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Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci Pubblichiamo oggi un articolo di inchiesta in merito allo scandalo del Sangue infetto, che ha visto coinvolti alcuni membri della famiglia Marcucci, in merito alle attività del gruppo Sclavo (in loro possesso fino agli anni Novanta). Nel novembre 2006, si svolse a Lucca un vertice tra il Governo italiano e quello francese. La stampa locale ne parlò diffusamente, mettendo in evidenza il ruolo che i Marcucci – proprietari, tra l’altro, della Kedrion, azienda monopolista nel settore degli emoderivati – avrebbero svolto nella scelta della sede del summit, considerato anche il fatto che all’epoca un membro della famiglia, Andrea Marcucci, ricopriva due importanti ruoli: sottosegretario alla cultura del Governo Prodi e parlamentare de L’Ulivo. Per la cronaca, Marcucci, eletto per la prima volta al Parlamento nel 1992 nelle liste del Partito Liberale [all’epoca alleato di Governo della Democrazia Cristiana di Andreotti e Forlani e del Partito Socialista di Craxi], siede tuttora in Senato, ed è considerato il braccio destro del “rottamatore” Matteo Renzi. Ma torniamo al vertice del 2006. Il circolo di Rifondazione comunista della Garfagnana [zona nella quale hanno sede le aziende del gruppo Marcucci], intervenne sull’argomento con un comunicato stampa, dove si evidenziava che: “secondo alcuni quotidiani locali, Lucca sarebbe stata scelta da Prodi come sede del vertice italo – francese anche su suggerimento dei Marcucci, una famiglia lucchese di imprenditori farmaceutici con prodotti noti in tutto il mondo. Una conferma di questa “notorietà” viene dal settimanale “Diario”, diretto da Enrico Deaglio che, nel numero in edicola, dedica la copertina e sei pagine di inchiesta al cosiddetto “scandalo del sangue infetto”, che vede coinvolto in un processo a Napoli, Guelfo Marcucci […]”. Lo Scandalo del sangue infetto Da che cosa è originato lo “scandalo del sangue infetto”, lo riassume precisamente Giovanni Del Giaccio, giornalista de “Il Messaggero”, nel libro Sangue sporco [Giubilei – Regnani editore, 2015], utilizzando estratti del libro Sangue e affari, pubblicato nel 2004. Scrive Del Giaccio: “il libro di Pino Pignatta e Stefano Bertone, ripercorre le tappe di una vicenda mondiale. Sono 250 i pazienti che stanno partecipando a un’azione legale internazionale sotto forma di citazione in giudizio collettiva, in corso negli Stati Uniti contro quattro case farmaceutiche produttrici di emoderivati. In Europa sono migliaia. Sangue e affari ricostruisce gli interessi che hanno spinto quattro colossi della farmaceutica a produrre emoderivati contaminati facendo ricorso a donazioni a Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci rischio in America e nel terzo mondo, senza rivelarne i potenziali pericoli. Nel testo sono documentati gli atti del processo in corso negli Usa nei quali l’accusa sostiene che per produrre emoderivati è stato usato il plasma di migliaia di donatori mercenari, retribuiti, alcuni provenienti dalle classi di popolazione più a rischio, come abitanti dei ghetti urbani, carcerati e tossicodipendenti che facevano uso di droga per via endovenosa. Nonostante le indicazioni sull’utilizzo del sangue dei donatori fossero improntate quantomeno alla prudenza, ed esistessero metodi di trattamento capaci di agire sui virus, le aziende farmaceutiche continuarono a spedire all’estero prodotti non trattati, anche dopo che avevano cessato di venderli negli Usa.” Parte di questo scandalo arriva anche in Italia, a seguito di un’intercettazione della Guardia di finanza nell’ambito di un altro procedimento. L’inchiesta di “Diario” La vicenda che trattiamo in questo pezzo è molto articolata e complessa, e quindi difficile da ricostruire. L’unica che fino ad ora è riuscita a farlo in modo preciso e completo, è la giornalista Elena Cosentino – collaboratrice della tv inglese Bbc – che nel 2007 ha realizzato una dettagliatissima inchiesta per il settimanale “Diario”. Per comprendere la questione, è allora opportuno riportare