Natura e caratteristiche della responsabilità della struttura sanitaria

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Natura e caratteristiche della responsabilità della struttura sanitaria
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CAPITOLO PRIMO
Natura e caratteristiche della
responsabilità della struttura sanitaria
SOMMARIO: 1. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: fondamento normativo e differenze. – 2. Dal concorso di responsabilità al regime ibrido elaborato
dalla giurisprudenza e dalla dottrina: la responsabilità medica come sottosistema
della responsabilità civile. – 3. Evoluzione ed attuale inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria: contratto di spedalità, obblighi di protezione, autonomia. – 4. La responsabilità civile del medico dipendente o collaboratore della
struttura. – 5. La tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni
di risultato che vacilla: visione unitaria della giurisprudenza e diligenza esigibile. –
6. Equiparazione tra struttura sanitaria pubblica e privata.
1. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: fondamento
normativo e differenze
Legislazione Cost. 13, 32 – c.c. 1218, 1223, 1225, 1226, 1227, 1494, 2043, 2059.
Bibliografia Breccia 1991 – Scardillo 1994 – Rossello 1996 – Alpa 1999 – Forziati 1999 –
Breda 2004 – Baggio 2008
Con il termine “responsabilità medica” non si suole indicare semplicemente ed esclusivamente la responsabilità del singolo medico che effettuando una precisa prestazione di cura abbia volontariamente o colposamente cagionato un danno più o meno grave ad un suo paziente, ma si usa
doverosamente fare riferimento all’assai più ampio contesto in cui tutti i
medici, siano essi pubblici dipendenti, convenzionati (con Enti pubblici,
Istituzioni, Enti mutualistici appartenenti al Sistema Sanitario Nazionale)
o liberi professionisti (che si avvalgono di strutture sanitarie pubbliche
e/o private), sono chiamati a svolgere la propria attività sanitaria.
Infatti, tolti i casi in cui ci si trova di fronte al singolo medico che si
limita ad esercitare la professione medica solamente in uno studio privato, comunemente la c.d. “attività sanitaria” viene svolta all’interno e con
l’ausilio di strutture complesse (pubbliche o private) in cui ogni malato
riceve tutta una serie di prestazioni, connesse a quella principale di cura,
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erogate da soggetti diversi dal medico prescelto o dedicato, che afferiscono ai vari reparti delle strutture medesime.
Si pensi, per esempio, al vitto, all’alloggio, agli esami clinici e di laboratorio, all’assistenza infermieristica ed al coinvolgimento di specialisti
quali anestesisti o rianimatori.
Si vuole dire, in sostanza, che
«oggi non si deve tenere in conto soltanto il rapporto diretto medico-paziente,
(…) rapporto sul quale per tradizione si era studiata e delineata l’area della
responsabilità, quanto piuttosto il complesso dei rapporti che, oltre a quello di
tipo personale, si istituiscono nel momento in cui un soggetto è destinatario
di prestazioni mediche di ogni tipo, diagnostiche, preventive, ospedaliere, terapeutiche, chirurgiche, estetiche, assistenziali etc. Fermo il fatto che l’attività medico-sanitaria non coinvolge solo i medici, ma anche personale con
diversificate qualificazioni, come infermieri e assistenti sanitari, ostetriche,
tecnici di radiologia medica, tecnici di riabilitazione etc.».
(Alpa 1999, 315).
Ragion per cui non è difficile comprendere come, data una simile
complessità di situazioni, sia risultato, nel corso degli ultimi decenni, tortuoso l’inquadramento giuridico non solo della attività sanitaria in senso
stretto, ma anche della conseguente responsabilità per mancata od errata
esecuzione della prestazione medico-sanitaria globalmente intesa.
Questo in quanto, nel diritto, non sempre è facile ricondurre ogni specifica fattispecie concreta alle due tradizionali categorie di responsabilità
presenti nel sistema giuridico nazionale e cristallizzate negli anni da dottrina e giurisprudenza. Il mondo reale, cioè, si evolve e si complica continuamente (e forse più velocemente che in passato) e non sempre la scienza giuridica è in grado di stare al passo con esso al fine di fornire ai vari
soggetti coinvolti la tutela migliore possibile.
