall’871 all’894.
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I Peceneghi possono attaccare i Turchi, saccheggiarli e causare loro danni
molto gravi, come ho detto sopra nel capitolo dei Peceneghi.
Concentra, figlio mio, l’occhio del tuo spirito 1 sulle mie parole, apprendi
queste cose che ti scrivo, e potrai, quando ne avrai bisogno, partire dai
tesori ancestrali che fanno uso della pienezza della sapienza e della
moderata prudenza. Sappi dunque che tutte le tribù del nord hanno, per
natura, un desiderio insaziabile di denaro, ed è per questo che esigono
tutto, vogliono tutto e la loro concupiscenza è senza freno, essi ambiscono
sempre di più, dopo aver fatto grandi profitti in cambio di piccoli servizi.
Occorre dunque respingere e rigettare le esigenze e le richieste importune
sfacciatamente presentate con discorsi circostanziati e prudenti come pure
con abili scappatoie. Poiché la nostra esperienza ci ha permesso di arrivarci,
per parlare sommariamente, accadrà più o meno quanto segue:
Se avverrà mai che Cazari, Turchi o anche Rus’, o qualsiasi altro popolo
del Nord, e Sciti, come spesso succede, chiedano che si invii loro abiti
imperiali, corone o vesti come ricompensa di qualche funzione o servizio
svolto, ti scuserai allora dicendo: «Queste vesti, queste corone che noi
chiamiamo kalymafkion2 non sono stati fabbricati dalla mano dell’uomo, né
elaborati dall’artigianato umano, ma opera divina, come lo troviamo scritto
nei resoconti segreti della storia antica; quando Dio fece imperatore
Costantino il Grande, primo imperatore cristiano, glieli li inviò con il suo
angelo, e gli ordinò di depositarli nella grande e santa Chiesa di Dio, che
porta il nome della saggezza e fu chiamata Santa Sofia, dove Dio dimora, di
non indossarli ogni giorno, ma soltanto durante una grande festa pubblica in
onore del Signore. E così, secondo il comandamento di Dio, tutto ciò è ora
sospeso sopra la santa tavola nel santuario di questa stessa chiesa, per
decorarla. Gli altri abiti imperiali restano piegati su questa tavola santa».
E quando arriva una festa in onore del nostro Signore Dio e di Gesù
Cristo, il patriarca prende alcune di queste vesti e corone, quelle che
convengono, e li invia all’imperatore perché le indossi durante la
processione e là soltanto, come servo e ministro di Dio; dopo averle messe,
egli le rinvia nuovamente in chiesa dove sono riposte. Inoltre, una
maledizione del santo e grande imperatore Costantino è incisa sulla santa
tavola della chiesa di Dio, iscritta dall’angelo di Dio. Se un imperatore ha un
desiderio intempestivo di prenderle, di farne un cattivo impiego personale
per qualsiasi utilizzo, occasione o sentimento di cupidigia o per darle ad
altri, sarà colpito da anatema come nemico e avversario degli ordini di Dio,
e sarà scomunicato dalla Chiesa; inoltre, se gli prendesse il desiderio di
farne fare altre identiche, anche quelle devono essere riposte nella chiesa di
Dio, secondo il beneplacito liberamente espresso da tutti gli arcivescovi e
dal Senato. Né l’imperatore, né il patriarca, né qualunque altro mortale, ha
1 «Occhio del tuo spirito», o «occhio della tua mente», è un’espressione attribuita al
leggendario Ermete Trismegisto, cui la cultura antica attribuì la paternità di una serie di
scritti greci.
2 Parola greca – talvolta tradotta con camelaucia – indicante il copricapo degli imperatori
bizantini a calotta con due bande laterali.
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l’autorità per rubare le vesti o le corone dalla santa chiesa di Dio. E una
minaccia potente pesa su coloro che sono propensi a trasgredire una di
queste ordinanze divine. Uno dei nostri imperatori, chiamato Leone1, che
aveva anche sposato una donna della Cazaria, volle nella sua pazzia e nella
sua temerarietà coprirsi di una corona mentre nessuna festa in onore del
Signore era prevista, e fece ciò senza l’approvazione del patriarca.
Immediatamente il fuoco scaturì dalla sua fronte, egli fu piegato dalle
sofferenze, completò orribilmente la sua cattiva vita, e corse verso una
morte prematura. E, essendo questo atto audace sommariamente
vendicato, si stabilì poi una regola secondo la quale, al momento
dell’incoronazione, l’imperatore deve prima prestare giuramento e affermare
che non farà né concepirà qualcosa contro ciò che è stato ordinato e
mantenuto dai tempi antichi; dopo ciò il patriarca può incoronarlo ed
effettuare i riti adeguati alla festa prevista.
Tu devi sopra ogni cosa prestare le tue cure e la tua attenzione sul fuoco
greco che si lancia tramite tubi; e se si osa chiedertene, com’è stato fatto
spesso a noi stessi, devi rifiutare e respingere questa preghiera rispondendo
che il fuoco è stato mostrato e rivelato da un angelo al grande e santo
primo imperatore cristiano Costantino2. Per questo messaggio e per l’angelo
stesso, gli fu ingiunto, secondo la testimonianza autentica dei nostri padri e
dei nostri antenati, di preparare questo fuoco per i soli cristiani, nella sola
città imperiale, e mai altrove; di non trasmetterlo e mai insegnarlo a alcuna
altra nazione, quale che fosse. Il grande imperatore allora, per garantirsi
contro i suoi successori, fece incidere sulla tavola santa della chiesa di Dio
delle imprecazioni contro chi osasse comunicarlo allo straniero. Prescrisse
che il traditore fosse considerato come indegno del nome di cristiano, di
qualsiasi carica e di qualunque onore, che se egli avesse qualche dignità egli
ne fosse spogliato. Dichiarò anatema nei secoli dei secoli, dichiarò infame
chiunque, imperatore, patriarca, principe o suddito, colui che avesse
provato a violare tale legge. Ordinò inoltre a tutti gli uomini con il timore e
l’amore di Dio di trattare il prevaricatore come un nemico pubblico, di
condannarlo e consegnarlo al supplizio più spaventoso. Tuttavia una volta
successe che uno dei grandi dell’impero, lusingato da immensi doni, rivelò
questo fuoco a uno straniero, ma Dio non poté vedere una simile atrocità
impunita, e un giorno che il colpevole stava per entrare nella chiesa santa
del Signore, una fiamma scesa del cielo lo avvolse e lo divorò. Tutti le menti
furono presi dal terrore, e nessuno osò, da allora, qualunque fosse il suo
rango, progettare e ancora meno eseguire un crimine così grande.
Ma esaminiamo ora un’altra richiesta mostruosa e insensata, per cercare
e scoprire la risposta adeguata e adatta. Se un popolo qualunque di
quest’infedeli e di queste tribù disonorate del nord domandasse un giorno
un’alleanza per matrimonio all’imperatore dei Romani, sia volendo sposare
la propria figlia, sia volendo dargli in matrimonio, a lui o a suo figlio, una
1 Leone III l’Isaurico (675-741), imperatore dal 717.
2 In seguito (cap. XLVIII) Costantino afferma che l’invenzione del fuoco greco è di Callinico.
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delle sue figlie, questa domanda sconveniente da parte loro dovrà
ugualmente essere allontanata dicendo le parole: «Anche a questo riguardo
esiste una disposizione terribile e irremovibile: un decreto del grande e
santo imperatore Costantino, inciso sull’altare principale di Santa Sofia,
diffida gli imperatori romani di contrarre alcuna alleanza per matrimonio con
qualunque nazione estranea ai costumi e alle pratiche dei Romani, ma
soprattutto con quelle che non abbiano ricevuto il battesimo, a esclusione
tuttavia dei Franchi. Il grande e santo imperatore Costantino fece eccezione
a favore di questa sola nazione, perché era nato in quel paese. Legami di
parentela e grandi rapporti commerciali esistevano, infatti, tra i Franchi e i
Romani».
E perché ordinò che fosse con loro soltanto che i Romani potessero
sposarsi? A causa della nobiltà e della notorietà di questo popolo, già citate.
Ma con ogni altro popolo, lo ha proibito, e colui che osasse farlo sarebbe
condannato come estraneo nelle file dei cristiani e anatematizzato, come
trasgressore delle leggi antiche e delle ordinanze imperiali.
E quell’imperatore Leone evocato più sopra, che si coronò del diadema,
illegalmente e imprudentemente, senza consenso di colui che era allora
patriarca della Chiesa, prese la corona e si incoronò e poi iniziò
immediatamente a subire la punizione per il suo tentativo pernicioso, per
avere osato prendere alla leggera e non tener conto dell’ordine di
quest’imperatore santo, che come si è già detto, è inciso sulla santa tavola.
Avendo già una volta abbandonato il timore di Dio e i suoi comandamenti,
contrasse anche un’alleanza per matrimonio con il khagan1 di Cazaria, e
prese sua figlia per moglie2, coprendo quindi di obbrobrio tanto lui che
l’impero dei Romani, per avere trascurato le ingiunzioni antiche; e tuttavia
lui non era neppure un cristiano ortodosso, ma un eretico e un iconoclasta.
Fu scomunicato e anatematizzato dalla Chiesa di Dio per le sue pratiche
illegali, come trasgressore e traviatore dell’ordinanza di Dio e del santo e
grande imperatore Costantino. Perché come si può ammettere che i cristiani
contraggano matrimoni e si combinino degli infedeli, quando il canone lo
proibisce e ogni Chiesa lo considera come un estraneo entro e fuori l’ordine
cristiano? Perché uno dei nostri imperatori dei Romani, illustre, nobile o
prudente avrebbe potuto accettarlo?
E se essi rispondessero: «Perché dunque l’imperatore Romano3, ha potuto
combinarsi in matrimonio con i Bulgari, e dare sua nipote a Pietro signore di
Bulgaria4?» Ecco quale sarà la risposta:
L’imperatore Romano era un uomo ordinario e illetterato, e non fu
1 Imperatore.
2 Non fu Leone III a sposarsi, ma fu lui a combinare il matrimonio tra suo figlio Costantino
e Irene, figlia del khan cazaro, per assicurarsi la pace.
3 Romano I Lecapeno (870-948), fu imperatore bizantino dal 920, quando Costantino VII
era troppo giovane per governare, ma poi rimase sul trono fino al 944 come coimperatore.
4 Pietro I (?-969), figlio di Simeone I e zar di Bulgaria dal 927 al 969. Nel 928 egli sposò, a
Costantinopoli, Maria, nipote di Romano I Lecapeno.
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allevato a palazzo, come quelli che seguirono i costumi romani nazionali
secolari; egli non era neppure di stirpe imperiale e nobile; è per questo che,
nella maggior parte dei suoi atti, fu troppo arrogante e dispotico, e in quel
caso non tenne conto dei divieti della Chiesa, né seguì il comandamento e
l’ordinanza del grande Costantino. Ma è perché era arrogante, ostinato e
senza etica morale, che rifiutò di seguire il bene, o di sottomettersi alle
ordinanze emesse dai nostri antenati, che osò fare ciò che segue: egli si
servì di una scusa speciosa per riacquistare molti prigionieri cristiani
[dicendo]: i Bulgari e noi siamo cristiani nella stessa fede; poi siccome
quella che fu data in matrimonio non era la figlia del precedente e legittimo
imperatore, ma del terzo e del più giovane, ancora subordinato, e che non
aveva alcuna parte nelle decisioni dello stato, che non c’era alcuna
differenza tra lei e un’altra delle donne della famiglia imperiale, più o meno
imparentata alla nobiltà imperiale, [che era stata data] per ricompensare
alcuni servizi per il bene comune, e che [non importava] che fosse la figlia
del più giovane, che non ha alcuna autorità per così dire.
E poiché fece questa cosa contrariamente al canone e alla tradizione
ecclesiastica e all’ordinanza e al comandamento del santo e grande
imperatore Costantino, il Signor Romano fu nel corso della sua vita molto
debole, calunniato e odiato dal Consiglio senatoriale, da tutto il popolo e
dalla Chiesa stessa, odio che si manifestò apertamente quando si avvicinò
alla fine; anche dopo la sua morte, è ancora disprezzato, calunniato e
condannato perché ha introdotto una riforma molto indegna e indecente
nella nobile amministrazione politica dei Romani. Ogni popolo ha infatti
usanze, leggi e istituzioni diverse; bisogna conservare i suoi valori, istituire
e sviluppare nel popolo un sentimento pubblico di vivere comune, come
ogni animale si mescola ai suoi congeneri, [e quelli di] ogni nazione hanno il
dovere di sposare quelli della stessa razza e della stessa lingua e non quelli
di un’altra razza e di un’altra lingua. Perché così nascono l’armonia di
pensiero e di discorso, conversazioni amichevoli e una vita comune. Al
contrario, costumi stranieri e leggi differenti generano inimicizie, dispute,
odi e rivolte che tendono a fare nascere non più l’amicizia e l’unione ma il
rancore e la divisione. Nota anche, che coloro che vogliono governare
legittimamente non devono preoccuparsi di rifare ciò che è stato malfatto da
alcuni sia per ignoranza, sia per ambizione, ma devono tenere conto delle
azioni lodevoli dei regnanti legittimi e giusti, come seguire gli atti valorosi, e
seguendo questo modello, sforzarsi anche di dirigere le proprie azioni;
quanto al Signor Romano, considerata la sua fine, questi atti testardi sono
un avvertimento sufficiente per impedire chiunque fosse propenso a imitarlo
nei suoi atti riprovevoli.
E, quanto al resto, ora devi sapere anche ciò che segue, figlio mio
amatissimo, perché questa conoscenza può in gran parte favorirti e farti
grandemente ammirare da tutti. È, ancora una volta, la conoscenza delle
differenze con gli altri popoli, delle loro origini, dei costumi, modi di vita,
ubicazione, clima del territorio che essi occupano con la descrizione
geografica e la dimensione, che viene spiegato più ampiamente qui di
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seguito.
14. La genealogia di Maometto1
L’empio e impuro Maometto, che i Saraceni riconoscono come loro
profeta, fa risalire la sua genealogia alla grande razza di Ismaele, figlio
d’Abramo. Così Nizar, discendente di Ismaele, è proclamato padre di tutti
loro. Ora, lui ebbe due figli, Moundaros e Rabias2; Moundaros generò
Kousaros, Kaisos, Themimes ed Asandos e molti altri i cui nomi sono
sconosciuti, e ai quali si attribuì il deserto madianita3 dove essi portarono le
loro greggi, vivendo in tende. E ne ce n’è altri più lontano all’interno, che
non sono della stessa tribù, ma di Iektan [Potrebbe essere Jokthan, citato in
Genesi 10,25.], i pretendenti omeriti, cioè gli Ammaniti4. È questo che si
racconta. Maometto, senza denaro e orfano, credette di potersi sistemare
da una donna ricca, sua parente, chiamata Chadiga5, per occuparsi dei suoi
cammelli e fare commercio per lei in Egitto e in Palestina fra gli stranieri. In
seguito, poco a poco, diventò sempre più libero di intrattenersi con lei e di
guadagnare le sue grazie; ella era vedova, e lui la prese per moglie. Ma,
durante le sue visite in Palestina e le sue relazioni con ebrei e cristiani,
prese conoscenza di alcune loro dottrine e dell’interpretazione delle
Scritture. Ma poiché egli aveva l’epilessia, sua moglie, nobile e ricca, si
rattristò per essersi unita a quest’uomo, non soltanto senza risorse, ma
anche epilettico, ed egli la ingannò affermando: «Ho avuto la terribile
visione di un angelo chiamato Gabriele, e incapace di sopportare la sua
vista, sono svenuto e caduto», e un certo Arien, che pretendeva di essere
un monaco, gli credette, e fece una falsa testimonianza a suo favore per
amore del guadagno. La donna fu raggirata in questo modo e ripeté ad altre
donne della sua tribù che lui era un profeta; la menzogna si diffuse e
raggiunse le orecchie di un uomo ambizioso chiamato Bubachar6, e poi la
donna morì, lasciando che il marito ereditasse tutti i suoi beni; egli diventò
un notabile molto ricco; il suo maledetto inganno e la sua eresia si
insediarono sul territorio di Ethribos7 e quell’impostore pazzo insegnò a
quelli che lo credevano, che colui che uccide un nemico o è ucciso da un
nemico entra al paradiso, e altre sciocchezze. Ed essi pregano, inoltre, verso
la stella di Afrodite, che chiamano Koubar, e nelle loro preghiere,
esclamano: «Allah ua Kubar», cioè «Dio e Afrodite». Poiché chiamano il loro
dio Allah, e utilizzano «ua» come la congiunzione «e», e chiamano la stella
«Kubar», si dice allora «Allah ua Kubar».
1 Questo capitolo proviene dalla Cronaca di Teofane Confessore (IX secolo), della quale
Costantino VII riporta anche altri estratti.
Moundaros è Mudar e Rabias è Rabi’a.
A est del Mar Morto.
Popolo della Palestina.
Khadija.
O Abubachar, ossia Abu Bekr (o Bakr), coetaneo di Maometto e primo califfo e padre di
A’isha, la moglie bambina di Maometto.
7 Yathrib, antico nome di Medina.
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15. La tribù dei Fatimidi
Fatima era la figlia di Maometto, ed è da ella che provengono i Fatimidi1,
però non sono della regione di Fatemi, del paese della Libia, ma sono
insediati a nord del territorio della Mecca, oltre la tomba di Maometto. È un
popolo arabo, accuratamente addestrato alle guerre alle battaglie, poiché
con l’aiuto di questa tribù, Maometto entrò in guerra, conquistò molte città
e sottomise numerosi paesi. Perché essi sono uomini coraggiosi e guerrieri;
quando sono mille in un esercito, questo non può essere superato o
sconfitto. Non montano cavalli, ma cammelli, e in tempo di guerra, non
portano né armature né cotte di ferro, ma dei mantelli scuri; hanno lunghe
lance, scudi che proteggono tutto il corpo e grandissimi archi che solo pochi
uomini riescono a curvare e con difficoltà.
16. Estratto del canone che il saggio Stefano fece sulla partenza
dei Saraceni, in quale anno della creazione del mondo ciò si verificò,
e chi teneva lo scettro dell’impero dei Romani
La partenza dei Saraceni ebbe luogo il terzo giorno del mese di
settembre, decima indizione, dodicesimo anno di Eraclio, dell’anno 6130
dalla creazione del mondo2. E l’oroscopo di questi stessi Saraceni fu tratto
nel mese di settembre, il terzo giorno del mese, il quinto giorno della
settimana. In questa stessa epoca, Maometto fu il primo capo degli Arabi e
loro profeta; diresse gli Arabi per nove anni.
17. Estratto della Cronaca di Teofane, di felice memoria
In quest’anno 6139, morì Maometto, primo capo e falso profeta dei
Saraceni, dopo avere nominato il suo parente Abu Bekr al suo posto. Nella
stessa epoca la sua fama si diffuse all’estero e tutto il mondo prese paura.
All’inizio del suo arrivo gli Ebrei smarriti pensavano che fosse il Messia che
attendevano, cosicché alcuni dei loro capi si unirono a lui e accettarono la
sua religione trascurando quella di Mosè, che aveva visto Dio, ma quando
essi lo videro mangiare carne di cammello, si resero conto che lui non era
quello che credevano fosse. Tuttavia essi gli insegnarono a perpetrare
crimini abominevoli contro i cristiani e continuarono a stare con lui. Sono
loro che gli insegnarono ad accettare alcune parti della Legge, la
circoncisione e altre questioni, che i Saraceni osservano. Il primo a venir
dopo, allora, fu Abubachar3, che lo aveva proclamato profeta e per questa
ragione gli successe. E la sua eresia guadagnò il territorio di Ethribos, prima
in segreto per dieci anni, poi infine con una guerra di una decina d’anni, ed
apertamente per nove anni. Ed egli insegnò ai suoi sudditi che colui che
uccide un nemico o è ucciso da un nemico entrerà direttamente in paradiso.
1 Dinastia di califfi sciiti, discendenti di Fatima (605-633), quarta figlia del profeta.
2 Si tratta dell’Ègira, il trasferimento di Maometto verso l’oasi di Yathrib (Medina) avvenuto
dal 9 al 24 settembre 622.
3 Lo stesso che Abu Bekr (o Bakr).
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Questo paradiso è un luogo carnale dove si può mangiare, bere e stendersi
con le donne; vi cola un fiume di vino, di miele e di latte, [insegnò] che le
donne non sono come qui in terra, ma differenti, e che rapporti e piacere
sono continui e altre sciocchezze ed eccessi. Abbi pietà di loro ed aiuta
coloro che sono feriti.
18. Il secondo capo degli Arabi, Abubachar
Questo Abubachar si impadronì inizialmente della città di Gaza e dei
territori circostanti. Ed è lo stesso Abubachar che morì dopo essere stato
emiro per tre anni. Umar gli successe e diresse gli Arabi per dodici anni1.
19. Il terzo capo degli Arabi, Umar
Questo stesso Umar marciò contro la Palestina, assediò Gerusalemme per
due anni, quindi la conquistò con l’inganno. Sofronio, vescovo di
Gerusalemme, personaggio animato da zelo divino e saggezza notevole,
ricevette da lui le migliori assicurazioni che le chiese non sarebbero state né
distrutte né saccheggiate. Quando Sofronio lo vide, disse: «In verità, è
l’abominio della desolazione predetta dal profeta Daniele, che si tiene in
questo luogo santo». Egli chiese il Tempio degli Ebrei costruito da
Salomone, per farne il luogo della sua bestemmia2. Ed è ancora così al
giorno d’oggi.
20. Il quarto capo degli Arabi, Othman
Egli prese l’Africa con la guerra, fissò un tributo agli Africani e ripartì. Il
suo generale era Muawiya, che abbatté il Colosso di Rodi e prese l’isola di
Cipro3 con tutte le sue città. Prese anche l’isola di Arados e bruciò la sua
città, l’isola è ancora oggi una località abbandonata. Quando andò sull’isola
di Rodi4, fece demolire il Colosso, milletrecentosessanta anni dopo la sua
costruzione, e un commerciante ebreo di Edessa lo comperò e caricò 900
cammelli con il bronzo. Questo Muawiya lanciò anche una spedizione contro
Costantinopoli5, devastarono Efeso, Alicarnasso, Smirne e tutte le altre città
ioniche; poi dopo la morte di Othman, ci fu il quinto capo degli Arabi per
ventidue anni6.
21. Estratto della Cronaca di Teofane: anno dalla creazione del
mondo 6171
1 Gli anni di regno di Umar furono solo dieci, dal 634 al 644.
2 Le ultime due frasi andrebbero invertite: Sofronio andò da Umar che si era insediato nel
Tempio di Salomone ed entrando pronunciò quella frase.
3 Nel 651.
4 Nel 654.
5 L’assedio durò tre anni (674-677), poi la flotta araba fu incendiata dal fuoco greco e i
nemici si ritirarono.
6 Othman morì assassinato il 17 giugno 656, ma il successore fu Ali ibn Abi Talib, califfo dal
656 al 661, cui seguì per pochi mesi suo figlio (e nipote di Maometto), Al-Hasan ibn Ali. A
lui seguì Mu’awiya ibn Abi Sufyan, califfo dal 661 al 680.
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Alla fine della vita di Muawiya1, capo degli Arabi, i Mardaiti invasero il
Libano per prenderne possesso dalla Montagna Nera fino alla città santa; si
resero padroni dei vertici del Libano, e di numerosi schiavi e indigeni accorsi
verso loro per cercare rifugio; il loro numero in poco tempo si alzò a molte
migliaia2. Apprendendo ciò, Muawiya e i suoi consiglieri si inquietarono. Egli
inviò allora emissari all’imperatore Costantino, per proporre la pace. Di
conseguenza, l’imperatore Costantino, l’ortodosso, figlio di Pogonato3, gli
inviò Giovanni soprannominato Pitzikaudis4. Quando arrivò in Siria, Muawiya
lo ricevette con grande onore, e le due parti decisero che una pace doveva
essere stabilita per iscritto e sotto giuramento, sulla base di un tributo
annuale convenuto, gli Agareni5 dovevano pagare all’imperatore dei Romani
tremila pezzi d’oro, 800 prigionieri e 50 cavalli di razza.
A quell’epoca, l’impero degli Arabi era diviso in due parti. A Ethribos Ali
deteneva il potere, ma Muawiya teneva l’Egitto, la Palestina e Damasco6. E
gli abitanti di Ethribos si unirono ai figli di Ali contro Muawiya. E Muawiya si
preparò ad affrontarli e la battaglia ebbe luogo vicino al fiume Eufrate, e la
parte di Ali fu sconfitta; e Muawiya prese Ethribos e tutte le terre della Siria.
E la sua famiglia regnò 85 anni. Dopo di lui vennero dalla Persia i cosiddetti
«Abiti neri»7, che regnano oggi; e si batterono con il clan di Muawiya che
essi distrussero completamente. E uccisero così Maruam, che era alla sua
testa. Alcuni dei partigiani di Muawiya sopravvissero, e insieme e un nipote
di Muawiya, furono perseguitati dagli «Abiti neri» fino in Africa. Ora, questo
nipote di Muawiya con alcuni partigiani, passò in Spagna all’epoca di
Giustiniano, ma non di Pogonato8.
Ma ciò non è stato scritto dai nostri storici, perché a partire dal momento
della presa dell’antica Roma da parte dei Goti, i possedimenti romani
iniziarono a essere spezzettati, e nessuno storico ha fatto menzione della
regione di Spagna, né del clan dei Muawiyati. Ma la storia di Teofane, di
felice memoria, ne ha tenuto conto come segue: Così, Muawiya, capo dei
Saraceni, morì, dopo essere stato generale per 26 anni, e regnato come
emiro per 24 anni. Izid, suo figlio, regnò 6 anni gli Arabi. Alla sua morte, gli
Arabi di Ethribos si agitarono, si sollevarono ed elessero Abdelas, figlio di
Zuber, come loro capo. Quando intesero ciò, gli Arabi che abitavano in
Fenicia, in Palestina e a Damasco andarono da Usan, emiro della Palestina,
e designarono Maruam come loro capo, ed egli regnò 9 mesi. Alla sua
1 Morì il 6 maggio 680, i fatti che seguono datano 678-680.
2 I Mardaiti, insieme di tribù che abitavano nell’Anatolia meridionale, ottennero dal califfato
di stabilirsi tra le montagne del Libano e diventarono una sorta di milizia di frontiere, ma
essi compirono, sostenuti dai Bizantini, diverse azioni di guerriglia contro gli Arabi, tra cui
quella del 677 in cui colpirono Gerusalemme.
3 Costantino IV detto Pogonato (ossia il Barbuto; 654-685), figlio di Costante II e di Fausta.
4 In italiano: Pitzigaude.
5 Altro nome dei Saraceni.
6 Costantino VII parla rispettivamente del figlio e del nipote del Muawiya fin qui citato.
Ethribos era, come detto, l’antica Medina.
7 I Maurofori o Melanchlani o Melanclani, tribù sarmate.
8 Nel 711.
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morte, suo figlio Abimelec gli successe e regnò 22 anni e 6 mesi. E vinse i
ribelli, e uccise Abdelas, figlio e successore di Zuber. Durante questo tempo
l’imperatore Costantino, figlio di Pogonato, morì, dopo avere regnato sui
Romani 17 anni e suo figlio Giustiniano lo sostituì.
Il capo degli Arabi, che era il quinto dopo Maometto a dirigere gli Arabi,
non era della famiglia di Maometto, ma di un’altra tribù. Dapprima fu
nominato generale ed ammiraglio da Othman, capo degli Arabi, e inviato
contro lo stato dei Romani con una forza considerevole e 1.200 navi. Andò a
Rodi, e di là, dopo aver organizzato la propria spedizione, venne su
Costantinopoli; restò a lungo, e devastò i dintorni di Bisanzio, ma ripartì
senza avere raggiunto lo scopo. Quando arrivò a Rodi, fece abbattere il
Colosso chi si ergeva nell’isola. Era una statua di bronzo che rappresentava
Helios, dorata dalla testa ai piedi, di un’altezza di 80 cubiti e di proporzioni
assai grandi, come testimonia l’iscrizione scritta sulla sua base, che diceva
ciò: «Il Colosso di Rodi, otto volte dieci cubiti di altezza, realizzato da Carete
di Lindo»1.
Egli prese il bronzo della statua e lo fece trasportare in Siria per metterlo
in vendita alle offerte; un ebreo di Edessa lo comperò e lo portò fino al mare
caricando 980 cammelli. Alla morte di Othman, allora, questo Muawiya
riuscì a dirigere gli Arabi. E regnò sulla città santa, sulla Palestina, su
Damasco, Antiochia e tutte le città d’Egitto. Ma Ali, genero di Maometto,
avendo sposato sua figlia Fatima, regnava su Ethribos e tutta l’Arabia. Ma, a
quell’epoca, Ali e Muawiya si dichiararono la guerra l’un l’altro, ciascuno
volendo regnare ed essere Signore di tutta la Siria. Si scontrarono vicino al
fiume Eufrate, e si lanciarono in una feroce battaglia tra loro2, ma quando la
battaglia arrivò al suo culmine, poiché molti combattenti erano morti da
ogni parte, l’insieme degli Agareni dei due fronti esclamò: «Perché uccidere
ed essere ucciso, la nostra tribù si stermina dei vivi? Che due anziani
arbitrino le due parti, e che il preferito sia il loro capo».
Ali e Muawiya furono felici di questa parola dei loro, e, togliendo dalle
mani i loro anelli, simbolo del capo degli Agarani, li dettero a due anziani, e
rimisero la loro autorità a loro disposizione, confermando ciò con un
giuramento e dichiarando che, chiunque avessero preferito gli anziani
sarebbe stato il signore e capo di tutti i Saraceni. I due anziani entrarono in
mezzo al campo di battaglia dalle due parti, e si misero di fronte nel campo
degli eserciti; l’anziano di Ali3 era un uomo pio secondo il popolo dei
Saraceni, un uomo designato sotto il nome di «cadi», cioè fedele e
1 Il Colosso, raffigurante il dio del sole, protettore di Rodi, non si «ergeva» più, perché
caduto in mare durante il terremoto del 226 a.C. e lì rimase fino al 654, quando gli Arabi
conquistarono l’isola. La statua, realizzata da Carete (o Caletus) di Lindo, un allievo di
Lisippo, era alta 32 metri e fu realizzata in pietra con armatura interna di ferro e
rivestimento esterno di lastre di bronzo.
2 È la battaglia di Siffin del 657, che impegnò 100.000/130.000 soldati e si ebbero
25.000/45.000 morti, secondo le cronache islamiche. Lo svolgimento raccontato è una
delle tante versioni circolate sul combattimento.
3 Abu Musa al-Ash’ari.
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santificato; invece l’anziano di Muawiya1 era pio soltanto in apparenza, ma
ingannevole, arrogante e superando tutti gli uomini. L’anziano di Muawiya
disse a quello di Ali: «Parlerete voi per primo di ciò che volete, perché voi
siete prudente e pio, e molto più vecchio di me». E l’anziano di Ali rispose
così: «Ho ricevuto tutto il potere da Ali, avendo ritirato l’anello dalla sua
mano, esso è sul mio dito, ora ritiro quest’anello di Ali dal mio dito e con
questo gesto mi tolgo anche il potere». L’anziano di Muawiya rispose allora:
«Io sono assunto il potere di Muawiya, poiché ho messo il suo anello al mio
dito, ed ora rimetterò l’anello di Muawiya al suo dito». Quindi si separarono
l’un l’altro. Allora Muawiya dominò tutta la Siria, poiché tutti gli emiri
avevano giurato l’un l’altro, dicendo: «Qualsiasi cosa dicano gli anziani, noi
rispetteremo le loro parole». Così Ali prese il suo esercito e ripartì con tutte
le sue genti per la regione di Ethribos, dove completò la sua vita. Dopo la
morte di Ali i suoi figli, rinnegarono il consiglio del loro padre, si rivoltarono
contro Muawiya, e misero in atto una battaglia selvaggia con Muawiya, in
cui furono sopraffatti, essi fuggirono dinanzi a lui; Muawiya li inseguì e li
fece mettere tutti a morte. A partire da quel momento, Muawiya ebbe nelle
sue mani il potere su tutti gli Arabi.
Ma, questo Muawiya era il nipote di Sofian2. E il nipote di Muawiya era
Masalma, che fece una spedizione contro Costantinopoli, e in seguito alla
quale fu costruita la moschea dei Saraceni nel Praetorium imperiale. Egli
non era il capo degli Arabi; Solimano era il capo dei Saraceni, e Masalma
aveva il rango di generale. Solimano venne con la sua flotta contro
Costantinopoli, e Masalma venne per terra attraversando a Lampsaco nella
regione di Tracia, portando con sé 80.000 uomini. E grazie alla Provvidenza
di Dio, la flotta di Solimano e l’esercito di fanteria di Masalma si ritirarono
entrambi con vergogna, battuti e completamente sconfitti dalla flotta e dai
soldati dell’imperatore3. Il nostro stato fu allora in pace per lunghi anni,
perché questa città è guidata e conservata da Nostra Signora della
Semprevergine Maria, Madre di Dio; Solimano stesso impressionato da
questa inviolabile e santa immagine, cadde da cavallo.
22. Estratto dalla Cronaca di Teofane, di felice memoria, sugli
stessi eventi riguardanti Muawiya e la sua tribù, e come passò in
Spagna. L’imperatore dei Romani Giustiniano Rinotmeto4
È l’inizio del suo regno, dopo ciò, fu destituito da Leonzio, quindi a sua
volta ritornò, espugnò Leonzio e Apsimaro5, e consacrò il suo trionfo su loro
due nell’Ippodromo facendoli mettere a morte. Quello stesso anno
Abimelec6 volle ratificare la pace con Giustiniano alle seguenti condizioni:
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2
3
4
Amr ibn al-’As.
Non nipote, ma figlio di Abu Sofian.
Nel 717.
Giustiniano II detto Rinotmeto (“naso tagliato”; (669-711) regnò per due volte, nel 685695 e dal 704 alla morte.
5 Leonzio rovesciò Giustiniano (695) e fu a sua volta destituito da Tiberio Apsimaro (698).
6 Il califfo omayyade Abd al-Malik.
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l’imperatore ritirerà la sua legione mardaita dal Libano e controllerà le loro
incursioni; Abimelec da parte sua, pagherà ai Romani ogni giorno mille
nomismata7, un cavallo purosangue e uno schiavo etiope; i tributi di Cipro,
Armenia e Iberia saranno gestite in comune e in parti uguali da entrambi.
L’imperatore inviò il delegato imperiale Paolo da Abimelec, per confermare
le condizioni autorizzate, e quest’accordo fu stabilito per iscritto ed
attestato8. Il delegato imperiale fu onorato da doni, e se ne ritornò.
L’imperatore richiamò 12.000 Mardaiti, mutilando così la potenza romana.
Perché tutte le città frontiera ora abitate dagli Arabi, da Mopsuestia alla
Quarta Armenia9, restarono senza difesa e disabitate a causa della distanza
dei Mardaiti, la cui distanza dalla Romania aveva fatto subire danni terribili
ancora subiti agli Arabi. E lo stesso anno, l’imperatore si recò in Armenia
dove sistemò i Mardaiti del Libano, distruggendo così il suo «muro
d’acciaio». Inoltre, ruppe l’impegno di pace concluso con i Bulgari, e dette
pensiero ai principi regolari stabiliti da suo padre.