ampi stralci di quel reportage, dato che sarebbe complicato riassumerlo. L’inchiesta di “Diario” parte da Trento, con la citazione di una telefonata intercettata dalle Fiamme gialle il 27 marzo 1995. Chi parla al telefono quel giorno [due pesci piccoli dell’industria del sangue, indagati per un affare di corruzione locale], racconta di “roba dell’ottanta, non testata per l’hiv” che si trova in una cella frigorifera. “Monnezza” che loro dovevano bruciare, dovevano distruggere e ancora non l’hanno fatto”. “Il 30 maggio 1995, la Guardia di Finanza” – scrive la Cosentino – “identifica finalmente il luogo in cui è conservata la “bomba”, e piomba con quattro volanti ai magazzini generali di Padova. A capo della spedizione c’è il giovane sostituto Procuratore di Trento. È mattina presto, i magazzinieri, sorpresi e ignari, li conducono alle enormi celle frigorifere in cui aziende di tutta Italia conservano i prodotti destinati a grossisti alimentari del Nordest. La “monnezza” non è in una cella singola. I verbali descrivono una scena dantesca. Le celle numero 7 e 8 sono enormi e gelide. A 30 gradi sotto zero, i finanzieri intirizziti si fanno largo fra le merci immagazzinate alla rinfusa. Trovano vari bancali di gelato al limone “Gipi”, asparagi, baccalà, filetti di pesce “Mare pronto”, piselli, spinaci granite [il verbale registra “gusti vari”], bieta, orecchiette. Più vari bancali di cervella di bovine, che in questa zona si fan fritte. E questa è la roba buona. La “monnezza” delle intercettazioni è invece il Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci resto della merce trovata nelle stesse celle: varie decine di tonnellate di prodotti destinati all’industria farmaceutica, plasma umano congelato, cioè il componente del sangue necessario alla produzione di farmaci per emofilici. Alcune delle sacche di plasma sono rotte e il liquido denso si è rovesciato e solidificato in piccole lacrime gialle. In un angolo c’è anche un bottiglione con un liquido strano e la scritta in cirillico. Una parte del plasma ritrovato” – continua Elena Cosentino- “appartiene alla società Copla [quella dei pesci piccoli intercettati]. La maggior parte risulta invece intestata alla Sclavo, società madre del gruppo farmaceutico controllato dalla famiglia Marcucci, già all’epoca il maggior fornitore di emoderivati in Italia e grande esportatore all’estero. Dai prodotti della Sclavo di Siena dipendono migliaia di emofilici in Italia, la cui sopravvivenza è affidata al “fattore ottavo”, lo sostanza coagulante che manca nel loro sangue e che viene ricavata dal plasma. Il plasma Sclavo sembra avere le carte in regola, ma il dubbio rimane su una partita di circa 5 tonnellate di plasma e altri prodotti derivati dal sangue che appartengono, sulla carta, a un’ignota società straniera: la Padmore. Questo materiale non ha i certificati di analisi contro tutti i virus noti, come richiesto dalla legge. La polizia scientifica preleva campioni da ogni lotto e li manda in laboratorio. È il 1995, ma i rischi associati agli emoderivati sono già ben noti, in Italia come nel resto del mondo. L’Hiv e l’epatite A, B e C avevano colpito in tutto il pianeta, già a partire dall’inizio degli anni Ottanta, migliaia di emofilici, ma anche pazienti comuni a cui erano stati somministrati occasionalmente emoderivati o gammaglobuline [come certi vaccini] prodotti da sangue infetto. Solo a partire dal 1985 era divenuto disponibile il test dell’Hiv e solo dal 1989 quello dell’epatite C […]. Ci sono volute molte settimane per testare tutto il plasma sospetto della Padmore trovato a Padova e proveniente dagli Stati Uniti. Il risultato è sconcertante: è scaduto da anni; ed è contaminato. In parte da epatite C e in parte da Hiv. Ma quella non fu neanche la notizia peggiore. Gli investigatori della Guardia di finanza, controllando i documenti, si rendono conto che una parte del plasma della Padmore non era più presente nelle celle. Visto che non era stato dichiarato perso né rubato, l’unica conclusione da trarre era che fosse stato mandato in produzione. Senza essere testato. Ma