De Administrando Imperio
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De Administrando Imperio
associazione culturale Larici – http://www.larici.it Costantino VII Porfirogenito De Administrando Imperio (Amministrazione dell’impero) Προς τον ίδιον υιόν Ρωμανόν (Al nostro proprio figlio Romano) 948/9521 1 Traduzione, dalle versioni in inglese e francese, e note: @ associazione culturale Larici. 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Proemio Un uomo saggio rallegra suo padre1 e un padre affettuoso trova piacere in un figlio saggio2. Dio dà il potere di parlare, quando necessario, e aggiunge un orecchio per sentire3. Perché in Lui è il tesoro della sapienza, e ogni dono perfetto da Lui proviene4. Egli rafforza i re sui loro troni e dà loro un potere su tutto. Or dunque, ascoltami, figlio mio, perché penetrato il mio insegnamento, tu sarai saggio tra i prudenti e riconosciuto prudente tra i saggi; il popolo ti benedirà e tutti i popoli ti proclameranno beato. Ti dirò che cosa conviene prima di tutto sapere e assumere per dirigere abilmente un impero. Studia le cose oggi e informati delle cose di domani, alfine di accumulare un’esperienza e un giudizio sicuro, e tu sarai il più competente del tuo dominio. Ecco, ho preparato per te un insegnamento affinché, così dotato di esperienza e conoscenze puntuali per consigli attenti e di buon senso, tu non possa commettere errori: in primo luogo, [ti indicherò] come ogni popolo può aiutare o danneggiare i Romani5, come devastare con la guerra e sottomettere una o più persone, in seguito [parlerò] del loro temperamento avido e insaziabile e dei doni che essi esigono senza misura; poi degli altri popoli e delle loro differenze, origini, abitudini, costumi, dell’ubicazione e del clima del territorio che occupano con la descrizione geografica e la dimensione; inoltre [racconterò] alcuni avvenimenti che si sono verificati in tempi diversi tra i Romani e questi diversi popoli e, continuando ancora, [ti dirò] quali riforme sono state introdotte in tempi diversi nel nostro stato e in tutto l’impero romano. Queste cose le ho considerate nella mia saggezza e voglio portarle alla tua conoscenza, mio amato figlio, affinché impari a conoscere ciascun popolo per sapere come bisogna trattare con loro e governarli, come condurre fra loro la guerra o respingere i loro attacchi. E i popoli rimarranno stupiti davanti alla tua grandezza e ti fuggiranno come il fuoco, la loro bocca resterà imbavagliata e le tue parole le percepiranno come ordini. Il tuo aspetto sarà per loro terribile e davanti a te un fremito li coglierà. 1 Proverbi, 10,1. 2 Proverbi 17,21. Costantino VII si rivolge al figlio Romano (939-963), che sarà imperatore bizantino dal 959. 3 Isaia 50.4. 4 Proverbi 2,6; Lettera di Giacomo 1,17. 5 Qui e in tutto il testo sono detti “Romani” i Bizantini. 2 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it L’Onnipotente ti riparerà con uno scudo, il tuo Creatore ti colmerà di sapienza, guiderà i tuoi passi e ti renderà invincibile. Il tuo trono davanti a Lui sarà come il sole, e i suoi occhi saranno fissi su di te, e le avversità non avranno alcuna presa su di te: Lui stesso ti ha eletto, ti ha scelto fin dal seno materno, ti ha affidato, ritenendoti il migliore, il suo regno su tutti gli uomini e ti ha elevato come una torre su una collina o come una statua d’oro su una altura o come una città su una montagna, in modo che le popolazioni ti portino dei doni e che gli abitanti della Terra si inchinino davanti a te. Ma, Signore, mio Dio, il cui regno è imperituro, eterno, sii la guida di colui che per te è nato da me, fa’ che il tuo volto sia girato verso di lui, che il tuo orecchio sia teso verso la sua preghiera, che la tua mano lo protegga, che egli regni per la verità, che la tua destra gli indichi il cammino, che le sue vie siano dirette alla tua presenza per mantenere i tuoi comandamenti, che davanti a lui cadano i suoi avversari e i suoi nemici lecchino la polvere, che il suo tronco sua ombreggiato dalle foglie di una gran posterità e che l’ombra dei suoi frutti si diffonda sulle montagne reali, perché è attraverso Te che regnano i re e che essi ti lodano per l’eternità. 1. I Peceneghi: come, in pace, possono essere utili all’imperatore dei Romani Ora ascolta, figlio mio, queste cose che a mio avviso tu non devi ignorare, ma impararle se vuoi accedere al potere. Io sostengo infatti che se l’istruzione è un bene per tutti, compresi i nostri sudditi, lo è soprattutto per te, che devi pensare alla sicurezza di tutti, orientare e guidare la nave di questo mondo. E se per definire il mio argomento, ho seguito il sentiero battuto dalle parole, per così dire, scrivendo in prosa, chiara e banale, non stupirti, figlio mio. Perché io non ho cercato di ostentare una bella scrittura aureolata di stile attico ed enfasi sublime, ho piuttosto voluto insegnarti, con propositi didattici e familiari, quelle cose che tu non dovrai mai disconoscere, io credo, e che possono facilmente apportare l’intelligenza e la prudenza, frutti di una lunga esperienza. Penso dunque che sia sempre preferibile, per l’imperatore dei Romani, essere portato a mantenere la pace con il popolo dei Peceneghi 1 e a concludere accordi e trattati di amicizia con loro e a inviare loro, ogni anno da parte nostra, un apocrisiario2 con doni degni di questo popolo, e di prendere in cambio delle precauzioni, ossia degli ostaggi e un rappresentante, che saranno tenuti sotto la responsabilità del ministro competente di questa città protetta da Dio; solo allora essi potranno godere di tutti i benefici e dei doni appropriati che sarà gradito all’imperatore dispensare loro. 1 Popolo nomade di origine turca che compare alla frontiera sud-est dell’impero cazaro nell’VIII secolo e si installa nel X secolo a nord del Mar Caspio. 2 Ambasciatore imperiale bizantino. 3 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it I Peceneghi sono i vicini del distretto di Cherson3 e, se essi non sono ben disposti verso di noi, sono capaci di incursioni e di razzie contro Cherson, arrivando anche a devastare la città e i suoi dintorni. 2. I Peceneghi e i Rus’2 I Peceneghi sono i vicini dei Rus’ e mercanteggiano anche con loro; spesso, quando i due popoli non sono in pace, essi saccheggiano la Rus’, e fanno un male e un danno notevoli. I Rus’ si prodigano grandemente per mantenere la pace con i Peceneghi, perché comprano bovini, cavalli e pecore e ciò che rende loro la vita più facile e piacevole, perché nessuno degli animali menzionati si trova in Rus’. Inoltre, i Rus’ sono totalmente impediti di andare a fare la guerra oltre i loro confini, a meno che non siano in pace con i Peceneghi, perché una volta lontano dalle loro case, questi ultimi possono invadere, distruggere e devastare i loro beni. È per questo che i Rus’, sia per evitare le devastazioni che per la forza di questo popolo, sono i più preoccupati di essere sempre loro alleati e di averli come sostegno, alfine di poter sbarazzarsi ben bene dei loro nemici sfruttando il vantaggio del loro aiuto. I Rus’ non possono ottenere nulla dalla città imperiale dei Romani, sia per la guerra che per il commercio, se non sono in pace con i Peceneghi, perché quando i Rus’, nelle loro imbarcazioni, giungono alle rapide del fiume essi non le possono attraversare, se non tirano fuori le loro barche dall’acqua e se le caricano sulle spalle, cosicché il popolo dei Peceneghi li attacca, e poiché essi non possono resistere a due mali insieme, esso li disperde e li massacra. 3. I Peceneghi e i Turchi Anche la tribù dei Turchi teme grandemente i Peceneghi perché essi li hanno spesso vinti e sono stati vicini allo sterminio. E quindi, i Turchi sempre guardano i Peceneghi con terrore, essendo da loro racchiusi. 4. I Peceneghi, i Rus’ e i Turchi Finché l’imperatore dei Romani è in pace con i Peceneghi, né i Rus’ né i Turchi possono venire in armi sui territori romani, né possono più esigere dai Romani, come prezzo della pace, delle ingenti somme di denaro o di beni, perché temono il potere e la forza di questo popolo che l’imperatore può rivoltare contro di loro mentre si battono contro i Romani. Perché i Peceneghi, una volta fatta amicizia con l’imperatore e guadagnata grazia con lettere e doni, possono facilmente invadere il paese dei Rus’ e dei Turchi, ridurre in schiavitù le loro donne e i figli e distruggere il loro paese. 3 Cherson (in slavo Korsun’) è l’antico nome di Sebastopoli in Crimea. 2 Rus’, o Ros’, dall’ebraico ros, capo, era il nome che i Cazari davano agli abitanti della Rus’ di Kiev, ovvero ai Varjaghi, tribù scandinava discesa lungo il fiume Dnepr che si insediò a Kiev, dando origine al principato. 4 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it 5. I Peceneghi e i Bulgari L’imperatore dei Romani appare ancora più formidabile ai Bulgari1, e può imporre loro il suo bisogno di tranquillità, se è in pace con i Peceneghi. Infatti, i suddetti Peceneghi sono anche i vicini dei Bulgari, e quando i Peceneghi lo vogliono, sia per interesse personale che per compiacere l’imperatore dei Romani, possono facilmente attaccare la Bulgaria e, con la loro moltitudine e la loro forza preponderante, dominarli e distruggerli. Così, i Bulgari si sforzano di continuo di mantenere la pace e la concordia con i Peceneghi. Essendo stati spesso oggetto di una sconfitta schiacciante, hanno imparato con l’esperienza l’interesse di una pace duratura con loro. 6. I Peceneghi e i Chersonesi Anche un’altra di queste tribù di Peceneghi vive nei pressi del Chersoneso2, e questi Peceneghi fanno commercio con i Chersonesi e fanno ogni tipo di servizio per loro e per l’imperatore, in Rus’, in Cazaria3, in Zichia4 e presso i popoli più lontani, cioè essi ricevono dai Chersonesi delle sovvenzioni previste prima per un servizio commisurato al loro lavoro e al loro sforzo, sotto forma di stoffe tessute di porpora, nastri, tessuti lenti, broccati d’oro, polvere scarlatta o pelli e altri prodotti di cui hanno bisogno, secondo un accordo che ogni Chersonese può fare o accettare con un particolare pecenego. Perché questi Peceneghi sono uomini liberi e, per così dire, indipendenti, essi non rendono mai un servizio senza compenso. 7. Come inviare delegati imperiali da Cherson in un paese pecenego Quando un delegato imperiale deve andare a Cherson in missione, egli ne informerà immediatamente i Peceneghi ed esigerà da essi degli ostaggi e una scorta. Arrivato da loro, lascerà gli ostaggi sotto buona guardia nella cittadella di Cherson, e sotto scorta dei Peceneghi svolgerà la sua missione. Tuttavia, questi Peceneghi [sono] veramente insaziabili di ciò che è raro per loro, chiedono sfacciatamente doni costosi, gli ostaggi esigono questo per loro e quello per le loro donne, le guide qualcosa per i loro propri sforzi e qualcos’altro per la fatica dei loro animali. Così, quando il delegato imperiale è entrato nel loro paese, gli chiedono subito i doni dell’imperatore, e poi di nuovo, quando gli uomini sono sfamati, chiedono dei regali per le loro mogli e i loro parenti. Inoltre, tutti coloro che li scortano durante il ritorno da Cherson vogliono un pagamento per la loro fatica e la fatica dei loro animali. 1 Ossia i Bulgari lungo il bacino del fiume Volga, detti Bulgari Neri o Bulgari della Kama, ceppo etnografico dei Bulgari danubiani. 2 Si tratta del Chersoneso Taurico, ossia l’odierna Crimea, con capitale Cherson. 3 O Khazaria, regione abitata da nomadi turchi e confinante con l’impero bizantino, la Rus’ di Kiev e i Bulgari del Volga. 4 Regione a est del Mar Nero e del Mar d’Azov, detta poi Cirassia. 5 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it 8. La spedizione di delegati imperiali in chelandia1 dalla città protetta da Dio, in un paese pecenego, lungo i fiumi Danubio, Dnepr e Dnestr Una parte dei Peceneghi è ugualmente insediata sul territorio della Bulgaria, nella regione del Dnepr, del Dnestr e di altri fiumi dei dintorni. Quando un delegato imperiale è inviato qui in chelandia, può, senza passare da Cherson, trovare i Peceneghi facilmente e rapidamente, e quando li ha trovati, egli invia loro un messaggero, restando a bordo dei navigli, per tenere con sé i beni imperiali e sorvegliarli. Ed essi vengono a vederlo, e, al loro arrivo, il delegato imperiale dà in ostaggio alcuni dei suoi uomini, si fa consegnare in cambio altri ostaggi peceneghi, e li accoglie sulle chelandie, quindi conclude un accordo con loro; e quando i Peceneghi hanno prestato giuramento al delegato imperiale conformemente al loro zakana2, offre loro i doni imperiali, sceglie fra loro tanti «amici» quanti desidera, quindi se ne ritorna. Un accordo deve essere stipulato fra loro a condizione che ovunque l’imperatore li chiamerà, dovranno servirlo, che sia contro i Rus’, i Bulgari, o anche i Turchi3. Poiché sono capaci di fare la guerra a tutti questi popoli, e avendola spesso combattuta, questi popoli li guardano oggi con timore. Ciò fa chiaramente emergere un problema. Una volta, si inviò per mandato imperiale il chierico4 Gabriele presso i Turchi; egli disse loro: «L’imperatore vi fa sapere che dovete cacciare i Peceneghi dai loro luoghi d’abitazione e insediarvi lì, perché precedentemente avevate l’abitudine di vivere là, così voi sareste più vicini a noi e quando avrò bisogno di voi, potrò inviare a cercarvi e trovarvi rapidamente». Tutti i notabili Turchi esclamarono allora d’una sola voce: «Non vogliamo metterci sulla strada dei Peceneghi, perché non possiamo combatterli, il loro paese è grande, il loro popolo numeroso ed essi sono una razza sudicia; non esigete mai più ciò da noi, perché non ci piace!» Quando la primavera è finita, i Peceneghi passano sull’altra riva del fiume Dnepr, e vi restano sempre durante l’estate. 9. L’arrivo a Costantinopoli dei Rus’ della Rus’ con le loro monoxyla5 Le monoxyla che discendono dalla Rus’ all’esterno di Costantinopoli, venendo da Nebogardas6 dove regna Sfendosthlavos7 figlio di Igor’, principe di Rus’, essi vengono anche dal luogo di Miliniska, di Telioutza, di Tzernigoga e di Vousegrad8. Tutti discendono il fiume Dnepr e si raccolgono nella città di 1 Nave leggera da guerra con un ordine di remi. 2 La legge consuetudinaria (dal protoslavo zakon’). 3 I Turchi Magiari, o Ungari. 4 Giovane di studio. 5 Le monoxyla sono piccole canoe ricavate da un tronco, con fondo piatto e guidate tramite una pagaia. 6 Novgorod. 7 Svjatoslav. 8 Rispettivamente, Smolensk, forse Ljubeč, Černigov e Višgorod. 6 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Kioaba1 che hanno chiamata anche Sambatas. Tributari dei Rus’, gli Slavi, chiamati Kribetaienoi, Lenzanenoi e gli altri Sclavini2, approntano, sulle loro montagne, durante l’inverno, le monoxyla3 e dopo averle assemblate, alla fine della stagione, quando il ghiaccio s’è sciolto, le fanno entrare nei laghi vicini. Poiché questi entrano [con gli emissari] nel fiume Dnieper, essi [gli Slavi] penetrano da lì nel fiume, arrivando a Kiev, trascinando le imbarcazioni fino all’arsenale, e le vendono ai Rus’. I Rus’ acquistano soltanto gli scafi e, smontando le loro vecchie canoe, adattano, su questi ultimi, i remi, le panche e gli altri strumenti necessari e li equipaggiano. Nel mese di giugno si mettono in viaggio lungo il fiume Dnepr, scendono alla città di Vitetzebe4 che è tributaria dei Rus’, si fermano là per due o tre giorni finché si sono radunate tutte le imbarcazioni, quindi si rimettono in marcia e discendono il suddetto fiume Dnepr. E prima di tutto arrivano alla prima barriera, chiamata Essoupi, che vuol dire, in russo ed in slavo, «Non addormentarti!». Questa rapida non è più larga dello Tzykanisterion5. Nel suo mezzo si ergono alte rocce che affiorano come isole. L’acqua vi si precipita, straripa e schizza fino all’altra riva facendo un fragore spaventoso. Quindi i Rus’ non osano passare fra queste rocce, ma accostano nelle vicinanze, scaricano gli uomini sulla terraferma lasciando le loro mercanzie nelle barche, quindi tastano il fondo con i piedi nudi [mancanza] per non urtare qualche roccia. Procedono così, alcuni a prua e altri in mezzo, mentre altri, da riva, manovrano con le pertiche e con questa accurata procedura, essi passano la prima rapida seguendo la curva e la riva del fiume. Quando hanno passato questa barriera ripartono, dopo aver reimbarcato quelli sulla terraferma, e scendono fino alla rapida seguente, chiamata in russo Oulvorsi6, e in slavo, Ostrovouniprach, che significa « l’isola delle rapide»7. Quest’ultima, quanto la prima, è pericolosa e difficile da superare. Scaricando nuovamente la loro gente, essi fanno passare le loro barche come in precedenza. Superano allo stesso modo la terza rapida, chiamata Gelandri, cosa che vuole dire in slavo ’il rumore della rapida’ ; quindi la quarta, la più grande, nominata in russo Aeifor ed in slavo Neasit, perché i pellicani nidificano tra le sue grandi rocce. Là tutte le monoxila accostano, prua davanti, e gli uomini designati per vegliare ne escono e vanno a montare la guardia per vigilare sui Peceneghi. Gli altri si caricano delle merci che si trovavano nelle canoe, mentre gli schiavi tirano queste con catene sulla terraferma per sei miglia, fino a quando hanno passato la rapida. Quindi, gli uni trascinandole, gli altri portandole sulle loro spalle, trasbordano le canoe dall’altro lato della rapida. In seguito, avendole messe in acqua ed avendo effettuato il loro carico, essi si reimbarcano e navigano 1 2 3 4 5 6 7 O Kiyaba, nome bizantino di Kiev. Rispettivamente Kriviči, Lenzeninoi o Lenzaneni, Sclaveni. Ossia tagliano il legname. Vitičev. Terreno di gioco del polo che era nel Gran Palazzo di Costantinopoli. In norreno (scandinavo). Oppure isola della barriera o dello sbarramento. 7 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it nuovamente. Essi arrivano allora alla quinta rapida chiamata Varouforos in russo e Voulniprach in slavo, perché forma un grande lago, e di nuovo essi dirigono le loro canoe lungo le curve del fiume, come per la prima e la seconda rapida, e raggiungono la sesta, chiamata Leanti in russo, e Veroutzi in slavo, che significa: ’ribollire dell’acqua’ , e la passano ancora allo stesso modo. Navigano in seguito fino alla settima rapida, nominata in russo Stroukon ed in slavo Naprezi, che significa: ’piccola barriera’. Quindi superano il passaggio detto di Krarion1, che traversano i Chersonesi venendo dalla Rus’ e i Peceneghi da Cherson; questo passaggio della larghezza dell’Ippodromo [di Costantinopoli], la sua lunghezza dal limite fin dove le rocce affiorano, è lungo quanto il tiro di freccia di un arciere. È per questo che i Peceneghi scendono di là per attaccare i Rus’. Avendo superato questo luogo, [i Rus’] arrivano ad un’isola che porta il nome di San Gregorio; su quest’isola compiono i loro sacrifici, poiché una quercia enorme si erge là; essi sacrificano galli vivi. Piantano delle frecce in cerchio: altri [offrono] pezzi di pane e di carne, ed una parte di ciò che ciascuno possiede, come vuole il loro costume. Traggono anche a sorte a proposito dei galli per sapere se devono sgozzarli, mangiarli, o lasciarli in vita. A partire da quest’isola, i Rus’ temono i Peceneghi, fino a quando hanno raggiunto il fiume Selinas. Avendo lasciato l’isola navigano per quattro giorni fino a quando arrivano al lago che forma la foce del fiume, e nel quale si trova l’isola di Sant’Aitherios2. Avendo raggiunto quest’isola, vi si riposano per due o tre giorni. Poi equipaggiano le loro canoe delle cose che necessitano, vele, alberi, timoni, che avevano portato con loro. Poiché la foce del fiume è costituita da questo lago di cui abbiamo parlato più su, essa raggiunge il mare, e l’isola di Sant’Aitherios si trova vicino al mare, di là, si dirigono verso il fiume Dnestr e quando vi sono giunti sani e sicuri, si riposano nuovamente. Quando il tempo è favorevole, si reimbarcano e arrivano fino al fiume chiamato Aspros, e dopo essersi ancora riposati, salpano nuovamente e raggiungono il fiume Selinas che è uno dei bracci del Danubio. E fino a quando non hanno superato il Selinas, i Peceneghi li seguono. Quando succede che il mare sospinge una canoa sulla costa, tutti gli altri scendono a terra per opporre ai Peceneghi una difesa comune. Dopo il Selinas, non temono più nessuno, poiché è la terra bulgara che li circonda, e si dirigono verso la foce del Danubio. Dopo il Danubio raggiungono Konopas, dopo Konopas, Constantia e il fiume di Varna; da Varna vanno verso il fiume Ditzina, essendo tutte queste regioni territorio della Bulgaria. Dal Ditzina arrivano nella regione di Mesembria, ed è là che ha fine la loro dura, terrificante, impossibile e dura migrazione. Durante l’inverno, la dura esistenza di questi stessi Rus’ è la seguente: quando arriva il mese di novembre, immediatamente i loro principi con tutti i Rus’ lasciano Kiev e partono per i poludia, che significa “circondari”, cioè 1 Identificabile con il guado di Kichkas. 2 O Sant’Aiterio, attuale isola di Berezan’ nel grande estuario comune del Dnepr e del Bug Orientale. 8 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dagli Sclavini, [e nei territori] dei Vervianoi, Drougouvitai, Kribitzoi, Severioi1 e degli altri Slavi che sono tributari dei Rus’. Durante tutto l’inverno si fanno trattenere là, poi di nuovo, dopo il mese d’aprile, poiché il ghiaccio del Dnepr s’è sciolto, ritornano a Kiev. Dopo ciò, prendono le loro canoe, come detto sopra, le equipaggiano e scendono verso la Romania. Gli Uzi2 possono attaccare i Peceneghi. 10. Come e da chi la guerra dovrebbe essere fatta contro i Cazari. Proprio come gli Uzi possono combattere i Cazari, essendo loro vicini, lo stesso [può fare] il sovrano degli Alani3, perché le Nove Regioni di Cazaria4 sono vicine alle sue terre, e l’alano, se vuole, potrebbe piombare su di loro e causare gravi danni e la rovina dei Cazari: da queste Nove Regioni provengono la sussistenza e l’abbondanza della Cazaria. 11. Le città di Cherson e del Bosforo Se il re degli Alani non resta in pace con i Cazari e considera l’amicizia dell’imperatore dei Romani come preziosa per lui, e se i Cazari non si decidono di vivere in pace e amicizia con l’imperatore, l’alano può recare grande danno. Può preparare delle imboscate e attaccarli quando marciano ignari verso Sarkel5, verso le Nove Regioni e verso Cherson. E se questo sovrano volesse agire con zelo per poterli controllare, Cherson e le Regioni potrebbero allora beneficiare di una pace duratura e profonda, perché i Cazari, temendo l’attacco degli Alani, e non essendo liberi in realtà di attaccare Cherson e le Regioni con un’armata, in quanto non sono abbastanza forti per combattere sui due fronti contemporaneamente, saranno costretti a rimanere in pace. 12. I Bulgari Neri e la Cazaria Allo stesso modo, coloro che si chiamano Bulgari Neri possono ancora fare la guerra ai Cazari. 13. I popoli vicini dei Turchi6 Questi popoli sono vicini ai Turchi delimitati a ovest dalla Francia occidentalis7; a nord dai Peceneghi, e a sud dalla Grande Moravia, il paese di Sphendoplokos8, che è stato ora completamente devastato da questi Turchi e occupato da loro. Dalla parte delle montagne, i Croati sono vicini dei Turchi. 1 2 3 4 5 6 7 8 Rispettivamente, Derviani, Dregoviči, Kriviči e Severiani. Tribù turca delle steppe. Popolazione nomade di etnia iranica. Una per ogni tribù cazara. O Sarkil, fortezza cazara sulla riva sinistra Don, conquistata dal Gran principe di Kiev Svatoslav I nel 965 e forse oggi identificata presso Cimljansk (Tsimlyansk). Turchi Magiari o Ungari. La Francia occidentalis era il regno iniziato da Carlo il Calvo un secolo prima. Svatopluk o Sventopolk I, re della Grande Moravia dall’871 all’894. 9 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it I Peceneghi possono attaccare i Turchi, saccheggiarli e causare loro danni molto gravi, come ho detto sopra nel capitolo dei Peceneghi. Concentra, figlio mio, l’occhio del tuo spirito 1 sulle mie parole, apprendi queste cose che ti scrivo, e potrai, quando ne avrai bisogno, partire dai tesori ancestrali che fanno uso della pienezza della sapienza e della moderata prudenza. Sappi dunque che tutte le tribù del nord hanno, per natura, un desiderio insaziabile di denaro, ed è per questo che esigono tutto, vogliono tutto e la loro concupiscenza è senza freno, essi ambiscono sempre di più, dopo aver fatto grandi profitti in cambio di piccoli servizi. Occorre dunque respingere e rigettare le esigenze e le richieste importune sfacciatamente presentate con discorsi circostanziati e prudenti come pure con abili scappatoie. Poiché la nostra esperienza ci ha permesso di arrivarci, per parlare sommariamente, accadrà più o meno quanto segue: Se avverrà mai che Cazari, Turchi o anche Rus’, o qualsiasi altro popolo del Nord, e Sciti, come spesso succede, chiedano che si invii loro abiti imperiali, corone o vesti come ricompensa di qualche funzione o servizio svolto, ti scuserai allora dicendo: «Queste vesti, queste corone che noi chiamiamo kalymafkion2 non sono stati fabbricati dalla mano dell’uomo, né elaborati dall’artigianato umano, ma opera divina, come lo troviamo scritto nei resoconti segreti della storia antica; quando Dio fece imperatore Costantino il Grande, primo imperatore cristiano, glieli li inviò con il suo angelo, e gli ordinò di depositarli nella grande e santa Chiesa di Dio, che porta il nome della saggezza e fu chiamata Santa Sofia, dove Dio dimora, di non indossarli ogni giorno, ma soltanto durante una grande festa pubblica in onore del Signore. E così, secondo il comandamento di Dio, tutto ciò è ora sospeso sopra la santa tavola nel santuario di questa stessa chiesa, per decorarla. Gli altri abiti imperiali restano piegati su questa tavola santa». E quando arriva una festa in onore del nostro Signore Dio e di Gesù Cristo, il patriarca prende alcune di queste vesti e corone, quelle che convengono, e li invia all’imperatore perché le indossi durante la processione e là soltanto, come servo e ministro di Dio; dopo averle messe, egli le rinvia nuovamente in chiesa dove sono riposte. Inoltre, una maledizione del santo e grande imperatore Costantino è incisa sulla santa tavola della chiesa di Dio, iscritta dall’angelo di Dio. Se un imperatore ha un desiderio intempestivo di prenderle, di farne un cattivo impiego personale per qualsiasi utilizzo, occasione o sentimento di cupidigia o per darle ad altri, sarà colpito da anatema come nemico e avversario degli ordini di Dio, e sarà scomunicato dalla Chiesa; inoltre, se gli prendesse il desiderio di farne fare altre identiche, anche quelle devono essere riposte nella chiesa di Dio, secondo il beneplacito liberamente espresso da tutti gli arcivescovi e dal Senato. Né l’imperatore, né il patriarca, né qualunque altro mortale, ha 1 «Occhio del tuo spirito», o «occhio della tua mente», è un’espressione attribuita al leggendario Ermete Trismegisto, cui la cultura antica attribuì la paternità di una serie di scritti greci. 2 Parola greca – talvolta tradotta con camelaucia – indicante il copricapo degli imperatori bizantini a calotta con due bande laterali. 10 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it l’autorità per rubare le vesti o le corone dalla santa chiesa di Dio. E una minaccia potente pesa su coloro che sono propensi a trasgredire una di queste ordinanze divine. Uno dei nostri imperatori, chiamato Leone1, che aveva anche sposato una donna della Cazaria, volle nella sua pazzia e nella sua temerarietà coprirsi di una corona mentre nessuna festa in onore del Signore era prevista, e fece ciò senza l’approvazione del patriarca. Immediatamente il fuoco scaturì dalla sua fronte, egli fu piegato dalle sofferenze, completò orribilmente la sua cattiva vita, e corse verso una morte prematura. E, essendo questo atto audace sommariamente vendicato, si stabilì poi una regola secondo la quale, al momento dell’incoronazione, l’imperatore deve prima prestare giuramento e affermare che non farà né concepirà qualcosa contro ciò che è stato ordinato e mantenuto dai tempi antichi; dopo ciò il patriarca può incoronarlo ed effettuare i riti adeguati alla festa prevista. Tu devi sopra ogni cosa prestare le tue cure e la tua attenzione sul fuoco greco che si lancia tramite tubi; e se si osa chiedertene, com’è stato fatto spesso a noi stessi, devi rifiutare e respingere questa preghiera rispondendo che il fuoco è stato mostrato e rivelato da un angelo al grande e santo primo imperatore cristiano Costantino2. Per questo messaggio e per l’angelo stesso, gli fu ingiunto, secondo la testimonianza autentica dei nostri padri e dei nostri antenati, di preparare questo fuoco per i soli cristiani, nella sola città imperiale, e mai altrove; di non trasmetterlo e mai insegnarlo a alcuna altra nazione, quale che fosse. Il grande imperatore allora, per garantirsi contro i suoi successori, fece incidere sulla tavola santa della chiesa di Dio delle imprecazioni contro chi osasse comunicarlo allo straniero. Prescrisse che il traditore fosse considerato come indegno del nome di cristiano, di qualsiasi carica e di qualunque onore, che se egli avesse qualche dignità egli ne fosse spogliato. Dichiarò anatema nei secoli dei secoli, dichiarò infame chiunque, imperatore, patriarca, principe o suddito, colui che avesse provato a violare tale legge. Ordinò inoltre a tutti gli uomini con il timore e l’amore di Dio di trattare il prevaricatore come un nemico pubblico, di condannarlo e consegnarlo al supplizio più spaventoso. Tuttavia una volta successe che uno dei grandi dell’impero, lusingato da immensi doni, rivelò questo fuoco a uno straniero, ma Dio non poté vedere una simile atrocità impunita, e un giorno che il colpevole stava per entrare nella chiesa santa del Signore, una fiamma scesa del cielo lo avvolse e lo divorò. Tutti le menti furono presi dal terrore, e nessuno osò, da allora, qualunque fosse il suo rango, progettare e ancora meno eseguire un crimine così grande. Ma esaminiamo ora un’altra richiesta mostruosa e insensata, per cercare e scoprire la risposta adeguata e adatta. Se un popolo qualunque di quest’infedeli e di queste tribù disonorate del nord domandasse un giorno un’alleanza per matrimonio all’imperatore dei Romani, sia volendo sposare la propria figlia, sia volendo dargli in matrimonio, a lui o a suo figlio, una 1 Leone III l’Isaurico (675-741), imperatore dal 717. 2 In seguito (cap. XLVIII) Costantino afferma che l’invenzione del fuoco greco è di Callinico. 11 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it delle sue figlie, questa domanda sconveniente da parte loro dovrà ugualmente essere allontanata dicendo le parole: «Anche a questo riguardo esiste una disposizione terribile e irremovibile: un decreto del grande e santo imperatore Costantino, inciso sull’altare principale di Santa Sofia, diffida gli imperatori romani di contrarre alcuna alleanza per matrimonio con qualunque nazione estranea ai costumi e alle pratiche dei Romani, ma soprattutto con quelle che non abbiano ricevuto il battesimo, a esclusione tuttavia dei Franchi. Il grande e santo imperatore Costantino fece eccezione a favore di questa sola nazione, perché era nato in quel paese. Legami di parentela e grandi rapporti commerciali esistevano, infatti, tra i Franchi e i Romani». E perché ordinò che fosse con loro soltanto che i Romani potessero sposarsi? A causa della nobiltà e della notorietà di questo popolo, già citate. Ma con ogni altro popolo, lo ha proibito, e colui che osasse farlo sarebbe condannato come estraneo nelle file dei cristiani e anatematizzato, come trasgressore delle leggi antiche e delle ordinanze imperiali. E quell’imperatore Leone evocato più sopra, che si coronò del diadema, illegalmente e imprudentemente, senza consenso di colui che era allora patriarca della Chiesa, prese la corona e si incoronò e poi iniziò immediatamente a subire la punizione per il suo tentativo pernicioso, per avere osato prendere alla leggera e non tener conto dell’ordine di quest’imperatore santo, che come si è già detto, è inciso sulla santa tavola. Avendo già una volta abbandonato il timore di Dio e i suoi comandamenti, contrasse anche un’alleanza per matrimonio con il khagan1 di Cazaria, e prese sua figlia per moglie2, coprendo quindi di obbrobrio tanto lui che l’impero dei Romani, per avere trascurato le ingiunzioni antiche; e tuttavia lui non era neppure un cristiano ortodosso, ma un eretico e un iconoclasta. Fu scomunicato e anatematizzato dalla Chiesa di Dio per le sue pratiche illegali, come trasgressore e traviatore dell’ordinanza di Dio e del santo e grande imperatore Costantino. Perché come si può ammettere che i cristiani contraggano matrimoni e si combinino degli infedeli, quando il canone lo proibisce e ogni Chiesa lo considera come un estraneo entro e fuori l’ordine cristiano? Perché uno dei nostri imperatori dei Romani, illustre, nobile o prudente avrebbe potuto accettarlo? E se essi rispondessero: «Perché dunque l’imperatore Romano3, ha potuto combinarsi in matrimonio con i Bulgari, e dare sua nipote a Pietro signore di Bulgaria4?» Ecco quale sarà la risposta: L’imperatore Romano era un uomo ordinario e illetterato, e non fu 1 Imperatore. 2 Non fu Leone III a sposarsi, ma fu lui a combinare il matrimonio tra suo figlio Costantino e Irene, figlia del khan cazaro, per assicurarsi la pace. 3 Romano I Lecapeno (870-948), fu imperatore bizantino dal 920, quando Costantino VII era troppo giovane per governare, ma poi rimase sul trono fino al 944 come coimperatore. 4 Pietro I (?-969), figlio di Simeone I e zar di Bulgaria dal 927 al 969. Nel 928 egli sposò, a Costantinopoli, Maria, nipote di Romano I Lecapeno. 12 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it allevato a palazzo, come quelli che seguirono i costumi romani nazionali secolari; egli non era neppure di stirpe imperiale e nobile; è per questo che, nella maggior parte dei suoi atti, fu troppo arrogante e dispotico, e in quel caso non tenne conto dei divieti della Chiesa, né seguì il comandamento e l’ordinanza del grande Costantino. Ma è perché era arrogante, ostinato e senza etica morale, che rifiutò di seguire il bene, o di sottomettersi alle ordinanze emesse dai nostri antenati, che osò fare ciò che segue: egli si servì di una scusa speciosa per riacquistare molti prigionieri cristiani [dicendo]: i Bulgari e noi siamo cristiani nella stessa fede; poi siccome quella che fu data in matrimonio non era la figlia del precedente e legittimo imperatore, ma del terzo e del più giovane, ancora subordinato, e che non aveva alcuna parte nelle decisioni dello stato, che non c’era alcuna differenza tra lei e un’altra delle donne della famiglia imperiale, più o meno imparentata alla nobiltà imperiale, [che era stata data] per ricompensare alcuni servizi per il bene comune, e che [non importava] che fosse la figlia del più giovane, che non ha alcuna autorità per così dire. E poiché fece questa cosa contrariamente al canone e alla tradizione ecclesiastica e all’ordinanza e al comandamento del santo e grande imperatore Costantino, il Signor Romano fu nel corso della sua vita molto debole, calunniato e odiato dal Consiglio senatoriale, da tutto il popolo e dalla Chiesa stessa, odio che si manifestò apertamente quando si avvicinò alla fine; anche dopo la sua morte, è ancora disprezzato, calunniato e condannato perché ha introdotto una riforma molto indegna e indecente nella nobile amministrazione politica dei Romani. Ogni popolo ha infatti usanze, leggi e istituzioni diverse; bisogna conservare i suoi valori, istituire e sviluppare nel popolo un sentimento pubblico di vivere comune, come ogni animale si mescola ai suoi congeneri, [e quelli di] ogni nazione hanno il dovere di sposare quelli della stessa razza e della stessa lingua e non quelli di un’altra razza e di un’altra lingua. Perché così nascono l’armonia di pensiero e di discorso, conversazioni amichevoli e una vita comune. Al contrario, costumi stranieri e leggi differenti generano inimicizie, dispute, odi e rivolte che tendono a fare nascere non più l’amicizia e l’unione ma il rancore e la divisione. Nota anche, che coloro che vogliono governare legittimamente non devono preoccuparsi di rifare ciò che è stato malfatto da alcuni sia per ignoranza, sia per ambizione, ma devono tenere conto delle azioni lodevoli dei regnanti legittimi e giusti, come seguire gli atti valorosi, e seguendo questo modello, sforzarsi anche di dirigere le proprie azioni; quanto al Signor Romano, considerata la sua fine, questi atti testardi sono un avvertimento sufficiente per impedire chiunque fosse propenso a imitarlo nei suoi atti riprovevoli. E, quanto al resto, ora devi sapere anche ciò che segue, figlio mio amatissimo, perché questa conoscenza può in gran parte favorirti e farti grandemente ammirare da tutti. È, ancora una volta, la conoscenza delle differenze con gli altri popoli, delle loro origini, dei costumi, modi di vita, ubicazione, clima del territorio che essi occupano con la descrizione geografica e la dimensione, che viene spiegato più ampiamente qui di 13 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it seguito. 