Fu anche sotto il regno di Abimelec che gli Arabi marciarono contro
l’Africa, prendendone e si misero guarnigioni delle loro truppe. In quel
momento Leonzio destituì Giustiniano dal trono dei Romani, lo esiliò a
Cherson e s’impossessò dell’impero. Ma dopo che Tiberio Apsimaro gli
successe impossessandosi dell’impero e dello scettro dei Romani, Abimelec,
capo degli Arabi, morì e suo figlio Ualid 6 regnò nove anni. Lo stesso anno,
Giustiniano riprese il suo trono, e nel corso del suo governo negligente e
disinvolto, gli Agareni sottomisero interamente l’Africa. Poi, il nipote di
Muawiya, con pochissimi uomini, passò in Spagna, e, dopo aver messo
insieme la sua tribù, prese il controllo della Spagna fino ai nostri giorni, è
perciò che gli Agareni che abitano in Spagna sono chiamati Muawiyati. Loro
descendenti sono gli Agareni che vivono a Creta. Perché, quando Michele il
Balbuziente7 diventò imperatore dei Romani, e che la ribellione di Tommaso
durò tre anni8, quest’imperatore, assorbito dai disordini emergenti, non si
occupò di ciò che avveniva lontano; gli Agareni della Spagna videro che la
loro possibilità era venuta: armarono una flotta importante e partirono dalla
Sicilia per devastare tutte le Cicladi, quindi, arrivando in Creta, la trovano
ricca e male conservata, non trovano nessuno che si oppone a loro, se ne
impadroniscono e la conservarono fino ad oggi. Solimano succedette a Ualid
e regnò tre anni. Alla sua epoca Masalma, generale de Solimano, fece una
7 Plurale di nomisma (cioè «soldo»), antica moneta d’oro bizantina.
8 Nel 686.
9 La Quarta Armenia si estendeva dalle sorgenti del fiume Tigri all’Eufrate.
6 Al-Walid ibn Abd al-Malik (668-715), califfo dal 705.
7 Michele II detto l’Amoriano o il Balbuziente (770-829), imperatore bizantino dall’820.
8 Tommaso lo Slavo (?-823) era un generale, compagno d’armi di Michele II. Nell’820 si
mise a capo di una ribellione e con l’inganno riunì, secondo lo storico Genesio, i Saraceni,
gli Abkazi, i Geti, gli Alani, i Khaldi, gli Armeni, i Vandali , gli aderenti alle sette dei
Pauliciani e degli Athinganoi. Giunto fino alle porte di Costantinopoli nel dicembre 821,
dovette ritirarsi nella primavera dell’823 a causa del tempo inclemente e degli attacchi
dell’esercito bulgaro guidato dal khan Omurtag che disperse le sue truppe. In seguito,
Michele II lo sconfisse e lo fece uccidere.
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spedizione di terra con un’armata, e Umar per mare e con la volontà di Dio
ritornarono con vergogna, non avendo potuto raggiungere il loro scopo.
Solimano fu sostituito da Umar1, che detenne il potere sugli Arabi due anni.
Umar fu sostituito da Azid2, che regnò quattro anni. Egli fu sostituito da
Isam3, che regnò per 19 anni. Alla sua morte Maruam4 regnò sei anni. Alla
morte di Maruam, Abdelas5 diventò capo degli Arabi, e regnò 21 anni. Alla
sua morte Madis6 diventò il capo degli Arabi, regnò nove anni. Quando morì
Aaron7 prese il potere sugli Arabi, e regnò 23 anni.
In quest’anno, cioè quando l’impero dei Romani [mancante] Irene e
Costantino8, l’anno della creazione del mondo 6288. Lo stesso anno, Aaron,
capo degli Arabi, morì all’interno della Persia, chiamato Khorasan, e
Muhamed suo figlio gli successe9; era un uomo stupido, squilibrato in tutti i
sensi del termine, contro il quale suo fratello Abdelas10 si rivoltò in quello
stesso paese, Khorasan, utilizzando i poteri che erano stati quelli di suo
padre, e si condusse una guerra intestina. E in seguito, gli abitanti di Siria,
d’Egitto e della Libia furono lacerati tra diversi poteri, che distrussero il bene
pubblico, in un ammasso di massacri, di rapine, di oltraggi di qualsiasi tipo
contro se stessi e i loro sudditi cristiani. Ciò fu mentre le chiese nella città
santa di Cristo, il nostro Dio, furono devastate e i monasteri delle due grandi
Laure, quello dei Santi Caritone e Ciriaco e quello di San Saba11, e gli altri
monasteri cenobiti dei Santi Eutimio e Teodosio. Questa anarchia, durante la
quale si assassinarono l’un l’altro , durò cinque anni.
Fino allora la storia degli Arabi è stabilita cronologicamente da san
Teofane, che fondò il monastero detto “Megas Agros”12 ed era lo zio, da
parte materna, del grande, pio e cristianissimo imperatore Costantino, figlio
di Leone, l’imperatore più prudente e più virtuoso, nipote di Basilio, di
memoria benedetta per il controllo dello scettro sull’impero dei Romani.
23. Sull’Iberia e la Spagna
Ci sono due Iberie: l’una alle Colonne d’Ercole, così nominata a causa del
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Umar (o Omar) II (682-720) regnò dal 717.
Yazid II ibn Abd al-Malik che governò dal 720 al 724.
Hisham ibn ’Abd al-Malik (691-743) era fratello di Yazid II e regnò per quasi vent’anni.
Marwan II ibn Muhammad ibn Marwan, che destituì il legittimo successore Ibrahim ibn alWalid.
5 Abu l-Abbas detto al-Saffah (il Sanguinario), primo califfo, dal 749, della dinastia degli
Abbassidi.) diventò capo degli Arabi, e regnò 21 anni. Alla sua morte Madis [Muhammad
al-Mahdi. Prima di lui regnò suo padre, Al-Mansur, per un anno.
6 Muhammad al-Mahdi. Prima di lui regnò suo padre, Al-Mansur, per un anno.
7 Nome biblico del califfo Harun al-Rashid che regnò dal 786 all’809.
8 Irene (752?-803), moglie di Leone IV, alla cui morte diventò imperatrice per conto del
figlio minore Costantino. Nel 797 fece accecare il figlio e si impossessò a pieno titolo del
trono.
9 Muhammad al-Amin, che regnò dall’809 all’813.
10 Al-Ma’mun.
11 Erano i grandi monasteri rispettivamente presso Gerusalemme e Cesarea di Cappadocia.
12 «Grandi campi». Il monastero fu fondato da Teofane il Confessore (760?-817) a Kunsunlu,
in Asia Minore.
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fiume Iber1, citata da Apollodoro nel suo II libro di Sulla Terra: «Nei Pirenei
è l’Iber, un grande fiume scorrente verso l’interno». In questo paese, si dice
che esistono molte nazioni distinte, come Erodoro2 lo ha scritto nel proprio X
libro della sua Storia di Eracle: «Si dice che questa razza iberica che vive
sulle rive del distretto, benché razza unica, si distingue per i nomi delle
tribù: per primi, coloro che abitano le regioni dell’occidente fino al limite
sono chiamati Cyneti3 e dopo loro, muovendosi verso nord [Ossia lungo la
costa del Mediterraneo.], sono gli Igleti, quindi i Tartesiani4 gli Eleusini,
quindi i Mastienoi5, i Kelkianoi, e quindi, infine, il Rodano. Artemidoro nel
libro II della sua Geografia6, dice che il paese è diviso così: «L’interno, tra i
Pirenei e il territorio di Gadara è chiamato alternativamente Iberia e
Spagna. Fu diviso dai Romani in due province [mancante] il tutto si estende
dalla catena dei Pirenei fino alla Nuova Cartago e alle fonti del Baetis 7,
mentre la seconda provincia comprende la regione che va da Gadara8 alla
Lusitania».
Si trova anche la forma “Iberita”. Partenio in Leucadia9: «Tu seguirai la
costa lungo la riva Iberita». L’altra Iberia è situata verso la Persia10. Il
termine etnico è “Iberi”, come Pieres11, Vuziros. Dionisio dice: «Vicino alle
Colonne [di Ercole, si trova] il popolo degli Iberi dal grande cuore»12. E
Aristofane, in Triphales13: «Apprendo che gli Iberi, che tu mi hai concesso,
vengono in mio aiuto». E Artemidoro nella seconda parte della sua
Geografia: «Quelli tra gli Iberi che vivono sulla costa utilizzano l’alfabeto
degli Italici». Inoltre, a partire dal genitivo “Iberos” è formato il femminile
“Iberis”. «Una donna greca, non una Iberis», in Aspis di Menandro14. La
forma “iberica” si trova anche: «Cominciando, il primo all’inizio è il mare
Iberico. L’Iberia era divisa in due, ora lo è in tre» in Marciano15 che dice nel
1 Ebro.
2 Erodòro di Eraclea, (circa V secolo a.C,) scrisse una Storia di Eracle in 17 volumi, in cui
dette notizie geografiche, scientifiche, astronomiche, mitologiche. Il greco Eracle è il
romano Ercole.
3 O Kyneti, o Conii; vivevano nell’Algarve, la regione più meridionale del Portogallo.
4 O Tartessiani, o Tartesioi, vivevano forse nell’odierna Andalusia, in Spagna.
5 O Mostenoi.
6 Artemidoro di Efeso, geografo greco antico, forse del I secolo a.C., che scrisse l’opera
Geographoùmena, in undici volumi, in cui descrisse il mondo abitato.
7 Guadalquivir.
8 Odierna Cadice, prima colonia fenicia in Spagna.
9 Partenio di Nicea, poeta greco del I secolo a.C. Costantino VII cita l’opera Leucadia,
giunta a noi solo per frammenti. Leucadia sembra essere un’isola del mar Ionio.
10 Cfr. capitoli 45 e 46.
11 Nome latino e greco che si riferisce a un popolo della Tracia-Macedonia costretto a esiliare
nell’VIII secolo nella Grecia meridionale.
12 Dionisio Periegete, scrittore greco, forse del II secolo a.C., che fu autore dell’opera Guida
per il mondo (Periêgêsis tês oikoumenês).
13 Opera perduta.
14 Menandro (342-291a.C.) fu un commediografo greco. Della sua opera Aspis (Lo Scudo) ne
pervenuta fino a noi la metà.
15 Marciano di Eraclea, geografo e navigatore greco, forse dell V secolo, che scrisse Viaggio
per il mare esterno, ispirato all’opera di Tolomeo.
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suo Viaggio: «Ora l’antica Iberia divisa in due dai Romani, lo è ormai in tre:
la Spagna Betica, la Spagna Lusitania e la Spagna Tarraconense»1 Dal
genitivo iberos, Apollonio2 trae un nominativo come phylakos dal genitivo
phylakos3. Nel suo Paronimo4 dice: «I nominativi provengono dai genitivi di
più di due sillabe che, come il nominativo derivato, hanno l’accento
proparossitone5, che essi siano sottoforma semplice o composta». Semplici
sono: martire, martyros, il nominativo Charopos del re Charopos6; Trezene7,
Troezenos, il nominativo Troezenos, “del figlio di Troezenos”; Iber, Iberos, il
nominativo Iberos, del quale nel Millennio di Quadrato8, al libro V, appare il
dativo plurale “Iberoisin”, così: «Benché guerreggiando allo stesso tempo
con i Liguri e gli Iberoisi». Habron9 dice la stessa cosa nel suo Paronimo. E
“gli Iberi con la barba di capra” si trovano negli Effeminati di Cratino10. Gli
Iberi bevono l’acqua, perché dice Ateneo nei Deipnosophistai11 al libro II:
«Filarco12 al libro VII dice anche che tutti gli Iberi bevono l’acqua, benché
siano i più ricchi dell’umanità (perché essi possiedono grandissime quantità
d’argento e d’oro. Dice che non mangiano che una volta al giorno a causa
della loro parsimonia e portano gli abiti più splendidi».
24. La Spagna
Da dove viene il nome Spagna? Da Hispanus, un cosiddetto gigante. La
Spagna forma due province in Italia: una è vasta, l’altra piccola. Charax 13
cita questo paese nel suo X libro delle sue Cronache: «Nella piccola Spagna
o Spagna esterna, i Lusitani si rivoltarono nuovamente, e i Romani inviarono
contro di loro il generale Quintus» E sulle due province, quest’autore ha
scritto: «Quintus, comandante in capo romano nelle due Spagne, fu
sconfitto da Viriathus e fece un trattato con lui»14. Egli dice che il paese si
1 Le tre province romane corrispondevano all’incirca: la Spagna Betica all’Andalusia, la
Spagna Lusitania all’odierno Portogallo e a una parte della spagnola Estremadura e la
Spagna Tarraconense a tutto il nord-est della nazione.
2 Apollonio Discolo, era un grammatico greco di Alessandria d’Egitto, vissuto nel II secolo
a.C.
3 Fylas-fylakos, guardiano o protettore.
4 Si dice “paronimo” una parola di significato diverso da un’altra, ma simile nella forma, per
cui si può supporre erroneamente un rapporto di derivazione etimologica.
5 Cioè è una parola sdrucciola, con l’accento sulla terz’ultima sillaba.
6 Potrebbe trattarsi di Tharipas, re dell’Epiro nel V secolo a.C.
7 Città della Grecia, patria di Teseo, il mitologico re di Atene.
8 Asinio Quadrato, storico romano del III secolo che scrisse in greco una storia di Roma in
15 libri dalla fondazione fino ad Alessandro Severo, ma doveva arrivare al 248, millennio
di Roma. Ne sono rimasti pochi frammenti.
9 Habron, o Abrone, era un grammatico del I secolo, forse originario della Frigia e scolaro di
Trifone di Alessandria.
10 Cratino era un drammaturgo greco del V secolo a.C.
11 Deipnosophistai (I dotti a banchetto) è un’opera in quindici libri dello scrittore greco
Ateneo di Naucrati, scrittore greco vissuto tra il II e il III secolo.
12 Filarco di Atene, storico del III secolo a.C.
13 Charax di Pergamo, filosofo greco del II secolo, scrisse una storia della Grecia (les
Helléniques), una storia d’Italia e una cronaca, delle quali restano solo dei frammenti.
14 Si tratta dell’insurrezione del 147-148 a.C. in cui furono opposti il condottiero Viriato e,
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chiama Iberia, nel III libro delle Elleniche (Storia della Grecia): «La Spagna,
che i Greci chiamavano inizialmente Iberia, non conoscendo ancora il nome
di tutto il suo popolo, fu chiamata come la parte del paese vicino al fiume
Iber e da cui il nome proviene». Dopo ciò, egli indica che il nome fu
cambiato in Spagna.
25. Estratto della storia del beato Teofane di Sigriane
Questo stesso anno1, non soltanto Valentiniano2 non riuscì a salvare la
Gran Bretagna, la Gallia e la Spagna, ma perse la Libia occidentale nelle
circostanze seguenti. C’erano due generali, Ezio e Bonifacio, che Teodosio3
aveva inviato a Roma su richiesta di Valentiniano. Tuttavia, quando
Bonifacio fu investito dell’ordine della Libia occidentale, Ezio invidioso lo
calunniò e lo accusò di volersi ribellare e impossessarsi della Libia. Lo disse
anche a Placidia, madre di Valentiniano4 e in una lettera a Bonifacio: «Se vi
chiedono di venire, non lo fate, perché siete stato accusato in modo
calunnioso; l’imperatore e l’imperatrice tentano una macchinazione per
imprigionarvi”. Quando Bonifacio ricevette il messaggio, fidandosi di Ezio
come un vero amico, si rifiutò di obbedire. L’imperatore e l’imperatrice
giudicarono allora Ezio come un loro fedele servitore. A quell’epoca, i Goti e
numerosi altri popoli vivevano nelle regioni più a settentrione, assai lontano
del Danubio. I più conosciuti tra loro sono particolarmente i Goti, i Visigoti, i
Vandali e i Gepidi, che differiscono soltanto per il nome poiché parlano la
stessa lingua e tutti professano l’eresia di Ario. Questi popoli dunque,
all’epoca di Arcadio e di Onorio5 attraversarono il Danubio, e si insediarono
in territorio romano6. I Gepidi lo stesso, che, più tardi si divisero in
Lombardi e Avari, abitavano le regioni attorno a Singidunum e Sirmium 7. I
Visigoti di Alarico, dopo avere devastato Roma, andarono in Gallia dove vi si
insediarono. I Goti avevano inizialmente l’alta Pannonia, poi, il
diciannovenimo anno del regno di Teodosio il giovane, quest’ultimo li
autorizzò a colonizzare le terre della Tracia e, dopo esservi restati 58 anni,
sotto la direzione di Teodorico8 loro patrikios9 e console, ottennero il
permesso di Zenone10 di prendere il regno d’Occidente. Quanto ai Vandali,
dapprima, il proconsole Quinto Fabio Serviliano e poi Quinto Servilio Cepione che
riconquistò tutti i territori occupati da Viriato.
1 Nel 422.
2 Valentiniano III (419-455) imperatore romano d’Occidente dal 424 al 455.
3 Teodosio II (401-450) fu imperatore romano d’Oriente, o bizantino, dal 408.
4 Galla Placidia (388?-450) era anche moglie dell’imperatore Costanzio III, sorella degli
imperatori Onorio e Arcadio, figlia dell’imperatore Teodosio I e nipote dell’imperatore
Valentiniano I.
5 Nel 395 quando l’impero romano si divise, Arcadio diventò l’imperatore d’Oriente e Onorio
d’Occidente.
6 Più precisamente furono i Visigoti che, spinti dagli Unni, nel 376 si insediarono nella
provincia romana della Mesia (attuali Serbia e Bulgaria).
7 Rispettivamente le odierne Belgrado e Sremska Mitrovica.
8 Re degli Ostrogoti.
9 Patrikios era titolo dato allea terza carica militare più alta.
10 Zenone (425?-491) fu imperatore d’Oriente dal 474 al 475 e dal 476 al 491.
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essi si aggiunsero agli Alani ed ai Germani, ora chiamati Franchi,
attraversarono il Reno diretti da Godigisel1, si insediarono in Spagna, primo
paese dell’Europa fiancheggiando l’oceano occidentale.
Di fatto, Bonifacio, temendo l’imperatore e l’imperatrice dei Romani,
passò dalla Libia in Spagna e andò dai Vandali; constatando che Godigisel
era morto e che i suoi figli Gunderico e Genserico avevano il potere, li
indusse con una promessa a dividere la Libia occidentale in tre parti,
affinché a ciascuno tra loro e a lui stesso andasse un terzo, ma avrebbero
dovuto unirsi per respingere ogni nemico, qualunque fosse. Essendo
quest’accordo concluso, i Vandali attraversarono lo stretto2 per insediarsi in
Libia dall’oceano fino a Tripoli di fronte a Cirene. I Visigoti, venendo dalla
Gallia, presero così possesso della Spagna. Allora, alcuni senatori romani
amici di Bonifacio esposero a Placidia la falsità delle accuse di Ezio e le
mostrarono anche la lettera di Ezio a Bonifacio, che Bonifacio aveva inviato
loro. Placidia molto stupita, si astenne dal nuocere a Ezio, ma inviò a
Bonifacio un messaggio ricordandogli il suo dovere, con una promessa sotto
giuramento. Allora alla morte di Gunderico, Genserico diventò l’unico capo
dei Vandali3. Bonifacio, in quel momento, avendo ricevuto il suo messaggio,
andò contro i Vandali con una vasta forza che proveniva da Roma e da
Bisanzio, sotto gli ordini di Aspar. La battaglia ebbe luogo e Genserico
sconfisse l’esercito dei Romani. Bonifacio, con Aspar, ritornò allora a Roma e
dissipò i sospetti esponendo la verità. Ma l’Africa passò sotto la sovranità dei
Vandali. È in quel momento che Marciano, futuro imperatore, che era un
soldato al servizio di Aspar, fu catturato vivo da Genserico4.
Ci sono tre Comandanti dei Credenti5 in tutta la Siria, cioè, nell’impero
degli Arabi; il primo ha la sua sede a Baghdad, è della famiglia di
Muhammad, o Maometto; il secondo ha la sua sede in Africa, è della
famiglia di Ali e di Fatima, figlia di Muhammad, o Maometto, da cui il nome
di Fatimidi; il terzo ha la sua sede in Spagna ed è della famiglia di Muawiya.
All’origine, quando i Saraceni si impossessarono di tutta la Siria, il
Comandante dei Credenti aveva la sua sede a Baghdad. Era il padrone
assoluto di Persia, Africa, Egitto e Arabia Felix. Aveva sotto di lui degli
emirati potenti, o province militari, che sono i seguenti: il primo era
l’emirato di Persia o del Khorasan; il secondo, l’emirato d’Africa; il terzo,
l’emirato dell’Egitto; il quarto, l’emirato di Filastinia6 o Ramla, il quinto,
l’emirato di Damasco; il sesto, l’emirato di Emesa o Homs; il settimo,
l’emirato di Aleppo; l’ottavo, l’emirato di Antiochia; il nono, l’emirato di
1 Godigisel (359-406), re dei Vandali della stirpe degli Asdingi, attraversò il Reno nel 406 e
perse la vita combattendo contro i Franchi.
2 Di Gibilterra, nel 429.
3 Nel 428.
4 Flavio Marciano (392?-457) fu imperatore bizantino dal 450. Nel 431 fu preso prigioniero
dai Vandali in un combattimento nei pressi di Ippona, ma il re vandalo Genserico lo
rilasciò dietro giuramento che non avrebbe mai più preso le armi contro i Vandali.
5 In arabo: Amir al-Mu’minin, titolo equivalente a «califfo».
6 Attuale Palestina.
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Harran; il decimo, l’emirato di Emet; l’undicesimo, l’emirato di Esibi; il
dodicesimo, l’emirato di Mossul; il tredicesimo, l’emirato di Tikrit. Ma dopo
che l’Africa si ritirò dalla sovranità del Comandante dei Credenti a Baghdad
e diventò autonoma proclamando il proprio emiro, la Persia fu il primo
emirato, poi come prima, l’Egitto fu il secondo, e gli altri in seguito come
nell’ordine indicato sopra. Ma poi, nuovamente, a causa dell’impotenza del
Comandante dei Credenti a Baghdad, l’emiro di Persia, o del Khorasan, è
diventato indipendente, e ha usurpato il titolo di Comandante dei Credenti,
portando il Corano su tavolette attorno al suo collo come un collare, e egli
pretende di discendere dalla famiglia di Ali. Inoltre l’emiro dell’Arabia Felix si
dichiara sempre sotto la sovranità dell’emiro dell’Egitto. Ma anche lui è
diventato indipendente, e ha ugualmente usurpato il titolo di Comandante
dei Credenti, pretendendo anch’egli di essere della famiglia di Ali.
26. La genealogia dell’illustre re Ugo1
Il grande re Lotario, re d’Italia, nonno dell’illustre re Ugo, discendeva
dalla famiglia di Carlomagno, un uomo così elogiato in canti e in storie che
raccontano le sue imprese militari. Dunque questo Carlomagno regnava solo
su tutti i regni occidentali, e regnava come imperatore sulla grande Francia;
e dal suo tempo, nessuno degli altri re osò chiamarsi re; tutti erano suoi
confederati e suoi subordinati. Inviò ricchezze immense, somme di denaro
incredibili in Palestina per fondare numerosi monasteri. Allora questo Lotario
riunì le sue forze e andò contro Roma e la prese d’assalto, quindi fu
incoronato dal papa dell’epoca2.
Sul cammino di ritorno verso Pavia, arrivò alla fortezza di Piacenza, a 30
miglia da Pavia, dove morì3. Lasciò un figlio chiamato Adalberto, che sposò
la grande Berta ed ebbe da essa un figlio chiamato Ugo 4. Dopo la morte del
grande Lotario, Luigi, nipote di Luigi, venne dalla Grande Francia, e
conquistò Pavia, ma non fu coronato5. Dopo ciò andò a Verona, da cui la
città di Piacenza è distante circa 120 miglia, e, quando arrivò laggiù, gli
uomini della fortezza insorsero, si impossessarono di lui quindi lo
accecarono6. Berengario prese allora il potere, e, andando a Roma, si fece
1 Ugo di Provenza o d’Arles (880-947), abiatico di Lotario II di Lotaringia, fu re d’Italia dal 926
al 948).
2 La cronologia non è esatta. Il nonno di re Ugo d’Arles era Lotario II che non fu imperatore
d’Italia. Fu invece Lotario I (abiatico di Carlomagno) a essere incoronato a Roma il 5
aprile 823 da papa Pasquale I.
3 Lotario II morì di peste a Piacenza nell’869, mentre stava tornando da una visita al
fratello Ludovico a Benevento.
4 Anche qui la storia è errata. Figlia di Lotario II era Berta, che in seconde nozze sposò
Adalberto II detto il Ricco. Ugo d’Arles era figlio di Berta e del suo primo marito Tebaldo
d’Arles.
5 Altre inesattezze: Luigi (o Ludovico) III detto il Cieco (880-928), fu re di Provenza, re
d’Italia e imperatore d’Occidente. Era nipote di Luigi (o Ludovico) II detto il Giovane. Luigi
III, dopo la conquista di Pavia, fu incoronato re d’Italia il 12 ottobre 900 e imperatore nel
febbraio 901 da papa Benedetto IV.
6 Luigi III, ritornando in Italia dalla Francia in quanto chiamato dai feudatari assediati da
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incoronare.
Dopo ciò una grande parte della popolazione ritornò verso Rodolfo1 che si
trovava in Borgogna per dirgli: «Vieni qui. Noi andiamo a uccidere
Berengario e ti daremo il regno». E quest’ultimo, lasciando Borgogna,
giunse agli avamposti di Pavia, essendo una metà del popolo per lui
acquisita mentre l’altra metà era per Berengario. Nel conflitto Berengario
guadagnò la prima battaglia, ma in un’altra fu sconfitto da Rodolfo. Gli
uomini di Berengario fuggirono, anche lui sfuggì, confondendosi tra i
cadaveri e coprendosi con la pelle di cervo che portava. Rimase così
perfettamente immobile, sopportando un colpo di lancia sulla gamba a
opera di un soldato di Rodolfo. Dato che non si mosse, l’altro si allontanò,
credendolo morto2.
Le truppe di Rodolfo non conoscevano Berengario. Al termine della
battaglia, Berengario si sollevò, e giunse da solo al palazzo, riprese il potere
e la guerra contro Rodolfo e lo vinse. Dopo ciò si accordarono l’uno con
l’altro e divisero il paese in due: una metà ciascuno. Rodolfo si trovò sotto la
tutela e il potere di Berengario.
Quindi i «tre nobili» giunsero dalla Borgogna tanto contro Pavia che
contro Berengario. Erano Ugo, figlio di Tagliaferro3, Bosone e Ugo4, fratello
di Bosone, il nobilissimo re che abbiamo già citato. Una forte truppa venne
con loro. Avendo appreso ciò, Berengario si preparò, e marciò contro di loro
per combatterli; avendo intercettato i loro rifornimenti, li affamò e proibì ai
suoi di uccidere chiunque, ma quelli che sarebbero stati presi, di tagliare
loro il naso ed entrambe le orecchie e di inviarglieli. Così fu fatto. Dunque,
vedendo ciò, i tre capi indicati sopra, uscirono a piedi nudi, i Vangeli in
mano, e andarono da Berengario, supplicandolo di perdonare loro e
giurando di non ritornare mai più fino alla fine dei loro giorni. Allora egli
permise loro di rientrare nel loro paese.
In seguito, quando Berengario partì per Verona, fu ucciso da Flamberto 5,
di cui aveva tenuto il figlio alla fonte battesimale ed allora Rodolfo si
impossessò di tutto il regno. Dopo ciò tutto il popolo disse a Ugo di
Borgogna6 chiamato prima per essere re: «Vieni, e ti daremo il paese».
Quando arrivò, il popolo lo sostenne, lo introdusse nel palazzo e lo prese per
re.
Dicevano a Rodolfo: «Parti con tutte le tue ricchezze, per la tua regione
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Berengario del Friuli (850?-924), fu fatto prigioniero a Verona, accecato e perse la corona
d’Italia (916).
Rodolfo II di Borgogna (880-937) fu re di Borgogna Transgiurana (912-937) e re d’Italia
(922-923).
Questo sistema per accertare la morte dei nemici era ancora in uso nella Seconda guerra
mondiale.
Soprannome dato ai duchi di Aquitania.
Bosone e Ugo d’Arles.
Berengario fu ucciso Il 7 aprile 924 a Verona, sulla porta della chiesa di S. Pietro, dove
poco prima aveva sostato in preghiera. A capo della piccola congiura locale, era un tale
Flamberto, sculdascio del comitato veronese.
Ugo d’Arles.
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od ovunque». E quest’ultimo se ne andò in Borgogna, la sua patria, dove
aveva sufficienti popolazioni sotto la sua sovranità. Una volta morto Rodolfo
in Borgogna1, il memorabile re Ugo andò là e sposò la moglie di Rodolfo,
chiamata Berta; quanto alla figlia di questa di nome Adelaide, la unì a suo
figlio Lotario che era re dell’Italia2. Mentre la figlia dell’illustre re Ugo venne
a Costantinopoli a sposare Romano Porfirogenito, figlio di Costantino,
sovrano amante il Cristo3; ella si chiamava anche Berta dal nome di sua
nonna, voglio dire la maggiore delle Berta, che, dopo la morte di suo marito
Adalberto, regnò [lacuna] anni4, ma ella, la giovane Berta cambiò il suo
nome in Eudocia, come la nonna e la sorella di Costantino 5, il sovrano
amante Cristo.
27. Il thema6 di Longobardia, suoi principati e prìncipi
Nell’antichità, l’insieme del territorio di tutta l’Italia, Napoli, Capua,
Benevento, Salerno, Amalfi e Gaeta e tutta la Longobardia7, era in possesso
dei Romani, cioè quando Roma era la capitale imperiale. Ma, dopo il
trasferimento della sede dell’impero a Costantinopoli, tutti questi territori
furono divisi in due governi, e dunque due patrikioi furono di solito inviati
dall’imperatore di Costantinopoli, uno per governare Sicilia, Calabria, Napoli
e Amalfi, e l’altro, con sede a Benevento, per governare Pavia, Capua e
tutto il resto8. Essi avevano abitudine di rimettere ogni anno all’imperatore, i
tributi dovuti alla tesoreria di tutte le regioni summenzionate essendo
abitate dai Romani. Inoltre, all’epoca dell’imperatrice Irene, si inviò il
patrikios Narsete per governare Benevento e Pavia; il papa Zaccaria
l’Ateniese, governava Roma9. Successe che i combattimenti continuarono
1 Nel 937.
2 Lotario II, o di Arles (926?-950) fu re d’Italia dal 945.
3 Costantino VII parla di se stesso: Romano (939-963) era suo figlio e di Elena Lecapeno.
Nel 946 Romano fu associato al trono del padre e, morto questi, regnò fino al 963.
4 Dal 915 al 920, quando perse il trono d’Italia.
5 La nonna era Eudocia Ingerina, moglie dell’imperatore bizantino Basilio I, e la sorellastra
era Eudocia, figlia della prima moglie di Leone VI, Costantino della quarta moglie.
6 Il thema era una regione amministrativa (provincia) dell’impero bizantino. I themata
furono istituiti dall’imperatore Eraclio (VII secolo) ed erano governati dallo strategos (o
dal catepano, secondo le regioni). Su di essi, Costantino Porfirogenito scritte l’opera De
Thematibus.
7 La Longobardia, o Langobardia, ossia i territori dei Longobardi, corrispondeva all’incirca
all’Italia meridionale.
8 La divisione dell’impero avvenne nel 395 alla morte di Teodosio I e la ripartizione dei
poteri bizantini in Italia ebbe luogo durante la formazione dell’Esarcato di Ravenna (VI-VII
secolo).
9 La storia non è esatta. Narsete (478-573) era un eunuco generale bizantino dotto
Giustiniano il Grande (VI secolo) e il colloquio in seguito riportato tra lui e l’imperatrice
Irene (752-803) non può essere accaduto. Il protospatario Zaccaria appare durante
l’impero Giustiniano II (VII-VIII secolo) prima come avversario del papa Sergio I e poi
come suo sostenitore. Papa Zaccaria fu consacrato nel 741 e morì nel 752. Costantino VII
forse voleva ricordare che questo papa fu colui che trattò con i Longobarsi impedendo loro
di impossessarsi dell’Esarcato di Ravenna e, per questo, fu ricompensato dall’imperatore
Costantino V con la cessione di alcuni possedimenti bizantini nel Lazio.
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nella regione di Pavia, e che il patrikios Narsete spese per l’armata il tributo
raccolto per il tesoro e non inviò le entrate abituali. Narsete informò
l’imperatrice dicendo: «Speravo che il denaro mi venisse da voi, poiché io
ho esaurito qui tutti i redditi disponibili per i combattimenti che sono
scoppiati, mentre voi esigete questi redditi». Quando l’imperatrice intese
ciò, si arrabbiò e gli inviò la sua conocchia e il suo fuso, scrivendogli:
«Prendete voi questi buoni strumenti, poiché abbiamo ritenuto che meglio
possiate filare, piuttosto che difendere, guidare e battervi per i Romani
come un uomo d’arme». Intendendo ciò il patrikios Narsete rispose
all’imperatrice: «Dopo che voi mi avete ritenuto buono a girare e filare
come una donna, intreccerò i vostri intrighi con la conocchia e il fuso in
modo tale che i Romani non potranno mai districarli per quanto a lungo
vivranno». Ora, in quell’epoca, i Longobardi si installavano in Pannonia1,
dove vivono ora i Turchi. E il patrikios Narsete inviò loro ogni specie di frutta
dichiarando loro: «Venite a vedere qui, c’è un paese dove colano il latte e
argento e, come si dice, credo che Dio non possa fare meglio, se [questo
luogo] vi soddisfa, insediatevi là, e potrete chiamarmi beato nei secoli dei
secoli».
I Longobardi, essendo stati invitati da Narsete a passare in Italia 2,
arrivarono con le loro famiglie a Benevento3, ma, non volendo gli abitanti
riceverli, costruirono case fuori delle mura, cosa che forma, nel seguito una
piccola città che portava ancora nel nostro tempo il nome di Civitas Nova;
avendo trovato l’occasione d’entrare con la sorpresa, e in armi nell’antica
città e nella chiesa, ed avendo con un stratagemma preso il controllo sugli
abitanti della città di Benevento, essi se ne liberarono e presero possesso
della città. Perché essi portavano all’interno delle fortificazioni delle spade a
lunga lama, e si voltarono in chiesa attaccando immediatamente e, come
detto, uccisero tutti gli abitanti. Dopo la presa di Benevento, fecero
incursioni in tutta la provincia, la offrirono ai Longobardi, e portarono le loro
conquiste dalla Calabria fino a Pavia, eccetto tuttavia le città di Otranto,
Gallipoli, Rossano, Napoli, Gaeta, Sorrento e Amalfi.
La prima città, antica e potente, fu Capua; la seconda, Napoli; la terza,
Benevento; la quarta, Gaeta; la quinta, Amalfi. Salerno era diretta all’epoca
da Sicardo4, quando i Longobardi divisero i principati. Dalla divisione della
Longobardia fino a oggi, indizione 7, anno 6457 dalla creazione del mondo,
sono passati 200 anni5. C’erano due fratelli, Siconolfo6 e Sicardo. Siconolfo
1 Antica regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava.
2 Sembra che Narsete avesse invitato i Longobardi di Pannonia a insediarsi a Benevento,
ma non c’è nulla di certo.
3 Nel 570-571.
4 Il principe longobardo Sicardo fu principe di Benevento dall’832 all’839. Il suo territorio
comprendeva buona parte del Mezzogiorno ed era detta Langobardia Minor. Ala sua
morte, scoppiò una guerra civile e il principato venne diviso.
5 È un errore: è passato solo un secolo.
6 Costantino scrive Sicone ma questi era il padre dei due fratelli.
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governava Benevento, i distretti di Bari e Sipontum1 mentre Sicardo
governava Salerno, Capua e la Calabria. Napoli era precedentemente il
pretorio dei patrikioi che vi arrivavano e il governatore di Napoli aveva la
Sicilia sotto la propria responsabilità; quando il patrikios giungeva a Napoli,
il duca di Napoli partiva per la Sicilia. Capua fu in effetti una grandissima
città; essa fu presa dai Vandali o dagli Africani, che la devastarono2. Quando
essa diventò una città abbandonata, i Longoardi vi si installarono. Quando
gli Africani3 vennero di nuovo contro loro, il vescovo Landolfo costruì una
città vicino al ponte sul fiume4 e la chiamò Nuova Capua, ed essa esiste
ancora. Dalla fondazione di questa Capua, 73 anni sono passati. Napoli,
Amalfi e Sorrento sono state sempre sottomesse all’imperatore dei Romani.
Mastromilis significa in lingua romana «capitano-generale dell’esercito».
Prima che i Veneziani facessero la traversata e si insediassero sulle isole
in cui vivono attualmente, li si chiamava Enetikoi5 ed essi abitavano sulla
terraferma nei seguenti kastra6: Konkorda, Justiniana, Nounou, e molto
altre città.