dove? E da chi? L’unico indizio a disposizione è un foglietto di carta intestata Padmore con un indirizzo: casella postale 488, Tropical Isle Building, Tortola, British Virgin Islands. “Quello che subito ci insospettì” – spiega il maggiore Marco Tripodi della Guardia di Finanza – “fu che una società delle Isole Vergini Britanniche conservasse del materiale del genere in un deposito Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci a Padova […]. I magazzinieri di Padova danno ai finanzieri una pista: la merce era arrivata tutta insieme, consegnata dalla Sclavo di Siena, gruppo Marcucci. A caccia d’informazioni sul sangue infetto della Padmore, i finanzieri fanno irruzione negli uffici e negli stabilimenti della Sclavo. Sequestrano documenti, fatture, campioni di sangue, plasma dai laboratori. Della Padmore non c’è traccia, ma in compenso c’è dell’altro. La documentazione d’archivio della Sclavo risulta spesso incompleta, mancano certificati di qualità sul sangue in precedenza importato, in certi casi le partite vengono descritte come “non testate” o addirittura positive ai virus, ma nulla mostra che siano state conseguentemente distrutte. Alcune sacche destinate alla produzione di emoderivati risultano contaminate da epatite C. Si scatena il pandemonio, esplode lo scandalo italiano del sangue infetto. Guelfo Marcucci, patriarca e capo del gruppo, viene chiamato dai giornali “il conte dracula”. La Guardia di Finanza di Trento estende l’investigazione a tutte le società del gruppo Marcucci, ma anche ai centri trasfusionali e agli uffici del Ministero della Sanità. La misteriosa Padmore per il momento passa in secondo piano. Alla ribalta salgono i Marcucci. Poi compare anche Duilio Poggiolini: era stato direttore generale del Ministero della Sanità ed era diventato famoso il giorno in cui, due anni prima, i magistrati di Mani pulite gli avevano sequestrato centinaia di miliardi in contanti e monete d’oro, pietre preziose, quadri. Nel pouf di casa erano nascosti undici miliardi di Bot e Cct. Poggiolini, fino al pouf del 1993, era anche il funzionario incaricato di rilasciare autorizzazioni all’industria farmaceutica per l’importazione di plasma all’estero. La Guardia di Finanza compie una serie di controlli certosini: incrocia le autorizzazioni rilasciate da Poggiolini alle industrie farmaceutiche con le fatture di queste ultime per l’acquisto di sangue all’estero e con i documenti d’ingresso delle stesse merci scovate negli archivi delle varie dogane d’Italia. Risultato: per anni, regole e controlli erano stati elusi. Il maggiore Tripodi conferma: “C’erano autorizzazioni di Poggiolini firmate in bianco. Le medesime bolle d’ingresso di enormi partite di sangue erano state riutilizzate più volte in scali diversi. Alcuni numeri erano stati aggiunti a mano. Per esempio, su un’autorizzazione all’importazione di 1.000 litri di sangue da una certa società estera era stato aggiunto un uno, così che diventasse 11.000 litri…”. In questo modo, spiega Tripodi, “diventa impossibile verificare con certezza se centinaia di migliaia di litri importati dalle società del gruppo Marcucci, nel corso degli anni, fossero effettivamente stati testati o meno. Inoltre, sulla carta, i Marcucci compravano da società offshore domiciliate in Inghilterra o Irlanda, in particolare da una società di nome Sarafia. Da dove Sarafia importasse e se il sangue fosse testato a noi non era dato sapere. Quello che era certo è che Sarafia non era una società farmaceutica, ma Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci solo una facciata offshore che rilasciava certificati di qualità senza avere competenze mediche”. Maria Pia Garavaglia, ministro della Sanità per un anno, dal maggio 1993 al maggio 1994, capisce che qualcosa non quadra. Così, con un decreto legge del novembre 1993, ordina la distruzione immediata di tutte le giacenze non testate. Senza eccezioni. Dalla sera alla mattina partite di plasma non testato, che valevano miliardi, diventano spazzatura da buttare. “Monnezza”. Guelfo Marcucci, come altri imprenditori farmaceutici, ne