14. La genealogia di Maometto1 L’empio e impuro Maometto, che i Saraceni riconoscono come loro profeta, fa risalire la sua genealogia alla grande razza di Ismaele, figlio d’Abramo. Così Nizar, discendente di Ismaele, è proclamato padre di tutti loro. Ora, lui ebbe due figli, Moundaros e Rabias2; Moundaros generò Kousaros, Kaisos, Themimes ed Asandos e molti altri i cui nomi sono sconosciuti, e ai quali si attribuì il deserto madianita3 dove essi portarono le loro greggi, vivendo in tende. E ne ce n’è altri più lontano all’interno, che non sono della stessa tribù, ma di Iektan [Potrebbe essere Jokthan, citato in Genesi 10,25.], i pretendenti omeriti, cioè gli Ammaniti4. È questo che si racconta. Maometto, senza denaro e orfano, credette di potersi sistemare da una donna ricca, sua parente, chiamata Chadiga5, per occuparsi dei suoi cammelli e fare commercio per lei in Egitto e in Palestina fra gli stranieri. In seguito, poco a poco, diventò sempre più libero di intrattenersi con lei e di guadagnare le sue grazie; ella era vedova, e lui la prese per moglie. Ma, durante le sue visite in Palestina e le sue relazioni con ebrei e cristiani, prese conoscenza di alcune loro dottrine e dell’interpretazione delle Scritture. Ma poiché egli aveva l’epilessia, sua moglie, nobile e ricca, si rattristò per essersi unita a quest’uomo, non soltanto senza risorse, ma anche epilettico, ed egli la ingannò affermando: «Ho avuto la terribile visione di un angelo chiamato Gabriele, e incapace di sopportare la sua vista, sono svenuto e caduto», e un certo Arien, che pretendeva di essere un monaco, gli credette, e fece una falsa testimonianza a suo favore per amore del guadagno. La donna fu raggirata in questo modo e ripeté ad altre donne della sua tribù che lui era un profeta; la menzogna si diffuse e raggiunse le orecchie di un uomo ambizioso chiamato Bubachar6, e poi la donna morì, lasciando che il marito ereditasse tutti i suoi beni; egli diventò un notabile molto ricco; il suo maledetto inganno e la sua eresia si insediarono sul territorio di Ethribos7 e quell’impostore pazzo insegnò a quelli che lo credevano, che colui che uccide un nemico o è ucciso da un nemico entra al paradiso, e altre sciocchezze. Ed essi pregano, inoltre, verso la stella di Afrodite, che chiamano Koubar, e nelle loro preghiere, esclamano: «Allah ua Kubar», cioè «Dio e Afrodite». Poiché chiamano il loro dio Allah, e utilizzano «ua» come la congiunzione «e», e chiamano la stella «Kubar», si dice allora «Allah ua Kubar». 1 Questo capitolo proviene dalla Cronaca di Teofane Confessore (IX secolo), della quale Costantino VII riporta anche altri estratti. Moundaros è Mudar e Rabias è Rabi’a. A est del Mar Morto. Popolo della Palestina. Khadija. O Abubachar, ossia Abu Bekr (o Bakr), coetaneo di Maometto e primo califfo e padre di A’isha, la moglie bambina di Maometto. 7 Yathrib, antico nome di Medina. 2 3 4 5 6 14 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it 15. La tribù dei Fatimidi Fatima era la figlia di Maometto, ed è da ella che provengono i Fatimidi1, però non sono della regione di Fatemi, del paese della Libia, ma sono insediati a nord del territorio della Mecca, oltre la tomba di Maometto. È un popolo arabo, accuratamente addestrato alle guerre alle battaglie, poiché con l’aiuto di questa tribù, Maometto entrò in guerra, conquistò molte città e sottomise numerosi paesi. Perché essi sono uomini coraggiosi e guerrieri; quando sono mille in un esercito, questo non può essere superato o sconfitto. Non montano cavalli, ma cammelli, e in tempo di guerra, non portano né armature né cotte di ferro, ma dei mantelli scuri; hanno lunghe lance, scudi che proteggono tutto il corpo e grandissimi archi che solo pochi uomini riescono a curvare e con difficoltà. 16. Estratto del canone che il saggio Stefano fece sulla partenza dei Saraceni, in quale anno della creazione del mondo ciò si verificò, e chi teneva lo scettro dell’impero dei Romani La partenza dei Saraceni ebbe luogo il terzo giorno del mese di settembre, decima indizione, dodicesimo anno di Eraclio, dell’anno 6130 dalla creazione del mondo2. E l’oroscopo di questi stessi Saraceni fu tratto nel mese di settembre, il terzo giorno del mese, il quinto giorno della settimana. In questa stessa epoca, Maometto fu il primo capo degli Arabi e loro profeta; diresse gli Arabi per nove anni. 17. Estratto della Cronaca di Teofane, di felice memoria In quest’anno 6139, morì Maometto, primo capo e falso profeta dei Saraceni, dopo avere nominato il suo parente Abu Bekr al suo posto. Nella stessa epoca la sua fama si diffuse all’estero e tutto il mondo prese paura. All’inizio del suo arrivo gli Ebrei smarriti pensavano che fosse il Messia che attendevano, cosicché alcuni dei loro capi si unirono a lui e accettarono la sua religione trascurando quella di Mosè, che aveva visto Dio, ma quando essi lo videro mangiare carne di cammello, si resero conto che lui non era quello che credevano fosse. Tuttavia essi gli insegnarono a perpetrare crimini abominevoli contro i cristiani e continuarono a stare con lui. Sono loro che gli insegnarono ad accettare alcune parti della Legge, la circoncisione e altre questioni, che i Saraceni osservano. Il primo a venir dopo, allora, fu Abubachar3, che lo aveva proclamato profeta e per questa ragione gli successe. E la sua eresia guadagnò il territorio di Ethribos, prima in segreto per dieci anni, poi infine con una guerra di una decina d’anni, ed apertamente per nove anni. Ed egli insegnò ai suoi sudditi che colui che uccide un nemico o è ucciso da un nemico entrerà direttamente in paradiso. 1 Dinastia di califfi sciiti, discendenti di Fatima (605-633), quarta figlia del profeta. 2 Si tratta dell’Ègira, il trasferimento di Maometto verso l’oasi di Yathrib (Medina) avvenuto dal 9 al 24 settembre 622. 3 Lo stesso che Abu Bekr (o Bakr). 15 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Questo paradiso è un luogo carnale dove si può mangiare, bere e stendersi con le donne; vi cola un fiume di vino, di miele e di latte, [insegnò] che le donne non sono come qui in terra, ma differenti, e che rapporti e piacere sono continui e altre sciocchezze ed eccessi. Abbi pietà di loro ed aiuta coloro che sono feriti. 18. Il secondo capo degli Arabi, Abubachar Questo Abubachar si impadronì inizialmente della città di Gaza e dei territori circostanti. Ed è lo stesso Abubachar che morì dopo essere stato emiro per tre anni. Umar gli successe e diresse gli Arabi per dodici anni1. 19. Il terzo capo degli Arabi, Umar Questo stesso Umar marciò contro la Palestina, assediò Gerusalemme per due anni, quindi la conquistò con l’inganno. Sofronio, vescovo di Gerusalemme, personaggio animato da zelo divino e saggezza notevole, ricevette da lui le migliori assicurazioni che le chiese non sarebbero state né distrutte né saccheggiate. Quando Sofronio lo vide, disse: «In verità, è l’abominio della desolazione predetta dal profeta Daniele, che si tiene in questo luogo santo». Egli chiese il Tempio degli Ebrei costruito da Salomone, per farne il luogo della sua bestemmia2. Ed è ancora così al giorno d’oggi. 20. Il quarto capo degli Arabi, Othman Egli prese l’Africa con la guerra, fissò un tributo agli Africani e ripartì. Il suo generale era Muawiya, che abbatté il Colosso di Rodi e prese l’isola di Cipro3 con tutte le sue città. Prese anche l’isola di Arados e bruciò la sua città, l’isola è ancora oggi una località abbandonata. Quando andò sull’isola di Rodi4, fece demolire il Colosso, milletrecentosessanta anni dopo la sua costruzione, e un commerciante ebreo di Edessa lo comperò e caricò 900 cammelli con il bronzo. Questo Muawiya lanciò anche una spedizione contro Costantinopoli5, devastarono Efeso, Alicarnasso, Smirne e tutte le altre città ioniche; poi dopo la morte di Othman, ci fu il quinto capo degli Arabi per ventidue anni6. 21. Estratto della Cronaca di Teofane: anno dalla creazione del mondo 6171 1 Gli anni di regno di Umar furono solo dieci, dal 634 al 644. 2 Le ultime due frasi andrebbero invertite: Sofronio andò da Umar che si era insediato nel Tempio di Salomone ed entrando pronunciò quella frase. 3 Nel 651. 4 Nel 654. 5 L’assedio durò tre anni (674-677), poi la flotta araba fu incendiata dal fuoco greco e i nemici si ritirarono. 6 Othman morì assassinato il 17 giugno 656, ma il successore fu Ali ibn Abi Talib, califfo dal 656 al 661, cui seguì per pochi mesi suo figlio (e nipote di Maometto), Al-Hasan ibn Ali. A lui seguì Mu’awiya ibn Abi Sufyan, califfo dal 661 al 680. 16 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Alla fine della vita di Muawiya1, capo degli Arabi, i Mardaiti invasero il Libano per prenderne possesso dalla Montagna Nera fino alla città santa; si resero padroni dei vertici del Libano, e di numerosi schiavi e indigeni accorsi verso loro per cercare rifugio; il loro numero in poco tempo si alzò a molte migliaia2. Apprendendo ciò, Muawiya e i suoi consiglieri si inquietarono. Egli inviò allora emissari all’imperatore Costantino, per proporre la pace. Di conseguenza, l’imperatore Costantino, l’ortodosso, figlio di Pogonato3, gli inviò Giovanni soprannominato Pitzikaudis4. Quando arrivò in Siria, Muawiya lo ricevette con grande onore, e le due parti decisero che una pace doveva essere stabilita per iscritto e sotto giuramento, sulla base di un tributo annuale convenuto, gli Agareni5 dovevano pagare all’imperatore dei Romani tremila pezzi d’oro, 800 prigionieri e 50 cavalli di razza. A quell’epoca, l’impero degli Arabi era diviso in due parti. A Ethribos Ali deteneva il potere, ma Muawiya teneva l’Egitto, la Palestina e Damasco6. E gli abitanti di Ethribos si unirono ai figli di Ali contro Muawiya. E Muawiya si preparò ad affrontarli e la battaglia ebbe luogo vicino al fiume Eufrate, e la parte di Ali fu sconfitta; e Muawiya prese Ethribos e tutte le terre della Siria. E la sua famiglia regnò 85 anni. Dopo di lui vennero dalla Persia i cosiddetti «Abiti neri»7, che regnano oggi; e si batterono con il clan di Muawiya che essi distrussero completamente. E uccisero così Maruam, che era alla sua testa. Alcuni dei partigiani di Muawiya sopravvissero, e insieme e un nipote di Muawiya, furono perseguitati dagli «Abiti neri» fino in Africa. Ora, questo nipote di Muawiya con alcuni partigiani, passò in Spagna all’epoca di Giustiniano, ma non di Pogonato8. Ma ciò non è stato scritto dai nostri storici, perché a partire dal momento della presa dell’antica Roma da parte dei Goti, i possedimenti romani iniziarono a essere spezzettati, e nessuno storico ha fatto menzione della regione di Spagna, né del clan dei Muawiyati. Ma la storia di Teofane, di felice memoria, ne ha tenuto conto come segue: Così, Muawiya, capo dei Saraceni, morì, dopo essere stato generale per 26 anni, e regnato come emiro per 24 anni. Izid, suo figlio, regnò 6 anni gli Arabi. Alla sua morte, gli Arabi di Ethribos si agitarono, si sollevarono ed elessero Abdelas, figlio di Zuber, come loro capo. Quando intesero ciò, gli Arabi che abitavano in Fenicia, in Palestina e a Damasco andarono da Usan, emiro della Palestina, e designarono Maruam come loro capo, ed egli regnò 9 mesi. Alla sua 1 Morì il 6 maggio 680, i fatti che seguono datano 678-680. 2 I Mardaiti, insieme di tribù che abitavano nell’Anatolia meridionale, ottennero dal califfato di stabilirsi tra le montagne del Libano e diventarono una sorta di milizia di frontiere, ma essi compirono, sostenuti dai Bizantini, diverse azioni di guerriglia contro gli Arabi, tra cui quella del 677 in cui colpirono Gerusalemme. 3 Costantino IV detto Pogonato (ossia il Barbuto; 654-685), figlio di Costante II e di Fausta. 4 In italiano: Pitzigaude. 5 Altro nome dei Saraceni. 6 Costantino VII parla rispettivamente del figlio e del nipote del Muawiya fin qui citato. Ethribos era, come detto, l’antica Medina. 7 I Maurofori o Melanchlani o Melanclani, tribù sarmate. 8 Nel 711. 17 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it morte, suo figlio Abimelec gli successe e regnò 22 anni e 6 mesi. E vinse i ribelli, e uccise Abdelas, figlio e successore di Zuber. Durante questo tempo l’imperatore Costantino, figlio di Pogonato, morì, dopo avere regnato sui Romani 17 anni e suo figlio Giustiniano lo sostituì. Il capo degli Arabi, che era il quinto dopo Maometto a dirigere gli Arabi, non era della famiglia di Maometto, ma di un’altra tribù. Dapprima fu nominato generale ed ammiraglio da Othman, capo degli Arabi, e inviato contro lo stato dei Romani con una forza considerevole e 1.200 navi. Andò a Rodi, e di là, dopo aver organizzato la propria spedizione, venne su Costantinopoli; restò a lungo, e devastò i dintorni di Bisanzio, ma ripartì senza avere raggiunto lo scopo. Quando arrivò a Rodi, fece abbattere il Colosso chi si ergeva nell’isola. Era una statua di bronzo che rappresentava Helios, dorata dalla testa ai piedi, di un’altezza di 80 cubiti e di proporzioni assai grandi, come testimonia l’iscrizione scritta sulla sua base, che diceva ciò: «Il Colosso di Rodi, otto volte dieci cubiti di altezza, realizzato da Carete di Lindo»1. Egli prese il bronzo della statua e lo fece trasportare in Siria per metterlo in vendita alle offerte; un ebreo di Edessa lo comperò e lo portò fino al mare caricando 980 cammelli. Alla morte di Othman, allora, questo Muawiya riuscì a dirigere gli Arabi. E regnò sulla città santa, sulla Palestina, su Damasco, Antiochia e tutte le città d’Egitto. Ma Ali, genero di Maometto, avendo sposato sua figlia Fatima, regnava su Ethribos e tutta l’Arabia. Ma, a quell’epoca, Ali e Muawiya si dichiararono la guerra l’un l’altro, ciascuno volendo regnare ed essere Signore di tutta la Siria. Si scontrarono vicino al fiume Eufrate, e si lanciarono in una feroce battaglia tra loro2, ma quando la battaglia arrivò al suo culmine, poiché molti combattenti erano morti da ogni parte, l’insieme degli Agareni dei due fronti esclamò: «Perché uccidere ed essere ucciso, la nostra tribù si stermina dei vivi? Che due anziani arbitrino le due parti, e che il preferito sia il loro capo». Ali e Muawiya furono felici di questa parola dei loro, e, togliendo dalle mani i loro anelli, simbolo del capo degli Agarani, li dettero a due anziani, e rimisero la loro autorità a loro disposizione, confermando ciò con un giuramento e dichiarando che, chiunque avessero preferito gli anziani sarebbe stato il signore e capo di tutti i Saraceni. I due anziani entrarono in mezzo al campo di battaglia dalle due parti, e si misero di fronte nel campo degli eserciti; l’anziano di Ali3 era un uomo pio secondo il popolo dei Saraceni, un uomo designato sotto il nome di «cadi», cioè fedele e 1 Il Colosso, raffigurante il dio del sole, protettore di Rodi, non si «ergeva» più, perché caduto in mare durante il terremoto del 226 a.C. e lì rimase fino al 654, quando gli Arabi conquistarono l’isola. La statua, realizzata da Carete (o Caletus) di Lindo, un allievo di Lisippo, era alta 32 metri e fu realizzata in pietra con armatura interna di ferro e rivestimento esterno di lastre di bronzo. 2 È la battaglia di Siffin del 657, che impegnò 100.000/130.000 soldati e si ebbero 25.000/45.000 morti, secondo le cronache islamiche. Lo svolgimento raccontato è una delle tante versioni circolate sul combattimento. 3 Abu Musa al-Ash’ari. 18 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it santificato; invece l’anziano di Muawiya1 era pio soltanto in apparenza, ma ingannevole, arrogante e superando tutti gli uomini. L’anziano di Muawiya disse a quello di Ali: «Parlerete voi per primo di ciò che volete, perché voi siete prudente e pio, e molto più vecchio di me». E l’anziano di Ali rispose così: «Ho ricevuto tutto il potere da Ali, avendo ritirato l’anello dalla sua mano, esso è sul mio dito, ora ritiro quest’anello di Ali dal mio dito e con questo gesto mi tolgo anche il potere». L’anziano di Muawiya rispose allora: «Io sono assunto il potere di Muawiya, poiché ho messo il suo anello al mio dito, ed ora rimetterò l’anello di Muawiya al suo dito». Quindi si separarono l’un l’altro. Allora Muawiya dominò tutta la Siria, poiché tutti gli emiri avevano giurato l’un l’altro, dicendo: «Qualsiasi cosa dicano gli anziani, noi rispetteremo le loro parole». Così Ali prese il suo esercito e ripartì con tutte le sue genti per la regione di Ethribos, dove completò la sua vita. Dopo la morte di Ali i suoi figli, rinnegarono il consiglio del loro padre, si rivoltarono contro Muawiya, e misero in atto una battaglia selvaggia con Muawiya, in cui furono sopraffatti, essi fuggirono dinanzi a lui; Muawiya li inseguì e li fece mettere tutti a morte. A partire da quel momento, Muawiya ebbe nelle sue mani il potere su tutti gli Arabi. Ma, questo Muawiya era il nipote di Sofian2. E il nipote di Muawiya era Masalma, che fece una spedizione contro Costantinopoli, e in seguito alla quale fu costruita la moschea dei Saraceni nel Praetorium imperiale. Egli non era il capo degli Arabi; Solimano era il capo dei Saraceni, e Masalma aveva il rango di generale. Solimano venne con la sua flotta contro Costantinopoli, e Masalma venne per terra attraversando a Lampsaco nella regione di Tracia, portando con sé 80.000 uomini. E grazie alla Provvidenza di Dio, la flotta di Solimano e l’esercito di fanteria di Masalma si ritirarono entrambi con vergogna, battuti e completamente sconfitti dalla flotta e dai soldati dell’imperatore3. Il nostro stato fu allora in pace per lunghi anni, perché questa città è guidata e conservata da Nostra Signora della Semprevergine Maria, Madre di Dio; Solimano stesso impressionato da questa inviolabile e santa immagine, cadde da cavallo. 22. Estratto dalla Cronaca di Teofane, di felice memoria, sugli stessi eventi riguardanti Muawiya e la sua tribù, e come passò in Spagna. L’imperatore dei Romani Giustiniano Rinotmeto4 È l’inizio del suo regno, dopo ciò, fu destituito da Leonzio, quindi a sua volta ritornò, espugnò Leonzio e Apsimaro5, e consacrò il suo trionfo su loro due nell’Ippodromo facendoli mettere a morte. Quello stesso anno Abimelec6 volle ratificare la pace con Giustiniano alle seguenti condizioni: 1 2 3 4 Amr ibn al-’As. Non nipote, ma figlio di Abu Sofian. Nel 717. Giustiniano II detto Rinotmeto (“naso tagliato”; (669-711) regnò per due volte, nel 685695 e dal 704 alla morte. 5 Leonzio rovesciò Giustiniano (695) e fu a sua volta destituito da Tiberio Apsimaro (698). 6 Il califfo omayyade Abd al-Malik. 19 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it l’imperatore ritirerà la sua legione mardaita dal Libano e controllerà le loro incursioni; Abimelec da parte sua, pagherà ai Romani ogni giorno mille nomismata7, un cavallo purosangue e uno schiavo etiope; i tributi di Cipro, Armenia e Iberia saranno gestite in comune e in parti uguali da entrambi. L’imperatore inviò il delegato imperiale Paolo da Abimelec, per confermare le condizioni autorizzate, e quest’accordo fu stabilito per iscritto ed attestato8. Il delegato imperiale fu onorato da doni, e se ne ritornò. L’imperatore richiamò 12.000 Mardaiti, mutilando così la potenza romana. Perché tutte le città frontiera ora abitate dagli Arabi, da Mopsuestia alla Quarta Armenia9, restarono senza difesa e disabitate a causa della distanza dei Mardaiti, la cui distanza dalla Romania aveva fatto subire danni terribili ancora subiti agli Arabi. E lo stesso anno, l’imperatore si recò in Armenia dove sistemò i Mardaiti del Libano, distruggendo così il suo «muro d’acciaio». Inoltre, ruppe l’impegno di pace concluso con i Bulgari, e dette pensiero ai principi regolari stabiliti da suo padre. Fu anche sotto il regno di Abimelec che gli Arabi marciarono contro l’Africa, prendendone e si misero guarnigioni delle loro truppe. In quel momento Leonzio destituì Giustiniano dal trono dei Romani, lo esiliò a Cherson e s’impossessò dell’impero. Ma dopo che Tiberio Apsimaro gli successe impossessandosi dell’impero e dello scettro dei Romani, Abimelec, capo degli Arabi, morì e suo figlio Ualid 6 regnò nove anni. Lo stesso anno, Giustiniano riprese il suo trono, e nel corso del suo governo negligente e disinvolto, gli Agareni sottomisero interamente l’Africa. Poi, il nipote di Muawiya, con pochissimi uomini, passò in Spagna, e, dopo aver messo insieme la sua tribù, prese il controllo della Spagna fino ai nostri giorni, è perciò che gli Agareni che abitano in Spagna sono chiamati Muawiyati. Loro descendenti sono gli Agareni che vivono a Creta. Perché, quando Michele il Balbuziente7 diventò imperatore dei Romani, e che la ribellione di Tommaso durò tre anni8, quest’imperatore, assorbito dai disordini emergenti, non si occupò di ciò che avveniva lontano; gli Agareni della Spagna videro che la loro possibilità era venuta: armarono una flotta importante e partirono dalla Sicilia per devastare tutte le Cicladi, quindi, arrivando in Creta, la trovano ricca e male conservata, non trovano nessuno che si oppone a loro, se ne impadroniscono e la conservarono fino ad oggi. Solimano succedette a Ualid e regnò tre anni. Alla sua epoca Masalma, generale de Solimano, fece una 7 Plurale di nomisma (cioè «soldo»), antica moneta d’oro bizantina. 8 Nel 686. 9 La Quarta Armenia si estendeva dalle sorgenti del fiume Tigri all’Eufrate. 6 Al-Walid ibn Abd al-Malik (668-715), califfo dal 705. 7 Michele II detto l’Amoriano o il Balbuziente (770-829), imperatore bizantino dall’820. 8 Tommaso lo Slavo (?-823) era un generale, compagno d’armi di Michele II. Nell’820 si mise a capo di una ribellione e con l’inganno riunì, secondo lo storico Genesio, i Saraceni, gli Abkazi, i Geti, gli Alani, i Khaldi, gli Armeni, i Vandali , gli aderenti alle sette dei Pauliciani e degli Athinganoi. Giunto fino alle porte di Costantinopoli nel dicembre 821, dovette ritirarsi nella primavera dell’823 a causa del tempo inclemente e degli attacchi dell’esercito bulgaro guidato dal khan Omurtag che disperse le sue truppe. In seguito, Michele II lo sconfisse e lo fece uccidere. 20 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it spedizione di terra con un’armata, e Umar per mare e con la volontà di Dio ritornarono con vergogna, non avendo potuto raggiungere il loro scopo. Solimano fu sostituito da Umar1, che detenne il potere sugli Arabi due anni. Umar fu sostituito da Azid2, che regnò quattro anni. Egli fu sostituito da Isam3, che regnò per 19 anni. Alla sua morte Maruam4 regnò sei anni. Alla morte di Maruam, Abdelas5 diventò capo degli Arabi, e regnò 21 anni. Alla sua morte Madis6 diventò il capo degli Arabi, regnò nove anni. Quando morì Aaron7 prese il potere sugli Arabi, e regnò 23 anni. In quest’anno, cioè quando l’impero dei Romani [mancante] Irene e Costantino8, l’anno della creazione del mondo 6288. Lo stesso anno, Aaron, capo degli Arabi, morì all’interno della Persia, chiamato Khorasan, e Muhamed suo figlio gli successe9; era un uomo stupido, squilibrato in tutti i sensi del termine, contro il quale suo fratello Abdelas10 si rivoltò in quello stesso paese, Khorasan, utilizzando i poteri che erano stati quelli di suo padre, e si condusse una guerra intestina. E in seguito, gli abitanti di Siria, d’Egitto e della Libia furono lacerati tra diversi poteri, che distrussero il bene pubblico, in un ammasso di massacri, di rapine, di oltraggi di qualsiasi tipo contro se stessi e i loro sudditi cristiani. Ciò fu mentre le chiese nella città santa di Cristo, il nostro Dio, furono devastate e i monasteri delle due grandi Laure, quello dei Santi Caritone e Ciriaco e quello di San Saba11, e gli altri monasteri cenobiti dei Santi Eutimio e Teodosio. Questa anarchia, durante la quale si assassinarono l’un l’altro , durò cinque anni. Fino allora la storia degli Arabi è stabilita cronologicamente da san Teofane, che fondò il monastero detto “Megas Agros”12 ed era lo zio, da parte materna, del grande, pio e cristianissimo imperatore Costantino, figlio di Leone, l’imperatore più prudente e più virtuoso, nipote di Basilio, di memoria benedetta per il controllo dello scettro sull’impero dei Romani. 23. Sull’Iberia e la Spagna Ci sono due Iberie: l’una alle Colonne d’Ercole, così nominata a causa del 1 2 3 4 Umar (o Omar) II (682-720) regnò dal 717. Yazid II ibn Abd al-Malik che governò dal 720 al 724. Hisham ibn ’Abd al-Malik (691-743) era fratello di Yazid II e regnò per quasi vent’anni. Marwan II ibn Muhammad ibn Marwan, che destituì il legittimo successore Ibrahim ibn alWalid. 5 Abu l-Abbas detto al-Saffah (il Sanguinario), primo califfo, dal 749, della dinastia degli Abbassidi.) diventò capo degli Arabi, e regnò 21 anni. Alla sua morte Madis [Muhammad al-Mahdi. Prima di lui regnò suo padre, Al-Mansur, per un anno. 6 Muhammad al-Mahdi. Prima di lui regnò suo padre, Al-Mansur, per un anno. 7 Nome biblico del califfo Harun al-Rashid che regnò dal 786 all’809. 8 Irene (752?-803), moglie di Leone IV, alla cui morte diventò imperatrice per conto del figlio minore Costantino. Nel 797 fece accecare il figlio e si impossessò a pieno titolo del trono. 9 Muhammad al-Amin, che regnò dall’809 all’813. 10 Al-Ma’mun. 11 Erano i grandi monasteri rispettivamente presso Gerusalemme e Cesarea di Cappadocia. 12 «Grandi campi». Il monastero fu fondato da Teofane il Confessore (760?-817) a Kunsunlu, in Asia Minore. 21 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it fiume Iber1, citata da Apollodoro nel suo II libro di Sulla Terra: «Nei Pirenei è l’Iber, un grande fiume scorrente verso l’interno». In questo paese, si dice che esistono molte nazioni distinte, come Erodoro2 lo ha scritto nel proprio X libro della sua Storia di Eracle: «Si dice che questa razza iberica che vive sulle rive del distretto, benché razza unica, si distingue per i nomi delle tribù: per primi, coloro che abitano le regioni dell’occidente fino al limite sono chiamati Cyneti3 e dopo loro, muovendosi verso nord [Ossia lungo la costa del Mediterraneo.], sono gli Igleti, quindi i Tartesiani4 gli Eleusini, quindi i Mastienoi5, i Kelkianoi, e quindi, infine, il Rodano. Artemidoro nel libro II della sua Geografia6, dice che il paese è diviso così: «L’interno, tra i Pirenei e il territorio di Gadara è chiamato alternativamente Iberia e Spagna. Fu diviso dai Romani in due province [mancante] il tutto si estende dalla catena dei Pirenei fino alla Nuova Cartago e alle fonti del Baetis 7, mentre la seconda provincia comprende la regione che va da Gadara8 alla Lusitania». Si trova anche la forma “Iberita”. Partenio in Leucadia9: «Tu seguirai la costa lungo la riva Iberita». L’altra Iberia è situata verso la Persia10. Il termine etnico è “Iberi”, come Pieres11, Vuziros. Dionisio dice: «Vicino alle Colonne [di Ercole, si trova] il popolo degli Iberi dal grande cuore»12. E Aristofane, in Triphales13: «Apprendo che gli Iberi, che tu mi hai concesso, vengono in mio aiuto». E Artemidoro nella seconda parte della sua Geografia: «Quelli tra gli Iberi che vivono sulla costa utilizzano l’alfabeto degli Italici». Inoltre, a partire dal genitivo “Iberos” è formato il femminile “Iberis”. «Una donna greca, non una Iberis», in Aspis di Menandro14. La forma “iberica” si trova anche: «Cominciando, il primo all’inizio è il mare Iberico. L’Iberia era divisa in due, ora lo è in tre» in Marciano15 che dice nel 1 Ebro. 2 Erodòro di Eraclea, (circa V secolo a.C,) scrisse una Storia di Eracle in 17 volumi, in cui dette notizie geografiche, scientifiche, astronomiche, mitologiche. Il greco Eracle è il romano Ercole. 3 O Kyneti, o Conii; vivevano nell’Algarve, la regione più meridionale del Portogallo. 4 O Tartessiani, o Tartesioi, vivevano forse nell’odierna Andalusia, in Spagna. 5 O Mostenoi. 6 Artemidoro di Efeso, geografo greco antico, forse del I secolo a.C., che scrisse l’opera Geographoùmena, in undici volumi, in cui descrisse il mondo abitato. 7 Guadalquivir. 8 Odierna Cadice, prima colonia fenicia in Spagna. 9 Partenio di Nicea, poeta greco del I secolo a.C. Costantino VII cita l’opera Leucadia, giunta a noi solo per frammenti. Leucadia sembra essere un’isola del mar Ionio. 10 Cfr. capitoli 45 e 46. 11 Nome latino e greco che si riferisce a un popolo della Tracia-Macedonia costretto a esiliare nell’VIII secolo nella Grecia meridionale. 12 Dionisio Periegete, scrittore greco, forse del II secolo a.C., che fu autore dell’opera Guida per il mondo (Periêgêsis tês oikoumenês). 13 Opera perduta. 14 Menandro (342-291a.C.) fu un commediografo greco. Della sua opera Aspis (Lo Scudo) ne pervenuta fino a noi la metà. 15 Marciano di Eraclea, geografo e navigatore greco, forse dell V secolo, che scrisse Viaggio per il mare esterno, ispirato all’opera di Tolomeo. 22 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it suo Viaggio: «Ora l’antica Iberia divisa in due dai Romani, lo è ormai in tre: la Spagna Betica, la Spagna Lusitania e la Spagna Tarraconense»1 Dal genitivo iberos, Apollonio2 trae un nominativo come phylakos dal genitivo phylakos3. Nel suo Paronimo4 dice: «I nominativi provengono dai genitivi di più di due sillabe che, come il nominativo derivato, hanno l’accento proparossitone5, che essi siano sottoforma semplice o composta». Semplici sono: martire, martyros, il nominativo Charopos del re Charopos6; Trezene7, Troezenos, il nominativo Troezenos, “del figlio di Troezenos”; Iber, Iberos, il nominativo Iberos, del quale nel Millennio di Quadrato8, al libro V, appare il dativo plurale “Iberoisin”, così: «Benché guerreggiando allo stesso tempo con i Liguri e gli Iberoisi». Habron9 dice la stessa cosa nel suo Paronimo. E “gli Iberi con la barba di capra” si trovano negli Effeminati di Cratino10. Gli Iberi bevono l’acqua, perché dice Ateneo nei Deipnosophistai11 al libro II: «Filarco12 al libro VII dice anche che tutti gli Iberi bevono l’acqua, benché siano i più ricchi dell’umanità (perché essi possiedono grandissime quantità d’argento e d’oro. Dice che non mangiano che una volta al giorno a causa della loro parsimonia e portano gli abiti più splendidi». 24. La Spagna Da dove viene il nome Spagna? Da Hispanus, un cosiddetto gigante. La Spagna forma due province in Italia: una è vasta, l’altra piccola. Charax 13 cita questo paese nel suo X libro delle sue Cronache: «Nella piccola Spagna o Spagna esterna, i Lusitani si rivoltarono nuovamente, e i Romani inviarono contro di loro il generale Quintus» E sulle due province, quest’autore ha scritto: «Quintus, comandante in capo romano nelle due Spagne, fu sconfitto da Viriathus e fece un trattato con lui»14. Egli dice che il paese si 1 Le tre province romane corrispondevano all’incirca: la Spagna Betica all’Andalusia, la Spagna Lusitania all’odierno Portogallo e a una parte della spagnola Estremadura e la Spagna Tarraconense a tutto il nord-est della nazione. 2 Apollonio Discolo, era un grammatico greco di Alessandria d’Egitto, vissuto nel II secolo a.C. 3 Fylas-fylakos, guardiano o protettore. 4 Si dice “paronimo” una parola di significato diverso da un’altra, ma simile nella forma, per cui si può supporre erroneamente un rapporto di derivazione etimologica. 5 Cioè è una parola sdrucciola, con l’accento sulla terz’ultima sillaba. 6 Potrebbe trattarsi di Tharipas, re dell’Epiro nel V secolo a.C. 7 Città della Grecia, patria di Teseo, il mitologico re di Atene. 8 Asinio Quadrato, storico romano del III secolo che scrisse in greco una storia di Roma in 15 libri dalla fondazione fino ad Alessandro Severo, ma doveva arrivare al 248, millennio di Roma. Ne sono rimasti pochi frammenti. 9 Habron, o Abrone, era un grammatico del I secolo, forse originario della Frigia e scolaro di Trifone di Alessandria. 10 Cratino era un drammaturgo greco del V secolo a.C. 11 Deipnosophistai (I dotti a banchetto) è un’opera in quindici libri dello scrittore greco Ateneo di Naucrati, scrittore greco vissuto tra il II e il III secolo. 12 Filarco di Atene, storico del III secolo a.C. 13 Charax di Pergamo, filosofo greco del II secolo, scrisse una storia della Grecia (les Helléniques), una storia d’Italia e una cronaca, delle quali restano solo dei frammenti. 14 Si tratta dell’insurrezione del 147-148 a.C. in cui furono opposti il condottiero Viriato e, 23 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it chiama Iberia, nel III libro delle Elleniche (Storia della Grecia): «La Spagna, che i Greci chiamavano inizialmente Iberia, non conoscendo ancora il nome di tutto il suo popolo, fu chiamata come la parte del paese vicino al fiume Iber e da cui il nome proviene». Dopo ciò, egli indica che il nome fu cambiato in Spagna. 25. Estratto della storia del beato Teofane di Sigriane Questo stesso anno1, non soltanto Valentiniano2 non riuscì a salvare la Gran Bretagna, la Gallia e la Spagna, ma perse la Libia occidentale nelle circostanze seguenti. C’erano due generali, Ezio e Bonifacio, che Teodosio3 aveva inviato a Roma su richiesta di Valentiniano. Tuttavia, quando Bonifacio fu investito dell’ordine della Libia occidentale, Ezio invidioso lo calunniò e lo accusò di volersi ribellare e impossessarsi della Libia. Lo disse anche a Placidia, madre di Valentiniano4 e in una lettera a Bonifacio: «Se vi chiedono di venire, non lo fate, perché siete stato accusato in modo calunnioso; l’imperatore e l’imperatrice tentano una macchinazione per imprigionarvi”. Quando Bonifacio ricevette il messaggio, fidandosi di Ezio come un vero amico, si rifiutò di obbedire. L’imperatore e l’imperatrice giudicarono allora Ezio come un loro fedele servitore. A quell’epoca, i Goti e numerosi altri popoli vivevano nelle regioni più a settentrione, assai lontano del Danubio. I più conosciuti tra loro sono particolarmente i Goti, i Visigoti, i Vandali e i Gepidi, che differiscono soltanto per il nome poiché parlano la stessa lingua e tutti professano l’eresia di Ario. Questi popoli dunque, all’epoca di Arcadio e di Onorio5 attraversarono il Danubio, e si insediarono in territorio romano6. I Gepidi lo stesso, che, più tardi si divisero in Lombardi e Avari, abitavano le regioni attorno a Singidunum e Sirmium 7. I Visigoti di Alarico, dopo avere devastato Roma, andarono in Gallia dove vi si insediarono. I Goti avevano inizialmente l’alta Pannonia, poi, il diciannovenimo anno del regno di Teodosio il giovane, quest’ultimo li autorizzò a colonizzare le terre della Tracia e, dopo esservi restati 58 anni, sotto la direzione di Teodorico8 loro patrikios9 e console, ottennero il permesso di Zenone10 di prendere il regno d’Occidente. Quanto ai Vandali, dapprima, il proconsole Quinto Fabio Serviliano e poi Quinto Servilio Cepione che riconquistò tutti i territori occupati da Viriato. 1 Nel 422. 2 Valentiniano III (419-455) imperatore romano d’Occidente dal 424 al 455. 3 Teodosio II (401-450) fu imperatore romano d’Oriente, o bizantino, dal 408. 4 Galla Placidia (388?-450) era anche moglie dell’imperatore Costanzio III, sorella degli imperatori Onorio e Arcadio, figlia dell’imperatore Teodosio I e nipote dell’imperatore Valentiniano I. 5 Nel 395 quando l’impero romano si divise, Arcadio diventò l’imperatore d’Oriente e Onorio d’Occidente. 6 Più precisamente furono i Visigoti che, spinti dagli Unni, nel 376 si insediarono nella provincia romana della Mesia (attuali Serbia e Bulgaria). 7 Rispettivamente le odierne Belgrado e Sremska Mitrovica. 8 Re degli Ostrogoti. 9 Patrikios era titolo dato allea terza carica militare più alta. 10 Zenone (425?-491) fu imperatore d’Oriente dal 474 al 475 e dal 476 al 491. 