Quando coloro che ora si chiamano Veneziani, ma che si chiamavano
Enetikoi, fecero la traversata, cominciarono a costruire una città
estremamente fortificata, nella quale il doge di Venezia siede ancora
attualmente e che è circondata per 6 miglia dal mare, nel quale si gettano
27 fiumi. Ci sono anche altre isole a est di suddetta città. E, sulle suddette
isole, coloro che si chiamano attualmente Veneziani hanno costruito delle
città: Kogradon nella quale c’è anche una grande chiesa metropolitana e
molte reliquie di santi e vi sono state depositate la città di Rivalensis e la
città di Loulianon, la città di Apsanon, la città di Romatina, la città di
Likentzia, la città di Pinetai che la si chiama Strovilos, la città di Viniola, la
città di Voes, nella quale si trova la chiesa del santo apostolo Pietro, la città
Ilitoualva, la città di Litoumankersis, la città di Vronion, la città di Madafcon,
la città di Ibola, la città di Pristinai, la città di Klougia, la città di Vroundon,
la città di Fosaon, la città di Lavriton.
Ci sono anche altre isole sullo stesso territorio di Venezia e sul
continente, nel paese d’Italia, si trovano delle città veneziane ed eccole: la
città di Kapre, la città di Neokastron, la città di Fines, la città d’Aikylon, la
città d’Aeimanas, il grande emporium di Tortzelon, la città di Mouran, la città
di Rivalton7, che significa «luogo il più alto», nel quale risiede il doge di
Venezia, la città di Kavertzentzis.
Ci sono anche emporium e castelli.
28. Resoconto dell’insediamento che ora si chiama Venezia
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Siponto, antica città alla periferia dell’odierna Manfredonia.
Capua fu saccheggiata dai Vandali di Genserico nel 455.
Gli Arabi, nel IX secolo.
Il fiume Volturno.
Enetikí Dimokratía: Repubblica di Venezia.
Città.
Le ultime tre sono Torcello, Murano e Rialto.
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In passato, Venezia era un luogo deserto, disabitato e paludoso. Coloro
che si chiamano ora Veneziani erano dei Franchi di Aquileia e altri luoghi di
Francia e abitavano sulla terraferma di fronte a Venezia. Ma quando Attila, il
basileus degli Avari1, venne e devastò completamente e spopolò tutte le
regioni di Francia, tutti i Franchi di Aquileia e di altre città di Francia
iniziarono a fuggire e ad andare nelle isole disabitate di Venezia e a
costruire capanne per la paura causata dal basileus Attila. E quando il
basileus Attila ebbe devastato tutta la regione della terraferma e avanzò
lontano verso Roma e la Calabria e lasciò Venezia ben lontano dietro di sé,
coloro che erano fuggiti per rifugiarsi nelle isole di Venezia, avendo acquisito
un posto dove vivere e tolto il timore dal loro cuore, decisero insieme di
stabilirsi là, questo fecero e vi sono insediati finora. Ma nuovamente,
numerosi anni dopo che Attila s’era ritirato, arrivò il re Pipino2 che regnava
allora su Pavia e altri regni. Pipino aveva tre fratelli ed essi regnavano sui
paesi franchi e slavoni. Quando il re Pipino arrivò contro i Veneziani con
tutta la sua potenza e un forte esercito, sistemò l’assedio dal lato della
terraferma, all’opposto del passaggio tra essa e le isole di Venezia, in un
luogo chiamato Aeibolas. E dunque i Veneziani vedendo il re Pipino venire
contro di loro con tutta la sua potenza e prepararsi a imbarcarsi con tutti i
suoi cavalli per l’isola di Madamaucon (che è un’isola vicina alla terraferma)
piantarono dei pali e sbarrarono completamente questo passaggio.
L’esercito del re Pipino fu costretto a restare là (perché non gli era possibile
passare in un altro posto) e fece l’assedio dal lato della terraferma per sei
mesi, senza cessare un giorno di combattere3. I Veneziani vollero
equipaggiare le loro barche e presero posizione dietro i pali che avevano
piantato ed il re Pipino volle prendere posizione con il suo esercito lungo la
costa. I Veneziani l’assalirono con frecce e giavellotti e lo fermarono nel suo
tentativo di passare verso l’isola. Alla fine il re Pipino disse ai Veneziani:
«Voi siete sotto di me e la mia pronoia4 poiché siete del mio paese e del mio
dominio». Ma i veneziani gli risposero: «Vogliamo essere i sudditi
dell’imperatore dei Romani e non vostri». Quindi, dato che erano stati a
lungo impediti da tutte le difficoltà che erano loro arrivate, i Veneziani
fecero un trattato di pace con il re Pipino, accettando di pagargli un tributo
considerevole. Ma finora il tributo è andato diminuendo di anno in anno
benché sia ancora pagato attualmente. Infatti, i Veneziani pagano a colui
che regna sul regno d’Italia, cioè Pavia una rendita annuale di 36 libbre
d’argento non negoziate. Così si concluse la guerra tra Franchi e Veneziani5.
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Sovrano degli Unni. Gli Avari erano un altro popolo, sebbene imparentati.
Pipino Carlomanno (773?-810), figlio di Carlomagno, fu re dei Longobardi dal 781.
L’assedio di Venezia durò dall’autunno 809 alla primavera 810.
Sistema di feudalizzazione.
Ci sono due versione sull’attacco di Pipino avvenuto intorno al 726. Secondo la
storiografia veneziana, Pipino, occupato il porto di Albiola, organizzò una flotta per
conquistare la laguna (allora ancora non esisteva la vera Venezia), ma gli assediati,
ritiratosi nelle isole più interne, come Rialto, aspettarono che le grandi navi franche si
arenassero nelle secche lagunari per poi attaccarle con piccole e leggere imbarcazioni,
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Quando il popolo cominciò a fuggire verso Venezia e a riorganizzarsi, essi
proclamarono come doge quello che superava tutti gli altri in nobiltà. Il
primo dei loro dogi era stato designato prima che il re Pipino andasse contro
loro1. In quell’epoca, la residenza del doge era un posto chiamato Civitanova
che significa “nuova città”. Ma poiché quest’isola suddetta è molto vicina alla
terraferma, per consiglio comune trasferirono la residenza del doge in
un’altra isola, dov’è attualmente perché distante dalla terraferma, a una
distanza tale che si può distinguere un uomo a cavallo.
29. La Dalmazia e i popoli che la abitano
L’imperatore Diocleziano amava molto la Dalmazia, così portò da Roma
delle persone e le loro famiglie; li insediò nello stesso paese di Dalmazia; li
chiamò Romani2 perché erano stati sottratti da Roma, e questo titolo è loro
rimasto finora. Poi l’imperatore Diocleziano fondò la città di Spalato e vi fece
costruire un palazzo che supera tutto ciò che la potenza del verbo o della
penna potrebbe descrivere3, e le vestigia del suo antico lusso sono ancora
conservate, benché il lungo lasso di tempo abbia fatto devastazioni su di
essi. Inoltre, la città di Dioclea4, ora occupata dai Diocleani, fu così chiamati
perché fu costruita dallo stesso imperatore Diocleziano. Il territorio che
possedevano questi Romani si estendeva anche lontano lungo il Danubio, e
una volta, furono tentati di attraversare il fiume e scoprire gli abitanti
dell’altra riva, lo attraversarono e incontrarono dei popoli slavi senza armi,
chiamati Avari. Né gli uni né gli altri si aspettavano di trovare chi vi fosse
sulla diversa riva. E allora, trovando questi Avari disarmati per la guerra, i
Romani li sottomisero, presero del bottino, dei prigionieri e ripartirono. E a
partire da quel momento, i Romani sistemarono due guarnigioni in
alternanza, in servizio da Pasqua a Pasqua, e si abituarono al cambio di
questi uomini cosicché, il Gran Sabato Santo, quelli che prendevano il loro
servizio potevano incrociare coloro che ne ritornavano. Perché vicino al
mare, sotto questa stessa città, si trova una città chiamata Salona 5, grande
quasi la metà di Costantinopoli, dove tutti i Romani si riuniscono, si
riforniscono quindi partono e passano la frontiera, situata a quattro miglia di
questa stessa città, che è oggi chiamata Kleisa6, essendo chiusa a quelli che
passano in questo modo. Ed di là, essi avanzano verso il fiume. Questo
scambio di guarnigione funzionò per un certo numero di anni e gli Slavi
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bruciando la flotta e massacrando l’esercito nemico. La versione francese narra invece che
Pipino, conquistata la laguna stava per ritornare in Francia, quando intervenne una flotta
bizantina che sconfisse gli invasori costringendoli alla resa. In entrambi i casi, Pipino si
ammalò poco dopo per l’insalubrità delle paludi e morì.
Vi furono due dogi: Paolo Lucio Anafesto, dal 697 al 717, e Marcello Tegalliano, dal 717 al
726. Nel 726 l’assemblea popolare elesse Orso Ipato, ucciso nel 737.
Nel seguito si metterà in corsivo i Romani “trapiantati”.
Il Palazzo di Diocleziano, sorta di cittadella fortificata, fu eretto tra il 293 e il 305.
O Doclea, o Dukija, presso l’attuale Podgorica.
A Salona era nato Diocleziano.
Oggi Clissa, in croato Klis. La città si trova su una rupe che domina un valico, a quota 360
metri, che mette in comunicazione l’entroterra dalmata con la costa presso Salona.
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situati dall’altra parte del fiume, anche chiamati Avari, riflettevano tra loro,
e si dicevano: «Questi Romani, ora che hanno attraversato e trovato del
bottino, non cesseranno in futuro di venire a visitarci; dobbiamo elaborare
un piano contro di loro». E così, per questo, gli Slavi o Avari tennero
consiglio, e in una certa occasione quando i Romani attraversarono, essi
tesero loro delle imboscate, li attaccarono e li uccisero. Gli Slavi
summenzionati presero le armi romane, i loro stendardi e il resto dei loro
distintivi militari; attraversarono allora il fiume e passarono la frontiera;
quando i Romani che erano di là li videro, con i vestiti e gli attributi dei loro
uomini, credettero che fosse loro, e così, quando gli Slavi già citati
arrivarono, li si lasciò passare. Una volta entrati, subito espugnarono i
Romani e presero possesso della città di Salona summenzionata. Vi si
insediarono e iniziarono in seguito gradatamente a fare incursioni per
saccheggiare e distruggere i Romani abitanti nelle pianure e su un terreno
più elevato, prendendo possesso delle loro terre. Il resto del Romani trovò
rifugio nelle città costiere che possiedono ancora, cioè: Decatera, Ragusa,
Spalato, Tetrangourin, Diadora, Arbe, Vekla e Opsara1, i cui abitanti sono
chiamati Romani al giorno d’oggi.
Dal regno di Eraclio imperatore dei Romani, come si spiegherà nel
resoconto che riguarda i Croati e i Serbi, l’insieme della Dalmazia e di tutti i
suoi popoli, come Croati, Serbi, Zachlumiani, Travuniani, Canaliti, Diocleani
e Narentani, anche chiamati Pagani [lacuna] ma quando l’impero romano, a
causa dell’indifferenza e dell’inesperienza di quelli che lo governarono in
seguito, soprattutto all’epoca di Michele l’Amoriano il Balbuziente2, rifiutò
categoricamente agli abitanti delle città dalmate di diventare indipendenti, o
sudditi dell’imperatore dei Romani, o di chiunque altro, peraltro, i popoli di
queste regioni, Croati, Serbi, Zachlumiani, Travuniani, Canaliti, Diocleani e
Pagani, scossero le briglie dell’impero dei Romani e diventarono autonomi e
indipendenti, senza alcuna riserva. Questi paesi non avevano prìncipi, come
si dice, ma soltanto degli «župa», degli anziani, come è di norma nelle altre
regioni slave. Inoltre, la maggioranza di questi Slavi non era neppure
battezzata, e restò tale e quale abbastanza a lungo. Ma, all’epoca di Basilio,
imperatore amante Cristo3, inviarono ambasciate, supplicando e pregando
quelli tra loro che non erano stati ancora battezzati di ricevere il battesimo;
essi sarebbero diventati, come lo erano stati in origine, sudditi dell’impero
romano, e l’imperatore glorioso, di felice memoria, li ascoltò e inviò un
delegato imperiale accompagnato da sacerdoti e fece battezzare tutti coloro
che dei popoli suddetti non lo erano ancora. Nominò in seguito i loro principi
che essi scelsero e approvarono, provenienti da famiglie amate e favorite. E
da quel giorno fino a oggi, questi principi sono discendenti da quelle stesse
famiglie, e da nessun’altra. Ma i Pagani, anche chiamati Narentani in lingua
1 Rispettivamente (da Decatera): Kotor o Cattaro, Dubrovnik, Split, Trogir o Traù, Zadar o
Zara, Arbe, Veglia e Ossero. Se ne parla più avanti.
2 Michele III.
3 Basilio I (811?-886) fu imperatore bizantino dall’867.
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romana, furono lasciati senza battesimo, in una parte inaccessibile e
scoscesa del paese. Perché «Pagani» significa «non battezzati» in lingua
slava. Ma più tardi, anche loro, inviarono [messaggeri] allo stesso
imperatore glorioso pregandolo di farli battezzare, e egli fece battezzare
anch’essi. E poiché, come abbiamo detto sopra, a causa dell’indifferenza e
dell’inesperienza di quelli che in quest’atti di potere hanno fatto sbagliare i
Romani, gli abitanti delle città di Dalmazia diventarono ugualmente
indipendenti, non sottomessi né all’imperatore dei Romani, né ad alcun
altro. Ma dopo un certo tempo, sotto il regno di Basilio, il glorioso e
indimenticabile imperatore, i Saraceni d’Africa, Sawdan, Saba e Khalfun1,
vennero con 36 navi e raggiunsero la Dalmazia, presero le città di Voutova 2,
di Rossan3 e la città di Decatera. Ed andarono anche verso la città di
Ragusa4 facendo un assedio di quindici mesi. Quindi nel distretto dei
Ragusani fecero una dichiarazione a Basilio, l’imperatore sempre
memorabile dei Romani, dicendogli: «Abbiate pietà di noi e non permettete
che ci distruggano quelli che negano Cristo». L’imperatore fu mosso a
compassione e inviò il patrikios Niceta, chiamato Orifa, drungarios della
flotta di un centinaio di chelandia5. Quando i Saraceni ebbero la notizia
dell’arrivo del drungarios patrikios della flotta con il suo squadrone,
lasciarono la città di Ragusa e presero la fuga; essi passarono in
Longobardia dove assediarono e presero la città di Bari 6. Quindi il sultano vi
costruì un palazzo e fu padrone per quaranta anni di tutta la Longobardia
fino a Roma. Su questo resoconto, di conseguenza, l’imperatore informò
Luigi, re di Francia7, e il papa di Roma, chiedendo la loro cooperazione con
l’armata che, lui, l’imperatore, aveva inviato. Il re e il papa aderirono alla
richiesta dell’imperatore, e tutti due arrivarono con una forza importante e
fecero unione con l’armata inviata dall’imperatore e con i Croati, i Serbi, i
Zachlumiani, Travuniani, Canaliti, gli uomini di Ragusa e di tutte le città di
Dalmazia (perché tutti furono convocati per mandato imperiale), quindi
passarono in Longobardia, assediarono e si impossessarono della città di
Bari8.
I Croati e altri capi slavi furono trasportati in Longobardia dagli abitanti
della città di Ragusa sulle loro navi. La città di Bari, il paese e tutti i
prigionieri furono portati dall’imperatore dei Romani, ma Sawdan e il resto
dei Saraceni fu preso da Luigi, re di Francia, che li mandò a Capua e a
Benevento. E nessuno non vedeva mai ridere Sawdan. Tanto che il re disse:
«Se qualcuno mi annuncia o mi mostra che Sawdan sta ridendo, gli darò
1 Sawdan al Mazari fu il terzo emiro di Bari dall’857; Sava dovrebbe essere Mufarraj ibn
Sallam, secondo emiro di Bari; Khalfun conquistò Bari nell’847 e ne fece un emirato.
2 Budva o Budua, sulla costa del Montenegro.
3 Portorose.
4 Dubrovnik.
5 Niceta Orifa, comandante (drungarios) della flotta bizantina di galee da guerra.
6 Il 2 febbraio 871.
7 Luigi (o Ludovico) II.
8 Nell’876.
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molto argento». Un giorno glielo dissero. Il re fece venire il barbaro e gli
chiese la ragione del suo ridere; il saraceno rispose che osservando un
carretto, aveva poi visto la cima di una ruota abbassata a terra, e il fondo di
questa ruota elevata in cima. «Giudicando, aggiunse, che gli affari umani si
sollevano e si abbassano, ho riso, riflettendo che non era impossibile che mi
succedesse la stessa cosa: come sono stato precipitato dall’alto nella
miseria, così Dio può sollevarmi ai primi posti». In seguito, Luigi lo invitò a
mangiare con lui alla sua tavola. E i nobili di Capua e di Benevento presero
l’abitudine di andare a vedere Sawdan, di chiedergli informazioni sulle cure
da prestare al bestiame e su altri argomenti, a causa della sua età e della
sua esperienza. Sawdan, che era fine e astuto, disse loro: «Vorrei rivelarvi
una cosa, ma temo che lo denunciate al re e nel qual caso perderò la mia
vita». Ma essi gli promisero la discrezione, allora prendendo coraggio disse
loro: «Il re ha previsto di bandire tutti voi dalla Grande Francia, e se ne
dubitate, aspettate un po’, e ve lo proverò». Ed egli se ne andò a dire a
Luigi: «I signori di questo luogo sono malavitosi, e non sarete mai padrone
di questo paese a meno di eliminare quegli uomini potenti che vi si
oppongono, ma mettono ai ferri i notabili della città, mandateli nel vostro
paese, e gli altri si sottometteranno come vorrete». Quando questo consiglio
lo ebbe convinto, il re ordinò di fare catene di ferro per il loro esilio; Sawdan
uscì e disse ai nobili: «Se non volete credere che il re vi voglia esiliare, che
ogni vostro ricordo debba scomparire tra gli uomini, e se volete esserne
interamente certi, andate a vedere cosa fanno tutti i maniscalchi per ordine
del re. E se non li trovate in procinto di fabbricare catene e ferri, sappiate
che tutto ciò che vi ho detto è menzogna, ma se ho detto vero, vegliate
sulla vostra sicurezza e ricompensatemi per i miei consigli preziosi così
salutari per voi». I nobili fecero come aveva detto Sawdan, e quando videro
le catene e i ferri furono completamente convinti; in seguito iniziarono a
complottare contro il re Luigi. Quest’ultimo, ignorando tutto ciò, partì per
cacciare. Ma quando ritornò, i suoi nobili avevano preso possesso della città
e non gli permisero più di entrarvi. Il re Luigi, vedendosi così opposto ai
nobili, ripartì per il suo paese. I nobili chiesero a Sawdan: «Cosa possiamo
dunque fare per voi, dopo ciò che ci hai dato in cambio?» Egli chiese loro
allora di poter tornare nel suo paese, e ciò fu fatto, ripartì per l’Africa nella
sua terra natale. Ma, cosciente del suo vecchio inganno, armò una
spedizione e venne in forze ad assediare e sottomettere Capua e
Benevento. I loro capi inviarono emissari al re Luigi di Francia, chiedendogli
di venire ad aiutarli contro Sawdan e gli Africani. Ma il re Luigi, intendendo
ciò, avendo appreso come Sawdan aveva agito per convincere i nobili
dicendo loro che «lo scopo del re è di bandirvi e di farvi portare in ferri in
Francia», rispose loro: «Io mi pento di ciò che ho fatto prima per voi: vi ho
salvati dai vostri nemici. Voi mi avete reso il male per il bene e poiché voi
mi avete cacciato, ora sono contento della vostra rovina». Allora, avendo
fallito presso il re Luigi, inviarono ambasciatori presso il re dei Romani
perché li aiutasse e li liberasse da quella disgrazia. Il re promise di aiutarli.
Mentre l’ambasciata ritornava in città, portando le buone notizie
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dell’alleanza con il re, fu preso dalle guardie che Sawdan aveva inviato,
senza avere avuto il tempo di mettersi sotto la protezione della fortezza.
Perché Sawdan era a conoscenza dell’ambasciata fatta presso il re dei
Romani, e aveva compiuto tutti i suoi sforzi per prendere l’ambasciatore
prima del suo ritorno. Quando questi fu catturato, Sawdan apprese ciò che
era stato deciso e che l’aiuto del re dei Romani sarebbe avvenuto alcuni
giorni più tardi. Allora Sawdan dichiarò all’ambasciatore: «Se fai ciò che ti
ordino, otterrai la libertà e grandi regali, altrimenti morirai nei peggiori
supplizi». Quest’ultimo promise di obbedire a quanto gli sarebbe stato
ordinato. Soldan gli disse: «Ti ordino di tenerti vicino alle mura, di chiamare
coloro che ti hanno inviato e dir loro: “Mi sono liberato dal compito che voi
mi avevano affidato, ho implorato per voi il re dei Romani. Sappiate,
tuttavia, che invano ho fatto questo viaggio, il re non ha per niente preso in
considerazione la vostra supplica, non attendete aiuto dal re”».
L’ambasciatore promise con gioia di eseguire. Si portò vicino alla fortezza,
e, non considerando affatto le parole di Sawdan, non temendo le sue
minacce, non lasciandosi sedurre dalle sue promesse, ma avendo soltanto il
timore di Dio nel proprio cuore, disse a se stesso: «È meglio morire solo e
non ingannare che consegnare alla morte tanti cuori umani». Dunque,
quando si trovò vicino alle mura, chiamò tutti gli arconti1 e disse al
comandante della fortezza: «Signori, ho compiuto la mia missione e vi
annuncio la buona risposta del re dei Romani. Ma vi scongiuro, in nome del
figlio di Dio, di salvare la fortezza e i vostri stessi cuori, per riempire di
benefici i miei bambini e mia moglie che spera di abbracciarmi: ciò che
farete per loro, vi sarà ricompensato dal Dio giusto che premia i buoni, lui
che giudica i vivi e i morti. Avendo detto ciò, egli li incoraggiò con le loro
seguenti parole: «Sawdan mi farà morire e temo per la mia vita, ma voi
siate fermi, non siate codardi, aspettate un po’ e tra qualche giorno gli aiuti
inviati dal re dei Romani arriveranno». Dopo queste parole pronunciate
dall’ambasciatore, i soldati di Soldan che lo accompagnavano, avendo
sentito, durante la loro attesa, quanto questi diceva, si misero a digrignare i
denti e disputarono tra loro per essere il primo a ucciderlo. Una volta che
l’ambasciatore fu ucciso, Sawdan temendo l’arrivo dell’armata molto
potente dell’imperatore, si ritirò. E da quei tempi fino a oggi, gli abitanti di
Capua e di Benevento sono sotto la sovranità del popolo romano e sono
completamente sottomessi a causa dell’immenso beneficio che ne hanno
ricevuto.
La città di Ragusa non è chiamata Ragusa nella lingua dei Romani, ma,
poiché è situata su delle scogliere, la si chiama nel parlare romano “la
roccia, laus”, donde sono chiamati “Lausoei” coloro che hanno la loro sede
sulla scogliera. Ma l’uso popolare, che corrompe spesso i nomi modificando
le loro lettere, ha cambiato la sua denominazione e l’ha chiamata Raousoei.
Questi stessi Raousoei erano in passato della città chiamata Pitaura2, e in
1 Alti magistrati.
2 Ragusavecchia, o Cavtat, fondata dai Greci con il nome di Epidauros circa 640 a.C.), poi
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seguito, quando le altre città furono prese dagli Slavi che erano nella
provincia, questa città fu presa anch’essa, alcuni furono massacrati e altri
fatti prigionieri; coloro che riuscirono a sfuggire e a mettersi al sicuro si
insediarono nel luogo quasi a picco in cui si trova la città ora; la costruirono
modesta all’inizio, in seguito più vasta, ed ancora più tardi estesero le sue
mura finché la città raggiunse la sua dimensione attuale, a causa del suo
ingrandimento progressivo e della crescita della popolazione. Alcuni di quelli
che partirono verso Ragusa sono i seguenti: Gregorio, Arsafio, Vittorino,
Vitale, Valentino l’arcidiacono, Valentino, padre del protospatario1 Stefano.
Della loro partenza da Salona verso Ragusa, 500 anni sono finora passati,
indizione 7, anno 64572. Nella stessa città riposa san Pancrazio, nella chiesa
di Santo Stefano, situata nel suo centro.
La città di Spalato, che significa “piccolo palazzo”, fu fondata
dall’imperatore Diocleziano; egli ne fece la sua residenza, e costruì
all’interno una corte e un palazzo, di cui la maggior parte è stata distrutta.
Ma alcuni resti rimangono oggi, come la residenza episcopale della città e la
chiesa di San Doimo, nella quale riposa san Doimo stesso3, e che era il
mausoleo dello stesso imperatore Diocleziano. Sotto si trovano sale a volta
che egli utilizzò come prigione e nelle quali chiuse crudelmente i santi che
torturò. Sant’Anastasio riposa anche lui in questa città. La mura della
fortezza della città non sono costruito né in mattoni né in cemento, ma di
blocchi di pietra, di uno e spesso due braccia di lunghezza per uno braccio di
larghezza4, e sono regolati ed uniti l’uno all’altro con ramponi di ferro
annegati nel piombo fuso. In questa città si trovano anche file strette di
colonne, con delle trabeazioni sopra, sulle quali lo stesso imperatore
Diocleziano propose di costruire delle volte e coprire tutta la città, e di
costruire il suo palazzo e tutti gli alloggi della città sopra queste volte fino a
un’altezza di due o tre piani, in modo che coprissero poco spazio al suolo di
questa città. La fortificazione dell città non ha né doppi muri né gallerie ma
solamente alte mura con feritoie.
La città di Tetrangourin5 è una piccola isola nel mare, con un passaggio
molto stretto che funge da ponte per raggiungere la terra, che gli abitanti
passano per andare alla città dallo stesso nome. È chiamata Tetrangourin
perché essa ha la lunga forma di un cetriolo6. Là si trova il santo martire
Lorenzo l’arcidiacono7.
La città di Decatera8 significa nella lingua dei Romani «stretto e ristretto»,
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chiamata dai Romani Pitaura (168 a.C.).
Cavaliere di Giustizia o comandante della guardia imperiale.
Dal I settembre 948 al 31 agosto 949.
Il siriano san Doimo (o Domino) fu vescovo di Salona dove fu martirizzato el 304.
La fortezza è estesa per oltre 180 metri di larghezza e 215 metri di lunghezza, in una
superficie totale di 30.000 mq.
La già citata Trogir, o Traù, ora in Croazia.
Angoúri, in greco.
Santo martire Lorenzo (225-258), uno dei sette diaconi di Roma.
Kotor, o Cattaro, in Montenegro. Gli antichi Romani la chiamavano Ascrivium, nome
derivato da un’antica forma illirica che significava «situato nell’angolo (del canale)».
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perché il mare entra come una lingua contratta da 15 a 20 miglia, e la città
è su quest’appendice marittima1. Questa città è circondata di alte
montagne, cosa che implica che il sole non possa essere visto che in estate,
perché è allora in mezzo al cielo; in inverno è invisibile. Nella stessa città
riposa san Trifone2, guaritore di qualsiasi malattia, soprattutto per i
tormentati da spiriti impuri; la sua chiesa è rotonda.
La città di Diadora3 è chiamata in lingua romana “iam era’”4, il che
significa: “già esistente”: cioè, che era già stata fondata prima di Roma; è
una grande città. La tradizione popolare le dà il nome di Diadora. In questa
stessa città riposa il corpo di Santa Anastasia, giovane vergine di Eustazio
che fu sul trono all’epoca, e San Crisogono, monaco e martire5. La chiesa di
Sant’Anastasia è una basilica, come la chiesa di Chalcoprateia6, con colonne
verdi e bianche, tutta decorata di immagini a encausto di stile antico; il suo
pavimento è un mosaico splendido. In prossimità, si trovano un’altra chiesa,
coperta da una cupola, alla Santa Trinità, e sopra quest’ultima, ancora
un’altra chiesa, al modo di quella dei Catecumeni, anch’essa rotonda, nel
quale si monta con una scala a chiocciola7.
Sotto il controllo della Dalmazia è un insieme molto numeroso di
arcipelaghi, estendendosi anche lontano da Benevento, in modo che le navi
non temano mai la tempesta in queste regioni. Una di queste isole è la città
di Vekla8, e su un’altra isola Arbe, e su un’altra isola Opsara 9, e su un’altra
isola Lumbricaton10, e sono ancora abitate. Le altre sono disabitate ed
1 Sembra invece che Decatera sia la forma contratta di Cattaro, derivata da una locuzione
greca primitiva che significava «umida, ricoperta di nebbie» in quanto posizionata alla
base di alte montagne e l’umidità del mare non riusciva a dissiparsi completamente
durante il giorno.
2 San Trifone (232-250), martirizzato durante la persecuzione dell’imperatore Decio.
3 Zadar, o Zara, in Croazia.
4 In realtà, il nome romano è Iadera (dal 59 a.C.), derivato da “Jadasienei”, nome degli
abitanti che erano nemici dei Greci. Per assonanza Costantino VII chiama la città Diadora.
5 Sant’Anastasia di Sirmio, martirizzata nel 304. La cattedrale a lei dedicata, di stile
bizantino, fu costruita per ospitare le reliquie della santa portate dal vescovo Donato
nell’811. La figura di sant’Eustazio (vescovo di Berea e di Antiochia, martire nel 338 circa)
è presa da Costantino VII come indicazione del tempo in cui visse sant’Anastasia. San
Crisogono, vescovo di Aquileia nel III-IV secolo, appare in una leggenda nata a Roma nel
VI secolo per legare il santo a sant’Anastasia di Sirmio. In essa si racconta che Crisogono
era un romano, che fu maestro di sant’Anastasia che lo andava a trovare in carcere e fu
imprigionato durante una persecuzione. Fu portato ad Aquileia al cospetto di Diocleziano
che lo fece decapitare e ordinò che il corpo fosse gettato in mare. Quando il corpo fu
recuperato gli si dette sepoltura a Zara nella chiesa a lui dedicata.
6 La chiesa di Chalcoprateia era nel quartiere del mercato del rame (in greco chalcos), a
circa centocinquanta metri dalla basilica di Santa Sofia, e vi era conservata, dal 530 circa,
la Preziosa Cintura della Madre di Dio.
7 Si tratta della chiesa costruita, a pianta rotonda, nel IX secolo e dedicata dall’XI secolo, a
san Donato. La seconda chiesa che Costantino indica come superiore alla prima è in realtà
la arte dedicata ai matronei.
8 O Veglia, è l’isola di Krk.
9 Osor o, in italiano, Ossero.
10 Vrgada.
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hanno su esse delle città deserte, i cui nomi sono: Katautrebeno, Pizouch,
Selbo, Skerda, Aloep, Skirdakissa, Pyrotima, Meleta, Estiounez, e altre
molto numerose i cui nomi non sono intelligibili. Le altre città, sulla parte
continentale della provincia, furono prese dai suddetti Slavi, sono ora
disabitate ed abbandonate, e nessuno ci vive.
30. Il thema di Dalmazia
Se la conoscenza è una buona cosa per tutti, allora noi l’abbiamo anche
avvicinata a quella degli eventi. È per questa ragione che diamo, per il
beneficio di tutti coloro che ci succederanno, un resoconto completo tanto
su questi argomenti che su altri degni d’attenzione, affinché il bene sia
doppio. Per cui, coloro che si fanno domande sulla presa della Dalmazia, la
sua presa da parte dei popoli slavi, potranno apprenderla da ciò che
seguirà; ma dobbiamo inizialmente parlare della sua posizione geografica.
Nell’antichità, dunque, la Dalmazia cominciava ai confini di Dyrrachium, o di
Antibari4, e andava anche lontano dalle montagne di Istria, per estendersi
fino al Danubio. Tutto il territorio era sotto il controllo dei Romani, e questa
provincia era più famosa di tutte le province dell’ovest; tuttavia, ecco il
modo in cui fu presa dai popoli slavi.
Vicino a Spalato si trova una città chiamata Salona, costruita
dall’imperatore Diocleziano come la stessa Spalato, dove si trova il suo
palazzo, ma a Salona si insediarono i notabili e la gente comune. La città
era la cima di tutta la Dalmazia. Ogni anno5, di solito, una forza di
cavalleria, in numero di un migliaio, delle altre città dalmate si raccoglieva e
si spiegava da Salona verso il fiume Danubio per sorvegliarlo a causa dello
Avari. Perché gli Avari avevano la loro dimora sulla riva opposta del
Danubio, dove sono ora i Turchi, e conducevano vita nomade. La gente di
Dalmazia che vi andava ogni anno, vedeva spesso animali e uomini su
questo lato lontano del Danubio. Un giorno, quindi, decisero di superarlo per
sapere chi erano coloro che abitavano laggiù. Attraversarono e non
trovarono che le donne e i bambini degli Avari, perché gli uomini e i giovani
erano in spedizione militare. Prendendoli di sorpresa, li fecero prigionieri e
ritornarono senza danni, portando il bottino a Salona. Ma quando gli Avari
tornarono dalla loro spedizione militare e videro ciò che era avvenuto e le
perdite subite, furono sbalorditi, non sapendo da dove veniva la disgrazia
che era venuta a colpirli. Decisero dunque di dedicare il loro tempo a
scoprire l’enigma. E così, quando la guarnigione, secondo l’uso, si distaccò
un’altra volta da Salona, con altri uomini, anche questi ultimi vollero rifare
l’incursione dei loro predecessori. Quindi superarono il Danubio, ma
trovando gli Avari raccolti e non dispersi come la rima volta, non soltanto
non poterono far niente ma in verità subirono sventure più terribili. Perché
alcuni di loro furono uccisi, il resto fu fatto prigioniero, e non uno sfuggì
4 Dyrrachium è Durrës o Durazzo, ora in Albania, mentre Antibari è Antivari o Bar, o Tivari,
ora nel Montenegro.
5 La storia che segue pare sia solo una leggenda.
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dalle mani del nemico. Gli Avari li interrogarono, chi erano e da dove
venivano? Avendo appreso che era a causa di loro che avevano subito la
precedente sventura, e avendo inoltre ricevuto informazioni sulla natura del
loro paese, e soddisfatti di quanto avevano inteso, fecerono prigionieri i
superstiti e si rivestirono dei loro vestiti nel modo che li indossavano;
quindi, montando a cavallo e prendendo in mano gli stendardi e le altre
insegne che i Romani avevano portato con loro, partirono per fare
un’incursione militare e si diressero verso Salona. Poiché avevano anche
appreso le ore di cambio delle guarnigioni sul Danubio (il Grande Sabato
Santo), arrivarono quel giorno preciso. Avvicinandosi, la maggior parte
dell’esercito si nascose, ma circa un migliaio di loro, coloro che, per
mascherarsi, avevano preso i cavalli e le uniformi dei Dalmati, avanzarono.
Quelli della città, riconoscendo insegne e vesti, il giorno previsto, perché era
quello in cui rientravano di solito, aprirono le porte e li ricevettero in
tripudio. Ma, appena furono entrati, gli Avari si impadronirono delle porte e
dettero il segnale affinché i loro corressero e entrassero con loro. E così
passarono a fil di spada tutta la città poi presero il controllo di tutta la
Dalmazia dove si insediarono. Solo le città costiere riuscirono a resistere e
continuarono a essere nelle mani dei Romani, perché la loro sopravvivenza
veniva dal mare. Gli Avari, allora, trovando questa terra di loro gusto, vi si
insediarono.
Ma a quell’epoca i Croati erano insediati al di là della Bavaria, dove si
trovano oggi i Belocroati1. Di là, uscì una famiglia di cinque fratelli, Kloukas
e Lobelos e Kosentzis e Mouchlo e Chrobatos, e di due sorelle, Touga e
Bouga, che vennero con la loro popolazione in Dalmazia e trovarono gli
Avari su questa terra. Dopo essersi combattuti per numerosi anni, i Croati
prevalsero, uccisero una parte degli Avari e imposero ai restanti di essere
loro sudditi. E a partire da quel tempo, quella terra fu un possedimento dei
Croati, ed esistono ancora in Croazia alcuni discendenti degli Avari che si
chiamano Avari. Il resto dei Croati dimorò alle frontiere della Francia: li si
chiamano ora Belocroati, cioè «Croati bianchi», hanno il loro principe; sono
sudditi di Ottone il Grande, re di Francia, o di Sassonia, non sono battezzati,
si sposano tra loro e hanno relazioni di amicizia con i Turchi. Una parte dei
Croati giunti in Dalmazia si disperse per occupare l’Illiria e la Pannonia;
anche questi avevano un principe sovrano, che intratteneva, di solito,
benché attraverso inviati, un contatto amichevole con il principe di Croazia.