aveva parecchia in casa […]. Perché sprecare tutte quelle preziose scorte di plasma non testato, solo per il capriccio di una ministra scrupolosa? Guelfo Marccucci ordina alla Sclavo di Siena di vendere alla società Padmore di Tortola le circa 5 tonnellate di plasma e altri prodotti emoderivati che gli rimanevano in magazzino. Il 15 novembre 1993, proprio quando Garavaglia aveva ordinato la distruzione del sangue non testato, la “monnezza” era passata di mano per il prezzo complessivo di 12 miliardi e 650 milioni di lire. A incaricarsi della transazione, come rappresentante della Padmore, è una società con uffici a Londra, la Cmm: è la società fondata dall’avvocato David Mills, la stessa usata per anni anche da Silvio Berlusconi per la costruzione dei comparti offshore, riservati e invisibili, di Fininvest e Mediaset […]. Passano alcuni anni, e i magistrati di Trento continuano a lavorare all’istruttoria nei confronti dei Marcucci. “Nel 1997, sul caso Padmore arrivano in un vicolo cieco: il materiale sequestrato apparteneva a una società straniera che dalle Isole Vergini non dà segni di vita; il plasma scomparso dal magazzino [valore 1 miliardo e 300 milioni] è potenzialmente infetto, ma non si sa dove sia finito; se ci sono vittime, non hanno volto. Di vittime con nomi e cognomi, invece, ce ne sono tante altre. Le associazioni italiane di emofilici intendono costituirsi parte civile e i pazienti infettati d’Italia vengono contattati e schedati. “C’erano, da una parte, migliaia di persone che avevano contratto infezioni come Hiv ed epatiti e che per anni avevano utilizzato prodotti delle aziende del gruppo Marcucci, come Sclavo, Farma Biagini o Aima Derivati” – spiega Mauro Trevisson, legale torinese di parte civile – “dall’altra, c’erano le indagini della Guardia di finanza che avevano appurato che le società non operavano sempre correttamente e che il sangue era stato importato senza le dovute autorizzazioni e senza i necessari test. I magistrati ritennero che ci fosse un nesso fra le due cose e che le aziende fossero da ritenere responsabili, insieme ai funzionari corrotti come Poggiolini, delle morti e infezioni avvenute negli anni”. I magistrati Giardina e Granero si preparano così a perseguire Guelfo Marcucci, Duilio Poggiolini e Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci una dozzina di altri responsabili delle aziende e del Ministero per epidemia colposa. Le vittime: 409 deceduti per Aids, 924 infettati da Hiv, 2.142 infettati da epatite C, 86 partner di emofilici deceduti, 443 infettati da epatite B. Le cifre provengono dal Ministero della sanità e rappresentano il totale degli infetti noti in Italia. Di una parte di questi, 283 persone, i magistrati ritenevano di avere trovato fonte di prova diretta che l’infezione fosse stata contratta attraverso prodotti provenienti da aziende del gruppo Marcucci. L’accusa era di aver causato una nuova epidemia o aggravato un’epidemia esistente, attraverso una serie di comportamenti negligenti e illeciti che si erano ripetuti per anni, inclusa l’importazione senza autorizzazione di centinaia di migliaia di litri di sangue da società straniere […]. Ma già provare un reato colposo è particolarmente difficile. Dimostrare poi il dolo è ancor più complicato. Ci vogliono prove […]. La Guardia di finanza, riesce a strappare alla segretezza del paradiso fiscale il certificato di fondazione della società Padmore. Data 4 gennaio 1994. Dal contratto in mano ai magistrati, però, risulta che la Sclavo aveva “venduto” alla Padmore il sangue “monnezza” il 15 novembre 1993: cioè quando la Padmore non esisteva ancora. Il contratto era fittizio. La scoperta porta il maggiore Tripodi a rispolverare il carteggio Padmore e a chiedere una rogatoria internazionale per ottenere documenti e interrogare gli amministratori della Padmore a Londra […]. Dannis Lavin, che aveva firmato il contratto d’acquisto del sangue a nome della Padmore, dice qualcosa di utile ai magistrati: gli ordini venivano da Guelfo Marcucci e dal figlio Paolo, a quell’epoca residente a Londra. Insomma, era una società