24 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it essi si aggiunsero agli Alani ed ai Germani, ora chiamati Franchi, attraversarono il Reno diretti da Godigisel1, si insediarono in Spagna, primo paese dell’Europa fiancheggiando l’oceano occidentale. Di fatto, Bonifacio, temendo l’imperatore e l’imperatrice dei Romani, passò dalla Libia in Spagna e andò dai Vandali; constatando che Godigisel era morto e che i suoi figli Gunderico e Genserico avevano il potere, li indusse con una promessa a dividere la Libia occidentale in tre parti, affinché a ciascuno tra loro e a lui stesso andasse un terzo, ma avrebbero dovuto unirsi per respingere ogni nemico, qualunque fosse. Essendo quest’accordo concluso, i Vandali attraversarono lo stretto2 per insediarsi in Libia dall’oceano fino a Tripoli di fronte a Cirene. I Visigoti, venendo dalla Gallia, presero così possesso della Spagna. Allora, alcuni senatori romani amici di Bonifacio esposero a Placidia la falsità delle accuse di Ezio e le mostrarono anche la lettera di Ezio a Bonifacio, che Bonifacio aveva inviato loro. Placidia molto stupita, si astenne dal nuocere a Ezio, ma inviò a Bonifacio un messaggio ricordandogli il suo dovere, con una promessa sotto giuramento. Allora alla morte di Gunderico, Genserico diventò l’unico capo dei Vandali3. Bonifacio, in quel momento, avendo ricevuto il suo messaggio, andò contro i Vandali con una vasta forza che proveniva da Roma e da Bisanzio, sotto gli ordini di Aspar. La battaglia ebbe luogo e Genserico sconfisse l’esercito dei Romani. Bonifacio, con Aspar, ritornò allora a Roma e dissipò i sospetti esponendo la verità. Ma l’Africa passò sotto la sovranità dei Vandali. È in quel momento che Marciano, futuro imperatore, che era un soldato al servizio di Aspar, fu catturato vivo da Genserico4. Ci sono tre Comandanti dei Credenti5 in tutta la Siria, cioè, nell’impero degli Arabi; il primo ha la sua sede a Baghdad, è della famiglia di Muhammad, o Maometto; il secondo ha la sua sede in Africa, è della famiglia di Ali e di Fatima, figlia di Muhammad, o Maometto, da cui il nome di Fatimidi; il terzo ha la sua sede in Spagna ed è della famiglia di Muawiya. All’origine, quando i Saraceni si impossessarono di tutta la Siria, il Comandante dei Credenti aveva la sua sede a Baghdad. Era il padrone assoluto di Persia, Africa, Egitto e Arabia Felix. Aveva sotto di lui degli emirati potenti, o province militari, che sono i seguenti: il primo era l’emirato di Persia o del Khorasan; il secondo, l’emirato d’Africa; il terzo, l’emirato dell’Egitto; il quarto, l’emirato di Filastinia6 o Ramla, il quinto, l’emirato di Damasco; il sesto, l’emirato di Emesa o Homs; il settimo, l’emirato di Aleppo; l’ottavo, l’emirato di Antiochia; il nono, l’emirato di 1 Godigisel (359-406), re dei Vandali della stirpe degli Asdingi, attraversò il Reno nel 406 e perse la vita combattendo contro i Franchi. 2 Di Gibilterra, nel 429. 3 Nel 428. 4 Flavio Marciano (392?-457) fu imperatore bizantino dal 450. Nel 431 fu preso prigioniero dai Vandali in un combattimento nei pressi di Ippona, ma il re vandalo Genserico lo rilasciò dietro giuramento che non avrebbe mai più preso le armi contro i Vandali. 5 In arabo: Amir al-Mu’minin, titolo equivalente a «califfo». 6 Attuale Palestina. 25 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Harran; il decimo, l’emirato di Emet; l’undicesimo, l’emirato di Esibi; il dodicesimo, l’emirato di Mossul; il tredicesimo, l’emirato di Tikrit. Ma dopo che l’Africa si ritirò dalla sovranità del Comandante dei Credenti a Baghdad e diventò autonoma proclamando il proprio emiro, la Persia fu il primo emirato, poi come prima, l’Egitto fu il secondo, e gli altri in seguito come nell’ordine indicato sopra. Ma poi, nuovamente, a causa dell’impotenza del Comandante dei Credenti a Baghdad, l’emiro di Persia, o del Khorasan, è diventato indipendente, e ha usurpato il titolo di Comandante dei Credenti, portando il Corano su tavolette attorno al suo collo come un collare, e egli pretende di discendere dalla famiglia di Ali. Inoltre l’emiro dell’Arabia Felix si dichiara sempre sotto la sovranità dell’emiro dell’Egitto. Ma anche lui è diventato indipendente, e ha ugualmente usurpato il titolo di Comandante dei Credenti, pretendendo anch’egli di essere della famiglia di Ali. 26. La genealogia dell’illustre re Ugo1 Il grande re Lotario, re d’Italia, nonno dell’illustre re Ugo, discendeva dalla famiglia di Carlomagno, un uomo così elogiato in canti e in storie che raccontano le sue imprese militari. Dunque questo Carlomagno regnava solo su tutti i regni occidentali, e regnava come imperatore sulla grande Francia; e dal suo tempo, nessuno degli altri re osò chiamarsi re; tutti erano suoi confederati e suoi subordinati. Inviò ricchezze immense, somme di denaro incredibili in Palestina per fondare numerosi monasteri. Allora questo Lotario riunì le sue forze e andò contro Roma e la prese d’assalto, quindi fu incoronato dal papa dell’epoca2. Sul cammino di ritorno verso Pavia, arrivò alla fortezza di Piacenza, a 30 miglia da Pavia, dove morì3. Lasciò un figlio chiamato Adalberto, che sposò la grande Berta ed ebbe da essa un figlio chiamato Ugo 4. Dopo la morte del grande Lotario, Luigi, nipote di Luigi, venne dalla Grande Francia, e conquistò Pavia, ma non fu coronato5. Dopo ciò andò a Verona, da cui la città di Piacenza è distante circa 120 miglia, e, quando arrivò laggiù, gli uomini della fortezza insorsero, si impossessarono di lui quindi lo accecarono6. Berengario prese allora il potere, e, andando a Roma, si fece 1 Ugo di Provenza o d’Arles (880-947), abiatico di Lotario II di Lotaringia, fu re d’Italia dal 926 al 948). 2 La cronologia non è esatta. Il nonno di re Ugo d’Arles era Lotario II che non fu imperatore d’Italia. Fu invece Lotario I (abiatico di Carlomagno) a essere incoronato a Roma il 5 aprile 823 da papa Pasquale I. 3 Lotario II morì di peste a Piacenza nell’869, mentre stava tornando da una visita al fratello Ludovico a Benevento. 4 Anche qui la storia è errata. Figlia di Lotario II era Berta, che in seconde nozze sposò Adalberto II detto il Ricco. Ugo d’Arles era figlio di Berta e del suo primo marito Tebaldo d’Arles. 5 Altre inesattezze: Luigi (o Ludovico) III detto il Cieco (880-928), fu re di Provenza, re d’Italia e imperatore d’Occidente. Era nipote di Luigi (o Ludovico) II detto il Giovane. Luigi III, dopo la conquista di Pavia, fu incoronato re d’Italia il 12 ottobre 900 e imperatore nel febbraio 901 da papa Benedetto IV. 6 Luigi III, ritornando in Italia dalla Francia in quanto chiamato dai feudatari assediati da 26 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it incoronare. Dopo ciò una grande parte della popolazione ritornò verso Rodolfo1 che si trovava in Borgogna per dirgli: «Vieni qui. Noi andiamo a uccidere Berengario e ti daremo il regno». E quest’ultimo, lasciando Borgogna, giunse agli avamposti di Pavia, essendo una metà del popolo per lui acquisita mentre l’altra metà era per Berengario. Nel conflitto Berengario guadagnò la prima battaglia, ma in un’altra fu sconfitto da Rodolfo. Gli uomini di Berengario fuggirono, anche lui sfuggì, confondendosi tra i cadaveri e coprendosi con la pelle di cervo che portava. Rimase così perfettamente immobile, sopportando un colpo di lancia sulla gamba a opera di un soldato di Rodolfo. Dato che non si mosse, l’altro si allontanò, credendolo morto2. Le truppe di Rodolfo non conoscevano Berengario. Al termine della battaglia, Berengario si sollevò, e giunse da solo al palazzo, riprese il potere e la guerra contro Rodolfo e lo vinse. Dopo ciò si accordarono l’uno con l’altro e divisero il paese in due: una metà ciascuno. Rodolfo si trovò sotto la tutela e il potere di Berengario. Quindi i «tre nobili» giunsero dalla Borgogna tanto contro Pavia che contro Berengario. Erano Ugo, figlio di Tagliaferro3, Bosone e Ugo4, fratello di Bosone, il nobilissimo re che abbiamo già citato. Una forte truppa venne con loro. Avendo appreso ciò, Berengario si preparò, e marciò contro di loro per combatterli; avendo intercettato i loro rifornimenti, li affamò e proibì ai suoi di uccidere chiunque, ma quelli che sarebbero stati presi, di tagliare loro il naso ed entrambe le orecchie e di inviarglieli. Così fu fatto. Dunque, vedendo ciò, i tre capi indicati sopra, uscirono a piedi nudi, i Vangeli in mano, e andarono da Berengario, supplicandolo di perdonare loro e giurando di non ritornare mai più fino alla fine dei loro giorni. Allora egli permise loro di rientrare nel loro paese. In seguito, quando Berengario partì per Verona, fu ucciso da Flamberto 5, di cui aveva tenuto il figlio alla fonte battesimale ed allora Rodolfo si impossessò di tutto il regno. Dopo ciò tutto il popolo disse a Ugo di Borgogna6 chiamato prima per essere re: «Vieni, e ti daremo il paese». Quando arrivò, il popolo lo sostenne, lo introdusse nel palazzo e lo prese per re. Dicevano a Rodolfo: «Parti con tutte le tue ricchezze, per la tua regione 1 2 3 4 5 6 Berengario del Friuli (850?-924), fu fatto prigioniero a Verona, accecato e perse la corona d’Italia (916). Rodolfo II di Borgogna (880-937) fu re di Borgogna Transgiurana (912-937) e re d’Italia (922-923). Questo sistema per accertare la morte dei nemici era ancora in uso nella Seconda guerra mondiale. Soprannome dato ai duchi di Aquitania. Bosone e Ugo d’Arles. Berengario fu ucciso Il 7 aprile 924 a Verona, sulla porta della chiesa di S. Pietro, dove poco prima aveva sostato in preghiera. A capo della piccola congiura locale, era un tale Flamberto, sculdascio del comitato veronese. Ugo d’Arles. 27 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it od ovunque». E quest’ultimo se ne andò in Borgogna, la sua patria, dove aveva sufficienti popolazioni sotto la sua sovranità. Una volta morto Rodolfo in Borgogna1, il memorabile re Ugo andò là e sposò la moglie di Rodolfo, chiamata Berta; quanto alla figlia di questa di nome Adelaide, la unì a suo figlio Lotario che era re dell’Italia2. Mentre la figlia dell’illustre re Ugo venne a Costantinopoli a sposare Romano Porfirogenito, figlio di Costantino, sovrano amante il Cristo3; ella si chiamava anche Berta dal nome di sua nonna, voglio dire la maggiore delle Berta, che, dopo la morte di suo marito Adalberto, regnò [lacuna] anni4, ma ella, la giovane Berta cambiò il suo nome in Eudocia, come la nonna e la sorella di Costantino 5, il sovrano amante Cristo. 27. Il thema6 di Longobardia, suoi principati e prìncipi Nell’antichità, l’insieme del territorio di tutta l’Italia, Napoli, Capua, Benevento, Salerno, Amalfi e Gaeta e tutta la Longobardia7, era in possesso dei Romani, cioè quando Roma era la capitale imperiale. Ma, dopo il trasferimento della sede dell’impero a Costantinopoli, tutti questi territori furono divisi in due governi, e dunque due patrikioi furono di solito inviati dall’imperatore di Costantinopoli, uno per governare Sicilia, Calabria, Napoli e Amalfi, e l’altro, con sede a Benevento, per governare Pavia, Capua e tutto il resto8. Essi avevano abitudine di rimettere ogni anno all’imperatore, i tributi dovuti alla tesoreria di tutte le regioni summenzionate essendo abitate dai Romani. Inoltre, all’epoca dell’imperatrice Irene, si inviò il patrikios Narsete per governare Benevento e Pavia; il papa Zaccaria l’Ateniese, governava Roma9. Successe che i combattimenti continuarono 1 Nel 937. 2 Lotario II, o di Arles (926?-950) fu re d’Italia dal 945. 3 Costantino VII parla di se stesso: Romano (939-963) era suo figlio e di Elena Lecapeno. Nel 946 Romano fu associato al trono del padre e, morto questi, regnò fino al 963. 4 Dal 915 al 920, quando perse il trono d’Italia. 5 La nonna era Eudocia Ingerina, moglie dell’imperatore bizantino Basilio I, e la sorellastra era Eudocia, figlia della prima moglie di Leone VI, Costantino della quarta moglie. 6 Il thema era una regione amministrativa (provincia) dell’impero bizantino. I themata furono istituiti dall’imperatore Eraclio (VII secolo) ed erano governati dallo strategos (o dal catepano, secondo le regioni). Su di essi, Costantino Porfirogenito scritte l’opera De Thematibus. 7 La Longobardia, o Langobardia, ossia i territori dei Longobardi, corrispondeva all’incirca all’Italia meridionale. 8 La divisione dell’impero avvenne nel 395 alla morte di Teodosio I e la ripartizione dei poteri bizantini in Italia ebbe luogo durante la formazione dell’Esarcato di Ravenna (VI-VII secolo). 9 La storia non è esatta. Narsete (478-573) era un eunuco generale bizantino dotto Giustiniano il Grande (VI secolo) e il colloquio in seguito riportato tra lui e l’imperatrice Irene (752-803) non può essere accaduto. Il protospatario Zaccaria appare durante l’impero Giustiniano II (VII-VIII secolo) prima come avversario del papa Sergio I e poi come suo sostenitore. Papa Zaccaria fu consacrato nel 741 e morì nel 752. Costantino VII forse voleva ricordare che questo papa fu colui che trattò con i Longobarsi impedendo loro di impossessarsi dell’Esarcato di Ravenna e, per questo, fu ricompensato dall’imperatore Costantino V con la cessione di alcuni possedimenti bizantini nel Lazio. 28 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it nella regione di Pavia, e che il patrikios Narsete spese per l’armata il tributo raccolto per il tesoro e non inviò le entrate abituali. Narsete informò l’imperatrice dicendo: «Speravo che il denaro mi venisse da voi, poiché io ho esaurito qui tutti i redditi disponibili per i combattimenti che sono scoppiati, mentre voi esigete questi redditi». Quando l’imperatrice intese ciò, si arrabbiò e gli inviò la sua conocchia e il suo fuso, scrivendogli: «Prendete voi questi buoni strumenti, poiché abbiamo ritenuto che meglio possiate filare, piuttosto che difendere, guidare e battervi per i Romani come un uomo d’arme». Intendendo ciò il patrikios Narsete rispose all’imperatrice: «Dopo che voi mi avete ritenuto buono a girare e filare come una donna, intreccerò i vostri intrighi con la conocchia e il fuso in modo tale che i Romani non potranno mai districarli per quanto a lungo vivranno». Ora, in quell’epoca, i Longobardi si installavano in Pannonia1, dove vivono ora i Turchi. E il patrikios Narsete inviò loro ogni specie di frutta dichiarando loro: «Venite a vedere qui, c’è un paese dove colano il latte e argento e, come si dice, credo che Dio non possa fare meglio, se [questo luogo] vi soddisfa, insediatevi là, e potrete chiamarmi beato nei secoli dei secoli». I Longobardi, essendo stati invitati da Narsete a passare in Italia 2, arrivarono con le loro famiglie a Benevento3, ma, non volendo gli abitanti riceverli, costruirono case fuori delle mura, cosa che forma, nel seguito una piccola città che portava ancora nel nostro tempo il nome di Civitas Nova; avendo trovato l’occasione d’entrare con la sorpresa, e in armi nell’antica città e nella chiesa, ed avendo con un stratagemma preso il controllo sugli abitanti della città di Benevento, essi se ne liberarono e presero possesso della città. Perché essi portavano all’interno delle fortificazioni delle spade a lunga lama, e si voltarono in chiesa attaccando immediatamente e, come detto, uccisero tutti gli abitanti. Dopo la presa di Benevento, fecero incursioni in tutta la provincia, la offrirono ai Longobardi, e portarono le loro conquiste dalla Calabria fino a Pavia, eccetto tuttavia le città di Otranto, Gallipoli, Rossano, Napoli, Gaeta, Sorrento e Amalfi. La prima città, antica e potente, fu Capua; la seconda, Napoli; la terza, Benevento; la quarta, Gaeta; la quinta, Amalfi. Salerno era diretta all’epoca da Sicardo4, quando i Longobardi divisero i principati. Dalla divisione della Longobardia fino a oggi, indizione 7, anno 6457 dalla creazione del mondo, sono passati 200 anni5. C’erano due fratelli, Siconolfo6 e Sicardo. Siconolfo 1 Antica regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava. 2 Sembra che Narsete avesse invitato i Longobardi di Pannonia a insediarsi a Benevento, ma non c’è nulla di certo. 3 Nel 570-571. 4 Il principe longobardo Sicardo fu principe di Benevento dall’832 all’839. Il suo territorio comprendeva buona parte del Mezzogiorno ed era detta Langobardia Minor. Ala sua morte, scoppiò una guerra civile e il principato venne diviso. 5 È un errore: è passato solo un secolo. 6 Costantino scrive Sicone ma questi era il padre dei due fratelli. 29 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it governava Benevento, i distretti di Bari e Sipontum1 mentre Sicardo governava Salerno, Capua e la Calabria. Napoli era precedentemente il pretorio dei patrikioi che vi arrivavano e il governatore di Napoli aveva la Sicilia sotto la propria responsabilità; quando il patrikios giungeva a Napoli, il duca di Napoli partiva per la Sicilia. Capua fu in effetti una grandissima città; essa fu presa dai Vandali o dagli Africani, che la devastarono2. Quando essa diventò una città abbandonata, i Longoardi vi si installarono. Quando gli Africani3 vennero di nuovo contro loro, il vescovo Landolfo costruì una città vicino al ponte sul fiume4 e la chiamò Nuova Capua, ed essa esiste ancora. Dalla fondazione di questa Capua, 73 anni sono passati. Napoli, Amalfi e Sorrento sono state sempre sottomesse all’imperatore dei Romani. Mastromilis significa in lingua romana «capitano-generale dell’esercito». Prima che i Veneziani facessero la traversata e si insediassero sulle isole in cui vivono attualmente, li si chiamava Enetikoi5 ed essi abitavano sulla terraferma nei seguenti kastra6: Konkorda, Justiniana, Nounou, e molto altre città. Quando coloro che ora si chiamano Veneziani, ma che si chiamavano Enetikoi, fecero la traversata, cominciarono a costruire una città estremamente fortificata, nella quale il doge di Venezia siede ancora attualmente e che è circondata per 6 miglia dal mare, nel quale si gettano 27 fiumi. Ci sono anche altre isole a est di suddetta città. E, sulle suddette isole, coloro che si chiamano attualmente Veneziani hanno costruito delle città: Kogradon nella quale c’è anche una grande chiesa metropolitana e molte reliquie di santi e vi sono state depositate la città di Rivalensis e la città di Loulianon, la città di Apsanon, la città di Romatina, la città di Likentzia, la città di Pinetai che la si chiama Strovilos, la città di Viniola, la città di Voes, nella quale si trova la chiesa del santo apostolo Pietro, la città Ilitoualva, la città di Litoumankersis, la città di Vronion, la città di Madafcon, la città di Ibola, la città di Pristinai, la città di Klougia, la città di Vroundon, la città di Fosaon, la città di Lavriton. Ci sono anche altre isole sullo stesso territorio di Venezia e sul continente, nel paese d’Italia, si trovano delle città veneziane ed eccole: la città di Kapre, la città di Neokastron, la città di Fines, la città d’Aikylon, la città d’Aeimanas, il grande emporium di Tortzelon, la città di Mouran, la città di Rivalton7, che significa «luogo il più alto», nel quale risiede il doge di Venezia, la città di Kavertzentzis. Ci sono anche emporium e castelli. 28. Resoconto dell’insediamento che ora si chiama Venezia 1 2 3 4 5 6 7 Siponto, antica città alla periferia dell’odierna Manfredonia. Capua fu saccheggiata dai Vandali di Genserico nel 455. Gli Arabi, nel IX secolo. Il fiume Volturno. Enetikí Dimokratía: Repubblica di Venezia. Città. Le ultime tre sono Torcello, Murano e Rialto. 30 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it In passato, Venezia era un luogo deserto, disabitato e paludoso. Coloro che si chiamano ora Veneziani erano dei Franchi di Aquileia e altri luoghi di Francia e abitavano sulla terraferma di fronte a Venezia. Ma quando Attila, il basileus degli Avari1, venne e devastò completamente e spopolò tutte le regioni di Francia, tutti i Franchi di Aquileia e di altre città di Francia iniziarono a fuggire e ad andare nelle isole disabitate di Venezia e a costruire capanne per la paura causata dal basileus Attila. E quando il basileus Attila ebbe devastato tutta la regione della terraferma e avanzò lontano verso Roma e la Calabria e lasciò Venezia ben lontano dietro di sé, coloro che erano fuggiti per rifugiarsi nelle isole di Venezia, avendo acquisito un posto dove vivere e tolto il timore dal loro cuore, decisero insieme di stabilirsi là, questo fecero e vi sono insediati finora. Ma nuovamente, numerosi anni dopo che Attila s’era ritirato, arrivò il re Pipino2 che regnava allora su Pavia e altri regni. Pipino aveva tre fratelli ed essi regnavano sui paesi franchi e slavoni. Quando il re Pipino arrivò contro i Veneziani con tutta la sua potenza e un forte esercito, sistemò l’assedio dal lato della terraferma, all’opposto del passaggio tra essa e le isole di Venezia, in un luogo chiamato Aeibolas. E dunque i Veneziani vedendo il re Pipino venire contro di loro con tutta la sua potenza e prepararsi a imbarcarsi con tutti i suoi cavalli per l’isola di Madamaucon (che è un’isola vicina alla terraferma) piantarono dei pali e sbarrarono completamente questo passaggio. L’esercito del re Pipino fu costretto a restare là (perché non gli era possibile passare in un altro posto) e fece l’assedio dal lato della terraferma per sei mesi, senza cessare un giorno di combattere3. I Veneziani vollero equipaggiare le loro barche e presero posizione dietro i pali che avevano piantato ed il re Pipino volle prendere posizione con il suo esercito lungo la costa. I Veneziani l’assalirono con frecce e giavellotti e lo fermarono nel suo tentativo di passare verso l’isola. Alla fine il re Pipino disse ai Veneziani: «Voi siete sotto di me e la mia pronoia4 poiché siete del mio paese e del mio dominio». Ma i veneziani gli risposero: «Vogliamo essere i sudditi dell’imperatore dei Romani e non vostri». Quindi, dato che erano stati a lungo impediti da tutte le difficoltà che erano loro arrivate, i Veneziani fecero un trattato di pace con il re Pipino, accettando di pagargli un tributo considerevole. Ma finora il tributo è andato diminuendo di anno in anno benché sia ancora pagato attualmente. Infatti, i Veneziani pagano a colui che regna sul regno d’Italia, cioè Pavia una rendita annuale di 36 libbre d’argento non negoziate. Così si concluse la guerra tra Franchi e Veneziani5. 1 2 3 4 5 Sovrano degli Unni. Gli Avari erano un altro popolo, sebbene imparentati. Pipino Carlomanno (773?-810), figlio di Carlomagno, fu re dei Longobardi dal 781. L’assedio di Venezia durò dall’autunno 809 alla primavera 810. Sistema di feudalizzazione. Ci sono due versione sull’attacco di Pipino avvenuto intorno al 726. Secondo la storiografia veneziana, Pipino, occupato il porto di Albiola, organizzò una flotta per conquistare la laguna (allora ancora non esisteva la vera Venezia), ma gli assediati, ritiratosi nelle isole più interne, come Rialto, aspettarono che le grandi navi franche si arenassero nelle secche lagunari per poi attaccarle con piccole e leggere imbarcazioni, 31 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Quando il popolo cominciò a fuggire verso Venezia e a riorganizzarsi, essi proclamarono come doge quello che superava tutti gli altri in nobiltà. Il primo dei loro dogi era stato designato prima che il re Pipino andasse contro loro1. In quell’epoca, la residenza del doge era un posto chiamato Civitanova che significa “nuova città”. Ma poiché quest’isola suddetta è molto vicina alla terraferma, per consiglio comune trasferirono la residenza del doge in un’altra isola, dov’è attualmente perché distante dalla terraferma, a una distanza tale che si può distinguere un uomo a cavallo. 29. La Dalmazia e i popoli che la abitano L’imperatore Diocleziano amava molto la Dalmazia, così portò da Roma delle persone e le loro famiglie; li insediò nello stesso paese di Dalmazia; li chiamò Romani2 perché erano stati sottratti da Roma, e questo titolo è loro rimasto finora. Poi l’imperatore Diocleziano fondò la città di Spalato e vi fece costruire un palazzo che supera tutto ciò che la potenza del verbo o della penna potrebbe descrivere3, e le vestigia del suo antico lusso sono ancora conservate, benché il lungo lasso di tempo abbia fatto devastazioni su di essi. Inoltre, la città di Dioclea4, ora occupata dai Diocleani, fu così chiamati perché fu costruita dallo stesso imperatore Diocleziano. Il territorio che possedevano questi Romani si estendeva anche lontano lungo il Danubio, e una volta, furono tentati di attraversare il fiume e scoprire gli abitanti dell’altra riva, lo attraversarono e incontrarono dei popoli slavi senza armi, chiamati Avari. Né gli uni né gli altri si aspettavano di trovare chi vi fosse sulla diversa riva. E allora, trovando questi Avari disarmati per la guerra, i Romani li sottomisero, presero del bottino, dei prigionieri e ripartirono. E a partire da quel momento, i Romani sistemarono due guarnigioni in alternanza, in servizio da Pasqua a Pasqua, e si abituarono al cambio di questi uomini cosicché, il Gran Sabato Santo, quelli che prendevano il loro servizio potevano incrociare coloro che ne ritornavano. Perché vicino al mare, sotto questa stessa città, si trova una città chiamata Salona 5, grande quasi la metà di Costantinopoli, dove tutti i Romani si riuniscono, si riforniscono quindi partono e passano la frontiera, situata a quattro miglia di questa stessa città, che è oggi chiamata Kleisa6, essendo chiusa a quelli che passano in questo modo. Ed di là, essi avanzano verso il fiume. Questo scambio di guarnigione funzionò per un certo numero di anni e gli Slavi 1 2 3 4 5 6 bruciando la flotta e massacrando l’esercito nemico. La versione francese narra invece che Pipino, conquistata la laguna stava per ritornare in Francia, quando intervenne una flotta bizantina che sconfisse gli invasori costringendoli alla resa. In entrambi i casi, Pipino si ammalò poco dopo per l’insalubrità delle paludi e morì. Vi furono due dogi: Paolo Lucio Anafesto, dal 697 al 717, e Marcello Tegalliano, dal 717 al 726. Nel 726 l’assemblea popolare elesse Orso Ipato, ucciso nel 737. Nel seguito si metterà in corsivo i Romani “trapiantati”. Il Palazzo di Diocleziano, sorta di cittadella fortificata, fu eretto tra il 293 e il 305. O Doclea, o Dukija, presso l’attuale Podgorica. A Salona era nato Diocleziano. Oggi Clissa, in croato Klis. La città si trova su una rupe che domina un valico, a quota 360 metri, che mette in comunicazione l’entroterra dalmata con la costa presso Salona. 32 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it situati dall’altra parte del fiume, anche chiamati Avari, riflettevano tra loro, e si dicevano: «Questi Romani, ora che hanno attraversato e trovato del bottino, non cesseranno in futuro di venire a visitarci; dobbiamo elaborare un piano contro di loro». E così, per questo, gli Slavi o Avari tennero consiglio, e in una certa occasione quando i Romani attraversarono, essi tesero loro delle imboscate, li attaccarono e li uccisero. Gli Slavi summenzionati presero le armi romane, i loro stendardi e il resto dei loro distintivi militari; attraversarono allora il fiume e passarono la frontiera; quando i Romani che erano di là li videro, con i vestiti e gli attributi dei loro uomini, credettero che fosse loro, e così, quando gli Slavi già citati arrivarono, li si lasciò passare. Una volta entrati, subito espugnarono i Romani e presero possesso della città di Salona summenzionata. Vi si insediarono e iniziarono in seguito gradatamente a fare incursioni per saccheggiare e distruggere i Romani abitanti nelle pianure e su un terreno più elevato, prendendo possesso delle loro terre. Il resto del Romani trovò rifugio nelle città costiere che possiedono ancora, cioè: Decatera, Ragusa, Spalato, Tetrangourin, Diadora, Arbe, Vekla e Opsara1, i cui abitanti sono chiamati Romani al giorno d’oggi. Dal regno di Eraclio imperatore dei Romani, come si spiegherà nel resoconto che riguarda i Croati e i Serbi, l’insieme della Dalmazia e di tutti i suoi popoli, come Croati, Serbi, Zachlumiani, Travuniani, Canaliti, Diocleani e Narentani, anche chiamati Pagani [lacuna] ma quando l’impero romano, a causa dell’indifferenza e dell’inesperienza di quelli che lo governarono in seguito, soprattutto all’epoca di Michele l’Amoriano il Balbuziente2, rifiutò categoricamente agli abitanti delle città dalmate di diventare indipendenti, o sudditi dell’imperatore dei Romani, o di chiunque altro, peraltro, i popoli di queste regioni, Croati, Serbi, Zachlumiani, Travuniani, Canaliti, Diocleani e Pagani, scossero le briglie dell’impero dei Romani e diventarono autonomi e indipendenti, senza alcuna riserva. Questi paesi non avevano prìncipi, come si dice, ma soltanto degli «župa», degli anziani, come è di norma nelle altre regioni slave. Inoltre, la maggioranza di questi Slavi non era neppure battezzata, e restò tale e quale abbastanza a lungo. Ma, all’epoca di Basilio, imperatore amante Cristo3, inviarono ambasciate, supplicando e pregando quelli tra loro che non erano stati ancora battezzati di ricevere il battesimo; essi sarebbero diventati, come lo erano stati in origine, sudditi dell’impero romano, e l’imperatore glorioso, di felice memoria, li ascoltò e inviò un delegato imperiale accompagnato da sacerdoti e fece battezzare tutti coloro che dei popoli suddetti non lo erano ancora. Nominò in seguito i loro principi che essi scelsero e approvarono, provenienti da famiglie amate e favorite. E da quel giorno fino a oggi, questi principi sono discendenti da quelle stesse famiglie, e da nessun’altra. Ma i Pagani, anche chiamati Narentani in lingua 1 Rispettivamente (da Decatera): Kotor o Cattaro, Dubrovnik, Split, Trogir o Traù, Zadar o Zara, Arbe, Veglia e Ossero. Se ne parla più avanti. 2 Michele III. 3 Basilio I (811?-886) fu imperatore bizantino dall’867. 33 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it romana, furono lasciati senza battesimo, in una parte inaccessibile e scoscesa del paese. Perché «Pagani» significa «non battezzati» in lingua slava. Ma più tardi, anche loro, inviarono [messaggeri] allo stesso imperatore glorioso pregandolo di farli battezzare, e egli fece battezzare anch’essi. E poiché, come abbiamo detto sopra, a causa dell’indifferenza e dell’inesperienza di quelli che in quest’atti di potere hanno fatto sbagliare i Romani, gli abitanti delle città di Dalmazia diventarono ugualmente indipendenti, non sottomessi né all’imperatore dei Romani, né ad alcun altro. Ma dopo un certo tempo, sotto il regno di Basilio, il glorioso e indimenticabile imperatore, i Saraceni d’Africa, Sawdan, Saba e Khalfun1, vennero con 36 navi e raggiunsero la Dalmazia, presero le città di Voutova 2, di Rossan3 e la città di Decatera. Ed andarono anche verso la città di Ragusa4 facendo un assedio di quindici mesi. Quindi nel distretto dei Ragusani fecero una dichiarazione a Basilio, l’imperatore sempre memorabile dei Romani, dicendogli: «Abbiate pietà di noi e non permettete che ci distruggano quelli che negano Cristo». L’imperatore fu mosso a compassione e inviò il patrikios Niceta, chiamato Orifa, drungarios della flotta di un centinaio di chelandia5. Quando i Saraceni ebbero la notizia dell’arrivo del drungarios patrikios della flotta con il suo squadrone, lasciarono la città di Ragusa e presero la fuga; essi passarono in Longobardia dove assediarono e presero la città di Bari 6. Quindi il sultano vi costruì un palazzo e fu padrone per quaranta anni di tutta la Longobardia fino a Roma. Su questo resoconto, di conseguenza, l’imperatore informò Luigi, re di Francia7, e il papa di Roma, chiedendo la loro cooperazione con l’armata che, lui, l’imperatore, aveva inviato. Il re e il papa aderirono alla richiesta dell’imperatore, e tutti due arrivarono con una forza importante e fecero unione con l’armata inviata dall’imperatore e con i Croati, i Serbi, i Zachlumiani, Travuniani, Canaliti, gli uomini di Ragusa e di tutte le città di Dalmazia (perché tutti furono convocati per mandato imperiale), quindi passarono in Longobardia, assediarono e si impossessarono della città di Bari8. I Croati e altri capi slavi furono trasportati in Longobardia dagli abitanti della città di Ragusa sulle loro navi. La città di Bari, il paese e tutti i prigionieri furono portati dall’imperatore dei Romani, ma Sawdan e il resto dei Saraceni fu preso da Luigi, re di Francia, che li mandò a Capua e a Benevento. E nessuno non vedeva mai ridere Sawdan. Tanto che il re disse: «Se qualcuno mi annuncia o mi mostra che Sawdan sta ridendo, gli darò 1 Sawdan al Mazari fu il terzo emiro di Bari dall’857; Sava dovrebbe essere Mufarraj ibn Sallam, secondo emiro di Bari; Khalfun conquistò Bari nell’847 e ne fece un emirato. 2 Budva o Budua, sulla costa del Montenegro. 3 Portorose. 4 Dubrovnik. 5 Niceta Orifa, comandante (drungarios) della flotta bizantina di galee da guerra. 6 Il 2 febbraio 871. 7 Luigi (o Ludovico) II. 8 Nell’876. 34 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it molto argento». Un giorno glielo dissero. Il re fece venire il barbaro e gli chiese la ragione del suo ridere; il saraceno rispose che osservando un carretto, aveva poi visto la cima di una ruota abbassata a terra, e il fondo di questa ruota elevata in cima. «Giudicando, aggiunse, che gli affari umani si sollevano e si abbassano, ho riso, riflettendo che non era impossibile che mi succedesse la stessa cosa: come sono stato precipitato dall’alto nella miseria, così Dio può sollevarmi ai primi posti». In seguito, Luigi lo invitò a mangiare con lui alla sua tavola. E i nobili di Capua e di Benevento presero l’abitudine di andare a vedere Sawdan, di chiedergli informazioni sulle cure da prestare al bestiame e su altri argomenti, a causa della sua età e della sua esperienza. Sawdan, che era fine e astuto, disse loro: «Vorrei rivelarvi una cosa, ma temo che lo denunciate al re e nel qual caso perderò la mia vita». Ma essi gli promisero la discrezione, allora prendendo coraggio disse loro: «Il re ha previsto di bandire tutti voi dalla Grande Francia, e se ne dubitate, aspettate un po’, e ve lo proverò». Ed egli se ne andò a dire a Luigi: «I signori di questo luogo sono malavitosi, e non sarete mai padrone di questo paese a meno di eliminare quegli uomini potenti che vi si oppongono, ma mettono ai ferri i notabili della città, mandateli nel vostro paese, e gli altri si sottometteranno come vorrete». Quando questo consiglio lo ebbe convinto, il re ordinò di fare catene di ferro per il loro esilio; Sawdan uscì e disse ai nobili: «Se non volete credere che il re vi voglia esiliare, che ogni vostro ricordo debba scomparire tra gli uomini, e se volete esserne interamente certi, andate a vedere cosa fanno tutti i maniscalchi per ordine del re. E se non li trovate in procinto di fabbricare catene e ferri, sappiate che tutto ciò che vi ho detto è menzogna, ma se ho detto vero, vegliate sulla vostra sicurezza e ricompensatemi per i miei consigli preziosi così salutari per voi». I nobili fecero come aveva detto Sawdan, e quando videro le catene e i ferri furono completamente convinti; in seguito iniziarono a complottare contro il re Luigi. Quest’ultimo, ignorando tutto ciò, partì per cacciare. Ma quando ritornò, i suoi nobili avevano preso possesso della città e non gli permisero più di entrarvi. Il re Luigi, vedendosi così opposto ai nobili, ripartì per il suo paese. I nobili chiesero a Sawdan: «Cosa possiamo dunque fare per voi, dopo ciò che ci hai dato in cambio?» Egli chiese loro allora di poter tornare nel suo paese, e ciò fu fatto, ripartì per l’Africa nella sua terra natale. Ma, cosciente del suo vecchio inganno, armò una spedizione e venne in forze ad assediare e sottomettere Capua e Benevento. I loro capi inviarono emissari al re Luigi di Francia, chiedendogli di venire ad aiutarli contro Sawdan e gli Africani. Ma il re Luigi, intendendo ciò, avendo appreso come Sawdan aveva agito per convincere i nobili dicendo loro che «lo scopo del re è di bandirvi e di farvi portare in ferri in Francia», rispose loro: «Io mi pento di ciò che ho fatto prima per voi: vi ho salvati dai vostri nemici. Voi mi avete reso il male per il bene e poiché voi mi avete cacciato, ora sono contento della vostra rovina». Allora, avendo fallito presso il re Luigi, inviarono ambasciatori presso il re dei Romani perché li aiutasse e li liberasse da quella disgrazia. Il re promise di aiutarli. Mentre l’ambasciata ritornava in città, portando le buone notizie 35 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dell’alleanza con il re, fu preso dalle guardie che Sawdan aveva inviato, senza avere avuto il tempo di mettersi sotto la protezione della fortezza. Perché Sawdan era a conoscenza dell’ambasciata fatta presso il re dei Romani, e aveva compiuto tutti i suoi sforzi per prendere l’ambasciatore prima del suo ritorno. Quando questi fu catturato, Sawdan apprese ciò che era stato deciso e che l’aiuto del re dei Romani sarebbe avvenuto alcuni giorni più tardi. Allora Sawdan dichiarò all’ambasciatore: «Se fai ciò che ti ordino, otterrai la libertà e grandi regali, altrimenti morirai nei peggiori supplizi». Quest’ultimo promise di obbedire a quanto gli sarebbe stato ordinato. Soldan gli disse: «Ti ordino di tenerti vicino alle mura, di chiamare coloro che ti hanno inviato e dir loro: “Mi sono liberato dal compito che voi mi avevano affidato, ho implorato per voi il re dei Romani. Sappiate, tuttavia, che invano ho fatto questo viaggio, il re non ha per niente preso in considerazione la vostra supplica, non attendete aiuto dal re”». L’ambasciatore promise con gioia di eseguire. Si portò vicino alla fortezza, e, non considerando affatto le parole di Sawdan, non temendo le sue minacce, non lasciandosi sedurre dalle sue promesse, ma avendo soltanto il timore di Dio nel proprio cuore, disse a se stesso: «È meglio morire solo e non ingannare che consegnare alla morte tanti cuori umani». Dunque, quando si trovò vicino alle mura, chiamò tutti gli arconti1 e disse al comandante della fortezza: «Signori, ho compiuto la mia missione e vi annuncio la buona risposta del re dei Romani. Ma vi scongiuro, in nome del figlio di Dio, di salvare la fortezza e i vostri stessi cuori, per riempire di benefici i miei bambini e mia moglie che spera di abbracciarmi: ciò che farete per loro, vi sarà ricompensato dal Dio giusto che premia i buoni, lui che giudica i vivi e i morti. Avendo detto ciò, egli li incoraggiò con le loro seguenti parole: «Sawdan mi farà morire e temo per la mia vita, ma voi siate fermi, non siate codardi, aspettate un po’ e tra qualche giorno gli aiuti inviati dal re dei Romani arriveranno». Dopo queste parole pronunciate dall’ambasciatore, i soldati di Soldan che lo accompagnavano, avendo sentito, durante la loro attesa, quanto questi diceva, si misero a digrignare i denti e disputarono tra loro per essere il primo a ucciderlo. Una volta che l’ambasciatore fu ucciso, Sawdan temendo l’arrivo dell’armata molto potente dell’imperatore, si ritirò. E da quei tempi fino a oggi, gli abitanti di Capua e di Benevento sono sotto la sovranità del popolo romano e sono completamente sottomessi a causa dell’immenso beneficio che ne hanno ricevuto. La città di Ragusa non è chiamata Ragusa nella lingua dei Romani, ma, poiché è situata su delle scogliere, la si chiama nel parlare romano “la roccia, laus”, donde sono chiamati “Lausoei” coloro che hanno la loro sede sulla scogliera. Ma l’uso popolare, che corrompe spesso i nomi modificando le loro lettere, ha cambiato la sua denominazione e l’ha chiamata Raousoei. Questi stessi Raousoei erano in passato della città chiamata Pitaura2, e in 1 Alti magistrati. 