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Cloverfield
Matt Reeves (Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, Blood Story) dirige una pellicola che svolge il suo
compito primario: ovvero di intrattenere. Alla messa in scena manca però qualche tematica e riflessione che riesca
a convincere del tutto lo spettatore più esigente. Godibile ma incompleto.
New York, Manhattan. Durante una festa organizzata da alcuni giovani avviene un black-out. A seguito di ciò
iniziano una serie di calamità causate da un mostro che ha attaccato la città. Mentre l’esercito tenta di contrastare
la creatura, cinque ragazzi tenteranno di sopravvivere allo scenario apocalittico, documentando il tutto con una
telecamera.
La particolarità di questo film è quella di unire la tecnica del found footage (in cui si finge di aver ritrovato un
filmato) con il genere dei monster movie (dove una città viene di solito assalita da esseri giganteschi impossibili da
contrastare). Con tale stile si vorrebbe unire un fatto fantastico con la vita quotidiana, per rendere il tutto più
credibile. Su questo punto vi è il limite del film: la credibilità. Se risulta interessante l’unire questi due generi,
dall’altra parte vi sono varie incongruenze che non permettono una riuscita totale dell’operazione.
In particolare essa si riscontra nella regia del film nell’ambito del reale. Con il found footage si vorrebbe rendere il
più credibile possibile ciò che viene filmato. Se ci si mette in quest’ottica allora anche le reazioni dei personaggi
dovrebbero essere coerenti con il registro preso. E’ quindi incredibile che per l’esigenza di uno dei personaggi tutti
gli altri comprimari decidano di seguirlo senza che nessuno abbia da replicare. In situazioni del genere, in
particolare durante disastri naturali, è l’istinto di sopravvivenza che prevale.
Risulta quindi inverosimile anche il personaggio del “cameraman” che filma la vicenda. Egli malgrado le situazioni
di pericolo non smette di filmare e continua nel suo operato. Se davvero si vuole mantenere un registro sul piano
reale allora alcune scene dovrebbero essere mosse senza dare un’immagine limpida o in alcuni casi la telecamera
spenta, per poi essere riaccesa nei momenti di calma presenti nella storia. Anche un’abbozzata storia d’amore
risulta a tratti inopportuna visto i drammatici risvolti.
Paradossalmente è sul fronte del fantastico che il film funziona. La figura del mostro, presente ma allo stesso
tempo “invisibile”, che ricalca le orme di The Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair, riesce ad
inquietare ma allo stesso tempo ad incuriosire lo spettatore. E’ proprio questo essere indefinito che riesce a
catturare l’attenzione e a guidare le redini della pellicola.
Tramite il personaggio del mostro si può inoltre intra-vedere qualche tematica. Come chiaro in alcune sequenze,
dove si mostrano i devastanti attacchi della misteriosa entità, emerge l’eterna paura dell’America di fronte ad un
nemico misterioso e imprevedibile che può emergere nei momenti di tranquillità, il che rimanda ai tragici episodi
dell’11 settembre. Persino in un momento di gioia, come ad esempio una festa, la paura che questo nemico possa
colpire risulta tangibile.
Se però il personaggio soprannaturale risulta efficace e oggetto d’interesse, la stessa cosa non si può affermare
dei personaggi umani. Essi sono mal caratterizzati e a tratti insopportabili. Il loro unico scopo è quello di volgere la
funzione di burattini sballottati dai disastri e dai pericoli che avvengono attorno a loro. Probabilmente però era
questa l’intenzione originaria dei creatori del film.
I protagonisti sono quindi solo un pretesto per far vedere le azioni che si svolgono attorno a loro e coinvolgere lo
spettatore con quello che accade sullo schermo. Con questa scelta però raramente lo spettatore proverà empatia
nei loro confronti e quindi a dispiacersi nei loro confronti in caso di situazioni altamente pericolose.
Tornando all’aspetto tecnico del prodotto può capitare che la regia movimentata e a tratti fastidiosa a livello ottico
renda difficile la visione dell’operato di Matt Reeves. La visione è naturalmente sconsigliata ai non estimatori della
tecnica del finto documentario.
Si è veramente combattuti nel dare un giudizio riguardo al film: da una parte ha le sue qualità e non risulta noioso
o privo di tensione, se non in alcuni punti; dall’altro canto mancano tematiche e riflessioni che di certo avrebbero
elevato la qualità della visione.
Di certo piacerà agli amanti dei film di mostri giganteschi, come ad esempio i vari film sui Kaiju giapponesi (da cui
ne deriva il famigerato Godzilla di Ishiro Honda), o dei disaster-movie; per palati raffinati probabilmente la pellicola
non soddisferà del tutto.
di Lorenzo Infanti