controllata dai Marcucci. Dunque il sangue infetto non aveva mai cambiato proprietà. Il contratto di vendita era stato retrodatato per eludere il decreto del ministro Garavaglia e utilizzare altrove il sangue non testato. E tutta la corrispondenza fra le due società era solo una messinscena per far credere che la Padmore non avesse niente a che vedere con i Marcucci. Nel 2002, dopo un’inchiesta durata sette anni, i magistrati italiani chiedono il rinvio a giudizio per Guelfo e Paolo Marcucci per epidemia dolosa ritenendo che la truffa Padmore fosse prova della spregiudicatezza degli imputati. Ma il processo è destinato a fallire. Il magistrato Granero è trasferito a Roma, in Cassazione. Il magistrato Giardina muore di leucemia a metà processo. L’istruttoria di 2 milioni di pagine viene spezzata in due. La parte Padmore, che riguarda i fatti dal 1994 in avanti e vede imputati Guelfo e Paolo Marcucci, rimane a Trento. Quella sui fatti precedenti il 1994, imputato il solo Guelfo Marcucci con Poggiolini e altri, viene spostata a Napoli. Il processo di Trento si celebra e si conclude nell’aprile 2004 con l’assoluzione degli imputati Guelfo e Paolo Marcucci dall’imputazione di epidemia colposa. Il reato stesso – l’epidemia – non è stato Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci provato: non ci sono state infezioni da emoderivati accertate in Italia dopo il 1994. L’assoluzione è molto pubblicizzata, le sue motivazioni no. Eccole, nelle parole dei giudici: “Lo scenario entro il quale hanno operato gli imputati non sempre è parso limpido, altre volte opaco, altre volte ancora decisamente inquietante, le cui ombre non diradate non possono rimanere velate da questo verdetto assolutorio […]. Pesanti ombre permangono sull’operato degli imputati […], di cui occorre dare conto, non per amore di ridondanze. Inquietante ero lo stato di assoluta superficialità e negligenza con cui venivano custoditi questi delicati prodotti biologici per uso umano […]. E parliamo non certo di irregolarità formali, ma di vere e proprie violazioni della legge e dei regolamenti, disciplinanti le modalità con le quali deve essere conservato il sangue umano e i suoi derivati, a fini igienici e sanitari”. […] Per le migliaia di infetti di epatite C in Italia e per i milioni all’estero, c’è però una buona notizia. Il 4 luglio di quest’anno [2006, ndr] il Ministero della Ricerca scientifica del governo di centrosinistra ha approvato un finanziamento di 12 milioni di euro per la ricerca e lo sviluppo industriale di farmaci contro il virus dell’epatite C, una piaga che debilita milioni e uccide migliaia di persone ogni anno nel mondo. Un farmaco sarebbe un salvavita prezioso per i pazienti; e una miniera d’oro per le industrie farmaceutiche. Il finanziamento è stato accordato al Cnr, all’università di Napoli e alla società leader del settore emoderivati: si chiama Kedrion, il nuovo nome della società del gruppo Marcucci. Dibattito e diffide Nel marzo del 2007, i responsabili del circolo della Garfagnana di Rifondazione comunista, decidono di invitare Elena Cosentino in Valle del Serchio, per presentare l’inchiesta sul sangue infetto. L’invito è esteso a Gianni Barbacetto, altro giornalista di “Diario” [attualmente una delle firme di punta de “Il Fatto Quotidiano”], e ad Angelo Magrini, presidente dell’Associazione Politrasfusi, realtà rappresentativa delle vittime di trasfusioni con sangue non controllato [Magrini è tra queste]. Gli organizzatori sono coscienti che un’iniziativa del genere, nella zona in cui risiedono i principali protagonisti della vicenda, susciterà inevitabilmente polemiche, ma non si aspettano di scatenare reazioni intimidatorie come quelle che si verificheranno. Accade infatti che, alla vigilia dell’incontro pubblico con la Cosentino, organizzato a Castelnuovo Garfagnana il 20 marzo 2007, al segretario del circolo di Rifondazione comunista della Garfagnana, Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci ad Elena Cosentino e a Gianni Barbacetto, sia inviata una e-mail [anticipatrice di una lettera raccomandata] dagli