Più precisamente, nell’Ordinamento italiano,
«la distinzione tra responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.) e responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) può essere ricondotta rispettivamente
al “carattere derivato” o “primario” dell’obbligazione risarcitoria del soggetto
a cui la responsabilità stessa è imputabile.
Infatti le obbligazioni diverse dal fatto illecito si fondano sull’esistenza di
un rapporto negoziale specifico dal cui inadempimento si fa dipendere la nascita dell’obbligo sostitutivo di risarcire i danni (da qui la definizione di responsabilità contrattuale). Di contro, il fatto illecito extracontrattuale è fonte
diretta di tale obbligo e quindi è esclusa la preesistenza, all’illecito, di una vera e propria obbligazione del soggetto imputabile».
(Breccia 1991, 665).
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In pratica, ambedue le forme presuppongono la violazione di un dovere giuridico, ma
«mentre la colpa contrattuale postula la violazione di uno specifico dovere
derivante da un rapporto obbligatorio (che non deve trattarsi necessariamente
di un contratto ma ben può essere ogni tipo di specifico rapporto inter partes)
tra l’autore del danno e colui che lo ha subito; si ha, invece, responsabilità
extracontrattuale in caso di violazione del dovere generico del neminem laedere, cioè del dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica che grava su ognuno ed esclude la preesistenza di uno specifico rapporto obbligatorio».
(Scardillo 1994, 41).
Recitano, difatti, i rispettivi testi normativi:
– «Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile» (art. 1218 c.c.);
– «Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno» (art.
2043 c.c.).
Comunque, in entrambi i casi,
«l’obbligazione risarcitoria ha la finalità di reintegrare la sfera economica del
danneggiato in relazione alla lesione di un interesse meritevole di tutela (anche se solamente nell’ipotesi ex art. 1218 vi è un obbligo non generico che
funge da presupposto al successivo vincolo, in modo tale che la lesione si identifica con l’inadempimento)».
(Breccia 1991, 666).
Proprio in considerazione della differente natura delle due forme di responsabilità, il nostro Legislatore ha previsto molteplici diversità di disciplina, che si collocano su piani differenti.
In primo luogo, il fatto che la distinzione dipenda dall’esistenza o dalla mancanza di un credito primario, rimasto insoddisfatto, si riflette sull’oggetto della prova poiché, in materia di responsabilità contrattuale, è il
soggetto che non ha adempiuto la propria obbligazione a dover dimostrare che l’inadempimento o il ritardo non sono a lui imputabili, mentre, in
sede di responsabilità extracontrattuale, è di regola il danneggiato tenuto
a dimostrare l’imputabilità dell’illecito a chi afferma esserne l’autore e
quindi l’evento dannoso, il nesso di causalità, nonché tutti gli elementi
oggettivi e soggettivi della fattispecie (in particolare dolo o colpa).
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Differenze sussistono anche per ciò che concerne la prescrizione: infatti la regola generale rende più favorita la posizione di colui che pretenda il risarcimento in base alla responsabilità contrattuale in quanto essa è
soggetta all’ordinario termine decennale e non a quello quinquennale (ridotto addirittura a soli due anni quando il danno sia derivante dalla circolazione dei veicoli, ex art. 2947, 2° co., c.c.), previsto per le obbligazioni
risarcitorie da fatto illecito. Più favorita è, quindi, la posizione di colui
che pretenda il risarcimento in base alle norme che disciplinano la responsabilità contrattuale, poiché vale un termine prescrizionale più lungo,
anche se, in tal senso, l’esistenza, nel sistema, di eccezioni in materia non
consente di fissare direttive univoche. Si pensi ai casi particolari come il
diritto al risarcimento per vizi della cosa, ex art. 1494 c.c., che si prescrive in un solo anno o al diritto al risarcimento del danno da prodotto difettoso che si prescrive in anni tre.