2 Ragusavecchia, o Cavtat, fondata dai Greci con il nome di Epidauros circa 640 a.C.), poi 36 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it seguito, quando le altre città furono prese dagli Slavi che erano nella provincia, questa città fu presa anch’essa, alcuni furono massacrati e altri fatti prigionieri; coloro che riuscirono a sfuggire e a mettersi al sicuro si insediarono nel luogo quasi a picco in cui si trova la città ora; la costruirono modesta all’inizio, in seguito più vasta, ed ancora più tardi estesero le sue mura finché la città raggiunse la sua dimensione attuale, a causa del suo ingrandimento progressivo e della crescita della popolazione. Alcuni di quelli che partirono verso Ragusa sono i seguenti: Gregorio, Arsafio, Vittorino, Vitale, Valentino l’arcidiacono, Valentino, padre del protospatario1 Stefano. Della loro partenza da Salona verso Ragusa, 500 anni sono finora passati, indizione 7, anno 64572. Nella stessa città riposa san Pancrazio, nella chiesa di Santo Stefano, situata nel suo centro. La città di Spalato, che significa “piccolo palazzo”, fu fondata dall’imperatore Diocleziano; egli ne fece la sua residenza, e costruì all’interno una corte e un palazzo, di cui la maggior parte è stata distrutta. Ma alcuni resti rimangono oggi, come la residenza episcopale della città e la chiesa di San Doimo, nella quale riposa san Doimo stesso3, e che era il mausoleo dello stesso imperatore Diocleziano. Sotto si trovano sale a volta che egli utilizzò come prigione e nelle quali chiuse crudelmente i santi che torturò. Sant’Anastasio riposa anche lui in questa città. La mura della fortezza della città non sono costruito né in mattoni né in cemento, ma di blocchi di pietra, di uno e spesso due braccia di lunghezza per uno braccio di larghezza4, e sono regolati ed uniti l’uno all’altro con ramponi di ferro annegati nel piombo fuso. In questa città si trovano anche file strette di colonne, con delle trabeazioni sopra, sulle quali lo stesso imperatore Diocleziano propose di costruire delle volte e coprire tutta la città, e di costruire il suo palazzo e tutti gli alloggi della città sopra queste volte fino a un’altezza di due o tre piani, in modo che coprissero poco spazio al suolo di questa città. La fortificazione dell città non ha né doppi muri né gallerie ma solamente alte mura con feritoie. La città di Tetrangourin5 è una piccola isola nel mare, con un passaggio molto stretto che funge da ponte per raggiungere la terra, che gli abitanti passano per andare alla città dallo stesso nome. È chiamata Tetrangourin perché essa ha la lunga forma di un cetriolo6. Là si trova il santo martire Lorenzo l’arcidiacono7. La città di Decatera8 significa nella lingua dei Romani «stretto e ristretto», 1 2 3 4 5 6 7 8 chiamata dai Romani Pitaura (168 a.C.). Cavaliere di Giustizia o comandante della guardia imperiale. Dal I settembre 948 al 31 agosto 949. Il siriano san Doimo (o Domino) fu vescovo di Salona dove fu martirizzato el 304. La fortezza è estesa per oltre 180 metri di larghezza e 215 metri di lunghezza, in una superficie totale di 30.000 mq. La già citata Trogir, o Traù, ora in Croazia. Angoúri, in greco. Santo martire Lorenzo (225-258), uno dei sette diaconi di Roma. Kotor, o Cattaro, in Montenegro. Gli antichi Romani la chiamavano Ascrivium, nome derivato da un’antica forma illirica che significava «situato nell’angolo (del canale)». 37 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it perché il mare entra come una lingua contratta da 15 a 20 miglia, e la città è su quest’appendice marittima1. Questa città è circondata di alte montagne, cosa che implica che il sole non possa essere visto che in estate, perché è allora in mezzo al cielo; in inverno è invisibile. Nella stessa città riposa san Trifone2, guaritore di qualsiasi malattia, soprattutto per i tormentati da spiriti impuri; la sua chiesa è rotonda. La città di Diadora3 è chiamata in lingua romana “iam era’”4, il che significa: “già esistente”: cioè, che era già stata fondata prima di Roma; è una grande città. La tradizione popolare le dà il nome di Diadora. In questa stessa città riposa il corpo di Santa Anastasia, giovane vergine di Eustazio che fu sul trono all’epoca, e San Crisogono, monaco e martire5. La chiesa di Sant’Anastasia è una basilica, come la chiesa di Chalcoprateia6, con colonne verdi e bianche, tutta decorata di immagini a encausto di stile antico; il suo pavimento è un mosaico splendido. In prossimità, si trovano un’altra chiesa, coperta da una cupola, alla Santa Trinità, e sopra quest’ultima, ancora un’altra chiesa, al modo di quella dei Catecumeni, anch’essa rotonda, nel quale si monta con una scala a chiocciola7. Sotto il controllo della Dalmazia è un insieme molto numeroso di arcipelaghi, estendendosi anche lontano da Benevento, in modo che le navi non temano mai la tempesta in queste regioni. Una di queste isole è la città di Vekla8, e su un’altra isola Arbe, e su un’altra isola Opsara 9, e su un’altra isola Lumbricaton10, e sono ancora abitate. Le altre sono disabitate ed 1 Sembra invece che Decatera sia la forma contratta di Cattaro, derivata da una locuzione greca primitiva che significava «umida, ricoperta di nebbie» in quanto posizionata alla base di alte montagne e l’umidità del mare non riusciva a dissiparsi completamente durante il giorno. 2 San Trifone (232-250), martirizzato durante la persecuzione dell’imperatore Decio. 3 Zadar, o Zara, in Croazia. 4 In realtà, il nome romano è Iadera (dal 59 a.C.), derivato da “Jadasienei”, nome degli abitanti che erano nemici dei Greci. Per assonanza Costantino VII chiama la città Diadora. 5 Sant’Anastasia di Sirmio, martirizzata nel 304. La cattedrale a lei dedicata, di stile bizantino, fu costruita per ospitare le reliquie della santa portate dal vescovo Donato nell’811. La figura di sant’Eustazio (vescovo di Berea e di Antiochia, martire nel 338 circa) è presa da Costantino VII come indicazione del tempo in cui visse sant’Anastasia. San Crisogono, vescovo di Aquileia nel III-IV secolo, appare in una leggenda nata a Roma nel VI secolo per legare il santo a sant’Anastasia di Sirmio. In essa si racconta che Crisogono era un romano, che fu maestro di sant’Anastasia che lo andava a trovare in carcere e fu imprigionato durante una persecuzione. Fu portato ad Aquileia al cospetto di Diocleziano che lo fece decapitare e ordinò che il corpo fosse gettato in mare. Quando il corpo fu recuperato gli si dette sepoltura a Zara nella chiesa a lui dedicata. 6 La chiesa di Chalcoprateia era nel quartiere del mercato del rame (in greco chalcos), a circa centocinquanta metri dalla basilica di Santa Sofia, e vi era conservata, dal 530 circa, la Preziosa Cintura della Madre di Dio. 7 Si tratta della chiesa costruita, a pianta rotonda, nel IX secolo e dedicata dall’XI secolo, a san Donato. La seconda chiesa che Costantino indica come superiore alla prima è in realtà la arte dedicata ai matronei. 8 O Veglia, è l’isola di Krk. 9 Osor o, in italiano, Ossero. 10 Vrgada. 38 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it hanno su esse delle città deserte, i cui nomi sono: Katautrebeno, Pizouch, Selbo, Skerda, Aloep, Skirdakissa, Pyrotima, Meleta, Estiounez, e altre molto numerose i cui nomi non sono intelligibili. Le altre città, sulla parte continentale della provincia, furono prese dai suddetti Slavi, sono ora disabitate ed abbandonate, e nessuno ci vive. 30. Il thema di Dalmazia Se la conoscenza è una buona cosa per tutti, allora noi l’abbiamo anche avvicinata a quella degli eventi. È per questa ragione che diamo, per il beneficio di tutti coloro che ci succederanno, un resoconto completo tanto su questi argomenti che su altri degni d’attenzione, affinché il bene sia doppio. Per cui, coloro che si fanno domande sulla presa della Dalmazia, la sua presa da parte dei popoli slavi, potranno apprenderla da ciò che seguirà; ma dobbiamo inizialmente parlare della sua posizione geografica. Nell’antichità, dunque, la Dalmazia cominciava ai confini di Dyrrachium, o di Antibari4, e andava anche lontano dalle montagne di Istria, per estendersi fino al Danubio. Tutto il territorio era sotto il controllo dei Romani, e questa provincia era più famosa di tutte le province dell’ovest; tuttavia, ecco il modo in cui fu presa dai popoli slavi. Vicino a Spalato si trova una città chiamata Salona, costruita dall’imperatore Diocleziano come la stessa Spalato, dove si trova il suo palazzo, ma a Salona si insediarono i notabili e la gente comune. La città era la cima di tutta la Dalmazia. Ogni anno5, di solito, una forza di cavalleria, in numero di un migliaio, delle altre città dalmate si raccoglieva e si spiegava da Salona verso il fiume Danubio per sorvegliarlo a causa dello Avari. Perché gli Avari avevano la loro dimora sulla riva opposta del Danubio, dove sono ora i Turchi, e conducevano vita nomade. La gente di Dalmazia che vi andava ogni anno, vedeva spesso animali e uomini su questo lato lontano del Danubio. Un giorno, quindi, decisero di superarlo per sapere chi erano coloro che abitavano laggiù. Attraversarono e non trovarono che le donne e i bambini degli Avari, perché gli uomini e i giovani erano in spedizione militare. Prendendoli di sorpresa, li fecero prigionieri e ritornarono senza danni, portando il bottino a Salona. Ma quando gli Avari tornarono dalla loro spedizione militare e videro ciò che era avvenuto e le perdite subite, furono sbalorditi, non sapendo da dove veniva la disgrazia che era venuta a colpirli. Decisero dunque di dedicare il loro tempo a scoprire l’enigma. E così, quando la guarnigione, secondo l’uso, si distaccò un’altra volta da Salona, con altri uomini, anche questi ultimi vollero rifare l’incursione dei loro predecessori. Quindi superarono il Danubio, ma trovando gli Avari raccolti e non dispersi come la rima volta, non soltanto non poterono far niente ma in verità subirono sventure più terribili. Perché alcuni di loro furono uccisi, il resto fu fatto prigioniero, e non uno sfuggì 4 Dyrrachium è Durrës o Durazzo, ora in Albania, mentre Antibari è Antivari o Bar, o Tivari, ora nel Montenegro. 5 La storia che segue pare sia solo una leggenda. 39 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dalle mani del nemico. Gli Avari li interrogarono, chi erano e da dove venivano? Avendo appreso che era a causa di loro che avevano subito la precedente sventura, e avendo inoltre ricevuto informazioni sulla natura del loro paese, e soddisfatti di quanto avevano inteso, fecerono prigionieri i superstiti e si rivestirono dei loro vestiti nel modo che li indossavano; quindi, montando a cavallo e prendendo in mano gli stendardi e le altre insegne che i Romani avevano portato con loro, partirono per fare un’incursione militare e si diressero verso Salona. Poiché avevano anche appreso le ore di cambio delle guarnigioni sul Danubio (il Grande Sabato Santo), arrivarono quel giorno preciso. Avvicinandosi, la maggior parte dell’esercito si nascose, ma circa un migliaio di loro, coloro che, per mascherarsi, avevano preso i cavalli e le uniformi dei Dalmati, avanzarono. Quelli della città, riconoscendo insegne e vesti, il giorno previsto, perché era quello in cui rientravano di solito, aprirono le porte e li ricevettero in tripudio. Ma, appena furono entrati, gli Avari si impadronirono delle porte e dettero il segnale affinché i loro corressero e entrassero con loro. E così passarono a fil di spada tutta la città poi presero il controllo di tutta la Dalmazia dove si insediarono. Solo le città costiere riuscirono a resistere e continuarono a essere nelle mani dei Romani, perché la loro sopravvivenza veniva dal mare. Gli Avari, allora, trovando questa terra di loro gusto, vi si insediarono. Ma a quell’epoca i Croati erano insediati al di là della Bavaria, dove si trovano oggi i Belocroati1. Di là, uscì una famiglia di cinque fratelli, Kloukas e Lobelos e Kosentzis e Mouchlo e Chrobatos, e di due sorelle, Touga e Bouga, che vennero con la loro popolazione in Dalmazia e trovarono gli Avari su questa terra. Dopo essersi combattuti per numerosi anni, i Croati prevalsero, uccisero una parte degli Avari e imposero ai restanti di essere loro sudditi. E a partire da quel tempo, quella terra fu un possedimento dei Croati, ed esistono ancora in Croazia alcuni discendenti degli Avari che si chiamano Avari. Il resto dei Croati dimorò alle frontiere della Francia: li si chiamano ora Belocroati, cioè «Croati bianchi», hanno il loro principe; sono sudditi di Ottone il Grande, re di Francia, o di Sassonia, non sono battezzati, si sposano tra loro e hanno relazioni di amicizia con i Turchi. Una parte dei Croati giunti in Dalmazia si disperse per occupare l’Illiria e la Pannonia; anche questi avevano un principe sovrano, che intratteneva, di solito, benché attraverso inviati, un contatto amichevole con il principe di Croazia. Per molti anni i Croati di Dalmazia furono sottomessi ai Franchi, in quanto era stato il loro paese d’origine; ma i Franchi li trattavano con una brutalità inimmaginabile: essi avevano l’abitudine di uccidere i bambini croati quindi di gettarli ai cani. I Croati, non potendo sopportare tale trattamento dai Franchi, si rivoltarono e massacrarono coloro che avevano per prìncipi. Allora, una grande armata partì dalla Francia contro di loro e, dopo una lotta di sette anni, i Croati poterono infine soppiantare e distruggere tutti i 1 O Croati Bianchi, slavi abitanti una regione tra Baviera, Ungheria, Polonia e Ucraina. Tra le popolazioni euroasiatiche, il termine “bianco” significava “occidentale”. 40 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Franchi e il loro capo chiamato Kotzilis. Da allora, restarono indipendenti e autonomi, chiesero il santo battesimo al vescovo di Roma che inviò dei vescovi per battezzarli all’epoca del loro principe Porino. Il loro paese era diviso in undici župania, ossia: Chlebiana1, Tzenzena, Emota2, Pleba3, Pesenta4, Parathalassia5, Breberi6, Nona, Tnena, Sidraga7, Nina; e il loro ban8 possiede Kribasa, Litza et Goutziska9. ai nostri giorni i cosiddetti Croati e il restante delle regioni sclavine sono così ripartite: la Dioclea è vicina alle fortezze di Dyrrachium, cioè di Elissus, Helcyniul e Antibari, e va fino a Decatera10, e lato monte confina con la Serbia. La città di Decatera è all’inizio della Travunia che si estende fino a Ragusa11, e dalla parte della montagna, fiancheggia la Serbia. A Ragusa comincia la regione di Zachlumia che va fino al fiume Oronte12; dalla parte del mare è vicina alla Pagania, ma dalla parte della montagna è vicina ai Croati a nord e alla Serbia dietro. La Pagania comincia al fiume Oronte fino al fiume Zentina13; essa ha tre župania, Rhastotza, Mokro e Dalen14. Due di questi župania, cioè Rhastotza e Mokro si estendono lungo il mare e possiedono delle galee; ma quella di Dalen è lontano dal mare, e ci si vive di agricoltura. Hanno quattro isole vicine Meleta, Kourkoura, Vratza e Pharos15, molto belle e molto fertili, con città abbandonate e numerosi campi di ulivi; è su queste isole che abitano e conservano le greggi che permettono loro di vivere. A partire dal fiume Zentina comincia la Croazia che si estende, lungo la costa, assai lontano dalle frontiere dell’Istria, cioè la città di Albunum16; dalla parte della montagna invade un po’ sulla provincia di Istria, quindi a Tzentina e Chlebena delimita la Serbia. Di fatto la Serbia fiancheggia tutti gli altri paesi, ma al nord tocca la Croazia e a sud la Bulgaria. Ora, dopo che i suddetti slavi si erano insediati, essi si impossessarono di tutti i territori circostanti la Dalmazia; ma le città dei Romani si misero a coltivare le isole e a vivere altrove; tuttavia, essi furono ridotti in schiavitù e distrutti dai Pagani, abbandonarono le loro isole e si decisero a coltivare la terraferma. Furono tuttavia trattenuti dai Croati; perché, senza essere 1 Livno, in Erzegovina. 2 Imota o Imotski. 3 Pliva o Plieva, in Bosnia. 4 Alta valle del fiume Una. 5 O Primorje, tra Signo e Clissa. 6 In latino Varvaria, presso Scardona. 7 Tra Zaravecchia e Scardona. 8 Titolo nobiliare e appellativo dei governanti degli slavi meridionali. 9 Rispettivamente, Krbava, Lika (o Licca) e Gacka. 10 Dyrrachium o Elissus (antica Lissus o Alessio) è Durrës o Durazzo, Helcyniul è Ulcinj o Dulcigno, Antibari è Antivari o Bar. Decatera è Kotor o Cattaro. 11 Dubrovnik. 12 Neretva. 13 Cetina. 14 Rispettivamente, Rastik, Mokro o Makarska, Dalen. 15 Rispettivamente, Mljet o Meleda, Korčula o Curzola, Brač o Brazza, Hvar o Lesina. 16 Albona (oggi Labin), sulla penisola istriana, ma alcuni storici pensano che Costantino VII non volesse riferirsi ad Albona ma a Castua, situata più a nord. 41 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it ancora loro tributari, avevano l’abitudine di remunerare il governatore militare di tutto ciò che essi danno oggi agli Slavi. Diventando impossibile la loro vita, si avvicinarono al glorioso imperatore Basilio e gli raccontarono tutto ciò che precede. Il glorioso imperatore Basilio ordinò allora che tutto ciò che veniva pagato al governatore militare fosse pagato agli Slavi, per vivere in pace con loro; una retribuzione simbolica la si sarebbe dovuta al governatore militare come semplice manifestazione di sottomissione verso l’imperatore dei Romani e i suoi governatori militari. A partire da quest’epoca, tutte queste città diventarono tributarie degli Slavi, e pagarono somme fisse: Spalato, 200 nomismata; Tetrangourin, 100 nomismata; Diadora, 110 nomismata; Opsara, 100 nomismata; Arbe, 100 nomismata; Vekla, 100 nomismata; cioè un totale di 710 nomismata eccetto il vino e altri prodotti, che eccedono i pagamenti in moneta. Ragusa è situata tra le regioni di Zachlumia e di Travunia; ci sono vigne in queste due regioni e pagano a ciascuno dei due principi 36 nomismata. 31. I Croati e il paese che essi occupano ora I Croati che vivono attualmente nella regione di Dalmazia discendono dai Croati pagani, anche chiamati «Bianchi», che vivono al di là della Turchia1 e accanto alla Francia; hanno per vicini slavi i Serbi pagani. «Croati» in lingua slava vuol dire «coloro che occupano un vasto territorio». Questi stessi Croati chiesero protezione all’imperatore dei Romani Eraclio prima che i Serbi facessero lo stesso, quando gli Avari avevano combattuto ed espugnato le colonie di Romani che l’imperatore Diocleziano aveva trasferito da Roma; essi furono chiamati Romani essendo venuti da Roma in queste regioni, voglio dire quelle chiamate al giorno d’oggi Croazia e Serbia. Gli Avari aveva espugnato i Romani all’epoca di Eraclio, imperatore dei Romani, e queste regioni erano allora devastate. Quindi l’imperatore Eraclio ordinò agli stessi Croati di superare ed espellere gli Avari da quelle regioni, e per mandato imperiale si insediarono nello stesso paese degli Avari prima di loro. Quei Croati avevano per principe a quell’epoca il padre di Porga2. L’imperatore Eraclio inviò e fece venire dei preti da Roma, nominò per loro un arcivescovo, un vescovo, degli anziani e dei diaconi, fece battezzare i Croati nel momento in cui Porga era loro principe. Questo paese dove i Croati si insediarono era inizialmente sotto la tutela dell’imperatore dei Romani, e dunque nel paese di questi stessi Croati, il palazzo e l’ippodromo dell’imperatore Diocleziano sono sempre mantenuti, nella città di Salona, vicino alla città di Spalato. Questi Croati battezzati non combatteranno i paesi stranieri al di fuori delle loro frontiere; perché hanno ricevuto un tipo di responso divinatorio e una promessa del papa di Roma che, all’epoca di Eraclio, imperatore dei Romani, inviò sacerdoti per battezzarli. Infatti, dopo il loro battesimo, i Croati assunsero un impegno, confermato di loro mano e da giuramenti 1 Odierna Ungheria. 2 Porga e Porino, citato nel capitolo precedente sono la stessa persona. 42 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it fermi e costrittivi in nome di San Pietro l’apostolo, che non avrebbero mai fatto la guerra a un paese straniero, ma avrebbero cercato sempre di vivere in pace con quelli che lo desideravano; e furono benedetti dallo stesso papa per questo: semmai qualche pagano avesse invaso il loro paese per fare loro la guerra, la potenza di Dio combatterà con i Croati e li proteggerà, e Pietro, discepolo di Cristo, porterà loro la vittoria. Un po’ di anni dopo, all’epoca del principe Terpimer, padre del principe Krasimer1, venne dalla Francia, tra Venezia e la Croazia, un uomo chiamato Martin di grandissima pietà, benché vestito come un laico; i Croati dicevano che aveva compiuto numerosi miracoli. Quest’uomo pio, malato e con un piede amputato, cosa che lo faceva spostare dove voleva sostenuto da quattro portatori, confermò ai Croati l’ingiunzione del santissimo papa: dovevano conservarla tutta la loro vita; pronunciò lui stesso in loro favore una benedizione simile a quella fatta dal Santo Padre. Per questa ragione né le galee né le barche di questi Croati partirono mai per fare la guerra, a meno che la si facesse contro loro. Ma in quei vascelli montavano quei croati che volevano commerciare, viaggiare di città in città, in Pagania e nel golfo di Dalmazia fino a Venezia. Fin dall’origine, cioè dal regno dell’imperatore Eraclio, il principe della Croazia fu suddito sempre fedele dell’imperatore dei Romani, e non fu mai sottomesso al principe di Bulgaria2. Del resto la Bulgaria non entrò mai in guerra con i Croati, se non quando Boris Michele, principe di Bulgaria3, andò a combatterli, fu incapace di avanzare e concluse la pace con loro, scambiandosi reciprocamente dei doni. Ma mai questi Croati pagarono tributo ai Bulgari, benché tutti due si scambiavano spesso doni in segno d’amicizia4. Nella Croazia battezzata si trovano le città abitate di Nona, Belgrade, Belitzin. Skordona, Chlebena, Stolpon, Tenin, Kori, Klaboka5. I Croati possono raccogliere 60.000 cavalli e 100.000 fanti, fino a 80 galee e 100 barche. La Croazia dispose di questa grande potenza e di una folla di uomini fino all’epoca del principe Krasimer. Ma quando egli morì e dopo che suo figlio Miroslav, dopo avere regnato quattro anni6, fu espugnato dal ban Pribounias, dei litigi e numerosi dissensi scoppiarono nel paese7: i cavalli, i fanti, le galee e le barche del paese croato diminuirono. Ai nostri giorni 1 Trpimir II fu re di Croazia dal 928 al 935. Gli successe il figlio Krešimir I (morto nel 945), 2 Costantino VII tace che all’inizio del IX secolo, il principe di Croazia era un vassallo dell’imperatore franco. 3 Boris I Michele, knjaz (sovrano) di Bulgaria dall’852 all’889, è venerato come santo. 4 In realtà ci fu un’altra guerra tra Bulgari e Croati. Successe che nel 924 i bulgari sotto Simeone I distrussero il regno serbo e buona parte della sua popolazione migrò nei territori di Tomislao (o Tomislav I, sovrano di Croazia dal 910 al 928). Essa fu inseguita dai Bulgari, ma Tomislao li sconfisse in territorio croato (battaglia di Bosnia, 927). 5 Rispettivamente, Nona o Nin], Biograd o Zaravecchia, Velicin o Belica, Skradin o Scardona, Livno, Stupin, Tenin o Knin, Korin o Corino, Klobuk. 6 Dal 945 al 949. 7 Durante il governo di Miroslav, dal 945 al 949, la Croazia fu sconvolta da una guerra civile fomentata dai sostenitori di suo fratello Mihajlo considerato il legittimo erede al trono. Nel 949 Miroslav fu da essi ucciso e Mihajlo prese il potere col nome di Mihajlo Krešimir II. 43 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it hanno 30 galee, [lacuna] barche, grandi e piccole, [lacuna] cavalli e [lacuna ] fanti. La Grande Croazia, anche chiamata «Bianca», è ancora oggi pagana, come i suoi vicini Serbi. Riuniscono meno cavalli e fanti che non possa fare la Croazia, perché sono spesso saccheggiati da Franchi, Turchi e Peceneghi. Non hanno né galee né barche né navi mercantili, perché il mare è lontano; infatti da queste regioni fino al mare il viaggio dura 30 giorni. E il mare che raggiungono dopo questi 30 giorni è quello che si chiama Oscuro1. 32. I Serbi e il paese che occupano ora I Serbi discendono dai Serbi pagani, anche chiamati “Bianchi”, e vivono al di là della Turchia in un posto che chiamano essi stessi Boiki, vicino alla Francia, come lo è anche alla Grande Croazia, pagana, ugualmente nominata “Bianca”: in questo posto, dunque, i Serbi si insediarono dall’origine. Quando i due fratelli succedettero al padre per dirigere la Serbia, uno dei due, con metà del popolo, richiese la protezione di Eraclio, imperatore dei Romani, e lo stesso imperatore lo ricevette e gli concesse una regione nella provincia di Tessalonica per insediarsi, dal nome di Serbia, che da quell’epoca ha conservato denominazione. “Serbi” in lingua romana è parola che significa “schiavi”, da cui il volgare “serbula” per dire “le scarpe di servo”, e “tzerboulanoi” per quelli che portano scarpe economiche e di cattiva qualità. I Serbi recuperarono questo nome di cui furono dotati in quanto schiavi dei Romani. Allora, dopo qualche tempo, questi stessi Serbi decisero di partire verso le proprie abitazioni e l’imperatore ve li mandò. Ma attraversando il Danubio, cambiarono parere e inviarono una richiesta all’imperatore Eraclio attraverso il governatore militare che comandava allora Belgrado, che gli chiese di concedere loro altre terre per insediarvisi. E siccome, ciò che è ora la Serbia, la Pagania, il cosiddetto paese di Zachlumia, la Travunia e il paese dei Canaliti, appartenevano allora all’imperatore dei Romani, ed essendo stati questi paesi devastati dagli Avari che avevano espugnato i Romani che vivono ora in Dalmazia e a Dyrrachium; di conseguenza, l’imperatore installò quegli stessi Serbi in quelle regioni; essi furono sudditi dell’imperatore dei Romani e l’imperatore fece venire degli anziani da Roma per battezzarli e insegnare loro correttamente a fare le loro opere di pietà e a spiegare loro la fede cristiana, e poiché la Bulgaria era suddita dei Romani [lacuna] quando, dunque, questo stesso principe serbo che aveva chiesto la protezione imperiale morì, suo figlio gli succedette e dopo di lui suo nipote, succedendosi così i principi in famiglia. Dopo alcuni anni apparve fra loro Voiseslav, poi Rodoslav, quindi Prosigois, quindi Blastimer2; e fino all’epoca di questo Blastimer, i Bulgari vissero in paese con i Serbi, con cui avevano una frontiera in comune, 1 Mar Baltico. 2 Višeslav intorno al 780, Radoslav all’inizio dell’800, Prosigoj dall’822 all’836, Vlastimir dall’836 all’863. 44 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it amichevoli uno verso l’altro, sottomessi e sudditi dell’imperatore dei Romani, amichevolmente trattati da loro. Ma, durante il regno dello stesso Blastimer, Presiam, principe di Bulgaria1, entrò in guerra contro i Serbi, con l’intenzione di sottometterli; ma benché guerreggiasse contro di loro per tre anni, da un lato non ebbe successo e dall’altra parte perse un grande numero dei suoi uomini. Dopo la morte del principe Blastimer, i suoi tre figli, Muntimir, Stroimir e Goinikos2 gli succedettero e si divisero il paese. Alla loro epoca venne il principe di Bulgaria Boris Michele, desideroso di vendicare la sconfitta di suo padre Presiam, ma fu così pesantemente battuto che lasciò come prigionieri suo figlio Vladimir3 e dieci boiardi importanti. Quindi, troppo in pena per suo figlio, Boris fu obbligato a fare la pace con i Serbi. Ma, sul punto di ritornare in Bulgaria e per paura che i Serbi gli tendessero un’imboscata per strada, volle avere per scorta i figli del principe Muntimir, Borenas e Stefano4, che l’accompagnarono senza rischi fino alla frontiera a Rasi. Per questo favore Boris Michele diede loro ricchi doni, e loro in cambio gli dettero, come doni d’amicizia, due schiavi, due falconi, due cani e ottanta pellicce, che i Bulgari descrivono come un tributo. Poco tempo dopo, gli stessi tre fratelli, principi di Serbia, si separarono, e uno di loro, Muntimir, prese il potere e, volendo essere unico padrone, catturò gli altri due e li riportò in Bulgaria, tenendo con sé e prendendosi cura del figlio di suo fratello Goinikos, chiamato Petrov5 di nome, che fuggì in Croazia, e di cui parleremo tra un momento. Il suddetto fratello Stroimir, che era in Bulgaria, ebbe un figlio, Klonimir al quale Boris diede una donna bulgara. Tzeeslav6 nacque in Bulgaria da quest’unione. Muntimir che aveva espugnato i suoi due fratelli e preso il potere, generò tre figli, Privésthlav, Bran e Stefan7, e dopo la sua morte suo figlio maggiore Privésthlav gli succedette. È allora che dopo un anno il suddetto Petrov, figlio di Goinikos, uscì di Croazia e espugnò dal potere suo cugino Privésthlav e i suoi due fratelli, e succedette loro; essi fuggirono in Croazia. Tre anni più tardi, Bran venne a combattere Petrov, fu sconfitto, catturato e poi accecato. Due anni dopo8, Klonimir, padre di Tzeeslav, fuggì dalla Bulgaria e venne anche lui con un esercito a invadere una delle città della Serbia, Dostinika9, con l’intenzione di prendere il potere. Petrov lo attaccò e lo uccise quindi continuò a governare ancora 20 anni, e il suo regno ebbe luogo durante il regno di Leone, il santo imperatore10, di felice memoria, al quale si sottomise come 1 Presian I, khan dei Bulgari nel periodo 836–852. 2 Rispettivamente, Mutimir, Strojimir, Gojnik. 3 Vladimir-Rasate, sovrano di Bulgaria dall’889 all’893. 4 I figli sono gli stessi citati prima, ma forse qui si danno i nomi da battezzati. 5 Petar. 6 Časlav Klonimirović (890?-960), principe dei Serbi dal 933. 7 Pribislav, Stefan e Bran. 8 Circa 897-898. 9 Dostinik o Destinikon. 10 Leone VI, imperatore bizantino dall’886 al 912. 45 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it suddito. Fece anche la pace con il principe della Bulgaria, Simeone1, e lo fece anche padrino del suo figlio. Allora, una volta passato il regno di Leone, il governatore militare di Dyrrachium, il protospatario Leo Rhabduchus2, decorato più tardi del rango di magistros e logoteta del dromo3, arrivò in Pagania, a quell’epoca sotto il controllo del principe di Serbia, per avvisare e conferire con questo stesso principe Petrov di alcuni servizi e affari. Michele, principe di Zachlumia, sentì crescere la sua gelosia a causa di ciò, e inviò a Simeone, principe di Bulgaria, [un messaggio dicendo] che l’imperatore dei Romani stava convincendo il principe Petrov ad associarsi ai Turchi per attaccare la Bulgaria. Era questa l’epoca in cui aveva avuto luogo la battaglia di Achelo4 tra Romani e Bulgari. Simeone colmo di collera, inviò contro il principe Petrov di Serbia Sigritzis Theodore e il celebre Marmais con un esercito e portarono con loro anche il giovane principe Pavlov5, figlio di Bran, che Petrov, principe di Serbia, aveva accecato. I Bulgari utilizzarono il tradimento contro il principe della Serbia, e, citando il rapporto da padrino e giurando che andavano a trovarli, che non avrebbero subito nulla dalle loro mani, lo portarono con l’inganno aa andar da loro; al momento dell’arrivo, egli fu attaccato, condotto in Bulgaria e fatto morire in prigione. Pavlov, figlio di Bran, prese il suo posto e governò tre anni. L’imperatore, il signore Romano6, che deteneva a Costantinopoli il giovane principe Zacarias, figlio di Privésthlav, principe d Serbia7, lo inviò per essere principe della Serbia; egli andò a combattere ma fu superato da Pavlov che lo fece prigioniero e lo abbandonò ai Bulgari che lo imprigionarono. Quindi, tre anni più tardi, quando lo stesso Pavlov si oppose ai Bulgari, questi ultimi inviarono Zacarias, precedentemente inviato dal signore Romano; Zacarias espugnò Pavlos e si impossessò del potere presso i Serbi; essendo riconoscente allora dei benefici dell’imperatore dei Romani, egli ruppe con i Bulgari, non volendo assolutamente essere sottomesso a loro, preferendo piuttosto che l’imperatore dei Romani fosse il suo padrone. Così quando Simeone inviò contro di lui un esercito diretto da Marmais e Sigritzis Theodore, [Pavlov] inviò i loro capi e le loro armature all’imperatore dei Romani in segno della propria vittoria perché la guerra romano-bulgara non era cessata; egli non smise mai come i principi che lo avevano preceduto, di inviare messaggi agli imperatori dei Romani come suddito fedele. Simeone inviò nuovamente un nuovo esercito contro il principe Zacarias, 1 Simeone I di Bulgaria, detto il Grande, regnò dall’893 al 927. Non ci sono notizie sul trattato di pace con i Serbi. 2 Leo Rhabdouchos, o Rhabduchus, fu governatore di Durazzo nel 917. 3 Magistros e logoteta del dromo erano titoli pressoché equivalenti dati ai dignitari addetti alle comunicazioni (affari pubblici e politica estera). 4 La battaglia di Anchialo, o Anchialos, avvenne il 20 agosto 917 vicino alla fortezza di Tuthom (attuale Pomorje), vinta dai Bulgari. 5 Pavle. 6 Romano Lecapeno. L’appellativo “signore” ha ovviamente un significato feudale. 7 Zaharija, figlio di Pribislav, fu principe dei Serbi dal 922 al 924. 46 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it diretto da Kninos, Himnikos ed Itzboklias, e con loro Tzeeslav. Zacarias prese paura e fuggì allora in Croazia; i Bulgari inviarono allora un messaggio agli župan perché essi venissero a trovarli per riconoscere Tzeeslav come loro principe; e dopo averli ingannati con un giuramento e portati fuori del primo villaggio, immediatamente li legarono, invasero la Serbia, e riportarono con loro in Bulgaria tutta la popolazione, giovane e vecchia, poiché ben pochi poterono fuggire verso la Croazia, e la regione fu devastata. Quindi, in quell’epoca, gli stessi Bulgari diretti da Alogobotour invasero la Croazia per fare la guerra ma i Croati li massacrarono tutti. Sette anni più tardi, Tzeeslav fuggì dalla Bulgaria con altri quattro ed entrò in Serbia a Preslav1, e non trovò nella regione più di cinquanta uomini, senza donne né bambini, che sopravvivevano cacciando. Con loro prese possesso della regione e inviò un messaggio all’imperatore dei Romani, chiedendo il suo sostegno e il suo aiuto, promettendo di servirlo e di obbedire ai suoi ordini, come lo avevano fatto i principi che lo avevano preceduto. E, di conseguenza, l’imperatore dei Romani gli fu sempre favorevole, in modo che i Serbi vivendo in Croazia, in Bulgaria e nelle altre regioni, dispersi da Simeone, si ricongiunsero a lui quando sentirono quanto successo. Inoltre, numerosi erano quelli fuggiti dalla Bulgaria per andare a Costantinopoli; l’imperatore dei Romani li riunì, li aiutò e li inviò a Tzeeslav. E grazie ai ricchi doni dell’imperatore dei Romani, Tzeeslav si organizzò, ripopolò la sua regione e da allora è uno dei suoi servi fedeli e sottomessi; e grazie all’aiuto e ai numerosi vantaggi dell’imperatore dei Romani, egli ha potuto riunificare la sua regione ed essere confermato come sovrano. Il principe di Serbia, dall’origine, cioè dal regno dell’imperatore Eraclio, è sempre stato un fedele suddito e servo dell’imperatore dei Romani e non è stato mai sottomesso al principe di Bulgaria. Nella Serbia cristiana si trovano le città abitate di Destinikon, Tzernabouskei, Megyretous, Dresneik, Lesnik, Salines; e sul territorio di Bosona, Katera e Desnik2. 