avvocati del gruppo Marcucci, con la quale i destinatari vengono diffidati dallo svolgere l’incontro. In caso contrario, si minacciano querele. Minaccia che non sortisce effetto, dato che l’iniziativa si svolgerà puntualmente la sera successiva, anche se in un clima molto teso. Dirà Gianni Barbacetto aprendo la serata: “Mai prima d’ora mi era capitata una cosa del genere: una diffida a un dibattito con annuncio di querela. In sostanza cosa ci viene detto? “State attenti al dibattito di questa sera, è meglio che non lo facciate. Abbiamo già querelato la Bbc e Diario, quereleremo anche voi”. Prima di venire qui stasera ho sentito il mio avvocato e gli ho chiesto cosa fare. Lui, oltre a dirmi che era la prima volta che gli capitava di sentire una cosa simile, mi ha risposto: “Fate assolutamente il dibattito, perché altrimenti la rinuncia creerebbe un precedente molto pericoloso. Se bastasse l’annuncio di una querela per bloccare un’iniziativa, sarebbe la fine”. I legali dei Marcucci [lo studio legale Stile di Roma], querelarono Elena Cosentino, il direttore di “Diario”, Enrico Deaglio, gli editori e gli impaginatori del giornale. Al processo, però, gli imputati furono tutti assolti. Il giudice, nelle motivazioni della sentenza, si premurò di sottolineare che il lavoro della Cosentino si basava su fatti verificati, precisi e documentati. Per questi motivi, era dunque da escludere “la natura diffamatoria, non ravvisandosi, ancora una volta, un gratuito intento denigratorio contro la Kedrion”. Guelfo Marcucci e Duilio Poggiolini a processo Nel 2014, a 20 anni di distanza dal rinvio a giudizio, prende il via a Napoli il processo contro Guelfo Marcucci e Duilio Poggiolini, accusati di omicidio colposo plurimo per i fatti legati allo “scandalo del sangue infetto”. Nessun quotidiano locale ne parla, mentre invece la notizia trova spazio sulle alcune testate nazionali. “La Stampa” di Torino, ad esempio, scrive: “Ci sono, in Italia, una ventina di persone che ogni anno muoiono di Aids o Epatite C per aver fatto trasfusioni di sangue o infusioni di plasma negli Anni 80. Bambini di quattro anni ammalati di Hiv o sedicenni con il fegato devastato dall’epatite se ne sono andati nel silenzio più assoluto […]. Una strage, come quella per l’Eternit o di Porto Marghera, che per arrivare ad essere riconosciuta e affrontata in un processo [attualmente in corso a Napoli, che prende in esame soltanto i casi di nove vittime, dato che gli altri sono stati mano a mano prescritti], ha dovuto attendere 20 anni. Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci Assurgendo al clamore delle cronache grazie al nome dell’ex direttore generale del servizio farmaceutico della Sanità tra gli Anni 80 e 90, Duilio Poggiolini, accusato, con l’imprenditore toscano Guelfo Marcucci e alcuni suoi manager (in un processo distinto ma destinato ad essere riunito), di omicidio plurimo colposo aggravato dalla previsione degli eventi e abuso di potere”. Il processo è tuttora in corso. Guelfo Marcucci è morto, a 87 anni, nel dicembre del 2015. Monopoli liberali In Italia, da oltre 20 anni, la produzione e la commercializzazione degli emoderivati [farmaci salvavita prevalentemente di uso ospedaliero], avviene, di fatto, in regime di monopolio. Un unico soggetto, cioè, controlla il mercato della lavorazione del sangue. Il soggetto in questione è la Kedrion, azienda che impiega 1.400 persone in tutto il mondo [800 in Italia], e che nel 2011 ha fatturato 277,3 milioni di euro. Fondata da Guelfo Marcucci, l’azienda è oggi amministrata dai figli Paolo (l’unico che se ne occupa a tempo pieno), Marialina (già vicepresidente della Regione Toscana), e Andrea, senatore Pd. Kedrion nasce nel 2001. Prima di allora, esisteva la Sclavo, azienda pubblica leader degli emoderivati, che Guelfo Marcucci acquisì oltre 20 anni fa dall’Eni, pagandone i debiti. Fu quell’operazione che sancì la nascita del monopolio nel settore, rafforzato con la creazione della nuova azienda. Il monopolio in questione non è venuto meno neanche dopo l’approvazione, nel 2005, della legge numero 219, che