Quanto poi alla disciplina concernente la determinazione del danno risarcibile è da notare che in ambito extracontrattuale, mentre l’art. 2056
c.c. rinvia espressamente agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c., non vi è alcun
richiamo all’art. 1225 c.c. che prevede la risarcibilità, in campo contrattuale, dei soli danni prevedibili (sempre che l’inadempimento non sia dovuto a dolo) lasciando, di conseguenza, intendere che l’autore di un fatto
illecito sia tenuto a risarcire tutti i danni da lui arrecati anche se imprevedibili. Del resto la valutazione di “prevedibilità” si riferisce al momento
in cui l’obbligazione è sorta e un tale momento non può individuarsi nei
casi in cui l’obbligazione risarcitoria nasca direttamente da fatto illecito.
Infine, un’ulteriore importante diversità si ha con riguardo alla risarcibilità del danno non patrimoniale (ossia il danno morale soggettivo) che,
secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, non potrebbe ravvisarsi in ipotesi di inadempimento, essendo la fattispecie di danno in questione disciplinata dall’art. 2059 c.c., il quale è stato espressamente previsto in relazione all’illecito extracontrattuale e non viene richiamato in sede contrattuale. La sola eccezione pare sia costituita dal cosiddetto danno
biologico che, sempre secondo la Cassazione, sarebbe risarcibile anche
tramite l’esperimento dell’azione contrattuale (Cass. n. 14488/2004; n.
7470/2002; n. 5340/2002).
Orbene, da quanto esposto è evidente come nella pratica risulti fondamentale sempre verificare:
– a quale dei due regimi ricondurre la fattispecie concreta generatrice
del danno posta sotto analisi;
– ovvero, eventualmente ed in casi eccezionali, valutare se vi sia o
meno la facoltà per il danneggiato di usufruire di una regola non scritta,
ma di derivazione giurisprudenziale, denominata, a seconda degli ele-
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menti presenti, «concorso o cumulo di responsabilità». Regola naturalmente nata per offrire la massima tutela possibile a tutti i danneggiati, attraverso la riduzione della rilevanza pratica delle numerose diversità a cui
si è accennato, proprio nelle ipotesi di dubbia qualificazione o comunque
in presenza di fatti dannosi della medesima natura ma sottoposti (per il
regime tradizionale) ad una disciplina incongruamente diversa a seconda
che la responsabilità sia definita nell’uno o nell’altro modo.
In alcune situazioni ed in presenza di particolari condizioni, cioè, è
possibile per colui che ha subìto il danno non soltanto scegliere tra i due
regimi, ma persino cumularli (nel senso di ricorrere all’uno quando, ad
esempio, una preclusione giuridica non consenta più di avvalersi dell’altro).
Più precisamente, si ha:
– Concorso di responsabilità quando: il danneggiato gode della possibilità di invocare, a sua scelta, le norme sulla responsabilità contrattuale o
quelle sulla responsabilità extracontrattuale. Nel senso che, in giudizio,
«si avrebbe a disposizione un’unica azione, risolvendosi la questione della
natura della responsabilità in un problema di qualificazione della sola causa
petendi: ossia una volta esercitata l’azione contrattuale, l’attore potrebbe introdurre nel medesimo processo quella aquiliana senza con ciò realizzare un
mutamento della domanda».
(Breda 2004, 21-22).
– Cumulo di responsabilità quando: il danneggiato ha la facoltà di
scegliere alternativamente l’azione contrattuale e quella extracontrattuale,
anche azionando l’una successivamente all’altra, poiché
«si tratterebbe di azioni concorrenti esperibili cumulativamente o successivamente nel corso dello stesso giudizio con l’unico limite che la reintegrazione del diritto ottenuta sulla base di un’azione consuma anche l’altra e fatto
salvo il rispetto delle disposizioni di legge che prevedono in certe materie un
preciso ordine per l’esercizio delle azioni».
(Breda 2004, 21).
Ovvero,
«Ogni volta che il medesimo comportamento (risalente al medesimo autore) abbia inciso contemporaneamente sui diritti derivanti da contratto e su
quelli spettanti al soggetto danneggiato in via assoluta e indipendentemente
dal rapporto obbligatorio; con la conseguenza che, venuta meno una delle due
azioni per ragioni ad essa relative, come la prescrizione, rimane ferma l’altra
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azione, la quale, anche se fondata sui medesimi presupposti di fatto, è soggetta al suo proprio correlativo termine prescrizionale».
(Rossello 1996, 647).