33. Gli Zachlumiani e il paese che occupano ora La regione di Zachlumia3 appartenne inizialmente ai Romani, cioè appartenne ai Romani che l’imperatore Diocleziano dislocò da Roma, così come è stato detto nel resoconto dei Croati. Il territorio di Zachlumia dipendeva dall’imperatore dei Romani, ma quando questo territorio con la sua popolazione fu sottomesso dagli Avari, diventò completamente desertao Coloro che vi vivono al giorno d’oggi, gli Zachlumiani, sono dei serbi dell’epoca in cui il loro principe reclamò la protezione dell’imperatore 1 Nell’893. Preslav fu la capitale del Primo regno bulgaro. 2 Rispettivamente, Destinikon, Černavusk, Međurečje, Dresneik, Lesnik, Salines e nella župa di Bosnia: Katera o Kotor e Desnik. 3 O Zahumlje, o Chelmia, o Terra di Chelm o di Hum, abitata dagli Zachlumiani o Zachlumiti. Era un principato serbo localizzato tra le attuali Erzegovina e Dalmazia 47 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Eraclio1. Si chiamano Zachlumiani dal cosiddetto monte Chlumos2, e di fatto, nella lingua slava, «zachlumi» vuol dire «dietro la montagna»3, perché in questo territorio si trova un’alta montagna con due città alla sommità, Bona e Chlum4, e dietro la montagna scorre un fiume chiamato Buna, nome che significa «buona». La famiglia del proconsole e patrikios Michele, figlio di Vousevouti5, principe di Zachlumia, ha la sua origine nei non-battezzati che si insediarono vicino al fiume Visla6 e si chiamano Litziki; e si installarono sul fiume chiamato Zachluma. Nel territorio di Zachlumia si trovano le città abitate di Stagnon, Mokriskik, Iosli, Galoumainik, e Dovriskik7. 34. I Travuniani, i Canaliti e il paese che occupano ora. La regione dei Travuniani e dei Canaliti formano un tutt’uno8. I loro abitanti sono i serbi non battezzati, dall’epoca del principe che uscì dalla Serbia pagana per chiedere protezione all’imperatore Eraclio fino ai giorni di Vlastimir, principe della Serbia9. Il principe Vlastimir sposò la propria figlia a Krajinas, figlio di Beloje, župa di Travunia10. Desideroso di nobilitare suo genero, quest’ultimo gli dette il titolo di principe e lo rese indipendente. Discendono da lui, Hvalimir11 e da quest’ultimo Čučimir12. I principi di Travunia sono sempre stati sotto l’autorità del principe di Serbia. Travunia in lingua slava, significa «piazzaforte», perché questa regione ha fortissime difese. Un’altra regione è integrata alla Travunia, è la Konavle13, nome che vuol dire in lingua slava «pieno di carri»„ poiché, essendo il luogo piano, trasportano tutti i loro lavori su carretti. Ecco le città abitate che esistono in Travunia e in Konavle: Tervounia, Ormos, Risena, Loukavetai, Zetlibi14. 35. I Diocleani e il paese che occupano ora La regione di Dioclea appartenne inizialmente ai Romani che l’imperatore Diocleziano dislocò da Roma, come è stato detto nel resoconto sui Croati; 1 2 3 4 5 6 7 8 Nel 630 circa. Monti Hum. Dallo slavo Zahumlje, za+Hum, dietro l’Hum. Bona e Hum, da alcuni considerate un’unica città. Mihailo, figlio di Višetinog. Vistola. Rispettivamente, le città di Stagno, Mokro, Ošlje, Galumaenik e Dovriskik. La Travunia, o Travunja, comprendeva l’Erzegovina e il sud della Dalmazia, tra Dubrovnik e Cattaro. 9 Vlastimir (836-863 circa). 10 Krajina era uno župa (signorotto feudale) serbo di Travunia. Era figlio di Beloje di Trebinje. 11 Hvalimir Belojević, in latino: Phalimer, figlio di Krajina. 12 Čučimir Belojević, figlio di Hvalimir. 13 La Konavle, o Canali o Valle dei Canali è la zona più a sud della Croazia. 14 Rispettivamente, le città di Trebinje, Trebišnjica, Risan, Lukavec, Zetliv o Zatleblje, non tutte identificate con certezza. 48 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dipendeva dall’imperatore dei Romani. Ma quando questo territorio fu sottomesso dagli Avari, diventò abbandonato quindi si ripopolò all’epoca dell’imperatore Eraclio, come lo furono Croazia, Serbia, Zachlumia, Travunia e Konavle. Dioclea deriva il suo nome dalla città situata in questa regione e che l’imperatore Diocleziano fondò, ma è ora una città rovinata sempre chiamata Dioclea. In Dioclea esistono vaste città abitate, sono: Gradetai, Nougrade, Lontodokla.1 36. I Pagani, anche detti Narentani, e il paese che occupano ora La regione che i Pagani2 occupano ora appartenne inizialmente ai Romani che l’imperatore Diocleziano dislocò da Roma ed insediò in Dalmazia. Questi stessi Pagani discendono dai Serbi pagani, nell’epoca in cui il loro principe richiese la protezione dell’imperatore Eraclio. Questa regione fu anche sottomessa dagli Avari per essere abbandonata quindi ripopolata sotto l’imperatore Eraclio. I Pagani sono così nominati perché non accettarono il battesimo nello stesso momento dei Serbi. Perché Pagani significa, in lingua slava, “non battezzati”, ma nella lingua dei Romani la loro regione è nominata Narenta, e così gli stessi Romani li chiamano Narentani3. In Pagania si trovano le città abitate di Mokro, Verullia, Ostrog e Slavinetza4. Essa contiene anche le isole seguenti: la grande isola di Kourkra, o Kiker5, dove c’è una città, un’altra grande isola, Meleta o Malozeata6, menzionata da san Luca negli Atti degli apostoli sotto il nome di Melite, nella quale una vipera si appese al dito di san Paolo, che la bruciò nel fuoco7; un’altra isola importante, Fara8; un’altra isola Bratzis9. Esistono diverse isole che non fanno parte della Pagania: l’isola di Choara10, le isole di Ies11 e l’isola di Lastobon12. 37. Il popolo dei Peceneghi I Peceneghi abitavano precedentemente sul fiume Atil 13, e anche sul fiume Geich14, avendo frontiere comuni con i Cazari e i suddetti Uzi 15, ma cinquanta anni prima tali Uzi fecevano causa comune con i Cazari e si 1 Rispettivamente, Budva (antica Gradac,) Novi Grad e Lontodoclea. 2 O, raramente, Paganiani. 3 In greco antico, sia Narenta che Narentani non hanno la N iniziale, infatti Costantino VII scrisse Arenta e Arentani. 4 Rispettivamente, Makraska o Macarsca, Vrulja, Zaostrog e Gradac. 5 Korčula o Curzola. 6 Mljet o Meleda. 7 At 28,1, la città è chiamata Malta. 8 Hvar o Lesina. 9 Brač o Brazza. 10 Ciovo? Šolta? 11 Vis o Lissa. 12 Lastovo o Lagosta. 13 Volga. 14 Ural, chiamato Jaik fino al 1775. 15 Citati nei capitoli 9 e 10. 49 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it allearono con loro in una battaglia contro i Peceneghi che vinsero e cacciarono dalle loro terre, che gli Uzi occupano ancora oggi. I Peceneghi fuggirono e vagarono alla ricerca di terre dove insediarsi, e quando giunsero alle terre che possiedono attualmente e trovarono i Turchi che vi vivevano, li vinsero in combattimento, li scacciarono e li espugnarono, e si insediarono, e furono i padroni di questo paese, come abbiamo detto, da cinquantacinque anni fino ad oggi. Il territorio intero del Peceneghi e diviso in otto themata con lo stesso numero di grandi principi. I themata sono i seguenti: il primo thema si nomina Irtim; il secondo, Tzour; il terzo, Gyla; il quarto, Koulpei; il quinto, Charaboi; il sesto, Talmat; il settimo, Chopon; l’ottavo, Tzopon. Quando i Peceneghi furono scacciati dal loro paese, i loro principi erano, nella provincia di Irtim, Baitzas; in Tzour, Konel; in Gyla, Kourkoutai; in Koulpei, Ipaos; in Charaboi, Kaidoum; in Talmat, Kostas; in Chopon, Giazis; in Tzopon, Batas. Dopo la loro morte, i loro cugini succedettero loro al potere, perché il diritto e gli anziani principi prevalsero su di loro, privandoli del permesso di trasmettere il loro rango ai figli o ai fratelli; i loro principi devono accontentarsi di essere principi e di comandare fino alla loro morte; dopo di loro, c’è un loro zio, o i giovani scelti dal loro zio: non si vuole che la dignità si perpetui esclusivamente in un solo ramo della famiglia ma che anche i collaterali ereditino e raggiungano l’onore; tuttavia nessuno straniero può introdursi e diventare principe. Gli otto themata sono divisi in quaranta regioni, che hanno ciascuna alla loro testa un principe di minore importanza. Quattro tribù dei Peceneghi, cioè, le province di Kouartzitzour, di Syroukalpei, di Borotalmat e di Boulatzopon, si estendono al di là del Dnepr verso l’est e il nord facendo fronte all’Uzia, alla Cazaria, all’Alania, a Cherson e al resto delle regioni. Le quattro altre tribù si trovano da questo lato del fiume Dnepr, verso ovest e nord, cioè la provincia di Giazichopon delimita la Bulgaria, quella di Kato Gyla delimita la Turchia, quella di Charaboi delimita la Rus’, e quella di Iabdiertim delimita i territori tributari della Rus’, degli Oultinoi1, dei Dervleninoi2, dei Lenzeninoi3 e del resto degli Slavi. L’intero territorio dei Peceneghi richiede un viaggio di cinque giorni dagli Uzi e la Cazaria, un viaggio di sei giorni dall’Alania, un viaggio di dieci giorni dalla Mordia4, un giorno dalla Rus’, un viaggio di quattro giorni dalla Turchia, una mezza giornata dalla Bulgaria; è molto vicino a Cherson, e ancora più vicino al Bosporus5. 1 Secondo alcuni storici, gli Oultinoi erano gli Slavi della Volinia (odierna Ucraina occidentale ) tra i fiumi Pripjat e Bug Occidentale, perciò detti Voliniani. Secondo altri, vivevano lungo la parte finale del fiume Dnepr fino al Mar Nero, confinavano a nord con i Poloniani ed erano detti Ulychiani o Ulychi. Altri ancora ritengono che gli Ulychiani siano i Volianiani che, portatitisi a nord dalle guerre contro la Rus’ di Kiev , cambiarono nome. 2 Drevliani, popolazione slava stanziata nel IX secolo nei territori a ovest di Kiev. 3 Già citati con il nome di Lenzanenoi. 4 Il territorio dei Mordvini che abitavano lungo il medio Volga. 5 Bosforo Cimneno, oggi Stretto di Kerč. 50 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Quando i Peceneghi furono cacciato del loro paese, alcuni di loro di propria volontà e per decisione personale restarono laggiù e si unirono agli suddetti Uzi, e anche ora vivono fra loro, con caratteristiche che li distinguono, tradendo la loro origine e indicando come furono separati del loro popolo: perché le loro tuniche sono corte, raggiungono il ginocchio, e le loro maniche sono tagliate alla spalla, cosa che, come si sa, indica che furono separati dal loro popolo e da quelli della loro razza. Da questo lato del fiume Dnestr, verso la zona di fronte alla Bulgaria, all’incrocio di questo stesso fiume, le città sono deserte: la prima città è quella chiamata dai Peceneghi Aspron perché le sue pietre sono molto bianche1; la seconda città è Toungatai; la terza Kraknakatai; la quarta Salmakatai; la quinta Sakakatai; e la sesta Giaioukatai. Fra questi ruderi di città antiche si trovano alcune vestigia distintive di chiese e di croci scolpite in pietra porosa, di cui la tradizione riporta che ci fu un tempo dove i Romani ebbero le loro colonie in questo paese. I Peceneghi erano all’epoca chiamati «Kangar», ma non tutti, soltanto la gente dei tre themi di Iabdiertim, Kouartzitzour e Chabouxingyla, perché sono più coraggiosi e nobili degli altri: ed è ciò che il titolo Kangar significa. 38. La genealogia del popolo dei Turchi e da dove provengono2 Il popolo turco un tempo abitava vicino alla Cazaria, in un luogo chiamato Lebedia dal nome del loro primo voivoda Lebedias3, che era, per rango, denominato voivoda, come pure tutti i suoi successori. In questo luogo dunque, nella suddetta Lebedia, scorre il fiume Chidmas, che è anche conosciuto come Chinghilous4. In quel tempo questo popolo non era chiamato turco, ma per un qualche motivo, “Sabartoi asphaloi”5. I Turchi erano ripartiti in sette tribù e non avevano mai avuto un principe indigeno o straniero, ma tra loro esistevano i voivoda di cui il primo era il suddetto Levedias. Vissero insieme ai Cazari per tre anni, e combatterono con essi come alleati in ogni guerra. Per il loro coraggio e la loro alleanza, il khagan-principe dette in matrimonio al primo voivoda dei Turchi, chiamato Levedias, una nobildonna cazara, data la reputazione del suo valore e la rinomanza della sua stirpe, in modo che potesse avere dei bambini da lui, ma tuttavia il caso volle che Levedias da quella cazara non avesse eredi. I Peceneghi, un tempo chiamati “Kangar” (essendo questo nome simbolo di valore e nobiltà) attizzarono una guerra contro i Cazari e, vinti, furono costretti a lasciare la loro regione e a stabilirsi in quella dei Turchi. Quando ebbe luogo la battaglia tra Turchi e Peceneghi, chiamati Kangar, l’esercito dei Turchi fu vinto e diviso in due parti. Una di esse andò verso est e si 1 In greco antico aspron significa «bianco». Questa e le altre città che seguono non sono state ancora identificate. 2 Come già detto, i Turchi menzionati sono gli Ungari, o Magiari. 3 O Levedias, dopo la sua morte la Lebedia fu sempre detta Levédia. 4 Si suppone che i due fiumi oggi si chiamino Kodyma e Inhul, entrambi affluenti del Bug meridionale. 5 «Sabir invincibili». I Sabir erano un antico popolo insediato a nord del Mar Caspio. 51 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it insediò nella regione di Persia, e oggi li si chiama con la loro vecchia denominazione di Turchi «Savartoi asphaloi»; l’altra parte, con il loro voivoda e capo Levedias, si stabilirono in una regione a ovest, nei luoghi chiamati Atel-kouzou1, dove vivono oggi i Peceneghi. Poco tempo dopo, il khagan-principe di Cazaria inviò un messaggio ai Turchi, chiedendo che gli inviassero il loro voivoda. Levedias, dunque, andò dal khagan di Cazaria e gli chiese per quale ragione lo aveva convocato. Il khagan gli disse: «Ti abbiamo invitato perché, essendo nobile, accorto, valoroso e il più importante dei Turchi, noi vogliamo nominarti principe del tuo popolo, se tu obbedirai alla nostra parola e ai nostri ordini». Ma egli rispose al khagan: «Sono molto onorato della tua considerazione e dello scopo che mi proponi e ti esprimo i miei ringraziamenti più sinceri, ma non mi ritengo abbastanza valido per questo compito, non potrei obbedirti; d’altra parte, esiste un altro voivoda nominato Almoutzis che ha un figlio chiamato Arpad2; che uno dei due, Almoutzis o suo figlio diventi il principe e ti obbedisca». Il khagan, compiaciuto per queste parole, gli diede alcuni uomini e lo fece riaccompagnare dai Turchi; dopo averne discusso tra loro, i Turchi decisero che preferivano che Arpad diventasse principe piuttosto che suo padre, poiché aveva talenti superiori, e la sua saggezza, i suoi consigli e il suo valore erano largamente riconosciuti ed era capace di comandare; per questa ragione si proclamò principe, o zakanon, dei Cazari quando lo si elevò su uno scudo secondo l’uso. Prima di questo Arpad, i Turchi non avevano mai avuto un principe, e quindi da allora il principe della Turchia è disceso dalla sua famiglia. Molti anni dopo, i Peceneghi combatterono i Turchi e li cacciarono con il loro principe Arpad. I Turchi, fuggendo cercando una terra dove abitare, cacciarono a loro volta gli abitanti della Grande Moravia dove si insediarono e dove sono tuttora3. E da allora i Turchi non hanno più sostenuto alcun attacco contro i Peceneghi. I Turchi occidentali inviano spesso a cercare i mercanti del popolo suddetto dei Turchi che si insediarono a est, nella regione di Persia, e questi mercanti riportano loro spesso messaggi ufficiali. Il luogo del Peceneghi, quando vivevano i Turchi, è designato secondo i fiumi locali che sono i seguenti: il primo si chiama Barouch; il secondo Koubou; il terzo Troullos; il quarto Broutos e il quinto Seretos4. 39. Il popolo dei Kavar5 1 Forse tra i fiumi Dnestr e Dnepr. 2 Almoutzis è Álmos (819?-895), capo degli Ungari e, secondo una tradizione, discendente da Attila. Fu uno dei sette capi tribù che condussero gli Ungari fino a Etelköz. Suo figlio Arpad (nome che significa «orzo») fu il capostipite degli Arpadi che regnarono fino al 1301. Fu uno dei sette capi tribù (alleati tra loro) che condussero gli Ungari fino a Etelköz (ossia «terra tra i fiumi») la cui localizzazione non è certa. 3 Più precisamente, nel 900-901 si insediarono in Pannonia (nel sud-ovest della Grande Moravia), all’incirca la zona dell’odierna Ungheria. 4 Rispettivamente, Dnepr, Bug, Dnestr, Prut, Siret. 5 I Kavar, o Kabar, erano una tribù degli Avari (antichi Ungheresi). 52 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it I suddetti Kabar erano della razza dei Cazari. Ora, successe che una scissione li divise, e quando scoppiò una guerra interna, i primi prevalsero, alcuni tra loro furono uccisi, ma altri fuggirono e si ritirarono presso i Turchi sul territorio dei Peceneghi; questi due popoli diventarono amici, e li si chiamò «Kabars». Ed essi comunicarono anche a questi Turchi l’idioma dei Cazari, e finora, parlano questa stessa lingua, ma possiedono anche l’altra lingua dei Turchi. E anche in guerra si mostrano i più forti, i più valorosi delle otto tribù, e si distinguono come veri strategoi1; la loro tribù fu considerata la prima. C’è un principe fra loro, ossia fra le tre tribù dei Kavar, che esiste ancora ai nostri giorni. 40. Le tribù dei Kavar e dei Turchi La prima è la tribù suddetta dei Kavar che si separò dai Cazari, la seconda, la tribù dei Néki, la terza, quella dei Megéri (da cui il nome Magiaro), la quarta, quella dei Kurtugermat, la quinta, quella del Tarian, la sesta, quella dei Genach, la settima, quella dei Kaei, e l’ottava, quella del Kasi. Così essendosi associate le une con le altre, i Kavar si insediarono con i Turchi nel paese dei Peceneghi. Dopo ciò, alla chiamata del pio e indimenticabile Leone; essi superarono il Danubio e combatterono Simeone che vinsero2; seguendolo essi arrivarono fino a Preslav, lo accerchiarono nella fortezza di Mundraga, dopo di che se ne ritornarono da loro. A quell’epoca, avevano per principe Liuntika, figlio di Arpad. Ma dopo che Simeone aveva nuovamente concluso la pace con l’imperatore dei Romani, sentendosi al sicuro, inviò degli emissari ai Peceneghi, e concluse un’alleanza con loro affinché sterminassero i Turchi. E quando i Turchi entrarono in guerra, i Peceneghi li combatterono a fianco di Simeone, sterminarono le loro famiglie e cacciarono crudelmente coloro che erano restati indietro per preservare il paese. E quando i Turchi al loro ritorno trovarono il paese devastato e spopolato, si insediarono sul territorio dove vivono ancora oggi e che è chiamato come l’ho indicato sopra dal nome dei fiumi. Il posto che i Turchi occupavano inizialmente, era situato tra i fiumi Ethel e Kuzu3, dove i Peceneghi dimorano ora. Ma i Turchi, cacciati dai Peceneghi, vennero a insediarsi nel paese in cui abitano ora. In questo luogo esistono diversi riferimenti di un tempo: c’è innanzitutto il ponte dell’imperatore Traiano, dove la regione turca comincia, poi, a tre giorni da questo ponte, c’è Belgrado dove si trova la torre del santo e grande Costantino, l’imperatore, quindi, nuovamente, risalendo il fiume si trova la città detta di Sirmium4, viaggiando due giorni si arriva a Belgrado, e oltre si trova la Grande Moravia pagana, che i Turchi hanno 1 Capi militari. 2 Nell’894-895. La causa della guerra fu che Leone VI aveva spostato d’imperio la sede dei mercati bulgari da Costantinopoli a Tessalonica (odierne Istanbul e Salonicco) imponendo pesanti dazi. 3 Etelköz. 4 Oggi Sremska Mitrovica. 53 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it devastato, ma sulla quale Sphendoplokos1 regnava nei tempi antichi. Questi antichi edifici e i nomi dei domini lungo il fiume Ister 2, [detti] sopra, coprono tutte le abitazioni dei Turchi, dove oggi scorrono dei fiumi. Questi fiumi sono i seguenti: il primo è il Temes3, il secondo il Tisza4, il terzo il Morisis5, il quarto il Tutis6 e un’altro fiume il Körös7. I Turchi sono separati a est dai Bulgari da parte dell’Ister, anche chiamato Danubio, a nord dai Peceneghi, a ovest dai Franchi, a sud dalla Croazia. Queste otto tribù di Turchi non sono sottomesse al loro principe8, esse sono indipendenti su questi fiumi, ma quale che sia che sia in guerra tutte le tribù si riuniscono per lottare insieme con rapidità e zelo. Gli Ungari hanno per primo capo il principe che discende per successione dalla famiglia di Árpád, ed altri due capi, il gylas e il karchas9, che hanno rango di giudice e ogni tribù ha il principe. Occorre sapere che gylas e karchas non sono nomi propri, ma delle dignità. Occorre sapere che Arpad, il grande arconte dei Turchi, generò quattro figli: il primo fu Tarkatzus, il secondo Jelekh, il terzo Jutotzas, il quarto Zaltas10. Occorre sapere che il primo figlio di Arpad, Tarkatzus, generò un figlio Teveli, il suo secondo figlio, Jelek, generò un figlio Ezelek, il suo terzo figlio, Jutotzas, generò un figlio Falitzi , il principe attuale11, e il suo quarto figlio, Zaltas, generò un figlio Taksony. Occorre sapere che tutti i figli di Árpád morirono, ma i suoi nipoti, Falitzi, Tas e il loro cugino, Taksony, vissero. Occorre sapere che, quando Teveli morì, egli lasciò un figlio Termatzous che è venuto recentemente come amico, in compagnia di Boultzous12, il terzo principe e il karchas dei Turchi. Il karchas Boultzous è il figlio del karchas Kalis, e Kalis è un nome proprio, ma karchas è una dignità, come gylas, che è superiore a karchas. 41. Il paese di Moravia13 Il principe di Moravia, Sphendoplokos14, era un uomo coraggioso e 1 Svatopluk o Sventopolk I, re della Grande Moravia dall’871 all’894. 2 Danubio. 3 O Timiş, o Tamiš, o affluente destro del Danubio. 4 O Tibisco. 5 O Mureş, o Maros, affluente del Tisza. 6 Forse il Bega. 7 Affluente del Tisza. 8 Cioè a un unico principe, comune a tutte le tribù. 9 Gyula e Horka (o Harka). 10 Nell’ordine: Tarkatzus (o Tarhos), Jelekh (o Üllő), Jutotzas (o Jutas), Zoltan (o Zaltas, fu capo degli Ungari dal 907 al 948). 11 Fajsz fu capo degli Ungari dal 948 al 955. 12 Bulcsú , che ricevette il titolo di patrikios da Costantino VII. 13 Costantino VII fu il primo a citare con il nome di Moravia o di Grande Moravia la vasta regione storica formatasi nell’Europa Centrale dall’833. 14 Svatopluk o Sventopolk I, re della Grande Moravia dall’871 all’894. 54 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it formidabile per i suoi vicini. Questo stesso Shendoplokos aveva tre figli, e prima di morire, egli divise il suo paese in tre parti e ne lasciò una a ciascun figlio; lasciò il maggiore come Gran principe e gli altri due restavano sotto il suo comando. Egli li esortò a non litigare, dando loro questo esempio a scopo dimostrativo: comprò tre bastoni, li riunì e li dette al suo primo figlio per farglieli spezzare, poiché questi non era abbastanza forte, li consegnò al secondo, e poi al terzo, in seguito separò i tre bastoni e ne dette uno a ciascuno di loro, ed essi li spezzarono subito. Egli li esortò con questo esempio, dicendo: «Se voi restate uniti in armonia e amore, i vostri avversari non potranno soppiantarvi e voi resterete invincibili, ma se i conflitti e le rivalità si installeranno tra voi e voi vi separate in tre governi, senza restare fedeli al vostro maggiore, non soltanto vi autodistruggerete ma sarete portati alla rovina dai vostri nemici, i nostri vicini». Dopo la morte di Sphendoplokos, [i figli] rimasero in pace per un anno, poi conflitti e ribellioni li sopraffecero e li portarono alla guerra civile e i Turchi li invasero1, li rovinarono completamente e poi conquistarono il loro paese, dove essi vivono ancora oggi. Coloro che sopravvissero si dispersero in cerca di rifugio presso il popoli vicini, Bulgari, Turchi, Croati e altri. 42. Descrizione geografica da Tessalonica fino al Danubio e alla città di Belgrado; dalla Turchia e dal territorio dai Peceneghi alla città cazara di Sarkel, alla Rus’ e alla Nekropyla situate nel Mar Nero, vicino al fiume Dnepr; e a Cherson e Bosporus, tra le quali si trovano le città delle Regioni, quindi al lago Meotide, che per la sua dimensione è chiamato mare, la città chiamata Tamatarkha; e oltre la Zichia, la Papagia, la Kazachia, l’Alania e l’Abasgia fino alla città di Sotirioupolis Da Tessalonica al fiume Danubio, dove si trova la città chiamata Belgrado, occorre contare un viaggio di otto giorni se non si viaggia in fretta ma a tappe tranquille. I Turchi vivono al di là del Danubio, sulla terra della Moravia ma anche da questo lato, tra il Danubio e il fiume Sava. Vicino al Danubio inferiore, di fronte a Dristra2, comincia il paese dei Peceneghi, e il loro dominio si estende fino a Sarkel 3, fortezza dei Cazari, nella quale hanno una guarnigione di 300 uomini che si ricambiano tutti gli anni. Da loro, Sarkel significa «dimora bianca». Questo posto è stato costruito dallo spatarocandidato4 Petronas, soprannominato Camateros5; perché i Cazari avevano chiesto all’imperatore Teofilo di fare loro costruire la fortezza. Il khagan e il bek6 di Cazaria inviarono ambasciatori all’imperatore, per chiedergli che si costruisse loro questa fortezza di Sarkel. L’imperatore autorizzò la loro richiesta, e inviò lo spatarocandidato Petronas, di cui 1 Nel 950 circa, cioè negli anni in cui scriveva Costantino VII. 2 Durostorum, odierna Silistra. 3 O Sarkil, cfr. cap. 11. 4 Commendatore di Giustizia. 5 Petronas Camateros era cognato dell’imperatore Teofilo (dall’829 all’842) e fratello di Cesare Bardas. 6 Re. 55 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it abbiamo appena parlato, con dei chelandia imperiali, ai quali fece unire quelli del governatore della Paphlagonia1. Petronas approdò a Cherson, dove lasciò questi chelandia, fece imbarcare la sua gente su vascelli di trasporto, e andò presso il Tanais2, dove doveva costruire la fortezza. Ma siccome egli non aveva affatto le pietre necessarie per la costruzione della città, fece fare delle fornaci di mattoni con cui costruì la fortezza: quanto alla calce, la fece con le piccole pietre di fiume. Dopo avere costruito la fortezza di Sarkel, il suddetto spatarocandidato ritornò dall’imperatore e gli disse: «Se desiderate possedere un potere e un controllo assoluti sulla città di Cherson e sui luoghi circostanti, perché non vi sfuggano, nominate il vostro governatore militare e non fate affidamento sui notabili e sul generale». Poiché fino all’epoca dell’imperatore Teofilo, nessun governatore militare era stato inviato laggiù e tutta l’amministrazione era alle mani del detto generale, e di quelli chiamati “padri della città”, l’imperatore Teofilo ci pensò sopra al fine di mandare questo o quel governatore, e infine scelse di inviare lo spatarocandidato Petronas, perché aveva un’esperienza dei luoghi e non era inabile nella condotta degli affari; lo nominò protospatario quindi governatore militare e lo inviò a Cherson con degli ordini intimanti al generale e agli altri di obbedirgli; e a partire da quell’epoca fino a oggi, la tradizione consiste nel nominare qui i governatori militari di Cherson. Ora basta sulla costruzione della città di Sarkel. Dal Danubio fino a Sarkel, ci sono sessanta giorni di viaggio, e in questo paese si trovano molti fiumi tra i quali il Dnestr e il Dnepr sono i più notevoli: gli altri sono il Syngoul3, l’Hybil, l’Almatai, il Koufis, il Bogou e molti altri. Le rive dell’alto Dnepr sono abitate dai Rus’ che discendono questo fiume per recarsi nelle province romane. Il territorio dei Peceneghi abbraccia tutta la Rus’ e Bosporus e anche più lontano da Cherson a Sarat4, Bourat e altre parti. La distanza, lungo la costa, dal Danubio al Dnestr è di 120 miglia. Dal Dnestr fino al Dnepr, ci sono 80 miglia, la cosiddetta «costa dorata». Dopo la foce del fiume Dnepr è l’Adara e si trova una grande baia chiamata Nekropyles5, che è assolutamente impossibile a un uomo di attraversare. Dal fiume Dnepr fino a Cherson ci sono 300 miglia. Dopo Bosporus viene la foce del lago Meotide, che tutti chiamano mare a causa della sua dimensione6. In questo stesso mare Meotide scendono numerosi e grandi fiumi, dal lato nord scendono il fiume Dnepr da cui i Rus’ vengono passando in Bulgaria Nera, Cazaria e Siria. Questo stesso golfo della Palus7 è di fronte ai Nekropyles, che sono vicini al fiume Dnepr (a 4 miglia), e le raggiungono dove gli Antichi avevano scavato in questo posto un canale di 1 2 3 4 5 6 7 O Paflagonia, antica regione dell’Anatolia centro-settentrionale, sul Mar Nero. Fiume Don. Inhoul, o Ingoul, affluente del Bug meridionale. Saratov. Odierna baia di Karintski, presso lo stretto di Kerč. Mar d’Azov. In latino: palude, ossia la Palude Meotide (Mar d’Azov). 56 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dimensione di mille miglia per dare passaggio alle acque del mare in modo che la penisola si trovasse interamente separata della terraferma, ma questo canale fu insabbiato nel seguito dei tempi e fu sostituito da una folta foresta dove ci sono soltanto due strade lungo le quali i Peceneghi si infiltrano verso Cherson, Bosporus e nelle nostre province. Molti fiumi si gettano nella parte orientale della Palus Meotis come il Tanais che viene dalla città di Sarkel, il Charakoul dove si fa la pesca degli storioni, come pure altri fiumi come il Bal, il Bourlik, il Khadir e numerosi altri. Ma il canale che riunisce la Palus Meotis al Ponte Eusino1 si chiama anche Bourlik; è là che è il Bosporus all’opposto del quale è situata la città di Tamatarkha2; il canale citato ha diciotto miglia di larghezza. In mezzo a questo spazio di 18 miglia è una grande isola piatta che si chiama Atech. A circa diciotto o venti miglia da Tamatarkha è il fiume chiamato Oukrouch3 che separa la Zichia da Tamatarkha. La Zichia4 ha una estensione di 300 miglia dall’Oukrouch fino al Nikopsis sulla quale è costruita una città dallo stesso nome. Al di là della Zichia si trova la Papagia5; al di là della Papagia, la Kasachia6; al di là della Kasachia, i monti del Caucaso e al di là del Caucaso il paese di Alania7. La Zichia possiede anche delle isole che delimitano la costa, tra esse una grande e tre piccole; più vicine alla riva di queste ultime si trovano altre isole coltivate ed abitate Turganirch, Tzarbaganin e un’altra nel porto di Spalaton; e a Pteleai un’altra che poté servire da rifugio durante le incursioni degli Alani. Il mare [Nero] lambisce la regione della Zichia dal fiume Nikopsis fino a Sotirioupolis8 su 300 miglia, dove si trova l’Abasgia9. 43. Il paese di Taron10 Ma ecco qualcosa per te per quanto riguarda gli Sciti del nord, figlio mio beneamato, questa conoscenza ti sarà sempre vantaggiosa e utile se necessario; ma è ugualmente indispensabile che non ignori nulla delle regioni situate dove il sole si alza, per quali ragioni diventarono un giorno di nuovo sudditi dei Romani, dopo essere decaduti dal loro potere. Dunque, Krikorikios, il principe di Taron11, si sottomise inizialmente e si presentò all’imperatore dei Romani, ma dall’inizio, fece il doppio gioco; mentre a parole sembrava stimare l’amicizia dell’imperatore, di fatto agiva secondo il buon volere del califfo dei Saraceni e a diverse riprese condusse 1 Mar Nero. 2 Tamatarkha (o Tamantarkhan) era l’antica colonia greca di Hermonassa; quando passò sotto il controllo della Rus’ di Kiev fu detta Tmutarakan. 3 Forse il Kuban’. 4 Regione a est del Mar Nero e del Mar d’Azov. 5 In Papagia, versante meridionale del Caucaso, stavano i Circassi. 6 Paese dei Circassi orientali, corrispondente all’incirca all’Ossezia del Sud. 7 Paese degli Alani, corrispondente all’Ossezia del Nord. 8 Oggi Pitsunda. 9 O Abchazija (in italiano Abcasia). 10 Regione storica dell’Armenia superiore, ora in Turchia. 11 O Krikor (Grigor) I di Taurun o Tauronita (?-930). 57 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it gli eserciti in Siria contro le province sottomesse all’imperatore dei Romani, e divulgava in Siria tutti i piani segreti dei Romani ai loro avversari saraceni, tenendo sempre segretamente informato con le sue lettere il Comandante dei Credenti di ciò che avveniva da noi; allorché volle apparire come un partigiano della causa romana, si trovò, all’opposto, che preferiva e stimava la causa dei Saraceni. Tuttavia, non cessò di inviare presenti, che sembravano preziosi ai barbari di queste regioni, a Leone1, il più glorioso degli imperatori, e ottenne in cambio sempre di più dal pio imperatore, che anche lo pregava spesso per lettera di rendergli visita nella città imperiale per conoscere l’imperatore e condividere con lui i suoi benefici e gli onori. Ma temendo che ciò offendesse e sconvolgesse il Comandante dei Credenti, addusse delle scuse e falsamente sostenne che gli era impossibile lasciare il suo paese senza assistenza, per timore che potesse essere saccheggiato dai Saraceni. Ora, questo stesso principe de Taron catturò un giorno, in una battaglia, i figli di Arkaika2, cioè, i cugini del patrikios Krikorikios, padre del protospatario Ashot3, e li tenne prigionieri. Nel loro nome, allora, il principe dei principi, Symbatios4 inviò lettere allo stesso imperatore, di memoria benedetta, pregandolo di intercedere presso i Taroniti e di fare tutto il suo possibile per liberare i suoi nipoti, figli del detto Arkaika, affinché non fossero inviati al Comandante dei Credenti, poiché il patrikios Grigorios era genitore di Symbatios, il principe dei principi. L’imperatore Leone, di beata memoria, accettò la richiesta di Symbatios inviando al principe di Taron, per questo affare, il defunto eunuco Sinoutin, allora cartolario5 assieme al logoteta del dromo6, e anche ad Adranaser, curopalate d’Iberia7 per trattare quell’affare particolare, con dei doni per tutti e due. Ma quando Sinoutin fu calunniato presso l’imperatore da Teodoro, il traduttore armeno, si inviò al suo posto come delegato imperiale il protospatario Costantino Lips8, detentore del sigillo imperiale – ora antypathos9, patrikios e grande eteriarca10, – gli ordini gli ingiunsero di prendersi i doni inviati al principe di Taron, Krikorikios, ed andare lui stesso in Taron, quindi di ordinare a Sinoutin di andare da Adranaser, il curopalate d’Iberia come era stato 1 Leone VI il Saggio, che regnò dall’886 al 912. 2 Arkaik non è un nome ma un titolo e significa «piccolo re». Era detto di David, figlio di Bagrat Bagratouni. 3 Ashot III di Taron. 4 Smbat I il Martire (890-914), figlio e successore di Ashot I, più avanti nel testo chiamato Grigorios. 5 Funzionario amministrativo. 6 Dignitario delle comunicazioni. 7 Alto funzionario militare. Adranaser è Adarnase IV di Iberia (morto nel 923), principe georgiano della dinastia dei Bagration. 8 Costantino Lips era drungarios (comandante) della flotta sotto Leone VI (886-912) e morì nel 1917 in battaglia. Di lui si ricorda la fondazione di un monastero. 9 Proconsole. 10 Comandante dell’eteria, che era il corpo scelto di mercenari stranieri, poi diventato guardia del corpo imperiale. 58 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it previsto. Il detto protospatario arrivò in Taron e diede a Krikorikios i doni e le lettere che l’imperatore gli aveva inviato; prese il figlio naturale del Taronite1, chiamato Ashot, e lo riportò nella città imperiale; l’imperatore lo elevò al rango di protospatario ed lo riempì di doni, quindi lo rinviò nuovamente, sotto la guida dello stesso protospatario. Inoltre Costantino ritornò in compagnia di Apoganem2, fratello di Krikorikios, principe di Taron, e lo portò dall’imperatore la cui memoria è benedetta, con i due figli di Arkaikas. Apoganem fu, lui stesso, elevato al rango di protospatario e colmato di riguardi, quindi riportato nella sua patria da Costantino presso suo fratello. Più tardi, Costantino soggiornò alcuni tempi in Chaldia 3 e ricevette un ordine imperiale che gli ingiungeva di andare in Taron per assicurarsi sulla persona di Krikorikios principe del Taron, e di portarlo nella città imperiale, ciò che fece. Quando Krikorikos entrò nella città protetta da Dio e ricevette la dignità di magistros e l’incarico di strategos di Taron, gli donò come residenza la «casa dei barbari»4, mantenendo quella del parakimomenos5 Basilio6. Inoltre fu onorato di una roga7 annuale di dieci libbre d’oro e dieci altre libbre di miliaresia8, ossia in tutto venti libbre. Essendo passato qualche tempo nella capitale, fu nuovamente scortato indietro da Costantino. Apoganem ritornò una seconda volta dall’imperatore e ricevette il titolo di patrikios. L’imperatore gli concesse inoltre la figlia di Costantino in matrimonio, e, in questa occasione, gli regalò la «casa dei barbari», senza tuttavia confermargli la donazione con una crisobolla9. Dopo aver beneficiato della generosità dell’imperatore, Apoganem volle, prima di celebrare le sue nozze, tornare nel proprio paese, ma morì alcuni giorni dopo essere arrivato. Krikorikios, in seguito a questo evento, scrisse all’imperatore per ottenere l’autorizzazione di prendere il suo assegnamento dalla mano stessa del sovrano e di passare qualche tempo nella capitale. Chiedeva inoltre di rientrare in possesso della «casa dei barbari», che era stata data a suo fratello. L’imperatore accettò la sua richiesta, considerando la sua sottomissione recente e soprattutto per incoraggiare gli altri principi d’Oriente a imitare la sua condotta. La donazione, d’altronde, come la prima volta, non fu confermata da una crisobolla. Essendo passati degli anni, ed essendo Romano Lecapeno salito sul trono, [Krikorikios] lo informò che poiché gli era impossibile utilizzare la «casa dei barbari», egli l’avrebbe scambiata volentieri con un dominio in Keltzene10, 1 Del principe di Taron. 