ha liberalizzato il mercato, consentendo l’ingresso di altri soggetti. Questo perché mancano i decreti che dovrebbero attuare le disposizioni contenute nella legge. Il nostro Paese, dunque, rimane off limits per altre 5 imprese (CSL Behring, Baxter, Octapharma e Grifols) operanti nel settore. Le sedi italiane delle concorrenti di Kedrion sono prive di stabilimenti di lavorazione. I “rivali” delle imprese dei Marcucci non possono concorrere alle gare per la lavorazione del sangue italiano, dato che da anni aspettano l’autorizzazione definitiva ad operare Inoltre, l’azienda domiciliata a Castelvecchio Pascoli, nel comune di Barga, in questi anni ha anche beneficiato di un investimento molto particolare: 150 milioni di euro da parte del Fondo Strategico Italiano, la holding di partecipazioni di proprietà per il 90% della Cassa depositi e prestiti, che ora detiene il 18,6% della Kedrion. Un’operazione indigesta perfino per Mario Mauro, ex ministro del governo Letta, che nel 2014, in Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci un’interrogazione parlamentare al ministro della salute, sostenne che “La gravissima distorsione del sistema competitivo causata dal monopolio in un settore strategico e di importanza nazionale, non garantisce quell’innovazione e sviluppo tecnologico possibile solo in un mercato aperto: ciò a danno del diritto alla salute dei cittadini e dell’Erario”. Interpellato sulla questione, il senatore Marcucci ebbe modo di dichiarare alla stampa: “Da liberale sono naturalmente favorevole a qualsiasi intervento di apertura del mercato e quindi anche a quello che riguarda più specificamente il settore farmaceutico e degli emoderivati”. Peccato che l’auspicata apertura si sia allontanata da quando lo Stato, con la Cassa Depositi e Prestiti, è entrato nel capitale di Kedrion. Viene da pensare che, al di là dei proclami, a certi liberali la concorrenza in questo settore piacerebbe ben poco, dato che potrebbe alzare gli standard di qualità e abbassare i prezzi di farmaci prevalentemente ospedalieri e quindi acquistati dallo Stato. Basta una parola [Sabina Guzzanti a Barga] Il 13 maggio 2015, invitata dagli stessi che avevano organizzato otto anni prima la presentazione dell’inchiesta di “Diario”, arriva a Barga Sabina Guzzanti, per partecipare al dibattito successivo alla proiezione del suo ultimo film, “La Trattativa”, incentrato sulle “relazioni pericolose” tra Stato e mafia. Sono tante le persone che partecipano alla serata, e alla fine, anche sollecitati dall’attrice, gli spettatori si lasciano andare a considerazioni sulla situazione locale e a racconti di episodi poco edificanti che hanno vissuto direttamente o di cui sono stati testimoni. La Guzzanti riassumerà il tutto in alcuni post pubblicati su facebook: “Ieri sera, durante il dibattito, ho accennato alla questione del sangue infetto e il Sindaco in sala [Pd, renzianissimo, nonché dipendente Kedrion] stava per alzarsi e fare una scenata. La moglie lo ha trattenuto, peccato […]. Ho percepito la paura, l’impotenza, quasi più che in Calabria. Desolazione, rabbia, intimidazioni continue, mobbing, resistenze strazianti, divieto di volantinaggio, dissuasione allo sciopero, minacce velate e non […] Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci Stasera, ad Avellino, spero di non uscire dal dibattito angosciata come nei giorni scorsi. In Toscana ho trovato un pubblico confuso e alle volte perfino terrorizzato, dire omertoso è un eufemismo. Così non va ragazzi, guardate che al peggio non c’è mai fine. L’unico modo per fermare la caduta è dire no, mettendoci la faccia, la vita, tutto quello che abbiamo. Perché questi tra un po’ entrano in casa e ci bruciano i libri”. Sangue sporco Per avere conferma che “al peggio non c’è mai fine”, basta attendere un anno e mezzo. Nel novembre del 2015, si verifica un altro episodio che vale la pena di raccontare. Arci Garfagnana, invita in Valle del Serchio il giornalista de “Il Messaggero” Giovanni del Giaccio, a presentare il suo ultimo libro, “Sangue sporco”, una raccolta di testimonianze di vittime di