Si definiscono, poi:
– “concorso proprio” le ipotesi in cui
«dal punto di vista oggettivo un unico fatto lesivo (proveniente dal medesimo
autore) si configuri al contempo come inadempimento dell’obbligazione e
come illecito aquiliano, con perfetta coincidenza – sotto il profilo soggettivo
– fra le figure di autore del danno/debitore da un lato e danneggiato/creditore
dall’altro».
(Rossello 1996, 648).
– “concorso improprio” i casi in cui
«dal medesimo fatto lesivo sorga responsabilità contrattuale verso il creditore
e responsabilità extracontrattuale nei confronti di terzo danneggiato estraneo
al contratto, ovvero il medesimo fatto cagioni danno ad un medesimo soggetto (creditore e danneggiato) e di tale condotta siano chiamati a rispondere a
titolo diverso, contrattuale ed extracontrattuale, soggetti diversi».
(Baggio 2008, 371).
In realtà, osservando attentamente tutte le definizioni sopra riportate
emerge come la distinzione tra cumulo e concorso di responsabilità altro
non sia che la differenza intercorrente tra concorso di azioni e concorso di
norme applicabili, ossia
«mentre nel primo caso, ove il danneggiato avesse optato per l’azione extracontrattuale, una volta consumata la stessa (per ragioni, ad esempio di prescrizione) gli sarebbe rimasta pur sempre la possibilità di esperire l’azione di
responsabilità contrattuale, nel secondo caso tale azione gli sarebbe stata preclusa».
(Forziati 1999, 668).
In giurisprudenza è attualmente prevalso l’orientamento che, al fine di
tutelare maggiormente il danneggiato, ammette la sussistenza e l’applicabilità nel nostro sistema del concorso di azioni, anche se spesso viene utilizzato il termine concorso di responsabilità per indicare l’esistenza di
quest’ultimo nelle varie fattispecie (proprio, invece, del cumulo).
In particolare, tenuto conto del fatto che tale figura ha come presupposto di applicazione la circostanza che
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«dal lato del danneggiato ovvero del danneggiante emerga un profilo che giustificherebbe la risarcibilità del danno in maniera indipendente dall’inadempimento di un obbligo specifico (per esempio nelle ipotesi in cui si tratti
di riparare un danno alla persona o a beni esorbitanti dall’oggetto del credito
in senso stretto)».
(Breccia 1991, 672);
– i c.d. diritti assoluti relativi alla persona o al patrimonio – la giurisprudenza italiana, sia di legittimità che di merito, ha ritenuto applicabile
il concorso di azioni ai numerosi casi di individuata responsabilità medico-sanitaria, in quanto lesiva del diritto alla salute ed all’integrità psicofisica di ogni individuo (artt. 32 e 13 Cost.).
Si legge infatti:
«In linea di principio va osservato che la natura della responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) va determinata non sulla base della condotta in
concreto tenuta dal soggetto agente, ma sulla base della natura del precetto
che quella condotta viola. Ciò comporta che una stessa condotta può violare
due (o più) precetti, uno di natura contrattuale ed uno di natura extracontrattuale, fondando quindi due diverse responsabilità. Infatti, nel nostro ordinamento, quale si è venuto configurando per effetto del diritto vivente, vige il
principio che è ammissibile il concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, allorché un unico comportamento risalente al medesimo autore appaia di per sé lesivo non solo di diritti specifici derivanti al contraente da
clausole contrattuali, ma anche dei diritti soggettivi, tutelati anche indipendentemente dalla fattispecie contrattuale (Cass. civ. 24.6.1994, n. 6064, FI,
1995, I, 201, GI, 1995, I, 1, 412; Cass. civ. 7.8.1982, n. 4437, GCM, 1982, 8,
RCP, 1984, 78). Ne consegue che, in questo caso, la parte, che abbia subito il
danno, ben può proporre contestualmente sia un’azione di responsabilità contrattuale che aquiliana».
(Cass. 24.3.2000, n. 3536, GCM, 2000, 628; DResp, 2000, 599 (nota di Carbone).