Per molti anni i Croati di Dalmazia furono sottomessi ai Franchi, in quanto
era stato il loro paese d’origine; ma i Franchi li trattavano con una brutalità
inimmaginabile: essi avevano l’abitudine di uccidere i bambini croati quindi
di gettarli ai cani. I Croati, non potendo sopportare tale trattamento dai
Franchi, si rivoltarono e massacrarono coloro che avevano per prìncipi.
Allora, una grande armata partì dalla Francia contro di loro e, dopo una lotta
di sette anni, i Croati poterono infine soppiantare e distruggere tutti i
1 O Croati Bianchi, slavi abitanti una regione tra Baviera, Ungheria, Polonia e Ucraina. Tra le
popolazioni euroasiatiche, il termine “bianco” significava “occidentale”.
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Franchi e il loro capo chiamato Kotzilis. Da allora, restarono indipendenti e
autonomi, chiesero il santo battesimo al vescovo di Roma che inviò dei
vescovi per battezzarli all’epoca del loro principe Porino.
Il loro paese era diviso in undici župania, ossia: Chlebiana1, Tzenzena,
Emota2, Pleba3, Pesenta4, Parathalassia5, Breberi6, Nona, Tnena, Sidraga7,
Nina; e il loro ban8 possiede Kribasa, Litza et Goutziska9. ai nostri giorni i
cosiddetti Croati e il restante delle regioni sclavine sono così ripartite: la
Dioclea è vicina alle fortezze di Dyrrachium, cioè di Elissus, Helcyniul e
Antibari, e va fino a Decatera10, e lato monte confina con la Serbia. La città
di Decatera è all’inizio della Travunia che si estende fino a Ragusa11, e dalla
parte della montagna, fiancheggia la Serbia. A Ragusa comincia la regione
di Zachlumia che va fino al fiume Oronte12; dalla parte del mare è vicina alla
Pagania, ma dalla parte della montagna è vicina ai Croati a nord e alla
Serbia dietro. La Pagania comincia al fiume Oronte fino al fiume Zentina13;
essa ha tre župania, Rhastotza, Mokro e Dalen14. Due di questi župania, cioè
Rhastotza e Mokro si estendono lungo il mare e possiedono delle galee; ma
quella di Dalen è lontano dal mare, e ci si vive di agricoltura. Hanno quattro
isole vicine Meleta, Kourkoura, Vratza e Pharos15, molto belle e molto fertili,
con città abbandonate e numerosi campi di ulivi; è su queste isole che
abitano e conservano le greggi che permettono loro di vivere. A partire dal
fiume Zentina comincia la Croazia che si estende, lungo la costa, assai
lontano dalle frontiere dell’Istria, cioè la città di Albunum16; dalla parte della
montagna invade un po’ sulla provincia di Istria, quindi a Tzentina e
Chlebena delimita la Serbia. Di fatto la Serbia fiancheggia tutti gli altri
paesi, ma al nord tocca la Croazia e a sud la Bulgaria.
Ora, dopo che i suddetti slavi si erano insediati, essi si impossessarono di
tutti i territori circostanti la Dalmazia; ma le città dei Romani si misero a
coltivare le isole e a vivere altrove; tuttavia, essi furono ridotti in schiavitù e
distrutti dai Pagani, abbandonarono le loro isole e si decisero a coltivare la
terraferma. Furono tuttavia trattenuti dai Croati; perché, senza essere
1 Livno, in Erzegovina.
2 Imota o Imotski.
3 Pliva o Plieva, in Bosnia.
4 Alta valle del fiume Una.
5 O Primorje, tra Signo e Clissa.
6 In latino Varvaria, presso Scardona.
7 Tra Zaravecchia e Scardona.
8 Titolo nobiliare e appellativo dei governanti degli slavi meridionali.
9 Rispettivamente, Krbava, Lika (o Licca) e Gacka.
10 Dyrrachium o Elissus (antica Lissus o Alessio) è Durrës o Durazzo, Helcyniul è Ulcinj o
Dulcigno, Antibari è Antivari o Bar. Decatera è Kotor o Cattaro.
11 Dubrovnik.
12 Neretva.
13 Cetina.
14 Rispettivamente, Rastik, Mokro o Makarska, Dalen.
15 Rispettivamente, Mljet o Meleda, Korčula o Curzola, Brač o Brazza, Hvar o Lesina.
16 Albona (oggi Labin), sulla penisola istriana, ma alcuni storici pensano che Costantino VII
non volesse riferirsi ad Albona ma a Castua, situata più a nord.
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ancora loro tributari, avevano l’abitudine di remunerare il governatore
militare di tutto ciò che essi danno oggi agli Slavi. Diventando impossibile la
loro vita, si avvicinarono al glorioso imperatore Basilio e gli raccontarono
tutto ciò che precede. Il glorioso imperatore Basilio ordinò allora che tutto
ciò che veniva pagato al governatore militare fosse pagato agli Slavi, per
vivere in pace con loro; una retribuzione simbolica la si sarebbe dovuta al
governatore militare come semplice manifestazione di sottomissione verso
l’imperatore dei Romani e i suoi governatori militari. A partire da
quest’epoca, tutte queste città diventarono tributarie degli Slavi, e pagarono
somme fisse: Spalato, 200 nomismata; Tetrangourin, 100 nomismata;
Diadora, 110 nomismata; Opsara, 100 nomismata; Arbe, 100 nomismata;
Vekla, 100 nomismata; cioè un totale di 710 nomismata eccetto il vino e
altri prodotti, che eccedono i pagamenti in moneta. Ragusa è situata tra le
regioni di Zachlumia e di Travunia; ci sono vigne in queste due regioni e
pagano a ciascuno dei due principi 36 nomismata.
31. I Croati e il paese che essi occupano ora
I Croati che vivono attualmente nella regione di Dalmazia discendono dai
Croati pagani, anche chiamati «Bianchi», che vivono al di là della Turchia1 e
accanto alla Francia; hanno per vicini slavi i Serbi pagani. «Croati» in lingua
slava vuol dire «coloro che occupano un vasto territorio». Questi stessi
Croati chiesero protezione all’imperatore dei Romani Eraclio prima che i
Serbi facessero lo stesso, quando gli Avari avevano combattuto ed
espugnato le colonie di Romani che l’imperatore Diocleziano aveva trasferito
da Roma; essi furono chiamati Romani essendo venuti da Roma in queste
regioni, voglio dire quelle chiamate al giorno d’oggi Croazia e Serbia. Gli
Avari aveva espugnato i Romani all’epoca di Eraclio, imperatore dei Romani,
e queste regioni erano allora devastate. Quindi l’imperatore Eraclio ordinò
agli stessi Croati di superare ed espellere gli Avari da quelle regioni, e per
mandato imperiale si insediarono nello stesso paese degli Avari prima di
loro. Quei Croati avevano per principe a quell’epoca il padre di Porga2.
L’imperatore Eraclio inviò e fece venire dei preti da Roma, nominò per loro
un arcivescovo, un vescovo, degli anziani e dei diaconi, fece battezzare i
Croati nel momento in cui Porga era loro principe.
Questo paese dove i Croati si insediarono era inizialmente sotto la tutela
dell’imperatore dei Romani, e dunque nel paese di questi stessi Croati, il
palazzo e l’ippodromo dell’imperatore Diocleziano sono sempre mantenuti,
nella città di Salona, vicino alla città di Spalato.
Questi Croati battezzati non combatteranno i paesi stranieri al di fuori
delle loro frontiere; perché hanno ricevuto un tipo di responso divinatorio e
una promessa del papa di Roma che, all’epoca di Eraclio, imperatore dei
Romani, inviò sacerdoti per battezzarli. Infatti, dopo il loro battesimo, i
Croati assunsero un impegno, confermato di loro mano e da giuramenti
1 Odierna Ungheria.
2 Porga e Porino, citato nel capitolo precedente sono la stessa persona.
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fermi e costrittivi in nome di San Pietro l’apostolo, che non avrebbero mai
fatto la guerra a un paese straniero, ma avrebbero cercato sempre di vivere
in pace con quelli che lo desideravano; e furono benedetti dallo stesso papa
per questo: semmai qualche pagano avesse invaso il loro paese per fare
loro la guerra, la potenza di Dio combatterà con i Croati e li proteggerà, e
Pietro, discepolo di Cristo, porterà loro la vittoria. Un po’ di anni dopo,
all’epoca del principe Terpimer, padre del principe Krasimer1, venne dalla
Francia, tra Venezia e la Croazia, un uomo chiamato Martin di grandissima
pietà, benché vestito come un laico; i Croati dicevano che aveva compiuto
numerosi miracoli. Quest’uomo pio, malato e con un piede amputato, cosa
che lo faceva spostare dove voleva sostenuto da quattro portatori, confermò
ai Croati l’ingiunzione del santissimo papa: dovevano conservarla tutta la
loro vita; pronunciò lui stesso in loro favore una benedizione simile a quella
fatta dal Santo Padre. Per questa ragione né le galee né le barche di questi
Croati partirono mai per fare la guerra, a meno che la si facesse contro loro.
Ma in quei vascelli montavano quei croati che volevano commerciare,
viaggiare di città in città, in Pagania e nel golfo di Dalmazia fino a Venezia.
Fin dall’origine, cioè dal regno dell’imperatore Eraclio, il principe della
Croazia fu suddito sempre fedele dell’imperatore dei Romani, e non fu mai
sottomesso al principe di Bulgaria2. Del resto la Bulgaria non entrò mai in
guerra con i Croati, se non quando Boris Michele, principe di Bulgaria3, andò
a combatterli, fu incapace di avanzare e concluse la pace con loro,
scambiandosi reciprocamente dei doni. Ma mai questi Croati pagarono
tributo ai Bulgari, benché tutti due si scambiavano spesso doni in segno
d’amicizia4. Nella Croazia battezzata si trovano le città abitate di Nona,
Belgrade, Belitzin. Skordona, Chlebena, Stolpon, Tenin, Kori, Klaboka5. I
Croati possono raccogliere 60.000 cavalli e 100.000 fanti, fino a 80 galee e
100 barche.
La Croazia dispose di questa grande potenza e di una folla di uomini fino
all’epoca del principe Krasimer. Ma quando egli morì e dopo che suo figlio
Miroslav, dopo avere regnato quattro anni6, fu espugnato dal ban
Pribounias, dei litigi e numerosi dissensi scoppiarono nel paese7: i cavalli, i
fanti, le galee e le barche del paese croato diminuirono. Ai nostri giorni
1 Trpimir II fu re di Croazia dal 928 al 935. Gli successe il figlio Krešimir I (morto nel 945),
2 Costantino VII tace che all’inizio del IX secolo, il principe di Croazia era un vassallo
dell’imperatore franco.
3 Boris I Michele, knjaz (sovrano) di Bulgaria dall’852 all’889, è venerato come santo.
4 In realtà ci fu un’altra guerra tra Bulgari e Croati. Successe che nel 924 i bulgari sotto
Simeone I distrussero il regno serbo e buona parte della sua popolazione migrò nei
territori di Tomislao (o Tomislav I, sovrano di Croazia dal 910 al 928). Essa fu inseguita
dai Bulgari, ma Tomislao li sconfisse in territorio croato (battaglia di Bosnia, 927).
5 Rispettivamente, Nona o Nin], Biograd o Zaravecchia, Velicin o Belica, Skradin o
Scardona, Livno, Stupin, Tenin o Knin, Korin o Corino, Klobuk.
6 Dal 945 al 949.
7 Durante il governo di Miroslav, dal 945 al 949, la Croazia fu sconvolta da una guerra civile
fomentata dai sostenitori di suo fratello Mihajlo considerato il legittimo erede al trono. Nel
949 Miroslav fu da essi ucciso e Mihajlo prese il potere col nome di Mihajlo Krešimir II.
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hanno 30 galee, [lacuna] barche, grandi e piccole, [lacuna] cavalli e [lacuna
] fanti.
La Grande Croazia, anche chiamata «Bianca», è ancora oggi pagana,
come i suoi vicini Serbi. Riuniscono meno cavalli e fanti che non possa fare
la Croazia, perché sono spesso saccheggiati da Franchi, Turchi e Peceneghi.
Non hanno né galee né barche né navi mercantili, perché il mare è lontano;
infatti da queste regioni fino al mare il viaggio dura 30 giorni. E il mare che
raggiungono dopo questi 30 giorni è quello che si chiama Oscuro1.
32. I Serbi e il paese che occupano ora
I Serbi discendono dai Serbi pagani, anche chiamati “Bianchi”, e vivono al
di là della Turchia in un posto che chiamano essi stessi Boiki, vicino alla
Francia, come lo è anche alla Grande Croazia, pagana, ugualmente
nominata “Bianca”: in questo posto, dunque, i Serbi si insediarono
dall’origine. Quando i due fratelli succedettero al padre per dirigere la
Serbia, uno dei due, con metà del popolo, richiese la protezione di Eraclio,
imperatore dei Romani, e lo stesso imperatore lo ricevette e gli concesse
una regione nella provincia di Tessalonica per insediarsi, dal nome di Serbia,
che da quell’epoca ha conservato denominazione. “Serbi” in lingua romana
è parola che significa “schiavi”, da cui il volgare “serbula” per dire “le scarpe
di servo”, e “tzerboulanoi” per quelli che portano scarpe economiche e di
cattiva qualità. I Serbi recuperarono questo nome di cui furono dotati in
quanto schiavi dei Romani. Allora, dopo qualche tempo, questi stessi Serbi
decisero di partire verso le proprie abitazioni e l’imperatore ve li mandò. Ma
attraversando il Danubio, cambiarono parere e inviarono una richiesta
all’imperatore Eraclio attraverso il governatore militare che comandava
allora Belgrado, che gli chiese di concedere loro altre terre per insediarvisi.
E siccome, ciò che è ora la Serbia, la Pagania, il cosiddetto paese di
Zachlumia, la Travunia e il paese dei Canaliti, appartenevano allora
all’imperatore dei Romani, ed essendo stati questi paesi devastati dagli
Avari che avevano espugnato i Romani che vivono ora in Dalmazia e a
Dyrrachium; di conseguenza, l’imperatore installò quegli stessi Serbi in
quelle regioni; essi furono sudditi dell’imperatore dei Romani e l’imperatore
fece venire degli anziani da Roma per battezzarli e insegnare loro
correttamente a fare le loro opere di pietà e a spiegare loro la fede
cristiana, e poiché la Bulgaria era suddita dei Romani [lacuna] quando,
dunque, questo stesso principe serbo che aveva chiesto la protezione
imperiale morì, suo figlio gli succedette e dopo di lui suo nipote,
succedendosi così i principi in famiglia.
Dopo alcuni anni apparve fra loro Voiseslav, poi Rodoslav, quindi
Prosigois, quindi Blastimer2; e fino all’epoca di questo Blastimer, i Bulgari
vissero in paese con i Serbi, con cui avevano una frontiera in comune,
1 Mar Baltico.
2 Višeslav intorno al 780, Radoslav all’inizio dell’800, Prosigoj dall’822 all’836, Vlastimir
dall’836 all’863.
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amichevoli uno verso l’altro, sottomessi e sudditi dell’imperatore dei
Romani, amichevolmente trattati da loro. Ma, durante il regno dello stesso
Blastimer, Presiam, principe di Bulgaria1, entrò in guerra contro i Serbi, con
l’intenzione di sottometterli; ma benché guerreggiasse contro di loro per tre
anni, da un lato non ebbe successo e dall’altra parte perse un grande
numero dei suoi uomini. Dopo la morte del principe Blastimer, i suoi tre figli,
Muntimir, Stroimir e Goinikos2 gli succedettero e si divisero il paese. Alla
loro epoca venne il principe di Bulgaria Boris Michele, desideroso di
vendicare la sconfitta di suo padre Presiam, ma fu così pesantemente
battuto che lasciò come prigionieri suo figlio Vladimir3 e dieci boiardi
importanti. Quindi, troppo in pena per suo figlio, Boris fu obbligato a fare la
pace con i Serbi. Ma, sul punto di ritornare in Bulgaria e per paura che i
Serbi gli tendessero un’imboscata per strada, volle avere per scorta i figli
del principe Muntimir, Borenas e Stefano4, che l’accompagnarono senza
rischi fino alla frontiera a Rasi. Per questo favore Boris Michele diede loro
ricchi doni, e loro in cambio gli dettero, come doni d’amicizia, due schiavi,
due falconi, due cani e ottanta pellicce, che i Bulgari descrivono come un
tributo. Poco tempo dopo, gli stessi tre fratelli, principi di Serbia, si
separarono, e uno di loro, Muntimir, prese il potere e, volendo essere unico
padrone, catturò gli altri due e li riportò in Bulgaria, tenendo con sé e
prendendosi cura del figlio di suo fratello Goinikos, chiamato Petrov5 di
nome, che fuggì in Croazia, e di cui parleremo tra un momento. Il suddetto
fratello Stroimir, che era in Bulgaria, ebbe un figlio, Klonimir al quale Boris
diede una donna bulgara. Tzeeslav6 nacque in Bulgaria da quest’unione.
Muntimir che aveva espugnato i suoi due fratelli e preso il potere, generò
tre figli, Privésthlav, Bran e Stefan7, e dopo la sua morte suo figlio maggiore
Privésthlav gli succedette.
È allora che dopo un anno il suddetto Petrov, figlio di Goinikos, uscì di
Croazia e espugnò dal potere suo cugino Privésthlav e i suoi due fratelli, e
succedette loro; essi fuggirono in Croazia. Tre anni più tardi, Bran venne a
combattere Petrov, fu sconfitto, catturato e poi accecato. Due anni dopo8,
Klonimir, padre di Tzeeslav, fuggì dalla Bulgaria e venne anche lui con un
esercito a invadere una delle città della Serbia, Dostinika9, con l’intenzione
di prendere il potere. Petrov lo attaccò e lo uccise quindi continuò a
governare ancora 20 anni, e il suo regno ebbe luogo durante il regno di
Leone, il santo imperatore10, di felice memoria, al quale si sottomise come
1 Presian I, khan dei Bulgari nel periodo 836–852.
2 Rispettivamente, Mutimir, Strojimir, Gojnik.
3 Vladimir-Rasate, sovrano di Bulgaria dall’889 all’893.
4 I figli sono gli stessi citati prima, ma forse qui si danno i nomi da battezzati.
5 Petar.
6 Časlav Klonimirović (890?-960), principe dei Serbi dal 933.
7 Pribislav, Stefan e Bran.
8 Circa 897-898.
9 Dostinik o Destinikon.
10 Leone VI, imperatore bizantino dall’886 al 912.
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suddito. Fece anche la pace con il principe della Bulgaria, Simeone1, e lo
fece anche padrino del suo figlio. Allora, una volta passato il regno di Leone,
il governatore militare di Dyrrachium, il protospatario Leo Rhabduchus2,
decorato più tardi del rango di magistros e logoteta del dromo3, arrivò in
Pagania, a quell’epoca sotto il controllo del principe di Serbia, per avvisare e
conferire con questo stesso principe Petrov di alcuni servizi e affari. Michele,
principe di Zachlumia, sentì crescere la sua gelosia a causa di ciò, e inviò a
Simeone, principe di Bulgaria, [un messaggio dicendo] che l’imperatore dei
Romani stava convincendo il principe Petrov ad associarsi ai Turchi per
attaccare la Bulgaria. Era questa l’epoca in cui aveva avuto luogo la
battaglia di Achelo4 tra Romani e Bulgari. Simeone colmo di collera, inviò
contro il principe Petrov di Serbia Sigritzis Theodore e il celebre Marmais
con un esercito e portarono con loro anche il giovane principe Pavlov5, figlio
di Bran, che Petrov, principe di Serbia, aveva accecato.
I Bulgari utilizzarono il tradimento contro il principe della Serbia, e,
citando il rapporto da padrino e giurando che andavano a trovarli, che non
avrebbero subito nulla dalle loro mani, lo portarono con l’inganno aa andar
da loro; al momento dell’arrivo, egli fu attaccato, condotto in Bulgaria e
fatto morire in prigione. Pavlov, figlio di Bran, prese il suo posto e governò
tre anni. L’imperatore, il signore Romano6, che deteneva a Costantinopoli il
giovane principe Zacarias, figlio di Privésthlav, principe d Serbia7, lo inviò
per essere principe della Serbia; egli andò a combattere ma fu superato da
Pavlov che lo fece prigioniero e lo abbandonò ai Bulgari che lo
imprigionarono. Quindi, tre anni più tardi, quando lo stesso Pavlov si oppose
ai Bulgari, questi ultimi inviarono Zacarias, precedentemente inviato dal
signore Romano; Zacarias espugnò Pavlos e si impossessò del potere presso
i Serbi; essendo riconoscente allora dei benefici dell’imperatore dei Romani,
egli ruppe con i Bulgari, non volendo assolutamente essere sottomesso a
loro, preferendo piuttosto che l’imperatore dei Romani fosse il suo padrone.
Così quando Simeone inviò contro di lui un esercito diretto da Marmais e
Sigritzis Theodore, [Pavlov] inviò i loro capi e le loro armature all’imperatore
dei Romani in segno della propria vittoria perché la guerra romano-bulgara
non era cessata; egli non smise mai come i principi che lo avevano
preceduto, di inviare messaggi agli imperatori dei Romani come suddito
fedele.
Simeone inviò nuovamente un nuovo esercito contro il principe Zacarias,
1 Simeone I di Bulgaria, detto il Grande, regnò dall’893 al 927. Non ci sono notizie sul
trattato di pace con i Serbi.
2 Leo Rhabdouchos, o Rhabduchus, fu governatore di Durazzo nel 917.
3 Magistros e logoteta del dromo erano titoli pressoché equivalenti dati ai dignitari addetti
alle comunicazioni (affari pubblici e politica estera).
4 La battaglia di Anchialo, o Anchialos, avvenne il 20 agosto 917 vicino alla fortezza di
Tuthom (attuale Pomorje), vinta dai Bulgari.
5 Pavle.
6 Romano Lecapeno. L’appellativo “signore” ha ovviamente un significato feudale.
7 Zaharija, figlio di Pribislav, fu principe dei Serbi dal 922 al 924.
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diretto da Kninos, Himnikos ed Itzboklias, e con loro Tzeeslav. Zacarias
prese paura e fuggì allora in Croazia; i Bulgari inviarono allora un messaggio
agli župan perché essi venissero a trovarli per riconoscere Tzeeslav come
loro principe; e dopo averli ingannati con un giuramento e portati fuori del
primo villaggio, immediatamente li legarono, invasero la Serbia, e
riportarono con loro in Bulgaria tutta la popolazione, giovane e vecchia,
poiché ben pochi poterono fuggire verso la Croazia, e la regione fu
devastata. Quindi, in quell’epoca, gli stessi Bulgari diretti da Alogobotour
invasero la Croazia per fare la guerra ma i Croati li massacrarono tutti.
Sette anni più tardi, Tzeeslav fuggì dalla Bulgaria con altri quattro ed entrò
in Serbia a Preslav1, e non trovò nella regione più di cinquanta uomini,
senza donne né bambini, che sopravvivevano cacciando. Con loro prese
possesso della regione e inviò un messaggio all’imperatore dei Romani,
chiedendo il suo sostegno e il suo aiuto, promettendo di servirlo e di
obbedire ai suoi ordini, come lo avevano fatto i principi che lo avevano
preceduto.
E, di conseguenza, l’imperatore dei Romani gli fu sempre favorevole, in
modo che i Serbi vivendo in Croazia, in Bulgaria e nelle altre regioni,
dispersi da Simeone, si ricongiunsero a lui quando sentirono quanto
successo. Inoltre, numerosi erano quelli fuggiti dalla Bulgaria per andare a
Costantinopoli; l’imperatore dei Romani li riunì, li aiutò e li inviò a Tzeeslav.
E grazie ai ricchi doni dell’imperatore dei Romani, Tzeeslav si organizzò,
ripopolò la sua regione e da allora è uno dei suoi servi fedeli e sottomessi; e
grazie all’aiuto e ai numerosi vantaggi dell’imperatore dei Romani, egli ha
potuto riunificare la sua regione ed essere confermato come sovrano. Il
principe di Serbia, dall’origine, cioè dal regno dell’imperatore Eraclio, è
sempre stato un fedele suddito e servo dell’imperatore dei Romani e non è
stato mai sottomesso al principe di Bulgaria. Nella Serbia cristiana si
trovano le città abitate di Destinikon, Tzernabouskei, Megyretous, Dresneik,
Lesnik, Salines; e sul territorio di Bosona, Katera e Desnik2.
33. Gli Zachlumiani e il paese che occupano ora
La regione di Zachlumia3 appartenne inizialmente ai Romani, cioè
appartenne ai Romani che l’imperatore Diocleziano dislocò da Roma, così
come è stato detto nel resoconto dei Croati. Il territorio di Zachlumia
dipendeva dall’imperatore dei Romani, ma quando questo territorio con la
sua popolazione fu sottomesso dagli Avari, diventò completamente desertao
Coloro che vi vivono al giorno d’oggi, gli Zachlumiani, sono dei serbi
dell’epoca in cui il loro principe reclamò la protezione dell’imperatore
1 Nell’893. Preslav fu la capitale del Primo regno bulgaro.
2 Rispettivamente, Destinikon, Černavusk, Međurečje, Dresneik, Lesnik, Salines e nella
župa di Bosnia: Katera o Kotor e Desnik.
3 O Zahumlje, o Chelmia, o Terra di Chelm o di Hum, abitata dagli Zachlumiani o
Zachlumiti. Era un principato serbo localizzato tra le attuali Erzegovina e Dalmazia
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Eraclio1. Si chiamano Zachlumiani dal cosiddetto monte Chlumos2, e di fatto,
nella lingua slava, «zachlumi» vuol dire «dietro la montagna»3, perché in
questo territorio si trova un’alta montagna con due città alla sommità, Bona
e Chlum4, e dietro la montagna scorre un fiume chiamato Buna, nome che
significa «buona».
La famiglia del proconsole e patrikios Michele, figlio di Vousevouti5,
principe di Zachlumia, ha la sua origine nei non-battezzati che si
insediarono vicino al fiume Visla6 e si chiamano Litziki; e si installarono sul
fiume chiamato Zachluma.
Nel territorio di Zachlumia si trovano le città abitate di Stagnon,
Mokriskik, Iosli, Galoumainik, e Dovriskik7.
34. I Travuniani, i Canaliti e il paese che occupano ora.
La regione dei Travuniani e dei Canaliti formano un tutt’uno8. I loro
abitanti sono i serbi non battezzati, dall’epoca del principe che uscì dalla
Serbia pagana per chiedere protezione all’imperatore Eraclio fino ai giorni di
Vlastimir, principe della Serbia9. Il principe Vlastimir sposò la propria figlia a
Krajinas, figlio di Beloje, župa di Travunia10. Desideroso di nobilitare suo
genero, quest’ultimo gli dette il titolo di principe e lo rese indipendente.
Discendono da lui, Hvalimir11 e da quest’ultimo Čučimir12. I principi di
Travunia sono sempre stati sotto l’autorità del principe di Serbia. Travunia in
lingua slava, significa «piazzaforte», perché questa regione ha fortissime
difese.
Un’altra regione è integrata alla Travunia, è la Konavle13, nome che vuol
dire in lingua slava «pieno di carri»„ poiché, essendo il luogo piano,
trasportano tutti i loro lavori su carretti.
Ecco le città abitate che esistono in Travunia e in Konavle: Tervounia,
Ormos, Risena, Loukavetai, Zetlibi14.
35. I Diocleani e il paese che occupano ora
La regione di Dioclea appartenne inizialmente ai Romani che l’imperatore
Diocleziano dislocò da Roma, come è stato detto nel resoconto sui Croati;
1
2
3
4
5
6
7
8
Nel 630 circa.
Monti Hum.
Dallo slavo Zahumlje, za+Hum, dietro l’Hum.
Bona e Hum, da alcuni considerate un’unica città.
Mihailo, figlio di Višetinog.
Vistola.
Rispettivamente, le città di Stagno, Mokro, Ošlje, Galumaenik e Dovriskik.
La Travunia, o Travunja, comprendeva l’Erzegovina e il sud della Dalmazia, tra Dubrovnik
e Cattaro.
9 Vlastimir (836-863 circa).
10 Krajina era uno župa (signorotto feudale) serbo di Travunia. Era figlio di Beloje di Trebinje.
11 Hvalimir Belojević, in latino: Phalimer, figlio di Krajina.
12 Čučimir Belojević, figlio di Hvalimir.
13 La Konavle, o Canali o Valle dei Canali è la zona più a sud della Croazia.
14 Rispettivamente, le città di Trebinje, Trebišnjica, Risan, Lukavec, Zetliv o Zatleblje, non
tutte identificate con certezza.
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dipendeva dall’imperatore dei Romani. Ma quando questo territorio fu
sottomesso dagli Avari, diventò abbandonato quindi si ripopolò all’epoca
dell’imperatore Eraclio, come lo furono Croazia, Serbia, Zachlumia, Travunia
e Konavle. Dioclea deriva il suo nome dalla città situata in questa regione e
che l’imperatore Diocleziano fondò, ma è ora una città rovinata sempre
chiamata Dioclea.
In Dioclea esistono vaste città abitate, sono: Gradetai, Nougrade,
Lontodokla.1
36. I Pagani, anche detti Narentani, e il paese che occupano ora
La regione che i Pagani2 occupano ora appartenne inizialmente ai Romani
che l’imperatore Diocleziano dislocò da Roma ed insediò in Dalmazia. Questi
stessi Pagani discendono dai Serbi pagani, nell’epoca in cui il loro principe
richiese la protezione dell’imperatore Eraclio. Questa regione fu anche
sottomessa dagli Avari per essere abbandonata quindi ripopolata sotto
l’imperatore Eraclio. I Pagani sono così nominati perché non accettarono il
battesimo nello stesso momento dei Serbi. Perché Pagani significa, in lingua
slava, “non battezzati”, ma nella lingua dei Romani la loro regione è
nominata Narenta, e così gli stessi Romani li chiamano Narentani3.
In Pagania si trovano le città abitate di Mokro, Verullia, Ostrog e
Slavinetza4. Essa contiene anche le isole seguenti: la grande isola di
Kourkra, o Kiker5, dove c’è una città, un’altra grande isola, Meleta o
Malozeata6, menzionata da san Luca negli Atti degli apostoli sotto il nome di
Melite, nella quale una vipera si appese al dito di san Paolo, che la bruciò
nel fuoco7; un’altra isola importante, Fara8; un’altra isola Bratzis9. Esistono
diverse isole che non fanno parte della Pagania: l’isola di Choara10, le isole
di Ies11 e l’isola di Lastobon12.
37. Il popolo dei Peceneghi
I Peceneghi abitavano precedentemente sul fiume Atil 13, e anche sul
fiume Geich14, avendo frontiere comuni con i Cazari e i suddetti Uzi 15, ma
cinquanta anni prima tali Uzi fecevano causa comune con i Cazari e si
1 Rispettivamente, Budva (antica Gradac,) Novi Grad e Lontodoclea.
2 O, raramente, Paganiani.
3 In greco antico, sia Narenta che Narentani non hanno la N iniziale, infatti Costantino VII
scrisse Arenta e Arentani.
4 Rispettivamente, Makraska o Macarsca, Vrulja, Zaostrog e Gradac.
5 Korčula o Curzola.
6 Mljet o Meleda.
7 At 28,1, la città è chiamata Malta.
8 Hvar o Lesina.
9 Brač o Brazza.
10 Ciovo? Šolta?
11 Vis o Lissa.
12 Lastovo o Lagosta.
13 Volga.
14 Ural, chiamato Jaik fino al 1775.
15 Citati nei capitoli 9 e 10.
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allearono con loro in una battaglia contro i Peceneghi che vinsero e
cacciarono dalle loro terre, che gli Uzi occupano ancora oggi. I Peceneghi
fuggirono e vagarono alla ricerca di terre dove insediarsi, e quando giunsero
alle terre che possiedono attualmente e trovarono i Turchi che vi vivevano, li
vinsero in combattimento, li scacciarono e li espugnarono, e si insediarono,
e furono i padroni di questo paese, come abbiamo detto, da
cinquantacinque anni fino ad oggi.
Il territorio intero del Peceneghi e diviso in otto themata con lo stesso
numero di grandi principi. I themata sono i seguenti: il primo thema si
nomina Irtim; il secondo, Tzour; il terzo, Gyla; il quarto, Koulpei; il quinto,
Charaboi; il sesto, Talmat; il settimo, Chopon; l’ottavo, Tzopon. Quando i
Peceneghi furono scacciati dal loro paese, i loro principi erano, nella
provincia di Irtim, Baitzas; in Tzour, Konel; in Gyla, Kourkoutai; in Koulpei,
Ipaos; in Charaboi, Kaidoum; in Talmat, Kostas; in Chopon, Giazis; in
Tzopon, Batas. Dopo la loro morte, i loro cugini succedettero loro al potere,
perché il diritto e gli anziani principi prevalsero su di loro, privandoli del
permesso di trasmettere il loro rango ai figli o ai fratelli; i loro principi
devono accontentarsi di essere principi e di comandare fino alla loro morte;
dopo di loro, c’è un loro zio, o i giovani scelti dal loro zio: non si vuole che la
dignità si perpetui esclusivamente in un solo ramo della famiglia ma che
anche i collaterali ereditino e raggiungano l’onore; tuttavia nessuno
straniero può introdursi e diventare principe. Gli otto themata sono divisi in
quaranta regioni, che hanno ciascuna alla loro testa un principe di minore
importanza.
Quattro tribù dei Peceneghi, cioè, le province di Kouartzitzour, di
Syroukalpei, di Borotalmat e di Boulatzopon, si estendono al di là del Dnepr
verso l’est e il nord facendo fronte all’Uzia, alla Cazaria, all’Alania, a Cherson
e al resto delle regioni. Le quattro altre tribù si trovano da questo lato del
fiume Dnepr, verso ovest e nord, cioè la provincia di Giazichopon delimita la
Bulgaria, quella di Kato Gyla delimita la Turchia, quella di Charaboi delimita
la Rus’, e quella di Iabdiertim delimita i territori tributari della Rus’, degli
Oultinoi1, dei Dervleninoi2, dei Lenzeninoi3 e del resto degli Slavi. L’intero
territorio dei Peceneghi richiede un viaggio di cinque giorni dagli Uzi e la
Cazaria, un viaggio di sei giorni dall’Alania, un viaggio di dieci giorni dalla
Mordia4, un giorno dalla Rus’, un viaggio di quattro giorni dalla Turchia, una
mezza giornata dalla Bulgaria; è molto vicino a Cherson, e ancora più vicino
al Bosporus5.
1 Secondo alcuni storici, gli Oultinoi erano gli Slavi della Volinia (odierna Ucraina occidentale
) tra i fiumi Pripjat e Bug Occidentale, perciò detti Voliniani. Secondo altri, vivevano lungo
la parte finale del fiume Dnepr fino al Mar Nero, confinavano a nord con i Poloniani ed
erano detti Ulychiani o Ulychi. Altri ancora ritengono che gli Ulychiani siano i Volianiani
che, portatitisi a nord dalle guerre contro la Rus’ di Kiev , cambiarono nome.
2 Drevliani, popolazione slava stanziata nel IX secolo nei territori a ovest di Kiev.
3 Già citati con il nome di Lenzanenoi.
4 Il territorio dei Mordvini che abitavano lungo il medio Volga.
5 Bosforo Cimneno, oggi Stretto di Kerč.
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Quando i Peceneghi furono cacciato del loro paese, alcuni di loro di
propria volontà e per decisione personale restarono laggiù e si unirono agli
suddetti Uzi, e anche ora vivono fra loro, con caratteristiche che li
distinguono, tradendo la loro origine e indicando come furono separati del
loro popolo: perché le loro tuniche sono corte, raggiungono il ginocchio, e le
loro maniche sono tagliate alla spalla, cosa che, come si sa, indica che
furono separati dal loro popolo e da quelli della loro razza.
Da questo lato del fiume Dnestr, verso la zona di fronte alla Bulgaria,
all’incrocio di questo stesso fiume, le città sono deserte: la prima città è
quella chiamata dai Peceneghi Aspron perché le sue pietre sono molto
bianche1; la seconda città è Toungatai; la terza Kraknakatai; la quarta
Salmakatai; la quinta Sakakatai; e la sesta Giaioukatai. Fra questi ruderi di
città antiche si trovano alcune vestigia distintive di chiese e di croci scolpite
in pietra porosa, di cui la tradizione riporta che ci fu un tempo dove i
Romani ebbero le loro colonie in questo paese.