2 Il principe di Armenia Abu Ghanim. 3 Uno dei themata dell’impero bizantina in Asia Minore. 4 Palazzo di Costantinopoli non identificato. 5 O parakoimomenos, che letteralmente significa «colui che dorme con l’imperatore», cioè la guardia del corpo o il ciambellano. 6 Un figlio illegittimo di Romano I. 7 Soldi arretrati o tributo. 8 Monete d’argento e di rame. 9 Documento ufficiale con il sigillo dell’imperatore impresso. 10 Provincia della Chaldia. 59 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it per esempio quello di Patzates11. Sperava così di garantirsi un rifugio dove poter mettere la propria famiglia e i suoi beni al riparo durante le incursioni degli Arabi. L’imperatore Romano, credendo che Krikorikios possedesse la casa ai sensi di una crisobolla dell’imperatore Leone, il beato, gli cedette la proprietà di Gregoras in Keltzene. Ma, come Leone, non gli confermò a donazione con una crisobolla. Alcuni tempi dopo Tornikios4, figlio di Apoganem e nipote del Taronite, scrisse da parte sua a Romano per segnalargli che l’imperatore Leone aveva fatto regalo della casa a suo padre e che, alla morte di quest’ultimo, suo zio Krikorikios se ne era impossessato, pur impegnandosi a restituirla quando avesse raggiunto la maggior età; avendo appreso che suo zio l’aveva scambiato con la proprietà di Gregoras, chiedeva che i suoi diritti fossero rispettati. D’altra parte, le liberalità dell’imperatore al principe di Taron aveva suscitato la gelosia degli altri principi armeni. Da parte loro, i principi armeni, Gagik I di Vaspurakan5, Adranaser, curopalate di Iberia e il principe dei principi Ashot6 protestarono per iscritto contro il trattamento privilegiato di cui usufruiva Krikorikios, unico a beneficiare di una pensione imperiale: «In che cosa, dicevano, rende più servizi di noi all’impero? occorre dunque che anche noi veniamo dotati di una pensione, o che lui non continui a usufruire di questo favore». Romano rispose loro che non era lui ma l’imperatore Leone che aveva accordato una pensione al Taronite e che non gli spettava eliminarla: sarebbe stato ingiusto che le decisioni degli imperatori defunti fossero abolite dai successori. Allo stesso tempo fece parte il Taronite della protesta dei principi armeni e lo informò che non avrebbe potuto continuare a versargli una pensione d’oro o d’argento, ma promise, oltre ai doni d’uso, abiti ed oggetti in bronzo per un valore di dieci libbre. Romano glieli fece pervenire per tre o quattro anni, quindi lo informò che non gli era più possibile mantenere i propri impegni. Ma Krikorikios preferiva, a quanto pare la sua pensione in argento e chiese che gliela si continuasse a versare, ma si dichiarava pronto a rinunciarvi. Romano, per eliminare la gelosia del curopalate Gagik e degli altri principi, risolse di eliminarla. Ma, volendo risparmiare l’amor proprio di Krikorikios, fece venire a Costantinopoli suo figlio Ashot, l’elevò alla dignità di patrikios e lo rinviò nel suo paese soltanto dopo avergli prodigato i segni d’amicizia. Essendo morto Krikorios, Tornikios, figlio di Apoganem, volle vedere l’imperatore. Quest’ultimo inviò lo protospatario Krinitis, che portò Tornikios alla capitale dove ricevette la dignità di patrikios da parte dell’imperatore. Tornikios fece valere i suoi diritti sulla «casa dei barbari» e protestò contro la transazione a favore di suo zio. Chiese che gliela si rendesse o che gli cedessero il dominio di Keltzene, che si dichiarava pronto, se la cosa non 11 Tatzates, un armeno proprietario terriero in Chaldia vissuto nella seconda metà dell’VIII secolo. 4 Tornik. Il nome Tornikios (o Tornikes) deriva dalla parola armena t’orn, “nipote”. 5 Gagik I (880?-937) fu re di Vaspurakan (provincia armena sul lago di Van) dal 908. 6 Ashot II detto Yerkat (“il Ferro”, per le sue vittorie), figlio di Smbat I. 60 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it fosse stata possibile, a rinunciarvi a favore dell’imperatore, piuttosto che di vedere l’uno o l’altro in possesso dei suoi cugini. Questa fu la ragione che determinò l’imperatore, non sentendosi obbligato verso Krikorikios, decise di ritirare al Taronite la casa e il dominio, tanto più che non esistevano crisobolle su queste donazioni. Più tardi, Pankratios1, figlio maggiore di Krikorikios, si recò a sua volta a Costantinopoli. L’imperatore gli conferì la dignità di patrikios e lo nominò strategos di Taron. Pankratios voleva sposare una donna appartenente alla famiglia imperiale e l’imperatore gli diede la sorella del magistros Teofilatto. Dopo la celebrazione del matrimonio Pankratios fece un testamento, nel quale dichiarava: «I figli che nasceranno da quest’unione con mia moglie dovranno ereditare la totalità del mio paese come eredità primigenia». Su ciò, chiese all’imperatore di cedergli il dominio di Gregoras perché la sua sposa vi risiedesse, e dopo la sua morte questo dominio potesse ritornare alla maestà imperiale. L’imperatore approvò questa proposta, e dopo averlo colmato di numerosi doni, lo rinviò con la moglie nel suo paese. Ora, i figli del magistros Krikorikios, questi stessi patrikioi Pankratios e Ashot moltiplicarono ile vessazioni contro il loro cugino, il patrikios Tornikios. Quest’ultimo, trovando le loro angherie insopportabili, scrisse all’imperatore, per chiedergli di inviare un servo di fiducia per prendere possesso del suo paese, per condurre lui, sua moglie e il loro bambino a Costantinopoli. L’imperatore incaricò il protospatario Krinitis, l’interprete, di portarlo e di condurlo alla città protetta da Dio, conformemente alla sua domanda. Ma quando Krinitis arrivò in quel paese, constatò che Tornikios aveva già lasciato questo mondo, dopo avere regolato prima della sua fine l’eredità del suo paese all’imperatore dei Romani: sua moglie e il suo bambino avrebbero dovuto andare all’imperatore, e, al suo arrivo, l’imperatore avrebbe assegnato per residenza a sua moglie il monastero a Psomathia 2 dello protospatario Michele, anziano kommerkiarios3 di Chaldia. Quindi il sovrano incaricò lo stesso Krinitis di andare a impossessarsi del paese di Apoganem, cioè la parte del patrikios Tornikios. Ma i figli del Taronite4, cugini del defunto, rinviarono la proposta offrendo Oulnoutin5 per conservare il paese del loro cugino, poiché, dicevano, non avrebbero potuto sopportare di vivere se l’imperatore avesse occupato il paese. L’imperatore, cedendo alla sua bontà di cuore, accettò la loro proposta: cedette loro il paese di Apoganem, loro cugino, e ricevette in cambio Oulnoutin e tutti i territori circostanti. Il paese intero di Taron era diviso in due parti, una tenuta dai figli del magistros Krikorikios, l’altro dai suoi cugini, i figli del patrikios Apoganem. 44. La regione degli Apachounis, le città di Mantzikiert e Perkri e 1 Bagrat II (937-994), re di Iberia (Georgia) dal 958. 2 Il monastero era situato sul Mar di Marmara, tra la Porta d’Oro di Costantinopoli e il monastero di Studion. 3 Controllore delle transazione commerciali ed esattore di imposte. 4 Pankratios e Ashot. 5 Fortezza strategica del Taron occidentale. 61 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Chliat e Chaliat e Arzes e Tibi e Chert e Salamas e Tzermatzou Prima dell’epoca di Asotios, principe dei principi, padre di Symbatios, principe dei principi, che l’emiro di Persia Aposatai aveva decapitato e che aveva due figli, Asotios, che era principe dei principi dopo di lui, ed Apasakios, che fu più tardi onorato della dignità di magistros; queste tre città, Perkri, Chaliat ed Arzes1, erano sotto il controllo della Persia. Il principe dei principi ha la sua corte in Grande Armenia, nella città di Kara, e tiene due di queste tre città suddette Perkri, Chaliat, Arzes e anche Tibi, Chert e Salamas. Apelbart possedeva Manzikiert2 e era sotto la sovranità di Asotios, il principe dei principi, padre di Symbatios, principe dei principi. Lo stesso Asotios, principe dei principi, diede anche a questo Apelbart la città di Chliat, Arzes e Perkri: poiché Asotios suddetto, principe dei principi, padre di Symbatios, principe dei principi, teneva tutte le regioni dell’Est. Alla morte di Apelbart suo figlio Abelchamit entrò in possesso del suo dominio, e alla morte di Abelchamit, il suo figlio maggiore Aposebatas fece lo stesso. Quest’ultimo, dopo l’assassinio di Symbatios, principe dei principi, da parte di Aposatai, emiro della Persia, prese possesso, in sovranità assoluto, come un potentato indipendente, tanto della città di Manzikiert che delle altre città e regioni; e i suoi altri due fratelli, Apolesphouet e Aposelmis, si sottomisero all’imperatore dopo che le loro città e le loro regioni erano state a più riprese invase, devastate e distrutte dal domestikos3 e pagarono all’imperatore dei Romani il tributo in segno di omaggio delle loro città e territori. Ma all’epoca del suddetto Asotios, principe dei principi, padre di Symbatios e nonno del secondo Asotios e del magistros Apasakios, e per tutta la vita del secondo Asotios, principe dei principi, queste tre città furono sotto la sovranità del principe dei principi, e il principe dei principi ricevette un tributo da parte loro. Inoltre, la città di Manzikiert e il paese degli Apachounis, di Kori e di Charka erano sotto la sovranità e il controllo dello stesso principe dei principi, fino all’epoca in cui Aposebatas, l’emiro di Manzikiert, e i suoi due fratelli Apolesphouet ed Aposelmis si sottomisero all’imperatore e gli pagarono tributo in segno di omaggio delle loro città e territori; e, poiché il principe dei principi è il suddito dell’imperatore dei Romani, è nominato da lui e riceve la sua dignità da lui, cioè le città, le zone e i territori di cui è il padrone appartengono anche all’imperatore dei Romani. Quando Symbatios, principe dei principi di Grande Armenia, fu catturato da Aposatai, emiro di Persia, quindi decapitato, Aposebatas, con la sua sede nella città di Manzikiert, prese possesso delle città di Chaliat, Perkri e della zona di Arzes. Il secondo fratello di Aposebatas, Apolesphouet, e suo nipote e genero Achmet prese possesso delle città di Chliat, Arzes ed Altzike, e anch’essi si 1 Presso il lago di Van. 2 Già nominata: è detta, in italiano, Manzicerta. 3 Comandante delle forze presenti in un thema. 62 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it sottomisero all’imperatore dei Romani e riconobbero la loro sottomissione e gli pagarono tributo per le loro città e territori come lo aveva fatto suo fratello maggiore Aposebatas. Il terzo fratello di Aposebatas e di Apolesphouet, Aposelmis, era in possesso della città di Tzermatzou con il suo territorio; anch’egli si sottomise all’imperatore dei Romani e gli pagò tributo come il suo fratello maggiore Aposebatas ed il suo secondo fratello, Apolesphouet. Alla morte di Aposebatas, Abderacheim, figlio di Aposebatas, entrò in possesso della città di Manzikiert e dei suoi territori e di tutti i suoi domini e alla morte di Abderacheim, Apolesphouet, secondo fratello di Aposebatas e zio di Abderacheim entrò in possesso della città di Manzikiert e di tutte le regioni summenzionate, ed alla sua morte, il terzo fratello, che è il fratello di Aposebatas e di Apolesphouet, Aposelmis entrò in possesso di Manzikiert e di tutte summenzionate. Aposebatas aveva un figlio Abderacheim e un altro figlio Apelmouze. Apolesphouet aveva un genero e nipote, Achmet, poiché egli non aveva figli, ma al suo posto Achmet, suo genero e nipote. Aposelmis aveva un figlio Apelbart che ormai possiede Manzikiert. Alla morte di Aposebatas, lasciò suo figlio Abderacheim come emiro, ma l’altro suo figlio Apelmouze era un bambino di minore età, e, per questa ragione, fu dichiarato inabile dal padre e dal fratello. Aposebatas il fratello maggiore, ha la sua corte nella città di Manzikiert e possedeva, come detto, queste regioni, Apachounis, Kori e Charka; egli pagò tributo per esse all’imperatore dei Romani, e alla sua morte, suo figlio Abderacheim lo diresse e pagò anch’egli il tributo suddetto, essendo suo fratello Apelmouze, come detto sopra un bambino in minore età. Alla morte di Apolesphouet, il terzo fratello di Aposebatas, cioè Aposelmis, prese possesso della città di Manzikiert con i territori summenzionati. Il suddetto Achmet, nipote e genero di Apolesphouet, prese possesso con l’approvazione e il consenso di Apolesphouet di Chaliat, Arzes e Perkri: poiché Apolesphouet non avendo figli, come detto prima, fece di Achmet, suo nipote e genero, l’erede di tutti i suoi beni, delle sue città e territori. Alla morte di Aposelmis, suo figlio Apelbart entrò in possesso della città di Manzikiert con il suo territorio circostante. Ma Achmet possedeva le tre città, Chliat, Arzes ed Altzike. Questo Achmet era anche suddito dell’imperatore, com’è stato detto sopra, e gli pagava tributo in nome proprio e in nome di suo zio Apolesphouet. Ma Apelbart, per inganno e frode, lo uccise e prese queste tre città, Chliat, Arzes ed Altzike, mentre dovevano ritornare all’imperatore essendo di sua proprietà. Tutte queste città e regioni suddette mai sono state sotto la sovranità o sotto la tutela del Comandante dei Credenti, ma, come ciò è stato detto, all’epoca dell’imperatore Leone, sotto la sovranità di Symbatios, principe dei principi, poi furono sotto la sovranità dei tre fratelli, gli emiri suddetti, Aposebatas, Apolesphouet e Aposelmis, e alla loro epoca sottomessi, 63 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it tributari e sotto la tutela dell’imperatore dei Romani. Se queste tre città Chliat, Arzes e Perkri sono in possesso dell’imperatore, un esercito persiano non può invadere la Romania e l’Armenia, poiché servono da barriera e hanno guarnigioni militari. 45. Gli Iberiani1 Occorre sapere che i curopalate iberiani si vantano di discendere dalla donna di Uria sedotta dal profeta e re Davide2; pretendono di ricollegare a Davide uno dei bambini nati da quella donna, così da essere parenti del profeta e re Davide, e conseguentemente della Santa Vergine, uscita ella stessa stirpe di Davide. Ciò perché i signori Iberiani non hanno alcuna difficoltà a sposarsi tra parenti, conformemente all’antica abitudine degli Ebrei, dicono anche che hanno la loro origine in Gerusalemme; che, per obbedire a un avvertimento dato in sogno, vennero ad abitare nella regione della Persia che occupano ora. Coloro che, conseguentemente a quell’oracolo, uscirono da Gerusalemme, furono David, soprannominato, e suo fratello Spandiatis, il quale aveva ricevuto da Dio il dono, a quanto essi raccontano, di non poter essere ferito dalla spada nei combattimenti in alcuna parte del corpo, eccetto il cuore: quindi durante le battaglie preservava con un’armatura questa parte, e fu audace contro i Persiani. Li sconfisse, li soggiogò e stabilì la sua famiglia nelle regioni impenetrabili in cui si trova ora, dove sono presto aumentati immensamente e sono diventati una grande nazione. Quando l’imperatore Eraclio andò contro la Persia3, gli Iberiani si unirono a lui e combatterono sotto le sue bandiere: in seguito il terrore che ispirava il nome di Eraclio, più che la loro forza e il loro ascendente, li rese padroni di un buon numero di città e di regioni persiane. Perché questo principe aveva appena vinto i suoi nemici e aveva distrutto la loro potenza, furono alla mercè non soltanto degli Iberiani, ma anche dei Saraceni. Poiché i Bagratidi iberiani pretendevano di venire da Gerusalemme, e che essi avevano una grande affezione per questa città e per la tomba del Salvatore, vi inviavano in certe epoche dei ricchi doni, tanto ai patriarchi che ai cristiani della città santa. David, sopra citato, fratello di Spandiatis, ebbe per figlio Pankratios, quest’ultimo Asotios, quest’ultimo Adranaser, onorato del titolo di curopalate dal pio Leone, imperatore dei Greci. Per Spandiatis, fratello del precedente, egli morì senza posterità. Dalla loro uscita di Gerusalemme e la loro entrata nel territorio attuale, sono passati quattro o cinquecento anni fino a quando ci troviamo, indizione X; anno 64604, sotto gli imperatori Costantino e Romano Porfirogeniti, ferventi cristiani. Occorre sapere che il pio e illustre imperatore Leone Porfirogenito, avendo appreso che la regione detta Phasiane5 era stata invasa dai Saraceni 1 2 3 4 5 Abitanti dell’Iberia, antico nome della Georgia. Samuele 11. Nel 622. Nel 952. Nella provincia di Ararat. 64 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it e le chiese mutate in roccaforti, inviarono6 il patrikios Lalacon, generale degli Armeniakoi, come pure il generale di Koloneia, di Mesopotamia e di Chaldia, a distruggere questi forti, consegnare le chiese e devastare la Phasiane, allora sottomessa ai Saraceni. Più tardi, fece ancora partire Katakalon, magistros e domestikos, che entrò nel castello di Theodosioupolis, e devastò interamente i dintorni, come pure Phasiane e i forti che conteneva: non ritornò che dopo aver inflitto un terribile colpo ai Saraceni. Sotto l’impero del signore Romano, il patrikios Kourkouas, marciando contro la città di Tibi3, devastò sul suo passaggio tutto la Phasiane, perché era sotto l’influenza dei Saraceni. Il patrikios Teofilo, fratello dello stesso Giovanni Magistros, per la stessa ragione, aveva già trattato in tal modo questo paese, quando era governatore della Chaldia; poiché fino a quando ci si dovette districare con i Theodosiopolitani, non restò in piedi un solo forte in tutta la Phasiane, fino al luogo di Abnik. Tuttavia gli Iberiani, senza nulla possedere nella Phasiane, erano in relazione costante di amicizia con quelli di Theodosiopolis, di Abnik e di Mantzikert4, e con tutta la Persia. Occorre sapere che spesso gli imperatori Leone e Romano, e la nostra stessa maestà, provarono a recuperare il castello di Ketzeon, allo scopo di mettere una guarnigione, per tagliare da questo lato i viveri a Theodosiopolis, promettendo al curopalate e ai suoi fratelli che avrebbero avuto quest’ultima città, se essi avessero restituito il forte in questione; ma gli Iberiani vi si opposero sempre, non volendo, a causa dell’amicizia che portavano a quelli di Theodosiopolis, che questa città fosse distrutta. «Se agiamo così, risposero all’imperatore romano e a noi stessi, perderemmo l’onore agli occhi di tutta la regione, del magistros, sovrano dell’Abasgia, di quello del Vaspurakan5 e dei principi armeni, che potrebbero dire che è per sfiducia degli Iberiani, del curopalate e dei suoi fratelli, che l’imperatore ha ripreso loro il forte di Ketzeon; sarebbe preferibile inviare un cavaliere e un ufficiale imperiale a risiedervi e a osservare di là il nemico». Si rispose con l’ordine seguente: «A che pro un cavaliere, un ufficiale, che non potrebbe entrare nell’accampamento che assegnerete loro che con dieci o dodici uomini? perché ci sono molte strade per arrivare alla roccaforte di Théodosiopolis, e non si può, da Ketzon, vedere le carovane che arrivano in questo posto; queste carovane, d’altronde, possono penetrarvi di notte». Ma siccome gli Iberiani non volevano che Theodosiopolis potesse essere distrutto dalla carestia, rifiutarono di ottemperare a questa domanda e di cedere Ketzon, anche ricevendo il giuramento per iscritto che sarebbe stata resa loro dopo l’offerta di Theodosiopolis, perché non volevano vedere devastare Theodosiopolis e il suo territorio, né i forti di Abnik e di Mandzikert e la regione circostante. 6 3 4 5 Nel 909. Nel 928. Rispettivamente, Erzerum o Erzurum, Manzicerta, Avnic. Provincia dell’Armenia Maggiore. 65 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Il curopalate reclamava, inoltre, il territorio intero della Phasiane e il forte di Abnik per i quali pretendeva di avere crisobolle del beato imperatore Romano e di nostra maestà, di cui ci fece portare copia da parte di Zourbaneli il protospatario, uno dei suoi nobili. Ma esaminandole, vedemmo che non provavano nulla; poiché la crisobolla di nostro suocero conteneva che il curopalate si impegnava, per giuramento firmato di suo pugno, a rimanere fedele al nostro impero, essere nemico dei nostri nemici, alleato dei nostri alleati, a sottomettere l’Oriente al nostro scettro, a conquistare fortezze e a fare le più grandi cose per il nostro servizio; e il nostro suocero gli prometteva, in cambio della sua fedeltà ai suoi impegni e della sua affezione, la continuazione in eterno della sua dignità e della sua indipendenza, per lui e la sua posterità: quindi il curopalate non doveva arretrare le frontiere dei suoi domini, attenersi alle convenzioni fatte sotto gli imperatori precedenti, non trasgredirli, non impedire la rovina di Theodosiopolis, ed altre città ostili, sia che le si assediava soltanto, sia che fossero attaccate dalle nostre truppe: tale era il riassunto di queste crisobolle, che non provano nulla per il curopalate. Perché quella del nostro suocero prometteva che non lo si sarebbe privato delle terre del suo antico patrimonio, e che se egli avesse potuto, solo o aiutato, prendere o rovinare Theodosiopolis, non ne avrebbe mantenuto il dominio e la proprietà. Quanto alla crisobolla di nostra maestà, si è detto che tutti i luoghi che lui e suo cugino Adranaser magistros hanno potuto conquistare sugli Agareni, con le loro proprie truppe, o quelli che conquisteranno d’ora in avanti, apparterranno a loro in piena proprietà. E siccome egli non ha sottomesso con le sue truppe né Theodosiopolis, né Abnik, né Mastat1, là non ha alcun diritto, poiché questi luoghi sono al di qua dell’Erax o Phase; che d’altronde il forte di Abnik è stato finora indipendente e governato dal suo emiro e spesso devastato dai nostri soldati: che inoltre il generale Giovanni Arrhabonitis, come pure il patrikios Teofilo, e recentemente il generale di Theodosiopolis, là avevano tutto messo a fuoco e sangue e portato via un ricco bottino, cosa che non era mai arrivata al curopalate; e quando le nostre truppe avevano così completato l’opera della conquista, gli Iberiani arrivarono, s’impossessarono del paese e vollero entrare con gioia nel luogo. Informato più volte dal patrikios Teofilo e vedendo che non gli restava che di sperare la salvezza, l’emiro acconsentì a diventare nostro vassallo e diede suo figlio in ostaggio. Mastat apparteneva ai Theodosiopolitani, e quando dopo un assedio di sette mesi il patrikios Giovanni vide che non poteva scobfiggere questi ultimi, inviò le sue truppe a impadronirsi di Mastat, a tal fine egli introdusse il protospatario Petronas Boilas, che era allora generale di Nicopolis. Tuttavia Pankratios magistros, che aveva combattuto con l’esercito del patrikios Giovanni contro Theodosiopolis, vedendolo vicino al ritorno, gli chiese la restituzione di questa roccaforte, impegnandosi per giuramento scritto di sua mano a conservarla e a non rimetterla ai Saraceni. Poiché era 1 Mastat (in greco) o Mastaton. 66 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it cristiano e servo di nostra maestà, Mastat fu data a Pankratios sotto la fede del suo giuramento; ma quest’ultimo la rese di nuovo a quelli di Theodosiopolis, e gli Iberiani ne rientrarono in possesso immediatamente dopo la presa di quest’ultimo. Essi non hanno dunque ragioni per richiedere Abnik né Mastat. Ma siccome il curopalate si comporta come servo onesto e fedele di nostra maestà, che l’Erax o Phase funge da frontiera alla Phasiane, in tal modo che la sua riva sinistra guardando l’Illiria appartenga agli Iberiani e la riva destra, i dintorni di Theodosiopolis, i forti e le zone di questa regione, ci siano sottomessi, e che il fiume Erax segni il limite tra i due stati, come pure il beato Kourkouas l’approvò in vita e lo dichiarò completamente conveniente, quando fu interrogato sull’argomento; perché strettamente parlando, il curopalate non ha diritto a nulla né al di qua né al di là del fiume, perché sono i nostri eserciti che hanno sottomesso e devastato queste regioni che appartengono a Theodosiopolis, e che gli Iberiani non hanno fatto alcuna impresa sul territorio di questa città senza la nostra assistenza. È unicamente la nostra amicizia per il curopalate che ci ha fatto acconsentire a concedergli il limite dell’Erax o Phase. 46. Genealogia degli Iberiani; della fortezza di Adranutzion1 Occorre sapere che Pankratios e David il Mampalis, nome che significa tuttosanto2, erano figli del grande Symbiatos3 l’Iberiano, che Pankratios ebbe in eredità la città di Artanuji e David una regione diversa. Bagrat ebbe tre figli: Adarnase, Gurgen e il patrikios Ashot Kiskasis, e condivise loro i suoi domini. Gurgen al quale il decaduto Artanuji, essendo morto senza posterità, questa città ritornò al patrikios Ashot-Kiskasis. Quest’ultimo maritò sua figlia a questo Gurgen Magistros, che tolse per violenza la città in questione a suo suocero Ashot e gli diede in compensazione Tyrocastrum4 e la valle di Adjara5, che segna il limite della Grecia verso Koloris. Il patrikios Ashot, detto Kiskasis, aveva sposato la figlia di George-magistros, sovrano di Aphkhazia6. Quest’ultimo e Gurgen-magistros essendo diventati nemici, e il patrikios Ashot avente preso le parti di George, Gurgen riprese di forza la compensazione che aveva dato per Artanuji, cacciò Ashot, e lo forzò a ritirarsi in Aphkhazia. Alla morte di Gurgen, sua moglie, figlia del patrikios Ashot-Kiskasis, ereditò la città di Artanuji, come dominio di suo 1 O di Artanuji, ora Ardanuc. 2 Alcune ricerche hanno messo in luce che il titolo mamp’ali (parola georgiana composta da mama che significa “padre” e da up’ali “signore”) era dato ai principi di alto rango che non avevano dignità bizantine. Il vocabolo fu poi tradotto in greco come mampalis, dandogli l’errato significato di “tuttosanto”. 3 La grafia dei nomi citati da qui in poi pare essere un po’ greca e un po’ georgiana e a non tutti è possibile risalire anche perché si ripetono sempre uguali nelle famiglie. Symbiatos è Symbatios o Smbat. Bagrat è Bagrat I. Gurgen non era figlio di Bagrat magistros, che ebbe Adarnase, David (o Davit) e Ashot, ma di Bagrat mamp’ali. 4 Molto probabilmente è il georgiano Qwélis-Tzikhé, a nord-ovest di Samtskhe, perché ambedue significano “il forte del formaggio”. 5 In italiano Agiaria. 6 Abkhazia o Abcasia. 67 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it padre. Ma Ashot-curopalate, George-magistros, sovrano di Aphkhazia, e Bagrat-magistros, fratello di Ashot soprannominato, non volendo dividere con le armi la successione di Gurgen, si adattarono e presero ciascuno ciò che era di propria convenienza. Essendo Artanuji vicino a Sembat, figlio di David, soprannominato, i principi si impossessarono della donna di Gurgen, figlia del patrikios Ashot, e le dissero: «Come donna, non puoi essere padrona di questo forte» e Sembat le diede in cambio alcuni territori, serbandosi Artanuji. Occorre sapere che la parentela di questo iberiano è questa: la madre di David e quella del curopalate Adarnase, padre d’Ashot il curopalate attuale, erano figlie di due fratelli, e quindi cugine germane. Sembat figlio di David, era sposato alla figlia di Bagrat-magistros, padre di Adarnase oggi magistros. Alla morte di questa donna, Adarnase sposò la sorella di Sembat, figlio di David. La roccaforte di Artanuji è molto protetta e ha bastioni tali che convengono a una capitale di confine; essa è il centro di tutti gli affari di Trebisonda, dell’Iberia, dell’Aphkhazia, di tutta l’Armenia e della Siria, e con tutti questi paesi ha un gran commercio. La regione o l’arzen1 di Artanuji è grande e fertile: è la chiave dell’Iberia, dell’Aphkhazia e del Meskhia2. Inoltre, il beato imperatore Romano aveva inviato il patrikios Costante3, drungarios della marina, che era per loro protospatario e manglabite4, e gli aveva rimesso le insegne da magistrato per rivestirne l’iberiano Gurgen. Quando il patrikios Costante si avvicinò a Nicomedia5, ebbe un incontro con il monaco Agapio, figlio di Cimene, che era andato a compiere un voto nella città santa, e che, ritornando in Iberia, passò da Artanuji. Ora il patrikios Ashot-Kiskasis, in dissenso con suo genero Gurgen, disse al monaco: «Io ti scongiuro, in nome di Dio e per la potenza della croce venerabile del Salvatore, di andare a dire all’imperatore di inviare qualcuno a prendere la mia città e a sottometterla alla sua autorità». Il monaco Agapio venne e disse all’imperatore ciò di cui l’aveva incaricato il patrikios Ashot-Kiskasis. Siccome il patrikios Costante, drungarios della marina, era a Nicomedia per l’investitura dell’iberiano Gurgen, ricevette a nome dell’imperatore una lettera del patrikios Simeone, segretario, così concepita: «Il nostro santo imperatore ti comanda di lasciare qualsiasi altro affare di servizio e di andare non appena possibile a trovare il patrikios Ashot-Kiskasis, e ricevere dalle sue mani il forte di Artanuji perché quest’ultimo ha fatto informare il nostro imperatore santo, per mezzo del monaco Agapio, di inviare un uomo sicuro e fedele per farlo arrendere. Passando per la Caldea, tu vi prenderai quegli ufficiali che giudicherai devoti, entrerai nella città e te ne impossesserai». Attraversando dunque la Caldea, il patrikios Costante, drungarios della 1 2 3 4 5 Arzen è parola araba che significa “paese” o “territorio”. In italiano Meschezia. O Costantino. O manglavite, guardia del corpo dell’imperatore. Ora Izmit. 68 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it marina, riunì delle buone turme1, degli ufficiali e una truppa di trecento uomini, ed entrò in Iberia. Là fu fermato da David, fratello di Ashot, il curopalate attuale, che gli disse: «Dove ti manda l’imperatore? Quale incarico hai per avere un simile seguito?» Egli sospettava infatti che a causa della morte del curopalate Adarnase l’imperatore volesse conferire a Gurgen il curopalate. Infatti i figli di Adarnase, dopo la morte del loro padre, stavano discutendo con il loro cugino, e un uomo di alto rango, inviato da Gurgen all’imperatore con ricchi doni, faceva supporre ai quattro fratelli, figli di Adarnase curopalate, che Gurgen mirasse a tale dignità. Il patrikios Costante rispose: «È per nominare Gurgen magistros che ho questo seguito, e dopo averlo salutato, andrò anche a trovare David-magistros». Lo stesso patrikios aveva infatti un ordine imperiale e dei doni per quest’ultimo2. Avendo dunque nominato magistros Gurgen, lasciò il suo paese per recarsi alla roccaforte di Ashot-Kiskasis, il patrikios, e gli rimise un ordine imperiale che non diceva nulla di Artanuji, ma che si riferiva ad altri affari. «È bene che non sia qui detta la questione della roccaforte, disse a Ashot, e ciò che il monaco Agapio ha dichiarato all’imperatore, e di cui tu lo avevi incaricato. L’imperatore mi ha mandato a prendere possesso di Artanuji e a far entrare le genti che mi accompagnano». Siccome il patrikios AshotKiskasis aveva una vertenza con suo genero Gurgen, così come detto, aveva preferito consegnare il forte all’imperatore. Costante aveva una piccola bandiera, che diede al patrikios Ashot, e quest’ultimo, attaccandola a una lancia, la ridette al patrikios Costante, dicendogli: «Mettila tu stesso sulle mura, affinché questo posto appartenga all’imperatore». Il patrikios Costante prese dunque la bandiera e la mise sul bastione, salutando l’imperatore greco con le acclamazioni ordinarie. Fece conoscere con ciò che il patrikios Ashot-Kiskasis aveva dato all’imperatore la sua città; ma il grande David era bene lontano dal sottomettere all’imperatore il suo paese, sebbene fosse vicino della turma di Akampsis e di Murguli. Tuttavia il patrikios Costante inviò all’imperatore due messaggi, informandolo in uno che aveva conferito il magistrato a Gurgen, e che quest’ultimo aveva accettato con riconoscenza il favore imperiale; nell’altro, che il patrikios Ashot gli aveva rimesso Artanuji, e che tra lui e suo genero Gurgenmagistros regnava un gran disaccordo. All’imperatore chiedeva di inviare un rinforzo di truppe nella roccaforte e, se si poteva, il domestikos. In seguito a ciò gli iberiani Gurgen-magistros e David-magistros, fratello del curopalate Ashot, scrissero all’imperatore che egli avesse permesso una cosa simile e fosse penetrato nel cuore del loro paese, avrebbero rinunciato al suo servizio e si sarebbero alleati ai Saraceni; «perché siamo, dicevamo, in grado di combattere i Greci e di condurre, se costretti, un esercito contro la roccaforte e il paese di Artanuji, ed anche contro il territorio dell’impero». 1 La turma era un’unità militare romana formata da trenta cavalieri. 2 I commentatori dell’opera annotano che il racconto di Costantino VII diventa oscuro e in contraddizione con le date fornite dagli Annali storici. Il problema sta, come evidenziato in una nota precedente, nell’omonimia dei personaggi con lo stesso nome e lo stesso titolo. 69 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Informato di questi particolari sia dalle lettere degli ufficiali di cui si è parlato sopra, che dagli espressi che gli spedirono, l’imperatore temette che essi si unissero davvero ai Saraceni e attirassero sui suoi stati gli eserciti persiani. «Io non ho incaricato, rispose, il protospatario Costante il manglabite di fare ciò che ha fatto ad Artanuji, né di impossessarsi del suo territorio; è un atto avvenuto per sua confusione naturale»: l’imperatore diceva ciò per soddisfare gli Iberiani. Poi, il protospatario Costante il manglabite ricevette un ordine imperiale pieno di rimproveri e di minacce: «Chi ti ha incaricato di una simile commissione? Esci il più rapidamente possibile dalla fortezza, e fai rientrare Ashot, figlio del defunto curopalate Adarnase e concedigli da parte nostra il curopalate, di cui usufruiva suo padre». Ricevuto quest’ordine il patrikios Costante lasciò il patrikios AshotKiskasis nel suo castro di Artanuji, e dirigendosi verso il paese di David il Grande andò a recargli l’ordine che lo riguardava. In seguito ritornò in Iberia, e incontrò, riuniti allo stesso luogo, Gurgen-magistros e Davidmagistros, fratello d’ Ashot-curopalate che lo investirono di invettive e ingiurie. «Uomo perfido e cattivo, dicevano, perché non ci hai parlato della questione di Artanuji e ci hai nascosto che volevi impossessartene, ritenendolo un importante servizio all’imperatore? Noi gli abbiamo presentato anche la nostra versione e sappiamo che egli non era al corrente di un’impresa che tu hai fatto soltanto per affezione verso il patrikios AshotKiskasis». Dopo avere risposto quel che doveva, il patrikios Costante portò in città Ashot, figlio del defunto curopalate Adarnase, e gli conferì in nome dell’imperatore il curopalate. Sai ciò che ha avuto luogo in diverse epoche tra i Romani e i vari popoli? Perché conviene, mio carissimo figlio, che ti ricordi di questi eventi, affinché all’occasione, se si riproducessero problemi simili, tu possa, grazie alle tue conoscenze, trovare soluzione immediata. 47. La migrazione dei Ciprioti, descritta come segue Dopo che l’isola era stata presa dai Saraceni1 e restò disabitata per sette anni, l’arcivescovo Giovanni venne con un gruppo alla città imperiale e una deroga fu fatta dall’imperatore Giustiniano2 al sesto sinodo3: lui e i suoi vescovi e il clero dell’isola, dovevano prendersi carico di Cizico e dovevano fare le nomine ogni volta che un vescovato diventava vacante, e ciò affinché l’autorità e i diritti di Cipro non venissero interrotti (perché l’imperatore Giustiniano era cipriota, come gli antichi ciprioti lo hanno certificato oggi), e fu ordinato al sesto sinodo che l’arcivescovo di Cipro avrebbe eletto il capo di Cizico, come ciò è pure scritto nel XXXIX capitolo dello stesso santo sinodo. 1 Le incursioni degli Arabi sull’isola, allora bizantina, cominciarono nel 649, ma si fecero più intense trenta-quarant’anni dopo. 2 Giustiniano II Rinotmeto. 3 Nel 691-692. 70 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Ma dopo sette anni, per volontà di Dio, l’imperatore fu portato a ripopolare Cipro, e inviò al Comandante dei Credenti di Baghdad1, tre dei più illustri ciprioti, nativi di questa stessa isola, chiamati Phangumis, con un delegato imperiale allo stesso tempo intelligente e prudente; egli scrisse al Comandante dei Credenti per chiedergli di rinviare nell’isola di Cipro la popolazione insediata in Siria nel loro proprio paese. Il Comandante dei Credenti accettò la richiesta dell’imperatore; inviò i notabili Saraceni [di Cipro] in tutte le regioni della Siria e raccolse tutti i Ciprioti per rinviarli da loro. E l’imperatore, da parte sua, inviò un delegato imperiale e fece trasportare coloro che si erano insediati in Romania, cioè, a Cizico, nei themata di Kibyrrhaioton2 e Thrakesion, e l’isola fu ripopolata. 