«La possibilità di un concorso della responsabilità contrattuale con quella
extracontrattuale è ammessa dalla giurisprudenza di questa Corte, ogni volta
che lo stesso fatto violi non soltanto diritti derivanti dal contratto, ma anche
diritti che alla persona spettino indipendentemente dal contratto stesso (vedi
Cass. civ. 22.9.1983 n. 5638, GCM, 1983, 8; Cass. civ. 7.8.1982, n. 4437,
GCM, 1982, 8, RCP, 1984, 78). In tale ipotesi a disposizione del danneggiato
vi sono due azioni autonome, caratterizzate da spetti particolari che attengono
al regime giuridico proprio di ciascuna di esse. Così l’azione contrattuale si
fonde sulla presunzione di colpa stabilita dall’art. 1218 c.c. o limita il risarcimento ai danni prevedibili al momento della nascita dell’obbligazione. L’azione extracontrattuale, invece, pone a carico del danneggiato la prova della
colpa o del dolo dell’autore della condotta lesiva e, nel caso che detta condot-
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ta integri gli estremi di reato, fa sorgere il diritto al risarcimento anche dei
danni non patrimoniali».
(Cass. 8.4.1995, n. 4078, NGiL, 1995, 885).
Ed ancora:
«L’esistenza di un rapporto contrattuale tra medico e paziente, il cui contenuto obbligatorio si individua nel contratto di prestazione d’opera professionale, configura in capo al primo una responsabilità da inadempimento nei
confronti del secondo che, dunque, concorre con quella dell’ente, emergente
da altro titolo contrattuale. La distinzione dei due rapporti spiega la diversità
dei criteri di imputazione della responsabilità dell’ente e di quella del medico:
il regime della responsabilità oggettiva dell’ente, quello della responsabilità
per colpa, coi criteri di cui all’art. 2236 c.c., per il secondo. Per i medici che
hanno eseguito l’intervento, pertanto, valgono i normali termini prescrizionali
decennali, poiché essi rispondono, in via solidale con l’ente ospedaliero a cui
appartengono, a titolo contrattuale del proprio operato. La responsabilità di
tipo extracontrattuale, per quanto in astratto sia configurabile come concorrente con quella contrattuale, invece, non può entrare in campo quando la relativa azione, non esercitata nel termine di cinque anni, sia prescritta. In questo caso la violazione dei doveri inerenti alla bona ars medica, quand’anche
abbia provocato lesioni illecite al paziente, non potrà comportare obblighi risarcitori che vadano oltre il danno patrimoniale direttamente ed immediatamente imputabile alla condotta negligente accertata».
(Trib. Milano 19.2.2001, RGP, 2002, 795).
«Per quanto l’obbligazione del medico, dipendente del servizio sanitario
nazionale o di altro ente pubblico, per responsabilità professionale nei confronti del paziente abbia contenuto contrattuale e che per tale responsabilità i
regimi della ripartizione dell’onere della prova, del grado della colpa e della
prescrizione siano quelli tipici delle obbligazioni da contratto d’opera professionale intellettuale (Cass. civ. n. 589/1999), ciò non esclude che, accanto a
detta responsabilità a contenuto contrattuale, sorga anche una responsabilità
extracontrattuale, ogni qual volta venga lesa una posizione giuridicamente tutelata a norma dell’art. 2043 c.c. Stante detto concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, il soggetto danneggiato potrà proporre cumulativamente le due azioni (ovviamente ciò non potrà dar luogo a duplicazione
di risarcimento) ovvero una sola di esse. In quest’ultimo caso si applicherà il
regime proprio dell’azione proposta».
(Cass. 10.5.2000, n. 5945, GCM, 2000, 976; D&G, 2000, 19, 51; RIML, 2001, 1137).
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2. Dal concorso di responsabilità al regime ibrido elaborato dalla
giurisprudenza e dalla dottrina: la responsabilità medica come
sottosistema della responsabilità civile
Legislazione c.c. 1176, 2236.
Bibliografia Cattaneo 1958 – De Matteis 1999 – Baggio 2008.
Nell’ambito della rete di relazioni che si instaura normalmente tra
struttura sanitaria, medico in essa operante e paziente l’interesse di quest’ultimo a ricevere una corretta prestazione di cura (c.d. prestazione
principale) si collega direttamente ed indissolubilmente con l’interesse a
non subire danno alla propria persona (c.d. interesse alla protezione), con
la conseguenza che la responsabilità medica diventa così un’area nella
quale convivono sia la responsabilità contrattuale – relativamente alla
violazione dell’interesse alla prestazione – sia la responsabilità extracontrattuale – conseguente alla lesione del diritto di protezione. Da qui la
possibilità per il danneggiato di ricorrere in giudizio al concorso delle due
azioni.