I Peceneghi erano all’epoca chiamati «Kangar», ma non tutti, soltanto la
gente dei tre themi di Iabdiertim, Kouartzitzour e Chabouxingyla, perché
sono più coraggiosi e nobili degli altri: ed è ciò che il titolo Kangar significa.
38. La genealogia del popolo dei Turchi e da dove provengono2
Il popolo turco un tempo abitava vicino alla Cazaria, in un luogo chiamato
Lebedia dal nome del loro primo voivoda Lebedias3, che era, per rango,
denominato voivoda, come pure tutti i suoi successori.
In questo luogo dunque, nella suddetta Lebedia, scorre il fiume Chidmas,
che è anche conosciuto come Chinghilous4. In quel tempo questo popolo
non era chiamato turco, ma per un qualche motivo, “Sabartoi asphaloi”5. I
Turchi erano ripartiti in sette tribù e non avevano mai avuto un principe
indigeno o straniero, ma tra loro esistevano i voivoda di cui il primo era il
suddetto Levedias. Vissero insieme ai Cazari per tre anni, e combatterono
con essi come alleati in ogni guerra. Per il loro coraggio e la loro alleanza, il
khagan-principe dette in matrimonio al primo voivoda dei Turchi, chiamato
Levedias, una nobildonna cazara, data la reputazione del suo valore e la
rinomanza della sua stirpe, in modo che potesse avere dei bambini da lui,
ma tuttavia il caso volle che Levedias da quella cazara non avesse eredi.
I Peceneghi, un tempo chiamati “Kangar” (essendo questo nome simbolo
di valore e nobiltà) attizzarono una guerra contro i Cazari e, vinti, furono
costretti a lasciare la loro regione e a stabilirsi in quella dei Turchi. Quando
ebbe luogo la battaglia tra Turchi e Peceneghi, chiamati Kangar, l’esercito
dei Turchi fu vinto e diviso in due parti. Una di esse andò verso est e si
1 In greco antico aspron significa «bianco». Questa e le altre città che seguono non sono
state ancora identificate.
2 Come già detto, i Turchi menzionati sono gli Ungari, o Magiari.
3 O Levedias, dopo la sua morte la Lebedia fu sempre detta Levédia.
4 Si suppone che i due fiumi oggi si chiamino Kodyma e Inhul, entrambi affluenti del Bug
meridionale.
5 «Sabir invincibili». I Sabir erano un antico popolo insediato a nord del Mar Caspio.
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insediò nella regione di Persia, e oggi li si chiama con la loro vecchia
denominazione di Turchi «Savartoi asphaloi»; l’altra parte, con il loro
voivoda e capo Levedias, si stabilirono in una regione a ovest, nei luoghi
chiamati Atel-kouzou1, dove vivono oggi i Peceneghi. Poco tempo dopo, il
khagan-principe di Cazaria inviò un messaggio ai Turchi, chiedendo che gli
inviassero il loro voivoda. Levedias, dunque, andò dal khagan di Cazaria e
gli chiese per quale ragione lo aveva convocato. Il khagan gli disse: «Ti
abbiamo invitato perché, essendo nobile, accorto, valoroso e il più
importante dei Turchi, noi vogliamo nominarti principe del tuo popolo, se tu
obbedirai alla nostra parola e ai nostri ordini». Ma egli rispose al khagan:
«Sono molto onorato della tua considerazione e dello scopo che mi proponi
e ti esprimo i miei ringraziamenti più sinceri, ma non mi ritengo abbastanza
valido per questo compito, non potrei obbedirti; d’altra parte, esiste un altro
voivoda nominato Almoutzis che ha un figlio chiamato Arpad2; che uno dei
due, Almoutzis o suo figlio diventi il principe e ti obbedisca». Il khagan,
compiaciuto per queste parole, gli diede alcuni uomini e lo fece
riaccompagnare dai Turchi; dopo averne discusso tra loro, i Turchi decisero
che preferivano che Arpad diventasse principe piuttosto che suo padre,
poiché aveva talenti superiori, e la sua saggezza, i suoi consigli e il suo
valore erano largamente riconosciuti ed era capace di comandare; per
questa ragione si proclamò principe, o zakanon, dei Cazari quando lo si
elevò su uno scudo secondo l’uso.
Prima di questo Arpad, i Turchi non avevano mai avuto un principe, e
quindi da allora il principe della Turchia è disceso dalla sua famiglia. Molti
anni dopo, i Peceneghi combatterono i Turchi e li cacciarono con il loro
principe Arpad. I Turchi, fuggendo cercando una terra dove abitare,
cacciarono a loro volta gli abitanti della Grande Moravia dove si insediarono
e dove sono tuttora3. E da allora i Turchi non hanno più sostenuto alcun
attacco contro i Peceneghi. I Turchi occidentali inviano spesso a cercare i
mercanti del popolo suddetto dei Turchi che si insediarono a est, nella
regione di Persia, e questi mercanti riportano loro spesso messaggi ufficiali.
Il luogo del Peceneghi, quando vivevano i Turchi, è designato secondo i
fiumi locali che sono i seguenti: il primo si chiama Barouch; il secondo
Koubou; il terzo Troullos; il quarto Broutos e il quinto Seretos4.
39. Il popolo dei Kavar5
1 Forse tra i fiumi Dnestr e Dnepr.
2 Almoutzis è Álmos (819?-895), capo degli Ungari e, secondo una tradizione, discendente
da Attila. Fu uno dei sette capi tribù che condussero gli Ungari fino a Etelköz. Suo figlio
Arpad (nome che significa «orzo») fu il capostipite degli Arpadi che regnarono fino al
1301. Fu uno dei sette capi tribù (alleati tra loro) che condussero gli Ungari fino a Etelköz
(ossia «terra tra i fiumi») la cui localizzazione non è certa.
3 Più precisamente, nel 900-901 si insediarono in Pannonia (nel sud-ovest della Grande
Moravia), all’incirca la zona dell’odierna Ungheria.
4 Rispettivamente, Dnepr, Bug, Dnestr, Prut, Siret.
5 I Kavar, o Kabar, erano una tribù degli Avari (antichi Ungheresi).
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I suddetti Kabar erano della razza dei Cazari. Ora, successe che una
scissione li divise, e quando scoppiò una guerra interna, i primi prevalsero,
alcuni tra loro furono uccisi, ma altri fuggirono e si ritirarono presso i Turchi
sul territorio dei Peceneghi; questi due popoli diventarono amici, e li si
chiamò «Kabars». Ed essi comunicarono anche a questi Turchi l’idioma dei
Cazari, e finora, parlano questa stessa lingua, ma possiedono anche l’altra
lingua dei Turchi. E anche in guerra si mostrano i più forti, i più valorosi
delle otto tribù, e si distinguono come veri strategoi1; la loro tribù fu
considerata la prima. C’è un principe fra loro, ossia fra le tre tribù dei Kavar,
che esiste ancora ai nostri giorni.
40. Le tribù dei Kavar e dei Turchi
La prima è la tribù suddetta dei Kavar che si separò dai Cazari, la
seconda, la tribù dei Néki, la terza, quella dei Megéri (da cui il nome
Magiaro), la quarta, quella dei Kurtugermat, la quinta, quella del Tarian, la
sesta, quella dei Genach, la settima, quella dei Kaei, e l’ottava, quella del
Kasi. Così essendosi associate le une con le altre, i Kavar si insediarono con
i Turchi nel paese dei Peceneghi. Dopo ciò, alla chiamata del pio e
indimenticabile Leone; essi superarono il Danubio e combatterono Simeone
che vinsero2; seguendolo essi arrivarono fino a Preslav, lo accerchiarono
nella fortezza di Mundraga, dopo di che se ne ritornarono da loro. A
quell’epoca, avevano per principe Liuntika, figlio di Arpad.
Ma dopo che Simeone aveva nuovamente concluso la pace con
l’imperatore dei Romani, sentendosi al sicuro, inviò degli emissari ai
Peceneghi, e concluse un’alleanza con loro affinché sterminassero i Turchi. E
quando i Turchi entrarono in guerra, i Peceneghi li combatterono a fianco di
Simeone, sterminarono le loro famiglie e cacciarono crudelmente coloro che
erano restati indietro per preservare il paese. E quando i Turchi al loro
ritorno trovarono il paese devastato e spopolato, si insediarono sul territorio
dove vivono ancora oggi e che è chiamato come l’ho indicato sopra dal
nome dei fiumi. Il posto che i Turchi occupavano inizialmente, era situato tra
i fiumi Ethel e Kuzu3, dove i Peceneghi dimorano ora.
Ma i Turchi, cacciati dai Peceneghi, vennero a insediarsi nel paese in cui
abitano ora. In questo luogo esistono diversi riferimenti di un tempo: c’è
innanzitutto il ponte dell’imperatore Traiano, dove la regione turca comincia,
poi, a tre giorni da questo ponte, c’è Belgrado dove si trova la torre del
santo e grande Costantino, l’imperatore, quindi, nuovamente, risalendo il
fiume si trova la città detta di Sirmium4, viaggiando due giorni si arriva a
Belgrado, e oltre si trova la Grande Moravia pagana, che i Turchi hanno
1 Capi militari.
2 Nell’894-895. La causa della guerra fu che Leone VI aveva spostato d’imperio la sede dei
mercati bulgari da Costantinopoli a Tessalonica (odierne Istanbul e Salonicco) imponendo
pesanti dazi.
3 Etelköz.
4 Oggi Sremska Mitrovica.
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devastato, ma sulla quale Sphendoplokos1 regnava nei tempi antichi.
Questi antichi edifici e i nomi dei domini lungo il fiume Ister 2, [detti]
sopra, coprono tutte le abitazioni dei Turchi, dove oggi scorrono dei fiumi.
Questi fiumi sono i seguenti: il primo è il Temes3, il secondo il Tisza4, il terzo
il Morisis5, il quarto il Tutis6 e un’altro fiume il Körös7. I Turchi sono separati
a est dai Bulgari da parte dell’Ister, anche chiamato Danubio, a nord dai
Peceneghi, a ovest dai Franchi, a sud dalla Croazia. Queste otto tribù di
Turchi non sono sottomesse al loro principe8, esse sono indipendenti su
questi fiumi, ma quale che sia che sia in guerra tutte le tribù si riuniscono
per lottare insieme con rapidità e zelo. Gli Ungari hanno per primo capo il
principe che discende per successione dalla famiglia di Árpád, ed altri due
capi, il gylas e il karchas9, che hanno rango di giudice e ogni tribù ha il
principe.
Occorre sapere che gylas e karchas non sono nomi propri, ma delle
dignità.
Occorre sapere che Arpad, il grande arconte dei Turchi, generò quattro
figli: il primo fu Tarkatzus, il secondo Jelekh, il terzo Jutotzas, il quarto
Zaltas10.
Occorre sapere che il primo figlio di Arpad, Tarkatzus, generò un figlio
Teveli, il suo secondo figlio, Jelek, generò un figlio Ezelek, il suo terzo figlio,
Jutotzas, generò un figlio Falitzi , il principe attuale11, e il suo quarto figlio,
Zaltas, generò un figlio Taksony.
Occorre sapere che tutti i figli di Árpád morirono, ma i suoi nipoti, Falitzi,
Tas e il loro cugino, Taksony, vissero.
Occorre sapere che, quando Teveli morì, egli lasciò un figlio Termatzous
che è venuto recentemente come amico, in compagnia di Boultzous12, il
terzo principe e il karchas dei Turchi.
Il karchas Boultzous è il figlio del karchas Kalis, e Kalis è un nome
proprio, ma karchas è una dignità, come gylas, che è superiore a karchas.
41. Il paese di Moravia13
Il principe di Moravia, Sphendoplokos14, era un uomo coraggioso e
1 Svatopluk o Sventopolk I, re della Grande Moravia dall’871 all’894.
2 Danubio.
3 O Timiş, o Tamiš, o affluente destro del Danubio.
4 O Tibisco.
5 O Mureş, o Maros, affluente del Tisza.
6 Forse il Bega.
7 Affluente del Tisza.
8 Cioè a un unico principe, comune a tutte le tribù.
9 Gyula e Horka (o Harka).
10 Nell’ordine: Tarkatzus (o Tarhos), Jelekh (o Üllő), Jutotzas (o Jutas), Zoltan (o Zaltas, fu
capo degli Ungari dal 907 al 948).
11 Fajsz fu capo degli Ungari dal 948 al 955.
12 Bulcsú , che ricevette il titolo di patrikios da Costantino VII.
13 Costantino VII fu il primo a citare con il nome di Moravia o di Grande Moravia la vasta
regione storica formatasi nell’Europa Centrale dall’833.
14 Svatopluk o Sventopolk I, re della Grande Moravia dall’871 all’894.
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formidabile per i suoi vicini. Questo stesso Shendoplokos aveva tre figli, e
prima di morire, egli divise il suo paese in tre parti e ne lasciò una a ciascun
figlio; lasciò il maggiore come Gran principe e gli altri due restavano sotto il
suo comando. Egli li esortò a non litigare, dando loro questo esempio a
scopo dimostrativo: comprò tre bastoni, li riunì e li dette al suo primo figlio
per farglieli spezzare, poiché questi non era abbastanza forte, li consegnò
al secondo, e poi al terzo, in seguito separò i tre bastoni e ne dette uno a
ciascuno di loro, ed essi li spezzarono subito. Egli li esortò con questo
esempio, dicendo: «Se voi restate uniti in armonia e amore, i vostri
avversari non potranno soppiantarvi e voi resterete invincibili, ma se i
conflitti e le rivalità si installeranno tra voi e voi vi separate in tre governi,
senza restare fedeli al vostro maggiore, non soltanto vi autodistruggerete
ma sarete portati alla rovina dai vostri nemici, i nostri vicini». Dopo la morte
di Sphendoplokos, [i figli] rimasero in pace per un anno, poi conflitti e
ribellioni li sopraffecero e li portarono alla guerra civile e i Turchi li invasero1,
li rovinarono completamente e poi conquistarono il loro paese, dove essi
vivono ancora oggi. Coloro che sopravvissero si dispersero in cerca di rifugio
presso il popoli vicini, Bulgari, Turchi, Croati e altri.
42. Descrizione geografica da Tessalonica fino al Danubio e alla città di
Belgrado; dalla Turchia e dal territorio dai Peceneghi alla città cazara di
Sarkel, alla Rus’ e alla Nekropyla situate nel Mar Nero, vicino al fiume
Dnepr; e a Cherson e Bosporus, tra le quali si trovano le città delle
Regioni, quindi al lago Meotide, che per la sua dimensione è chiamato
mare, la città chiamata Tamatarkha; e oltre la Zichia, la Papagia, la
Kazachia, l’Alania e l’Abasgia fino alla città di Sotirioupolis
Da Tessalonica al fiume Danubio, dove si trova la città chiamata Belgrado,
occorre contare un viaggio di otto giorni se non si viaggia in fretta ma a
tappe tranquille. I Turchi vivono al di là del Danubio, sulla terra della
Moravia ma anche da questo lato, tra il Danubio e il fiume Sava.
Vicino al Danubio inferiore, di fronte a Dristra2, comincia il paese dei
Peceneghi, e il loro dominio si estende fino a Sarkel 3, fortezza dei Cazari,
nella quale hanno una guarnigione di 300 uomini che si ricambiano tutti gli
anni. Da loro, Sarkel significa «dimora bianca». Questo posto è stato
costruito dallo spatarocandidato4 Petronas, soprannominato Camateros5;
perché i Cazari avevano chiesto all’imperatore Teofilo di fare loro costruire la
fortezza. Il khagan e il bek6 di Cazaria inviarono ambasciatori all’imperatore,
per chiedergli che si costruisse loro questa fortezza di Sarkel. L’imperatore
autorizzò la loro richiesta, e inviò lo spatarocandidato Petronas, di cui
1 Nel 950 circa, cioè negli anni in cui scriveva Costantino VII.
2 Durostorum, odierna Silistra.
3 O Sarkil, cfr. cap. 11.
4 Commendatore di Giustizia.
5 Petronas Camateros era cognato dell’imperatore Teofilo (dall’829 all’842) e fratello di
Cesare Bardas.
6 Re.
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abbiamo appena parlato, con dei chelandia imperiali, ai quali fece unire
quelli del governatore della Paphlagonia1. Petronas approdò a Cherson, dove
lasciò questi chelandia, fece imbarcare la sua gente su vascelli di trasporto,
e andò presso il Tanais2, dove doveva costruire la fortezza. Ma siccome egli
non aveva affatto le pietre necessarie per la costruzione della città, fece fare
delle fornaci di mattoni con cui costruì la fortezza: quanto alla calce, la fece
con le piccole pietre di fiume. Dopo avere costruito la fortezza di Sarkel, il
suddetto spatarocandidato ritornò dall’imperatore e gli disse: «Se
desiderate possedere un potere e un controllo assoluti sulla città di Cherson
e sui luoghi circostanti, perché non vi sfuggano, nominate il vostro
governatore militare e non fate affidamento sui notabili e sul generale».
Poiché fino all’epoca dell’imperatore Teofilo, nessun governatore militare era
stato inviato laggiù e tutta l’amministrazione era alle mani del detto
generale, e di quelli chiamati “padri della città”, l’imperatore Teofilo ci pensò
sopra al fine di mandare questo o quel governatore, e infine scelse di inviare
lo spatarocandidato Petronas, perché aveva un’esperienza dei luoghi e non
era inabile nella condotta degli affari; lo nominò protospatario quindi
governatore militare e lo inviò a Cherson con degli ordini intimanti al
generale e agli altri di obbedirgli; e a partire da quell’epoca fino a oggi, la
tradizione consiste nel nominare qui i governatori militari di Cherson. Ora
basta sulla costruzione della città di Sarkel.
Dal Danubio fino a Sarkel, ci sono sessanta giorni di viaggio, e in questo
paese si trovano molti fiumi tra i quali il Dnestr e il Dnepr sono i più
notevoli: gli altri sono il Syngoul3, l’Hybil, l’Almatai, il Koufis, il Bogou e
molti altri. Le rive dell’alto Dnepr sono abitate dai Rus’ che discendono
questo fiume per recarsi nelle province romane. Il territorio dei Peceneghi
abbraccia tutta la Rus’ e Bosporus e anche più lontano da Cherson a Sarat4,
Bourat e altre parti. La distanza, lungo la costa, dal Danubio al Dnestr è di
120 miglia. Dal Dnestr fino al Dnepr, ci sono 80 miglia, la cosiddetta «costa
dorata».
Dopo la foce del fiume Dnepr è l’Adara e si trova una grande baia
chiamata Nekropyles5, che è assolutamente impossibile a un uomo di
attraversare. Dal fiume Dnepr fino a Cherson ci sono 300 miglia. Dopo
Bosporus viene la foce del lago Meotide, che tutti chiamano mare a causa
della sua dimensione6. In questo stesso mare Meotide scendono numerosi e
grandi fiumi, dal lato nord scendono il fiume Dnepr da cui i Rus’ vengono
passando in Bulgaria Nera, Cazaria e Siria. Questo stesso golfo della Palus7
è di fronte ai Nekropyles, che sono vicini al fiume Dnepr (a 4 miglia), e le
raggiungono dove gli Antichi avevano scavato in questo posto un canale di
1
2
3
4
5
6
7
O Paflagonia, antica regione dell’Anatolia centro-settentrionale, sul Mar Nero.
Fiume Don.
Inhoul, o Ingoul, affluente del Bug meridionale.
Saratov.
Odierna baia di Karintski, presso lo stretto di Kerč.
Mar d’Azov.
In latino: palude, ossia la Palude Meotide (Mar d’Azov).
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dimensione di mille miglia per dare passaggio alle acque del mare in modo
che la penisola si trovasse interamente separata della terraferma, ma
questo canale fu insabbiato nel seguito dei tempi e fu sostituito da una folta
foresta dove ci sono soltanto due strade lungo le quali i Peceneghi si
infiltrano verso Cherson, Bosporus e nelle nostre province.
Molti fiumi si gettano nella parte orientale della Palus Meotis come il
Tanais che viene dalla città di Sarkel, il Charakoul dove si fa la pesca degli
storioni, come pure altri fiumi come il Bal, il Bourlik, il Khadir e numerosi
altri. Ma il canale che riunisce la Palus Meotis al Ponte Eusino1 si chiama
anche Bourlik; è là che è il Bosporus all’opposto del quale è situata la città
di Tamatarkha2; il canale citato ha diciotto miglia di larghezza. In mezzo a
questo spazio di 18 miglia è una grande isola piatta che si chiama Atech. A
circa diciotto o venti miglia da Tamatarkha è il fiume chiamato Oukrouch3
che separa la Zichia da Tamatarkha. La Zichia4 ha una estensione di 300
miglia dall’Oukrouch fino al Nikopsis sulla quale è costruita una città dallo
stesso nome. Al di là della Zichia si trova la Papagia5; al di là della Papagia,
la Kasachia6; al di là della Kasachia, i monti del Caucaso e al di là del
Caucaso il paese di Alania7. La Zichia possiede anche delle isole che
delimitano la costa, tra esse una grande e tre piccole; più vicine alla riva di
queste ultime si trovano altre isole coltivate ed abitate Turganirch,
Tzarbaganin e un’altra nel porto di Spalaton; e a Pteleai un’altra che poté
servire da rifugio durante le incursioni degli Alani. Il mare [Nero] lambisce
la regione della Zichia dal fiume Nikopsis fino a Sotirioupolis8 su 300 miglia,
dove si trova l’Abasgia9.
43. Il paese di Taron10
Ma ecco qualcosa per te per quanto riguarda gli Sciti del nord, figlio mio
beneamato, questa conoscenza ti sarà sempre vantaggiosa e utile se
necessario; ma è ugualmente indispensabile che non ignori nulla delle
regioni situate dove il sole si alza, per quali ragioni diventarono un giorno di
nuovo sudditi dei Romani, dopo essere decaduti dal loro potere.
Dunque, Krikorikios, il principe di Taron11, si sottomise inizialmente e si
presentò all’imperatore dei Romani, ma dall’inizio, fece il doppio gioco;
mentre a parole sembrava stimare l’amicizia dell’imperatore, di fatto agiva
secondo il buon volere del califfo dei Saraceni e a diverse riprese condusse
1 Mar Nero.
2 Tamatarkha (o Tamantarkhan) era l’antica colonia greca di Hermonassa; quando passò
sotto il controllo della Rus’ di Kiev fu detta Tmutarakan.
3 Forse il Kuban’.
4 Regione a est del Mar Nero e del Mar d’Azov.
5 In Papagia, versante meridionale del Caucaso, stavano i Circassi.
6 Paese dei Circassi orientali, corrispondente all’incirca all’Ossezia del Sud.
7 Paese degli Alani, corrispondente all’Ossezia del Nord.
8 Oggi Pitsunda.
9 O Abchazija (in italiano Abcasia).
10 Regione storica dell’Armenia superiore, ora in Turchia.
11 O Krikor (Grigor) I di Taurun o Tauronita (?-930).
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gli eserciti in Siria contro le province sottomesse all’imperatore dei Romani,
e divulgava in Siria tutti i piani segreti dei Romani ai loro avversari saraceni,
tenendo sempre segretamente informato con le sue lettere il Comandante
dei Credenti di ciò che avveniva da noi; allorché volle apparire come un
partigiano della causa romana, si trovò, all’opposto, che preferiva e stimava
la causa dei Saraceni. Tuttavia, non cessò di inviare presenti, che
sembravano preziosi ai barbari di queste regioni, a Leone1, il più glorioso
degli imperatori, e ottenne in cambio sempre di più dal pio imperatore, che
anche lo pregava spesso per lettera di rendergli visita nella città imperiale
per conoscere l’imperatore e condividere con lui i suoi benefici e gli onori.
Ma temendo che ciò offendesse e sconvolgesse il Comandante dei Credenti,
addusse delle scuse e falsamente sostenne che gli era impossibile lasciare il
suo paese senza assistenza, per timore che potesse essere saccheggiato dai
Saraceni.
Ora, questo stesso principe de Taron catturò un giorno, in una battaglia, i
figli di Arkaika2, cioè, i cugini del patrikios Krikorikios, padre del
protospatario Ashot3, e li tenne prigionieri. Nel loro nome, allora, il principe
dei principi, Symbatios4 inviò lettere allo stesso imperatore, di memoria
benedetta, pregandolo di intercedere presso i Taroniti e di fare tutto il suo
possibile per liberare i suoi nipoti, figli del detto Arkaika, affinché non
fossero inviati al Comandante dei Credenti, poiché il patrikios Grigorios era
genitore di Symbatios, il principe dei principi. L’imperatore Leone, di beata
memoria, accettò la richiesta di Symbatios inviando al principe di Taron, per
questo affare, il defunto eunuco Sinoutin, allora cartolario5 assieme al
logoteta del dromo6, e anche ad Adranaser, curopalate d’Iberia7 per trattare
quell’affare particolare, con dei doni per tutti e due. Ma quando Sinoutin fu
calunniato presso l’imperatore da Teodoro, il traduttore armeno, si inviò al
suo posto come delegato imperiale il protospatario Costantino Lips8,
detentore del sigillo imperiale – ora antypathos9, patrikios e grande
eteriarca10, – gli ordini gli ingiunsero di prendersi i doni inviati al principe di
Taron, Krikorikios, ed andare lui stesso in Taron, quindi di ordinare a
Sinoutin di andare da Adranaser, il curopalate d’Iberia come era stato
1 Leone VI il Saggio, che regnò dall’886 al 912.
2 Arkaik non è un nome ma un titolo e significa «piccolo re». Era detto di David, figlio di
Bagrat Bagratouni.
3 Ashot III di Taron.
4 Smbat I il Martire (890-914), figlio e successore di Ashot I, più avanti nel testo chiamato
Grigorios.
5 Funzionario amministrativo.
6 Dignitario delle comunicazioni.
7 Alto funzionario militare. Adranaser è Adarnase IV di Iberia (morto nel 923), principe
georgiano della dinastia dei Bagration.
8 Costantino Lips era drungarios (comandante) della flotta sotto Leone VI (886-912) e morì
nel 1917 in battaglia. Di lui si ricorda la fondazione di un monastero.
9 Proconsole.
10 Comandante dell’eteria, che era il corpo scelto di mercenari stranieri, poi diventato
guardia del corpo imperiale.
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previsto. Il detto protospatario arrivò in Taron e diede a Krikorikios i doni e
le lettere che l’imperatore gli aveva inviato; prese il figlio naturale del
Taronite1, chiamato Ashot, e lo riportò nella città imperiale; l’imperatore lo
elevò al rango di protospatario ed lo riempì di doni, quindi lo rinviò
nuovamente, sotto la guida dello stesso protospatario. Inoltre Costantino
ritornò in compagnia di Apoganem2, fratello di Krikorikios, principe di Taron,
e lo portò dall’imperatore la cui memoria è benedetta, con i due figli di
Arkaikas. Apoganem fu, lui stesso, elevato al rango di protospatario e
colmato di riguardi, quindi riportato nella sua patria da Costantino presso
suo fratello. Più tardi, Costantino soggiornò alcuni tempi in Chaldia 3 e
ricevette un ordine imperiale che gli ingiungeva di andare in Taron per
assicurarsi sulla persona di Krikorikios principe del Taron, e di portarlo nella
città imperiale, ciò che fece. Quando Krikorikos entrò nella città protetta da
Dio e ricevette la dignità di magistros e l’incarico di strategos di Taron, gli
donò come residenza la «casa dei barbari»4, mantenendo quella del
parakimomenos5 Basilio6. Inoltre fu onorato di una roga7 annuale di dieci
libbre d’oro e dieci altre libbre di miliaresia8, ossia in tutto venti libbre.
Essendo passato qualche tempo nella capitale, fu nuovamente scortato
indietro da Costantino.
Apoganem ritornò una seconda volta dall’imperatore e ricevette il titolo di
patrikios. L’imperatore gli concesse inoltre la figlia di Costantino in
matrimonio, e, in questa occasione, gli regalò la «casa dei barbari», senza
tuttavia confermargli la donazione con una crisobolla9. Dopo aver
beneficiato della generosità dell’imperatore, Apoganem volle, prima di
celebrare le sue nozze, tornare nel proprio paese, ma morì alcuni giorni
dopo essere arrivato. Krikorikios, in seguito a questo evento, scrisse
all’imperatore per ottenere l’autorizzazione di prendere il suo assegnamento
dalla mano stessa del sovrano e di passare qualche tempo nella capitale.
Chiedeva inoltre di rientrare in possesso della «casa dei barbari», che era
stata data a suo fratello. L’imperatore accettò la sua richiesta, considerando
la sua sottomissione recente e soprattutto per incoraggiare gli altri principi
d’Oriente a imitare la sua condotta. La donazione, d’altronde, come la prima
volta, non fu confermata da una crisobolla.
Essendo passati degli anni, ed essendo Romano Lecapeno salito sul trono,
[Krikorikios] lo informò che poiché gli era impossibile utilizzare la «casa dei
barbari», egli l’avrebbe scambiata volentieri con un dominio in Keltzene10,
1 Del principe di Taron.
2 Il principe di Armenia Abu Ghanim.
3 Uno dei themata dell’impero bizantina in Asia Minore.
4 Palazzo di Costantinopoli non identificato.
5 O parakoimomenos, che letteralmente significa «colui che dorme con l’imperatore», cioè
la guardia del corpo o il ciambellano.
6 Un figlio illegittimo di Romano I.
7 Soldi arretrati o tributo.
8 Monete d’argento e di rame.
9 Documento ufficiale con il sigillo dell’imperatore impresso.
10 Provincia della Chaldia.
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per esempio quello di Patzates11. Sperava così di garantirsi un rifugio dove
poter mettere la propria famiglia e i suoi beni al riparo durante le incursioni
degli Arabi. L’imperatore Romano, credendo che Krikorikios possedesse la
casa ai sensi di una crisobolla dell’imperatore Leone, il beato, gli cedette la
proprietà di Gregoras in Keltzene. Ma, come Leone, non gli confermò a
donazione con una crisobolla.
Alcuni tempi dopo Tornikios4, figlio di Apoganem e nipote del Taronite,
scrisse da parte sua a Romano per segnalargli che l’imperatore Leone aveva
fatto regalo della casa a suo padre e che, alla morte di quest’ultimo, suo zio
Krikorikios se ne era impossessato, pur impegnandosi a restituirla quando
avesse raggiunto la maggior età; avendo appreso che suo zio l’aveva
scambiato con la proprietà di Gregoras, chiedeva che i suoi diritti fossero
rispettati.
D’altra parte, le liberalità dell’imperatore al principe di Taron aveva
suscitato la gelosia degli altri principi armeni. Da parte loro, i principi
armeni, Gagik I di Vaspurakan5, Adranaser, curopalate di Iberia e il principe
dei principi Ashot6 protestarono per iscritto contro il trattamento privilegiato
di cui usufruiva Krikorikios, unico a beneficiare di una pensione imperiale:
«In che cosa, dicevano, rende più servizi di noi all’impero? occorre dunque
che anche noi veniamo dotati di una pensione, o che lui non continui a
usufruire di questo favore». Romano rispose loro che non era lui ma
l’imperatore Leone che aveva accordato una pensione al Taronite e che non
gli spettava eliminarla: sarebbe stato ingiusto che le decisioni degli
imperatori defunti fossero abolite dai successori. Allo stesso tempo fece
parte il Taronite della protesta dei principi armeni e lo informò che non
avrebbe potuto continuare a versargli una pensione d’oro o d’argento, ma
promise, oltre ai doni d’uso, abiti ed oggetti in bronzo per un valore di dieci
libbre. Romano glieli fece pervenire per tre o quattro anni, quindi lo informò
che non gli era più possibile mantenere i propri impegni. Ma Krikorikios
preferiva, a quanto pare la sua pensione in argento e chiese che gliela si
continuasse a versare, ma si dichiarava pronto a rinunciarvi. Romano, per
eliminare la gelosia del curopalate Gagik e degli altri principi, risolse di
eliminarla. Ma, volendo risparmiare l’amor proprio di Krikorikios, fece venire
a Costantinopoli suo figlio Ashot, l’elevò alla dignità di patrikios e lo rinviò
nel suo paese soltanto dopo avergli prodigato i segni d’amicizia.
Essendo morto Krikorios, Tornikios, figlio di Apoganem, volle vedere
l’imperatore. Quest’ultimo inviò lo protospatario Krinitis, che portò Tornikios
alla capitale dove ricevette la dignità di patrikios da parte dell’imperatore.
Tornikios fece valere i suoi diritti sulla «casa dei barbari» e protestò contro
la transazione a favore di suo zio. Chiese che gliela si rendesse o che gli
cedessero il dominio di Keltzene, che si dichiarava pronto, se la cosa non
11 Tatzates, un armeno proprietario terriero in Chaldia vissuto nella seconda metà dell’VIII
secolo.
4 Tornik. Il nome Tornikios (o Tornikes) deriva dalla parola armena t’orn, “nipote”.
5 Gagik I (880?-937) fu re di Vaspurakan (provincia armena sul lago di Van) dal 908.
6 Ashot II detto Yerkat (“il Ferro”, per le sue vittorie), figlio di Smbat I.
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fosse stata possibile, a rinunciarvi a favore dell’imperatore, piuttosto che di
vedere l’uno o l’altro in possesso dei suoi cugini. Questa fu la ragione che
determinò l’imperatore, non sentendosi obbligato verso Krikorikios, decise di
ritirare al Taronite la casa e il dominio, tanto più che non esistevano
crisobolle su queste donazioni.
Più tardi, Pankratios1, figlio maggiore di Krikorikios, si recò a sua volta a
Costantinopoli. L’imperatore gli conferì la dignità di patrikios e lo nominò
strategos di Taron. Pankratios voleva sposare una donna appartenente alla
famiglia imperiale e l’imperatore gli diede la sorella del magistros Teofilatto.
Dopo la celebrazione del matrimonio Pankratios fece un testamento, nel
quale dichiarava: «I figli che nasceranno da quest’unione con mia moglie
dovranno ereditare la totalità del mio paese come eredità primigenia». Su
ciò, chiese all’imperatore di cedergli il dominio di Gregoras perché la sua
sposa vi risiedesse, e dopo la sua morte questo dominio potesse ritornare
alla maestà imperiale. L’imperatore approvò questa proposta, e dopo averlo
colmato di numerosi doni, lo rinviò con la moglie nel suo paese. Ora, i figli
del magistros Krikorikios, questi stessi patrikioi Pankratios e Ashot
moltiplicarono ile vessazioni contro il loro cugino, il patrikios Tornikios.
Quest’ultimo, trovando le loro angherie insopportabili, scrisse all’imperatore,
per chiedergli di inviare un servo di fiducia per prendere possesso del suo
paese, per condurre lui, sua moglie e il loro bambino a Costantinopoli.
L’imperatore incaricò il protospatario Krinitis, l’interprete, di portarlo e di
condurlo alla città protetta da Dio, conformemente alla sua domanda. Ma
quando Krinitis arrivò in quel paese, constatò che Tornikios aveva già
lasciato questo mondo, dopo avere regolato prima della sua fine l’eredità del
suo paese all’imperatore dei Romani: sua moglie e il suo bambino avrebbero
dovuto andare all’imperatore, e, al suo arrivo, l’imperatore avrebbe
assegnato per residenza a sua moglie il monastero a Psomathia 2 dello
protospatario Michele, anziano kommerkiarios3 di Chaldia. Quindi il sovrano
incaricò lo stesso Krinitis di andare a impossessarsi del paese di Apoganem,
cioè la parte del patrikios Tornikios. Ma i figli del Taronite4, cugini del
defunto, rinviarono la proposta offrendo Oulnoutin5 per conservare il paese
del loro cugino, poiché, dicevano, non avrebbero potuto sopportare di vivere
se l’imperatore avesse occupato il paese. L’imperatore, cedendo alla sua
bontà di cuore, accettò la loro proposta: cedette loro il paese di Apoganem,
loro cugino, e ricevette in cambio Oulnoutin e tutti i territori circostanti.
Il paese intero di Taron era diviso in due parti, una tenuta dai figli del
magistros Krikorikios, l’altro dai suoi cugini, i figli del patrikios Apoganem.
44. La regione degli Apachounis, le città di Mantzikiert e Perkri e
1 Bagrat II (937-994), re di Iberia (Georgia) dal 958.
2 Il monastero era situato sul Mar di Marmara, tra la Porta d’Oro di Costantinopoli e il
monastero di Studion.