48. Canone XXXIX del sesto santo sinodo, tenuto nella sala a cupola del Gran Palazzo3 Mentre nostro fratello e collega Ioannis, capo dell’isola dei Ciprioti, a causa delle invasioni dei barbari, finché non possa essere liberato dal vincolo degli infedeli e possa essere soggetto senza dissimulazione allo scettro della Sua Cristianissima Maestà, si è rifugiato con i suoi dalla suddetta isola nella provincia dell’Ellesponto grazie alla provvidenza, alla misericordia di Dio e grazie al lavoro dei nostri pii imperatori amanti Cristo4, noi decidiamo: - che i diritti riconosciuti alla sede del suddetto dai padri ispirati di Dio al sinodo di Efeso, devono essere mantenuti senza cambiamento5; - che la Nea Ioustinianoupolis avrà il diritto della città dei Konstantinéi6; - che il piissimo vescovo che vi è insediato presiederà tutti i vescovi della provincia dell’Ellesponto e sarà consacrato dai suoi propri vescovi, secondo le antiche tradizioni (perché i nostri padri ispirati da Dio decisero che le pratiche di ciascuna Chiesa dovevano essere preservate), - che il vescovo della città di Cizico dipenderà dal capo della suddetta Nea Ioustinianoupolis ome tutti gli altri vescovi, cioè del piissimo capo Ioannis, che in caso di bisogno nominerà anche il vescovo della stessa città di Cizico. Ma ora che precisamente abbiamo formulato e sottolineato i problemi concernenti i popoli stranieri, è giusto che siate perfettamente informati 1 La residenza del califfo era a Damasco. Baghdad lo diventò solo nel 750, quando Giustiniano II era morto da circa quarant’anni. 2 O dei Cibirreoti. 3 Il sesto santo sinodo ecumenico si tenne a Costantinopoli, sotto Costantino IV Pogonato, nel 680. Il XXXIX Canone qui descritto fa parte invece del concilio ecumenico detto Quinisesto o in Trullo ((il "trullo" era la cupola della sala dove erano trattati gli affari di Stato), che si tenne a Costantinopoli nel 692, sotto Giustiniano II. 4 Dal 691 al 698, l’arcivescovo di Cipro, Ioannis, su istigazione di Giustiniano II, trasferì il suo seguito in un’area nei pressi di Cizico, nell’Ellesponto (attuale stretto dei Dardanelli), allo scopo di contrastare gli interessi degli Arabi. Questa regione fu ribattezzata Nuova Giustiniana. Da allora, il capo della Chiesa di Cipro ha assunto il titolo di «Arcivescovo di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro», titolo reso ufficiale durante il concilio Quinisesto. 5 Il diritto sanciva che l’arcivescovo di Cipro non doveva sottostare al patriarca di Antiochia. 6 Questo diritto sulla preminenza di un vescovo sull’altro è ancora fonte di studio. 71 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it delle riforme messe in campo, non soltanto negli affari della nostra città, ma ancora in diversi periodi nell’insieme dell’impero dei Romani, affinché la conoscenza di queste cose più vicine e che riguardano la vostra casa, saldi in voi più di qualsiasi altra cosa, vi renda maggiormente degno dell’affezione dei vostri sudditi. All’epoca di Costantino, figlio di Costantino, detto Pogonato, un certo Callinicus fuggì da Heliopolis presso i Romani e inventò il fuoco greco che è proiettato attraverso dei tubi, con l’aiuto del quale i Romani incendiarono la flotta dei Saraceni a Cizico riportando la vittoria1. 49. Chiunque voglia sapere come gli Slaveni furono controllati e sottoposti alla chiesa di Patrasso, lo apprenderà dal presente passaggio. Niceforo2 teneva lo scettro dei Romani, e questi Slaveni 3 che erano nella provincia del Peloponneso, decisero di rivoltarsi; dapprima saccheggiarono le abitazioni dei loro vicini, i Greci, e li combatterono in fretta, quindi andarono contro gli abitanti della città di Patrasso e ne devastarono i dintorni dinanzi alla sua muraglia quindi la assediarono4, avendo con loro anche i Saraceni d’Africa. Quando fu passato un tempo considerevole, iniziarono a mancare alcuni prodotti necessari, l’acqua e i viveri; all’interno delle mura, si tenne consiglio per arrivare a un concordato per ottenere delle promesse di immunità, poi di consegnare la città. E siccome all’epoca, lo strategos del thema risiedeva all’estremità della provincia nella città di Corinto5, si attese il suo arrivo per combattere il popolo slavo; poiché egli era già stato informato dell’aggressione dai notabili, gli abitanti della città decisero di inviare un messaggero verso la parte orientale delle montagne per sapere e scoprire se il governatore militare stava per arrivare; il messaggero doveva al suo ritorno abbassare la sua piccola bandiera, per informarli dell’arrivo dello strategos, e in caso contrario, tenere la bandiera alta, affinché non lo si attendesse. Allora il messaggero partì e constatò che il governatore militare non sarebbe venuto; iniziò a rientrare, tenendo alta la piccola bandiera. Ma, come piacque a Dio, per l’intercessione dell’apostolo sant’Andrea, il suo cavallo scivolò, il cavaliere cadde e la sua bandiera si abbassò; gli abitanti della città, vedendo il segnale dato, credettero senza alcun dubbio che il governatore militare stesse arrivando, aprirono le porte della città e uscirono intrepidi contro gli Slaveni; essi videro allora il primo apostolo chiamato, davanti ai loro occhi, in sella a un cavallo, caricare i barbari, e realmente metterli completamente allo sbaraglio, disperderli, cacciarli molto lontano dalla città e farli fuggire. E i barbari lo videro e furono intimiditi e sbalorditi di quell’aggressione così veemente contro di loro del guerriero invincibile e insuperabile, del capitano e del maresciallo, il 1 Nel 673. Costantino VII attribuisce qui l’invenzione del fuoco greco a Callinico, ma nel capitolo XIII è scritto che fu «un dono del Signore». 2 Niceforo I, imperatore bizantino dall’802 all’811. 3 Slavi. 4 Nell’805. 5 Capoluogo del thema del Peloponneso. 72 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it giusto e vittorioso apostolo Andrea, primo chiamato; essi si dispersero, sconvolti, si misero a tremare e si rifugiarono nel suo tempio più sacro. Ora, quando il governatore militare arrivò il terzo giorno dopo la sconfitta, ebbe la notizia della vittoria dell’apostolo e fece rapporto all’imperatore Niceforo dell’incursione degli Slaveni, il saccheggio, il numero di prigionieri, le distruzioni, e tutti gli altri orrori inflitti dalle loro aggressioni nella regione di Acaia; e anche l’assedio di molti giorni e l’attacco sostenuto dagli abitanti della città; allo stesso modo, l’arrivo e l’aiuto fornito dall’apostolo al combattimento, lo sbaraglio e la vittoria totale ottenuta, e come era stato visto dai loro occhi caricare e inseguire le retroguardie del nemico in fuga, in modo che gli stessi barbari erano consapevoli del fatto che l’apostolo fosse venuto ad aiutare nella battaglia, e dunque si erano rifugiati nel suo sacro tempio. L’imperatore, apprendendo queste cose, diede ordini a questo scopo: «Poiché la ritirata e la vittoria finale sono state opera dell’apostolo, è nostro dovere offrigli tutta la forza di spedizione del nemico, del bottino e dei saccheggi». E ordinò che i nemici, le loro famiglie, i loro genitori, tutti coloro che ne facevano parte, e anche tutti i loro beni fossero portati al tempio dell’apostolo nella metropolia di Patrasso, in cui il primo chiamato e discepolo di Cristo aveva compiuto quest’impresa in questa occasione, e pubblicò una bolla sull’argomento in questa stessa metropolia. I più anziani e i più veterani raccontano questi fatti, trasmessi dalla tradizione orale a coloro che vivranno nella posterità, affinché, come dice il profeta, la prossima generazione possa conoscere il miracolo dell’intercessione dell’apostolo, e possa alzarsi e dichiararla ai loro figli, e non dimenticare i benefici compiuti da Dio tramite l’intercessione dell’apostolo. E a partire da quell’epoca, gli Slaveni riuniti nella città furono assoggettati ai governatori militari, ai delegati imperiali e a tutti gli inviati delle nazioni straniere; essi hanno i loro servi, cuochi e servitori di ogni tipo che preparano piatti per i pasti, e la città non si immischia in niente nei loro affari, perché gli Slaveni recuperano essi stessi i fondi necessari da ripartire e contribuire presso la loro comunità. E lo stesso molto accorto Leone, l’imperatore mai dimenticato, emise una crisobolla che contiene un resoconto dettagliato di ciò che queste stesse persone sottomesse al metropolita devono fornire, proibendo di sfruttarle o fare loro alcun male ingiustamente. 50. Gli Slavi nel thema di Peloponneso, i Milingoi e gli Ezeritai, il loro tributo, e in modo simile la città di Maina e il suo tributo. Gli Slavi della provincia del Peloponneso si rivoltarono all’epoca dell’imperatore Teofilo1 e di suo figlio Michele2, diventarono indipendenti, saccheggiando, riducendo in schiavitù, rubando e bruciando. E sotto il regno del figlio di Teofilo, Michele, il protospatario Teoctisto3, soprannominato 1 Imperatore bizantino dall’ottobre 829 al gennaio 842. 2 Michele III detto l’Ubriacone, imperatore dall’842 all’867. 3 Teoctisto il logoteta fu ministro bizantino per quattordici anni e favorito dell’imperatrice 73 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Bryennius, fu inviato come strategos del thema del Peloponneso con una importante e potente forza, cioè Traci, Macedoni e altri uomini delle province occidentali, per fare la guerra e sottometterli. Egli sottomise e controllò tutti gli Slavi e altri insubordinati del thema del Peloponneso, e solo gli Ezeritoi e i Milingoi furono salvati1, verso Lacedemonia2 e Helos. E siccome là c’è una grande e molto alta montagna chiamata Pentadaktylos 3 che funziona come una lunga propaggine nel mare, e poiché il posto è di difficile accesso, si insediarono sui lati di questa stessa montagna, i Milingoi da un lato, e gli Ezeritoi dall’altro. Teoctisto il suddetto protospatario, strategos del Peloponneso, essendo riuscito a sottometterli, fissò loro un tributo di 60 nomismata per i Milingoi, e di 300 nomismata per gli Ezeritoi, ed essi presero l’abitudine di pagarlo allo strategos, poiché questo stato di fatto è stato conservato finora dagli abitanti locali. Ma sotto il regno dell’imperatore Romano [Lecapeno], il protospatario Giovanni Proteuon4, strategos di questo stesso thema, segnalò ancora allo stesso signore Romano che i Milingoi e gli Ezeritoi si ribellavano e non obbedivano né allo strategos, né agli ordini imperiali, considerandosi praticamente indipendenti e autonomi e non accettando che un uomo fosse designato alla loro guida dallo strategos; non tenevano in alcun conto gli ordini dei militari sotto di lui, né pagavano altri dovuti al tesoro. Quando il suo rapporto ebbe fatto il suo cammino, si vide arrivare il protospatario Krinitis Arotras che fu nominato strategos del Peloponneso, e quando la relazione del protospatario Giovanni Proteuon, strategos del Peloponneso, arrivò e fu letta in presenza dell’imperatore, il signore Romano, la qual lettera conteneva notizie sulla ribellione degli Slavi suddetti e sulla loro reticente obbedienza, o più esattamente, sulla loro disobbedienza agli ordini imperiali, questo stesso protospatario Krinitis fu incaricato, perché erano così lontano dalla sommossa e dalla disobbedienza, di marciare contro di loro, di batterli e di sottometterli o sterminarli. E, cominciando la guerra contro di loro nel mese di marzo bruciando i loro raccolti e saccheggiando tutte le loro terre, essi si mantennero sulla difensiva e resistettero fino al mese di novembre, poi, visto che sarebbero stati massacrati, chiesero di negoziare la pace e il perdono dei misfatti passati. È allora che il protospatario e strategos Krinitis già citato, fissò dei tributi più importanti di quelli che avevano pagato: per i Milingoi 540 nomismata oltre ai 60 che pagavano prima, in modo che il loro tributo totale fosse di 600 nomismata, e agli altri, gli Ezeritoi 300 nomismata di più dei 300 che pagavano precedentemente, in modo che il loro tributo totale fosse di 600 nomismata; questo stesso protospatario 1 2 3 4 Teodora, vedova di Teofilo, reggente dell’Impero durante la minore età del figlio Michele III. Fu fatto assassinare da Michele III nell’856, su istigazione del fratello di Teodora. Sia gli Ezeritoi (o Ezeriti) che i Milingoi (o Melingoi) – tribù slave che mantennero a lungo la loro identità – erano insediati in Laconia, ai piedi del monte Taigeto. Oggi Sparta. La catena montuosa del Taigeto, detta Pentadaktylos dai Bizantini. Proteuon significa governatore. 74 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Krinitis esigette e trasmise questi tributi al sacelliario1. Ma dopo il trasferimento del protospatario Krinitis verso il thema dell’Ellade il protospatario Bardas Platypodis2 fu nominato strategos del Peloponneso; dei disordini e delle rivolte si verificarono a causa dello stesso protospatario Bardas Platypodis, tra protospatari e notabili che prendevano ciascuno le loro parti; [lo strategos e i protospatari] espugnarono il protospatario Leone Agelastos dal thema, e immediatamente gli Slavesiani3 attaccarono questo stesso thema; questi Slavi stessi, i Milingoi e gli Ezeritoi, inviarono al sovrano, l’imperatore Romano, una richiesta per pregarlo di annullare gli aumenti di tributo perdonando loro, poiché potevano pagare soltanto quello che pagavano prima. E poiché gli Slavesiani erano entrati nel thema del Peloponneso, come detto sopra, l’imperatore, temendo che potessero unire le loro forze agli Slavi e comportare la perdita totale di questo stesso thema, emanò per questi ultimi una crisobolla restaurando il tributo precedente sotto riserva che fosse pagato, 60 nomismata per Milinguoi, e 300 nomismata per gli Ezeritoi. Tale fu dunque la causa dell’aumento del tributo ai Milingoi e agli Ezeritoi, e la restaurazione del vecchio. Gli abitanti della città di Maina4 non sono della razza degli Slavi summenzionati, ma antichi Romani, ed anche finora, gli abitanti locali li chiamano Elleni, perché in tempi molto antichi, erano idolatri e ammiratori di immagini come gli antichi Elleni; essi furono battezzati e diventarono cristiani sotto il regno del glorioso Basilio5. Il luogo dove vivono è senz’acqua, inaccessibile, crescono gli ulivi da cui estraggono la loro sussistenza; esso è situato al Capo Malea, cioè, al di là di Ezeron verso la costa. Vedendo che sono perfettamente sottomessi e accettano come capo uno strategos, tengono conto ed obbediscono agli ordini dello strategos, pagano da tempi molto arretrati, un tributo di 400 nomismata. Il thema di Cappadocia fu nel tempo una turma del thema di Anatolikon. Il thema di Cefalonia, o le isole6, da allora fu sempre una turma della Longobardia, ma diventarono un thema all’epoca di Leone, il sovrano amante Cristo. Il thema della Calabria fu nel tempo un ducato del thema di Sicilia. Il thema di Charsianon fu a lungo una turma del thema di Armeniakon. All’epoca di Leone, il sovrano amante Cristo, una banda7 si staccò dal thema di Boukellarion per unirsi al thema di Cappadocia8, cioè la guarnigione di Barreta, la guarnigione di Balbadona, la guarnigione di Aspona e la guarnigione di Akarkous; e del thema di Anatolikon al thema di 1 Funzionario amministrativo e per le finanze. 2 Bardas (o Vartas) «dai piedi piatti». 3 Venivano chiamati “Slavesiani” gli Slavi (forse mercenari) dell’Asia Minore insediati nel Peloponneso. 4 Una delle quattro penisole greche nel Peloponneso meridionale. 5 Basilio I. 6 Il thema di Cefalonia (Khephalenia) comprendeva anche Corfù. 7 Forza di 300-400 uomini. 8 Verso l’895. 75 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Cappadocia furono trasferite le banda seguenti, cioè la guarnigione di Eudokias la guarnigione di Haghios, la guarnigione di Agapitos e la guarnigione di Aphraseia; e queste sette banda, cioè le quattro di Boukellarion e le tre di Anatolikon diventarono una turma, ora chiamata Kommata. All’epoca di Leone, il sovrano amante Cristo, le bande seguenti furono trasferite dal thema di Boukellarion verso il thema di Charsianon, cioè, la guarnigione di Myriocephalon, la guarnigione di Timios, la guarnigione di Stavros e la guarnigione di Verinoupolis e diventarono la turma ora chiamata Saniana; e dal thema di Armeniakon verso il thema di Charsianon furono staccate le bande seguenti, cioè, la guarnigione di Komodromos, la guarnigione di Tabia, e furono aggiunte allo stesso thema di Charsianon. Dal thema di Cappadocia al thema di Charsianon furono trasferite le turme seguenti, cioè la turme di Kases, e la guarnigione di Nissa con Cesarea. Occorre sapere che in passato il thema di Chozan era sotto la dominazione dei Saraceni, come la città di Asmosat1. Chanzit e Romanopolis2 erano punti di passaggio sulla frontiera dei Meliteniani 3. E della montagna di Phatilanon, tutto ciò che era oltre apparteneva ai Saraceni; Tekis4 apparteneva a Manuel5. Kamacha era la turma estrema del thema di Colonia e la turma di Keltzene era in Chaldia. La Mesopotamia non era un thema a quell’epoca. Ma Leone, l’imperatore indimenticabile amante Cristo, fece venire il suddetto Manuel di Takis promettendogli l’immunità, e lo portò a Costantinopoli dove lo fece protospatario. Questo stesso Manuel aveva quattro figli, Pankratoukas, Iachnoukas, Mudaphar e Ioannis. Il basilieus nominò Pankratoukas, comandante degli Ikanatis, quindi dopo lo strategos di Boukellarion, Iachnoukas fu nominato strategos del thema di Nikopolis; Mudaphar e Ioannis ricevettero delle terre imperiali a Trebisonda e egli li onorò tutti di dignità conferendo loro molti favori. Poi il Basilieus costituì il thema di Mesopotamia, ne nominò strategos Oreste, il famoso Charsianite, e decise allora che la turma di Kamacha, staccata da Koloneia facesse parte di questo thema di Mesopotamia. Collegò anche allo stesso thema la turma di Keltzene. Tutto ciò era allora sotto la sovranità romana; all’epoca dell’imperatore Romano, Romanopolis e Chanzit furono aggiunte al thema di Mesopotamia. All’epoca di Leone, il sovrano amante Cristo, Larissa era una turma di Sebasteia come Kymbalaios una turma del Charsianon; il Symposion era un deserto fiancheggiante la regione di Lykandos. Durante il suo regno, l’indimenticabile imperatore Leone, che amava Cristo, richiamò dall’esilio Eustazio Argyros e lo nominò strategos del thema 1 2 3 4 5 Arsamosata. Città del thema di Mesopotamia. Abitanti della città di Metilene (oggi Malatya). Provincia del thema di Mesopotamia abitato dagli Armeni.] In seguito Manuel cedette Tekis all’imperatore Leone VI, quindi tra l’886 e il 912, come spiegato più avanti. 76 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it di Charsianon mentre Melias1 si era ancora rifugiato a Melitene. Vasak2 e i suoi due fratelli, Krikorikis e Pazunis, e Ismael l’Armeno, scrissero allo stesso tempo ad Argyros e all’imperatore. Essi chiedevano inizialmente che fosse concesso loro tramite crisobolla il permesso di ritornare, che Vasak e i suoi fratelli fossero insediati a Larissa nominando Vasak clisurarca3 di Larissa, Ismael, clisurarca del Symposion, e Melias clisurarca di Trypia in Euphrateia, cosa che fu fatta. Essi fecero incursioni a Melitene e quando Ismael morì il Symposion restò deserto. E quando Vasak fu accusato di aver complottato un tradimento ed esiliato, Larissa diventò ancora una volta una turma di Sebasteia e Leone Argyros, figlio di Eustazio fu nominato strategos, colui che diventò più tardi magistros e domestikos. Ma Melias aveva la sua sede a Euphrateia, e quando Costantino Doukas fu nominato in Charsanion, questo Melias suddetto venne a prendere possesso dell’antica città di Lykandos, la ricostruì, la fortificò e prese il suo posto; e fu chiamata una clisura da Leone, l’imperatore amante Cristo. Dopo ciò, passò da Lykandos alla montagna di Tzamandos dove costruì la città che è là ora, e anch’essa fu designata una clisura. E prese così possesso di Symposion e ne fece una turma. Durante il primo regno di Costantino, il sovrano che amava Cristo, quando sua madre Zoe gli fu associata, Lykandos diventò un thema, e il primo strategos a essere nominato fu Melias il patrikios, che era, certamente, allora, patrikios e clisurarca di Lykandos. E ciò anche Melias, allo stesso tempo per la sua fedeltà verso l’imperatore dei Romani, e per le sue numerose imprese e di audacia infinita contro i Saraceni, fu in seguito onorato della dignità di magistros. Avara fu di solito una turma dipendente dal thema di Sebasteia, ma all’epoca dell’imperatore Romano, diventò una clisura. Una vecchia legge tradizionale stabilita che, il catapano4 del Mardaiti di Attalia5 fosse nominato certamente dagli imperatori; e dunque Leone, l’imperatore di beata memoria, nominò catapano Stauracius, chiamato Platys, il quale fornì un servizio notevole per molti anni, ma organizzò male le cose verso la propria fine. Perché quando il protospatario e asecretis6 Eustazio, della cancelleria imperiale, fu inviato come strategos del thema di Kibyrrhaioton, alcune gelosie e litigi si realizzarono tra loro, e a volte Stauracius Platys, che si sosteneva sul patrikios Himerius7, logoteta del dromo, come con qualcuno che era stato il suo intermediario presso l’imperatore, l’iniziativa del suo assistente Eustazio opponendosi anche 1 O Mleh, generale di Lykandos morto nel 934. 2 O Baasakios. 3 Funzionario di importanza inferiore dello stratega e di solito agli ordini del protospatario. La clisura è infatti una fortezza. 4 O catepano, alto ufficiale bizantino. 5 O Adalia, o Antalya, in Turchia. 6 Consigliere dell’imperatore. 7 O Imerio, ammiraglio bizantino, era zio dell’imperatrice Zoe Carbonopsina, quarta moglie di Leone VI. 77 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it semplicemente a lui nei domini in cui lo vide agire o dare ordini oltre alla sua competenza; a volte, d’altra parte, l’assistente Eustazio contraddiceva Stauracius e formulava numerose macchinazioni e accuse fallaci contro di lui. Per questa ragione, Eustazio fece una relazione sfavorevole su Stauracius, dicendo: «La provincia di Kibyrrhaioton non può avere due strategoi, io e Stauracius, catapano dei Mardaitis, poiché se do un insieme di ordini e tento di farli eseguire, il catapano del Mardaitis farà qualcosa di diverso, e, essendo il suo padrone lui agisce da pazzo». Egli segnalò altre false accuse di altri e controbatté molte affermazioni montate con cura contro di lui, creandone altre che avevano un’aria di verosimiglianza e altre che erano calunniose e violente. Scrisse queste cose, sostenendosi naturalmente sul patrikios e logoteta Himerius. Ma a quell’epoca Eustazio e Stauracius erano meglio disposti l’uno verso l’altro, benché in seguito, tutti e due si inimicassero, manifestassero odio l’uno verso l’altro e fossero motivati dalla rabbia. In questo modo, dunque, il resoconto di Eustazio fu accettato dall’imperatore che fu convinto dal patrikios Himerius a concedergli la dignità di strategos. Ma poiché l’imperatore di beata memoria era morto, suo fratello Alessandro1 prese il potere; era stato sempre onorato dal suo fratello defunto, ma era un uomo depravato e persuaso da cattivi consiglieri, egli non prolungò la funzione del stesso Eustazio ma lo sostituì con un altro. È allora che il famoso protospatario Chase, che era di razza saracena, per il suo spirito, per i suoi costumi, e per le sue credenze era restato saraceno; eunuco del patrikios Damian, che usufruiva delle buone grazie di Alessandro, indusse l’imperatore a sostituire Eustazio come strategos del thema di Kibyrrhaioton con suo fratello Niceta. Ora, questo Niceta, fratello del suddetto Chase, presentò una richiesta all’imperatore, dicendo: «Poiché sono vostro vecchio amico, è normale che mi accordiate un favore, e io ho una cosa da chiedere alla vostra maestà imperiale». L’imperatore, essendo preso alla sprovvista, domandando a sua volta ciò che poteva essere questa richiesta promise di concedergli tutto ciò che volesse, il suddetto Niceta fece la sua domanda, dicendo: «Sollecito che vostra maestà imperiale nomini mio figlio catapano dei Mardaitis di Attalia». Accogliendo la domanda, l’imperatore nel corso della processione del chrysotriclinium2 nominò il figlio del protospatario Niceta, lo spatarocandidato Abercius, catapano dei Mardaitis di Attalia; come prima era stato designato così Stauracius, dall’imperatore, come si è detto, utilizzando la legge tradizionale. All’epoca dell’imperatore Teofilo, lo ostiaros3 Scholastikios fu 1 Alessandro (870-913), figlio di Basilio I e fratello di Leone Vi. Restò sul trono circa un anno. 2 Nel Chrysotriclinium o Chrysotriclinus, un palazzo imperiale di Costantinopoli non pervenutoci, si svolgevano le cerimonie solenni come il ricevimento degli ambasciatori, il conferimento di dignità, cerimonie religiose, banchetti. 3 Eunuco con funzioni di vigilanza. 78 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it parakimomenos1, quindi dal tempo di Michele2, figlio di Teofilo, fu il patrikios Damianos3 e dopo di lui, durante lo stesso regno, Basilio, l’imperatore amante Cristo, che fu parakimomenos4. All’epoca di Basilio, il sovrano amante Cristo, egli non ebbe un parakimomenos durante tutto il suo regno. All’epoca di Leone, l’imperatore amante Dio, il patrikios Samonas fu parakimomenos5, e dopo di lui, durante lo stesso regno, lo fu il patrikios Costantino6. All’epoca dell’imperatore Alessandro, il patrikios Barbatus fu parakimomenos, e al tempo di Costantino, il sovrano amante Cristo, il patrikios Costantino, già citato all’epoca dell’imperatore Leone, fu nuovamente parakimomenos; all’epoca dell’imperatore Romano, fu il patrikios Theophane, e durante il secondo regno di Costantino, il patrikios Basilio. È all’epoca di Leone, l’indimenticabile imperatore amante Cristo, che visse il famoso Ktenas, un anziano chierico di grande ricchezza, che era cantore della nuova chiesa e controllava il canto come nessun altro del suo tempo. Questo stesso Ktenas supplicò il patrikios Samonas, che era all’epoca parakimomenos, di intercedere in suo favore presso l’imperatore per farlo titolare protospatario, permettergli di andare nella galleria del Lausiacon per avere il rango di protospatario e ricevere una roga di una libbra7; in cambio poteva dare quaranta libbre all’imperatore. Ma fu impossibile all’imperatore, poiché elevare un chierico a protospatario non era in suo potere e indegno della sua maestà imperiale. Apprendendo ciò dal patrikios Samonas, questo stesso Ktenas aggiunse alle quaranta libbre, un paio di orecchini del valore di dieci libbre, e una tavola d’argento, dorata e incisa con animali, anch’essa ritenuta di dieci libbre. E l’imperatore, supplicato dal patrikios e parakimomenos Samonas, accettò le quaranta libbre d’oro, il paio di orecchini e la tavola d’argento, dorata ed incisa con animali, in modo che il regalo totale dello stesso Ktenas ammontava a sessanta libbre. Allora l’imperatore lo fece protospatario, e ricevette in quell’occasione una roga di una libbra. Dopo essere stato onorato della dignità di protospatario, questo stesso Ktenas visse due anni, quindi morì, e ricevette la roga di una libbra per ciascuno dei due anni. 1 O parakoimomenos o paracoemumene, alto funzionario equivalente a gran ciambellano. 2 Michele III. 3 Slavo di nascita fu parakimonenos per meno di un anno. 4 Il futuro imperatore Basilio I, unico non eunuco, fu parakimomenos dall’865 all’867, posizione che gli permise di avvicinare Michele III per organizzare il suo assassinio e prepararsi al trono. 5 Arabo di nascita ma convertito, l’eunuco Samonas si ingraziò Leone VI rivelandogli un complotto. Per questo fu nominato parakimomenos e colmato di ricchezze e per 15 anni (896-911) fu il favorito dell’imperatore. Tuttavia, avendo calunniato i potenti, compreso l’imperatore, perse titoli e ricchezze e fu rinchiuso in un monastero. 6 Costantino diventò parakimomene nel 908, fu sospeso nel 912, riabilitato nel 914 e sostituito nel 919 7 Pagamento annuale in oro a funzionari statali, militari, ecclesiastici e civili. 79 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it 51. Perché fu costruito il dromone imperiale, i suoi protokarabos8 e tutto ciò che tocca ai protospatari di Phialis Fino al regno di Leone2, il glorioso e molto saggio imperatore, non c’era un dromone3 dove l’imperatore potesse imbarcarsi; egli aveva l’abitudine di montare su una barca rossa, tranne che, all’epoca dell’imperatore Basilio, amante Cristo4, quando questo stesso imperatore andò alle terme di Prusa5, quindi di nuovo quando partì per controllare il ponte di Rhegion6 che era, certamente, in costruzione per suo ordine e per la Provvidenza, egli s’imbarcò su un dromone e un altro lo seguì. Ed i rematori che si imbarcarono furono presi dalla nave imperiale e i marinai vennero dallo Steniton7, poiché Stenon aveva da tempo un massimo di dieci chelandia nella flotta imperiale. Ma, dopo l’imperatore di beata memoria, la maggior parte dei suoi spostamenti riguardavano sempre il palazzo di Pegai che vi aveva costruito, e per la stessa ragione verso Hebdomon, Hiereia e di Bryas8, aveva l’abitudine di montare a bordo di un agrarion9, secondo la vecchia usanza. Ma per uno spostamento più lontano, le terme di Prusa per esempio, o il controllo del ponte di Rhegion, s’imbarcava, come ho detto più sopra, su una galea, e un’altra galea seguiva, perché un grande numero di nobili saliva con l’imperatore, e gli altri seguivano a bordo della seconda nave. Ma il glorioso e molto saggio Leone, imperatore, sempre interessato dell’ospitalità da accordare a magistroi, patrikioi e familiari di rango senatoriale, e sempre desideroso di fare condividere il proprio piacere si accorse che l’agrarion era troppo piccolo per ricevere un maggior numero di nobili, e fece costruire un dromone; vi si imbarcò sempre in qualunque posto andasse. E venivano con lui tutti quelli che voleva vedere fra i notabili, tanto magistroi che patrikioi. Perché, sull’agrarion la norma era che nessuno si potesse imbarcare con l’imperatore, eccetto: il drungarios della Vigiliae10, il drungarios della flotta, il logoteta del dromo, l’eteriarca, il protasekretis11, il mystikos12 e, anche quando era presente a Costantinopoli, il domestikos delle Scholae, e il parakimomenos e il protovestiarios 13 e dei cubicolari14 e chiunque l’imperatore avesse chiesto. Per questa ragione, 8 O protokaravos: co-capitani di una nave. 2 Leone VI, padre di Costantino VII. 3 Una galea spaziosa per accogliere l’imperatore e i dignitari. Lunga, agile manovrabile era a remi. 4 Basilio I. 5 Ora Bursa. 6 Ora Reggio Calabria. 7 La regione degli stretti. 8 Rispettivamente, Pegai (o Pigae), Hebdomon (oggi Bakırköy), Hiereia (o Hieria, oggi Fenerbahçe) e Bryas. Erano sobborghi di Costantinopoli. 9 Imbarcazione veloce a vela. 10 Nome di uno dei quattro corpi dell’armata imperiale. 11 Capo degli asēkrētai, la classe più elevata dei notai imperiali. 12 Importante carica nella cancelleria, forse il segretario particolare dell’imperatore. 13 Carica politica svolta solitamente da un parente dell’imperatore. 14 Un tempo il cubicolare ero lo schiavo addetto alla camera da letto dell’imperatore, poi passò a indicare persona vicina all’imperatore, consigliere. 80 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it allora, Leone, l’imperatore glorioso e molto saggio, fece costruire il dromone, e, qualche tempo dopo, ne costruì anche un altro, conosciuto come “il secondo” e nominato “accompagnatore”. Perché questo imperatore di beata memoria, si muoveva lontano, a Nicomedia per esempio, al monte Olimpo1, a Pythia2, ed egli quindi aveva due galee specialmente concepite per l’uso e gli svaghi di se stesso e dei suoi nobili. Quando non partiva lontano, lasciava spesso una delle brigate dietro l’Ippodromo per garantire la guardia del palazzo, perché questo distaccamento dello Arithmos, secondo l’antica usanza che ebbe poi forza di legge, è diretta in tempo di guerra dal domestikos e questi distaccamenti restano nell’Ippodromo e non si muovono con gli imperatori in modo abituale. Dall’inizio, il protospatario della Phiale3 fu nominato dall’imperatore, e il protospatario della Phiale utilizzato controllava ed aveva sotto i suoi ordini tutti i vogatori degli agrarion imperiali, rossi e neri, a eccezione di quelli dell’imperatrice; poiché quelli là, rossi e neri, erano sotto il controllo e l’autorità del domestikos dell’imperatrice. Sotto il regno di Leone, il glorioso e molto saggio imperatore, quando le nuove galee furono costruite su ordine imperiale, questo stesso protospatario della Phiale aveva anche sotto la sua autorità, i vogatori di queste galee. Infatti, il protospatario della Phiale suddetto doveva, secondo un’antica tradizione, scendere ogni giorno, nel pomeriggio, per prendere il proprio posto nel bacino (ragione per la quale fu chiamato protospatario della Phiale), per giudicare le vertenze tra vogatori, tanto sugli agrarion che sui dromoni, per i quali aveva autorità di emettere la sua sentenza e amministrarla conformemente alla legge. E ogni volta che trovava qualcuno che agiva al di fuori delle sue competenze, facendo torto a un altro o che trascurava il suo lavoro, lo faceva vigorosamente frustare. E, come si è detto, tutti i vogatori di dromoni e di agrarion. dell’imperatore, in rosso e nero, erano sotto la conduzione e la supervisione del protospatario della Phiale. Ma gli agrarion dell’imperatrice, rossi e neri, erano sotto la conduzione e la sorveglianza del domestikos dell’imperatrice, anche se certamente il domestikos rendeva conto dell’amministrazione di questi agrarion all’imperatore stesso e non all’imperatrice. Il magnanime e molto pio imperatore Leone nominò all’inizio per protospatario Giovanni chiamato Thalasson, e dopo di lui i protospatari Podaron e Leone l’Armeno, padre del protospatario Arsenio. Questi, il protospatario Podaron e il protospatario Leone l’Armeno erano stati i primi capi vogatori del patrikios Nasar4 il drungarios, e all’epoca di Basilio, amante Cristo, essi furono promossi e diventarono primi vogatori della nave dell’imperatore. Sotto il regno di Leone, il glorioso e molto saggio imperatore, quando le galee furono costruite, li nominò protokarabos per la 1 2 3 4 Olimpo della Misia, o Uludağ. Antica Pylai, oggi Yalova, sul Mar di Marmara. Letteralmente, “fontana”. Basilio Nasar, capo militare della marina, corrispondente all’ammiraglio, nella seconda metà dell’800. 81 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it loro bravura e la loro esperienza di mare. E in caso di pericolo, l’imperatore staccava i protokaraboi dei due dromoni e i protelatoi1 della prima galea, verso le navi da guerra della flotta, dando loro tutto il materiale necessario, come scudi, targhe2 di cuoio, maglie di ferro molto fini e tutto ciò che un marinaio ha necessità di portare via con sé; il patrikios Eustazio, drungarios della flotta, aveva l’intenzione di combattere il nemico. E al loro posto la galea imperiale era controllata da Michele l’anziano e il compianto Michele il prudente, allora primi vogatori. E in attesa del ritorno dei vogatori imperiali, coloro che remavano erano dei distaccamenti dello Stenon. Ma quando tornarono alla campagna, essi ripresero lo stesso lavoro di prima. Quindi l’imperatore, per ricompensare, per così dire, Podaron per la bravura che aveva mostrato e perché aveva incoraggiato tutti gli altri nella battaglia, aveva ricevuto una testimonianza personale del patrikios e drungarios della flotta Eustazio, che non esisteva, nella flotta, persona come lui per bravura, energia e altre qualità, in particolare per la sua devozione e la sua fedeltà innegabile verso l’imperatore, [cosicché l’imperatore] gli diede la carica di protospatario della Phiale. Ma poiché [Podaron] era un illetterato, per ordine dell’imperatore, di solito un giudice dell’Ippodromo scendeva e si aggiungeva a lui nel bacino per giudicare i vogatori. Ma gli agrarion dell’imperatrice, come si è detto prima, erano sotto il controllo del domestikos dell’imperatrice. Dopo ciò, l’imperatore nominò Podaron e Leone l’Armeno protokaraboi della flotta imperiale, e come protelatos del suo dromone, nominò Michel l’anziano, all’epoca primo vogatore della galea che era stato secondo vogatore sul dromone di Basilio, il sovrano amante Cristo; e un altro Michele, chiamato Barkalas, aveva prima servito nella marina come primo vogatore del drungarios della flotta quando il patrikios Eustazio trasportò i Turchi e batté Simeone, principe della Bulgaria3. Ora, questo Simeone, principe di Bulgaria, apprendendo che la flotta risaliva il fiume, e che la marina trasportava i Turchi contro di lui, installò catene e barriere, molto solide e resistenti, che i Turchi non dovevano poter superare, e grazie a questo dispositivo, i Turchi furono dapprima impediti di scendere a riva. Ma il suddetto Michele Barkalas e altri due marinai presero i loro scudi e le loro spade e, saltando dalla nave di guerra, si scagliarono bravamente e con audacia, abbatterono le catene e le barriere e aprirono il passaggio ai Turchi. I Turchi, vedendo Barkalas, ammirarono molto il suo coraggio perché da solo, seguito dai due marinai, fu il primo ad abbattere le barriere, e, ammirati, dichiararono che quest’uomo doveva essere nominato patrikios e drungarios. L’imperatore, messo al corrente allora del coraggio di Barkalas, lo nominò secondo vogatore della galea imperiale. Successivamente, quando Podaron e Leo diventarono protokaraboi della flotta, Michel l’anziano e questo Barkalas furono nominati protelatoi della galea. Il suddetto Leone l’Armeno, padre del defunto protospatario Arsenio, il 1 Primi timonieri. 