Sennonché, non può sfuggire come, in realtà, i due tipi di interesse evidenziati (ossia l’interesse alla prestazione e l’interesse a ricevere protezione) tendano inevitabilmente a coincidere con l’interesse alla salute del
paziente.
Tutela della salute che ha, negli ultimi anni, condotto dottrina e giurisprudenza ad elaborare tutta una serie di regole comuni ai due regimi di
responsabilità, al fine di assotigliare sempre più il divario e la distinzione
tra responsabilità contrattuale ed aquiliana; probabilmente nel tentativo di
evitare che, in determinati casi, la difficoltà di inquadrare alcune fattispecie in uno dei due tipi cristallizzati di responsabilità, ovvero l’applicazione al caso concreto dell’uno o dell’altro regime a seconda dell’orientamento che l’interprete intende far proprio, possa pregiudicare il diritto
del malato ad ottenere giusto risarcimento per il danno subìto.
Ragion per cui la lesione della salute diviene sempre più spesso il presupposto per l’affermazione della responsabilità medico-sanitaria, quale
che sia il regime di responsabilità, contrattuale od extracontrattuale, di
riferimento.
Necessità di regole unitarie che ha avuto terreno fertile e maggiore utilità pratica, si badi, soprattutto nel periodo antecedente all’anno 1999,
quando non era ancora intervenuta la Suprema Corte di Cassazione a redimere il contrasto giurisprudenziale in merito alla qualificazione della
responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria, per molti di
natura extracontrattuale. Difatti, prima della sentenza 22.1.1999, n. 589
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(poi in seguito pacificamente confermata e consolidata), la quale ha fermamente affermato la natura contrattuale sia della responsabilità della
struttura ospedaliera che del medico in essa esercitante, in quanto
«nei confronti di quest’ultimo si configurerebbe pur sempre una responsabilità contrattuale nascente da un’obbligazione senza prestazione ai confini tra
contratto e torto, ossia poiché sicuramente sul medico gravano gli obblighi di
cura impostigli dall’arte che professa, il vincolo con il paziente esiste, nonostante non dia adito ad un obbligo di prestazione, e la violazione di esso si
configura come culpa in non faciendo, la quale dà origine a responsabilità
contrattuale. (…) Si ammette cioè che le obbligazioni possano sorgere da
rapporti contrattuali di fatto nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto,
senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad
esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in
occasione del contatto stesso. In questi casi non può esservi (solo) responsabilità aquiliana, poiché questa non nasce dalla violazione di obblighi ma dalla
lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui (…); quando ricorre la violazione di obblighi, la responsabilità è necessariamente contrattuale, poiché il
soggetto non ha fatto ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vincolum
iuris»,
molte sentenze e parte della dottrina andavano sostenendo una responsabilità contrattuale a carico della struttura sanitaria ed una responsabilità
extracontrattuale in capo al medico ospedaliero.
Si diceva precisamente:
«questo medico non è legato da un’obbligazione verso il paziente, giacché il
suo obbligo di curare deriva da un rapporto di diritto pubblico con la Pubblica Amministrazione, o da un contratto con un altro soggetto. In questa ipotesi
il medico è ausiliario di cui la casa di cura o l’ospedale si serve per adempiere
la sua obbligazione verso il cliente. Rispetto a quest’ultimo il medico è un
terzo e risponde per atto illecito».
(Cattaneo 1958, 313).
Ovvero:
«L’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero oppure di
una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto d’opera professionale. Contratto, questo che viene concluso tra il paziente e l’ente ospedaliero, il quale assume a proprio carico, nei confronti del paziente, l’obbligazione di svolgere l’attività diagnostica e la conseguente attività terapeutica
in relazione alla specifica situazione patologica del paziente preso in cura.