3 Controllore delle transazione commerciali ed esattore di imposte.
4 Pankratios e Ashot.
5 Fortezza strategica del Taron occidentale.
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Chliat e Chaliat e Arzes e Tibi e Chert e Salamas e Tzermatzou
Prima dell’epoca di Asotios, principe dei principi, padre di Symbatios,
principe dei principi, che l’emiro di Persia Aposatai aveva decapitato e che
aveva due figli, Asotios, che era principe dei principi dopo di lui, ed
Apasakios, che fu più tardi onorato della dignità di magistros; queste tre
città, Perkri, Chaliat ed Arzes1, erano sotto il controllo della Persia.
Il principe dei principi ha la sua corte in Grande Armenia, nella città di
Kara, e tiene due di queste tre città suddette Perkri, Chaliat, Arzes e anche
Tibi, Chert e Salamas.
Apelbart possedeva Manzikiert2 e era sotto la sovranità di Asotios, il
principe dei principi, padre di Symbatios, principe dei principi. Lo stesso
Asotios, principe dei principi, diede anche a questo Apelbart la città di
Chliat, Arzes e Perkri: poiché Asotios suddetto, principe dei principi, padre di
Symbatios, principe dei principi, teneva tutte le regioni dell’Est. Alla morte
di Apelbart suo figlio Abelchamit entrò in possesso del suo dominio, e alla
morte di Abelchamit, il suo figlio maggiore Aposebatas fece lo stesso.
Quest’ultimo, dopo l’assassinio di Symbatios, principe dei principi, da parte
di Aposatai, emiro della Persia, prese possesso, in sovranità assoluto, come
un potentato indipendente, tanto della città di Manzikiert che delle altre
città e regioni; e i suoi altri due fratelli, Apolesphouet e Aposelmis, si
sottomisero all’imperatore dopo che le loro città e le loro regioni erano state
a più riprese invase, devastate e distrutte dal domestikos3 e pagarono
all’imperatore dei Romani il tributo in segno di omaggio delle loro città e
territori. Ma all’epoca del suddetto Asotios, principe dei principi, padre di
Symbatios e nonno del secondo Asotios e del magistros Apasakios, e per
tutta la vita del secondo Asotios, principe dei principi, queste tre città furono
sotto la sovranità del principe dei principi, e il principe dei principi ricevette
un tributo da parte loro. Inoltre, la città di Manzikiert e il paese degli
Apachounis, di Kori e di Charka erano sotto la sovranità e il controllo dello
stesso principe dei principi, fino all’epoca in cui Aposebatas, l’emiro di
Manzikiert, e i suoi due fratelli Apolesphouet ed Aposelmis si sottomisero
all’imperatore e gli pagarono tributo in segno di omaggio delle loro città e
territori; e, poiché il principe dei principi è il suddito dell’imperatore dei
Romani, è nominato da lui e riceve la sua dignità da lui, cioè le città, le zone
e i territori di cui è il padrone appartengono anche all’imperatore dei
Romani.
Quando Symbatios, principe dei principi di Grande Armenia, fu catturato
da Aposatai, emiro di Persia, quindi decapitato, Aposebatas, con la sua sede
nella città di Manzikiert, prese possesso delle città di Chaliat, Perkri e della
zona di Arzes.
Il secondo fratello di Aposebatas, Apolesphouet, e suo nipote e genero
Achmet prese possesso delle città di Chliat, Arzes ed Altzike, e anch’essi si
1 Presso il lago di Van.
2 Già nominata: è detta, in italiano, Manzicerta.
3 Comandante delle forze presenti in un thema.
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sottomisero all’imperatore dei Romani e riconobbero la loro sottomissione e
gli pagarono tributo per le loro città e territori come lo aveva fatto suo
fratello maggiore Aposebatas.
Il terzo fratello di Aposebatas e di Apolesphouet, Aposelmis, era in
possesso della città di Tzermatzou con il suo territorio; anch’egli si
sottomise all’imperatore dei Romani e gli pagò tributo come il suo fratello
maggiore Aposebatas ed il suo secondo fratello, Apolesphouet.
Alla morte di Aposebatas, Abderacheim, figlio di Aposebatas, entrò in
possesso della città di Manzikiert e dei suoi territori e di tutti i suoi domini e
alla morte di Abderacheim, Apolesphouet, secondo fratello di Aposebatas e
zio di Abderacheim entrò in possesso della città di Manzikiert e di tutte le
regioni summenzionate, ed alla sua morte, il terzo fratello, che è il fratello
di Aposebatas e di Apolesphouet, Aposelmis entrò in possesso di Manzikiert
e di tutte summenzionate.
Aposebatas aveva un figlio Abderacheim e un altro figlio Apelmouze.
Apolesphouet aveva un genero e nipote, Achmet, poiché egli non aveva
figli, ma al suo posto Achmet, suo genero e nipote.
Aposelmis aveva un figlio Apelbart che ormai possiede Manzikiert.
Alla morte di Aposebatas, lasciò suo figlio Abderacheim come emiro, ma
l’altro suo figlio Apelmouze era un bambino di minore età, e, per questa
ragione, fu dichiarato inabile dal padre e dal fratello.
Aposebatas il fratello maggiore, ha la sua corte nella città di Manzikiert e
possedeva, come detto, queste regioni, Apachounis, Kori e Charka; egli
pagò tributo per esse all’imperatore dei Romani, e alla sua morte, suo figlio
Abderacheim lo diresse e pagò anch’egli il tributo suddetto, essendo suo
fratello Apelmouze, come detto sopra un bambino in minore età.
Alla morte di Apolesphouet, il terzo fratello di Aposebatas, cioè
Aposelmis, prese possesso della città di Manzikiert con i territori
summenzionati. Il suddetto Achmet, nipote e genero di Apolesphouet, prese
possesso con l’approvazione e il consenso di Apolesphouet di Chaliat, Arzes
e Perkri: poiché Apolesphouet non avendo figli, come detto prima, fece di
Achmet, suo nipote e genero, l’erede di tutti i suoi beni, delle sue città e
territori.
Alla morte di Aposelmis, suo figlio Apelbart entrò in possesso della città di
Manzikiert con il suo territorio circostante. Ma Achmet possedeva le tre
città, Chliat, Arzes ed Altzike.
Questo Achmet era anche suddito dell’imperatore, com’è stato detto
sopra, e gli pagava tributo in nome proprio e in nome di suo zio
Apolesphouet. Ma Apelbart, per inganno e frode, lo uccise e prese queste
tre città, Chliat, Arzes ed Altzike, mentre dovevano ritornare all’imperatore
essendo di sua proprietà.
Tutte queste città e regioni suddette mai sono state sotto la sovranità o
sotto la tutela del Comandante dei Credenti, ma, come ciò è stato detto,
all’epoca dell’imperatore Leone, sotto la sovranità di Symbatios, principe dei
principi, poi furono sotto la sovranità dei tre fratelli, gli emiri suddetti,
Aposebatas, Apolesphouet e Aposelmis, e alla loro epoca sottomessi,
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tributari e sotto la tutela dell’imperatore dei Romani.
Se queste tre città Chliat, Arzes e Perkri sono in possesso dell’imperatore,
un esercito persiano non può invadere la Romania e l’Armenia, poiché
servono da barriera e hanno guarnigioni militari.
45. Gli Iberiani1
Occorre sapere che i curopalate iberiani si vantano di discendere dalla
donna di Uria sedotta dal profeta e re Davide2; pretendono di ricollegare a
Davide uno dei bambini nati da quella donna, così da essere parenti del
profeta e re Davide, e conseguentemente della Santa Vergine, uscita ella
stessa stirpe di Davide. Ciò perché i signori Iberiani non hanno alcuna
difficoltà a sposarsi tra parenti, conformemente all’antica abitudine degli
Ebrei, dicono anche che hanno la loro origine in Gerusalemme; che, per
obbedire a un avvertimento dato in sogno, vennero ad abitare nella regione
della Persia che occupano ora. Coloro che, conseguentemente a
quell’oracolo, uscirono da Gerusalemme, furono David, soprannominato, e
suo fratello Spandiatis, il quale aveva ricevuto da Dio il dono, a quanto essi
raccontano, di non poter essere ferito dalla spada nei combattimenti in
alcuna parte del corpo, eccetto il cuore: quindi durante le battaglie
preservava con un’armatura questa parte, e fu audace contro i Persiani. Li
sconfisse, li soggiogò e stabilì la sua famiglia nelle regioni impenetrabili in
cui si trova ora, dove sono presto aumentati immensamente e sono
diventati una grande nazione.
Quando l’imperatore Eraclio andò contro la Persia3, gli Iberiani si unirono
a lui e combatterono sotto le sue bandiere: in seguito il terrore che ispirava
il nome di Eraclio, più che la loro forza e il loro ascendente, li rese padroni di
un buon numero di città e di regioni persiane. Perché questo principe aveva
appena vinto i suoi nemici e aveva distrutto la loro potenza, furono alla
mercè non soltanto degli Iberiani, ma anche dei Saraceni. Poiché i Bagratidi
iberiani pretendevano di venire da Gerusalemme, e che essi avevano una
grande affezione per questa città e per la tomba del Salvatore, vi inviavano
in certe epoche dei ricchi doni, tanto ai patriarchi che ai cristiani della città
santa. David, sopra citato, fratello di Spandiatis, ebbe per figlio Pankratios,
quest’ultimo Asotios, quest’ultimo Adranaser, onorato del titolo di curopalate
dal pio Leone, imperatore dei Greci. Per Spandiatis, fratello del precedente,
egli morì senza posterità. Dalla loro uscita di Gerusalemme e la loro entrata
nel territorio attuale, sono passati quattro o cinquecento anni fino a quando
ci troviamo, indizione X; anno 64604, sotto gli imperatori Costantino e
Romano Porfirogeniti, ferventi cristiani.
Occorre sapere che il pio e illustre imperatore Leone Porfirogenito,
avendo appreso che la regione detta Phasiane5 era stata invasa dai Saraceni
1
2
3
4
5
Abitanti dell’Iberia, antico nome della Georgia.
Samuele 11.
Nel 622.
Nel 952.
Nella provincia di Ararat.
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e le chiese mutate in roccaforti, inviarono6 il patrikios Lalacon, generale
degli Armeniakoi, come pure il generale di Koloneia, di Mesopotamia e di
Chaldia, a distruggere questi forti, consegnare le chiese e devastare la
Phasiane, allora sottomessa ai Saraceni. Più tardi, fece ancora partire
Katakalon, magistros e domestikos, che entrò nel castello di
Theodosioupolis, e devastò interamente i dintorni, come pure Phasiane e i
forti che conteneva: non ritornò che dopo aver inflitto un terribile colpo ai
Saraceni.
Sotto l’impero del signore Romano, il patrikios Kourkouas, marciando
contro la città di Tibi3, devastò sul suo passaggio tutto la Phasiane, perché
era sotto l’influenza dei Saraceni. Il patrikios Teofilo, fratello dello stesso
Giovanni Magistros, per la stessa ragione, aveva già trattato in tal modo
questo paese, quando era governatore della Chaldia; poiché fino a quando
ci si dovette districare con i Theodosiopolitani, non restò in piedi un solo
forte in tutta la Phasiane, fino al luogo di Abnik. Tuttavia gli Iberiani, senza
nulla possedere nella Phasiane, erano in relazione costante di amicizia con
quelli di Theodosiopolis, di Abnik e di Mantzikert4, e con tutta la Persia.
Occorre sapere che spesso gli imperatori Leone e Romano, e la nostra
stessa maestà, provarono a recuperare il castello di Ketzeon, allo scopo di
mettere una guarnigione, per tagliare da questo lato i viveri a
Theodosiopolis, promettendo al curopalate e ai suoi fratelli che avrebbero
avuto quest’ultima città, se essi avessero restituito il forte in questione; ma
gli Iberiani vi si opposero sempre, non volendo, a causa dell’amicizia che
portavano a quelli di Theodosiopolis, che questa città fosse distrutta. «Se
agiamo così, risposero all’imperatore romano e a noi stessi, perderemmo
l’onore agli occhi di tutta la regione, del magistros, sovrano dell’Abasgia, di
quello del Vaspurakan5 e dei principi armeni, che potrebbero dire che è per
sfiducia degli Iberiani, del curopalate e dei suoi fratelli, che l’imperatore ha
ripreso loro il forte di Ketzeon; sarebbe preferibile inviare un cavaliere e un
ufficiale imperiale a risiedervi e a osservare di là il nemico». Si rispose con
l’ordine seguente: «A che pro un cavaliere, un ufficiale, che non potrebbe
entrare nell’accampamento che assegnerete loro che con dieci o dodici
uomini? perché ci sono molte strade per arrivare alla roccaforte di
Théodosiopolis, e non si può, da Ketzon, vedere le carovane che arrivano in
questo posto; queste carovane, d’altronde, possono penetrarvi di notte».
Ma siccome gli Iberiani non volevano che Theodosiopolis potesse essere
distrutto dalla carestia, rifiutarono di ottemperare a questa domanda e di
cedere Ketzon, anche ricevendo il giuramento per iscritto che sarebbe stata
resa loro dopo l’offerta di Theodosiopolis, perché non volevano vedere
devastare Theodosiopolis e il suo territorio, né i forti di Abnik e di
Mandzikert e la regione circostante.
6
3
4
5
Nel 909.
Nel 928.
Rispettivamente, Erzerum o Erzurum, Manzicerta, Avnic.
Provincia dell’Armenia Maggiore.
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Il curopalate reclamava, inoltre, il territorio intero della Phasiane e il forte
di Abnik per i quali pretendeva di avere crisobolle del beato imperatore
Romano e di nostra maestà, di cui ci fece portare copia da parte di
Zourbaneli il protospatario, uno dei suoi nobili. Ma esaminandole, vedemmo
che non provavano nulla; poiché la crisobolla di nostro suocero conteneva
che il curopalate si impegnava, per giuramento firmato di suo pugno, a
rimanere fedele al nostro impero, essere nemico dei nostri nemici, alleato
dei nostri alleati, a sottomettere l’Oriente al nostro scettro, a conquistare
fortezze e a fare le più grandi cose per il nostro servizio; e il nostro suocero
gli prometteva, in cambio della sua fedeltà ai suoi impegni e della sua
affezione, la continuazione in eterno della sua dignità e della sua
indipendenza, per lui e la sua posterità: quindi il curopalate non doveva
arretrare le frontiere dei suoi domini, attenersi alle convenzioni fatte sotto
gli imperatori precedenti, non trasgredirli, non impedire la rovina di
Theodosiopolis, ed altre città ostili, sia che le si assediava soltanto, sia che
fossero attaccate dalle nostre truppe: tale era il riassunto di queste
crisobolle, che non provano nulla per il curopalate. Perché quella del nostro
suocero prometteva che non lo si sarebbe privato delle terre del suo antico
patrimonio, e che se egli avesse potuto, solo o aiutato, prendere o rovinare
Theodosiopolis, non ne avrebbe mantenuto il dominio e la proprietà.
Quanto alla crisobolla di nostra maestà, si è detto che tutti i luoghi che lui
e suo cugino Adranaser magistros hanno potuto conquistare sugli Agareni,
con le loro proprie truppe, o quelli che conquisteranno d’ora in avanti,
apparterranno a loro in piena proprietà. E siccome egli non ha sottomesso
con le sue truppe né Theodosiopolis, né Abnik, né Mastat1, là non ha alcun
diritto, poiché questi luoghi sono al di qua dell’Erax o Phase; che d’altronde
il forte di Abnik è stato finora indipendente e governato dal suo emiro e
spesso devastato dai nostri soldati: che inoltre il generale Giovanni
Arrhabonitis, come pure il patrikios Teofilo, e recentemente il generale di
Theodosiopolis, là avevano tutto messo a fuoco e sangue e portato via un
ricco bottino, cosa che non era mai arrivata al curopalate; e quando le
nostre truppe avevano così completato l’opera della conquista, gli Iberiani
arrivarono, s’impossessarono del paese e vollero entrare con gioia nel luogo.
Informato più volte dal patrikios Teofilo e vedendo che non gli restava che di
sperare la salvezza, l’emiro acconsentì a diventare nostro vassallo e diede
suo figlio in ostaggio. Mastat apparteneva ai Theodosiopolitani, e quando
dopo un assedio di sette mesi il patrikios Giovanni vide che non poteva
scobfiggere questi ultimi, inviò le sue truppe a impadronirsi di Mastat, a tal
fine egli introdusse il protospatario Petronas Boilas, che era allora generale
di Nicopolis.
Tuttavia Pankratios magistros, che aveva combattuto con l’esercito del
patrikios Giovanni contro Theodosiopolis, vedendolo vicino al ritorno, gli
chiese la restituzione di questa roccaforte, impegnandosi per giuramento
scritto di sua mano a conservarla e a non rimetterla ai Saraceni. Poiché era
1 Mastat (in greco) o Mastaton.
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cristiano e servo di nostra maestà, Mastat fu data a Pankratios sotto la fede
del suo giuramento; ma quest’ultimo la rese di nuovo a quelli di
Theodosiopolis, e gli Iberiani ne rientrarono in possesso immediatamente
dopo la presa di quest’ultimo. Essi non hanno dunque ragioni per richiedere
Abnik né Mastat. Ma siccome il curopalate si comporta come servo onesto e
fedele di nostra maestà, che l’Erax o Phase funge da frontiera alla Phasiane,
in tal modo che la sua riva sinistra guardando l’Illiria appartenga agli
Iberiani e la riva destra, i dintorni di Theodosiopolis, i forti e le zone di
questa regione, ci siano sottomessi, e che il fiume Erax segni il limite tra i
due stati, come pure il beato Kourkouas l’approvò in vita e lo dichiarò
completamente conveniente, quando fu interrogato sull’argomento; perché
strettamente parlando, il curopalate non ha diritto a nulla né al di qua né al
di là del fiume, perché sono i nostri eserciti che hanno sottomesso e
devastato queste regioni che appartengono a Theodosiopolis, e che gli
Iberiani non hanno fatto alcuna impresa sul territorio di questa città senza
la nostra assistenza. È unicamente la nostra amicizia per il curopalate che ci
ha fatto acconsentire a concedergli il limite dell’Erax o Phase.
46. Genealogia degli Iberiani; della fortezza di Adranutzion1
Occorre sapere che Pankratios e David il Mampalis, nome che significa
tuttosanto2, erano figli del grande Symbiatos3 l’Iberiano, che Pankratios
ebbe in eredità la città di Artanuji e David una regione diversa. Bagrat ebbe
tre figli: Adarnase, Gurgen e il patrikios Ashot Kiskasis, e condivise loro i
suoi domini. Gurgen al quale il decaduto Artanuji, essendo morto senza
posterità, questa città ritornò al patrikios Ashot-Kiskasis. Quest’ultimo
maritò sua figlia a questo Gurgen Magistros, che tolse per violenza la città
in questione a suo suocero Ashot e gli diede in compensazione Tyrocastrum4
e la valle di Adjara5, che segna il limite della Grecia verso Koloris. Il
patrikios Ashot, detto Kiskasis, aveva sposato la figlia di George-magistros,
sovrano di Aphkhazia6. Quest’ultimo e Gurgen-magistros essendo diventati
nemici, e il patrikios Ashot avente preso le parti di George, Gurgen riprese
di forza la compensazione che aveva dato per Artanuji, cacciò Ashot, e lo
forzò a ritirarsi in Aphkhazia. Alla morte di Gurgen, sua moglie, figlia del
patrikios Ashot-Kiskasis, ereditò la città di Artanuji, come dominio di suo
1 O di Artanuji, ora Ardanuc.
2 Alcune ricerche hanno messo in luce che il titolo mamp’ali (parola georgiana composta da
mama che significa “padre” e da up’ali “signore”) era dato ai principi di alto rango che non
avevano dignità bizantine. Il vocabolo fu poi tradotto in greco come mampalis, dandogli
l’errato significato di “tuttosanto”.
3 La grafia dei nomi citati da qui in poi pare essere un po’ greca e un po’ georgiana e a non
tutti è possibile risalire anche perché si ripetono sempre uguali nelle famiglie. Symbiatos è
Symbatios o Smbat. Bagrat è Bagrat I. Gurgen non era figlio di Bagrat magistros, che
ebbe Adarnase, David (o Davit) e Ashot, ma di Bagrat mamp’ali.
4 Molto probabilmente è il georgiano Qwélis-Tzikhé, a nord-ovest di Samtskhe, perché
ambedue significano “il forte del formaggio”.
5 In italiano Agiaria.
6 Abkhazia o Abcasia.
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padre. Ma Ashot-curopalate, George-magistros, sovrano di Aphkhazia, e
Bagrat-magistros, fratello di Ashot soprannominato, non volendo dividere
con le armi la successione di Gurgen, si adattarono e presero ciascuno ciò
che era di propria convenienza. Essendo Artanuji vicino a Sembat, figlio di
David, soprannominato, i principi si impossessarono della donna di Gurgen,
figlia del patrikios Ashot, e le dissero: «Come donna, non puoi essere
padrona di questo forte» e Sembat le diede in cambio alcuni territori,
serbandosi Artanuji.
Occorre sapere che la parentela di questo iberiano è questa: la madre di
David e quella del curopalate Adarnase, padre d’Ashot il curopalate attuale,
erano figlie di due fratelli, e quindi cugine germane. Sembat figlio di David,
era sposato alla figlia di Bagrat-magistros, padre di Adarnase oggi
magistros. Alla morte di questa donna, Adarnase sposò la sorella di Sembat,
figlio di David.
La roccaforte di Artanuji è molto protetta e ha bastioni tali che
convengono a una capitale di confine; essa è il centro di tutti gli affari di
Trebisonda, dell’Iberia, dell’Aphkhazia, di tutta l’Armenia e della Siria, e con
tutti questi paesi ha un gran commercio. La regione o l’arzen1 di Artanuji è
grande e fertile: è la chiave dell’Iberia, dell’Aphkhazia e del Meskhia2.
Inoltre, il beato imperatore Romano aveva inviato il patrikios Costante3,
drungarios della marina, che era per loro protospatario e manglabite4, e gli
aveva rimesso le insegne da magistrato per rivestirne l’iberiano Gurgen.
Quando il patrikios Costante si avvicinò a Nicomedia5, ebbe un incontro con
il monaco Agapio, figlio di Cimene, che era andato a compiere un voto nella
città santa, e che, ritornando in Iberia, passò da Artanuji. Ora il patrikios
Ashot-Kiskasis, in dissenso con suo genero Gurgen, disse al monaco: «Io ti
scongiuro, in nome di Dio e per la potenza della croce venerabile del
Salvatore, di andare a dire all’imperatore di inviare qualcuno a prendere la
mia città e a sottometterla alla sua autorità». Il monaco Agapio venne e
disse all’imperatore ciò di cui l’aveva incaricato il patrikios Ashot-Kiskasis.
Siccome il patrikios Costante, drungarios della marina, era a Nicomedia per
l’investitura dell’iberiano Gurgen, ricevette a nome dell’imperatore una
lettera del patrikios Simeone, segretario, così concepita: «Il nostro santo
imperatore ti comanda di lasciare qualsiasi altro affare di servizio e di
andare non appena possibile a trovare il patrikios Ashot-Kiskasis, e ricevere
dalle sue mani il forte di Artanuji perché quest’ultimo ha fatto informare il
nostro imperatore santo, per mezzo del monaco Agapio, di inviare un uomo
sicuro e fedele per farlo arrendere. Passando per la Caldea, tu vi prenderai
quegli ufficiali che giudicherai devoti, entrerai nella città e te ne
impossesserai».
Attraversando dunque la Caldea, il patrikios Costante, drungarios della
1
2
3
4
5
Arzen è parola araba che significa “paese” o “territorio”.
In italiano Meschezia.
O Costantino.
O manglavite, guardia del corpo dell’imperatore.
Ora Izmit.
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marina, riunì delle buone turme1, degli ufficiali e una truppa di trecento
uomini, ed entrò in Iberia. Là fu fermato da David, fratello di Ashot, il
curopalate attuale, che gli disse: «Dove ti manda l’imperatore? Quale
incarico hai per avere un simile seguito?» Egli sospettava infatti che a causa
della morte del curopalate Adarnase l’imperatore volesse conferire a Gurgen
il curopalate. Infatti i figli di Adarnase, dopo la morte del loro padre,
stavano discutendo con il loro cugino, e un uomo di alto rango, inviato da
Gurgen all’imperatore con ricchi doni, faceva supporre ai quattro fratelli, figli
di Adarnase curopalate, che Gurgen mirasse a tale dignità. Il patrikios
Costante rispose: «È per nominare Gurgen magistros che ho questo seguito,
e dopo averlo salutato, andrò anche a trovare David-magistros». Lo stesso
patrikios aveva infatti un ordine imperiale e dei doni per quest’ultimo2.
Avendo dunque nominato magistros Gurgen, lasciò il suo paese per
recarsi alla roccaforte di Ashot-Kiskasis, il patrikios, e gli rimise un ordine
imperiale che non diceva nulla di Artanuji, ma che si riferiva ad altri affari.
«È bene che non sia qui detta la questione della roccaforte, disse a Ashot, e
ciò che il monaco Agapio ha dichiarato all’imperatore, e di cui tu lo avevi
incaricato. L’imperatore mi ha mandato a prendere possesso di Artanuji e a
far entrare le genti che mi accompagnano». Siccome il patrikios AshotKiskasis aveva una vertenza con suo genero Gurgen, così come detto, aveva
preferito consegnare il forte all’imperatore. Costante aveva una piccola
bandiera, che diede al patrikios Ashot, e quest’ultimo, attaccandola a una
lancia, la ridette al patrikios Costante, dicendogli: «Mettila tu stesso sulle
mura, affinché questo posto appartenga all’imperatore».
Il patrikios Costante prese dunque la bandiera e la mise sul bastione,
salutando l’imperatore greco con le acclamazioni ordinarie. Fece conoscere
con ciò che il patrikios Ashot-Kiskasis aveva dato all’imperatore la sua città;
ma il grande David era bene lontano dal sottomettere all’imperatore il suo
paese, sebbene fosse vicino della turma di Akampsis e di Murguli. Tuttavia il
patrikios Costante inviò all’imperatore due messaggi, informandolo in uno
che aveva conferito il magistrato a Gurgen, e che quest’ultimo aveva
accettato con riconoscenza il favore imperiale; nell’altro, che il patrikios
Ashot gli aveva rimesso Artanuji, e che tra lui e suo genero Gurgenmagistros regnava un gran disaccordo. All’imperatore chiedeva di inviare un
rinforzo di truppe nella roccaforte e, se si poteva, il domestikos.
In seguito a ciò gli iberiani Gurgen-magistros e David-magistros, fratello
del curopalate Ashot, scrissero all’imperatore che egli avesse permesso una
cosa simile e fosse penetrato nel cuore del loro paese, avrebbero rinunciato
al suo servizio e si sarebbero alleati ai Saraceni; «perché siamo, dicevamo,
in grado di combattere i Greci e di condurre, se costretti, un esercito contro
la roccaforte e il paese di Artanuji, ed anche contro il territorio dell’impero».
1 La turma era un’unità militare romana formata da trenta cavalieri.
2 I commentatori dell’opera annotano che il racconto di Costantino VII diventa oscuro e in
contraddizione con le date fornite dagli Annali storici. Il problema sta, come evidenziato in
una nota precedente, nell’omonimia dei personaggi con lo stesso nome e lo stesso titolo.
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Informato di questi particolari sia dalle lettere degli ufficiali di cui si è
parlato sopra, che dagli espressi che gli spedirono, l’imperatore temette che
essi si unissero davvero ai Saraceni e attirassero sui suoi stati gli eserciti
persiani. «Io non ho incaricato, rispose, il protospatario Costante il
manglabite di fare ciò che ha fatto ad Artanuji, né di impossessarsi del suo
territorio; è un atto avvenuto per sua confusione naturale»: l’imperatore
diceva ciò per soddisfare gli Iberiani. Poi, il protospatario Costante il
manglabite ricevette un ordine imperiale pieno di rimproveri e di minacce:
«Chi ti ha incaricato di una simile commissione? Esci il più rapidamente
possibile dalla fortezza, e fai rientrare Ashot, figlio del defunto curopalate
Adarnase e concedigli da parte nostra il curopalate, di cui usufruiva suo
padre». Ricevuto quest’ordine il patrikios Costante lasciò il patrikios AshotKiskasis nel suo castro di Artanuji, e dirigendosi verso il paese di David il
Grande andò a recargli l’ordine che lo riguardava. In seguito ritornò in
Iberia, e incontrò, riuniti allo stesso luogo, Gurgen-magistros e Davidmagistros, fratello d’ Ashot-curopalate che lo investirono di invettive e
ingiurie. «Uomo perfido e cattivo, dicevano, perché non ci hai parlato della
questione di Artanuji e ci hai nascosto che volevi impossessartene,
ritenendolo un importante servizio all’imperatore? Noi gli abbiamo
presentato anche la nostra versione e sappiamo che egli non era al corrente
di un’impresa che tu hai fatto soltanto per affezione verso il patrikios AshotKiskasis».
Dopo avere risposto quel che doveva, il patrikios Costante portò in città
Ashot, figlio del defunto curopalate Adarnase, e gli conferì in nome
dell’imperatore il curopalate.
Sai ciò che ha avuto luogo in diverse epoche tra i Romani e i vari popoli?
Perché conviene, mio carissimo figlio, che ti ricordi di questi eventi, affinché
all’occasione, se si riproducessero problemi simili, tu possa, grazie alle tue
conoscenze, trovare soluzione immediata.
47. La migrazione dei Ciprioti, descritta come segue
Dopo che l’isola era stata presa dai Saraceni1 e restò disabitata per sette
anni, l’arcivescovo Giovanni venne con un gruppo alla città imperiale e una
deroga fu fatta dall’imperatore Giustiniano2 al sesto sinodo3: lui e i suoi
vescovi e il clero dell’isola, dovevano prendersi carico di Cizico e dovevano
fare le nomine ogni volta che un vescovato diventava vacante, e ciò affinché
l’autorità e i diritti di Cipro non venissero interrotti (perché l’imperatore
Giustiniano era cipriota, come gli antichi ciprioti lo hanno certificato oggi), e
fu ordinato al sesto sinodo che l’arcivescovo di Cipro avrebbe eletto il capo
di Cizico, come ciò è pure scritto nel XXXIX capitolo dello stesso santo
sinodo.
1 Le incursioni degli Arabi sull’isola, allora bizantina, cominciarono nel 649, ma si fecero più
intense trenta-quarant’anni dopo.
2 Giustiniano II Rinotmeto.
3 Nel 691-692.
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Ma dopo sette anni, per volontà di Dio, l’imperatore fu portato a
ripopolare Cipro, e inviò al Comandante dei Credenti di Baghdad1, tre dei più
illustri ciprioti, nativi di questa stessa isola, chiamati Phangumis, con un
delegato imperiale allo stesso tempo intelligente e prudente; egli scrisse al
Comandante dei Credenti per chiedergli di rinviare nell’isola di Cipro la
popolazione insediata in Siria nel loro proprio paese. Il Comandante dei
Credenti accettò la richiesta dell’imperatore; inviò i notabili Saraceni [di
Cipro] in tutte le regioni della Siria e raccolse tutti i Ciprioti per rinviarli da
loro. E l’imperatore, da parte sua, inviò un delegato imperiale e fece
trasportare coloro che si erano insediati in Romania, cioè, a Cizico, nei
themata di Kibyrrhaioton2 e Thrakesion, e l’isola fu ripopolata.
48. Canone XXXIX del sesto santo sinodo, tenuto nella sala a
cupola del Gran Palazzo3
Mentre nostro fratello e collega Ioannis, capo dell’isola dei Ciprioti, a
causa delle invasioni dei barbari, finché non possa essere liberato dal
vincolo degli infedeli e possa essere soggetto senza dissimulazione allo
scettro della Sua Cristianissima Maestà, si è rifugiato con i suoi dalla
suddetta isola nella provincia dell’Ellesponto grazie alla provvidenza, alla
misericordia di Dio e grazie al lavoro dei nostri pii imperatori amanti Cristo4,
noi decidiamo:
- che i diritti riconosciuti alla sede del suddetto dai padri ispirati di Dio al
sinodo di Efeso, devono essere mantenuti senza cambiamento5;
- che la Nea Ioustinianoupolis avrà il diritto della città dei Konstantinéi6;
- che il piissimo vescovo che vi è insediato presiederà tutti i vescovi della
provincia dell’Ellesponto e sarà consacrato dai suoi propri vescovi, secondo
le antiche tradizioni (perché i nostri padri ispirati da Dio decisero che le
pratiche di ciascuna Chiesa dovevano essere preservate),
- che il vescovo della città di Cizico dipenderà dal capo della suddetta Nea
Ioustinianoupolis ome tutti gli altri vescovi, cioè del piissimo capo Ioannis,
che in caso di bisogno nominerà anche il vescovo della stessa città di Cizico.
Ma ora che precisamente abbiamo formulato e sottolineato i problemi
concernenti i popoli stranieri, è giusto che siate perfettamente informati
1 La residenza del califfo era a Damasco. Baghdad lo diventò solo nel 750, quando
Giustiniano II era morto da circa quarant’anni.
2 O dei Cibirreoti.
3 Il sesto santo sinodo ecumenico si tenne a Costantinopoli, sotto Costantino IV Pogonato,
nel 680. Il XXXIX Canone qui descritto fa parte invece del concilio ecumenico detto
Quinisesto o in Trullo ((il "trullo" era la cupola della sala dove erano trattati gli affari di
Stato), che si tenne a Costantinopoli nel 692, sotto Giustiniano II.
4 Dal 691 al 698, l’arcivescovo di Cipro, Ioannis, su istigazione di Giustiniano II, trasferì il
suo seguito in un’area nei pressi di Cizico, nell’Ellesponto (attuale stretto dei Dardanelli),
allo scopo di contrastare gli interessi degli Arabi. Questa regione fu ribattezzata Nuova
Giustiniana. Da allora, il capo della Chiesa di Cipro ha assunto il titolo di «Arcivescovo di
Nuova Giustiniana e di tutta Cipro», titolo reso ufficiale durante il concilio Quinisesto.
5 Il diritto sanciva che l’arcivescovo di Cipro non doveva sottostare al patriarca di Antiochia.
6 Questo diritto sulla preminenza di un vescovo sull’altro è ancora fonte di studio.
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delle riforme messe in campo, non soltanto negli affari della nostra città, ma
ancora in diversi periodi nell’insieme dell’impero dei Romani, affinché la
conoscenza di queste cose più vicine e che riguardano la vostra casa, saldi
in voi più di qualsiasi altra cosa, vi renda maggiormente degno dell’affezione
dei vostri sudditi. All’epoca di Costantino, figlio di Costantino, detto
Pogonato, un certo Callinicus fuggì da Heliopolis presso i Romani e inventò il
fuoco greco che è proiettato attraverso dei tubi, con l’aiuto del quale i
Romani incendiarono la flotta dei Saraceni a Cizico riportando la vittoria1.
49. Chiunque voglia sapere come gli Slaveni furono controllati e
sottoposti alla chiesa di Patrasso, lo apprenderà dal presente
passaggio.
Niceforo2 teneva lo scettro dei Romani, e questi Slaveni 3 che erano nella
provincia del Peloponneso, decisero di rivoltarsi; dapprima saccheggiarono
le abitazioni dei loro vicini, i Greci, e li combatterono in fretta, quindi
andarono contro gli abitanti della città di Patrasso e ne devastarono i
dintorni dinanzi alla sua muraglia quindi la assediarono4, avendo con loro
anche i Saraceni d’Africa. Quando fu passato un tempo considerevole,
iniziarono a mancare alcuni prodotti necessari, l’acqua e i viveri; all’interno
delle mura, si tenne consiglio per arrivare a un concordato per ottenere
delle promesse di immunità, poi di consegnare la città. E siccome all’epoca,
lo strategos del thema risiedeva all’estremità della provincia nella città di
Corinto5, si attese il suo arrivo per combattere il popolo slavo; poiché egli
era già stato informato dell’aggressione dai notabili, gli abitanti della città
decisero di inviare un messaggero verso la parte orientale delle montagne
per sapere e scoprire se il governatore militare stava per arrivare; il
messaggero doveva al suo ritorno abbassare la sua piccola bandiera, per
informarli dell’arrivo dello strategos, e in caso contrario, tenere la bandiera
alta, affinché non lo si attendesse. Allora il messaggero partì e constatò che
il governatore militare non sarebbe venuto; iniziò a rientrare, tenendo alta
la piccola bandiera. Ma, come piacque a Dio, per l’intercessione dell’apostolo
sant’Andrea, il suo cavallo scivolò, il cavaliere cadde e la sua bandiera si
abbassò; gli abitanti della città, vedendo il segnale dato, credettero senza
alcun dubbio che il governatore militare stesse arrivando, aprirono le porte
della città e uscirono intrepidi contro gli Slaveni; essi videro allora il primo
apostolo chiamato, davanti ai loro occhi, in sella a un cavallo, caricare i
barbari, e realmente metterli completamente allo sbaraglio, disperderli,
cacciarli molto lontano dalla città e farli fuggire. E i barbari lo videro e
furono intimiditi e sbalorditi di quell’aggressione così veemente contro di
loro del guerriero invincibile e insuperabile, del capitano e del maresciallo, il
1 Nel 673. Costantino VII attribuisce qui l’invenzione del fuoco greco a Callinico, ma nel
capitolo XIII è scritto che fu «un dono del Signore».