trasfusioni o somministrazioni di emoderivati da sangue infetto. Nel libro, però, si fa anche accenno all’inchiesta di “Diario” e al processo in corso a Napoli contro Guelfo Marcucci e Dulio Poggiolini. Tanto basta, forse, per mettere in allarme alcuni. Accade così che l’iniziativa, inizialmente programmata a Castelnuovo Garfagnana, presso la sede dell’Unione dei Comuni, debba essere spostata a Gallicano. Motivo? Gli organizzatori, nonostante la presentazione di una richiesta formale e numerose telefonate di sollecitazione, non riescono ad ottenere una risposta dai responsabili dell’Unione. Quindi, “trasloco” a Gallicano, dove però le cose non migliorano. Non a caso, la sera prima dell’iniziativa, sulla pagina facebook dell’Arci appare un post–denuncia dal titolo emblematico, “Tentativi di censura preventiva”, il cui contenuto non è mai stato oggetto di smentita: “Ci giunge notizia” – scrive l’Arci – che, da ambienti molto vicini al Comune di Barga, sarebbero state fatte pressioni volte a far revocare l’autorizzazione a usare la Sala Guazzelli di Gallicano per la presentazione di “Sangue sporco”, il libro sullo scandalo del sangue infetto. Un fatto di gravità inaudita, che la dice lunga sull’idea di democrazia che hanno certi personaggi”. La sala piena che accoglie la sera successiva Giovanni del Giaccio, rappresenterà la miglior risposta possibile agli amanti del bavaglio. Epilogo? Nel 2014, è ripreso a Napoli un processo che, per due decenni, ha vissuto fasi alterne, fra Trento e Napoli, con rinvii a non finire. Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci Come ha ricordato Giovanni del Giaccio: “Tra la fine degli anni ’70 ed il 1987 rimasero contagiati con il virus dell’Hiv più di 650 emofilici italiani. Circa 500 di loro sono già morti mentre gli altri muoiono al ritmo di 5-6 l’anno. I pazienti, infatti, per controllare una malattia genetica del sangue che causa continue emorragie, avevano utilizzato farmaci “salvavita” derivati dal plasma di migliaia di donatori”. Plasma che però si rivelò importato dall’estero da donatori mercenari. Altri 2500 emofilici, praticamente la quasi totalità in Italia, nello stesso periodo furono infettati con il virus che causa l’epatite C, con numerosi ulteriori decessi. Il processo di Napoli riguarda l’accusa di omicidio colposo plurimo di un primo, ridotto numero di emofilici deceduti: si tratta di nove morti legate all’assunzione di diversi farmaci. Dopo la morte di Guelfo Marcucci [la sua posizione, nell’ottobre dello stesso anno, fu stralciata a causa delle precarie condizioni di salute], rimangono imputati Duilio Poggiolini, 87 anni, ex direttore generale del Ministero della Sanità, ed alcuni ex manager. Marcucci si è sempre dichiarato estraneo ai fatti nel lunghissimo iter che ha contraddistinto il processo, il quale sembra essere un esempio della lentezza della giustizia nel nostro paese. “Con la morte di Marcucci”- ha dichiarato al sito Fanpage Andrea Spinetti, portavoce del Comitato vittime del sangue infetto – “si seppelliscono i segreti di questa vicenda. La giustizia italiana ne esce con un ritratto molto inquietante, che illumina l’incapacità cronica di questo Stato di fare i conti con il proprio passato”. Per approfondimenti: Associazione politrasfusi italiani: www.politrasfusi.it L’inchiesta integrale di “Diario” [L’avvocato del diavolo, una storia di sangue e soldi, di Elena Cosentino]: www.anadma.it/doc/AvvocatoDelDiavolo.pdf Libri: Giovanni del Giaccio, Sangue sporco. Trasfusioni, errori, malasanità. Giubilei Regnani editore, 2015. YouTube: Intervento di Gianni Barbacetto a Castelnuovo di Garfagnana, 20 marzo 2007: http://youtu.be/hEzmDHmevD8 Lo scandalo del sangue infetto. Un’inchiesta sui trascorsi delle aziende della famiglia Marcucci Puntata del programma di Rai 3 I dieci comandamenti dedicata allo scandalo del sangue infetto: http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/Contentltem-2bfOf285-1aea-4b14-80f9-9cafd8a844d7.h tml Facebook: Comitato vittime sangue infetto Sangue sporco. Trasfusioni, errori, malasanità Lascia un commento commenti