Parte nel contratto d’opera professionale, e nel conseguente rapporto obbligatorio, è l’ente ospedaliero ed esso soltanto, non anche il medico dipendente
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che provvede in concreto allo svolgimento dell’attività diagnostica e della
conseguente attività terapeutica. (…) Non è configurabile, dunque, una responsabilità contrattuale del medico dipendente dell’ente ospedaliero, verso il
paziente, in conseguenza dell’errore diagnostico o terapeutico da lui commesso, il quale rileva sotto il profilo della responsabilità extracontrattuale».
(Cass. civ. n. 1716/1979, FI, 1980, I, 1115).
È in questo contesto che l’applicazione del concorso di responsabilità
ha permesso di offrire al paziente la possibilità di proporre giudizialmente
l’azione contrattuale nei confronti della struttura e l’azione aquiliana nei
riguardi del medico dipendente.
Sennonché, tale situazione mostrava seri problemi pratici per l’attore
che doveva confrontarsi con le differenti norme regolatrici dei due tipi di
responsabilità, nonché con la diversa distribuzione dell’onere della prova
in capo ai soggetti processuali coinvolti.
Pertanto, si è tentato di predisporre un correttivo che permettesse la
maggior tutela possibile alla vittima del fatto dannoso.
Correttivo che è stato trovato nella creazione di regole comuni che
hanno dato vita ad un regime uniforme applicabile alla responsabilità medica che è stata così ridotta a “sottosistema della responsabilità civile”.
Più precisamente,
«riflettono la natura composita che assume l’interesse del paziente, per cui si
invoca tutela, sia quelle regole che, rivelando nella loro origine l’appartenenza al regime contrattuale, sono state conformate, nelle applicazioni in sede di responsabilità medica, alla duplice esigenza di tutela che l’interesse da
proteggere rivendicava, sia quelle regole che, tipizzate sulla base della rilevanza strutturale dell’illecito aquiliano, venivano acquisite al regime contrattuale per giudicare la corretta esecuzione della prestazione medica. Fra le
prime si posso inquadrare le regole di formazione giurisprudenziale che introducono presunzioni di colpa, in correlazione con l’alterazione in pejus dello stato di salute, per decidere l’inadempimento del medico, fra le seconde
quelle sulla casualità materiale che fondano l’inesatta esecuzione della prestazione sul presupposto che il comportamento del medico sia stato causa
della lesione alla salute; al di sopra, e con valenza onnicomprensiva, si colloca la regola di origine normativa sulla diligenza professionale, codificata nell’art. 1176, secondo comma c.c., in quanto criterio di giudizio della condotta
medica valevole (vien detto) sia per la colpa contrattuale che per la colpa aquiliana».
(De Matteis 1999, 416-417).
Le regole comuni tipiche di quello che era considerato il c.d. “sottosistema della responsabilità civile” erano, dunque, riassumibili nelle seguenti:
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– onere della prova in ordine alla sussistenza della colpa disciplinato
in modo sostanzialmente identico, tramite la distinzione tra interventi di
facile e difficile esecuzione.
Distinzione così sintetizzata:
«Mentre se l’intervento operatorio scelto ed applicato dal chirurgo è di
difficile esecuzione – poiché richiede una notevole abilità, implica la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità e comporta un largo
margine di rischio – il cliente deve provare, con precisione e particolareggiatamente il modo di esecuzione dell’intervento operatorio nelle sue varie fasi
e, all’occorrenza, il modo di esecuzione delle prestazioni post-operatorie, tale
rigore probatorio non è richiesto quando l’intervento operatorio applicato dal
chirurgo allo specifico caso patologico non sia di difficile esecuzione ed il rischio di un esito negativo o addirittura peggiorativo sia minimo, potendo derivare, al di fuori della colpa dell’operatore, dal sopravvenire di eventi imprevisti e imprevedibili secondo la ordinaria diligenza professionale, oppure dalla esistenza di particolari condizioni fisiche del paziente, in precedenza non
accettabili con il medesimo criterio della diligenza professionale. Quando,
pertanto, il paziente abbia provato in giudizio che l’intervento operatorio sofferto era di non difficile esecuzione e cha da quell’intervento è scaturito un
risultato peggiorativo non può non presumersi la inadeguatezza o non diligente esecuzione della prestazione professionale; presunzione basata su di
una regola di comune esperienza nel settore chirurgico ed in definitiva sul
principio dell’id quod plerumque accidit. Ne deriva che, assolto dal paziente,
con la dimostrazione degli elementi sui quali si fonda la presunzione, l’onere
probatorio a suo carico, spetta al chirurgo fornire la prova contraria, di avere
adeguatamente e diligentemente eseguito la prestazione professionale e di
nulla avere potuto contrapporre all’insorgenza dell’esito peggiorativo dell’intervento, in quanto causata dal sopravvenire di un evento imprevisto e imprevedibile (secondo la ordinaria diligenza professionale) oppure da una particolare condizione fisica del cliente».