2 Niceforo I, imperatore bizantino dall’802 all’811.
3 Slavi.
4 Nell’805.
5 Capoluogo del thema del Peloponneso.
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giusto e vittorioso apostolo Andrea, primo chiamato; essi si dispersero,
sconvolti, si misero a tremare e si rifugiarono nel suo tempio più sacro.
Ora, quando il governatore militare arrivò il terzo giorno dopo la
sconfitta, ebbe la notizia della vittoria dell’apostolo e fece rapporto
all’imperatore Niceforo dell’incursione degli Slaveni, il saccheggio, il numero
di prigionieri, le distruzioni, e tutti gli altri orrori inflitti dalle loro aggressioni
nella regione di Acaia; e anche l’assedio di molti giorni e l’attacco sostenuto
dagli abitanti della città; allo stesso modo, l’arrivo e l’aiuto fornito
dall’apostolo al combattimento, lo sbaraglio e la vittoria totale ottenuta, e
come era stato visto dai loro occhi caricare e inseguire le retroguardie del
nemico in fuga, in modo che gli stessi barbari erano consapevoli del fatto
che l’apostolo fosse venuto ad aiutare nella battaglia, e dunque si erano
rifugiati nel suo sacro tempio. L’imperatore, apprendendo queste cose, diede
ordini a questo scopo: «Poiché la ritirata e la vittoria finale sono state opera
dell’apostolo, è nostro dovere offrigli tutta la forza di spedizione del nemico,
del bottino e dei saccheggi». E ordinò che i nemici, le loro famiglie, i loro
genitori, tutti coloro che ne facevano parte, e anche tutti i loro beni fossero
portati al tempio dell’apostolo nella metropolia di Patrasso, in cui il primo
chiamato e discepolo di Cristo aveva compiuto quest’impresa in questa
occasione, e pubblicò una bolla sull’argomento in questa stessa metropolia.
I più anziani e i più veterani raccontano questi fatti, trasmessi dalla
tradizione orale a coloro che vivranno nella posterità, affinché, come dice il
profeta, la
prossima
generazione possa
conoscere il miracolo
dell’intercessione dell’apostolo, e possa alzarsi e dichiararla ai loro figli, e
non dimenticare i benefici compiuti da Dio tramite l’intercessione
dell’apostolo. E a partire da quell’epoca, gli Slaveni riuniti nella città furono
assoggettati ai governatori militari, ai delegati imperiali e a tutti gli inviati
delle nazioni straniere; essi hanno i loro servi, cuochi e servitori di ogni tipo
che preparano piatti per i pasti, e la città non si immischia in niente nei loro
affari, perché gli Slaveni recuperano essi stessi i fondi necessari da ripartire
e contribuire presso la loro comunità. E lo stesso molto accorto Leone,
l’imperatore mai dimenticato, emise una crisobolla che contiene un
resoconto dettagliato di ciò che queste stesse persone sottomesse al
metropolita devono fornire, proibendo di sfruttarle o fare loro alcun male
ingiustamente.
50. Gli Slavi nel thema di Peloponneso, i Milingoi e gli Ezeritai, il
loro tributo, e in modo simile la città di Maina e il suo tributo.
Gli Slavi della provincia del Peloponneso si rivoltarono all’epoca
dell’imperatore Teofilo1 e di suo figlio Michele2, diventarono indipendenti,
saccheggiando, riducendo in schiavitù, rubando e bruciando. E sotto il regno
del figlio di Teofilo, Michele, il protospatario Teoctisto3, soprannominato
1 Imperatore bizantino dall’ottobre 829 al gennaio 842.
2 Michele III detto l’Ubriacone, imperatore dall’842 all’867.
3 Teoctisto il logoteta fu ministro bizantino per quattordici anni e favorito dell’imperatrice
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Bryennius, fu inviato come strategos del thema del Peloponneso con una
importante e potente forza, cioè Traci, Macedoni e altri uomini delle
province occidentali, per fare la guerra e sottometterli. Egli sottomise e
controllò tutti gli Slavi e altri insubordinati del thema del Peloponneso, e
solo gli Ezeritoi e i Milingoi furono salvati1, verso Lacedemonia2 e Helos. E
siccome là c’è una grande e molto alta montagna chiamata Pentadaktylos 3
che funziona come una lunga propaggine nel mare, e poiché il posto è di
difficile accesso, si insediarono sui lati di questa stessa montagna, i Milingoi
da un lato, e gli Ezeritoi dall’altro. Teoctisto il suddetto protospatario,
strategos del Peloponneso, essendo riuscito a sottometterli, fissò loro un
tributo di 60 nomismata per i Milingoi, e di 300 nomismata per gli Ezeritoi,
ed essi presero l’abitudine di pagarlo allo strategos, poiché questo stato di
fatto è stato conservato finora dagli abitanti locali. Ma sotto il regno
dell’imperatore Romano [Lecapeno], il protospatario Giovanni Proteuon4,
strategos di questo stesso thema, segnalò ancora allo stesso signore
Romano che i Milingoi e gli Ezeritoi si ribellavano e non obbedivano né allo
strategos, né agli ordini imperiali, considerandosi praticamente indipendenti
e autonomi e non accettando che un uomo fosse designato alla loro guida
dallo strategos; non tenevano in alcun conto gli ordini dei militari sotto di
lui, né pagavano altri dovuti al tesoro. Quando il suo rapporto ebbe fatto il
suo cammino, si vide arrivare il protospatario Krinitis Arotras che fu
nominato strategos del Peloponneso, e quando la relazione del protospatario
Giovanni Proteuon, strategos del Peloponneso, arrivò e fu letta in presenza
dell’imperatore, il signore Romano, la qual lettera conteneva notizie sulla
ribellione degli Slavi suddetti e sulla loro reticente obbedienza, o più
esattamente, sulla loro disobbedienza agli ordini imperiali, questo stesso
protospatario Krinitis fu incaricato, perché erano così lontano dalla
sommossa e dalla disobbedienza, di marciare contro di loro, di batterli e di
sottometterli o sterminarli. E, cominciando la guerra contro di loro nel mese
di marzo bruciando i loro raccolti e saccheggiando tutte le loro terre, essi si
mantennero sulla difensiva e resistettero fino al mese di novembre, poi,
visto che sarebbero stati massacrati, chiesero di negoziare la pace e il
perdono dei misfatti passati. È allora che il protospatario e strategos Krinitis
già citato, fissò dei tributi più importanti di quelli che avevano pagato: per i
Milingoi 540 nomismata oltre ai 60 che pagavano prima, in modo che il loro
tributo totale fosse di 600 nomismata, e agli altri, gli Ezeritoi 300
nomismata di più dei 300 che pagavano precedentemente, in modo che il
loro tributo totale fosse di 600 nomismata; questo stesso protospatario
1
2
3
4
Teodora, vedova di Teofilo, reggente dell’Impero durante la minore età del figlio Michele
III. Fu fatto assassinare da Michele III nell’856, su istigazione del fratello di Teodora.
Sia gli Ezeritoi (o Ezeriti) che i Milingoi (o Melingoi) – tribù slave che mantennero a lungo
la loro identità – erano insediati in Laconia, ai piedi del monte Taigeto.
Oggi Sparta.
La catena montuosa del Taigeto, detta Pentadaktylos dai Bizantini.
Proteuon significa governatore.
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Krinitis esigette e trasmise questi tributi al sacelliario1. Ma dopo il
trasferimento del protospatario Krinitis verso il thema dell’Ellade il
protospatario Bardas Platypodis2 fu nominato strategos del Peloponneso; dei
disordini e delle rivolte si verificarono a causa dello stesso protospatario
Bardas Platypodis, tra protospatari e notabili che prendevano ciascuno le
loro parti; [lo strategos e i protospatari] espugnarono il protospatario Leone
Agelastos dal thema, e immediatamente gli Slavesiani3 attaccarono questo
stesso thema; questi Slavi stessi, i Milingoi e gli Ezeritoi, inviarono al
sovrano, l’imperatore Romano, una richiesta per pregarlo di annullare gli
aumenti di tributo perdonando loro, poiché potevano pagare soltanto quello
che pagavano prima. E poiché gli Slavesiani erano entrati nel thema del
Peloponneso, come detto sopra, l’imperatore, temendo che potessero unire
le loro forze agli Slavi e comportare la perdita totale di questo stesso
thema, emanò per questi ultimi una crisobolla restaurando il tributo
precedente sotto riserva che fosse pagato, 60 nomismata per Milinguoi, e
300 nomismata per gli Ezeritoi. Tale fu dunque la causa dell’aumento del
tributo ai Milingoi e agli Ezeritoi, e la restaurazione del vecchio.
Gli abitanti della città di Maina4 non sono della razza degli Slavi
summenzionati, ma antichi Romani, ed anche finora, gli abitanti locali li
chiamano Elleni, perché in tempi molto antichi, erano idolatri e ammiratori
di immagini come gli antichi Elleni; essi furono battezzati e diventarono
cristiani sotto il regno del glorioso Basilio5. Il luogo dove vivono è
senz’acqua, inaccessibile, crescono gli ulivi da cui estraggono la loro
sussistenza; esso è situato al Capo Malea, cioè, al di là di Ezeron verso la
costa. Vedendo che sono perfettamente sottomessi e accettano come capo
uno strategos, tengono conto ed obbediscono agli ordini dello strategos,
pagano da tempi molto arretrati, un tributo di 400 nomismata.
Il thema di Cappadocia fu nel tempo una turma del thema di Anatolikon.
Il thema di Cefalonia, o le isole6, da allora fu sempre una turma della
Longobardia, ma diventarono un thema all’epoca di Leone, il sovrano
amante Cristo.
Il thema della Calabria fu nel tempo un ducato del thema di Sicilia.
Il thema di Charsianon fu a lungo una turma del thema di Armeniakon.
All’epoca di Leone, il sovrano amante Cristo, una banda7 si staccò dal
thema di Boukellarion per unirsi al thema di Cappadocia8, cioè la
guarnigione di Barreta, la guarnigione di Balbadona, la guarnigione di
Aspona e la guarnigione di Akarkous; e del thema di Anatolikon al thema di
1 Funzionario amministrativo e per le finanze.
2 Bardas (o Vartas) «dai piedi piatti».
3 Venivano chiamati “Slavesiani” gli Slavi (forse mercenari) dell’Asia Minore insediati nel
Peloponneso.
4 Una delle quattro penisole greche nel Peloponneso meridionale.
5 Basilio I.
6 Il thema di Cefalonia (Khephalenia) comprendeva anche Corfù.
7 Forza di 300-400 uomini.
8 Verso l’895.
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Cappadocia furono trasferite le banda seguenti, cioè la guarnigione di
Eudokias la guarnigione di Haghios, la guarnigione di Agapitos e la
guarnigione di Aphraseia; e queste sette banda, cioè le quattro di
Boukellarion e le tre di Anatolikon diventarono una turma, ora chiamata
Kommata.
All’epoca di Leone, il sovrano amante Cristo, le bande seguenti furono
trasferite dal thema di Boukellarion verso il thema di Charsianon, cioè, la
guarnigione di Myriocephalon, la guarnigione di Timios, la guarnigione di
Stavros e la guarnigione di Verinoupolis e diventarono la turma ora
chiamata Saniana; e dal thema di Armeniakon verso il thema di Charsianon
furono staccate le bande seguenti, cioè, la guarnigione di Komodromos, la
guarnigione di Tabia, e furono aggiunte allo stesso thema di Charsianon. Dal
thema di Cappadocia al thema di Charsianon furono trasferite le turme
seguenti, cioè la turme di Kases, e la guarnigione di Nissa con Cesarea.
Occorre sapere che in passato il thema di Chozan era sotto la
dominazione dei Saraceni, come la città di Asmosat1. Chanzit e
Romanopolis2 erano punti di passaggio sulla frontiera dei Meliteniani 3. E
della montagna di Phatilanon, tutto ciò che era oltre apparteneva ai
Saraceni; Tekis4 apparteneva a Manuel5. Kamacha era la turma estrema del
thema di Colonia e la turma di Keltzene era in Chaldia. La Mesopotamia non
era un thema a quell’epoca. Ma Leone, l’imperatore indimenticabile amante
Cristo, fece venire il suddetto Manuel di Takis promettendogli l’immunità, e
lo portò a Costantinopoli dove lo fece protospatario. Questo stesso Manuel
aveva quattro figli, Pankratoukas, Iachnoukas, Mudaphar e Ioannis. Il
basilieus nominò Pankratoukas, comandante degli Ikanatis, quindi dopo lo
strategos di Boukellarion, Iachnoukas fu nominato strategos del thema di
Nikopolis; Mudaphar e Ioannis ricevettero delle terre imperiali a Trebisonda
e egli li onorò tutti di dignità conferendo loro molti favori. Poi il Basilieus
costituì il thema di Mesopotamia, ne nominò strategos Oreste, il famoso
Charsianite, e decise allora che la turma di Kamacha, staccata da Koloneia
facesse parte di questo thema di Mesopotamia. Collegò anche allo stesso
thema la turma di Keltzene. Tutto ciò era allora sotto la sovranità romana;
all’epoca dell’imperatore Romano, Romanopolis e Chanzit furono aggiunte al
thema di Mesopotamia. All’epoca di Leone, il sovrano amante Cristo, Larissa
era una turma di Sebasteia come Kymbalaios una turma del Charsianon; il
Symposion era un deserto fiancheggiante la regione di Lykandos.
Durante il suo regno, l’indimenticabile imperatore Leone, che amava
Cristo, richiamò dall’esilio Eustazio Argyros e lo nominò strategos del thema
1
2
3
4
5
Arsamosata.
Città del thema di Mesopotamia.
Abitanti della città di Metilene (oggi Malatya).
Provincia del thema di Mesopotamia abitato dagli Armeni.]
In seguito Manuel cedette Tekis all’imperatore Leone VI, quindi tra l’886 e il 912, come
spiegato più avanti.
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di Charsianon mentre Melias1 si era ancora rifugiato a Melitene. Vasak2 e i
suoi due fratelli, Krikorikis e Pazunis, e Ismael l’Armeno, scrissero allo
stesso tempo ad Argyros e all’imperatore. Essi chiedevano inizialmente che
fosse concesso loro tramite crisobolla il permesso di ritornare, che Vasak e i
suoi fratelli fossero insediati a Larissa nominando Vasak clisurarca3 di
Larissa, Ismael, clisurarca del Symposion, e Melias clisurarca di Trypia in
Euphrateia, cosa che fu fatta. Essi fecero incursioni a Melitene e quando
Ismael morì il Symposion restò deserto.
E quando Vasak fu accusato di aver complottato un tradimento ed
esiliato, Larissa diventò ancora una volta una turma di Sebasteia e Leone
Argyros, figlio di Eustazio fu nominato strategos, colui che diventò più tardi
magistros e domestikos. Ma Melias aveva la sua sede a Euphrateia, e
quando Costantino Doukas fu nominato in Charsanion, questo Melias
suddetto venne a prendere possesso dell’antica città di Lykandos, la
ricostruì, la fortificò e prese il suo posto; e fu chiamata una clisura da
Leone, l’imperatore amante Cristo. Dopo ciò, passò da Lykandos alla
montagna di Tzamandos dove costruì la città che è là ora, e anch’essa fu
designata una clisura. E prese così possesso di Symposion e ne fece una
turma. Durante il primo regno di Costantino, il sovrano che amava Cristo,
quando sua madre Zoe gli fu associata, Lykandos diventò un thema, e il
primo strategos a essere nominato fu Melias il patrikios, che era,
certamente, allora, patrikios e clisurarca di Lykandos. E ciò anche Melias,
allo stesso tempo per la sua fedeltà verso l’imperatore dei Romani, e per le
sue numerose imprese e di audacia infinita contro i Saraceni, fu in seguito
onorato della dignità di magistros.
Avara fu di solito una turma dipendente dal thema di Sebasteia, ma
all’epoca dell’imperatore Romano, diventò una clisura.
Una vecchia legge tradizionale stabilita che, il catapano4 del Mardaiti di
Attalia5 fosse nominato certamente dagli imperatori; e dunque Leone,
l’imperatore di beata memoria, nominò catapano Stauracius, chiamato
Platys, il quale fornì un servizio notevole per molti anni, ma organizzò male
le cose verso la propria fine. Perché quando il protospatario e asecretis6
Eustazio, della cancelleria imperiale, fu inviato come strategos del thema di
Kibyrrhaioton, alcune gelosie e litigi si realizzarono tra loro, e a volte
Stauracius Platys, che si sosteneva sul patrikios Himerius7, logoteta del
dromo, come con qualcuno che era stato il suo intermediario presso
l’imperatore, l’iniziativa del suo assistente Eustazio opponendosi anche
1 O Mleh, generale di Lykandos morto nel 934.
2 O Baasakios.
3 Funzionario di importanza inferiore dello stratega e di solito agli ordini del protospatario.
La clisura è infatti una fortezza.
4 O catepano, alto ufficiale bizantino.
5 O Adalia, o Antalya, in Turchia.
6 Consigliere dell’imperatore.
7 O Imerio, ammiraglio bizantino, era zio dell’imperatrice Zoe Carbonopsina, quarta moglie
di Leone VI.
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semplicemente a lui nei domini in cui lo vide agire o dare ordini oltre alla
sua competenza; a volte, d’altra parte, l’assistente Eustazio contraddiceva
Stauracius e formulava numerose macchinazioni e accuse fallaci contro di
lui. Per questa ragione, Eustazio fece una relazione sfavorevole su
Stauracius, dicendo: «La provincia di Kibyrrhaioton non può avere due
strategoi, io e Stauracius, catapano dei Mardaitis, poiché se do un insieme
di ordini e tento di farli eseguire, il catapano del Mardaitis farà qualcosa di
diverso, e, essendo il suo padrone lui agisce da pazzo». Egli segnalò altre
false accuse di altri e controbatté molte affermazioni montate con cura
contro di lui, creandone altre che avevano un’aria di verosimiglianza e altre
che erano calunniose e violente. Scrisse queste cose, sostenendosi
naturalmente sul patrikios e logoteta Himerius. Ma a quell’epoca Eustazio e
Stauracius erano meglio disposti l’uno verso l’altro, benché in seguito, tutti
e due si inimicassero, manifestassero odio l’uno verso l’altro e fossero
motivati dalla rabbia. In questo modo, dunque, il resoconto di Eustazio fu
accettato dall’imperatore che fu convinto dal patrikios Himerius a
concedergli la dignità di strategos. Ma poiché l’imperatore di beata memoria
era morto, suo fratello Alessandro1 prese il potere; era stato sempre
onorato dal suo fratello defunto, ma era un uomo depravato e persuaso da
cattivi consiglieri, egli non prolungò la funzione del stesso Eustazio ma lo
sostituì con un altro. È allora che il famoso protospatario Chase, che era di
razza saracena, per il suo spirito, per i suoi costumi, e per le sue credenze
era restato saraceno; eunuco del patrikios Damian, che usufruiva delle
buone grazie di Alessandro, indusse l’imperatore a sostituire Eustazio come
strategos del thema di Kibyrrhaioton con suo fratello Niceta. Ora, questo
Niceta, fratello del suddetto Chase, presentò una richiesta all’imperatore,
dicendo: «Poiché sono vostro vecchio amico, è normale che mi accordiate
un favore, e io ho una cosa da chiedere alla vostra maestà imperiale».
L’imperatore, essendo preso alla sprovvista, domandando a sua volta ciò
che poteva essere questa richiesta promise di concedergli tutto ciò che
volesse, il suddetto Niceta fece la sua domanda, dicendo: «Sollecito che
vostra maestà imperiale nomini mio figlio catapano dei Mardaitis di Attalia».
Accogliendo la domanda, l’imperatore nel corso della processione del
chrysotriclinium2
nominò
il
figlio
del
protospatario
Niceta,
lo
spatarocandidato Abercius, catapano dei Mardaitis di Attalia; come prima
era stato designato così Stauracius, dall’imperatore, come si è detto,
utilizzando la legge tradizionale.
All’epoca
dell’imperatore
Teofilo,
lo
ostiaros3
Scholastikios
fu
1 Alessandro (870-913), figlio di Basilio I e fratello di Leone Vi. Restò sul trono circa un
anno.
2 Nel Chrysotriclinium o Chrysotriclinus, un palazzo imperiale di Costantinopoli non
pervenutoci, si svolgevano le cerimonie solenni come il ricevimento degli ambasciatori, il
conferimento di dignità, cerimonie religiose, banchetti.
3 Eunuco con funzioni di vigilanza.
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parakimomenos1, quindi dal tempo di Michele2, figlio di Teofilo, fu il patrikios
Damianos3 e dopo di lui, durante lo stesso regno, Basilio, l’imperatore
amante Cristo, che fu parakimomenos4. All’epoca di Basilio, il sovrano
amante Cristo, egli non ebbe un parakimomenos durante tutto il suo regno.
All’epoca di Leone, l’imperatore amante Dio, il patrikios Samonas fu
parakimomenos5, e dopo di lui, durante lo stesso regno, lo fu il patrikios
Costantino6. All’epoca dell’imperatore Alessandro, il patrikios Barbatus fu
parakimomenos, e al tempo di Costantino, il sovrano amante Cristo, il
patrikios Costantino, già citato all’epoca dell’imperatore Leone, fu
nuovamente parakimomenos; all’epoca dell’imperatore Romano, fu il
patrikios Theophane, e durante il secondo regno di Costantino, il patrikios
Basilio.
È all’epoca di Leone, l’indimenticabile imperatore amante Cristo, che visse
il famoso Ktenas, un anziano chierico di grande ricchezza, che era cantore
della nuova chiesa e controllava il canto come nessun altro del suo tempo.
Questo stesso Ktenas supplicò il patrikios Samonas, che era all’epoca
parakimomenos, di intercedere in suo favore presso l’imperatore per farlo
titolare protospatario, permettergli di andare nella galleria del Lausiacon per
avere il rango di protospatario e ricevere una roga di una libbra7; in cambio
poteva dare quaranta libbre all’imperatore. Ma fu impossibile all’imperatore,
poiché elevare un chierico a protospatario non era in suo potere e indegno
della sua maestà imperiale. Apprendendo ciò dal patrikios Samonas, questo
stesso Ktenas aggiunse alle quaranta libbre, un paio di orecchini del valore
di dieci libbre, e una tavola d’argento, dorata e incisa con animali, anch’essa
ritenuta di dieci libbre. E l’imperatore, supplicato dal patrikios e
parakimomenos Samonas, accettò le quaranta libbre d’oro, il paio di
orecchini e la tavola d’argento, dorata ed incisa con animali, in modo che il
regalo totale dello stesso Ktenas ammontava a sessanta libbre. Allora
l’imperatore lo fece protospatario, e ricevette in quell’occasione una roga di
una libbra. Dopo essere stato onorato della dignità di protospatario, questo
stesso Ktenas visse due anni, quindi morì, e ricevette la roga di una libbra
per ciascuno dei due anni.
1 O parakoimomenos o paracoemumene, alto funzionario equivalente a gran ciambellano.
2 Michele III.
3 Slavo di nascita fu parakimonenos per meno di un anno.
4 Il futuro imperatore Basilio I, unico non eunuco, fu parakimomenos dall’865 all’867,
posizione che gli permise di avvicinare Michele III per organizzare il suo assassinio e
prepararsi al trono.
5 Arabo di nascita ma convertito, l’eunuco Samonas si ingraziò Leone VI rivelandogli un
complotto. Per questo fu nominato parakimomenos e colmato di ricchezze e per 15 anni
(896-911) fu il favorito dell’imperatore. Tuttavia, avendo calunniato i potenti, compreso
l’imperatore, perse titoli e ricchezze e fu rinchiuso in un monastero.
6 Costantino diventò parakimomene nel 908, fu sospeso nel 912, riabilitato nel 914 e
sostituito nel 919
7 Pagamento annuale in oro a funzionari statali, militari, ecclesiastici e civili.
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51. Perché fu costruito il dromone imperiale, i suoi protokarabos8
e tutto ciò che tocca ai protospatari di Phialis
Fino al regno di Leone2, il glorioso e molto saggio imperatore, non c’era
un dromone3 dove l’imperatore potesse imbarcarsi; egli aveva l’abitudine di
montare su una barca rossa, tranne che, all’epoca dell’imperatore Basilio,
amante Cristo4, quando questo stesso imperatore andò alle terme di Prusa5,
quindi di nuovo quando partì per controllare il ponte di Rhegion6 che era,
certamente, in costruzione per suo ordine e per la Provvidenza, egli
s’imbarcò su un dromone e un altro lo seguì. Ed i rematori che si
imbarcarono furono presi dalla nave imperiale e i marinai vennero dallo
Steniton7, poiché Stenon aveva da tempo un massimo di dieci chelandia
nella flotta imperiale. Ma, dopo l’imperatore di beata memoria, la maggior
parte dei suoi spostamenti riguardavano sempre il palazzo di Pegai che vi
aveva costruito, e per la stessa ragione verso Hebdomon, Hiereia e di
Bryas8, aveva l’abitudine di montare a bordo di un agrarion9, secondo la
vecchia usanza. Ma per uno spostamento più lontano, le terme di Prusa per
esempio, o il controllo del ponte di Rhegion, s’imbarcava, come ho detto più
sopra, su una galea, e un’altra galea seguiva, perché un grande numero di
nobili saliva con l’imperatore, e gli altri seguivano a bordo della seconda
nave. Ma il glorioso e molto saggio Leone, imperatore, sempre interessato
dell’ospitalità da accordare a magistroi, patrikioi e familiari di rango
senatoriale, e sempre desideroso di fare condividere il proprio piacere si
accorse che l’agrarion era troppo piccolo per ricevere un maggior numero di
nobili, e fece costruire un dromone; vi si imbarcò sempre in qualunque
posto andasse. E venivano con lui tutti quelli che voleva vedere fra i
notabili, tanto magistroi che patrikioi. Perché, sull’agrarion la norma era che
nessuno si potesse imbarcare con l’imperatore, eccetto: il drungarios della
Vigiliae10, il drungarios della flotta, il logoteta del dromo, l’eteriarca, il
protasekretis11, il mystikos12 e, anche quando era presente a Costantinopoli,
il domestikos delle Scholae, e il parakimomenos e il protovestiarios 13 e dei
cubicolari14 e chiunque l’imperatore avesse chiesto. Per questa ragione,
8 O protokaravos: co-capitani di una nave.
2 Leone VI, padre di Costantino VII.
3 Una galea spaziosa per accogliere l’imperatore e i dignitari. Lunga, agile manovrabile era
a remi.
4 Basilio I.
5 Ora Bursa.
6 Ora Reggio Calabria.
7 La regione degli stretti.
8 Rispettivamente, Pegai (o Pigae), Hebdomon (oggi Bakırköy), Hiereia (o Hieria, oggi
Fenerbahçe) e Bryas. Erano sobborghi di Costantinopoli.
9 Imbarcazione veloce a vela.
10 Nome di uno dei quattro corpi dell’armata imperiale.
11 Capo degli asēkrētai, la classe più elevata dei notai imperiali.
12 Importante carica nella cancelleria, forse il segretario particolare dell’imperatore.
13 Carica politica svolta solitamente da un parente dell’imperatore.
14 Un tempo il cubicolare ero lo schiavo addetto alla camera da letto dell’imperatore, poi
passò a indicare persona vicina all’imperatore, consigliere.
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allora, Leone, l’imperatore glorioso e molto saggio, fece costruire il
dromone, e, qualche tempo dopo, ne costruì anche un altro, conosciuto
come “il secondo” e nominato “accompagnatore”. Perché questo imperatore
di beata memoria, si muoveva lontano, a Nicomedia per esempio, al monte
Olimpo1, a Pythia2, ed egli quindi aveva due galee specialmente concepite
per l’uso e gli svaghi di se stesso e dei suoi nobili. Quando non partiva
lontano, lasciava spesso una delle brigate dietro l’Ippodromo per garantire
la guardia del palazzo, perché questo distaccamento dello Arithmos,
secondo l’antica usanza che ebbe poi forza di legge, è diretta in tempo di
guerra dal domestikos e questi distaccamenti restano nell’Ippodromo e non
si muovono con gli imperatori in modo abituale.
Dall’inizio, il protospatario della Phiale3 fu nominato dall’imperatore, e il
protospatario della Phiale utilizzato controllava ed aveva sotto i suoi ordini
tutti i vogatori degli agrarion imperiali, rossi e neri, a eccezione di quelli
dell’imperatrice; poiché quelli là, rossi e neri, erano sotto il controllo e
l’autorità del domestikos dell’imperatrice.
Sotto il regno di Leone, il glorioso e molto saggio imperatore, quando le
nuove galee furono costruite su ordine imperiale, questo stesso
protospatario della Phiale aveva anche sotto la sua autorità, i vogatori di
queste galee. Infatti, il protospatario della Phiale suddetto doveva, secondo
un’antica tradizione, scendere ogni giorno, nel pomeriggio, per prendere il
proprio posto nel bacino (ragione per la quale fu chiamato protospatario
della Phiale), per giudicare le vertenze tra vogatori, tanto sugli agrarion che
sui dromoni, per i quali aveva autorità di emettere la sua sentenza e
amministrarla conformemente alla legge. E ogni volta che trovava qualcuno
che agiva al di fuori delle sue competenze, facendo torto a un altro o che
trascurava il suo lavoro, lo faceva vigorosamente frustare.
E, come si è detto, tutti i vogatori di dromoni e di agrarion.
dell’imperatore, in rosso e nero, erano sotto la conduzione e la supervisione
del protospatario della Phiale. Ma gli agrarion dell’imperatrice, rossi e neri,
erano sotto la conduzione e la sorveglianza del domestikos dell’imperatrice,
anche se certamente il domestikos rendeva conto dell’amministrazione di
questi agrarion all’imperatore stesso e non all’imperatrice.
Il magnanime e molto pio imperatore Leone nominò all’inizio per
protospatario Giovanni chiamato Thalasson, e dopo di lui i protospatari
Podaron e Leone l’Armeno, padre del protospatario Arsenio. Questi, il
protospatario Podaron e il protospatario Leone l’Armeno erano stati i primi
capi vogatori del patrikios Nasar4 il drungarios, e all’epoca di Basilio, amante
Cristo, essi furono promossi e diventarono primi vogatori della nave
dell’imperatore. Sotto il regno di Leone, il glorioso e molto saggio
imperatore, quando le galee furono costruite, li nominò protokarabos per la
1
2
3
4
Olimpo della Misia, o Uludağ.
Antica Pylai, oggi Yalova, sul Mar di Marmara.
Letteralmente, “fontana”.
Basilio Nasar, capo militare della marina, corrispondente all’ammiraglio, nella seconda
metà dell’800.
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loro bravura e la loro esperienza di mare. E in caso di pericolo, l’imperatore
staccava i protokaraboi dei due dromoni e i protelatoi1 della prima galea,
verso le navi da guerra della flotta, dando loro tutto il materiale necessario,
come scudi, targhe2 di cuoio, maglie di ferro molto fini e tutto ciò che un
marinaio ha necessità di portare via con sé; il patrikios Eustazio, drungarios
della flotta, aveva l’intenzione di combattere il nemico. E al loro posto la
galea imperiale era controllata da Michele l’anziano e il compianto Michele il
prudente, allora primi vogatori. E in attesa del ritorno dei vogatori imperiali,
coloro che remavano erano dei distaccamenti dello Stenon. Ma quando
tornarono alla campagna, essi ripresero lo stesso lavoro di prima. Quindi
l’imperatore, per ricompensare, per così dire, Podaron per la bravura che
aveva mostrato e perché aveva incoraggiato tutti gli altri nella battaglia,
aveva ricevuto una testimonianza personale del patrikios e drungarios della
flotta Eustazio, che non esisteva, nella flotta, persona come lui per bravura,
energia e altre qualità, in particolare per la sua devozione e la sua fedeltà
innegabile verso l’imperatore, [cosicché l’imperatore] gli diede la carica di
protospatario della Phiale. Ma poiché [Podaron] era un illetterato, per ordine
dell’imperatore, di solito un giudice dell’Ippodromo scendeva e si
aggiungeva a lui nel bacino per giudicare i vogatori. Ma gli agrarion
dell’imperatrice, come si è detto prima, erano sotto il controllo del
domestikos dell’imperatrice. Dopo ciò, l’imperatore nominò Podaron e Leone
l’Armeno protokaraboi della flotta imperiale, e come protelatos del suo
dromone, nominò Michel l’anziano, all’epoca primo vogatore della galea che
era stato secondo vogatore sul dromone di Basilio, il sovrano amante Cristo;
e un altro Michele, chiamato Barkalas, aveva prima servito nella marina
come primo vogatore del drungarios della flotta quando il patrikios Eustazio
trasportò i Turchi e batté Simeone, principe della Bulgaria3. Ora, questo
Simeone, principe di Bulgaria, apprendendo che la flotta risaliva il fiume, e
che la marina trasportava i Turchi contro di lui, installò catene e barriere,
molto solide e resistenti, che i Turchi non dovevano poter superare, e grazie
a questo dispositivo, i Turchi furono dapprima impediti di scendere a riva.
Ma il suddetto Michele Barkalas e altri due marinai presero i loro scudi e le
loro spade e, saltando dalla nave di guerra, si scagliarono bravamente e con
audacia, abbatterono le catene e le barriere e aprirono il passaggio ai
Turchi. I Turchi, vedendo Barkalas, ammirarono molto il suo coraggio perché
da solo, seguito dai due marinai, fu il primo ad abbattere le barriere, e,
ammirati, dichiararono che quest’uomo doveva essere nominato patrikios e
drungarios. L’imperatore, messo al corrente allora del coraggio di Barkalas,
lo nominò secondo vogatore della galea imperiale. Successivamente,
quando Podaron e Leo diventarono protokaraboi della flotta, Michel l’anziano
e questo Barkalas furono nominati protelatoi della galea.
Il suddetto Leone l’Armeno, padre del defunto protospatario Arsenio, il
1 Primi timonieri.
2 Piccoli scudi.
3 Nel 895 o 896.
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manglabite, morì viceammiraglio della flotta, ma il protospatario Podaron,
alcuni anni dopo, fu nominato governatore militare del thema del
Kibyrrhaioton.