2 Piccoli scudi. 3 Nel 895 o 896. 82 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it manglabite, morì viceammiraglio della flotta, ma il protospatario Podaron, alcuni anni dopo, fu nominato governatore militare del thema del Kibyrrhaioton. Quando Podaron diventò protokarabos, il protospatario Teofilatto Bimbilidis fu nominato protospatario della Phiale, egli era il nipote del protospatario Giovanni, chiamato Thalasson, e continuò alcuni anni all’inizio del regno di Costantino Porfirogenito, il sovrano amante Cristo. Alla sua morte, Michele il suddetto anziano era realmente diventato vecchio, aveva servito per molti anni come protelatos, e fu elevato alla dignità di protospatario quindi fu anche nominato protospatario della Phiale. E quando l’imperatore s’imbarcava sul dromone nel bacino, indicando uno spostamento o un altro posto, questo amabile vecchio, sempre memorabile per la sua esperienza in mare, si teneva in mezzo al dromone, incitando ed esortando i vogatori a tirare e a remare con più vigore, istruendo allo stesso tempo i protelatoi del giorno sul modo di maneggiare i timoni e controllare la nave imperiale quando i venti soffiavano smisuratamente. Finì per morire, e a causa della gioventù dell’imperatore e dell’indiscrezione del patrikios e parakimomenos di Costantino, il compianto Theodoto a quell’epoca primo vogatore, fu nominato protelatos e onorato a diverse riprese del rango di candidato, strator1, spatario, protospatario e protospatario della Phiale; era il genero di Michele l’anziano. Anche se l’antica tradizione non aveva mai visto un protelatos dell’imperatore nominato, o onorato del rango di protospatario, o anche di spatarocandidato, piuttosto sarebbe stato un candidato o uno strator, al massimo uno spatario. E all’epoca di Leone, il glorioso e molto moraleggiante, il solo Michele fu onorato del titolo di spatario e successivamente di spatarocandidato . Ma in ragione, come ciò è stato detto, della gioventù dell’imperatore e dell’indiscrezione del patrikios Costantino il parakimomenos, dei protelatoi diventarono spatarocandidati e questo Michel, spatario. Ma quando l’imperatore Romano [Lecapeno] accedette al palazzo e, in un modo o in un altro, s’impossessò del trono, sostituì Theodoto perché quest’ultimo aveva dell’affetto per Costantino, il sovrano e l’imperatore amante il Cristo, e inoltre lo fece frustare, tonsurare e condannare all’esilio perpetuo, dove completò la sua vita; ma l’imperatore Romano lasciò in luogo il celebre Costantino Loricatus, il suo collega protelatos, perché il timore lo disponeva a suo vantaggio e che aveva rinunciato, in un documento scritto di sua mano, alla sua affezione ed alla sua amicizia per l’imperatore Costantino; l’imperatore Romano lo alzò inizialmente al titolo di spatarocandidato, quindi di primo vogatore, nominandolo in seguito protospatario del bacino, e poco dopo egli l’elevò al rango di protospatario. Ora, quest’uomo, mandò una memoria all’ecclesiastico Giovanni, al quale Dio permise di diventare rettore, suggerì questo all’imperatore Romano, di beata memoria: «Il protospatario Teofilatto, il domestikos dell’imperatrice, siccome è nominato ed è il 1 Soldato messaggero. 83 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it sostegno della madre dell’imperatore1 e dell’imperatore stesso, deve necessariamente essere in accordo con i suoi padroni e benefattori. D’altronde, quale necessità c’è per gli uomini degli agrarion del bacino di essere distribuiti tra due autorità? Perché il domestikos dell’imperatrice, mosso dalla sua amicizia per l’imperatore e l’imperatrice, può indurre in errore i marinai degli agrarion dell’imperatrice, che sono sotto il suo controllo, e forse anche i vogatori dei dromoni; ed essi organizzeranno allora una sommossa contro la vostra maestà imperiale». Con queste parole, egli guadagnò questo rettore cattivo e scaltro, e attraverso lui l’imperatore. Perché è facile per una testa leggera e un cuore indiscreto essere sedotto e lasciare presa a ogni parola maliziosa e al sospetto. Parlò così e li convinse, e, dopo ciò, ricevette anche il controllo degli agrarion dell’imperatrice. E da allora, è diventata norma per il protikabaros del dromone imperiale di avere la responsabilità e di esercitare la sua autorità su tutti i vogatori, tanto sui dromoni imperiali che sugli agrarion dell’imperatrice, pur essendo solo protospatario della Phiale. All’epoca di Leone, l’imperatore sempre memorabile e amante Cristo, una domanda fu fatta dalle province dell’ovest, dall’intermediario del protospatario Leone Tzikanes, vecchio strategos: si propose di dare del denaro contante in sostituzione del servizio militare. E di nuovo, all’epoca dello stesso imperatore amante Cristo e sempre memorabile Leone, del denaro contante fu proposto dalle province dell’ovest, per l’intermediario del magistros Giovanni Eladas2, allora patrikios. Inoltre quando lo imperatore romano previde una spedizione in Italia con le forze del Peloponneso, il protospatario Giovanni Proteuon strategos del thema del Peloponneso, questi stessi Peloponnesiani preferirono non essere e dare in compenso un migliaio di cavalli sellati ed imbrigliati, e una somma di cento libbre d’oro che fornirono del resto molto rapidamente. 52. Richieste di cavalli nella provincia del Peloponneso al tempo dell’imperatore romano come indicato in precedenza Per il metropolita di Corinto, quattro cavalli; per il metropolita di Patrasso, quattro cavalli; per tutti i vescovi della provincia, due cavalli ciascuno; per i protospatari, due cavalli ciascuno; per gli spatari, gli stratores3, un cavallo ciascuno, per i monasteri imperiali e patriarcali, due cavalli ciascuno; per i monasteri arcivescovili, metropoliti e vescovi, due cavalli ciascuno; per i monasteri senza risorse, un cavallo per due persone; non fornire cavalli ai detentori di dignità imperiale4, marinai, pescatori di murex5, fabbricanti di pergamene. 1 2 3 4 Zoe Carbonopsina. Uno dei tutori di Costantino Porfirogenito. Soldati messaggeri (plurale di strator). Chi aveva dignità imperiale era esentato dal servizio militare e dal pagamento di alcune imposte. 5 Molluschi da cui si otteneva la porpora. 84 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Una richiesta di cinque nomismata ciascuna fu fatta da tutte le forze armate del Peloponneso, in vista del servizio militare; e per quelli privi di alcun mezzo, per cinque nomismata per due. E così si formavano le cento libbre d’argento già menzionate in moneta. 53. Resoconto della città di Cherson1 Diocleziano regnava a Roma2, Themistou figlio di Themistoy, Sauromata, era stefanoforo3 e protevon4 dei Chersoniti. Allora il bosporiano5 Criscon figlio di Orus riunì un esercito di Sarmati, di quelli che dimorano vicino a Palus e dichiarò guerra ai Romani, devastò dapprima Lazon6 e poi si portò al di là il fiume Halys7. Diocleziano avendo saputo che il paese di Lazon e il Pontico8 erano stati devastati, inviò un esercito contro i Sarmati e ne diede l’ordine al tribuno Costanzo9 quest’ultimo andò al fiume Halys, ed impedì ai Sarmati di passarlo; ma non poté combatterli con successo, perciò pensò ad altri mezzi per farli tornare indietro. Il migliore gli parve quello di eccitare contro i Sarmati i Bosporiani e gli altri abitanti di Palus, perché questi, preoccupando le famiglie dei Sarmati, li forzassero a tornare da loro. Costanza scrisse dapprima all’imperatore perché pregasse i Chersoniti di dichiarare guerra ai Sarmati e di istigare contro di loro tutti i popoli delle vicinanze. L’imperatore lo fece e impegnò i Chersoniti ad attaccare e distruggere le famiglie dei Bosporiani e dei Sarmati. Il protevon dei Chersoniti era allora Chrestus, figlio di Papias, che appoggiò presso i suoi concittadini la domanda dell’imperatore. I Chersoniti si prepararono alla guerra, e fecero fare dei carretti, che caricarono di chirobaliste o di baliste10 che li si faceva andare con la mano. I Chersoniti si avvicinarono la notte dalla città dei Bosporiani, fecero delle imboscate e in seguito fecero finta di attaccare; ma quest’attacco non era che simulato, i Chersoniti fuggirono durante la notte e abbandonarono i loro carri da guerra e le chirobaliste che vi erano sopra. La mattina i Bosporiani uscirono dalle loro mura e vedendo ancora alcuni Chersoniti che fuggivano, presero le loro chirobaliste e se ne servirono inseguendoli. Allora coloro che erano nelle imboscate ne uscirono circondarono i Bosporiani e li uccisero fino all’ultimo. I Chersoniti diventarono padroni della città di Bosporus, di tutti i borghi che sono su Palus e delle famiglie sarmate; ma uccisero soltanto coloro che avevano le armi in mano. E così i Chersoniti diventarono padroni del 1 2 3 4 Gli storici sono concordi nel ritenere questo capitolo non scritto da Costantino VII. Diocleziano fu imperatore dal 284 al 305. Sommo sacerdote o pontefice che nelle cerimonie pubbliche portava una corona d’alloro. Notabile, primo magistrato municipale. 5 Di Bosporus, cioè Bosforo Cimneno (Stretto di Kerč). 6 Palus (Palude Meotide) era il Mar d’Azov, mentre Lazon era sul Mar Nero. 7 Oggi Kızılırmak, è il più lungo fiume della Turchia e si getta nel Mar Nero. 8 Del Mar Nero (detto Ponto anticamente). 9 Costanzo Cloro (250?-306) tribuno e poi imperatore dal 305. 10 Balista o ballista. Macchine a mano con cui si scagliavano i sassi. 85 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Bosforo. Qualche tempo dopo, Chrestus figlio di Papias, disse alle donne dei Sarmati: «Noi non abbiamo avuto alcuna ragione di farvi la guerra; ma il Sarmata è andato a devastare le terre del Romano e l’imperatore di cui noi siamo sudditi ci ha ordinato di farvi la guerra. Se dunque volete vivere nella vostra città, mandate a dire al vostro signore Sauromata che faccia la pace con i Romani in presenza dei nostri delegati, quindi che si ritiri e ci invii i nostri delegati con i suoi. Quando egli avrà fatto queste cose, ci ritireremo e vi lasceremo tranquilli. Ma se il Sauromata vuole ingannarci e rinchiuderci qui, noi lo sapremo dai nostri exkubitores1 e vi uccideremo tutti fino all’ultimo e quindi ci ritireremo e il Sauromata non trarrà alcun vantaggio dal suo inganno». Le donne del Sauromata avendo inteso questo discorso, videro che si trattava di cose serie e i Bosporiani fecero partire i loro delegati con quelli dei Chersoniti. Arrivarono al fiume Halys, e raccontarono al Sauromata tutto ciò che era successo. Il Sauromata disse ai delegati dei Chersoniti: «Siete stanchi, voglio che vi riposiate per alcuni giorni, e poi farò ciò che mi avete chiesto. Per il momento andate dai Romani, vi diranno che sono un uomo veritiero e non mentitore». I Chersoniti andarono da Costanzo con i delegati del Sauromata, gli raccontarono tutto quanto era avvenuto e, tra l’altro, che avevano preso le famiglie del Sauromata per forzarlo a chiedere la pace. Costanzo avendo inteso ciò ne fu fortemente dispiaciuto e disse: «Non mi importa più ora del vostro aiuto perché mi sono impegnato a dare una certa somma d’oro» I Chersoniti risposero: «Signore non vi rattristate più, cambieremo quell’articolo». Costanzo chiese come ciò potesse essere realizzato, e i Chersoniti gli dissero che doveva far intendere al Sauromata, che aveva dei trattati precedenti con Cherson, che non gli si rendeva le sue famiglie e la sua città, che intanto gli avrebbe dato lui stesso una somma più considerevole dell’altro. Costanzo seguì questo consiglio e fece parlare in questo senso al Sauromata. Quest’ultimo, avendo inteso ciò, ne fu molto triste e rispose che non voleva né dare, né ricevere, e che non doveva che inviargli i Chersoniti per concludere; ma i Chersoniti dissero a Costanzo: «Non rimandarli prima di avere tutti i prigionieri in tuo potere». Costanzo, avendo ricevuto i prigionieri, tenne con sé due dei delegati di Cherson e inviò gli altri al Sauromata. Questi li rinviò a Bosporus con dei delegati che avrebbero dovuto consegnare la città e le famiglie, e lui stesso si mise in marcia con il suo esercito. I Chersoniti che erano a Bosporus rimisero effettivamente ai delegati del Sauromata la città e le famiglie che erano in loro potere. Allora Costanzo tornò a Roma e presentò all’imperatore i due delegati chersoniti. L’imperatore li ringraziò pubblicamente e disse loro: «Cosa posso fare per voi e per la vostra città». I delegati risposero: «Vi chiediamo di 1 Sentinelle. 86 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it essere liberati dall’imposta, noi e i nostri figli». L’imperatore acconsentì alla loro domanda con piacere, e li rinviò pieni di doni, riconoscendoli come buoni e fedeli sudditi dell’Impero. Costanzo fu magnificamente ricompensato come se avesse fatto le più grandi cose contro i Sauromati. Egli successe a Diocleziano che si ritirò a Nicomedia1. Essendo morto Costanzo, gli successe suo figlio Costantino2. Questi venne a Bisanzio e siccome c’erano dei ribelli in Scizia, Costantino si ricordò di ciò che i Chersoniti avevano fatto per suo padre e inviò a loro dei legati per chiedere ai Chersoniti di combattere gli Sciti. Cherson aveva allora Diogenous, figlio di Diogenous, per capo e protevon, che obbedì volentieri agli ordini e si affrettò a preparare tutti i carri militari e le chirobaliste; raggiunse il fiume Ister e, superatolo, lottò contro gli insorti e quindi li mise in fuga. L’imperatore avendo appreso questi fatti, ordinò loro di rientrare nel loro paese, e fece venire i generali a Costantinopoli, dove li colmò di ricchi doni e disse: «Poiché ora avete operato coscienziosamente per noi, come per i nostri antenati, confermiamo la liberazione e l’esenzione dall’imposta che vi era attribuita e vi assegniamo una statua in oro con la clamide imperiale, la fibula3 e una corona d’oro per l’ornamento della vostra città; poi ecco l’atto legato all’esenzione dalle imposte per tutte le vostre navi; inoltre, a causa della sincerità della vostra benevolenza, vi diamo anche un anello d’oro sul quale è incisa l’immagine della nostra maestà perché possa servire per le vostre suppliche, come segno di riconoscimento degli ambasciatori che invierete. Vi attribuiamo ancora per ogni anno le funi, la canapa, il ferro e l’olio per la fabbricazione delle vostre chirobaliste e vi concediamo una sovvenzione annuale per la fornitura di mille annone4, per gli utilizzatori delle crirobaliste, avendo deciso che dovremo ogni anno inviarvi questi prodotti da qui verso Cherson». I Chersoniti dopo avere ricevuto l’annona ed essersela divisa tra loro, fornirono il numero [di soldati necessario]. Così, finora i loro figli sono registrati tra i soldati come ausiliari dei loro genitori nell’esercito. Quanto a Diogenous, riempito di molti doni dall’imperatore Costantino amante Dio, lui ed i suoi uomini rientrarono al paese di Cherson, con i favori divini. Alcuni anni dopo il Sauromata figlio del sauromata Criscoron, dichiarò la guerra ai Chersoniti, per vendicare le ingiurie che suo nonno aveva ricevuto a Lazon. A quel tempo il protevon stefanoforo di Cherson era Bycus, figlio di Supolicus. Egli condusse i Chersoniti contro il Sauromata e lo sconfisse completamente nel luogo chiamato Capha. La pace fu realizzata sul campo di battaglia. Le due parti giurarono di non invadere più le loro reciproche terre, quindi il Sauromata tornò al Bosporus, e i Chersoniti da loro. Alcuni anni dopo un altro Sauromata riunì un esercito verso Palus, e dichiarò la guerra ai Chersoniti, e protestò contro i limiti fissati a Capha 1 Diocleziano abdicò nel 305 e si ritirò nel suo palazzo di Spalato fino alla morte (311). 2 Costantino il Grande. 3 Il mantello e il gioiello che lo chiude sulla spalla furono introdotti dall’imperatore Giustiniano. 4 Raccolti di grano. 87 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dall’antico Sauromata, dicendo che tutto quel paese, gli era stato tolto ingiustamente. Pharnace, figlio di Pharnace, era allora protevon e stefanoforo, cioè portacorona. Si mise alla testa dei Chersoniti ed andò a mettersi sulle alture vicino a Capha. Il Sauromata, che era un uomo di taglia gigantesca, fiero della propria statura e della moltitudine dei suoi soldati, insultava pesantemente i Chersoniti. Pharnace, che era piccolo, volle tuttavia combatterlo corpo a corpo, e ciò per salvare il sangue delle due parti. Inviò dunque [un messaggero] verso l’esercito del Sauromata e gli fece dire ciò che segue: «Non è affatto necessario che una grande moltitudine perisca, voi non siete venuti qui per vostro piacere; ma è il Sauromata che vi manda, fate dunque che egli venga e mi combatta, se Dio vuole che io resti vincitore, voi ve ne andrete tranquillamente ed egli si sottometterà a me con la sua città di Bosporus. Se al contrario sarò vinto voi potrete sempre andarvene tranquillamente e il Sauromata resterà padrone della mia città di Cherson». Questa proposta piacque molto ai Sauromati, che persuasero il loro re, il Sauromata, ad accettare; cosa che fece con gioia poiché pensava di poter vincere facilmente Pharnace, la cui taglia era piccola. Pharnace al momento di andare a combattere disse ai suoi: «Quando comincerò il combattimento, vedrete poi il Sauromata con il viso girato verso i suoi e io con il viso girato verso voi. Allora gridate una volta, ma non ripetete questo grido». Il combattimento s’impegnò, e presto il Sauromata ebbe il viso girato verso i Chersoniti, e Pharnace, verso i Sauromati, allora i soldati di Pharnace gridarono tutti allo stesso tempo. Il Sauromata si girò per vedere da dove venisse quel grido, girandosi alzò la visiera del suo elmo, Pharnace acciuffò questo momento e lo colpì con la sua asta, e lo fece cadere morto dal suo cavallo. Dopo ciò egli scese dal suo e tagliò la testa al Sauromata. Pharnace, proclamato vincitore, rinviò da loro i popoli della Meotide; ma trattenne prigionieri i Bosporiani, e s’impossessò del loro paese. Quindi regolò i confini che mise non più a Capha1, ma a Cybernicus, lasciando loro non più di quaranta miglia di paese, e questi confini esistono ancora oggi. In seguito trattenne alcuni bosporiani, e rinviò gli altri da loro a coltivare le terre e questi per riconoscimento gli alzarono una statua nella città di Bosporus, è così che il Bosporus fu perso dai Sauromati, che non l’hanno mai più recuperato dopo. In seguito Lamachus fu protevon di Cherson, e Asandro regnò presso i Bosporiani, che conservavano sempre molto odio contro i Chersoniti. E poiché avevano ancora il desiderio di vendetta vollero avere una libera entrata nelle terre dei Chersoniti, e pensarono di ottenerla sposando un figlio di Asandro con Gycia2, figlia di Lamachus. I Bosporiani delegarono dunque verso i Chersoniti e fecero loro dire che conservavano la stessa amicizia per loro e che, per consolidarla, 1 O Kapha. 2 O Gykia. 88 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it desideravano sposare Gycia con un figlio di Asandro ed era per loro indifferente che Gycia di stabilisse a Bosporus o che il figlio di Asandro andasse a vivere a Cherson. I Chersoniti risposero che non permettevano affatto a Gycia di andare a stabilirsi a Bosporus; ma che se un figlio di Asandre voleva venire a Cherson ed abiurare per sempre la sua patria, avrebbero acconsentito al suo matrimonio con Gycia, ma che lo avrebbero fatto morire se osava tentare la minima cosa contro suo suocero. I delegati dei Bosporiani ritornarono con questa risposta e Asandro avendoli intesi inviò [un messaggero] a Cherson per dire che se i Chersoniti agivano in buona fede avrebbero inviato il figlio maggiore per sposare Gycia. Lamachus era un uomo molto ricco in oro e argento, servitori e cameriere, cavalli e fondi di terra, e la sua casa si estendeva in quattro regioni e fin sotto Sosa1. Là c’erano nelle mura della città una porta per lui, quattro grandi porte, e molte piccole, di modo che le sue varie greggi di cavalli e di giumente, di buoi e di mucche, di pecore e di asini, entravano ciascuno per la propria porta e si mettevano nella loro stalla. I Chersoniti si recarono presso Lamachus perché desse sua figlia al figlio di Asandro e egli acconsentì. Il bosporiano venne e sposò Gycia. Due anni dopo, Lamachus morì, mentre la madre di Gycia era già morta da qualche tempo. Allora Zithon, figlio di Zithon, era protevon stefanoforo di Cherson; un anno passò dopo i funerali di Lamachus, e Gycia volendo celebrare la sua memoria, andò dai notabili della città, e li pregò di non offendersi se pregava loro e tutti gli altri cittadini di ricevere da lei vino, pane, olio, carni, pollame, pesci e altre cose necessarie per una festa, e ciò per celebrare con le loro mogli e i loro figli un giorno dedicato alla memoria di Lamachus. Allo stesso tempo ella promise per giuramento che avrebbe ripetuto tutti gli anni la stessa cosa e che ogni abitante della sua zona avrebbe ricevuto in tale giorno tutto quanto occorre per mangiare, bere, ballare e rallegrarsi, e che quello sarebbe stato da allora il giorno di Lamachus. Il figlio di Asandro, avendo inteso il giuramento che aveva fatto sua moglie, l’approvò e disse che voleva anche lui celebrare il giorno e bere e mangiare con gli altri. Alcuni giorni dopo inviò uno dei suoi servi a Bosporus, e lo incaricò di dire da parte sua: «Ho trovato un mezzo facile per prendere Cherson, inviatemi ogni tanto dei karaboi2 carichi di doni e che ogni karaboi porti, oltre ai vogatori, dieci o dodici giovani ben provati per il valore». I karaboi e i loro equipaggi resteranno in un certo posto che indicherò e mi invierete dei cavalli per caricare i doni e i giovani. Le cose avvennero in questo modo per due anni di seguito: dei giovani venivano con dei doni, Asandre andava a prenderli e a ricondurli pubblicamente, e poi questi ritornavano di notte nei karaboi fino a Sosa, 1 O Soson, luogo non identificato. Si suppone fosse un quartiere portuale dove si raccoglievano i mercanti. 2 Karabos (o Karabus), plurale karaboi, piccola barca usata per il commercio. 89 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dove li si faceva entrare dalla porta che la casa aveva nelle mura della città, e nessuno ne sapeva nulla a eccezione di tre servi bosporiani, di cui uno andava al luogo designato, e diceva ai karaboi di ritirarsi, il secondo conduceva i bosporiani nel Liman, e il terzo dal Liman a Sosa, dove li si faceva entrare dalla piccola porta nella casa di Lamachus, questi tre servi portavano anche alimenti nei luoghi in cui i giovani bosporiani si tenevano nascosti e tutto ciò all’insaputa di Gycia perché l’intenzione del figlio di Asandro era di attendere l’anniversario del giorno di Lamachus e di massacrare tutti gli abitanti mentre erano consegnati alla gioia della loro festa. Ordunque duecento giovani bosporiani erano chiusi nella casa di Lamachus e il giorno del suo anniversario si avvicinava; ma capitò che una giovane cameriera, che Gycia amava molto, commettesse uno sbaglio e fosse bandita della sua presenza e rinchiusa; la camera dove lo si chiuse era sopra il luogo dove si nutrivano i bosporiani. La giovane donna si mise a filare, e il suo fuso cadde in un foro che era vicino alle mura; siccome essa, non poteva raggiungerlo, tolse un mattone del selciato, e vide allora questa folla di uomini che si nutrivano nelle parti inferiori della casa. La giovane donna rimise molto rapidamente il mattone al posto dove l’aveva preso, e mandò un’altra giovane donna dalla sua padrona scongiurando di andare a trovarla. Gycia che certamente era ispirata da Dio stesso si recò presso la giovane donna e chiuse la porta dietro essa, allora la giovane donna si gettò a suoi piedi e le disse: «Mia padrona, voi potrete trattare come vorrete una povera e inutile cameriera, ma vi voglio mostrare una cosa nuova e inattesa». Gycia rispose che poteva farlo in tutta sicurezza, allora la giovane donna la condusse vicino al muro e levando abilmente lo stesso mattone le disse: «Guardate tutti questi bosporiani armati». Gycia ne fu molto rattristata e disse: «Quella gente non è stata riunita per nulla». Quindi chiese alla giovane donna come aveva fatto quella scoperta, e lei rispose: «Dio ha permesso che il mio fuso cadesse in questo foro, io non ho potuto raccoglierlo e ho sollevato questo mattone e quindi li ho visti». Gycia ordinò alla giovane donna di rimettere il mattone al suo posto, quindi l’abbracciò con bontà e le disse: «Figlia mia, non temere nulla, il tuo sbaglio ti è perdonato. Dio ha voluto servirsi di te per farci scoprire questo tradimento, ora pensa soltanto a tacere e a non fare trasparire nulla di tutto ciò che avviene». Gycia prese la giovane donna con sé e avendola così provata, l’amò più che mai. In seguito Gycia fece chiamare due suoi parenti dei quali aveva gran fiducia e disse loro: «Andate e riunite segretamente da voi i notabili della città, che quelli ne eleggano tre tra di loro, fra chi hanno fiducia, per conservare un segreto e condurre un affare. Che questi tre uomini si leghino con un giuramento e quindi che vengano a trovarmi in segreto. Poiché devo loro affidare qualcosa di importante per la salvezza della città, andate ed eseguite le cose che vi ho detto». Questi due parenti di Gycia si ritirarono, andarono dai governanti della città, che nominarono tre uomini sicuri; fecero loro prestare giuramento 90 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it quindi li inviarono a Gycia. Questa, dopo avere ancora imposto un giuramento, disse loro: «La sola grazia che vi chiedo è di essere sepolta in città se muoio, è una grazia non molto grande, e quando voi me l’avrete garantito io vi dirò il mio segreto». I deputati promisero e giurarono che quando sarebbe morta l’avrebbero seppellita in città e che non si sarebbe portato il suo corpo fuori delle mura. Allora Gycia si spiegò in questi termini: «Ecco, mio marito, che è sempre pieno di odio contro Cherson, nutre presso di lui duecento bosporiani armati; ma Dio me li ha fatti scoprire, ed ecco quale sarà certamente la sua intenzione. Quando sarete alla gioia delle feste il giorno dell’anniversario di Lamachus, uscirà la notte con i suoi servi, metterà fuoco alle vostre case e vi farà tutti perire. Poiché questo giorno si avvicina, io vado, secondo ciò che ho giurato, a distribuire i viveri. Voi andate e venite gaiamente, e non lasciate trasparire nulla di ciò che vi ho detto, nel timore che mio marito dubiti qualcosa e sospenda l’esecuzione di quanto medita. Celebrate dunque pubblicamente la festa e ballate nelle vie; ma che ciascuno prepari presso di sé legno, torce, e casse pesanti. Mio marito vedendo che tutti sono occupati nei piaceri di questo giorno, non avrà alcun sospetto; ma io mi alzerò di buon’ora e farò sorvegliare le porte, e durante quel tempo circonderete la mia casa di fastelli di legno, sui quali si verserà dell’olio, metterete le casse dinanzi alle porte e così nessuno potrà uscire eccetto me, e quando sarò uscita da una porta segreta, metterete il fuoco a tutto questo legno, e, se qualche bosporiano volesse saltare dalle finestre e salvarsi, lo ucciderete con le armi che avrete portato. Andate e fatte ciò che vi ho detto». Questi tre uomini eletti dai cittadini discussero le intenzioni di Gycia, alle quali ciascuno si conformò con gioia. Il giorno dell’anniversario, i cittadini vennero a chiedere le cose necessarie per la festa, Gycia le distribuì e suo marito pregò che si desse loro più vino dell’ordinario. I cittadini ne furono molto contenti e ballarono tutto il giorno, ma verso la sera si ritirarono tutti nelle loro case; poiché si beveva e mangiava in quasi tutte le case. Durante quel tempo Gycia ordinò a tutti i servi di bere molto affinché andassero a stendersi, e non raccomandò la sobrietà che ai suoi personali servitori, e lei stessa bevve soltanto in un calice tinto in porpora in modo che suo marito credesse che fosse vino, ma beveva in realtà soltanto acqua. Essendo calata la notte ed essendo tutti soddisfatti, Gycia disse a suo marito: «Ora che abbiamo mangiato, andiamoci a stendere». Il marito intese questo proposito con piacere ed andò a stendersi. Era cosa che doveva fare, [perché] se avesse rifiutato, avrebbe dato sospetti a sua moglie. Tuttavia Gycia ordinò che si chiudessero tutte le porte, grandi e piccole e anche che, secondo l’usanza, le portassero le chiavi. Quando ciò fu fatto ella si avvicinò alla sua fedele cameriera, che era informata di tutto e le disse all’orecchio: «Vai con le mie altre cameriere, prendete il mio oro e i miei gioielli e tenetevi pronte a seguirmi». Durante quel tempo il marito di Gycia che aveva troppo bevuto, si addormentò. Gycia vedendo che anche tutti i suoi servi dormivano, si ritirò silenziosamente ed uscì, dopo aver chiusa la porta dietro sé, e fece 91 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it appiccare il fuoco alla casa che fu bruciata fino alle fondamenta. Tutti coloro che volevano uscirne furono uccisi dai Chersoniti, e c’è anche che Dio preservò la città dalla collera dei Bosporiani. I Chersoniti vollero ricostruire la casa a loro spese, ma Gycia non volle permetterlo, pregò soltanto che vi si gettasse sopra ogni tipo di rifiuti come per punire quel luogo per le cospirazioni che vi erano state tessute. Fu obbedita e il monticello risultato si chiama ancora oggi la torre di Lamachus. I Chersoniti, vedendo che, dopo Dio, Gycia era la loro più grande benefattrice, vollero testimoniarle il loro riconoscimento e le innalzarono due statue nella piazza pubblica, che tutt’e due la rappresentavano ancora molto giovane. Ma in una delle statue, era stata abbigliata conformemente al suo sesso e agghindata, e scopriva a due cittadini la cospirazione tessuta contro la città. Nell’altra statua, era rappresentata in abito da guerra e combattente per la sicurezza dei propri concittadini. Tutta la sua storia fu incisa sulle basi delle due statue e potrà ancora essere letta se qualche amatore di ciò che è bello ed onesto volesse darsi la pena di far pulire dette basi. Alcuni anni dopo Stratophilo figlio di Philomus, era protevon stefanoforo di Cherson. Allora la prudente Gycia volendo provare la fede del Chersoniti e sapere se essi l’avrebbero seppellita in città come le avevano promesso, finse d’essere morta di dispiacere. Le cameriere che erano tenute al segreto annunciarono ai Chersoniti la morte della padrona e chiesero che si indicasse loro un luogo per seppellirla. I Chersoniti deliberarono tra loro e trascurando la fede dei giuramenti indicarono per la sepoltura un posto situato fuori delle mura della città. Gycia si lasciò portare al luogo indicato; ma quando arrivò, si alzò e sedere e disse al Chersoniti: «Ecco dunque come voi rispettate la fede dovuta ai giuramenti, chi è che in futuro vorrà fidarsi alle parole del Chersoniti». I Chersoniti furono molto imbarazzati, chiesero perdono a Gycia e le giurarono una seconda volta che sarebbe stata seppellita dove voleva e che essa non aveva che da scegliere il luogo della propria sepoltura; infine, perché essa non ne potesse dubitare, le alzarono una tomba mentre era viva e vi misero anche una statua in bronzo dorato. Occorre sapere che all’esterno della fortezza di Tamatarkha esistono numerosi pozzi che forniscono petrolio1. Inoltre in Zichia, nel luogo detto Pagi, situato vicino alla Papagia dove abitano gli Zichi, ci sono nove pozzi che danno il petrolio, ma il petrolio di questi nove pozzi non sono dello stesso colore, uno di loro è rosso, l’altro giallo, il terzo nerastro. In Zichia, nel luogo detto Pagi, vicino del quale si trova un villaggio, chiamato Zapaxi, che significa “polvere”, c’è un pozzo, da cui scaturisce petrolio. Occorre sapere che c’è anche un altro pozzo, che dà il petrolio in un villaggio del nome di Chamuh, secondo il nome del fondatore del villaggio, 1 L’informazione è importante perché il petrolio era un componente del fuoco greco. 92 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it un vecchio uomo. Anche, il villaggio fu chiamato Chamuh. Tuttavia, questi luoghi sono distanti dal mare un giorno senza cambiare cavalli. Occorre sapere che nel thema di Derzene1, vicino al villaggio di Sapikion ed il villaggio chiamato Episkopion, un pozzo dà petrolio. Occorre sapere che nel thema di Tziliapert2, vicino al villaggio di Srechiavarax, un pozzo dà petrolio. Occorre sapere che se un giorno quelli della città di Cherson si rivoltassero o si rifiutassero di obbedire alle keleuseis imperiali3, si dovranno immediatamente prendere i karaboi della città ed i loro carichi, ovunque si troveranno. Si metteranno in prigione i marinai e i passeggeri del paese. Si spediranno tre basilikoi4, uno verso la riva del thema di Armeniakon, l’altro sul litorale di Paphlagonia, il terzo su quello del Boukellarion, per prendere tutti i karaboi, le loro merci e si metteranno in prigione i marinai e i passeggeri del paese fino a nuovo avviso. Si farà difesa alle navi di questi tre themi per portare in Chersoneso grano, vino o altre derrate necessarie. Lo strategos prenderà dieci libbre dal Tesoro dei Chersoniti e due libbre del tributo, poi lascerà Cherson e si ritirerà in un’altra città. Occorre sapere che i Chersoniti non sarebbero esistiti se non avessero fatto i viaggi in Romania per vendere le loro cere e i loro cuoi, che essi trafficavano con i Peceneghi. Occorre sapere che i Chersoniti non sarebbero esistiti se non avessero preso i viveri da Aminsos5 dalla Paphlagonia, dal Boukellarion e dagli altri popoli che confinano con l’Armenia. 1 2 3 4 O Derdjan, regione dell’Armenia. Forse identificata con Gölebert nell’Ardahan. Mandati, ordini imperiali. Letteralmente, uomini del basileus. Il basilikos era quindi un ufficiale o un ministro dell’imperatore. 5 Amisos, oggi Samsun, città fondata su un golfo del Mar Nero nel VII secolo a.C. 93 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Glossario dei titoli bizantini citati nel De Administrando Imperio a cura dell’associazione culturale Larici ANTYPATHOS Proconsole APOCRISIARIO Ambasciatore imperiale bizantino ASECRETIS Consigliere dell’imperatore BASILEUS Imperatore BASILIKOS Ufficiale o ministro dell’imperatore CARTOLARIO Funzionario amministrativo CATAPANO o CATEPANO (katepanos) Alto ufficiale della marina CLISURARCA (da clisura, fortezza) Funzionario di importanza inferiore dello strategos e di solito agli ordini del protospatario CUROPALATE (kouropalates) Alto funzionario dell’esercito DOMESTIKOS Colui che comanda (un thema, l’andamento del palazzo, una divisione dell’esercito ecc.) DRUNGARIOS Comandante di flotta militare ETERIARCA Comandante dell’eteria, corpo scelto di mercenari stranieri, poi guardia del corpo imperiale KOMMERKIARIOS Controllore delle transazione commerciali ed esattore di imposte LOGOTETA DEL DROMO Alto dignitario, sovrintendente addetto alle comunicazioni e spesso alla diplomazia (affari pubblici e politica estera) MAGISTROS (o magister) Alto dignitario, sovrintendente addetto alla diplomazia (affari pubblici e politica estera), spesso carica onorifica MANGLABITE o MANGLAVITE (manglavites) Guardia del corpo dell’imperatore OSTIAROS Eunuco con funzioni di vigilanza PARAKIMOMENOS o PARAKOIMOMENOS Guardia del corpo o ciambellano dell’imperatore PATRIKIOS Alta carica militare (inferiore solo al magistros e all’antypathos) data a generali e governatori PROTELATOS Primo timoniere della nave imperiale PROTEVON Notabile, primo magistrato municipale PROTOKARAVON Uno dei capitani della nave PROTOSPATARIO (protospatharios) Cavaliere di Giustizia o comandante della guardia imperiale PROTOVESTIARIOS Carica politica e di supervisione alla persona del basileus, svolta solitamente da un parente dell’imperatore SACELLIARIO (sakellarios) Funzionario amministrativo e per le finanze SPATAROCANDIDATO (spatharokandidatos) Commendatore di Giustizia STEFANOFORO (stephanophoros) Sommo sacerdote o pontefice che nelle cerimonie pubbliche portava una corona d’alloro STRATEGOS Massima carica dell’esercito, governatore di un thema STRATOR Soldato messaggero 94 1