(Cass. civ. n. 6220/1988, GCM, 1988, 11; Cass. 21.12.1978, n. 6141, GI, 1979, I, 1, 953);
– stessa modalità di dimostrazione del nesso di causalità materiale tra
comportamento del medico e lesione della salute al fine di decidere in ordine all’inadempimento del medico (a carico del danneggiato);
– medesimo grado di diligenza richiesto (applicazione ad entrambi i
regimi degli artt. 1176 e 2236 c.c.).
Per quanto riguarda, poi, la distinzione basata sulla natura degli interessi tutelati, anch’essa ha subito, in questo contesto, le conseguenze dell’evoluzione nell’interpretazione del profilo dell’ingiustizia del danno.
Nel senso che,
«Come è noto, il requisito dell’ingiustizia del danno è stato interpretato
nel tempo in modo diverso e sempre più esteso. Si è così passati da un’in-
NATURA E CARATTERISTICHE
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terpretazione che individuava nel danno ingiusto la lesione di un diritto soggettivo assoluto, ad una interpretazione più ampia, volta a ricomprendere
nell’ambito dell’ingiustizia anche la lesione di diritti soggettivi relativi; per
arrivare da ultimo (Cass. civ. n. 500/1999) ad individuare nell’ingiustizia la
lesione di un interesse che sia meritevole di protezione secondo l’ordinamento giuridico. Dall’altra parte, in ambito contrattuale, attraverso la teorizzazione dei c.d. obblighi di protezione, vengono ad essere ricompresi nell’ambito della tutela contrattuale anche interessi che troverebbero invece la
loro naturale collocazione in ambito extracontrattuale».
(Baggio 2008, 390).
Con la conseguenza che viene meno la possibilità di fondare la distinzione in parola sulla natura del diritto leso (di credito nel caso della responsabilità debitoria, assoluto nella responsabilità aquiliana).
Così come,
«l’art. 1176 c.c., che fa della diligenza il parametro del comportamento esecutivo del debitore, trova il proprio corrispondente nella colpa in materia extracontrattuale; e l’art. 1228 c.c., sulla responsabilità del debitore per il fatto
dell’ausiliario, corrisponde all’art. 2049 c.c., sulla responsabilità dei padroni
e committenti».
(Baggio 2008, 396).
In questo modo, si va oltre la disciplina del concorso o del cumulo di
responsabilità, data la progressiva estensione dell’area della responsabilità contrattuale nella direzione della protezione di interessi naturalmente
tutelati in sede aquiliana; nonché data la progressiva estensione della responsabilità extracontrattuale, atta a proteggere interessi che trovano la
loro origine nel contratto.
3. Evoluzione ed attuale inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria: contratto di spedalità, obblighi di protezione, autonomia
Legislazione l. 833/1978 – Cost. 28 – c.c. 1173, 1174, 1175, 1218, 1227, 1228, 1321, 1322
2° co., 1337, 1366, 1375, 1914, 1915, 2229 ss.
Bibliografia Cattaneo 1958 – Benatti 1960 – Princigalli 1983 – Galgano 1984 – Castronovo
1990 – Breccia 1991 – De Matteis 1995 – Simone 1996 – Castronovo 1997 – Alpa 1999 –
Iudica 2001 – Paradiso 2001 – Breda 2002 – Simone 2003 – Ruffolo, Grazzini 2004 – Breda
2006 – Baggio 2008 – Iadecola, Bona 2009.
A prescindere dall’operatività dell’istituto del cumulo o concorso di
responsabilità, che consente al paziente danneggiato, stante la complessi-