Quando Podaron diventò protokarabos, il protospatario Teofilatto
Bimbilidis fu nominato protospatario della Phiale, egli era il nipote del
protospatario Giovanni, chiamato Thalasson, e continuò alcuni anni all’inizio
del regno di Costantino Porfirogenito, il sovrano amante Cristo. Alla sua
morte, Michele il suddetto anziano era realmente diventato vecchio, aveva
servito per molti anni come protelatos, e fu elevato alla dignità di
protospatario quindi fu anche nominato protospatario della Phiale. E quando
l’imperatore s’imbarcava sul dromone nel bacino, indicando uno
spostamento o un altro posto, questo amabile vecchio, sempre memorabile
per la sua esperienza in mare, si teneva in mezzo al dromone, incitando ed
esortando i vogatori a tirare e a remare con più vigore, istruendo allo stesso
tempo i protelatoi del giorno sul modo di maneggiare i timoni e controllare
la nave imperiale quando i venti soffiavano smisuratamente. Finì per morire,
e a causa della gioventù dell’imperatore e dell’indiscrezione del patrikios e
parakimomenos di Costantino, il compianto Theodoto a quell’epoca primo
vogatore, fu nominato protelatos e onorato a diverse riprese del rango di
candidato, strator1, spatario, protospatario e protospatario della Phiale; era
il genero di Michele l’anziano. Anche se l’antica tradizione non aveva mai
visto un protelatos dell’imperatore nominato, o onorato del rango di
protospatario, o anche di spatarocandidato, piuttosto sarebbe stato un
candidato o uno strator, al massimo uno spatario. E all’epoca di Leone, il
glorioso e molto moraleggiante, il solo Michele fu onorato del titolo di
spatario e successivamente di spatarocandidato . Ma in ragione, come ciò è
stato detto, della gioventù dell’imperatore e dell’indiscrezione del patrikios
Costantino il parakimomenos, dei protelatoi diventarono spatarocandidati e
questo Michel, spatario. Ma quando l’imperatore Romano [Lecapeno]
accedette al palazzo e, in un modo o in un altro, s’impossessò del trono,
sostituì Theodoto perché quest’ultimo aveva dell’affetto per Costantino, il
sovrano e l’imperatore amante il Cristo, e inoltre lo fece frustare, tonsurare
e condannare all’esilio perpetuo, dove completò la sua vita; ma l’imperatore
Romano lasciò in luogo il celebre Costantino Loricatus, il suo collega
protelatos, perché il timore lo disponeva a suo vantaggio e che aveva
rinunciato, in un documento scritto di sua mano, alla sua affezione ed alla
sua amicizia per l’imperatore Costantino; l’imperatore Romano lo alzò
inizialmente al titolo di spatarocandidato, quindi di primo vogatore,
nominandolo in seguito protospatario del bacino, e poco dopo egli l’elevò al
rango di protospatario. Ora, quest’uomo, mandò una memoria
all’ecclesiastico Giovanni, al quale Dio permise di diventare rettore, suggerì
questo all’imperatore Romano, di beata memoria: «Il protospatario
Teofilatto, il domestikos dell’imperatrice, siccome è nominato ed è il
1 Soldato messaggero.
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sostegno della madre dell’imperatore1 e dell’imperatore stesso, deve
necessariamente essere in accordo con i suoi padroni e benefattori.
D’altronde, quale necessità c’è per gli uomini degli agrarion del bacino di
essere distribuiti tra due autorità? Perché il domestikos dell’imperatrice,
mosso dalla sua amicizia per l’imperatore e l’imperatrice, può indurre in
errore i marinai degli agrarion dell’imperatrice, che sono sotto il suo
controllo, e forse anche i vogatori dei dromoni; ed essi organizzeranno
allora una sommossa contro la vostra maestà imperiale». Con queste
parole, egli guadagnò questo rettore cattivo e scaltro, e attraverso lui
l’imperatore. Perché è facile per una testa leggera e un cuore indiscreto
essere sedotto e lasciare presa a ogni parola maliziosa e al sospetto. Parlò
così e li convinse, e, dopo ciò, ricevette anche il controllo degli agrarion
dell’imperatrice. E da allora, è diventata norma per il protikabaros del
dromone imperiale di avere la responsabilità e di esercitare la sua autorità
su tutti i vogatori, tanto sui dromoni imperiali che sugli agrarion
dell’imperatrice, pur essendo solo protospatario della Phiale.
All’epoca di Leone, l’imperatore sempre memorabile e amante Cristo, una
domanda fu fatta dalle province dell’ovest, dall’intermediario del
protospatario Leone Tzikanes, vecchio strategos: si propose di dare del
denaro contante in sostituzione del servizio militare.
E di nuovo, all’epoca dello stesso imperatore amante Cristo e sempre
memorabile Leone, del denaro contante fu proposto dalle province
dell’ovest, per l’intermediario del magistros Giovanni Eladas2, allora
patrikios.
Inoltre quando lo imperatore romano previde una spedizione in Italia con
le forze del Peloponneso, il protospatario Giovanni Proteuon strategos del
thema del Peloponneso, questi stessi Peloponnesiani preferirono non essere
e dare in compenso un migliaio di cavalli sellati ed imbrigliati, e una somma
di cento libbre d’oro che fornirono del resto molto rapidamente.
52. Richieste di cavalli nella provincia del Peloponneso al tempo
dell’imperatore romano come indicato in precedenza
Per il metropolita di Corinto, quattro cavalli; per il metropolita di Patrasso,
quattro cavalli; per tutti i vescovi della provincia, due cavalli ciascuno; per i
protospatari, due cavalli ciascuno; per gli spatari, gli stratores3, un cavallo
ciascuno, per i monasteri imperiali e patriarcali, due cavalli ciascuno; per i
monasteri arcivescovili, metropoliti e vescovi, due cavalli ciascuno; per i
monasteri senza risorse, un cavallo per due persone; non fornire cavalli ai
detentori di dignità imperiale4, marinai, pescatori di murex5, fabbricanti di
pergamene.
1
2
3
4
Zoe Carbonopsina.
Uno dei tutori di Costantino Porfirogenito.
Soldati messaggeri (plurale di strator).
Chi aveva dignità imperiale era esentato dal servizio militare e dal pagamento di alcune
imposte.
5 Molluschi da cui si otteneva la porpora.
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Una richiesta di cinque nomismata ciascuna fu fatta da tutte le forze
armate del Peloponneso, in vista del servizio militare; e per quelli privi di
alcun mezzo, per cinque nomismata per due. E così si formavano le cento
libbre d’argento già menzionate in moneta.
53. Resoconto della città di Cherson1
Diocleziano regnava a Roma2, Themistou figlio di Themistoy, Sauromata,
era stefanoforo3 e protevon4 dei Chersoniti. Allora il bosporiano5 Criscon
figlio di Orus riunì un esercito di Sarmati, di quelli che dimorano vicino a
Palus e dichiarò guerra ai Romani, devastò dapprima Lazon6 e poi si portò al
di là il fiume Halys7.
Diocleziano avendo saputo che il paese di Lazon e il Pontico8 erano stati
devastati, inviò un esercito contro i Sarmati e ne diede l’ordine al tribuno
Costanzo9 quest’ultimo andò al fiume Halys, ed impedì ai Sarmati di
passarlo; ma non poté combatterli con successo, perciò pensò ad altri mezzi
per farli tornare indietro. Il migliore gli parve quello di eccitare contro i
Sarmati i Bosporiani e gli altri abitanti di Palus, perché questi, preoccupando
le famiglie dei Sarmati, li forzassero a tornare da loro. Costanza scrisse
dapprima all’imperatore perché pregasse i Chersoniti di dichiarare guerra ai
Sarmati e di istigare contro di loro tutti i popoli delle vicinanze. L’imperatore
lo fece e impegnò i Chersoniti ad attaccare e distruggere le famiglie dei
Bosporiani e dei Sarmati.
Il protevon dei Chersoniti era allora Chrestus, figlio di Papias, che
appoggiò presso i suoi concittadini la domanda dell’imperatore. I Chersoniti
si prepararono alla guerra, e fecero fare dei carretti, che caricarono di
chirobaliste o di baliste10 che li si faceva andare con la mano. I Chersoniti si
avvicinarono la notte dalla città dei Bosporiani, fecero delle imboscate e in
seguito fecero finta di attaccare; ma quest’attacco non era che simulato, i
Chersoniti fuggirono durante la notte e abbandonarono i loro carri da guerra
e le chirobaliste che vi erano sopra. La mattina i Bosporiani uscirono dalle
loro mura e vedendo ancora alcuni Chersoniti che fuggivano, presero le loro
chirobaliste e se ne servirono inseguendoli. Allora coloro che erano nelle
imboscate ne uscirono circondarono i Bosporiani e li uccisero fino all’ultimo.
I Chersoniti diventarono padroni della città di Bosporus, di tutti i borghi che
sono su Palus e delle famiglie sarmate; ma uccisero soltanto coloro che
avevano le armi in mano. E così i Chersoniti diventarono padroni del
1
2
3
4
Gli storici sono concordi nel ritenere questo capitolo non scritto da Costantino VII.
Diocleziano fu imperatore dal 284 al 305.
Sommo sacerdote o pontefice che nelle cerimonie pubbliche portava una corona d’alloro.
Notabile, primo magistrato municipale.
5 Di Bosporus, cioè Bosforo Cimneno (Stretto di Kerč).
6 Palus (Palude Meotide) era il Mar d’Azov, mentre Lazon era sul Mar Nero.
7 Oggi Kızılırmak, è il più lungo fiume della Turchia e si getta nel Mar Nero.
8 Del Mar Nero (detto Ponto anticamente).
9 Costanzo Cloro (250?-306) tribuno e poi imperatore dal 305.
10 Balista o ballista. Macchine a mano con cui si scagliavano i sassi.
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Bosforo.
Qualche tempo dopo, Chrestus figlio di Papias, disse alle donne dei
Sarmati: «Noi non abbiamo avuto alcuna ragione di farvi la guerra; ma il
Sarmata è andato a devastare le terre del Romano e l’imperatore di cui noi
siamo sudditi ci ha ordinato di farvi la guerra. Se dunque volete vivere nella
vostra città, mandate a dire al vostro signore Sauromata che faccia la pace
con i Romani in presenza dei nostri delegati, quindi che si ritiri e ci invii i
nostri delegati con i suoi. Quando egli avrà fatto queste cose, ci ritireremo e
vi lasceremo tranquilli. Ma se il Sauromata vuole ingannarci e rinchiuderci
qui, noi lo sapremo dai nostri exkubitores1 e vi uccideremo tutti fino
all’ultimo e quindi ci ritireremo e il Sauromata non trarrà alcun vantaggio
dal suo inganno». Le donne del Sauromata avendo inteso questo discorso,
videro che si trattava di cose serie e i Bosporiani fecero partire i loro
delegati con quelli dei Chersoniti. Arrivarono al fiume Halys, e raccontarono
al Sauromata tutto ciò che era successo.
Il Sauromata disse ai delegati dei Chersoniti: «Siete stanchi, voglio che vi
riposiate per alcuni giorni, e poi farò ciò che mi avete chiesto. Per il
momento andate dai Romani, vi diranno che sono un uomo veritiero e non
mentitore».
I Chersoniti andarono da Costanzo con i delegati del Sauromata, gli
raccontarono tutto quanto era avvenuto e, tra l’altro, che avevano preso le
famiglie del Sauromata per forzarlo a chiedere la pace.
Costanzo avendo inteso ciò ne fu fortemente dispiaciuto e disse: «Non mi
importa più ora del vostro aiuto perché mi sono impegnato a dare una certa
somma d’oro» I Chersoniti risposero: «Signore non vi rattristate più,
cambieremo quell’articolo». Costanzo chiese come ciò potesse essere
realizzato, e i Chersoniti gli dissero che doveva far intendere al Sauromata,
che aveva dei trattati precedenti con Cherson, che non gli si rendeva le sue
famiglie e la sua città, che intanto gli avrebbe dato lui stesso una somma
più considerevole dell’altro.
Costanzo seguì questo consiglio e fece parlare in questo senso al
Sauromata. Quest’ultimo, avendo inteso ciò, ne fu molto triste e rispose che
non voleva né dare, né ricevere, e che non doveva che inviargli i Chersoniti
per concludere; ma i Chersoniti dissero a Costanzo: «Non rimandarli prima
di avere tutti i prigionieri in tuo potere».
Costanzo, avendo ricevuto i prigionieri, tenne con sé due dei delegati di
Cherson e inviò gli altri al Sauromata. Questi li rinviò a Bosporus con dei
delegati che avrebbero dovuto consegnare la città e le famiglie, e lui stesso
si mise in marcia con il suo esercito. I Chersoniti che erano a Bosporus
rimisero effettivamente ai delegati del Sauromata la città e le famiglie che
erano in loro potere.
Allora Costanzo tornò a Roma e presentò all’imperatore i due delegati
chersoniti. L’imperatore li ringraziò pubblicamente e disse loro: «Cosa posso
fare per voi e per la vostra città». I delegati risposero: «Vi chiediamo di
1 Sentinelle.
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essere liberati dall’imposta, noi e i nostri figli». L’imperatore acconsentì alla
loro domanda con piacere, e li rinviò pieni di doni, riconoscendoli come
buoni e fedeli sudditi dell’Impero. Costanzo fu magnificamente ricompensato
come se avesse fatto le più grandi cose contro i Sauromati. Egli successe a
Diocleziano che si ritirò a Nicomedia1.
Essendo morto Costanzo, gli successe suo figlio Costantino2. Questi venne
a Bisanzio e siccome c’erano dei ribelli in Scizia, Costantino si ricordò di ciò
che i Chersoniti avevano fatto per suo padre e inviò a loro dei legati per
chiedere ai Chersoniti di combattere gli Sciti.
Cherson aveva allora Diogenous, figlio di Diogenous, per capo e protevon,
che obbedì volentieri agli ordini e si affrettò a preparare tutti i carri militari e
le chirobaliste; raggiunse il fiume Ister e, superatolo, lottò contro gli insorti
e quindi li mise in fuga. L’imperatore avendo appreso questi fatti, ordinò loro
di rientrare nel loro paese, e fece venire i generali a Costantinopoli, dove li
colmò di ricchi doni e disse: «Poiché ora avete operato coscienziosamente
per noi, come per i nostri antenati, confermiamo la liberazione e l’esenzione
dall’imposta che vi era attribuita e vi assegniamo una statua in oro con la
clamide imperiale, la fibula3 e una corona d’oro per l’ornamento della vostra
città; poi ecco l’atto legato all’esenzione dalle imposte per tutte le vostre
navi; inoltre, a causa della sincerità della vostra benevolenza, vi diamo
anche un anello d’oro sul quale è incisa l’immagine della nostra maestà
perché possa servire per le vostre suppliche, come segno di riconoscimento
degli ambasciatori che invierete. Vi attribuiamo ancora per ogni anno le
funi, la canapa, il ferro e l’olio per la fabbricazione delle vostre chirobaliste e
vi concediamo una sovvenzione annuale per la fornitura di mille annone4,
per gli utilizzatori delle crirobaliste, avendo deciso che dovremo ogni anno
inviarvi questi prodotti da qui verso Cherson». I Chersoniti dopo avere
ricevuto l’annona ed essersela divisa tra loro, fornirono il numero [di soldati
necessario]. Così, finora i loro figli sono registrati tra i soldati come ausiliari
dei loro genitori nell’esercito. Quanto a Diogenous, riempito di molti doni
dall’imperatore Costantino amante Dio, lui ed i suoi uomini rientrarono al
paese di Cherson, con i favori divini.
Alcuni anni dopo il Sauromata figlio del sauromata Criscoron, dichiarò la
guerra ai Chersoniti, per vendicare le ingiurie che suo nonno aveva ricevuto
a Lazon. A quel tempo il protevon stefanoforo di Cherson era Bycus, figlio di
Supolicus. Egli condusse i Chersoniti contro il Sauromata e lo sconfisse
completamente nel luogo chiamato Capha. La pace fu realizzata sul campo
di battaglia. Le due parti giurarono di non invadere più le loro reciproche
terre, quindi il Sauromata tornò al Bosporus, e i Chersoniti da loro.
Alcuni anni dopo un altro Sauromata riunì un esercito verso Palus, e
dichiarò la guerra ai Chersoniti, e protestò contro i limiti fissati a Capha
1 Diocleziano abdicò nel 305 e si ritirò nel suo palazzo di Spalato fino alla morte (311).
2 Costantino il Grande.
3 Il mantello e il gioiello che lo chiude sulla spalla furono introdotti dall’imperatore
Giustiniano.
4 Raccolti di grano.
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dall’antico Sauromata, dicendo che tutto quel paese, gli era stato tolto
ingiustamente. Pharnace, figlio di Pharnace, era allora protevon e
stefanoforo, cioè portacorona. Si mise alla testa dei Chersoniti ed andò a
mettersi sulle alture vicino a Capha.
Il Sauromata, che era un uomo di taglia gigantesca, fiero della propria
statura e della moltitudine dei suoi soldati, insultava pesantemente i
Chersoniti. Pharnace, che era piccolo, volle tuttavia combatterlo corpo a
corpo, e ciò per salvare il sangue delle due parti. Inviò dunque [un
messaggero] verso l’esercito del Sauromata e gli fece dire ciò che segue:
«Non è affatto necessario che una grande moltitudine perisca, voi non siete
venuti qui per vostro piacere; ma è il Sauromata che vi manda, fate dunque
che egli venga e mi combatta, se Dio vuole che io resti vincitore, voi ve ne
andrete tranquillamente ed egli si sottometterà a me con la sua città di
Bosporus. Se al contrario sarò vinto voi potrete sempre andarvene
tranquillamente e il Sauromata resterà padrone della mia città di Cherson».
Questa proposta piacque molto ai Sauromati, che persuasero il loro re, il
Sauromata, ad accettare; cosa che fece con gioia poiché pensava di poter
vincere facilmente Pharnace, la cui taglia era piccola.
Pharnace al momento di andare a combattere disse ai suoi: «Quando
comincerò il combattimento, vedrete poi il Sauromata con il viso girato
verso i suoi e io con il viso girato verso voi. Allora gridate una volta, ma non
ripetete questo grido».
Il combattimento s’impegnò, e presto il Sauromata ebbe il viso girato
verso i Chersoniti, e Pharnace, verso i Sauromati, allora i soldati di Pharnace
gridarono tutti allo stesso tempo. Il Sauromata si girò per vedere da dove
venisse quel grido, girandosi alzò la visiera del suo elmo, Pharnace acciuffò
questo momento e lo colpì con la sua asta, e lo fece cadere morto dal suo
cavallo. Dopo ciò egli scese dal suo e tagliò la testa al Sauromata.
Pharnace, proclamato vincitore, rinviò da loro i popoli della Meotide; ma
trattenne prigionieri i Bosporiani, e s’impossessò del loro paese. Quindi
regolò i confini che mise non più a Capha1, ma a Cybernicus, lasciando loro
non più di quaranta miglia di paese, e questi confini esistono ancora oggi. In
seguito trattenne alcuni bosporiani, e rinviò gli altri da loro a coltivare le
terre e questi per riconoscimento gli alzarono una statua nella città di
Bosporus, è così che il Bosporus fu perso dai Sauromati, che non l’hanno
mai più recuperato dopo.
In seguito Lamachus fu protevon di Cherson, e Asandro regnò presso i
Bosporiani, che conservavano sempre molto odio contro i Chersoniti. E
poiché avevano ancora il desiderio di vendetta vollero avere una libera
entrata nelle terre dei Chersoniti, e pensarono di ottenerla sposando un
figlio di Asandro con Gycia2, figlia di Lamachus.
I Bosporiani delegarono dunque verso i Chersoniti e fecero loro dire che
conservavano la stessa amicizia per loro e che, per consolidarla,
1 O Kapha.
2 O Gykia.
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desideravano sposare Gycia con un figlio di Asandro ed era per loro
indifferente che Gycia di stabilisse a Bosporus o che il figlio di Asandro
andasse a vivere a Cherson. I Chersoniti risposero che non permettevano
affatto a Gycia di andare a stabilirsi a Bosporus; ma che se un figlio di
Asandre voleva venire a Cherson ed abiurare per sempre la sua patria,
avrebbero acconsentito al suo matrimonio con Gycia, ma che lo avrebbero
fatto morire se osava tentare la minima cosa contro suo suocero.
I delegati dei Bosporiani ritornarono con questa risposta e Asandro
avendoli intesi inviò [un messaggero] a Cherson per dire che se i Chersoniti
agivano in buona fede avrebbero inviato il figlio maggiore per sposare
Gycia.
Lamachus era un uomo molto ricco in oro e argento, servitori e
cameriere, cavalli e fondi di terra, e la sua casa si estendeva in quattro
regioni e fin sotto Sosa1. Là c’erano nelle mura della città una porta per lui,
quattro grandi porte, e molte piccole, di modo che le sue varie greggi di
cavalli e di giumente, di buoi e di mucche, di pecore e di asini, entravano
ciascuno per la propria porta e si mettevano nella loro stalla.
I Chersoniti si recarono presso Lamachus perché desse sua figlia al figlio
di Asandro e egli acconsentì. Il bosporiano venne e sposò Gycia. Due anni
dopo, Lamachus morì, mentre la madre di Gycia era già morta da qualche
tempo.
Allora Zithon, figlio di Zithon, era protevon stefanoforo di Cherson; un
anno passò dopo i funerali di Lamachus, e Gycia volendo celebrare la sua
memoria, andò dai notabili della città, e li pregò di non offendersi se
pregava loro e tutti gli altri cittadini di ricevere da lei vino, pane, olio, carni,
pollame, pesci e altre cose necessarie per una festa, e ciò per celebrare con
le loro mogli e i loro figli un giorno dedicato alla memoria di Lamachus. Allo
stesso tempo ella promise per giuramento che avrebbe ripetuto tutti gli anni
la stessa cosa e che ogni abitante della sua zona avrebbe ricevuto in tale
giorno tutto quanto occorre per mangiare, bere, ballare e rallegrarsi, e che
quello sarebbe stato da allora il giorno di Lamachus.
Il figlio di Asandro, avendo inteso il giuramento che aveva fatto sua
moglie, l’approvò e disse che voleva anche lui celebrare il giorno e bere e
mangiare con gli altri. Alcuni giorni dopo inviò uno dei suoi servi a Bosporus,
e lo incaricò di dire da parte sua: «Ho trovato un mezzo facile per prendere
Cherson, inviatemi ogni tanto dei karaboi2 carichi di doni e che ogni karaboi
porti, oltre ai vogatori, dieci o dodici giovani ben provati per il valore». I
karaboi e i loro equipaggi resteranno in un certo posto che indicherò e mi
invierete dei cavalli per caricare i doni e i giovani.
Le cose avvennero in questo modo per due anni di seguito: dei giovani
venivano con dei doni, Asandre andava a prenderli e a ricondurli
pubblicamente, e poi questi ritornavano di notte nei karaboi fino a Sosa,
1 O Soson, luogo non identificato. Si suppone fosse un quartiere portuale dove si
raccoglievano i mercanti.
2 Karabos (o Karabus), plurale karaboi, piccola barca usata per il commercio.
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dove li si faceva entrare dalla porta che la casa aveva nelle mura della città,
e nessuno ne sapeva nulla a eccezione di tre servi bosporiani, di cui uno
andava al luogo designato, e diceva ai karaboi di ritirarsi, il secondo
conduceva i bosporiani nel Liman, e il terzo dal Liman a Sosa, dove li si
faceva entrare dalla piccola porta nella casa di Lamachus, questi tre servi
portavano anche alimenti nei luoghi in cui i giovani bosporiani si tenevano
nascosti e tutto ciò all’insaputa di Gycia perché l’intenzione del figlio di
Asandro era di attendere l’anniversario del giorno di Lamachus e di
massacrare tutti gli abitanti mentre erano consegnati alla gioia della loro
festa.
Ordunque duecento giovani bosporiani erano chiusi nella casa di
Lamachus e il giorno del suo anniversario si avvicinava; ma capitò che una
giovane cameriera, che Gycia amava molto, commettesse uno sbaglio e
fosse bandita della sua presenza e rinchiusa; la camera dove lo si chiuse era
sopra il luogo dove si nutrivano i bosporiani. La giovane donna si mise a
filare, e il suo fuso cadde in un foro che era vicino alle mura; siccome essa,
non poteva raggiungerlo, tolse un mattone del selciato, e vide allora questa
folla di uomini che si nutrivano nelle parti inferiori della casa.
La giovane donna rimise molto rapidamente il mattone al posto dove
l’aveva preso, e mandò un’altra giovane donna dalla sua padrona
scongiurando di andare a trovarla. Gycia che certamente era ispirata da Dio
stesso si recò presso la giovane donna e chiuse la porta dietro essa, allora
la giovane donna si gettò a suoi piedi e le disse: «Mia padrona, voi potrete
trattare come vorrete una povera e inutile cameriera, ma vi voglio mostrare
una cosa nuova e inattesa». Gycia rispose che poteva farlo in tutta
sicurezza, allora la giovane donna la condusse vicino al muro e levando
abilmente lo stesso mattone le disse: «Guardate tutti questi bosporiani
armati». Gycia ne fu molto rattristata e disse: «Quella gente non è stata
riunita per nulla». Quindi chiese alla giovane donna come aveva fatto quella
scoperta, e lei rispose: «Dio ha permesso che il mio fuso cadesse in questo
foro, io non ho potuto raccoglierlo e ho sollevato questo mattone e quindi li
ho visti». Gycia ordinò alla giovane donna di rimettere il mattone al suo
posto, quindi l’abbracciò con bontà e le disse: «Figlia mia, non temere nulla,
il tuo sbaglio ti è perdonato. Dio ha voluto servirsi di te per farci scoprire
questo tradimento, ora pensa soltanto a tacere e a non fare trasparire nulla
di tutto ciò che avviene». Gycia prese la giovane donna con sé e avendola
così provata, l’amò più che mai.
In seguito Gycia fece chiamare due suoi parenti dei quali aveva gran
fiducia e disse loro: «Andate e riunite segretamente da voi i notabili della
città, che quelli ne eleggano tre tra di loro, fra chi hanno fiducia, per
conservare un segreto e condurre un affare. Che questi tre uomini si leghino
con un giuramento e quindi che vengano a trovarmi in segreto. Poiché devo
loro affidare qualcosa di importante per la salvezza della città, andate ed
eseguite le cose che vi ho detto».
Questi due parenti di Gycia si ritirarono, andarono dai governanti della
città, che nominarono tre uomini sicuri; fecero loro prestare giuramento
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quindi li inviarono a Gycia. Questa, dopo avere ancora imposto un
giuramento, disse loro: «La sola grazia che vi chiedo è di essere sepolta in
città se muoio, è una grazia non molto grande, e quando voi me l’avrete
garantito io vi dirò il mio segreto». I deputati promisero e giurarono che
quando sarebbe morta l’avrebbero seppellita in città e che non si sarebbe
portato il suo corpo fuori delle mura. Allora Gycia si spiegò in questi termini:
«Ecco, mio marito, che è sempre pieno di odio contro Cherson, nutre presso
di lui duecento bosporiani armati; ma Dio me li ha fatti scoprire, ed ecco
quale sarà certamente la sua intenzione. Quando sarete alla gioia delle feste
il giorno dell’anniversario di Lamachus, uscirà la notte con i suoi servi,
metterà fuoco alle vostre case e vi farà tutti perire. Poiché questo giorno si
avvicina, io vado, secondo ciò che ho giurato, a distribuire i viveri. Voi
andate e venite gaiamente, e non lasciate trasparire nulla di ciò che vi ho
detto, nel timore che mio marito dubiti qualcosa e sospenda l’esecuzione di
quanto medita. Celebrate dunque pubblicamente la festa e ballate nelle vie;
ma che ciascuno prepari presso di sé legno, torce, e casse pesanti. Mio
marito vedendo che tutti sono occupati nei piaceri di questo giorno, non
avrà alcun sospetto; ma io mi alzerò di buon’ora e farò sorvegliare le porte,
e durante quel tempo circonderete la mia casa di fastelli di legno, sui quali
si verserà dell’olio, metterete le casse dinanzi alle porte e così nessuno
potrà uscire eccetto me, e quando sarò uscita da una porta segreta,
metterete il fuoco a tutto questo legno, e, se qualche bosporiano volesse
saltare dalle finestre e salvarsi, lo ucciderete con le armi che avrete portato.
Andate e fatte ciò che vi ho detto».
Questi tre uomini eletti dai cittadini discussero le intenzioni di Gycia, alle
quali ciascuno si conformò con gioia. Il giorno dell’anniversario, i cittadini
vennero a chiedere le cose necessarie per la festa, Gycia le distribuì e suo
marito pregò che si desse loro più vino dell’ordinario. I cittadini ne furono
molto contenti e ballarono tutto il giorno, ma verso la sera si ritirarono tutti
nelle loro case; poiché si beveva e mangiava in quasi tutte le case. Durante
quel tempo Gycia ordinò a tutti i servi di bere molto affinché andassero a
stendersi, e non raccomandò la sobrietà che ai suoi personali servitori, e lei
stessa bevve soltanto in un calice tinto in porpora in modo che suo marito
credesse che fosse vino, ma beveva in realtà soltanto acqua.
Essendo calata la notte ed essendo tutti soddisfatti, Gycia disse a suo
marito: «Ora che abbiamo mangiato, andiamoci a stendere». Il marito
intese questo proposito con piacere ed andò a stendersi. Era cosa che
doveva fare, [perché] se avesse rifiutato, avrebbe dato sospetti a sua
moglie. Tuttavia Gycia ordinò che si chiudessero tutte le porte, grandi e
piccole e anche che, secondo l’usanza, le portassero le chiavi. Quando ciò fu
fatto ella si avvicinò alla sua fedele cameriera, che era informata di tutto e
le disse all’orecchio: «Vai con le mie altre cameriere, prendete il mio oro e i
miei gioielli e tenetevi pronte a seguirmi».
Durante quel tempo il marito di Gycia che aveva troppo bevuto, si
addormentò. Gycia vedendo che anche tutti i suoi servi dormivano, si ritirò
silenziosamente ed uscì, dopo aver chiusa la porta dietro sé, e fece
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appiccare il fuoco alla casa che fu bruciata fino alle fondamenta. Tutti coloro
che volevano uscirne furono uccisi dai Chersoniti, e c’è anche che Dio
preservò la città dalla collera dei Bosporiani.
I Chersoniti vollero ricostruire la casa a loro spese, ma Gycia non volle
permetterlo, pregò soltanto che vi si gettasse sopra ogni tipo di rifiuti come
per punire quel luogo per le cospirazioni che vi erano state tessute. Fu
obbedita e il monticello risultato si chiama ancora oggi la torre di Lamachus.
I Chersoniti, vedendo che, dopo Dio, Gycia era la loro più grande
benefattrice, vollero testimoniarle il loro riconoscimento e le innalzarono due
statue nella piazza pubblica, che tutt’e due la rappresentavano ancora molto
giovane. Ma in una delle statue, era stata abbigliata conformemente al suo
sesso e agghindata, e scopriva a due cittadini la cospirazione tessuta contro
la città. Nell’altra statua, era rappresentata in abito da guerra e
combattente per la sicurezza dei propri concittadini. Tutta la sua storia fu
incisa sulle basi delle due statue e potrà ancora essere letta se qualche
amatore di ciò che è bello ed onesto volesse darsi la pena di far pulire dette
basi.
Alcuni anni dopo Stratophilo figlio di Philomus, era protevon stefanoforo
di Cherson. Allora la prudente Gycia volendo provare la fede del Chersoniti e
sapere se essi l’avrebbero seppellita in città come le avevano promesso,
finse d’essere morta di dispiacere. Le cameriere che erano tenute al segreto
annunciarono ai Chersoniti la morte della padrona e chiesero che si
indicasse loro un luogo per seppellirla. I Chersoniti deliberarono tra loro e
trascurando la fede dei giuramenti indicarono per la sepoltura un posto
situato fuori delle mura della città. Gycia si lasciò portare al luogo indicato;
ma quando arrivò, si alzò e sedere e disse al Chersoniti: «Ecco dunque
come voi rispettate la fede dovuta ai giuramenti, chi è che in futuro vorrà
fidarsi alle parole del Chersoniti». I Chersoniti furono molto imbarazzati,
chiesero perdono a Gycia e le giurarono una seconda volta che sarebbe
stata seppellita dove voleva e che essa non aveva che da scegliere il luogo
della propria sepoltura; infine, perché essa non ne potesse dubitare, le
alzarono una tomba mentre era viva e vi misero anche una statua in bronzo
dorato.
Occorre sapere che all’esterno della fortezza di Tamatarkha esistono
numerosi pozzi che forniscono petrolio1.
Inoltre in Zichia, nel luogo detto Pagi, situato vicino alla Papagia dove
abitano gli Zichi, ci sono nove pozzi che danno il petrolio, ma il petrolio di
questi nove pozzi non sono dello stesso colore, uno di loro è rosso, l’altro
giallo, il terzo nerastro.
In Zichia, nel luogo detto Pagi, vicino del quale si trova un villaggio,
chiamato Zapaxi, che significa “polvere”, c’è un pozzo, da cui scaturisce
petrolio.
Occorre sapere che c’è anche un altro pozzo, che dà il petrolio in un
villaggio del nome di Chamuh, secondo il nome del fondatore del villaggio,
1 L’informazione è importante perché il petrolio era un componente del fuoco greco.
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un vecchio uomo. Anche, il villaggio fu chiamato Chamuh. Tuttavia, questi
luoghi sono distanti dal mare un giorno senza cambiare cavalli.
Occorre sapere che nel thema di Derzene1, vicino al villaggio di Sapikion
ed il villaggio chiamato Episkopion, un pozzo dà petrolio.
Occorre sapere che nel thema di Tziliapert2, vicino al villaggio di
Srechiavarax, un pozzo dà petrolio.
Occorre sapere che se un giorno quelli della città di Cherson si
rivoltassero o si rifiutassero di obbedire alle keleuseis imperiali3, si dovranno
immediatamente prendere i karaboi della città ed i loro carichi, ovunque si
troveranno. Si metteranno in prigione i marinai e i passeggeri del paese. Si
spediranno tre basilikoi4, uno verso la riva del thema di Armeniakon, l’altro
sul litorale di Paphlagonia, il terzo su quello del Boukellarion, per prendere
tutti i karaboi, le loro merci e si metteranno in prigione i marinai e i
passeggeri del paese fino a nuovo avviso. Si farà difesa alle navi di questi
tre themi per portare in Chersoneso grano, vino o altre derrate necessarie.
Lo strategos prenderà dieci libbre dal Tesoro dei Chersoniti e due libbre del
tributo, poi lascerà Cherson e si ritirerà in un’altra città.
Occorre sapere che i Chersoniti non sarebbero esistiti se non avessero
fatto i viaggi in Romania per vendere le loro cere e i loro cuoi, che essi
trafficavano con i Peceneghi.
Occorre sapere che i Chersoniti non sarebbero esistiti se non avessero
preso i viveri da Aminsos5 dalla Paphlagonia, dal Boukellarion e dagli altri
popoli che confinano con l’Armenia.
1
2
3
4
O Derdjan, regione dell’Armenia.
Forse identificata con Gölebert nell’Ardahan.
Mandati, ordini imperiali.
Letteralmente, uomini del basileus. Il basilikos era quindi un ufficiale o un ministro
dell’imperatore.
5 Amisos, oggi Samsun, città fondata su un golfo del Mar Nero nel VII secolo a.C.
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Glossario dei titoli bizantini citati nel De Administrando Imperio
a cura dell’associazione culturale Larici
ANTYPATHOS Proconsole
APOCRISIARIO Ambasciatore imperiale bizantino
ASECRETIS Consigliere dell’imperatore
BASILEUS Imperatore
BASILIKOS Ufficiale o ministro dell’imperatore
CARTOLARIO Funzionario amministrativo
CATAPANO o CATEPANO (katepanos) Alto ufficiale della marina
CLISURARCA (da clisura, fortezza) Funzionario di importanza inferiore dello
strategos e di solito agli ordini del protospatario
CUROPALATE (kouropalates) Alto funzionario dell’esercito
DOMESTIKOS Colui che comanda (un thema, l’andamento del palazzo, una
divisione dell’esercito ecc.)
DRUNGARIOS Comandante di flotta militare
ETERIARCA Comandante dell’eteria, corpo scelto di mercenari stranieri, poi
guardia del corpo imperiale
KOMMERKIARIOS Controllore delle transazione commerciali ed esattore di
imposte
LOGOTETA DEL DROMO Alto dignitario, sovrintendente addetto alle
comunicazioni e spesso alla diplomazia (affari pubblici e politica estera)
MAGISTROS (o magister) Alto dignitario, sovrintendente addetto alla
diplomazia (affari pubblici e politica estera), spesso carica onorifica
MANGLABITE
o
MANGLAVITE
(manglavites)
Guardia
del
corpo
dell’imperatore
OSTIAROS Eunuco con funzioni di vigilanza
PARAKIMOMENOS o PARAKOIMOMENOS Guardia del corpo o ciambellano
dell’imperatore
PATRIKIOS Alta carica militare (inferiore solo al magistros e all’antypathos)
data a generali e governatori
PROTELATOS Primo timoniere della nave imperiale
PROTEVON Notabile, primo magistrato municipale
PROTOKARAVON Uno dei capitani della nave
PROTOSPATARIO (protospatharios) Cavaliere di Giustizia o comandante della
guardia imperiale
PROTOVESTIARIOS Carica politica e di supervisione alla persona del
basileus, svolta solitamente da un parente dell’imperatore
SACELLIARIO (sakellarios) Funzionario amministrativo e per le finanze
SPATAROCANDIDATO (spatharokandidatos) Commendatore di Giustizia
STEFANOFORO (stephanophoros) Sommo sacerdote o pontefice che nelle
cerimonie pubbliche portava una corona d’alloro
STRATEGOS Massima carica dell’esercito, governatore di un thema
STRATOR Soldato messaggero
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